UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI FILOSOFIA, SOCIOLOGIA, PEDAGOGIA E PSICOLOGIA APPLICATA
CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA
UNA TEORIA DELLA GIUSTIZIA: ASPETTI CRITICI DELLA “RINASCITA DEL CONTRATTO” IN
XXXX XXXXX
Relatore:
Xx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx
Laureando: Xxxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx n. 1148080
ANNO ACCADEMICO 2022-2023
Indice
Introduzione pag. 1
1. Una teoria della giustizia pag. 3
1.1 - Caratteri generali, p. 3; 1.2 - Il tema della giustizia, p. 4; 1.3 - Justice as Fairness, p. 6; 1.4 - La posizione originaria, p. 7; 1.5 - Il velo di ignoranza, p. 9
2. Il rapporto con Xxxx pag. 11
2.1 - Le riflessioni di Xxxxx, p. 11; 2.2 - Kantian Constructivism in Moral Theory, p. 13; 2.3 - Il Kantismo di Xxxxx, p. 16
3. Critiche alla teoria della giustizia di Xxxxx pag. 21
3.1 - La disputa con Xxxxxxxx, p. 22; 3.2 - La critica comunitarista, p. 24;
3.3 - Xxxxxx e il pensiero libertario, p. 27;
4. Xxxxx e il contratto sociale pag. 31
4.1 - Il contratto sociale, p. 32; 4.2 - La critica hegeliana, p. 34;
4.3 - La “rinascita del contratto”, p. 36;
Conclusione pag. 41
Bibliografia pag. 43
Introduzione
Questo progetto di tesi è incentrato sulla figura del filosofo statunitense Xxxx Xxxxx, che con la sua opera intitolata Una teoria della giustizia è diventato uno dei grandi autori con cui tutti i contemporanei si sono confrontati e dovranno probabilmente continuare a confrontarsi in futuro. Il suo tentativo di dare nuova vita al paradigma del contratto sociale ha prodotto un sistema teorico completo e rigoroso come pochi prima di lui, offrendo anche una serie di novità che hanno consentito una nuova rilettura dei grandi autori della tradizione contrattualista precedente.
Nel corso del lavoro si proverà a delineare alcune delle caratteristiche generali dell’opera, cercando di capire se il tentativo di «generalizzare e portare a un più alto livello di astrazione la teoria tradizionale del contratto sociale di Xxxxx, Xxxxxxxx e Xxxx»1 possa dirsi pienamente riuscita o meno.
A questo scopo, si esamineranno da un lato le relazioni e le influenze che la teoria di Xxxxx ha ricavato dalla tradizione contrattualista, in particolare da Xxxx, mentre dall’altro si analizzerà in che modo la sua opera sia stata recepita e commentata dai suoi contemporanei, ai quali Xxxxx stesso si è poi sforzato di rispondere in opere successive. Autori come Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxx sono stati alcuni tra i più famosi e agguerriti critici della giustizia come equità, analizzando approfonditamente l’opera e indicandone alcune criticità sia derivate dallo stesso impianto contrattualistico sia dalle caratteristiche peculiari della teoria. Tutti, in ogni caso, si sono confrontati con le conclusioni e le singole
1 X. Xxxxx, Una teoria della giustizia, trad. it. di X. Xxxxxxxxxx, Feltrinelli, Milano, 1984, pp. 13-14
proposte formulate all’interno di questo quadro teorico, senza problematizzare rigorosamente le caratteristiche della “rinascita” del contratto operata da Xxxxx.
Nelle conclusioni di questo lavoro si tenterà dunque di far emergere alcuni problemi specifici relativi allo statuto contrattualistico della proposta rawlsiana al di là delle critiche mosse dai suoi contemporanei.
1.
Una teoria della giustizia
1.1 - Caratteri generali
A Theory of Justice (d’ora in poi TJ) è l’opera più importante e più nota di Xxxx Xxxxx, pubblicata nel 1971. Essa costituisce un approfondimento e una rielaborazione di alcuni lavori pubblicati negli anni precedenti e rappresenta l’esposizione più completa del pensiero filosofico rawlsiano. Come spiega lo stesso autore fin dalla Prefazione, delle tre parti che suddividono il libro, la prima corrisponde sostanzialmente a un approfondimento di Justice as Fairness (1958) e Distributive Justice: Some Addenda (1968), mentre nella seconda parte si riprendono argomenti presenti in Costitutional Liberty (1963), Distributive Justice (1967) e Civil Disobedience (1966). Soltanto per quanto riguarda la terza e ultima parte dell’opera il contenuto è per lo più inedito, anche se nel secondo capitolo vi sono comunque rimandi al saggio The Sense of Justice (1968).
Sempre nella Prefazione, Xxxxx spiega immediatamente l’obiettivo che ha guidato la stesura di TJ: «Quello che ho cercato di fare è generalizzare e portare ad un più alto livello di astrazione la teoria tradizionale del contratto sociale di Xxxxx, Xxxxxxxx e Xxxx»2. Di fronte a quella dottrina utilitarista che aveva dominato il dibattito accademico fino alla prima metà del Novecento, l’intento di Xxxxx è quello di riportare in auge una prospettiva
2 Ibidem.
di tipo contrattualista, sviluppata in modo da non ricadere in quelle criticità che hanno portato gli studiosi a considerarla inadeguata e metterla da parte. Rielaborando le principali tesi che hanno connotato la tradizione della teoria del contratto, la speranza di Xxxxx è di farne riscoprire quelle caratteristiche strutturali che possono costituire una concezione alternativa all’utilitarismo contemporaneo: «Credo che, tra le teorie tradizionali, questa concezione costituisca la migliore approssimazione ai nostri giudizi ponderati di giustizia, e rappresenti la fondazione morale più adeguata per una società democratica»3.
1.2 - Il tema della giustizia
I caratteri fondamentali della teoria della giustizia vengono esposti nei primi quattro capitoli della prima parte, nei quali Xxxxx descrive il ruolo della giustizia all’interno di un sistema di cooperazione sociale e l’oggetto principale della sua concezione della giustizia. L’idea centrale è quella di justice as fairness (giustizia come equità), che nelle intenzioni del filosofo rappresenta una reinterpretazione più generale e astratta della tradizionale teoria del contratto.
All’interno di queste prime pagine Xxxxx si preoccupa innanzitutto di fare una serie di premesse che chiariscono gli intenti della sua esposizione e sottolineano gli ambiti e i limiti della sua ricerca. Nel secondo capitolo precisa di essere interessato a un caso particolare del problema della giustizia, che non riguarda ad esempio istituzioni e pratiche sociali in generale, o la giustizia internazionale. Il contesto che Xxxxx ha in mente è quello di una società ben ordinata, in cui si assume che ognuno agisca correttamente e faccia la sua parte per sostenere istituzioni giuste. Sono i principi che regolerebbero questo modello di società ciò che viene preso in esame nella trattazione, principi che possono non applicarsi ai metodi e alle regole di associazioni private o che possono risultare irrilevanti per le convenzioni della vita quotidiana.
Sempre nel secondo capitolo viene specificato che il tema della giustizia che viene discusso è quello della giustizia sociale, la giustizia in quanto primo requisito delle istituzioni sociali. Questa accezione della giustizia ha per oggetto la struttura fondamentale della società, ossia quei principi che regolano i rapporti sociali
fondamentali e le istituzioni che vengono poste a garanzia di questi rapporti e che li coordinano secondo i principi stessi.
La struttura fondamentale della società viene descritta da Xxxxx come l’insieme delle “maggiori istituzioni sociali”, che identifica nella costituzione politica e in assetti economici e sociali come la libertà di pensiero e di coscienza, il mercato concorrenziale, la proprietà privata dei mezzi di produzione e addirittura la famiglia monogamica4 . Questo insieme, dice Xxxxx, influenza profondamente la vita dei membri di una società. Esso definisce di fatto i diritti e doveri degli uomini e influenzano le loro aspettative di vita e le loro opportunità, così come le loro speranze per il futuro e per il conseguimento dei propri piani: per questo è l’oggetto privilegiato di una teoria della giustizia sociale. Le diseguaglianze che appartengono in modo inevitabile alla struttura fondamentale di ogni società sono ciò a cui devono essere applicati i principi della giustizia sociale, perché neppure il benessere dell’intera società può controbilanciare il sacrificio di un singolo individuo.
Il ruolo della giustizia, che Xxxxx esprime delineando gli aspetti di una società ben- ordinata, è proprio quello di regolare il funzionamento di una “impresa cooperativa per il reciproco vantaggio”. Il concetto di società ben ordinata è infatti proprio quello di una società non solo tesa a promuovere il benessere dei propri membri, ma anche regolata in modo effettivo da una concezione pubblica della giustizia. Ciò significa non soltanto che i membri dell’associazione riconoscono certe norme di comportamento e agiscono in un certo grado in accordo con esse, ma che ognuno sa ed è certo di accettare i medesimi principi di giustizia che tutti gli altri conoscono e accettano; significa che le istituzioni fondamentali soddisfano questi principi in modo generalmente riconosciuto. «In questo caso, anche se gli uomini possono avanzare richieste eccessive verso i propri simili, riconoscono nondimeno un punto di vista comune in base al quale possono venire giudicate le loro pretese»5. Inoltre, al problema della giustizia vengono connessi problemi di efficienza, coordinazione e stabilità. «In assenza di un certo grado di accordo su ciò che è giusto o ingiusto risulta difficile per gli individui coordinare i propri piani in modo da assicurarsi il mantenimento di accordi reciprocamente vantaggiosi»6: non basta un certo grado di accordo sulle concezioni della giustizia, occorre che anche le attività dei
4 Ivi, p. 24.
5 Ivi, p. 22.
singoli membri della società siano ben coordinate e che nessuno ottenga dei vantaggi a discapito della realizzazione dei progetti altrui. Una concezione della giustizia non deve soltanto specificare diritti e doveri fondamentali, ma deve anche determinare la corretta distribuzione dei benefici della cooperazione sociale e stabilire la modalità di queste distribuzioni. «La giustizia di uno schema sociale dipende essenzialmente dal modo in cui sono ripartiti i diritti e i doveri fondamentali, dalle opportunità economiche e dalle condizioni sociali nei vari settori della società»7.
1.3 - Justice as fairness
Come abbiamo detto, Xxxxx spiega fin dalla Prefazione che il suo obiettivo è quello di generalizzare la teoria del contratto sociale e di portarla a un livello di astrazione più alto. Dice, a questo scopo: «non dobbiamo pensare che il contratto originario dia luogo a una particolare società o istituisca una particolare forma di governo. L’idea guida è piuttosto quella che i principi di giustizia per la struttura fondamentale della società sono oggetto dell’accordo originario. Questi sono i principi che persone libere e razionali, preoccupate di perseguire i propri interessi, accetterebbero in una posizione iniziale di uguaglianza per definire i termini fondamentali della loro associazione»8. Il momento del contratto non assume qui importanza in quanto atto fondativo della società civile, ma in quanto contesto in cui individui liberi e razionali, in un momento precedente all’esistenza di quelle strutture fondamentali che influenzeranno e in parte determineranno il loro posto nella società e le loro aspettative di vita, e quindi sostanzialmente eguali, si trovano a stabilire i principi che guideranno la costituzione e il funzionamento della loro cooperazione. L’aggiunta di Xxxxx, quella che caratterizza la concezione di justice as fairness, è che questi principi dovranno anche determinare la divisione dei benefici sociali della cooperazione. Nel momento dell’accordo, gli individui dovranno decidere in anticipo in che modo dirimere le loro pretese conflittuali e che cosa per ognuno costituisce un bene, un insieme di fini che è razionale ricercare. L'accordo originario di una giustizia equa (fair) deve quindi fondare la società, stabilirne le regole fondamentali, ma deve anche indirizzare la cooperazione sociale, coordinare i lavori e i progetti dei singoli membri in modo che possano tutti effettivamente trarre vantaggio dal comune impegno
7 Ivi, p. 25.
8 Ivi, p. 27.
nell’associazione. L’accordo originario deve essere l’atto fondativo di una società ben- ordinata.
Xxxxx pone questa “posizione originaria” al posto dello stato di natura nelle tradizionali teorie del contratto sociale. «Tra le caratteristiche essenziali di questa situazione vi è il fatto che nessuno conosce il suo posto nella società, la sua posizione di classe o il suo status sociale, la parte che il caso gli assegna nella sua suddivisione di doti naturali, la sua intelligenza, forza e simili. Assumerò anche che le parti contraenti non sanno nulla delle proprie concezioni del bene e delle proprie particolari propensioni psicologiche»9. Xxxxxx ovviamente considerano la posizione originaria come di una condizione puramente ipotetica, caratterizzata appositamente per condurre a una certa concezione della giustizia. La posizione di classe e lo status sociale non possono esistere prima della costituzione della società e delle sue strutture fondamentali, ma per il resto delle caratteristiche particolari di ogni individuo l’assunzione di ignoranza parte dal fatto che si intende il gruppo di contraenti come un gruppo in cui è rappresentato ogni generico individuo umano. L’idea è che ognuno si opporrebbe a particolari discriminazioni basate su attributi fisici, psicologici o culturali che lo riguarderebbero in prima persona, dunque si può assumere che la decisione venga presa da individui che non conoscono se le proprie qualità personali possano costituire un vantaggio o uno svantaggio. Scrive Xxxxx: «i principi di giustizia vengono scelti sotto un velo di ignoranza»10. L’espressione justice as fairness porta quindi con sé l’idea che i principi di giustizia sono concordati in una condizione iniziale di equità11.
1.4 - La posizione originaria
Esistono, come ho già detto, molte interpretazioni possibili per la situazione iniziale. Questa concezione varia in relazione al modo in cui sono concepite le parti contraenti, a quali si suppone siano i loro interessi e credenze, le alternative e così via. In questo senso, vi sono molte teorie contrattualiste; la giustizia come equità non è che una di esse. Ma il problema della giustificazione viene definito, per quanto è possibile, mostrando che esiste
9 Ivi, p. 28.
10 Ibidem.
11 “Equità” è scelto nella versione italiana per tradurre l’inglese fairness ed esprime una nozione molto particolare del concetto. Il termine viene infatti utilizzato da Xxxxx per indicare una situazione di assoluta assenza di differenze tra le parti, sia sul piano sostanziale sia su quello formale.
un’interpretazione della situazione iniziale che esprime meglio di ogni altra le condizioni che generalmente si considera ragionevole imporre alla scelta dei principi, e che, allo stesso tempo, conduce anche a una concezione in grado di caratterizzare i nostri giudizi ponderati in equilibrio riflessivo. Mi riferisco a questa interpretazione prescelta, o standard, con il nome di posizione originaria.12
Quello della posizione originaria, per Xxxxx, è il modo specifico di costruire una situazione iniziale adeguata agli scopi della sua teoria della giustizia. L’idea di fondo è che se questa sorta di esperimento mentale è ben costruito, allora potrà cogliere al meglio le intuizioni morali di persone razionali, in una situazione di libertà e uguaglianza pre- contrattuale, sul tema della giustizia. In particolare della giustizia sociale. Il problema che Xxxxx deve risolvere nel definire la posizione originaria e nel dare una giustificazione della sua concezione di giustizia come equità è quello di come interpretare filosoficamente la situazione iniziale.
Il primo elemento che caratterizza la posizione originaria, ovvero la prima condizione dell’interpretazione rawlsiana della situazione iniziale, consiste nelle possibili alternative tra le quali dei soggetti liberi e razionali possono trovarsi a scegliere. Oltre ai principi della giustizia come equità, che Xxxxx individua in un principio di massima possibile libertà eguale e in un principio di equa e differenziata, intesa come adeguata a incontrare le inclinazioni di individui differenti, eguaglianza di possibilità13, sono elencati principi relativi ad altre teorie di giustizia distributiva come l’utilitarismo, il perfezionismo, l’egoismo razionale e l’intuizionismo.
La seconda condizione, o secondo elemento, della situazione iniziale è costituito da quelle che Xxxxx chiama le circostanze di giustizia, descritte come «le condizioni normali per cui la cooperazione degli uomini è possibile e necessaria»14. Queste possono essere divise in circostanze oggettive, come ad esempio la vicinanza geografica e la scarsità di risorse sufficienti per permettere a tutti di goderne in misura illimitata, e circostanze soggettive, che sono sostanzialmente costituite da una serie di reazioni standard alle condizioni oggettive. Ogni uomo in posizione originaria è interessato a perseguire i propri fini e le proprie concezioni di bene ed è per lo più disinteressato, nel senso di non incline, agli scopi altrui. Egli agisce dunque a seconda di ciò che possa portarlo più vicino ai propri
12 Ivi, pp. 113-114.
13 Ivi, p. 66.
14 Xxx, p. 117.
obiettivi, a volte individualmente e a volte in società, ma senza uno schema sistematico di collaborazione e coordinazione con gli altri. Queste condizioni riguardano insomma i motivi che spingono uomini liberi e razionali alla ricerca di un accordo originario di azione congiunta e relazione reciproca.
«La situazione delle persone nella posizione originaria riflette determinati vincoli. Le alternative a loro disposizione e la loro conoscenza delle circostanze sono limitate in vari modi. Mi riferisco a queste restrizioni come vincoli al concetto di giusto»15. Xxxxx riconosce, in una situazione iniziale priva di riferimenti esterni, l’esistenza di vincoli formali che ogni teoria della giustizia, ma anche ogni teoria morale, deve rispettare. Ogni principio deve essere innanzitutto generale, ovvero deve essere possibile formularlo senza fare uso di nomi propri o descrizioni definite. Deve essere universale, cioè valere per ognuno allo stesso modo in virtù del suo essere persona morale. In un’ottica contrattualista emerge naturalmente il vincolo della pubblicità: «le parti assumono di compiere una scelta principi per una concezione pubblica della giustizia»16. I principi di giustizia devono infine imporre un ordinamento alle pretese e soprattutto devono essere considerati dalle parti come un tribunale definito. Non esistono ragionamenti, non esistono normative e non possono esistere istanze superiori a cui appellarsi. I principi di giustizia devono costituire l’ossatura su cui costruire istituzioni, leggi e procedure della società nella sua interezza.
1.5 - Il velo di ignoranza
La funzione principale della posizione originaria è quella di creare una situazione iniziale caratterizzata da equità procedurale. Come Xxxxx dice esplicitamente: «L’obiettivo è usare la nozione di giustizia procedurale pura come base della teoria»17. L’espediente di cui l’autore si serve e che rende davvero la sua forma di contrattualismo differente dalle teorie tradizionali è quello del velo di ignoranza.
Lo scopo di questo concetto è quello di escludere decisioni parziali negando la conoscenza di particolari legati alla contingenza. La conoscenza di informazioni personali specifiche di una persona non può costituire una giustificazione valida per la difesa di un
15 Ivi, p. 120.
16 Ivi, p. 122.
sistema di principi. Da qui l’esigenza di non conoscere né le peculiarità degli altri né tantomeno le proprie. La differenza con i contrattualismi tradizionali sta nel fatto che i contraenti, posti dietro il velo di ignoranza, non rappresentano una pluralità di individui e inclinazioni che cercano di raggiungere una soluzione di equidistanza tra le parti. Nella posizione originaria le decisioni vengono prese da soggetti che vengono assunti come disinteressati, completamente privi di propensioni personali. Xxxxx riconosce alle parti soltanto «certi tipi di interessi, come ricchezza, prestigio e potere»18; cioè interessi concepiti come tali che un qualsiasi agente razionale li perseguirebbe spontaneamente e al di là di ogni disaccordo. Anziché proporre una concezione completa del bene, come fa ad esempio Xxxx, Xxxxx si limita ad elencare una serie di beni che considera “primari”, ovvero che interessano tutte le parti indifferentemente. Non esiste un Bene di per sé o un Giusto di per sé, o per lo meno non è questo ciò che interessa all’autore. Esistono dei beni che a tutti gli esseri umani devono essere garantiti. Il problema della giustizia rawlsiana sta solo nel comprendere come distribuire equamente e assicurare a tutti il godimento di tali beni.
Questo dei beni primari risolve soltanto un problema che Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, curatore dell’edizione italiana di Una teoria della giustizia e autore di un’opera introduttiva al pensiero di Xxxxx, riconosce nel velo di ignoranza e nella selezione delle informazioni “ammissibili” in un contesto di assoluta equità tra le parti. L’omissione di certi elementi viene giustificata facendo riferimento al “fatto del pluralismo”, cioè all’esistenza di fatto di una molteplicità di concezioni del bene. Ma un’eccessiva estensione dell’assenza di informazioni potrebbe portare anche a una mancanza di un sostegno etico adeguato alla scelta19.
18 Xxx, p. 29.
19 X. Xxxxxxxxxx, Introduzione a Xxxxx, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 33.
2.
Il rapporto con Xxxx
2.1 - Le riflessioni di Xxxxx
Come detto nel capitolo precedente, Xxxxx afferma fin dalla Prefazione di Una teoria della giustizia” che il suo obiettivo, quello cioè di trovare una concezione della giustizia alternativa all’utilitarismo, passa attraverso un revival della teoria classica del contratto sociale. Tra i precedenti a cui Xxxxx deve di più e con i quali condivide più profondamente l’impianto teorico spicca Xxxxxxxx Xxxx, considerato l’autore che ha contribuito in modo più completo e sistematico al pensiero contrattualista. Lo stesso Xxxxx analizza più volte il pensiero kantiano, indicando in prima persona le analogie con la sua opera.
Egli inizia, ad esempio, con l’idea che i principi morali sono oggetto di scelta razionale. Essi definiscono la legge morale che gli uomini possono razionalmente volere per guidare la loro condotta in una comunità etica. [...] Questa idea ha conseguente immediate. Infatti, una volta considerati i principi morali come legislazione per un regno dei fini, è chiaro che questi principi devono non soltanto essere accettabili per tutti, ma anche pubblici. Infine Xxxx suppone che questa legislazione morale debba essere oggetto di accordo in condizioni che caratterizzano gli uomini come esseri razionali e liberi. La descrizione della posizione originaria è un tentativo di interpretare questa concezione.20
20 X. Xxxxx, Una teoria della giustizia, cit., p. 216.
In questo passo del paragrafo 40 di TJ, intitolato «L’interpretazione kantiana della giustizia come equità», Xxxxx introduce una breve spiegazione di come la posizione originaria, che nelle sue stesse intenzioni doveva costituire un’interpretazione della situazione iniziale di scelta21, sia espressamente pensata sulla base della teoria morale kantiana e sugli aspetti di essa che ritiene più significativi.
Xxxx, continua Xxxxx, «ha sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i principi della sua azione sono scelti da lui come l’espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed eguale»22. Per esprimere questa natura razionale è necessario che i principi su cui si basa l’azione non siano motivati da elementi contingenti come posizione sociale, doti naturali, contesto socio-culturale e inclinazioni particolari. Nella tensione tra i concetti di autonomia ed eteronomia che si presenta nella teoria kantiana, il velo d’ignoranza diventa garanzia di scelta autonoma: liberi da ogni influenza legata all’esperienza, i soggetti in posizione originaria sono chiamati a prendere decisioni basate soltanto su ciò che possono ritenere razionalmente giusto in quanto universale.
La stessa linea interpretativa porta Xxxxx a sostenere che i principi di giustizia siano anche imperativi categorici in senso kantiano. «Infatti, con imperativo categorico Xxxx intende un principio di condotta che si applica a una persona in virtù della sua natura di essere razionale libero ed eguale. La validità del principio non presuppone che egli possieda un desiderio o uno scopo particolare»23. Ora, è vero gli individui nella posizione originaria sono in realtà sempre posti come guidati da obiettivi, che Xxxxx chiama “beni”, ma questi beni sono considerati come universali, primari: tutti gli esseri umani vorrebbero ottenerli, indipendentemente da cosa possano desiderare in particolare. Data la natura umana, è razionale desiderare quei beni. Agire conformemente ai principi di giustizia è quindi equivalente ad agire in base a imperativi categorici, nel senso che si applicano a tutti gli umani in virtù della loro natura di esseri razionali e indipendentemente da eventuali fini particolari.
Xxxxx conclude queste considerazioni spiegando che «La posizione originaria può essere quindi vista come un’interpretazione procedurale della concezione kantiana dell’autonomia e dell’imperativo categorico»24. Il vanto di Xxxxx è quello di aver legato
21 Cfr. cap. 1.
22 X. Xxxxx, Una teoria della giustizia, cit., p. 216.
23 Ivi, p. 217.
24 Ivi, p. 219.
le nozioni della morale kantiana con la condotta umana: i principi di giustizia che risultano dalla posizione originaria sarebbero infatti quelli che regolano il “regno dei fini” di Xxxx.
2.2 - Kantian Constructivism in Moral Theory (1980)
In questo testo, presentato come una raccolta di lezioni, Xxxxx approfondisce ulteriormente la natura del rapporto tra la sua concezione della giustizia e l’impianto teorico di Xxxx, introducendo il concetto di “costruttivismo kantiano”. Scrive infatti, nelle primissime righe dell’introduzione: «In queste lezioni esamino la nozione di una concezione morale costruttivista, o, più esattamente, dal momento che ci sono tipi differenti di costruttivismo, una variante kantiana di questa nozione. La variante di cui discuto è quella della giustizia come equità, presentata nel mio libro A Theory of Justice»25. L’aggettivo “kantiano”, in questo caso, non sta tanto ad indicare una ripresa letterale del pensiero di Xxxx, quanto piuttosto la condivisione di alcune concezioni fondamentali. Ciò che caratterizza una forma kantiana di costruttivismo, secondo Xxxxx, è la concezione della persona come elemento di una procedura ragionevole di costruzione; il risultato di questa procedura determina il contenuto dei principi primi di giustizia.
Il concetto di persona che Xxxxx propone parte dal presupposto che tutti gli individui possiedano due poteri morali, la ragionevolezza e la razionalità, almeno fino a un minimo indispensabile, e che il loro possesso dia diritto a un uguale potere deliberativo sui principi di giustizia. La ragionevolezza viene definita come «la capacità di un effettivo senso della giustizia, cioè la capacità di comprendere, applicare e agire a partire dai (e non semplicemente in conformità con i) principi di giustizia»26; mentre la razionalità è
«capacità di formare, rivedere e perseguire razionalmente una concezione del bene»27. L’idea di ragionevolezza è strettamente connessa con quella di “piena autonomia”, sostanzialmente sovrapponibile al concetto di autonomia morale di Xxxx, in quanto condizione raggiunta dai cittadini nel momento in cui riconoscono quei principi di
25 «In these lectures I examine the notion of a constructivist moral conception, or, more exactly, since there are different kinds of constructivism, one Kantian variant of this notion. The variant I discuss is that of justice as fairness, which is presented in my book A Theory of Justice» (X. Xxxxx, Collected Papers, a cura di X. Xxxxxxx, Harvard University Press, Xxxxxxxxx XX 0000, p. 303).
26 «Capacity for an effective sense of justice, that is, the capacity to understand, to apply and to act from (and not merely in accordance with) the principles of justice» (ivi, p. 312).
27 «Capacity to form, to revise, and rationally to pursue a conception of the good» (ivi, p. 303).
giustizia che sarebbero scelti in una posizione originaria adeguatamente caratterizzata e agiscono conformemente ad essi28. La razionalità è invece più vicina al concetto di ragionamento prudenziale, sia in quanto analogamente legato al raggiungimento dell’obiettivo soggettivo universale della felicità, in particolare attraverso il successo nell’esecuzione del proprio piano di vita. Xxxxx nota anche che la sua idea di razionalità
«è approssimativamente parallela alla nozione di imperativi ipotetici di Kant»29.
Nello spiegare la relazione tra i due concetti, Xxxxx pone la ragionevolezza in un ruolo di superiorità, che presuppone e subordina la razionalità30. In primo luogo, la razionalità è presupposta poiché senza questa capacità di ciascuno di formulare una concezione del proprio bene e del proprio vantaggio e di agire in base ad essa, il tentativo di istituire una cooperazione sociale basata sulle nozioni di giusto e di giustizia perde di significato. I motivi che dovrebbero spingere gli agenti ad associarsi in una società cooperativa riguardano infatti proprio i vantaggi che ne deriverebbero, come l’aumento della quantità di beni prodotta e la possibilità di risolvere controversie e conflitti di interessi in modo sicuro e concordato, che individui non razionali non sarebbero in grado di comprendere. In secondo luogo, la ragionevolezza subordina la razionalità perché «i suoi [della ragionevolezza] principi limitano, e in una dottrina kantiana limitano in modo assoluto, i fini che possono essere perseguiti»31. La ragionevolezza assume quindi le caratteristiche di una sorta di “intelligenza morale”, che guida la razionalità degli agenti e li spinge ad assumere uno sguardo critico oggettivo sulle proprie concezioni, alla ricerca di fini che possono sembrare i migliori non soltanto per sé ma in vista della collaborazione con gli altri. Un senso innato di giustizia con la quale costantemente confrontarsi.
Successivamente, Xxxxx si preoccupa di sottolineare come, «sebbene consideri la giustizia come equità come una concezione Kantiana, essa differisce dalla dottrina di Xxxx in importanti aspetti»32. La giustizia come equità, infatti dà valore primario al sociale; il primo soggetto della giustizia è la struttura di base della società e i contraenti devono per prima cosa arrivare a una concezione pubblica di giustizia su questo soggetto, raggiungibile soltanto attraverso il consenso unanime di tutte le parti coinvolte nella
28 Ivi, p. 315.
29 «Roughly parallels Xxxx’x notion of hypothetical imperatives» (ivi, p. 308).
30 Ivi, p. 317.
31 «Its principles limit, and in a Kantian doctrine limit absolutely, the final ends that can be pursued» (ibidem).
32 «Although I regard justice as fairness as a Kantian view, it differs from Xxxx’x doctrine in important
aspects» (xxx, p. 339).
posizione originaria. Di contro, l’imperativo categorico di Xxxx riguarda un agente morale singolo, che deve testare la moralità del suo agire immaginando un mondo sociale nel quale le proprie massime sono seguite da tutti gli individui come se fosse una legge di natura. Questo test di “universalizzazione” è però svolto dal singolo, che certamente si trova costretto a pensare criticamente alle proprie massime nel momento in cui le immagina come leggi di natura, ma non ha comunque alcun tipo di confronto con punti di vista o inclinazioni altrui.
«Xxxx procede dal caso particolare, persino personale, della vita quotidiana [...] La giustizia come equità si muove al contrario: la sua costruzione parte da un accordo collettivo unanime»33. Qui si vede il tentativo di riproporre la teoria morale kantiana all’interno non di una discussione teoretica sul bene e sul giusto in sé, ma in un contesto pratico. La posizione originaria rappresenta infatti la situazione reale in cui l’imperativo categorico si realizza effettivamente. «La ricerca di basi ragionevoli per raggiungere un accordo che abbia radici nella nostra concezione di noi stessi e nella nostra relazione con la società rimpiazza la ricerca per una verità morale intesa come fissata da un ordine di oggetti e relazioni indipendente e a priori, che sia naturale o divino; un ordine separato e distinto dall’idea che abbiamo di noi stessi»34. La priorità e la legittimità vengono date alla pratica sociale: non si può raggiungere un’idea di giustizia attraverso un esercizio mentale, ma soltanto attraverso la pratica reale dell’accordo tra il maggior numero di soggetti possibile.
Tutte le caratteristiche principali della posizione originaria, nel momento in cui essa è in grado di rappresentare sia la dialettica di ragionevole e razionale, sia l’idea di persona che vi è implicito, la rendono un modello di giustizia procedurale pura. «Qualsiasi sia l’esito della scelta delle parti in posizione originaria esso è da ritenersi giusto»35.
33 «Xxxx proceeds from the particular, even personal case of everyday life […] Justice as fairness moves in
quite the reverse fashion: its construction starts from a unanimous collective agreement» (ivi, p. 339).
34 «The search for reasonable grounds for reaching agreement rooted in our conception of ourselves and in our relation to society replaces the search for moral truth interpreted as fixed by a prior and independent order of objects and relations, whether natural or divine, an order apart and distinct from how we conceive of ourselves» (ivi, p. 306).
35 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 85.
2.3 - Il “Kantismo” di Xxxxx
Le analogie tra il pensiero Xxxxxxxx e la giustizia come equità passano innanzitutto attraverso l’interpretazione che Xxxxx stesso fa della dottrina kantiana e dei suoi elementi più importanti.
Nell’analisi condotta nelle sue “Lezioni sulla storia della filosofia morale” del 1991, Xxxxx fa una serie di considerazioni sull’imperativo categorico (da qui IC), nell’ambito di una più ampia analisi della “Fondazione della metafisica dei costumi”. Qui affronta l’argomento utilizzando alcuni termini e concetti che già fanno parte del suo sistema filosofico. Nell’affrontare la prima formulazione dell’IC, Xxxxx scrive: «Assumo che questo imperativo venga applicato alle condizioni normali della vita umana attraverso quella che ho chiamato procedura dell’imperativo categorico. Questa procedura specifica il contenuto della legge morale per come questa si applica a noi in quanto persone ragionevoli e razionali di un mondo naturale»36. Il riferimento al concetto di “procedura” in merito all’imperativo categorico, che viene suddiviso in una serie di quattro step, rimanda evidentemente al tentativo di ricondurre la morale kantiana all’interno di quel paradigma di giustizia procedurale che Xxxxx tenta di costruire fin da TJ. Anche la caratterizzazione degli agenti sottoposti alla legge morale come “ragionevoli e razionali” si riconnette alla distinzione tra i concetti di razionalità e ragionevolezza introdotti nell’articolo sul costruttivismo. A riguardo, Xxxxx precisa proprio che «Xxxx utilizza la parola vernünftig con l’intenzione di esprimere una concezione della ragione completa che comprenda sia il significato che attribuiamo in genere al termine “ragionevole”, sia il significato con cui usiamo la parola “razionale”»37.
Successivamente, dopo aver analizzato due degli esempi che Xxxx stesso utilizza nella Fondazione attraverso i quattro passaggi in cui suddivide l’utilizzo dell’IC (quelli della promessa falsa e della massima indifferenza), Xxxxx giunge alla conclusione che sia necessaria una “revisione” per rendere l’imperativo più completo e adattabile alla condotta di un agente morale all’interno di una situazione reale38. In primo luogo, sostiene di dover dare più contenuto alla volontà degli agenti determinando i loro desideri e le loro
36 X. Xxxxx, Lezioni sulla storia della filosofia morale, trad. it. di X. Xxxxxxxxxxx, Feltrinelli, Milano 2004, p. 257.
37 Ivi, p. 258.
38 Ivi, p. 271.
priorità; in secondo luogo, specificare un punto di vista appropriato per valutare quelli
che chiama i “mondi sociali alterati” che scaturiscono dalla procedura dell’IC.
Xxxxx risolve il "problema" del punto di vista appropriato imponendo due limiti alle informazioni di cui disponiamo quando decidiamo se possiamo volere un certo tipo di mondo sociale: l'ignoranza su particolari caratteristiche delle persone e sul contenuto dei loro fini ultimi, e l'ignoranza sul loro futuro posto nel mondo alternativo. La soluzione per dare un contenuto sufficiente alla volontà dell'agente è quella di sviluppare una concezione di "veri bisogni umani", un'espressione che Xxxx usa più volte nella Metafisica dei costumi e che Xxxxx interpreta come specifiche condizioni il cui soddisfacimento è necessario perché gli esseri umani possano godere della loro vita.
«È un dovere verso noi stessi cercare di garantirci la soddisfazione di questi bisogni»39. Il ragionamento continua con la necessità di includere tali bisogni come parte della procedura dell’IC, e supporre che essi siano più o meno gli stessi per tutti. Questa aggiunta rende esplicito che «mostriamo di aver compreso che non vi è precetto generale che non sia destinato a limitare, in alcune o forse anche molte occasioni, le azioni che compiremmo in quanto mossi dai nostri desideri»40. In questo modo, pensa Xxxxx, abbiamo la possibilità di confrontare e analizzare le conseguenze relative ai “mondi alterati”, prendendo in considerazione quali ne sarebbero gli effetti sui nostri veri bisogni
– bisogni che non comprendono soltanto il necessario per la sopravvivenza, ma anche elementi come istruzione, cultura e varie condizioni essenziali per lo sviluppo della nostra sensibilità morale e della nostra coscienza.
Così “revisionato”, l’imperativo categorico si ripresenta come una procedura in cui gli agenti si trovano con un imperativo ipotetico, in una situazione in cui devono decidere se la loro massima possa servire come legge di natura in un mondo sociale alterato. Nel valutarne l’accettabilità, gli agenti sono limitati nella conoscenza di tutte le informazioni attraverso le quali potrebbero sapere se la realtà alterata possa essere per loro vantaggiosa o meno. Dovendo decidere un mondo sociale che possano “volere razionalmente”, gli agenti dovranno basarsi su quei veri bisogni umani che ogni persona razionale vorrebbe. Cercando di interpretare adeguatamente il funzionamento dell’imperativo categorico, Xxxxx finisce di fatto per esporre la sua stessa concezione della posizione originaria, fondata proprio su un modello di giustizia procedurale in cui i protagonisti si trovano a
39 Ivi, p. 272.
40 Ibidem.
dover costruire una nuova realtà sociale basandosi su uno schema “razionale” di beni a cui aspirare per se stessi, coperti dal famoso “velo di ignoranza” che limita le informazioni disponibili proprio per quanto riguarda le proprie caratteristiche personali (e quelle altrui) e il posto che eventualmente occuperanno nella società in costruzione.
In realtà Xxxxx stesso cerca di cautelarsi sottolineando alcuni aspetti che lo differenzierebbero da Xxxx, ma sono spesso più apparenti che reali. Ad esempio, in TJ, sostiene che la selezione dei principi nella sua procedura di costruzione è “collettiva” tra una pluralità di parti, ma nello stesso paragrafo precisa che si può immaginare la posizione originaria come «il punto di vista da cui l’io noumenico vede il mondo»41. Da un lato, quindi, Xxxxx insiste sulla sua concezione della giustizia come procedura reale e pratica, basata sull’effettivo confronto tra pari; dall’altro sembra invece intendere che la prospettiva della posizione originaria sia effettivamente alla portata di ogni singolo individuo in virtù della propria natura di essere razionale e della propria capacità di assumere un punto di vista imparziale. È infatti da notare come la collettività pensata da Xxxxx non sia altro che un insieme di individui assolutamente neutri, senza alcuna caratteristica particolare e spinti da una serie di bisogni e inclinazioni ritenuti “razionali”, quindi uguali per tutti: il velo d’ignoranza è pensato appositamente per appiattire gli agenti ed eliminare qualsiasi elemento che possa influire sulla loro imparzialità. Anche se Xxxxx, come abbiamo visto, insisterà su questa differenziazione anche in Kantian Constructivism in Moral Theory, l’effetto pratico della pluralità non è mai realmente chiarito. Nel momento in cui tutti i punti di vista sono sostanzialmente identici, non si capisce dove sia la differenza tra l’attività pratica del singolo e quella della moltitudine. Un’altra differenza che Xxxxx mette in luce riguarda il fatto che la sua teoria può essere applicata agli esseri umani, mentre «può sembrare che Xxxx intendesse applicare la sua dottrina a tutti gli esseri razionali in quanto tali, e quindi anche a Dio e agli angeli»42. In questo caso è anche vero che questa differenza può risalire fin dagli intenti che hanno mosso il lavoro dei due autori. Xxxxx sta espressamente cercando di formulare una dottrina della giustizia che possa fare da guida per la costituzione effettiva di una società giusta, o ben ordinata; quella di Xxxx è invece una teoria morale generale incentrata sul significato dell’azione secondo giustizia e secondo il bene, e che soltanto in secondo luogo si suddivide in una dottrina del diritto e una della virtù. Del resto, il risultato della
41 X. Xxxxx, Una teoria della giustizia, cit., p. 219.
42 Ivi, p. 220.
dissertazione di Xxxxx è una serie di principi primi di giustizia di carattere politico oltre che etico, mentre Xxxx tenta di proporre una legge morale universale, chiarita attraverso tre formulazioni.
Una differenza che Xxxxx non sottolinea ma che emerge chiaramente dai suoi scritti è invece un’altra, e sta nella sua decisione di fondare la concezione della persona morale come libera ed eguale sulla cultura democratica piuttosto che sulla ragione pratica. Nel costruttivismo kantiano si sostiene infatti come essa sia «implicita nella cultura pubblica di una società democratica»43. Questo metodo giustificativo affonda le sue radici in TJ, dove per la prima volta viene avanzata l'idea di un consenso (democratico) preesistente come condizione dell'oggettività morale; tuttavia, tale prospettiva si affianca a un approccio kantiano che vede la nostra "natura" di esseri morali liberi e uguali come radicata nella pura ragione pratica.
43 «Which is implicit in the public culture of a democratic society» (X. Xxxxx, Collected Papers, cit., p. 305).
3.
Xxxxx e i suoi critici
Fin dalla sua pubblicazione, TJ ha fin da subito rappresentato un’opera fondamentale nel dibattito filosofico-politico contemporaneo. Moltissimi autori hanno analizzato l’opera di Xxxxx sia ammirandone l’impresa di recuperare la tradizione contrattualista e liberale sia criticandone fortemente il contenuto.
In generale, le obiezioni mosse all’autore riguardano per lo più caratteristiche proprie della giustizia come equità, nelle sue componenti della posizione originaria e dei principi di giustizia. Xxxxx, ad esempio, vedono nella concezione dell’agente contraente di Xxxxx una figura problematica, da un lato troppo irrigidita nella sua assoluta razionalità e nella cancellazione dei caratteri particolari, dall’altro forse poco coraggiosa nel portare fino in fondo le implicazioni di questa cancellazione. Le più importanti critiche con le quali Xxxxx si è confrontato negli anni, che vengono per la maggiore dall’ambiente della tradizione comunitarista e da quello del pensiero libertario, in particolare Xxxxxx Xxxxxx. Ma anche autori più teoreticamente affini come Xxxxxx Xxxxxxxx hanno approfonditamente dibattuto su quelli che consideravano i punti deboli della teoria rawlsiana.
3.1 - La disputa con Xxxxxxxx
Xxx 0000 Xxxxxxxx si è confrontato con la “Teoria della giustizia” di Xxxxx in uno scritto intitolato “Legitimation Problem in the Modern State”, in un momento in cui la sua idea di etica era ancora poco dettagliata. Le prime critiche di Xxxxxxxx non vengono sviluppate in dettaglio e sono rivolte alla teoria di Xxxxx intesa come pienamente inserita nella tradizione contrattualistica come legittimazione dello Stato moderno.
In “Communication and Evolution of Society” colloca Xxxxx nella tradizione dei teorici del contratto, come Xxxxxx e Xxxxx, che usano l'idea fittizia di uno stato di natura per specificare le «condizioni in cui un accordo esprime l'interesse comune»44 . Nella misura in cui esprime un interesse di questo tipo, l'accordo è razionale e può essere utilizzato per legittimare uno stato moderno senza appellarsi ai fondamenti ultimi della natura o di Dio. L’aspetto contro cui si scaglia Habermas è quella che ritiene essere “l'ontologia sociale” implicita delle teorie del contratto. Essa presupporrebbe un'ideologia di “individualismo possessivo” che tratta la felicità solo come «accumulo di oggetti materiali di cui si dispone privatamente»; piuttosto che, ad esempio, come una «relazione sociale in cui predomina la mutualità»45. Xxxxxxxx ritiene chiaramente che queste considerazioni si possano applicare ai due principi di giustizia di Xxxxx, il cui scopo è semplicemente quello di regolare la distribuzione di “beni sociali primari”.
Le critiche a Xxxxx scendono più nel dettaglio in “Moral Consciusness and Communicative Action”. In questo testo, ad esempio, Xxxxxxxx critica che la posizione originaria costituisca una “operazionalizzazione” di un punto di vista imparziale «in modo tale che ogni individuo possa da solo impegnarsi a costituire dei principi primi»46; critica che aveva già mosso a Xxxx in riferimento all’imperativo categorico. Logicamente, continua Habermas, Xxxxx vede la sua ricerca come «il risultato di una teoria della
44 «The conditions under which an agreement will express the common interest of all involved» (X. Xxxxxxxx, Communication and Evolution of Society, Beacon Press, Boston 1976, p. 184).
45 «Otherwise the “pursuit of happiness might one day mean something different – for example, not accumulating material objects of which one disposes privately, but bringing about social relations in which mutuality predominates» (Ivi, p. 199)
46 «In such a way that every individual can undertake to justify basic norms on his own» (X. Xxxxxxxx,
Moral Consciousness and Communicative Action, Xxxxxxxxx Publishers, Cambridge 1990, p. 66).
giustizia», anziché di una «argomentazione tra partecipanti a un processo discorsivo sulle istituzioni primarie delle società tardocapitaliste»47.
Habermas sta qui portando avanti la caratterizzazione del “discorso etico”, inteso come un reale ed effettivo dibattito tra diversi partecipanti che utilizzano le proprie conoscenze e le proprie capacità per argomentare le proprie posizioni e trovare un accordo che abbia alla base non una teoria ideale costruita appositamente da un singolo per raggiungere uno scopo, ma una discussione tra punti di vista di soggetti reali che hanno in prima persona raggiunto un punto in comune attraverso un reale dibattito.
Nella valorizzazione di questo suo dibattito, Xxxxxxxx muove a Xxxxx la critica per cui nella posizione originaria i dispositivi messi in atto sono appunto il risultato di una teoria, costruita appositamente da un esperto teorico come è lui. Nel discorso, invece, «i suoi presupposti idealizzati, parzialmente controfattuali, sono precisamente quelli che i partecipanti alla discussione fanno di fatto»48; non si tratta quindi di presupposti immaginati appositamente come ideali, ma come idealizzazioni create sul momento da individui effettivamente impegnati in un dibattimento.
L’ultima critica riprende la presupposta ontologia dell’individualismo propria delle teorie del contratto. Rimanendo ancorati al paradigma contrattualistico si dà un resoconto sbagliato del legame sociale. In questo schema, gli obblighi che gli agenti si devono l’un l’altro sono giustificati solo strumentalmente sulla base degli interessi dei singoli. L’etica del discorso fornisce invece un’immagine alternativa: la concezione di Xxxxxxxx è quella di una società come complesso di legami di giustizia/moralità e solidarietà, e si basa sull’idea che gli agenti dipendano da una rete preesistente di «relazioni intersoggettive di riconoscimento reciproco»49.
47 «Not as the contribution of a participant in argumentation to a process of discursive will formation regarding the basic institution of late capitalistic society, but as the outcome of a “theory of justice”» (ivi, p. 66).
48 «Its idealized, partly counterfactual presuppositions are precisely those that participants in argumentation do in fact make» (ivi, p. 198).
49 «Intersubjective relations of mutual recognition» (ivi, p. 200).
3.2 - La critica comunitarista
Il rapporto di Xxxxx con il mondo del comunitarismo è un rapporto per lo più di critica e confronto, il cui maggiore interlocutore è stato Xxxxxxx Xxxxxx.
Nel suo articolo "The Procedural Republic and the Unencumbered Self" (1984), Xxxxxx critica una certa immagine della persona che ritiene vada di pari passo con una specifica visione della società democratica liberale: ovvero l'immagine del sé “non vincolato”50, un sé inteso come precedente e indipendente dai suoi fini, associato a è quella che Xxxxxx chiama “la repubblica procedurale”: una sorta di insieme di persone indipendenti, antecedentemente costituite, portatrici di diritti e libertà, che contrattano tra loro per fondare le leggi che preservano la loro libertà e permettono loro di perseguire i propri beni individuali51.
La critica di Xxxxxx rimanda direttamente alla rappresentazione della persona di Xxxxx, in particolare relativamente alle parti nella posizione iniziale. Nella terza parte di TJ, Xxxxx osserva che la posizione originaria impone alcune restrizioni che ci costringono «a considerare la scelta dei principi, lasciando da parte le circostanze particolari in cui ci troviamo», in modo da impedirci di «formulare la teoria morale in modo che essa si accordi con i nostri interessi e legami particolari»52. In inglese, nel passo è presente proprio il termine unencumbered, che viene poi ripreso da Xxxxxx. Una considerazione da fare riguarda il fatto che essere “non gravati” o “non vincolati” rappresenterebbe in realtà un fatto positivo: encumbered significa infatti essere gravati o costretti in modo tale che persino il movimento fisico risulta difficoltoso, quindi si tratta di una condizione di effettivo e pesante impedimento.
Xxxxxx sostiene che Xxxxx stia scaricando come impedimenti anche qualsiasi tipo di legame umano o qualsiasi tipo di obbligazione dovuta ad attaccamenti familiari e simili. Gli individui in posizione originaria, secondo questa critica, mancano di “fini costitutivi”, fini che li rendano effettivamente le persone che sono. I sé non vincolati sono «del tutto
50 L’espressione che usa Xxxxxx è the “unencumbered” self, che può significare appunto “non vincolato”, ma anche “non gravato” o “libero”. Il concetto è dunque quello di un individuo autodeterminato e slegato da ogni sorta di esigenza o necessità che siano interesse dell’individuo stesso.
51 Cfr. X. Xxxxxx, «The Procedural Republic and the Unencumbered Self», in Political Theory, vol. 12, n.1,, 1984.
52 X. Xxxxx, Una teoria della giustizia, cit., pp. 422.
privi di carattere, di profondità morale»53. Gettati nell’impersonalità della posizione originaria, gli individui rawlsiani vengono appiattiti su scelte razionali che esulano dalla concezione di bene e dai legami etici che li uniscono alla comunità.
Ciò che propone Xxxxxx è riconsiderare il rapporto tra l’io e i suoi fini; il soggetto deve confrontarsi con la realtà e accettare le condizioni che lo circondano e che fanno parte della sua vita, determinata e inserita in una comunità. La nostra vita non è caratterizzata da una totale indipendenza e impermeabilità ai valori del contesto in cui siamo ed i nostri desideri sono il frutto di una continua domanda sull’identità del nostro io. La morale che guida il nostro agire non può basarsi esclusivamente sulla valutazione razionale dell’idea di giusto, ma si deve fondare su legami di appartenenza identitaria che vadano al di là di considerazioni razionalistiche. Xxxxxx contrappone all’ideale rawlsiano della fratellanza, il valore dell’amicizia, intesa non solo come capacità d’affetto, ma anche e soprattutto d’intuito nei confronti dei bisogni dell’altro.
Se un autore come Xxxxxx critica apertamente l’opera rawlsiana, altri esponenti del pensiero comunitarista come Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx tendono più alla formulazione di teorie alternative che a una critica sistematica di TJ.
Xxxxxx in particolare, nel suo saggio “The Politics of Recognition” del 1992, si concentra sul rapporto tra diritti, identità e multiculturalismo. In esso distingue due tipi di riconoscimento dei diritti degli individui, basati su politiche che prendono il nome di “politica dell’universalismo” e “politica della differenza”.
La politica dell’universalismo è quella che tende ad eliminare differenze formali, ma anche sostanziali, fra i cittadini, ispirandosi ad un principio di pari dignità. Il problema di questa concezione è che le applicazioni di tale principio si scontrano con delle realtà diversificate ed in continua evoluzione. Le disuguaglianze che regnano nella società impediscono di fatto la fruibilità di molti diritti alle classi sociali svantaggiate; si tratta di una situazione indipendente dall’applicazione di tesi universalistiche volte all’affermazione del principio di uguaglianza. Sul piano concreto, l’unico modo per riportare l’uguaglianza è effettuare politiche di sostegno particolare a tali categorie. Questo meccanismo, però, risulta contraddittorio, perché tende a favorire un gruppo di persone rispetto ad un altro, attuando degli interventi normativi inegualitari. Tuttavia, nel
53 «Wholly without character, without moral depth» (X. Xxxxxx, Liberalism and the limits of justice, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxxx 0000, p. 179).
caso in cui si interpreta lo svantaggio sociale e la privazione di qualche diritto come fattori strutturali, una politica universalista può ammettere degli interventi normativi specifici verso alcuni gruppi di cittadini e giustificare un trattamento preferenziale da parte delle istituzioni.
La politica delle differenze, al contrario di quella dell’universalismo, non interpreta l’identità degli individui a partire da un assunto di valore universale, ma si concentra sulle specifiche differenze caratterizzanti le diverse società e comunità di appartenenza. Questo tipo di visione presuppone l’identità come irripetibile, unica, quindi diversa e distinta da quella di chiunque altro. Anche la politica delle differenze, però, poggia su un assunto ugualmente universalistico, rintracciabile nel valore universale della dignità.
Ciò che oppone la visione tayloriana a quella di Xxxxx è il fondamento dei diritti. Xxxx, sostiene Xxxxxx, non debbono essere fondati su una pretesa universalistica e omologante, piuttosto trovano la loro giustificazione sul terreno identitario dell’appartenenza a una specifica comunità. In questa visione, il bene comune prevale sui diritti intesi nel senso liberale e sul primato dato dal liberalismo al senso neutrale di giustizia.
Xxxxxx, da parte sua, nel suo “Spheres of Justice: A defence of Pluralism and Equality” (1983), si oppone all’idea liberale di una giustizia di valore universale, estranea rispetto alla specificità dei contesti delle diverse società: i principi di giustizia non possono valere indipendentemente da contesti dati, ma devono essere rispondenti alla varietà di beni sociali che caratterizza una qualsiasi comunità politica. La giustizia non si può fondare su valori universalistici che escludano la considerazione degli orientamenti localmente condivisi entro forme di vita collettive. Ciò significa che i beni da distribuire sono espressione di esigenze sociali condivise dalla collettività sulla base di un’identità concreta dei suoi membri, acquisita proprio grazie alla loro partecipazione ai processi sociali di concepimento e creazione dei beni. In tal modo «ogni bene sociale, o insieme di beni sociali, costituisce per così dire, una sfera distributiva nella quale sono appropriati certi criteri e assetti»54.
54 X. Xxxxxx, Sfere di giustizia, trad. it. Di X. Xxxxxxxxx, Feltrinelli, Milano 1987, p. 21.
3.3 - Xxxxxx e il pensiero libertario
Xxxxxx Xxxxxx è da molti considerato come uno dei più importanti, se non proprio il più influente di tutti, critici dell’opera di Xxxxx. Collega di quest’ultimo all’università di Harvard, Xxxxxx scrisse “Anarchy, State and Utopia” tre anni dopo TJ, nel 1974. Il libro, oltre a rappresentare un caposaldo del pensiero libertario del secondo Novecento, è nato proprio in risposta alla teoria della giustizia di Xxxxx, nel tentativo di fornire un’alternativa critica che potesse risultare ugualmente completa e sistematica.
L’analisi della giustizia come equità e dei punti di disaccordo con la teoria sono espressi nel settimo capitolo, dedicato alla giustizia distributiva, occupandone l’intera seconda parte.
Le prime osservazioni riguardano il concetto di cooperazione sociale:
Immaginiamo n individui i che non cooperano fra loro, ciascuno dei quali vive unicamente dei suoi sforzi. Ciascuna persona i riceve una paga Si, un profitto, un reddito e così via. […] Cooperando fra loro possono ottenere una somma totale maggiore T.
Il problema della giustizia sociale distributiva, secondo Xxxxx, è come vanno distribuiti o allocati questi benefici della cooperazione. Questo problema può essere inteso in due modi: come va allocato il totale T? Oppure, come va allocato l'incremento dovuto alla cooperazione sociale, cioè i benefici della cooperazione sociale T – Si? L'ultima formulazione assume che ciascun individuo i riceve dal totale parziale S di T la sua quota
S. Le due enunciazioni del problema sono differenti.55
Secondo Xxxxxx, Xxxxx sembra propendere per la prima formulazione del problema distributivo senza soffermarsi troppo sulla questione. Il problema sollevato verte per lo più sulla condizione pre-contrattuale e su quanto i singoli individui siano in grado, in condizione di isolamento (o comunque di interazione pre-statale) di produrre benefici per lo stessi o per il loro gruppo di interesse. Tenendo in considerazione questa differenza iniziale, il problema distributivo riguarda che cosa esattamente? La somma tra i benefici già prodotti assieme con quelli derivanti dalla cooperazione o soltanto quelli derivanti dalla cooperazione? Questo tipo di obiezione rimarrà di fondo anche nel successivo paragrafo sul principio di differenza.
Tale principio sostiene che la struttura istituzionale debba essere «disegnata in modo che il gruppo che sta peggio stia almeno tanto bene quanto starebbe il gruppo che sta peggio in qualsiasi altra struttura alternativa»56.
Innanzitutto, osserva subito Xxxxxx, non è ben chiaro perché con questo principio il focus sia passato dall’individuo ad un “gruppo” di individui; Xxxxx di fatto non spiega mai questo improvviso cambio di terminologia. Ad ogni modo, si ripresenta la questione della differenza tra ciò che i soggetti (in questo caso, anziché gli individui, i gruppi) sono effettivamente in grado di produrre per se stessi al di fuori dell’ordine statale. In particolare, la domanda è come sia possibile realmente convincere un gruppo che sta meglio a scendere a patti con un gruppo che sta peggio per lasciargli ottenere i maggiori benefici? Sicuramente nessuno mette in dubbio il valore morale di lasciare che chi stia peggio possa sollevare un minimo la propria condizione sacrificando il maggior beneficio ottenibile. Ma quando Xxxxx parla di una cooperazione volontaria di fronte a delle condizioni ragionevoli, come fa a sostenere che questo principio di distribuzione sia ragionevole (che si deve intendere come più ragionevole di altri)?
Se le cose piovessero dal cielo come manna, e nessuno avesse titolo speciale a una porzione qualsiasi di essa, e se la manna non cadesse se non fossero tutti d'accordo su una distribuzione particolare, e in qualche modo la quantità variasse secondo la distribuzione, diventerebbe allora plausibile affermare che persone messe nella condizione di non poter usare minacce, né di insistere per quote particolarmente ampie, si accorderebbero sulla regola distributiva del principio di differenza. Ma è questo il modello appropriato per pensare a come vanno distribuite le cose che la gente produce? Perché pensare che gli stessi risultati dovrebbero valere per situazioni in cui ci sono titoli differenziali e per situazioni in cui non ci sono?57
Sempre su questo stesso filone si basano alcune considerazioni sulla posizione originaria. Nel momento in cui i soggetti decisori sono posti dietro al velo d’ignoranza, non sarebbero in grado di creare un principio “storico”, dal momento che non potrebbero fare a meno di considerare ogni beneficio da distribuire come “manna dal cielo”. Nella completa di mancanza di informazioni particolari sugli individui, sulle loro caratteristiche personali e dunque anche sulla loro identità precedente al momento della contrattazione,
56 Ivi, p. 201.
nessuno può sapere chi ha contribuito e in che modo al totale dei benefici, né quanto ognuno fosse capace di provvedere per sé in una situazione pre-statale. Xxxxxx fa intendere che in una situazione di posizione originaria la scelta più spontanea e davvero “razionale” sul principio da seguire nella distribuzione dei benefici sarebbe il principio di eguaglianza tra le parti piuttosto che quello di differenza. Dietro al velo di ignoranza, infatti, non possono per definizione esistere categorie di gruppi sociali più avvantaggiati e gruppi meno avvantaggiati.
Ancora, nella discussione su un sistema di libertà naturale, Xxxxx sostiene che questo permetta che le quote distributive siano eccessivamente influenzate da fattori che da un punto di vista morale sono arbitrari. Precedenti distribuzioni, talenti naturali e abilità, siano esse sviluppate nel tempo da circostanze sociali o casuali. Questa linea interpretativa, che vede anche ciò che il singolo può raggiungere con le proprie forze come profondamente influenzato da caratteristiche contingenti, che possono più o meno motivare o demoralizzare un soggetto, rischia di colpire non soltanto qualsiasi merito personale, ma anche lo stesso concetto di autonomia dell’individuo. Come può una teoria che tanto vuole rafforzare la dignità degli individui in quanto esseri moralmente autonomi denigrare allo stesso tempo l’autonomia e le responsabilità fondamentali di una persona per le sue azioni?58
«La tesi di Xxxxx sembra essere che ognuno ha qualche titolo o pretesa sulla totalità delle doti naturali (viste come un fondo comune) e che nessuno è portatore di pretese differenziali. La distribuzione delle capacità naturali è vista come una "dotazione collettiva"»59.
La critica che sta rivolgendo Xxxxxx riguarda quella concezione che Xxxxx sembra portare avanti, secondo cui i talenti naturali siano sostanzialmente patrimonio comune; i benefici che questi talenti sono in grado di raccogliere dovranno essere ripartiti tra tutti indipendentemente da chi li possiede. Resta poco chiaro come una teoria così fortemente orientata alla considerazione degli individui soltanto nella loro natura di esseri razionali si preoccupi di distinguere gli uomini dai loro talenti.
Xxxxx prosegue sostenendo che, vista la differenza tra le capacità degli uomini e l’esistenza di talenti particolari, questi non debbano necessariamente costituire una minaccia, ma possono “essere considerati in altro modo”, ovvero come una risorsa da
58 Ivi, p. 224.
poter mettere a servizio della collettività. Ma Xxxxxx pone un quesito: e se invece non fosse possibile considerarli in altro modo? Se per un qualche motivo esistessero talenti che non è in alcun modo possibile trasferire dalla singola persona a uno strumento di utilità sociale, andrebbero prese misure per limitare queste doti o proibirne l’esibizione, anche se questa limitazione non fosse di alcuna utilità per il resto delle persone?
«È così implausibile affermare che alla base di questa concezione della giustizia, a formare parte della sua idea fondamentale, c'è l'invidia?»60
4.
Xxxxx e il contratto sociale
Sebbene i critici elencati nel capitolo precedente abbiano analizzato a fondo il problema della giustizia come equità, nessuno sembra mai essersi davvero concentrato sull’unico obiettivo apertamente dichiarato da Xxxxx: la “rinascita del contratto”.
XX è un’opera di filosofia pratica e politica, che contiene una teoria della giustizia il cui fine ultimo è chiaramente quello di ricercare un fondamento concreto per la costituzione di norme pratiche ( tali da comprendere il rapporto sociale nel suo complesso) che possano dirsi giuste. Tuttavia, per quanto non ci sia dubbio sul fatto che il lavoro di Xxxxx vada nella direzione di determinare quello che si può definire come il carattere di “verità” della giustizia, l’obiettivo che egli stesso dichiara nella prefazione è quello di contrastare le teorie utilitaristiche che all’epoca dominavano il dibattito morale attraverso un rinnovamento delle teorie del contratto sociale.
Come si caratterizza il “neo-contrattualismo” di TJ nel suo rapporto con il contrattualismo moderno? In quali aspetti la giustizia come equità differisce dalle dottrine precedenti, che pure prende come punti di riferimento, e in quali invece ne ricalca le implicazioni e le criticità? Il tentativo di Xxxxx può dirsi, almeno in parte, riuscito?
4.1 – Il contratto sociale
Nonostante nella storia del pensiero filosofico-politico le dottrine che presentano un elemento pattizio o contrattuale alla base dell’ordinamento della società siano molteplici, con l’espressione “contratto sociale” si intende un modello teorico specifico formatosi nell’ambito del giusnaturalismo a partire dal XVII secolo. Autori come Xxxxxx, Xxxxx, Xxxxxxxx e Xxxx sono riconosciuti tra i più importanti ad aver sviluppato le proprie concezioni all’interno di questo quadro. Pur tenendo conto delle differenze che intercorrono le formulazioni di questi autori, talvolta anche molto significative, è possibile riconoscere una serie di aspetti che li accomunano e allo stesso tempo li distanziano dalle dottrine che in precedenza avevano utilizzato la figura del “contratto”61. È già con Xxxxxx che si stabiliscono alcuni concetti fondamentali che caratterizzeranno, anche se con interpretazioni differenti, tutte le moderne teorie del contratto sociale. Il patto62 sociale del Leviatano costituisce infatti il punto di inizio di un modo nuovo di intendere la scienza politica: al di fuori delle coordinate che esso istituisce non vi sono che individui singoli, indipendenti, perfettamente uguali e liberi, in reciproco conflitto. Non esistono gruppi sociali preesistenti al patto; esso è l’atto fondativo dell’unico corpo politico e insieme della società come tale, il momento in cui gli uomini passano da un’esistenza autonoma e autosufficiente (lo stato di natura) alla vita civile e cooperativa. La scelta di riconoscere il punto di partenza nell’individuo e nella sua esistenza indipendente accanto ad altri soggetti con uguali diritti e con uguale capacità di perseguire i propri fini cancella ogni ruolo a quei corpi intermedi che tanta importanza mantenevano nelle dottrine politiche precedenti. Non esiste una società, non esistono popoli nello stato di natura, perché è proprio attraverso il patto che individui separati vengono a costituire l’unica possibile realtà sociale legittima.
Con il patto si dà inizio alla vita comune, si istituisce una società nella quale ogni individuo possa vedere garantita la propria vita e la propria sicurezza. Il soggetto collettivo costituitosi attraverso il contratto universale, in quanto prodotto dell’autorizzazione di tutti e di ciascuno, è l’unico a poter decidere cosa sia bene per la società ed è l’unico a poter detenere legittimamente la forza. Gli stipulanti non conservano
61 Rimando su ciò a X. Xxxx, «Il governo e l’ordine delle consociazioni: la Politica di Xxxxxxxxx», in X. Xxxx (a cura di), Il potere. Per la storia della filosofia politica moderna, Xxxxxxx, Roma 1999, pp. 77-94.
62 Xxxxxx utilizza proprio il termine “patto” (pact o covenant), perché il momento contrattuale non comporta un immediato scambio di beni o proprietà. I costituenti stringono un patto, la promessa di rinunciare al diritto di governare se stessi e di trasferire questo stesso diritto al nuovo soggetto sovrano.
il proprio potere politico e decisionale, che del resto è solo un effetto logico retrospettivo della comune obbedienza al potere legittimo; fatto il patto, essi diventano soltanto membri della comunità, sudditi del soggetto appena nato. Il soggetto collettivo è sovrano e rappresenta la totalità del popolo, dunque non può riconoscere alcun interlocutore politicamente qualificato di fronte a sé. Dal momento che la sua volontà è la volontà dell’intero, dal momento cioè che il sovrano non è un’istanza particolare ma contiene sempre la totalità dei sudditi, non è possibile ammettere uno spazio di opposizione o di resistenza in un senso propriamente politico. La stessa presenza di una dialettica tra parti diverse risulterebbe contraddittoria, poiché il soggetto sovrano nasce appositamente per essere sintesi della volontà di tutti i contraenti, spoliticizzando dunque ogni altro tipo di legame
Come abbiamo detto, le differenze tra le singole formulazioni del moderno contrattualismo permangono. Rispetto alla visione fortemente pessimistica di Xxxxxx, Xxxxx, Xxxxxxxx e Xxxx non vedranno nello stato di natura una situazione di anarchia e guerra permanente. Continueranno tuttavia a caratterizzare la situazione iniziale in astrazione dalle leggi civili e come momento di disaccordo tra scopi e interessi individuali
. Non è tanto il semplice monopolio della forza il motivo alla base della stipulazione del patto, quanto la necessità di un giudice comune e di un comune sistema di norme che possano regolare le dispute ed evitare che queste finiscano per degenerare in conflitti. All’istanza di comando che Xxxxxx pone al vertice del soggetto statale in quanto funzione rappresentativa, in tal senso, Xxxxxxxx sostituisce il corpo politico nella sua immediata totalità. La sovranità rimane al popolo, che nella forma del soggetto collettivo prende le decisioni ed è titolare della volontà generale, in una sorta di assemblea permanente in cui i singoli individui assumono il doppio ruolo di sudditi e cittadini.
Xxxx introdurrà in questo piano teorico il concetto della “libertà di penna”, attraverso il quale si configura una realtà di pubblicità della ragione che fa riferimento all’idea di un contratto originario e non è riducibile all’espressione empirica dell’arbitrio dei singoli. In questa realtà i sudditi hanno la possibilità, e anche il dovere, di partecipare al processo decisionale pur senza avere il diritto di opporsi al legislatore. Nella dottrina kantiana anche il sovrano è “sottoposto” alla ragione, dunque la libertà di penna ammette la possibilità per i sudditi di richiamare il legislatore e spingerlo della direzione della giustizia.
Pur con queste precisazioni, tuttavia, nessuno si discosta mai davvero dallo schema principale: il contratto sociale rimane un patto attraverso il quale soggetti autonomi e indipendenti istituiscono una realtà politica designata come espressione immediata della loro volontà comune; un soggetto collettivo cui viene riconosciuto il potere di imporre legittimamente le proprie decisioni a tutti. Queste decisioni sono pensate come insindacabili e ingiudicabili, poiché non è possibile riconoscere alcun potere superiore a quello del soggetto sovrano.
4.2 – La critica hegeliana
Lo sviluppo che la teoria del contratto sociale ha avuto in quella che possiamo considerare la sua epoca classica, se realmente non si può dire che omologhi i diversi autori che lo hanno posto alla base delle proprie dottrine, sembra comunque costringerli ad alcuni passaggi che appaiono tipici di una stessa struttura logica.
È con Xxxxxxxx che si può trovare un primo compimento della teoria del contratto, ovvero l’individuazione del soggetto politico assoluto e incondizionato – la volontà generale, propria del popolo nella sua totalità come sovrano. Il problema non è a questo punto quello di giustificare la subordinazione dei sudditi al sovrano, ma quello di trovare il modo di espressione di tale soggetto e di articolare la realtà politica che riconosce nel popolo il proprio fondamento: cioè dare luogo alla costituzione giusta dello Stato.
La Rivoluzione francese è il momento storico in cui si tenta di realizzare questo “passaggio” su un piano strettamente costituente, mentre a livello teorico è con Xxxxx che viene mostrata la logica interna delle teorie contrattualistiche e ciò che esse implicano a livello concettuale. Xxxxx trova infatti, nel processo concreto in cui esse si costituiscono, la ragione dell’inefficacia della figura del contratto per comprendere la genesi e l’essenza dello Stato.
Il primo aspetto che egli mette in luce è che l’espediente dello stato di natura, immaginato come momento originario dal quale partire per la costruzione della teoria, è in realtà un prodotto, una finzione costituita ad hoc per essere funzionale allo stato civile che si vuole fondare. Teoreticamente, la situazione iniziale può essere prodotta in realtà solo come effetto della realtà politica che dovrebbe fondare. Ciò che invece è il tema centrale dell’analisi che Xxxxx fa delle teorie contrattualistiche riguarda il problema di come sia possibile l’esprimersi contemporaneo delle diverse volontà in un unico patto. Se ciò
avviene attraverso una volontà universale che si suppone comune o identica negli individui, tuttavia, in quanto le singole volontà sono intese nella loro particolarità, il loro accordo con la volontà universale non può che essere accidentale. La volontà universale si trova allo stesso tempo ad essere inerente a ciascuno dei contraenti che l’hanno autorizzata, e ad essere obbedita da essi come qualcosa di estrinseco, come potere esterno
. L’identificazione di cittadino e suddito posta al centro da Xxxxxxxx si traduce dunque in una pura e semplice opposizione, nella misura in cui i due momenti cadono l’uno fuori dall’altro. Il sovrano non è allora soltanto risultato, ma anche condizione e garante del patto, e in quanto tale non può essere l’espressione della volontà dei singoli a fondarlo.
La figura del contratto viene ad avere il suo luogo appropriato nel contesto del diritto privato e nello stesso rapporto che Xxxxx ravvisa tra diritto moderno ed economia politica. Ma in questo ambito la possibilità stessa del contratto e la sicurezza che in esso i singoli ricercano presuppongono l’esserci dello Stato e il monopolio della forza che questo implica. Da ciò la conclusione che il contratto non può essere figura utile a spiegare la genesi e l’essenza dello Stato.63
È da notare in questo che per tutti gli autori considerati non esiste alcuno spazio effettivo per la contrattazione politica all’interno dello Stato costituito, proprio in virtù del contratto costituente che ne ha posto una volta per tutte l’accordo come momento originario, e che soltanto sotto la tutela delle leggi e della forza che le rende efficaci i singoli possono contrattare tra di loro come persone giuridiche private sapendo di avere garantita la validità di ciò che stipulano.
Nel contesto hegeliano è soltanto nella realtà dello Stato che i soggetti individuali si costituiscono e vengono a possedere un senso reale, una cultura, degli interessi e dei fini. La scoperta dell’individuo è il tratto caratteristico dell’epoca moderna, ma esso rappresenta un processo che non può essere ridotto alla semplice manifestazione della sua soggettività. Il riconoscersi come soggetti può avvenire soltanto all’interno di un intreccio sociale e politico, quindi non è possibile concepire gli individui come entità a sé stanti e autosufficienti e addirittura quali fondanti lo Stato. Da questo punto di vista Xxxxx sembra rifarsi ad Xxxxxxxxxx, e delinea l’individuo umano come naturalmente e in modo imprescindibile legato a un contesto sociale preciso; un individuo non è mai pensabile
63 X. Xxxx (a cura di), Il contratto sociale nella filosofia politica moderna, Il Mulino, Bologna 1987, p. 48. Cfr. anche X. Xxxx, Libertà e costituzione in Hegel, FrancoAngeli, Xxxxxx 0000.
come isolato e indipendente ma assume significato solo come prodotto di un’astrazione
dai rapporti che lo determinano.
4.3 – La “rinascita del contratto”
Il tentativo di Xxxxx di far rinascere la figura del contratto sociale come modello adeguato per la fondazione di una società giusta passa attraverso una serie di differenze che sono sia legate alle immediate intenzioni sia al carattere strutturale vero e proprio della giustizia come equità.
Il primo e più importante punto in cui il “neo-contrattualismo” sembra distanziarsi dalle teorie contrattualiste classiche sta in quello che viene preso come punto di partenza. Mentre le teorie classiche del contratto sociale immaginavano uno stato di natura dove individui “completi”, padroni di se stessi e dei propri interessi, si impegnavano in un atto costituente originario inteso a fondare concretamente un soggetto collettivo sovrano, Xxxxx abbandona la strada del mondo pre-civile e immagina una situazione di astrazione formale all’interno di una relazione sociale già costituita (valorizzando in questo la prospettiva kantiana). In quella che chiama la “posizione originaria”, individui senza nome, senza volto, senza interessi e padroni soltanto della propria ragione (equivalente per tutti i contraenti) non si accordano per la creazione di una realtà politica concreta e sovrana, ma discutono dei principi fondamentali che possano a loro volta fungere da guida per la costituzione di una società giusta, retta da istituzioni eque. I soggetti impegnati nella posizione originaria, coperti dal velo d’ignoranza, non rappresentano singole volontà particolari, ma condividono lo stesso punto di vista e sono spinti da una serie di bisogni concepiti come razionali, dunque i medesimi per tutti gli individui coinvolti.
Nella formulazione di Xxxxx, i soggetti contraenti non sono alla ricerca di un ordine che faccia da garante e giudice super partes, ma si interrogano direttamente e in prima persona sulle norme alle quali in futuro potranno riferirsi per risolvere dispute e conflitti. Il corpo sociale non viene visto come un insieme granitico caratterizzato da un’istanza capace di rappresentare la volontà di tutti, ma vengono riconosciute all’interno dello Stato una serie di istituzioni sociali “informali” dal forte e concreto impatto nella vita quotidiana dei cittadini. Inoltre, nella giustizia come equità non si pone neppure il problema della sintesi tra le singole volontà dei contraenti e la volontà generale del soggetto collettivo. Questo perché, innanzitutto, non viene riconosciuta alcuna particolarità alle volontà dei singoli
individui: i soggetti nella posizione originaria sono totalmente estranei al ruolo che occupano nella società e ai loro stessi desideri. In secondo luogo, Xxxxx ammette chiaramente come non ci si possa aspettare una totale adesione alle norme di un singolo soggetto statale da parte di tutti i cittadini: si nasce in una specifica società, e oltre a quelle che sono le nostre inclinazioni particolari bisogna tenere conto anche degli aspetti culturali che ognuno di noi assorbe abitando un particolare contesto. Tuttavia, l’espediente della posizione originaria e i principi di giustizia possono contribuire alla costituzione di una società giusta, poiché le decisioni vengono prese da soggetti immaginati come razionali, imparziali e disinteressati.
Al di là di quelle che possono sembrare differenze piuttosto marcate, la teoria della giustizia di Xxxxx condivide in realtà l’impianto sostanziale del contrattualismo classico. Abbiamo visto nel dettaglio il rapporto della giustizia come equità con la dottrina di un autore come Xxxx, ma si può anche riconoscere la presenza di altri aspetti comuni con il modello generale del patto sociale moderno, o quantomeno la condivisione di una stessa logica di fondo.
Nonostante Xxxxx abbia infatti stabilito fin dall’inizio che l’obiettivo della posizione originaria non sta nella fondazione dello Stato, ma nella formulazione dei principi di giustizia a cui la società e le sue istituzioni dovranno riferirsi, egli stesso specifica la necessità di accordarsi successivamente sulla costituzione vera e propria del soggetto statale. Su questo punto non vi sono ulteriori considerazioni: Xxxxx si limita a inserire il problema all’interno della cornice di una società organizzata secondo i principi costituzionali della tradizione democratico-liberale contemporanea, senza caratterizzare nel dettaglio il soggetto politico che scaturisce dal processo pattizio. D’altra parte, non è affatto scontato né necessario che il corpo fondato successivamente alla formulazione dei principi di giustizia sia caratterizzato da un regime democratico.
Questo punto è legato anche al rapporto tra la volontà dei singoli e la volontà che si esprime nella realtà politica costruita sulla base dei principi di giustizia. Xxxxxxx detto che lo stesso Xxxxx ammette di non essere in grado di trovare una soluzione: come possono dei contraenti spogliati di tutto ciò che li rende individui determinati rendere conto degli interessi particolari dei soggetti che abitano il corpo sociale? La speranza è che un soggetto politico siffatto possa comunque garantire la più corretta ed equa distribuzione dei beni prodotti dalla vita in società e assegnare a tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri nei confronti della totalità del corpo sociale. Se è vero che l’intento di Xxxxx
resta soltanto quello di immaginare lo strumento del patto come metodo per stabilire i criteri sui quali basarsi per la costituzione di una società giusta ed equa, è anche vero che rimanda a un analogo modello di contrattazione successiva all’effettiva costituzione del corpo politico.
Certamente, riconoscendo l’esistenza delle “istituzioni sociali maggiori”, Xxxxx fa intendere di non immaginare lo Stato come unico e solo rappresentante del popolo; il momento del patto non è l’atto iniziale con cui un insieme di individui slegati e indipendenti si unisce in una comunità, ma rappresenta il punto da cui la comunità stessa parte per mettersi in discussione e garantire il più possibile una condizione di equità per tutti i membri del corpo sociale. In sostanza, una dialettica tra componenti diverse all’interno di uno stesso soggetto collettivo è pienamente conservata agli occhi di Xxxxx: non esiste soltanto lo Stato, ma esistono realtà e istituzioni sociali che naturalmente fanno parte del vivere in comunità che non possono essere lasciate in secondo piano.
C’è da dire che in realtà la dimensione individuale è da Xxxxx completamente ignorata. Se il singolo cittadino, assieme alla garanzia dei suoi diritti e della sua libertà, rimane un punto fondamentale, è anche vero che non gli è riconosciuto quasi nulla in termini di reale attività all’interno del corpo politico. La posizione originaria e il velo d’ignoranza, cancellando ogni forma di “contingenza”, non fanno altro che istituire un punto di vista unitario sullo standard di ragionevolezza e su quei presunti beni primari che ogni umano razionale in quanto tale desidererebbe. Anche se Xxxxx insiste, come abbiamo già visto, sui concetti di moltitudine e di contrattazione, la realtà è che le decisioni vengono prese a partire dalla necessità della formazione di un’unica volontà, presupposta come volontà razionale.
Ciò che emerge davvero confrontandosi con XX è l’impressione di una teoria del contratto incompleta. Se si tentasse di sviluppare la sua forma contrattuale in una piena teoria dello Stato e della sua genesi, non c’è dubbio che si incapperebbe nelle stesse dinamiche e negli stessi processi già implicati dalle teorie classiche del contratto sociale, in quanto il modello logico rimane fondamentalmente lo stesso. Invece, il lavoro di Xxxxx si concentra su ciò che si suppone essere il fondamento morale del corpo politico. La giustizia come equità rappresenta infatti il tentativo di delineare una serie di criteri sui quali costruire una società giusta, e poco altro. Quello del contratto e della posizione originaria sono espedienti per immaginare i principi di giustizia come frutto di un accordo formale tra soggetti razionali; ma privi di ogni caratterizzazione individuale, i soggetti
nella posizione originaria sono posti in astrazione da ogni relazione effettiva e i principi di giustizia sono soltanto il risultato di un esercizio di ragione unilaterale, ipostatizzato come canone universale.
Conclusioni
È stato detto che la speranza di Xxxxx era che il suo lavoro potesse costituire una rinascita dello spirito del contratto sociale. La sua idea era che soltanto attraverso una rivisitazione di quella tradizione fosse possibile trovare una valida alternativa alle prospettive utilitaristiche che hanno fatto seguito al lavoro di Xxxx.
Si può dire che almeno in questo la sua impresa sia stata un totale successo. Non soltanto il “neo-contrattualismo” ha effettivamente preso piede nel dibattito accademico; Una teoria della giustizia ha anche permesso a molti di riscoprire e rileggere con rinnovato interesse gli autori della tradizione anche grazie alle interpretazioni procedurali che Xxxxx stesso ha fornito della dottrina morale e politica di Xxxx. Anche per quanto riguarda le reazioni critiche, esse hanno comunque rinvigorito il dibattito politico-filosofico; nuove concezioni di giustizia hanno trovato linfa vitale per svilupparsi in veri e propri filoni di pensiero, mentre paradigmi già esistenti hanno trovato nuovo slancio e nuova forza.
Le considerazioni che i critici hanno fatto sulla giustizia come equità sono state sicuramente importanti, e alcune hanno anche trovato risposta nelle opere di Xxxxx successive (e in particolare in Political Liberalism del 1993). Ma nonostante tutto TJ rimane un’opera di fondamentale importanza, ricca di spunti innovativi anche dal punto di vista prettamente politico più che filosofico, in particolare in merito ai concetti di equità e alla discussione sull’ammissibilità delle diseguaglianze.
Per quanto riguarda la riformulazione delle teorie classiche del contratto sociale e del superamento delle problematiche che implicavano, sembra effettivamente che la struttura stessa del paradigma contrattuale in relazione alla costituzione di uno Stato democratico siano insuperabili, legate ai processi logici che ne accompagnano lo sviluppo. L’utilizzo che Xxxxx fa della figura del contratto nella formulazione dei principi di giustizia, quindi il riferimento a una questione nuova e totalmente differente dalla costituzione di un soggetto politico ex novo, consente effettivamente di lasciare alle spalle alcune delle difficoltà che sono emerse attraverso la critica hegeliana e a cui in seguito si è tentato di rispondere. Ma la caratterizzazione della posizione originaria e l’espediente del velo d’ignoranza tendono davvero a mettere da parte l’effettiva componente della
contrattazione. Una moltitudine di soggetti neutrali e sostanzialmente identici non è in ultima istanza neppure una moltitudine. Del tentativo di rinnovamento e perfezionamento delle teorie del contratto rimane un’efficace riformulazione pratica della dottrina kantiana, ma anche in quel caso si tratta spesso di un processo fortemente influenzato dalle personali interpretazioni dello stesso Xxxxx.
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