Impresa
Impresa
Possibili forme contrattuali di affiancamento, cessione e subentro tra anziano conduttore
e giovane imprenditore agricolo
Dicembre 2017
Documento realizzato dall’ISMEA nell’ambito del Programma Rete Rurale Nazionale
Piano 2017-2018
Scheda Progetto Ismea 9.1
Autorità di gestione: Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali Ufficio DISR2 - Dirigente: Xxxxx Xxxxxxxxx
Responsabile scientifico:
Xxxxx Xxx Xxxxx
Coordinamento operativo: Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx
Autori:
Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx (Cap. 7.3)
Grafica:
Xxxxxxx Xxxxxxx 30 dicembre 2017
INDICE
1.1 Obiettivi e finalità del presente studio 7
2. IL CONTRATTO DI ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE 9
2.2 La disciplina civilistica 10
2.3 I diritti e gli obblighi dell’associante 12
2.4 I diritti e gli obblighi dell’associato 13
2.5 La cessazione del rapporto 16
3. LA COSTITUZIONE DI SOCIETA’ AGRICOLA 20
3.1 Definizione di società agricola 20
3.2 Scelta del contratto associativo 22
3.3 La società semplice agricola 23
3.4 Il socio d’opera nelle società di persone 24
3.5 La cessazione del rapporto sociale 24
4. IL RAPPORTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA 27
4.2 La disciplina civilistica 29
4.3 Il compenso – la partecipazione agli utili 34
4.4 La cessazione del rapporto – il recesso anticipato 36
5. IL DIRITTO DI PRELAZIONE DEL GIOVANE IMPRENDITORE AGRICOLO 39
6. IL SUBENTRO E/O LA STIPULA DEL CONTRATTO DI CONDUZIONE 41
7. ANALISI DELLA DISCIPLINA ADOTTATA DA ALTRI PAESI EUROPEI PER FAVORIRE IL PASSAGGIO GENERAZIONALE IN AGRICOLTURA 44
7.1.1 Gli aiuti a sostegno del ricambio generazionale in agricoltura 44
7.1.2 Il Contratto generazionale in agricoltura 46
8. LA LEGGE ITALIANA DI ATTUAZIONE DELLA DISCIPLINA DETTATA PER FAVORIRE IL PASSAGGIO GENERAZIONALE IN AGRICOLTURA 51
8.1 Benefici: accesso agevolato al credito 51
8.3 La durata del contratto di affiancamento e la ripartizione degli utili 52
8.4 Il subentro e le forme di compensazione in caso di anticipata cessazione del contratto 52
8.5 Il diritto di prelazione a favore del giovane imprenditore agricolo 53
8.6 La qualifica di imprenditore agricolo professionale attribuita al giovane agricoltore 53
9. Allegato 1: Legge 28 luglio 2016 n. 154, Art. 6 (Delega al Governo in materia di società di affiancamento per le terre agricole) 54
1. PREMESSA
L’art. 6 della Legge 154/20161, il cd. Collegato agricolo, ha introdotto un importante e innovativo strumento per cercare di agevolare e incentivare, da un lato, l’inserimento di giovani in agricoltura, e, dall’altro, il ricambio generazionale nell’ambito delle imprese agricole.
A tale scopo, il Governo è stato autorizzato ad adottare, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, un decreto legislativo per disciplinare le forme di affiancamento tra agricoltori ultra- sessantacinquenni o pensionati e giovani, non proprietari di terreni agricoli, di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, anche organizzati in forma associata, allo scopo del graduale passaggio della gestione dell'attività d'impresa agricola ai giovani.
I principi e i criteri direttivi sulla base dei quali dovrà essere adottato il futuro decreto legislativo sono i seguenti:
stabilire che il processo di affiancamento duri massimo tre anni (lett. a)) e si concluda secondo le seguenti modalità alternative:
1) la trasformazione del rapporto in forme di subentro tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo;
2) la trasformazione del rapporto in un contratto di conduzione da parte del giovane imprenditore agricolo;
3) le forme di compensazione a favore del giovane imprenditore nei casi diversi da quelli contemplati nei precedenti nn. 1 e 2 (lett. c));
1. prevedere criteri di assegnazione prioritaria delle agevolazioni e degli sgravi fiscali già previsti a legislazione vigente, a favore dell’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato e del giovane imprenditore (lett. b));
2. definire le modalità di presentazione di un progetto imprenditoriale da parte del giovane imprenditore agricolo che deve costituire la base del rapporto di affiancamento e che deve essere sottoscritto da parte dell’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato, definendone i reciproci obblighi (lett. d));
stabilire le forme di compartecipazione agli utili dell’impresa agricola (lett. e));
definire il regime dei miglioramenti fondiari, anche in deroga alla legislazione vigente, qualora apportati sulla base del progetto imprenditoriale presentato (lett. f));
prevedere forme di garanzia per l’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore, anche attraverso le necessarie coperture infortunistiche (lett. g));
stabilire il riconoscimento del diritto di prelazione, in caso di vendita dei terreni oggetto del rapporto di affiancamento (lett. h));
prevedere forme di compensazione a favore del giovane imprenditore nei casi di recesso anticipato del rapporto di affiancamento (lett. i));
definire le forme di agevolazione a favore del giovane imprenditore per la gestione e l’utilizzo dei mezzi agricoli (lett. l)).
Il citato art. 6 della Legge 154/2016, dispone inoltre:
al comma 2, che ai giovani imprenditori agricoli è comunque fatto obbligo, entro il termine stabilito con il decreto legislativo di cui al comma 1, di dimostrare di aver apportato innovazioni ed aver investito in azienda eventuali provvidenze destinate ad essi; e
al comma 3, che sono favorite tutte le azioni volte alla formazione e alla consulenza specializzata al fine di agevolare il pieno trasferimento delle competenze dal soggetto ultra-sessantacinquenne o pensionato al giovane imprenditore agricolo.
Poco prima della pubblicazione del presente documento è stata emanata la legge con la quale è stata data attuazione alla delega conferita al Governo, dall’art. 6 della Legge 28 luglio 2016 n. 154 (collegato agricolo), allo scopo di disciplinare le forme di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani, non proprietari di terreni agricoli, di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, per favorire il graduale passaggio della gestione dell’impresa agricola ai giovani.
Con la legge di bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017 n. 205, pubblicata in G. U. il 29.12.2017), nei commi 119 e 120 dell’art. 1, infatti, sono state dettate le regole che disciplinano le forme di affiancamento tra anziani e giovani agricoltori finalizzate a favorire il passaggio generazionale in agricoltura2. A tali, disposizioni verrà dedicato l’intero capito ottavo.
1.1 Obiettivi e finalità del presente studio
Nel presente scritto si effettua un’analisi di alcune forme attraverso le quali potrà essere strutturato contrattualmente il rapporto di affiancamento tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo, non proprietario di terreni agricoli, di età compresa tra i diciotto e quarant’anni, sia in forma individuale, sia in forma associata con altri giovani imprenditori, tenendo nel dovuto conto che lo scopo ultimo del rapporto di affiancamento è il subentro del giovane imprenditore nella titolarità o nella conduzione dell’impresa agricola di proprietà dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e che nel caso in cui tale scopo non possa o non voglia essere raggiunto dovranno in ogni caso essere previste delle forme di compensazione economica a favore del giovane imprenditore.
2 Il testo del dispositivo dei commi 119 e 120 dell’art. 1 è riportato nell’allegato 2.
A prescindere dalla forma contrattuale prescelta, tutti i regolamenti contrattuali che disciplineranno il rapporto di affiancamento che, per previsione legislativa, non potrà avere una durata superiore a tre anni, dovranno, comunque, prevedere una compartecipazione agli utili dell’impresa agricola da parte del giovane imprenditore e definire il regime dei miglioramenti fondiari, qualora apportati in base al progetto imprenditoriale presentato da quest’ultimo.
A tutela del giovane imprenditore agricolo, il regolamento contrattuale, in qualsiasi forma venga attuato, dovrà inoltre prevedere a favore di questi un diritto di prelazione nel caso in cui, nella vigenza del rapporto di affiancamento, l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato si determini a vendere i terreni oggetto del rapporto di affiancamento.
Alla base del rapporto di affiancamento, in qualsiasi forma contrattuale strutturato, dovrà esserci comunque un progetto imprenditoriale che il giovane agricoltore dovrà predisporre e presentare preliminarmente all’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, il quale, una volta accettato da quest’ultimo, costituirà lo scopo che entrambe le parti del contratto si prefiggeranno di realizzare nel periodo di durata del rapporto di affiancamento.
Va da sé che, a fianco del repertorio delle forme contrattuali che esamineremo nel presente scritto, in sede di attuazione della delega, il Governo nel disciplinare il rapporto di affiancamento, nel rispetto delle direttive e dei principi sanciti dalla Legge di Delega, con il futuro Decreto legislativo potrà eventualmente introdurre anche nuove forme contrattuali attualmente non tipizzate nell’ordinamento giuridico interno.
Il documento si articola nel seguente modo: Il capitolo 2, 3 e 4 descrivono in dettaglio tre possibili forme contrattuali utili a disciplinare i rapporti di affiancamento. Verranno presi in considerazione rispettivamente il contratto di associazione in partecipazione (cap. 2), la costituzione di società agricole (cap. 3) e, infine, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (cap. 4).
Il capitolo 5 e 6 sono invece dedicati interamente al diritto di prelazione da parte del giovane imprenditore agricolo e alla stipula del contratto di conduzione approfondendo le indicazioni contenute nel testo della legge n. 154, Art. 6.
Il capitolo 7 riporta un’analisi della disciplina adottata da altri paesi europei per favorire il passaggio generazionale in agricoltura. In dettaglio, verranno analizzati i casi di Francia, Irlanda e Austria.
Il lavoro si completa con il capitolo 8 che completa il quadro normativo presentando i contenuti legge di bilancio 2018 che, nei commi 119 e 120 dell’art. 1, detta le regole che disciplinano le forme di affiancamento tra anziani e giovani agricoltori finalizzate a favorire il passaggio generazionale in agricoltura dando attuazione alla delega conferita al Governo dall’art. 6 della Legge 28 luglio 2016 n. 154 (collegato agricolo).
2. IL CONTRATTO DI ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE
2.1 Preambolo
Prima di esaminare nel dettaglio la disciplina codicistica del contratto di associazione in partecipazione è necessario fare una premessa.
A seguito dell’entrata in vigore (25 giugno 2015) del D. Lgs. 15.6.2015, n. 81 (c.d. Jobs Act) è stato definitivamente escluso che gli associati persone fisiche possano apportare all’associazione in partecipazione una prestazione lavorativa.
La ratio di tale esclusione si rinviene nella necessità di evitare che la forma contrattuale dell’associazione in partecipazione celi un ordinario rapporto di lavoro subordinato.
L’art. 2549 C.c che definisce la nozione dell’associazione in partecipazione, nella sua attuale formulazione, infatti, dispone testualmente quanto segue:
1. Con il contratto di associazione in partecipazione l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.
2. Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro.
L’istituto dell’associazione in partecipazione, quindi, non potrà essere utilizzato per formalizzare il rapporto di affiancamento tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo persona fisica, ma potrà essere adottato solo ed esclusivamente per i rapporti di affiancamento in cui i giovani imprenditori agricoli siano organizzati in forma associata attraverso la costituzione di una società di persone o meglio ancora di capitali ovvero siano organizzati in una società cooperativa.
La locuzione normativa, infatti, circoscrive espressamente il divieto agli associati persone fisiche, con la conseguenza che lo schema normativo dell’associazione in partecipazione dovrebbe ritenersi all’opposto ammesso nell’ipotesi in cui l’associato che apporta lavoro o, meglio, servizi, sia una persona giuridica.
Per quanto possa occorrere, è opportuno precisare, però, che qualora il giovane imprenditore agricolo si volesse associare in forma individuale e all’uopo costituisse una società a responsabilità limitata unipersonale per poter stipulare il contratto di associazione in partecipazione, l’operazione potrebbe non superare il vaglio di liceità, posto che in tal caso la persona giuridica sarebbe utilizzata da schermo per eludere il divieto normativo e potrebbe quindi trovare applicazione l’art. 1344 C.c che sancisce l’illiceità del contratto in frode alla legge.
Anche se sul punto non ci sono precisazioni significative da parte della dottrina o della giurisprudenza, in via di principio l’associazione in partecipazione tra persone giuridiche dovrebbe avere prevalente carattere economico, ossia dovrebbe prevedere quantomeno un apporto “misto” di capitali e lavoro da parte dell’associato, poiché, diversamente, si potrebbe supporre che l’unica ragione posta alla base della stipulazione di un contratto di questo genere possa essere quella di celare un rapporto di lavoro subordinato.
Per tale ragione sarebbe consigliabile utilizzare l’istituto dell’associazione in partecipazione per formalizzare il rapporto di affiancamento tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e i giovani imprenditori agricoli organizzati in forma associata attraverso la costituzione di una società di capitali o di una società cooperativa, solo quando gli stessi possano conferire nell’associazione non solo l’apporto della loro opera, o meglio dei loro servizi, ma anche quelle provvidenze economiche3 ad essi destinate per apportare innovazioni all’azienda agricola dell’associante, nell’ambito della realizzazione del progetto imprenditoriale presentato e condiviso con lo stesso associante.
Nella scelta del contratto di associazione in partecipazione per formalizzare il rapporto di affiancamento tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e i giovani imprenditori agricoli organizzati in forma associata attraverso la costituzione di una società, sarà, quindi, opportuno porre particolare attenzione, sia alla forma contrattuale, che dovrà prevedere, comunque, oltre agli elementi di aleatorietà tipici del rapporto, quali la partecipazione agli utili (e non ai ricavi), da parte dell’associato, anche l’obbligo di rendicontazione periodica da parte dell’associante, sia alle concrete ed effettive modalità di svolgimento del rapporto che dovrà essere caratterizzato da una piena autonomia dell’associato nell’autoregolamentare la propria attività lavorativa che, in nessun caso, dovrà essere assoggettata al potere gerarchico e disciplinare dell’associante.
2.2 La disciplina civilistica
L’istituto dell’associazione in partecipazione è disciplinato nel codice civile, insieme al contratto di cointeressenza, da sei articoli, e precisamente dall’art. 2549 sino al 2554.
Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto (art. 2549, co. 1, c.c.).
Per ciò che concerne la natura del contratto, nonostante una dottrina minoritaria abbia ricondotto l’associazione in partecipazione tra i contratti associativi, prevale, in dottrina come in giurisprudenza (Cfr. Cass. Civ., sentenza n. 1134/1968 e Cass. Civ., sentenza n. 4457/1986), la tesi per cui si tratterebbe di
3 Secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 6 della Legge 154/2016 il quale dispone che “Ai giovani imprenditori agricoli di cui al presente articolo è comunque fatto obbligo, entro il termine stabilito con il medesimo decreto legislativo di cui al comma 1, di dimostrare di aver apportato innovazioni ed aver investito in azienda eventuali provvidenze ad essi destinate”
2017, n. 277
un contratto sinallagmatico, dal momento che l’associante mira a ottenere un apporto per finanziare la propria azienda, mentre l’associato intende conseguire un guadagno.
Appare chiaro fin da subito che il “guadagno” che spetterà all’associato è necessariamente dipendente dall’andamento dell’affare, pertanto, in relazione alla sua posizione contrattuale, è possibile parlare di contratto aleatorio: ciò perché, almeno nell’ipotesi di associazione in partecipazione (ma, si noti, non di cointeressenza impropria), l’associato potrebbe, in caso di gestione negativa, non conseguire utili ed eventualmente perdere il proprio apporto, dal momento che, secondo la previsione codicistica, egli concorrerà anche alle perdite.
In relazione alla natura dell’apporto dell’associato, esso può consistere sia in capitale (denaro, beni mobili o immobili, crediti verso terzi o verso lo stesso associante, aziende, garanzie, diritti di godimento, ecc.), sia in una prestazione personale di carattere tecnico o professionale, in un servizio o in una combinazione di capitale e di lavoro.
L’associazione in partecipazione può configurarsi come contratto intuitu personae sia in relazione all’associato sia, più frequentemente, in relazione all’associante: ricorrerà la prima ipotesi qualora l’apporto dell’associato consista in una prestazione a carattere personale (ad es. prestazione d’opera professionale), ma più frequentemente sarà la personalità dell’associante a rilevare quale elemento determinante alla conclusione dell’accordo.
Trattasi poi di contratto consensuale e, di norma, a forma libera, salvo che con esso si conferiscano beni o diritti rientranti nell’art. 1350 c.c., in costanza dei quali occorrerà la forma scritta ad substantiam.
Se, infine, l’impresa dell’associante o dell’associato fosse soggetta a registrazione (salvi i casi già citati di cui all’art. 1350 c.c.) occorrerà la forma scritta ad probationem.
In sintesi, dunque, l’associazione in partecipazione è un contratto consensuale, sinallagmatico, unilateralmente aleatorio (per l’associato) e, di regola, a forma libera.
L’art. 2550 c.c. dispone che “Salvo patto contrario, l’associante non può attribuire partecipazioni per la stessa impresa o per lo stesso affare ad altra persona senza il consenso dei precedenti associati”.
Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante, sicché soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, che può unicamente pretendere, una volta che l'affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all'apporto ed alla quota spettante degli utili (Cass. 21 giugno 2016, n. 12816).
L’art. 2551 c.c., infatti, sancisce che i terzi acquistano diritti e assumono obblighi solo verso l’associante.
L’associato, quindi, non può intraprendere rapporti di gestione verso terzi, dal momento che ciò lo renderebbe un “socio di fatto”.
È peraltro possibile un accordo (a rilevanza meramente interna) con cui l’associato partecipi alla gestione attraverso il consenso preventivo o successivo (ratifica) alle operazioni dell’associante che, tuttavia, resta l’unico titolare dell’impresa nei confronti dei terzi (art. 2552, co. 1 c.c.).
Ciò premesso, l’associato ha comunque diritto ad un rendiconto dell'affare compiuto o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno, ai sensi dell’art. 2552, co. 3 c.c. e, in aggiunta, le parti possono pattuire ulteriori modalità di controllo della gestione da parte dello stesso (art. 2552, co. 2 c.c.).
L’art. 2553 c.c disciplina la divisione degli utili e delle perdite sancendo due regole:
1- salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili;
2- in ogni caso, le perdite a lui addossate non potranno mai superare l’ammontare dell’importo conferito.
Appare evidente come la ripartizione degli utili costituisca un elemento essenziale del contratto di associazione in partecipazione, mentre sarà liberamente negoziabile il quantum degli stessi.
In difetto di pattuizione, argomentando dallo stesso art. 2553 c.c., deve ritenersi, comunque, che la distribuzione degli utili avvenga proporzionalmente ai conferimenti apportati.
Oltre alla partecipazione agli utili la norma indica, a ben vedere, un ulteriore elemento essenziale dell’associazione in partecipazione, ossia la partecipazione alle perdite, in assenza della quale non si sarà più in presenza di questa figura contrattuale ma di quella, derivata, della cointeressenza impropria.
Come detto, comunque, la partecipazione alle perdite da parte dell’associato non potrà mai superare l’ammontare dell’importo conferito, fermo restando che nel caso in cui l’apporto sia costituito dall’opera professionale svolta dall’associato, come osservato, sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza (cfr. Corte App. Firenze, sentenza 19 maggio 1977) l’unico rischio cui l’associato lavoratore si esporrà sarà quello di lavorare senza retribuzione, ma non potrà esigersi che egli esborsi denaro per partecipare alle perdite.
2.3 I diritti e gli obblighi dell’associante
Oltre all’obbligo di corrispondere la quota pattuita degli utili, l’associante deve prima di tutto gestire personalmente l’impresa (o l’affare) assumendone la responsabilità.
L’associante, inoltre, deve investire l’apporto dell’associato nell’impresa o nell’affare considerati, chiedere il consenso agli associati prima di far entrare nuovi associati o prima di modificare l’oggetto dell’impresa o dell’affare, osservare la diligenza del mandatario negli atti di gestione, consentire all’associato di effettuare i controlli e fornire allo stesso il rendiconto dell’affare o il rendiconto annuale se la gestione si protrae per più di un anno.
A tale scopo deve anche tenere la contabilità in modo corretto, in modo da consentire il controllo dell’associato, sebbene parte della dottrina sostenga che l’associante deve consentire tale controllo solo se è stato espressamente previsto in sede contrattuale (Ghidini 1958, 859).
All’associante è fatto divieto di svolgere attività concorrente nei confronti dell’impresa o dell’affare considerati, assumere iniziative tali da mutare significativamente il rischio valutato dall’associato all’atto
della stipula del contratto, cessare arbitrariamente dall’esercizio dell’impresa o dell’affare e distrarre i beni aziendali dalla loro destinazione senza il consenso dell’associato.
La gestione dell’impresa è di pertinenza esclusiva dell’associante ed i rapporti con i terzi si pongono solo nei suoi confronti.
Ciò significa che l’iniziativa economica è rimessa alla determinazione dell’associante e che su di lui esclusivamente ricade la responsabilità per gli atti compiuti (Ferri 1969,390).
Quindi la qualifica di imprenditore spetta solo all’associante e non anche all’associato, anche quando l’apporto di quest’ultimo consista in una prestazione d’opera, la quale in questo caso non viene espletata in forma imprenditoriale (Cass. 10 luglio 1978, n. 3463).
L’associante non ha solo il potere di gestire l’impresa o di intraprendere o continuare l’affare, ma a ciò è anche obbligato poiché, diversamente, non attuerebbe il contratto secondo buona fede.
Ne discende che l’associante si renderebbe inadempiente qualora cessasse l’esercizio dell’impresa o la gestione dell’affare prima della scadenza del termine finale del rapporto di associazione in partecipazione, a meno che la continuazione non presenti carattere antieconomico e dunque esponga l’associato al rischio di perdere il suo apporto.
È utile osservare che la disposizione di cui al 1° comma dell’art. 2552 c.c., che prevede che la gestione dell’impresa spetti all’associante, è derogabile, potendo il contratto affidare all’associato poteri di gestione sia interna che esterna, in quest’ultimo caso, sempre che egli ripeta i propri poteri dall’associante, ossia attraverso il rilascio di un mandato con rappresentanza.
2.4 I diritti e gli obblighi dell’associato
La partecipazione dell’associato agli utili dell’impresa o dell’affare costituisce elemento essenziale della figura contrattuale, in quanto facente parte della sua stessa nozione per espresso disposto dell’art. 2549 c.c., non surrogabile dal pagamento di compensi corrisposti mensilmente. Sono tuttavia ammessi acconti periodici sul compenso finale, salvo conguaglio.
La chiarezza del disposto normativo, che parla di utili dell’impresa o dell’affare, non dovrebbe consentire alle parti di stipulare una partecipazione ai ricavi (anziché agli utili).
In tal senso si è espressa la prevalente giurisprudenza la quale, al riguardo, ha avuto, tra l’altro, modo di precisare che: “nel contratto di associazione in partecipazione, che mira, nel quadro in un rapporto sinallagmatico con elementi di aleatorietà, al perseguimento di finalità in parte analoghe a quelle dei contratti societari, è elemento costitutivo essenziale, come si evince chiaramente dall’art. 2549 c.c., la pattuizione a favore dell’associato di una prestazione correlata agli utili dell’impresa, e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in sé stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attività dell’impresa.” (Cass. 4 febbraio 2002, n. 1420).
La quota di partecipazione agli utili deve essere stabilita nel contratto, giacché la sua validità è subordinata quantomeno all’esistenza di elementi concreti da cui sia possibile desumere, anche in maniera sintetica e approssimativa, l’incidenza dell’apporto dell’associato nel conseguimento degli utili.
Se nel contratto, tale elemento difetta, secondo una parte della giurisprudenza, la quota degli utili di spettanza dell’associato va quantificata in proporzione al valore dell’apporto di quest’ultimo rispetto al valore dell’impresa o dell’affare (Cass. 9 marzo 1982, n. 1476).
Gli utili a cui l’associato ha diritto di partecipare con cadenza annuale, salva diversa previsione contrattuale, sono gli utili di esercizio, cioè quelli che emergono dal conto dei profitti e delle perdite dell’impresa o dell’affare e non dal bilancio.
Se l’associato partecipa ad un singolo affare dell’impresa e se quest’ultima presenta perdite anziché utili, ma l’affare medesimo, al contrario, ha sortito un risultato positivo, l’associato avrà diritto ad una quota degli utili dell’affare medesimo, nonostante la passività del risultato complessivo dell’impresa.
Se gli utili hanno natura non monetaria e consistono, per esempio, in un incremento da edificazione immobiliare, l'associante è tenuto all'adempimento della sua obbligazione, indipendentemente dalla destinazione che ha inteso dare all'immobile, mediante il versamento di una somma corrispondente al valore della quota spettante all'associato. E l'accertamento dell'utile va fatto, ove l'associante sia una società, sulla base non del bilancio - trattandosi di associazione ad un affare e non a tutte le imprese della società - ma del valore dell'edificazione, al netto delle spese affrontate e degli apporti degli associati (Cass. 18 giugno 1987, n. 5353).
La possibilità di attribuire all’associato un guadagno minimo è molto dubbia, sebbene tale pattuizione venga ritenuta compatibile con la figura contrattuale e non dimostrativa, di per sé, della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Xxxx. 21 giugno 1988, n. 4235).
Sicuramente vietato è il patto leonino, ossia il patto di esclusione totale dell’associato dalla partecipazione agli utili, giacché in tal modo verrebbe meno uno degli elementi costitutivi essenziali del contratto.
È consentito prevedere che i rapporti patrimoniali tra associante ed associato siano regolati mediante l’attribuzione all’associato di una quota percentuale del patrimonio dell’impresa che lo stesso associato ha contribuito a realizzare (Cass. 4 novembre 2013, n. 24684), il che significa, sostanzialmente, prevedere come lecito il patto che attribuisce all’associato il diritto ad una quota dell’incremento del patrimonio maturato nel corso del rapporto.
Qualora, per la formalizzazione del rapporto di affiancamento, si opti per il contratto di associazione in partecipazione, si dovrà, quindi, tenere a mente i principi sopra esposti e regolare l’attribuzione della quota di utili a favore del giovane imprenditore agricolo secondo le modalità testé esaminate, prediligendo quella ritenuta più appropriata alle esigenze dell’associante e dell’associato, in funzione della natura e dell’entità dell’apporto che si prevede presterà l’associato e dello scopo che entrambe le parti si prefiggono di raggiungere, costituito, di regola, dal progetto imprenditoriale presentato dal giovane imprenditore e posto a base del rapporto di affiancamento.
Il rapporto di associazione in partecipazione ha come elemento essenziale, connotante la causa, la condivisione del rischio di impresa da parte dell'associato, dovendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite (Cass., sez. lav., 28 gennaio 2013, n. 1817).
L'art. 2553 evidenzia il rischio economico dell'associato, ove prescrive che il medesimo, fatto espressamente salvo il patto contrario, partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, sebbene le perdite non possano superare il valore del suo apporto.
La problematica relativa alla possibilità di escludere la partecipazione alle perdite da parte dell’associato costituisce una vexata quaestio.
In passato, prima della c.d. riforma Fornero (18 luglio 2012), la giurisprudenza di legittimità, pur variando di sovente il proprio orientamento, aveva statuito che “elemento essenziale, connotante la causa del contratto di associazione in partecipazione, è il sinallagma tra partecipazione al rischio dell'impresa gestita dall'associante ed il conferimento dell'apporto dell'associato, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 2554 c.c., non è ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un'impresa senza partecipazione alle perdite, pena la conversione in rapporto di lavoro subordinato.” (Cass., sez. lav., 21 febbraio 2012, n. 2496).
Successivamente all’entrata in vigore della c.d. Riforma Fornero (18 luglio 2012), a seguito del mutato contesto normativo ed in particolare della nuova formulazione dell’art. 2549 c.c. che stabiliva una presunzione relativa di subordinazione esclusivamente nell'ipotesi in cui risultasse insussistente un'effettiva partecipazione dell'associato agli utili dell'impresa o dell'affare, tralasciando ogni riferimento alla partecipazione alle perdite, sia la giurisprudenza, sia la dottrina hanno concordemente ritenuto del tutto ammissibile il patto con il quale si escludeva la partecipazione alle perdite da parte dell’associato.
Il quadro normativo è stato, però, nuovamente modificato dal D. Lgs. 15.6.2015, n. 81 (c.d. Jobs Act), entrato in vigore il 25 giugno 2015 che ha modificato ancora una volta la formulazione dell’art. 2549 c.c., il quale, come notato, al secondo comma stabilisce espressamente che nel caso in cui l’associato sia una persona fisica il suo apporto non può consistere, neppure in parte, in una prestazione lavorativa, senza più fare alcun riferimento alla partecipazione dell’associato agli utili o alle perdite dell’impresa o dell’affare.
Anche se sul punto la giurisprudenza è ancora oscillante, sebbene in una recente sentenza la Suprema Corte abbia di nuovo affermato che: “Nell'associazione in partecipazione, ancorché la disciplina dell'art. 2552
c.c. sia derogabile, l'associante non può restare esonerato da ogni perdita, ossia dal rischio di impresa, in contrasto con l'art. 2549 c.c.” (Cass. 8 ottobre 2015, n. 20189), la dottrina prevalente ritiene che il patto di esonero dell’associato dalla partecipazione alle perdite sia del tutto lecito, basando il proprio convincimento sul dato letterale dell’art. 2553 c.c. il quale prevede espressamente tale possibilità ("salvo patto contrario, l'associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili").
Anche nel caso in cui si voglia aderire all’orientamento più rigoroso della giurisprudenza, il quale esclude che l’associato possa essere completamente esonerato da ogni perdita, resta, comunque, fermo che le parti possano prevedere una partecipazione alle perdite diversa (e, quindi, inferiore) rispetto a quella stabilita per gli utili e che, a mente dell’art. 2553 c.c., in ogni caso, “le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto”.
Passando ad esaminare gli ulteriori diritti dell’associato, oltre quelli relativi alla partecipazione agli utili, occorre soffermarci brevemente sul potere di controllo che egli può eventualmente esercitare sulla gestione dell’impresa e sul diritto dello stesso di ottenere il rendiconto della gestione.
Il secondo comma dell’art. 2552 c.c. stabilisce che: “Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l'associato sull'impresa o sullo svolgimento dell'affare per cui l'associazione è stata contratta.”
Secondo l’orientamento prevalente, sia in dottrina, sia in giurisprudenza, basata sull’interpretazione letterale della norma, all’associato compete il potere di controllo sulla gestione dell’impresa solo se ed in quanto gli sia stato accordato nel contratto, ben potendo accadere che all’associato tale potere non venga attribuito, restando la sua verifica limitata al rendiconto.
Per altro verso, il rendiconto che di norma consiste in un’ordinata esposizione delle partite di dare e avere e in un raffronto tra la situazione patrimoniale iniziale e quella relativa al momento a cui il conto si riferisce, costituisce, invece, un diritto non derogabile dell’associato, come reso palese dall’espressione utilizzata dal 3° comma dell’art. 2552 c.c. (“in ogni caso”).
La cadenza temporale in cui l’associante deve presentare il rendiconto all’associato è rimessa alla volontà delle parti, con il solo limite di non superare la cadenza annuale, in quanto espressamente e inderogabilmente prevista dalla norma (art. 2552, 3° comma, c.c.).
Elemento essenziale del contratto di associazione in partecipazione è l’apporto che l’associato conferisce nell’impresa o nell’affare e che, secondo la definizione dell’art. 2549 c.c. costituisce il corrispettivo della sua partecipazione agli utili.
La norma non precisa quale sia l’oggetto dell’apporto e dunque non vi sono motivi per limitare l’oggetto di tale conferimento.
Esso, quindi, può essere di qualsiasi natura, purché suscettibile di utilizzazione e valutazione economica (e così potrà essere costituito da denaro, da beni mobili e immobili, da titoli di credito, da aperture di credito, da brevetti, da crediti, da prestazioni di servizi ecc.).
L’unica limitazione posta dalla norma è, come notato, quella stabilità dalla nuova formulazione del secondo comma dell’art. 2549 c.c., secondo il quale: “Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica l'apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro.”
L’apporto dell’associato entra a far parte del patrimonio dell’associante e ne subisce le vicende (potendo, per esempio, essere pignorato dai creditori di quest’ultimo).
La valutazione dell’apporto, solitamente necessaria per determinare la misura della partecipazione agli utili (ed eventualmente alle perdite) dell’associato, nonché l’entità della restituzione può avvenire sia all’atto della stipulazione del contratto, sia al suo scioglimento, come sarà necessario nel caso di apporto di beni in uso o di apporto di una prestazione di servizi. Tale valutazione, ove non vi sia accordo tra le parti, potrà essere effettuata da un terzo arbitratore o dal giudice al termine di un giudizio di accertamento.
2.5 La cessazione del rapporto
Il contratto di associazione in partecipazione può essere stipulato a tempo determinato o a tempo indeterminato. In tale ultimo caso, ai sensi dell’art. 1373 c.c. è riconosciuto a ciascun contraente il diritto di recesso.
Per quanto qui di interesse, ai fini della disciplina del rapporto di affiancamento, la Legge di Delega (art. 6 della L. 154/2016) stabilisce espressamente che la durata del processo di affiancamento non può essere
superiore a tre anni, di conseguenza il contratto di associazione in partecipazione dovrà necessariamente prevedere un termine che non potrà superare i tre anni, ma potrà anche essere inferiore.
Poiché, come notato, il contratto di associazione in partecipazione dovrà avere necessariamente un termine non superiore ai tre anni, sarà indispensabile che il medesimo preveda anche espressamente la facoltà dell’associato di recedere anticipatamente dal contratto, in quanto in assenza di una esplicita previsione in tal senso l’associato non potrà esercitare alcun recesso e la sua volontà unilaterale di cessare anticipatamente il rapporto, ove esercitata, integrerebbe un inadempimento contrattuale, il quale potrebbe dare luogo ad un’azione di risarcimento dei danni nei suoi confronti.
L’art. 6 della citata Legge n. 154/2016, infatti, stabilisce espressamente che nel rapporto di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani imprenditori agricoli debbano essere disciplinate anche forme di compensazione a favore di questi ultimi nei casi di recesso anticipato (lett. i)).
La norma non precisa se la facoltà di recesso debba essere accordata solo ed esclusivamente al giovane imprenditore agricolo o se la stessa debba essere estesa anche all’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato.
Nel silenzio della norma e non essendo previsto un periodo minimo di durata del rapporto, ma solo un periodo massimo, dovrebbe ritenersi che la facoltà di recesso possa essere attribuita ad entrambi i contraenti. In ogni caso dovrà essere prevista in favore del giovane imprenditore agricolo.
Poiché la norma in esame non fa alcun riferimento alle cause che possono dare luogo all’esercizio del diritto di recesso, si ritiene che quest’ultimo possa essere esercitato ad nutum (ossia per libera determinazione di una delle parti senza che l’altra possa opporsi), quantomeno da parte del giovane imprenditore agricolo, mentre per quanto riguarda l’associante, ossia l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, il recesso potrebbe eventualmente (ma la questione è dubbia) essere accordato solo in presenza di giusta causa o giustificato motivo.
Il recesso dovrà prevedere un congruo periodo di preavviso, durante il quale il contratto continuerà ad esplicare i suoi effetti.
Il recesso, naturalmente, sarà inefficace in relazione alle prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
La Cassazione, con sentenza 4 marzo 2003, n. 3156, ha stabilito che gli effetti del contratto perdurano anche oltre il suo scioglimento ai fini della liquidazione dei diritti dell’associato.
Il contratto di associazione in partecipazione, dunque, cesserà a seguito dello spirare del termine di durata stabilita dalle parti al momento della stipula, ovvero anticipatamente a seguito del recesso esercitato da una delle due parti.
Il contratto potrà cessare anche per cause patologiche, ossia per l’inadempimento di una delle parti, in tal caso, fermo restando il diritto dell’associato di ottenere la restituzione dell’apporto conferito, la parte adempiente avrà diritto di chiedere la risoluzione del contratto e di essere ristorata dei danni subiti.
La Cassazione, con sentenza 30 maggio 2013, n. 13649, ha stabilito che il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull’elemento della fiducia.
Di conseguenza, a meno che le parti non abbiano espressamente precisato che il contratto è stato stipulato sulla base dell’intuitus personae, in caso di morte dell’associante, l’evento non darebbe luogo allo scioglimento del contratto il quale proseguirebbe con i suoi eredi.
In questa sede non abbiamo considerato la morte dell’associato in quanto per le ragioni espresse nel preambolo, quest’ultimo, in virtù del divieto posto dall’art. 2549 c.c. non dovrebbe essere rappresentato da una persona fisica, ma solo da una persona giuridica.
In virtù di quanto stabilito dall’art. 1372 c.c. il contratto di associazione in partecipazione può essere sciolto prima del termine di durata prefissato anche per mutuo consenso delle parti, ossia, per libera e concorde scelta delle stesse parti, senza la necessità di alcuna ragione oggettiva.
Alla cessazione del rapporto, sia essa dipendente dalla scadenza naturale del contratto, sia essa anticipata rispetto alla durata inizialmente stabilita, l’associante dovrà: 1) predisporre entro un termine congruo il rendiconto della gestione fino alla data di scioglimento del rapporto contrattuale; 2) corrispondere all’associato gli utili di sua spettanza sulla base del rendiconto medesimo ed eventualmente quelli ancora dovuti in base a precedenti rendiconti; 3) versare all’associato la somma eventualmente pattuita in caso di risoluzione del rapporto.
Al termine del rapporto l’associato avrà anche diritto di vedersi restituito l’apporto (aumentato degli utili che non siano stati ancora percepiti o diminuito delle perdite eventualmente subite).
La circostanza che il bene conferito dall’associato non si trovi più nel patrimonio dell’associante al momento dello scioglimento del rapporto è irrilevante dal momento che in tal caso l’associante è sempre e comunque tenuto soltanto al versamento di una somma di denaro corrispondente al valore dell’apporto al momento del conferimento oppure al momento dello scioglimento del rapporto a seconda della volontà delle parti, naturalmente diminuita delle eventuali perdite.
Se l’apporto consisteva in un’obbligazione di facere, come dovrebbe accadere nel rapporto di affiancamento, non vi sarà luogo ad alcuna restituzione e l’obbligazione semplicemente cesserà.
Nello specifico, ossia nel caso in cui si sia optato per la stipulazione di un contratto di associazione in partecipazione per formalizzare il rapporto di affiancamento tra un agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e un giovane imprenditore agricolo, giova ricordare che ai sensi dell’art. 6 della Legge 154/2016, nel contratto dovranno, comunque, essere previste:
• delle forme di compensazione a favore del giovane imprenditore agricolo, per l’ipotesi in cui il contratto, per qualunque causa, venga a sciogliersi anticipatamente rispetto alla sua naturale scadenza (il più delle volte, tali forme di compensazione saranno costituite da una somma di denaro predeterminata o parametrata sull’incremento di valore acquisito dall’impresa nel corso del rapporto, fatto salvo, in tale ultima ipotesi, un minimo garantito);
• la possibilità e le modalità di subentro del giovane imprenditore agricolo nella titolarità o nella conduzione dell’impresa agricola in relazione alla quale si è svolto il rapporto di affiancamento, nell’ipotesi in cui il suddetto rapporto si svolga normalmente per tutta la sua durata e venga quindi a cessare solo a seguito della scadenza naturale del contratto.
2.6 Bibliografia
Basso P. (2014), Il contratto di associazione in partecipazione, Key Editore
Xxxxx X. Xx Xxxx X. (1991), Società in generale – società di persone – associazione in partecipazione in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale diretta da X. Xxxxxxx, Utet
Cottino G. (1987), Diritto Commerciale Padova
Dal Poz F. Xxxxx Xxxxxxx (2010), Dell’associazione in partecipazione in Commentario al Codice Civile a cura di Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx
De Xxxxx G. (1973), Dell’associazione in partecipazione in Commentario del Codice Civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Xxxxxxxxxx
De Xxxxxxxx X. Xxxxxxx A. Arbore X. Xxxxxx C. (2013), Il nuovo contratto di associazione in partecipazione,
Maggioli
Ferri G. (1958), Voce Associazione in partecipazione, in Nuovissimo Digesto, Utet Ferri G. (1969), Manuale di diritto commerciale, Utet
Ghidini M. (1958), Voce Associazione in partecipazione in Enciclopedia del diritto, Xxxxxxx Messineo F. (1954), Manuale di diritto civile e commerciale
Xxxxxxx X. (2008), L’associazione in partecipazione in Il Codice civile commentato diretto da Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxx
Pellacani G. (2012), Riforma del Lavoro, Xxxxxxx
Santoni F. (1985), L’associazione in partecipazione in Trattato di diritto privato diretto da X. Xxxxxxxx, Utet
3. LA COSTITUZIONE DI SOCIETA’ AGRICOLA
Un’altra soluzione per disciplinare il periodo di affiancamento, previsto dall’art.6 della Legge 154/2016, tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani, non proprietari agricoli, di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, può essere individuata nella costituzione di una società agricola (ovvero con l’ingresso del giovane nella società agricola eventualmente già costituita dall’anziano agricoltore) nella quale il giovane socio agricoltore, per il perseguimento del progetto imprenditoriale convenuto, possa anche conferire la propria prestazione d’opera.
3.1 Definizione di società agricola
Prima dell’emanazione della legge n° 662 del 23 dicembre 1996, che ha previsto la regolarizzazione delle società di fatto, l’esercizio associato dell’attività agricola era quasi sempre sfuggito ad una qualificazione in termini di società, pur essendo, la società stessa, la forma tipica dell’impresa collettiva. Tra gli operatori dell’agricoltura si era sempre cercato di evitare la costituzione in società dell’impresa agricola, anche se nella forma più elementare quale la società semplice, ritenendo che la gestione di una società fosse comunque sempre più difficoltosa di un’impresa individuale.
Nella realtà si trattava, nella quasi totalità dei casi, di società di fatto agricole.
La legge 23 dicembre 1996 n° 662 ha stabilito che entro il 30 giugno 1997, in presenza di società di fatto agricola (impresa agricola costituita da più persone), si doveva stipulare un atto di regolarizzazione in una delle tipologie di società di persone previste dal Codice Civile e quindi anche nella forma della vera e propria società semplice, da inserire nell’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese tenuto dalla CCIAA.
Per tale motivo dal 1997 il numero di società operanti in agricoltura è aumentato in misura esponenziale.
Successivamente, con l’emanazione della legge 5 marzo 2001 n° 57 il Governo riceveva delega finalizzata alla modernizzazione del settore dell’agricoltura. Seguivano tre Decreti Legislativi (D. lgs. 226/01 – D. lgs. 227/01
– D. lgs. 228/01) che, tra l’altro, integravano l’attività agricola con altre (cosiddetta agricoltura multifunzionale), ridefinivano la figura dell’imprenditore agricolo istituendo la nuova identità dell’Imprenditore Agricolo Professionale ed estendevano altresì tale qualifica anche alle società.
Venivano inoltre dettate norme a riguardo dell’attività agrituristica, dell’imprenditoria agricola giovanile, della vendita al dettaglio di prodotti agricoli e dell’attività agromeccanica.
Il D.lgs. n° 228/01 ridefinisce la nozione civilistica di imprenditore agricolo sostituendo gran parte del testo dell’art. 2135 del Codice Civile con la seguente nuova dizione:
“Imprenditore agricolo: È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Le principali innovazioni rispetto al passato consistono nella variazione da attività di allevamento del bestiame in un più generico allevamento di animali.
Viene inoltre precisato che, sia per la coltivazione del fondo che per l’allevamento di animali, è sufficiente lo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso.
Infine, per quanto riguarda l’esercizio delle attività connesse (e quindi considerate agricole) è stata introdotta la nozione di prevalenza, sia per la trasformazione e la commercializzazione di prodotti, sia per la fornitura di servizi.
E’ opportuno qui ricordare sia la definizione di Coltivatore diretto che quella di Imprenditore Xxxxxxxx Professionale (IAP):
- il primo è il soggetto che svolge abitualmente e manualmente la propria attività in agricoltura, sempreché con la forza lavoro propria e del nucleo famigliare sia in grado di fornire almeno un terzo della forza lavoro complessiva richiesta dalla normale conduzione dell’azienda agricola; l’attività agricola deve comunque essere prevalente rispetto ad altre e costituire la sua maggior fonte di reddito da lavoro;
- il secondo è il soggetto che, in possesso di competenze e conoscenze professionali, dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 del Codice Civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro.
La legge di orientamento n° 57/01 ed il D.lgs n° 228/01 hanno esteso il riconoscimento di Imprenditore Agricolo Professionale anche alle persone giuridiche, ossia alle società di persone e di capitali.
A questo proposito occorre precisare che, ai sensi della legislazione vigente, si è in presenza di una Società Agricola quando:
a) la società ha per oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’art. 2135 del Codice Civile;
b) nella ragione sociale è inserita la denominazione di “società agricola” a prescindere dalla qualifica professionale dei soci.
Affinché ad una società agricola sia attribuita invece la qualifica IAP, ossia di imprenditore agricolo professionale, è necessario che la stessa, oltre ad avere nell’oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’art. 2135 del Codice Civile ed aver riportato nella ragione sociale la dicitura di società agricola, possieda una delle seguenti condizioni:
1) Società di persone: almeno un socio abbia la qualifica di IAP5.
2) Società di capitali: almeno un amministratore abbia la qualifica di IAP.
3) Società cooperative: almeno un amministratore, che deve anche essere socio, abbia la qualifica di IAP.
Il D.lgs 99/04, modificato ed integrato dal D.lgs 101/05, prevede, per le società agricole qualificate Imprenditore Agricolo Professionale (Società di persone con un socio IAP – Società Cooperative e di capitali con un amministratore IAP), il riconoscimento delle agevolazioni tributarie in materia di imposizione indiretta e creditizie stabilite dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto.
Inoltre, sempre ai sensi dell’art. 2 comma 4 bis dello stesso Decreto legislativo, viene stabilito che le medesime agevolazioni sono riconosciute anche alle società agricole di persone con almeno un socio coltivatore diretto, alle società agricole di capitali con almeno un amministratore coltivatore diretto, nonché alle società cooperative con almeno un amministratore socio coltivatore diretto, iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale. La perdita dei requisiti di cui al presente comma nei cinque anni dalla data di applicazione delle agevolazioni determina la decadenza dalle agevolazioni medesime.
Il D.lgs n° 99/04 all’art. 1 comma 2, stabilisce che l’accertamento del possesso dei requisiti qualificanti come Imprenditore Xxxxxxxx Professionale una persona fisica o una società di persone è demandato alle Regioni.
3.2 Scelta del contratto associativo
Esaminata, seppur brevemente ed in termini generali, la normativa sulle società agricole, occorre ora individuare la forma associativa più idonea per la formalizzazione del rapporto di affiancamento del giovane imprenditore agricolo all’agricoltore ultrasessantacinquenne o pensionato.
Si ritiene in proposito che, soprattutto in considerazione della natura del conferimento che il giovane agricoltore, nella fattispecie che ci interessa, deve apportare nella società (prestazione d’opera), la forma societaria più idonea sia quella delle società di persone.
Ai sensi dell’art. 2247 del codice civile, l’obbligo fondamentale a carico di ogni socio è quello di effettuare conferimenti a favore della società di cui fa parte.
Nelle tre tipologie di società di persone (società semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice), se vi è un accordo fra i soci il conferimento può consistere non in denaro o in beni in natura, bensì in servizi lavorativi.
Il socio d’opera è cioè colui che presta a favore della società le sue capacità manuali o intellettive, consentendo alla società stessa di risparmiare i costi che deriverebbero dall’impiego di lavoratori dipendenti.
Come per tutti i conferimenti in natura, anche il valore in denaro delle prestazioni del socio d’opera è stimato concordemente fra i soci. In mancanza di accordi precisi, soccorre l’art. 2253 c.c., che stabilisce che laddove non è previsto diversamente tutti i conferimenti si intendono effettuati in parti uguali.
5 Per le SAS la qualifica si riferisce ai soli soci accomandatari
La figura del socio d’opera è tipica delle piccole realtà produttive, in cui sussiste un forte legame fiduciario fra i singoli soci (il cosiddetto “intuitus personae”) che va oltre i semplici interessi d’impresa. Poiché questo elemento soggettivo si riscontra frequentemente anche nelle società a responsabilità limitata, il legislatore ha stabilito nel 2003 che, in presenza di un’esplicita previsione dell’atto costitutivo, anche nelle S.r.l. può presentarsi la figura del socio d’opera, ma il valore del conferimento deve essere soggetto ad un complesso procedimento di stima da parte di un perito indipendente.
3.3 La società semplice agricola
Tra le società di persone quella che sembra prestarsi più efficacemente e naturalmente alla regolamentazione del rapporto di affiancamento è la società semplice agricola.
L’art. 2251 del codice civile dispone che nella società semplice il contratto non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni conferiti.
Non parlando di atto costitutivo ma semplicemente di contratto, è da ritenersi la forma più elementare di società.
La società semplice non può avere per oggetto un’attività commerciale ma semplicemente un’attività economica: è quindi particolarmente idonea per l’esercizio delle attività agricole.
Poiché nella società semplice la responsabilità per le obbligazioni sociali ricade sia sulla società sia sui soci (art. 2267 del c.c.) è consigliabile definire chiaramente i rapporti procedendo alla costituzione della società semplice nelle forme previste per le altre società di persone, ossia con scrittura privata autenticata o con atto costitutivo redatto da Notaio. Nell’atto costitutivo o nella scrittura privata autenticata è opportuno indicare, oltre ai soci costitutori, la ragione sociale con la dicitura di società agricola, il socio o i soci IAP o coltivatori diretti che apportano la qualifica alla società, ai sensi del D.lgs n° 99 del 29 marzo 2004 e s.m.i.
E’ poi di fondamentale importanza precisare che la società ha per oggetto esclusivo l’esercizio delle attività agricole quali definite dall’art. 2135 del Codice Civile ed in particolare la conduzione e/o la coltivazione di terreni ai fini agricoli ed agroforestali, l’allevamento di animali e l’esercizio delle attività connesse.
Occorre quindi precisare le quote di partecipazione agli utili e di conferimento del capitale sociale dei singoli soci, chi è deputato all’ordinaria e alla straordinaria amministrazione e, nel caso esistano soci non responsabili personalmente delle obbligazioni sociali ai sensi dell’art. 2267 del c.c., è indispensabile formalizzare il patto affinché tale limitazione possa essere opponibile ai terzi.
In presenza di “soci d’opera” (come nella fattispecie in esame), ossia di soci che conferiscono nella società solamente la loro attività manuale, è necessario precisare, relativamente alla ripartizione degli utili di esercizio, la percentuale ad ognuno di essi attribuita a tacitazione di ogni e qualsiasi diritto verso la società per l’opera prestata.
3.4 Il socio d’opera nelle società di persone
Viene definito socio d’opera colui che conferisce in società la propria attività lavorativa, sia essa di natura manuale o intellettuale. Esso differisce dal prestatore di lavoro subordinato, retribuito mediante partecipazione agli utili, in quanto quest'ultimo, "essendo caratterizzato essenzialmente dal rapporto di subordinazione, esclude di per sé l'esistenza di un rapporto di società, che si esplica mediante il concorso nella gestione sociale con diritto agli utili e partecipazione alle perdite" (Cass. n.6855/1982).
Discusso è se il socio d'opera possa essere o meno capitalizzato: se, in altri termini, il socio d'opera possa essere titolare di una rappresentazione nel capitale. Parte della dottrina, sostenendo la distinzione tra conferimenti di capitale (i quali concorrerebbero alla determinazione del capitale sociale) e conferimenti di patrimonio (i quali attribuirebbero soltanto un diritto alla partecipazione agli utili), fa rientrare il conferimento d'opera in quest'ultima categoria, non ritenendolo pertanto capitalizzabile in quanto non iscrivibile a bilancio e insuscettibile di esecuzione forzata; la dottrina prevalente e preferibile, invece, evidenzia come le obiezioni della tesi negativa possano essere superate iscrivendo la prestazione d'opera a bilancio come diritto di credito di cui diventa titolare la società e conseguentemente suscettibile, certamente, di esecuzione forzata. Secondo tale tesi, pertanto, la capitalizzazione, pur non essendo necessaria (socio d'opera puro), è tuttavia possibile (socio d'opera spurio).
Altro problema concerne il rimborso, in sede di liquidazione, del conferimento d'opera non capitalizzato, ossia se questo debba avvenire ai sensi dell'art. 2282 c.c. Quella parte della dottrina che tende a distinguere tra conferimenti di capitale e conferimenti di patrimonio, propende per l'inconfigurabilità di un diritto al rimborso in capo al socio d'opera non capitalizzato; per converso, la tesi preferibile, nonché la stessa Cassazione (Sent. n. 5126/1985), ritiene non vi sia ragione di negare il rimborso anche al socio d'opera non capitalizzato, soprattutto in quanto lo stesso art. 2282 c.c., nel fare riferimento al rimborso dei conferimenti, non compie alcuna distinzione circa la natura di questi ultimi. Infine, ci si domanda se nella società in accomandita semplice sia ammissibile che un socio accomandante, il quale ex art. 2313 c.c. risponde "limitatamente alla quota conferita", effettui esclusivamente un conferimento d'opera: parte della dottrina, basandosi sul dato normativo dell'art. 2313 c.c., ritiene che ciò sia inammissibile, tanto più se si tiene conto che la conferibilità dell'opera da parte dei soci senza responsabilità personale sottrarrebbe questi ultimi da qualsivoglia responsabilità in caso di cessazione improvvisa dell'attività conferita. Recentemente, tuttavia, si è andata sempre più affermando in dottrina la tesi dell'ammissibilità del socio d'opera accomandante: tale teoria si concentra sul dettato normativo dell'art. 2315 c.c., laddove si prevede che "alla società in accomandita semplice si applicano le disposizioni relative alla società in nome collettivo", tra le quali debbono ricomprendersi quelle che espressamente prevedono il conferimento d'opera (artt. 2263, 2 co., 2286, 2 co., 2295 n.7, c.c.). Inoltre, tratto distintivo della S.a.s. non sarebbe il regime di responsabilità bensì la riserva d'amministrazione a favore dell'accomandatario.
3.5 La cessazione del rapporto sociale
Poiché l’art. 6 della legge 154/2016 prevede che la durata del rapporto di affiancamento non possa essere superiore ai tre anni, nell’ipotesi in cui il giovane imprenditore agricolo entri a far parte della società gestita dall’anziano agricoltore e diventi socio della stessa mediante conferimento della propria opera, il contratto sociale dovrà prevedere che la prestazione stessa abbia una durata non superiore ai tre anni. Sulla base della
valutazione economica che sarà attribuita al conferimento della prestazione sarà determinata anche la quota di partecipazione del giovane imprenditore agli utili e alle perdite.
Il contratto sociale dovrà altresì prevedere la facoltà di recesso del giovane imprenditore agricolo anche in assenza di una giusta causa o di gravi motivi. Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 2285 c.c. dettato in tema di società semplice, tuttavia applicabile anche alle altre società di persone, “ogni socio può recedere dalla società solo quando questa è contratta a tempo indeterminato o per tutta la vita di uno dei soci”.
Ai sensi della citata norma codicistica il recesso può essere altresì esercitato solo nei casi previsti nel contratto sociale ovvero quando sussiste una giusta causa. Il recesso naturalmente dovrà prevedere un congruo preavviso la cui durata non dovrà essere inferiore ai tre mesi.
L’estinzione del rapporto sociale tra l’anziano agricoltore ed il giovane imprenditore agricolo potrebbe avvenire anche a seguito della esclusione di quest’ultimo. Tale esclusione, ai sensi dell’art. 2286 del codice civile, può avere luogo solo per gravi inadempimenti alle obbligazioni che derivano dalla legge o dal contratto sociale. Nel caso di nostro interesse, e cioè nell’ipotesi in cui il giovane imprenditore agricolo abbia conferito nella società la propria opera, l’esclusione può essere altresì disposta per la sua sopravvenuta inidoneità a svolgere l’opera conferita.
In ogni caso, a seguito della cessazione del rapporto sociale del giovane imprenditore agricolo dovuta a qualsiasi motivo, si aprirà la fase preordinata alla liquidazione della sua quota sociale in base alla situazione patrimoniale della società considerata alla data di cessazione del rapporto.
La liquidazione della quota del giovane imprenditore socio d’opera potrà avvenire alternativamente in due modi:
- attraverso la corresponsione da parte della società di una somma di denaro pari al valore della sua quota sociale con conseguente riduzione del capitale sociale;
- ovvero attraverso l’acquisto della sua partecipazione sociale, al valore stimato alla data del suo recesso, da parte dell’anziano agricoltore.
Infine, poiché la legge 154/2016 all’art. 6 precisa che la durata del rapporto di affiancamento non potrà essere superiore ai tre anni, occorre precisare che al momento dell’ingresso del giovane imprenditore nella società agricola le parti (ossia il giovane imprenditore agricolo e l’anziano agricoltore) dovranno stipulare un accordo a latere (patto parasociale) con il quale disciplinare la cessazione del rapporto alla scadenza dei tre anni.
Tale accordo dovrà prevedere due opzioni:
a) nel caso in cui il giovane imprenditore agricolo, alla scadenza dei tre anni, intendesse subentrare occorrerà prevedere l’obbligo dell’anziano agricoltore a cedere a quest’ultimo la sua partecipazione nella società agricola, disciplinando le modalità attraverso le quali tale partecipazione dovrà essere valutata e ceduta;
b) nel caso in cui, alla scadenza dei tre anni, il giovane imprenditore non intendesse subentrare nell’azienda agricola, si dovrà prevedere viceversa l’obbligo dello stesso giovane imprenditore di cedere la sua quota sociale all’anziano agricoltore disciplinando anche in tal caso le modalità e i termini della valutazione economica della quota stessa.
In tale scrittura le parti potranno anche prevedere le forme di compensazione, previste dall’art. 6 della legge 154/2016, in favore del giovane agricoltore sia nell’ipotesi in cui, alla scadenza dei tre anni il medesimo non intenda subentrare nell’azienda agricola (acquistando la quota sociale dell’anziano agricoltore) sia nell’ipotesi in cui il giovane imprenditore intenda recedere anticipatamente dal rapporto di affiancamento (esercitando il recesso nella sua qualità di socio).
3.6 Bibliografia
Xxxxxxxx X. (2008), Attività e impresa agricola, Milano, Xxxxxxx.
Xxxxxxxx E., (2001), Le società di persone, Giurisprudenza d'impresa, Vol. VII, Cedam (a cura di)
Xxxxxxxxx V. (1995), Società in nome collettivo, in Il codice civile commentato, diretto da X. XXXXXXXXXXX, artt. 2291 – 2312
Cuomo P. (2017), Conferimento d'opera e capitale sociale nelle società di persone in Rivista delle società
Sabato F. (2003), Ancora sul captale nelle società di persone, in Riv. delle Società, n. 1, gennaio – febbraio 2003, p. 247
Xxxxx X., (1987) voce Associazione in partecipazione, in delle Discipline Privatistiche, sezione commerciale, I,Utet, Torino, p. 503
Xxxxxxx X., voce Società semplice, in Novissimo Digesto Italiano, Vol. XVII Utet, Torino
Menti P. (2003), Socio d'opera e conferimento del valore nella s.r.l., Quaderni di giurisprudenza commerciale, Xxxxxxx, Milano,
Toscano N.A. (2010), Il socio d'opera e le vicende del suo conferimento, in Xxx. xx xxxxxxx xxxx'xxxxxxx, x. 0
4. IL RAPPORTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
4.1 Preambolo
Come noto, con l’entrata in vigore del D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, che ha riformato per l’ennesima volta il lavoro autonomo (prestazioni d’opera, art. 2222 c.c., e prestazioni d’opera coordinate e continuative, art. 409, n. 3, c.p.c.) non è più possibile stipulare contratti a progetto.
Ne consegue che per effetto del quadro regolatorio introdotto dal citato D. Lgs. n. 81/2015, il committente può scegliere di ricondurre una prestazione lavorativa resa a proprio favore da un collaboratore nelle forme della collaborazione coordinata e continuativa (art. 409, n. 3, c.p.c.) ovvero in quelle della prestazione d’opera (art. 2222 c.c.), a seconda delle caratteristiche obiettive dell’attività svolta dal collaboratore.
Per lavoro autonomo si intende un rapporto di lavoro svolto senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, in un contesto di totale autonomia organizzativa, che può presentare caratteristiche proprie del lavoro autonomo per la realizzazione di un’opera, oppure di lavoro autonomo occasionale o, infine, di lavoro autonomo in regime fiscale di partita IVA. L’autonomia della prestazione ne è, infatti, l’elemento caratterizzante: il dettato normativo dell’art. 2222 c.c. parla di lavoro svolto «senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente».
Il lavoro autonomo, quindi, si caratterizza per l’assenza degli elementi che connotano tipicamente l’etero- determinazione e l’etero-direzione del rapporto di lavoro subordinato e per l’assoluta autonomia organizzativa del prestatore di lavoro, in particolar modo per quanto riflette l’ambito spazio-temporale in cui viene svolta la prestazione lavorativa.
L’art. 2 del D. Lgs. 81/2015, rubricato “Collaborazioni organizzate dal committente”, al primo comma, infatti, stabilisce: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.”
Il lavoro autonomo, nelle sue tre forme (d’opera, occasionale, in partita IVA), ovviamente, è un rapporto che sorge su base negoziale e più precisamente nell’alveo di un contratto di scambio a prestazioni corrispettive (sinallagmatiche) dove a fronte della prestazione lavorativa resa, valutata però in termini di opera o di servizio realizzati o di risultato conseguito, vi è il corrispettivo pecuniario del pretium pattuito per l’esecuzione di quanto richiesto a regola d’arte, che deve essere determinato ai sensi dell’art. 2225 c.c.
Altro requisito importante ai fini della corretta qualificazione del lavoro autonomo (d’opera, in prestazione occasionale o in regime di partita IVA) è dato (sempre dall’art. 2222 c.c.) dal «lavoro prevalentemente proprio» del prestatore, che distingue ‒ qui in termini commerciali, più che lavoristici ‒ il lavoratore individuale e il piccolo imprenditore (artigiano, coltivatore diretto e piccolo commerciante) dall’imprenditore che, ai sensi degli artt. 2082 e 2086 c.c., organizza il lavoro altrui.
Per inciso, giova ricordare che, proprio l’elemento dell’organizzazione dei mezzi e della struttura imprenditoriale concorre a distinguere (ai sensi dell’art. 1655 c.c. e dell’art. 29 D. Lgs. n. 276/2003) il lavoro autonomo “puro”, nelle forme del contratto d’opera o di servizio, dal contratto di appalto (d’opera o di servizi).
Rileva così, anzitutto, il lavoro autonomo come definito dall’art. 2222 c.c., vale a dire le prestazioni lavorative relative ai contratti con i quali il lavoratore si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.
Sotto altro profilo, ma ancora sul piano definitorio, il comma 1 dell’art. 15 della legge sul Jobs Act (Legge 22 maggio 2017, n. 81), ha modificato l’art. 409, n. 3) c.p.c. delineando in modo più preciso la nozione giuslavoristica di collaborazione coordinata e continuativa e chiarendo che la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza in modo autonomo l’attività lavorativa.
L'abrogazione degli artt. 61-69 del D. Lgs. n. 276/2003, disposta dal più volte citato D. Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, non consente, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto, di stipulare nuovi contratti di lavoro a progetto o di prorogare quelli precedentemente costituiti giunti, nel frattempo, a scadenza. Ciò non di meno, come notato, è consentito fare ricorso ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, senza alcuna distinzione tra prestazioni occasionali (art. 61, comma 2, D. Lgs. n. 276/2013) o no (se non ai soli fini fiscali).
In altri termini, è consentito dedurre in un contratto di lavoro autonomo prestazioni d'opera svolte in modo prevalentemente personale, coordinate per il tramite del potere di istruzione del committente, che possono avere ad oggetto tanto risultati singoli (l'opera, ad esempio l'installazione di uno specifico macchinario) che risultati destinati a ripetersi nel tempo per soddisfare un interesse continuativo del committente (il servizio, ad esempio la ripetizione di interventi di manutenzione necessari a mantenere in efficienza un sistema di irrigamento).
Il rapporto di affiancamento tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo, potrà quindi essere formalizzato anche per il tramite di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, adeguato alle specificità proprie del rapporto di affiancamento.
Tale forma contrattuale, però, potrà essere adottata solo ed unicamente nel rapporto di affiancamento del giovane imprenditore agricolo in forma individuale e non associata, in quanto l’elemento essenziale del contratto di lavoro autonome e, nello specifico, del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, è costituito dalla prestazione d’opera svolta in modo prevalentemente personale dal soggetto che presta la propria collaborazione.
4.2 La disciplina civilistica
Le norme del Codice civile che regolamentano lo svolgimento della prestazione lavorativa resa in costanza di un lavoro autonomo occasionale, ovvero di un contratto d’opera o di un lavoro in regime di partita IVA, hanno tutte carattere meramente dispositivo, pertanto devono ritenersi senza dubbio derogabili dal committente e dal prestatore autonomo.
Ne consegue che la disciplina in concreto del contratto di lavoro autonomo rimane sostanzialmente demandata all’esercizio individuale della piena autonomia negoziale. Pertanto, quanto disposto dagli artt. 2223-2228 c.c. – in merito alla fornitura dei materiali, alla esecuzione dell’opera (o del servizio), al corrispettivo, alla difformità e ai vizi dell’opera, alle modalità di recesso unilaterale e alla impossibilità sopravvenuta – rimangono nella piena disponibilità normativa delle parti del contratto individuale.
Anche se la forma scritta non è obbligatoria, in quanto l’art. 2222 c.c. non la richiede, appare senz’altro opportuna perché attribuisce maggiori garanzie, sia sotto il profilo probatorio che per quanto attiene alla certezza del rapporto. A tale riguardo, rileva, inoltre, la previsione ora introdotta dall’art. 3, comma 2, della legge n. 81/2017 circa la tutela del lavoratore autonomo che richieda al committente di trasferire in un atto scritto l’accordo contrattuale.
Nel procedere alla redazione scritta del contratto sarà opportuno precisare che l’attività che sarà prestata dal giovane imprenditore agricolo non comporta nel modo più assoluto un suo inserimento funzionale nell’azienda, rispetto alla quale rimane un collaboratore di supporto esterno e che la sua attività sarà svolta in completa autonomia organizzativa, in particolare modo per quanto attiene i tempi e le modalità di esecuzione delle prestazioni.
Ricordiamo, infatti, che l’art. 2 del D. Lgs 81/2015 che disciplina le Collaborazioni organizzate dal committente, pone una presunzione legale di lavoro di natura subordinata dei rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, svolte in modo continuativo, se le modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Il prestatore autonomo deve, quindi, rimanere pienamente ed effettivamente libero di individuare la propria organizzazione operativa e produttiva e di svolgere l’attività commissionata in assoluta autonomia, senza vincoli nei confronti del committente, né di coordinamento, né di orario.
Qualora, infatti, il committente abbia fatto svolgere prestazioni di lavoro nelle forme del lavoro autonomo (collaborazione coordinata e continuativa), in assenza degli elementi essenziali di autonomia richiesti dalla legge, il rapporto di lavoro è considerato di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione dello stesso, essendo il contratto nullo per contrasto con norme imperative.
In caso di disconoscimento di un contratto d’opera o di lavoro autonomo, inoltre, i funzionari ispettivi del Ministero del Lavoro devono applicare anche le sanzioni amministrative applicabili, riguardanti la non corretta instaurazione del rapporto di lavoro, con riferimento a: mancata consegna al lavoratore della dichiarazione di assunzione, prospetto paga e registrazioni nel Libro Unico del Lavoro.
Ciò detto, nel settore privato, per effetto dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, di natura autonoma, quindi non subordinata,
ricadono nello spettro dell’art. 409, n. 3, c.p.c. (espressamente richiamato dall’art. 52, comma 2, del D. Lgs.
n. 81/2015), qualora le prestazioni rese siano gestite autonomamente dal collaboratore, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione imprenditoriale del committente, senza alcuna rilevanza e del tutto indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione del lavoro, senza alcuna forma di etero- organizzazione che incida sul tempo e sul luogo di lavoro (art. 2, comma 1, D. Lgs. n. 81/2015).
Per espressa previsione dell’art. 15 della legge 22 maggio 2017, n. 81 nell’art. 409 c.p.c. si chiarisce che «la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa».
Dopo l’abrogazione, da parte dell’art. 52, comma 1, del D. Lgs. 81/2015, delle norme sul lavoro a progetto che imponevano la riconducibilità generale della quasi totalità delle collaborazioni coordinate e continuative nell’alveo di un progetto specifico, finalizzato a un risultato proprio, permane quindi legittimo il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa, legata ai criteri fissati dal menzionato art. 409, n. 3, c.p.c.
Elementi necessari che debbono caratterizzare la collaborazione coordinata e continuativa, per distinguerla e collocarla al di fuori dell’alveo del rapporto di lavoro subordinato sono il coordinamento concordato fra committente e collaboratore e l’organizzazione autonoma del concreto svolgimento dell’attività lavorativa da parte del collaboratore.
La collaborazione coordinata e continuativa è attuabile anche a tempo indeterminato e non più soltanto a termine.
Nella redazione del contratto non vi è più la necessità (come nel contratto a progetto) di indicare alcun tipo di risultato, parziale o finale, né l’obbligo di individuare un compenso minimo per il collaboratore, da valorizzarsi in base a parametri oggettivi di riferimento, né vi sono preclusioni circa l’individuazione delle modalità di estinzione o di risoluzione del contratto.
Unico limite al libero esercizio (da parte di collaboratore e committente) della autonomia contrattuale - nel combinato disposto fra gli artt. 1322 e 2222 x.x. x 000, x. 0, x.x.x. - xxx xxxxx xxxxxxxxxx legislativa, sempre contenuta nell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015, di estendere l’area della subordinazione e di applicare quindi (dal 1° gennaio 2016) le norme sul lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che presentino contestualmente tre caratteristiche identificative della etero-organizzazione nello svolgimento delle prestazioni di lavoro dedotte nel contratto, e precisamente: 1) l’esecuzione in concreto di prestazioni lavorative esclusivamente personali; 2) la continuità del rapporto; 3) l’organizzazione, da parte del committente, delle modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Sarà, quindi, il parametro della etero-organizzazione ad incidere profondamente sulla qualificazione di una collaborazione coordinata e continuativa alla stregua di un rapporto di lavoro subordinato, in attuazione della presunzione introdotta dall’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015.
Al fine di evitare il rischio che alla collaborazione coordinata e continuativa sia applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, ove le prestazioni lavorative vengano svolte in maniera esclusivamente personale e in modo continuativo sarà, dunque, necessario e imprescindibile che il collaboratore (ossia il giovane imprenditore agricolo) non debba essere tenuto ad osservare determinati orari di lavoro stabiliti dal
committente (ossia dall’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato) né sia tenuto a svolgere la propria attività lavorativa presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente.
La circolare del Ministero del Lavoro n. 3/2016 del 1° febbraio 2016 (che ha fornito le prime indicazioni operative per il personale ispettivo) conferma quanto sottolineato da parte della dottrina, secondo cui si reputa necessario, ai fini dell’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, che sussistano congiuntamente tutti e tre gli elementi caratterizzanti evidenziati: in questo senso i tecnici ministeriali affermano espressamente che le condizioni individuate dal Legislatore «devono ricorrere congiuntamente».
Da quanto precede, non sembra potersi ritenere etero-organizzata la collaborazione nell’ambito della quale le parti concordino preliminarmente, reciprocamente, nella fase di redazione del contratto, le località e le fasce temporali (anche orarie) di svolgimento delle attività dedotte in collaborazione.
Il Ministero, nella citata Circolare n. 3/2016, si sofferma utilmente nell’illustrazione essenziale del significato delle locuzioni utilizzate dal D. Lgs. n. 81/2015, chiarendo che:
• per «prestazioni di lavoro esclusivamente personali» devono intendersi le attività lavorative «svolte personalmente dal titolare del rapporto, senza l’ausilio di altri soggetti», con ciò confermando che non è sufficiente alla automatica estensione della subordinazione una collaborazione continuativa ed etero- organizzata che non sia anche esclusivamente personale perché, ad esempio, il collaboratore si avvale della possibilità di farsi sostituire o aiutare da altri:
• per «continuative», inoltre, devono intendersi le prestazioni che si ripetono in un arco temporale determinato allo scopo di «conseguire una reale utilità».
In merito alla etero-organizzazione della collaborazione, peraltro, il Ministero segnala che l’art. 2, comma 1, del D. Lgs. N. 81/2015 esplicherà tutta la sua efficacia quando le prestazioni di lavoro sono organizzate dal committente «quantomeno» (intesa come azione essenziale e indispensabile di organizzazione) con riguardo alle location e alle fasce temporali (anche orarie) di svolgimento delle attività dedotte in contratto.
Il D. Lgs. N. 81/2015 ha introdotto sostanzialmente una norma sanzionatoria di natura civilistica che riconosce carattere normativo (con riferimento alla disciplina applicabile) di lavoro subordinato alle collaborazioni che abbiano quelle caratteristiche di etero-organizzazione (nelle ipotesi in cui ricorrano tutti e tre gli elementi della personalità, della continuità e, appunto, della organizzazione da parte del committente anche dei tempi e del luogo di lavoro).
Sul piano giuridico, tale sanzione è assimilabile a una presunzione semplice (juris tantum), rispetto alla quale spetta al giudice valutare la piena sussistenza dei caratteri della subordinazione, ammettendo il committente alla prova di una differente sostanza fattuale e giuridica del rapporto di lavoro instaurato, rispetto a quanto presunto dalla norma.
Sostanzialmente, dunque, l’intervento legislativo attuato con il D. Lgs. 81/2015, lungi dall’identificare un tipo contrattuale a sé stante, si limita a caratterizzare i profili di non legittimità della collaborazione coordinata e continuativa come contratto di lavoro non subordinato, facendo derivare dalle «condizioni di etero- organizzazione» le conseguenze «legate ad una riqualificazione del rapporto» con l’effetto di rendere applicabile allo stesso tutti gli istituti normativi ed economici del rapporto di lavoro subordinato.
Per completezza aggiungiamo che oltre alle collaborazioni esentate dal vincolo presuntivo dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. N. 81/2015 (il vincolo di subordinazione di cui abbiamo trattato sinora) per espressa previsione di legge (come stabilito al comma 2 del citato art. 2) sono anche escluse dal campo di applicazione del suddetto vincolo presuntivo:
a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
d-bis) le collaborazioni prestate nell’ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367.
Al comma 3 del citato art. 2 del D. Lgs. N. 81/2015 è stabilito che “Le parti possono richiedere alle commissioni di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 2766, la certificazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.”
a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;
b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto;
c) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382;
c bis) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;
c ter) i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e comunque unicamente nell'ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l'attribuzione a quest'ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.
E’ bene precisare che l’attività di certificazione, peraltro, interessa soltanto la regolamentazione contrattuale delle collaborazioni genuinamente non etero-organizzate, in quanto l’eventuale natura di rapporto di lavoro subordinato potrebbe comunque discendere da un accertamento ispettivo o giudiziale che verifichi che sul piano fattuale le reali modalità di svolgimento in concreto del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sono assoggettate in via esclusiva al potere organizzativo del committente, con specifico riguardo ai tempi e al luogo di lavoro.
Ciò detto, nel caso in cui si opti per la stipula di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, per formalizzare il rapporto di affiancamento tra il giovane imprenditore agricolo e l’agricoltore ultra- sessantacinquenne o pensionato, sarà, comunque, opportuno richiedere alla competente commissione di certificazione l’attestazione dell’assenza dei requisiti di cui al comma 1 dell’art. 2 del D. Lgs n. 81/2015 e, quindi, la non assoggettabilità del contratto stipulato alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Come notato, infatti, non sembra potersi ritenere etero-organizzata la collaborazione nell’ambito della quale le parti concordino preliminarmente, reciprocamente, nella fase di redazione del contratto, le località e le fasce temporali (anche orarie) di svolgimento delle attività dedotte in collaborazione.
Peraltro, occorre precisare, non qualsiasi etero-organizzazione potrà dirsi rilevante ai fini qualificatori della fattispecie nell’alveo della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, giacché inciderà soltanto quella organizzazione del committente che investa direttamente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa anche con riferimento al luogo di svolgimento dell’attività lavorativa e ai tempi di lavoro (e di riposo) del collaboratore.
Il Ministero del Lavoro nella risposta ad Interpello n. 5/2010 e nella Circolare n. 7/2013 ha avuto modo di affermare che la natura autonoma del contratto oggetto di accertamento può essere riconosciuta «a condizione che il collaboratore determini unilateralmente e discrezionalmente», senza necessità di preventiva autorizzazione e successiva giustificazione, la «quantità di prestazione» da eseguire e la «collocazione temporale della stessa».
Sul punto la Cass., Sez. lav., 5 ottobre 2016, n. 19923 ha statuito che: «ai fini dell’accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro, l’inserimento del lavoratore nella organizzazione aziendale e l’utilizzo di beni aziendali, non hanno carattere decisivo in quanto sono elementi tipici anche dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Conseguentemente, in assenza della prova dell’indice caratteristico della subordinazione - ovvero la sottoposizione del lavoratore al potere gerarchico e conformativo della prestazione del datore di lavoro - gli indici sussidiari possono assumere valenza soltanto se univoci».
Resta, inoltre, ferma la possibilità del committente (datore di lavoro) di dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro diverso da quello subordinato a tempo indeterminato, corrispondente anche sul piano fattuale alla tipologia contrattuale (collaborazione coordinata e continuativa) effettivamente prescelta e concordata dalle parti, posto che come notato, il comma 1 dell’art. 2 del D. Lgs. N. 81/2015 pone solo una presunzione legale relativa (che ammette, quindi, la prova contraria) del vincolo di subordinazione nel caso in cui nel rapporto coesistano di fatto contemporaneamente le tre caratteristiche essenziali (previste dalla citata norma) costituite: 1) dalla natura esclusivamente personale della prestazione lavorativa; 2) dal carattere continuativo della prestazione; e 3) dalle modalità di esecuzione delle prestazioni, ove le stesse siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
In ultimo, va aggiunto che la legge 22 maggio 2017, n. 81 (Jobs act autonomi), agli articoli 4, 7, 8, 13 e 14 ha ripristinato (istituendone anche di nuove) le tutele già riconosciute ai collaboratori coordinati e continuativi nella modalità a progetto dal D. Lgs. n. 276/2003, cancellate dal più volte citato D. Lgs. n. 81/2015, in materia di invenzioni, indennità di disoccupazione, maternità, malattia, infortunio, congedo parentale, assicurazione contro gli infortuni e sicurezza sul lavoro.
4.3 Il compenso – la partecipazione agli utili
L’art. 2225 c.c. attribuisce ai contraenti la possibilità di definire liberamente il compenso, precisando che, in mancanza di esplicita pattuizione e di tariffe professionali o usi in base ai quali possa essere definita la misura del compenso, lo stesso verrà determinato dal giudice.
La determinazione giudiziale avverrà in relazione alla natura, quantità e qualità delle prestazioni eseguite, nonché al tempo e ai costi occorrenti per il relativo espletamento, secondo il duplice parametro del risultato per il committente e del lavoro per il prestatore d’opera, quindi al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo (Cass. civ., Sez. II, 8 giugno 2007, n. 13440).
Le parti possono stabilire concordemente l’obbligo per il committente di rimborsare le spese sostenute dal collaboratore per l’esecuzione della prestazione dovuta, a condizione che le stesse vengano dettagliatamente documentate.
L’art. 6 della Legge 28 luglio 2016, n. 154 in materia di affiancamento, nella gestione operativa ed economica dell’azienda agricola, tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo ha, tra l’altro, delegato al Governo (alla lettera e) del primo comma) di stabilire con l’emanando Decreto Legislativo di attuazione le forme di compartecipazione agli utili dell’impresa agricola da parte del giovane imprenditore agricolo.
Come notato, l’art. 2225 c.c. consente ai contraenti di definire liberamente il compenso, pertanto, ove per la formalizzazione del rapporto di affiancamento si opti per il contratto di collaborazione coordinata e continuativa, le parti potranno liberamente stabilire che al collaboratore spetti, a titolo di compenso, una determinata quota degli utili maturati dall’azienda agricola.
Di regola il periodo temporale da considerare come punto di riferimento per determinare l’eventuale maturazione di utili nel corso dell’esercizio dell’attività dell’impresa agricola sarà l’anno solare il cui computo iniziale andrà a coincidere con l’inizio del rapporto di affiancamento, ovvero, in alternativa, l’anno civile (ossia il periodo di 365 giorni compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre) nel qual caso nell’anno iniziale del rapporto di affiancamento il calcolo della quota degli utili maturati sarà rapportata al periodo di effettiva durata del rapporto.
Nello stabilire le modalità di pagamento del compenso del collaboratore parametrato sugli utili maturati dall’impresa nel corso dell’esercizio annuale, le parti potranno stabilire anche il versamento di acconti rinviando alla chiusura dell’esercizio il versamento in dare o in avere del relativo conguaglio.
Pur ancorando il pagamento del compenso all’utile conseguito dall’impresa nel corso dell’esercizio annuale, le parti, a maggior tutela del giovane agricoltore, potranno stabilire anche un minimo garantito, il quale (riducendo l’alea connessa all’erogazione del compenso) assicurerà al collaboratore di percepire, comunque,
una remunerazione prestabilita, anche nel caso in cui al termine dell’esercizio l’impresa agricola non abbia maturato utili o abbia addirittura maturato delle perdite.
In tal caso, alla chiusura dell’esercizio annuale, ove l’impresa agricola abbia maturato degli utili, le somme percepite dal collaboratore a titolo di compenso minimo garantito potranno essere defalcate dalla quota degli utili a lui spettanti.
Al fine di consentire alle parti di effettuare una corretta verifica del risultato finale dell’attività agricola esercitata nel corso dell’anno e di appurare l’eventuale presenza di utili, sarà opportuno che al momento della redazione del contratto venga stabilito anche l’obbligo da parte del titolare dell’azienda agricola di redigere un rendiconto economico dell’attività svolta e di presentarlo al collaboratore entro un termine congruo successivo alla chiusura dell’esercizio annuale prevedendo anche il termine entro il quale l’eventuale quota di utili spettante al giovane imprenditore dovrà essere corrisposta.
In merito alla determinazione dell’entità del compenso spettante al collaboratore, giova ricordare che la recentissima Legge 4 dicembre 2017 n. 172 che ha introdotto il cosiddetto “equo compenso” proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto è stato esteso ben oltre i confini delle professioni ordinistiche. Il riferimento contenuto nella suddetta legge all’art. 1 della Legge n. 81/2017 (Jobs Act Autonomi) farebbe, infatti, pensare ad un’estensione dell’equo compenso (e delle connesse tutele) a tutti i lavoratori autonomi ricompresi nel campo di applicazione di tale norma e quindi anche ai collaboratori coordinati e continuativi.
Ciò implicherebbe che ove il compenso pattuito a favore del collaboratore coordinato e continuativo risultasse non proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto lo stesso potrebbe essere, in teoria, rideterminato dal giudice (del lavoro).
Sembra, pertanto, opportuno che nella determinazione del compenso del giovane agricoltore, anche nel caso in cui il medesimo venga ancorato agli utili di esercizio dell’impresa agricola, sia, comunque, stabilito un compenso minimo garantito.
Ciò al fine di mitigare l’aleatorietà della erogazione del compenso, insita nella pattuizione di legare quest’ultimo all’eventuale e, quindi, incerta, maturazione di utili, e di assicurare al giovane agricoltore una adeguata remunerazione per la quantità e qualità del lavoro effettivamente svolto in favore dell’azienda gestita dall’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato.
4.4 La cessazione del rapporto – il recesso anticipato
L’art. 6 della Legge 28 luglio 2016, n. 154 alla lettera a) del primo comma prevede che la durata massima del processo di affiancamento sia fissata in tre anni.
Ove il rapporto di affiancamento venga strutturato nella forma del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, anche quest’ultimo, quindi, non potrà avere una durata superiore a tre anni.
Alla cessazione del rapporto, intervenuta per lo spirare del termine contrattuale, la Legge di Delega (L. 154/2016) prevede che al giovane agricoltore sia riservata la facoltà di subentrare nella titolarità o nella conduzione dell’azienda agricola oggetto del rapporto di affiancamento.
In tale ipotesi, pertanto, le parti procederanno alla conclusione di un contratto definitivo con il quale l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato cederà o affitterà al giovane imprenditore agricolo la propria azienda.
Nel caso in cui il giovane imprenditore agricolo non opti per il subentro, la suddetta Legge di Delega prevede che al medesimo sia riconosciuta una indennità o altra forma di compensazione.
Oltre che per lo spirare del termine di durata del contratto, il rapporto di affiancamento può cessare anticipatamente, sia per l’eventuale inadempimento di uno dei contraenti, che determini la risoluzione del contratto, sia per volontà di una delle parti o per mutuo consenso di entrambe le parti.
L’art. 2227 c.c. prevede la possibilità per il committente di recedere dal contratto anche dopo che la prestazione autonoma è iniziata, con l’unico limite del pagamento al prestatore di quanto dovutogli per le spese, per i lavori eseguiti e per il mancato guadagno, ossia per l’utile netto che il prestatore avrebbe tratto per l’opera prevista e non eseguita.
Dal suo canto, a mente dell’art. 2237, comma 2, c.c., in tema di contratto d’opera intellettuale, il prestatore d’opera o collaboratore può recedere dal contratto soltanto in ragione di una giusta causa, con diritto al rimborso delle spese e al corrispettivo per l’opera o per il servizio parzialmente eseguiti.
Le norme sul diritto di recesso anticipato del committente e del prestatore d’opera autonomo sono derogabili per volontà delle parti.
E’ stato, infatti affermato, ad esempio, che la previsione della possibilità di recesso ad nutum del cliente nel contratto di prestazione d'opera intellettuale, quale contemplata dall'art. 2237, comma primo, c.c., non ha carattere inderogabile e quindi è possibile che per particolari esigenze delle parti sia esclusa tale facoltà di recesso fino al termine del rapporto; sicché anche l'apposizione di un termine ad un rapporto di collaborazione professionale continuativa può essere sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso così come disciplinata dalla legge, senza che a tal fine sia necessario un patto specifico ed espresso (Cass. n. 5738/2000).
In linea generale, dunque, il committente e il prestatore d’opera possono regolamentare la disciplina del recesso anticipato dal rapporto, rinviando alle norme codicistiche o pattuire condizioni diverse, in funzione delle proprie esigenze, ed escludere, se del caso, per una o per entrambe le parti il diritto di recedere anticipatamente dal rapporto.
Un vincolo è posto dall’art. 3 della Legge n. 81/2017 (Jobs act autonomi), il quale a tutela del lavoratore autonomo dispone che, nel caso di contratti aventi ad oggetto una prestazione continuativa, si considerano abusive e prive di effetto le clausole che attribuiscono al committente la facoltà di recedere senza congruo preavviso.
Nel rapporto di affiancamento del giovane imprenditore agricolo all’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, ove formalizzato attraverso un contratto di collaborazione coordinata e continuativa le parti potranno escludere la facoltà di recedere anticipatamente dal rapporto da parte del committente o, nel caso in cui, invece, venga previsto, dovranno stabilire un congruo termine di preavviso.
Parimenti, le parti potranno prevedere la facoltà di recesso anticipato anche a favore del collaboratore, ossia del giovane imprenditore agricolo.
L’art. 6 della Legge 154/2016, alla lettera i) del primo comma stabilisce che l’emanando Decreto Legislativo; che si concretizzerà poi con la legge di bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017 n. 205, pubblicata in G. U. il 29.12.2017), nei commi 119 e 120 dell’art. 1; dovrà prevedere forme di compensazione a favore del giovane imprenditore agricolo nei casi di recesso anticipato dal rapporto di affiancamento.
Nel silenzio della legge si deve presumere che le forme di compensazione spettino a favore del giovane imprenditore agricolo sia nel caso in cui il recesso sia esercitato dal committente, sia nel caso in cui sia esercitato dallo stesso collaboratore.
Di conseguenza nel contratto dovrà prevedersi che in caso di recesso anticipato di una delle parti dal rapporto di affiancamento, al giovane imprenditore agricolo, oltre al diritto al rimborso delle spese e al corrispettivo per l’opera eseguita sino alla data di efficacia del recesso, spetterà anche un’indennità.
Tale indennità potrà essere determinata sulla base di un criterio ancorato alla effettiva durata del rapporto, in modo tale che la sua entità si incrementi via via che il rapporto si allunghi nel tempo, così da assicurare al giovane imprenditore agricolo un giusto riconoscimento all’impegno prestato anche in funzione della sua durata.
Lo stesso criterio potrà essere, altresì, utilizzato per determinare l’indennità spettante al giovane imprenditore agricolo anche nel caso in cui il rapporto cessi anticipatamente, non per il recesso esercitato da una delle parti, ma per mutuo consenso di entrambe le parti.
4.5 Bibliografia
Rausei P. (2017), Il lavoro autonomo e agile, Ipsoa
Gheido M.R. Xxxxxxx X. (2017), Voce Collaborazioni coordinate e continuative, Dir. E Pratica Lavoro in Codice Civile Commentato, Leggi d’Italia, Ipsoa
Zilio Grandi X. Xxxxxxxxx M. (2016), Voce Le collaborazioni organizzate dal committente, Dir. Lavoro in Codice Civile Commentato, Leggi d’Italia, Ipsoa
Marazza M. (2015), Lavoro autonomo e collaborazioni organizzate nel Jobs Act, Edicola lavoro instant, Il Sole 24 Ore
Xxxxxxxxxxx M. (2002), La collaborazione coordinata e continuativa, Fag
Xxxxxxxxxx X. (2013), Lavoro coordinato e subordinazione. L’interferenza delle collaborazioni a progetto. Bononia University Press
Valsiglio C. Brusaterra M. (2017), Ambito di applicazione delle nuove tutele per il lavoro autonomo, Edicola fisco Instant, Il Sole 24 Ore
Xxxxxxxxxx X. Xxxxxxxxx X. Xxxxxxxxx A. (2017), Jobs Act del lavoro autonomo e smart working, Xxxxxxx
5. IL DIRITTO DI PRELAZIONE DEL GIOVANE IMPRENDITORE AGRICOLO
Secondo i principi e i criteri direttivi dettati dalla Legge di Delega n. 154/2016, all’art. 6, comma 1, lett. h) è previsto che, contestualmente all’instaurazione del rapporto di affiancamento, venga riconosciuto, in favore del giovane imprenditore agricolo un diritto di prelazione, nell’ipotesi in cui l’agricoltore ultra- sessantacinquenne o pensionato si determini a vendere a terzi i terreni oggetto del suddetto rapporto.
In altri termini, presumendo che il suddetto diritto di prelazione debba essere valido per tutta la durata del rapporto di affiancamento, qualora nel suddetto periodo l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato intenda trasferire a titolo oneroso i terreni oggetto del rapporto dovrà darne comunicazione al giovane imprenditore agricolo, in una forma prestabilita convenzionalmente tra le parti o stabilita dalla legge (per es. a mezzo raccomandata A. R. o tramite Ufficiale Giudiziario), indicando nella relativa comunicazione il corrispettivo e le altre condizioni alle quali la vendita dovrebbe essere conclusa, e invitare lo stesso giovane imprenditore agricolo ad esercitare o meno il proprio diritto di prelazione entro un termine prefissato.
Di regola, il termine entro il quale dovrà essere esercitato il diritto di prelazione da parte del giovane imprenditore agricolo dovrebbe essere fissato in trenta o sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione.
Il diritto di prelazione è il diritto di un soggetto a essere preferito a ogni altro, a parità di condizioni, nel caso in cui un altro soggetto (cosiddetto soggetto passivo della prelazione), dovesse decidersi di addivenire alla stipula di un determinato contratto.
Va sottolineato che il diritto di prelazione non pregiudica le libertà della persona soggetta: essa infatti ha piena facoltà di decidere se e in che termini concludere un determinato contratto. L'unico suo obbligo è quello di notiziare il prelazionario e preferirlo qualora quest'ultimo decida di esercitare il proprio diritto.
Il nostro ordinamento prevede diverse forme di prelazione, cosiddette legali, le quali sono disciplinate dal codice civile e da leggi speciali.
Accanto alle prelazioni, cosiddette legali, perché, come notato, previste e disciplinate dalla legge, il nostro ordinamento in ossequio e in applicazione del principio generale di autonomia negoziale di cui all’art. 1322
c.c. ammette che le parti possano stipulare liberamente una convenzione che preveda e disciplini il diritto di prelazione di una di esse. Tale patto assume pertanto il carattere della prelazione volontaria.
Caratteristica fondamentale della prelazione volontaria è la sua rilevanza esclusivamente obbligatoria: in caso di inadempimento e quindi, di violazione del diritto di prelazione il prelazionario avrà solo il diritto al risarcimento del danno e non potrà esercitare alcuna forma di riscatto, diversamente da quanto avviene - generalmente - per le ipotesi di prelazioni legali.
Queste ultime, infatti, hanno - generalmente - efficacia reale e pertanto sono in ogni caso opponibile ai terzi. La prelazione legale, inoltre, è, come notato, assistita da un diritto di riscatto in capo al soggetto preferito, da esercitarsi in caso di violazione del diritto di essere preferiti da parte del soggetto obbligato.
Tra le prelazioni legali ricordiamo ad esempio, in materia agraria, il diritto che spetta innanzitutto al coltivatore diretto che conduce in affitto il terreno da almeno due anni (art. 8, legge n. 590/1965); nel solo
caso in cui il fondo non sia affittato a un coltivatore diretto il diritto di prelazione spetta anche ai proprietari di terreni confinanti che rivestano la predetta qualifica (art. 7, legge n. 817/1971).
In materia locativa, il diritto di prelazione che spetta al conduttore di una unità immobiliare ad uso non abitativo, in caso di trasferimento a titolo oneroso dell’immobile locato (Legge 27 luglio 1978, n. 392).
In attuazione della Legge Delega n. 154/2016 che all’art. 6, comma 1, lett. h) stabilisce espressamente che nella disciplina delle forme di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani imprenditori agricoli, dovrà essere riconosciuto a favore di questi ultimi un diritto di prelazione in caso di vendita dei terreni oggetto del rapporto di affiancamento.
In tal caso, trattandosi di un’ipotesi di prelazione legale, il diritto che spetterà al giovane agricoltore sorgerà automaticamente nel momento in cui tra il medesimo e l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato si instaurerà il rapporto di affiancamento previsto dall’emanando Decreto Legislativo attuativo della Legge n. 154/2016 e la relativa disciplina sarà valida ed uniforme per tutti i rapporti di tale specie.
Nell’ipotesi, meno probabile, in cui l’emanando Decreto Legislativo non regoli la disciplina del diritto di prelazione a favore del giovane imprenditore agricolo, ma si limiti a prevedere che le parti del rapporto di affiancamento dovranno disciplinare il suddetto diritto, troverà ingresso l’ipotesi della prelazione volontaria.
In tale ultimo caso, nel contratto che le parti andranno a stipulare per regolare il rapporto di affiancamento, le stesse dovranno necessariamente prevedere e disciplinare con un’apposita clausola (o in contratto separato, ma contestuale al primo e al medesimo funzionalmente collegato) il diritto di prelazione che il giovane imprenditore agricolo potrà eventualmente esercitare nell’ipotesi in cui, nel periodo di durata del rapporto di affiancamento, l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato intenda vendere i terreni oggetto del suddetto rapporto.
Giova ricordare che ove il Decreto Legislativo di attuazione della Legge n. 154/2016 introduca nell’ordinamento una nuova prelazione, cosiddetta legale, la relativa disciplina potrà escludere in determinate ipotesi il suddetto diritto, così come è già avvenuto in altri casi, come ad esempio nella prelazione urbana ex Legge 392/78, la quale esclude espressamente la prelazione a favore del conduttore in caso di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado o qualora l'immobile oggetto del contratto sia utilizzato per lo svolgimento di attività che non comportano contatti diretti con il pubblico, o quando gli stessi locali siano destinati all'esercizio di attività professionali.
6. IL SUBENTRO E/O LA STIPULA DEL CONTRATTO DI CONDUZIONE
L’art. 6, comma 1, lett. c) della Legge Delega n. 154/2016 stabilisce che il Governo, con l’emanazione del Decreto Legislativo di attuazione, concretizzatosi con la legge di bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017 n. 205, pubblicata in G. U. il 29.12.2017), dovrà definire le modalità di conclusione delle attività di affiancamento, prevedendo le seguenti alternative:
1) la trasformazione del rapporto in forme di subentro tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo;
2) la trasformazione del rapporto in un contratto di conduzione da parte del giovane imprenditore agricolo;
3) le forme di compensazione a favore del giovane imprenditore nei casi diversi da quelli contemplati nei precedenti nn. 1 e 2.
Secondo le previsioni del dettato normativo, quindi, l’evoluzione naturale del rapporto di affiancamento tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo, dovrebbe sfociare nel subentro di quest’ultimo nella titolarità o nella conduzione dell’impresa agricola oggetto del rapporto di affiancamento.
Qualora ciò non avvenga, per volontà delle parti o per motivi indipendenti dalla loro volontà, in alternativa, dovrà prevedersi il diritto del giovane imprenditore agricolo di essere indennizzato.
Contestualmente alla stipula del contratto che regolamenterà il rapporto di affiancamento, le parti dovranno quindi disciplinare anche le modalità del subentro del giovane imprenditore agricolo nella titolarità o nella conduzione dell’impresa agricola, al termine del rapporto, o in alternativa stabilire un indennizzo in favore dello stesso.
Il subentro del giovane imprenditore agricolo comporta il trasferimento, in suo favore, della proprietà o del godimento dell’azienda agricola oggetto del rapporto di affiancamento, da parte dell’agricoltore ultra- sessantacinquenne o pensionato.
Poiché la legge delega prevede un’alternativa rispetto al subentro, in quanto ipotizza che in caso di mancato subentro al giovane imprenditore agricolo spetterà un indennizzo, deve ritenersi che all’inizio del rapporto di affiancamento le parti non debbano necessariamente assumere l’obbligo di trasferire la proprietà o concedere in affitto l’azienda agricola al termine del suddetto rapporto, potendo eventualmente rinviare tale decisione alla conclusione delle attività di affiancamento.
Di conseguenza al momento della stipula del contratto che disciplina il rapporto di affiancamento le parti potranno alternativamente:
• assumere reciprocamente l’obbligo di trasferire la proprietà o la conduzione dell’azienda dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, in favore del giovane imprenditore agricolo, al termine del rapporto di affiancamento, ove lo stesso non venga a cessare anticipatamente rispetto alla sua naturale scadenza. In tal caso, contestualmente alla sottoscrizione del contratto che regola il rapporto di affiancamento le parti sottoscriveranno anche una sorta di contratto preliminare di vendita o di affitto di azienda, escludendo sin dal principio del rapporto la possibilità che il giovane
imprenditore agricolo non subentri nella titolarità o nella conduzione dell’azienda agricola oggetto del suddetto rapporto, fatto salvo naturalmente l’eventuale inadempimento di una delle parti agli obblighi reciprocamente assunti;
• stabilire solo a carico dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato l’obbligo di trasferire, in favore del giovane imprenditore agricolo, la proprietà o la conduzione dell’azienda al termine del rapporto di affiancamento, ove lo stesso non venga a cessare anticipatamente rispetto alla sua naturale scadenza, restando, in tal modo, il giovane imprenditore agricolo, libero di decidere, sino alla scadenza del rapporto, se subentrare nella titolarità o nella conduzione dell’azienda, ovvero di non cogliere tale opportunità e di percepire, in tale ultima ipotesi, un’indennità; in tal caso, contestualmente alla sottoscrizione del contratto che regola il rapporto di affiancamento, le parti stipuleranno un contratto di opzione di acquisto o di conduzione dell’azienda, in favore del giovane imprenditore agricolo, stabilendo le modalità ed i termini per il suo esercizio, ai sensi dell’art. 1331 c.c.7
Come detto, contestualmente alla stipula del contratto che regolerà il rapporto di affiancamento, le parti dovrebbero scegliere se stipulare un preliminare di vendita o di affitto di azienda con il quale, sia l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, sia il giovane imprenditore agricolo, si obbligano entrambi a concludere il contratto definitivo di vendita o di affitto dell’azienda agricola, al termine del rapporto di affiancamento (sempreché il medesimo si sia svolto compiutamente e sia cessato non anticipatamente, ma alla sua naturale scadenza), o se stipulare, in alternativa, un contratto di opzione di acquisto o di affitto dell’azienda agricola, con il quale solo l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato si obbliga a trasferire la proprietà o a concedere in affitto la propria azienda al giovane imprenditore agricolo, al termine del rapporto di affiancamento, sempreché il medesimo si sia svolto per la sua intera durata, restando, in tal caso, il giovane imprenditore agricolo libero di concludere o meno il contratto e potendo, quindi, rinviare la propria decisione al termine del rapporto di affiancamento.
In entrambi i casi i contratti che regoleranno il subentro del giovane imprenditore agricolo nell’azienda dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, alla cessazione del rapporto di affiancamento dovrebbero disciplinare in modo compiuto i termini e le condizioni della futura vendita o del futuro affitto.
Analoghe considerazioni valgono anche nel caso in cui il rapporto di affiancamento venga formalizzato attraverso l’ingresso del giovane agricoltore in una società di persone agricola. In tale ipotesi, come già evidenziato nel capitolo 3, le parti contestualmente alla sottoscrizione del contratto sociale stipuleranno un accordo funzionalmente collegato al rapporto societario con il quale disciplineranno l’eventuale subingresso del giovane imprenditore nell’azienda dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato alla cessazione del rapporto di affiancamento. Tale subingresso potrà essere attuato sia nella forma della cessione o affitto dell’azienda, sia attraverso la cessione delle quote sociali.
Data l’ampiezza del periodo temporale che separa il momento dell’assunzione dell’obbligo di vendere o concedere in affitto l’azienda agricola, da parte dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato - che dovrebbe coincidere con l’inizio del rapporto di affiancamento - e il momento in cui le parti daranno effettiva
7 Art. 1331 c.c.: “Quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall'art. 1329. Se per l'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice.”
esecuzione a tale obbligo - che dovrebbe coincidere con la fine del rapporto di affiancamento - la cui durata può essere stabilita sino a tre anni, potrebbe essere senz’altro difficoltoso stabilire, ora per allora, alcuni elementi essenziali del futuro contratto di vendita o di affitto dell’azienda, ed in particolar modo il corrispettivo, ossia il prezzo di vendita o il canone di affitto.
Il valore venale dell’azienda agricola, infatti, potrebbe variare anche in modo apprezzabile nel corso del rapporto e al termine dello stesso il medesimo potrebbe essere incrementato o diminuito significativamente rispetto al valore iniziale.
Per sopperire a tale eventualità, ove l’emanando Decreto Legislativo non detti una disciplina al riguardo, le parti potranno, se del caso, prevedere nel contratto preliminare o nel contratto di opzione che regolerà la futura vendita o la futura concessione in affitto dell’azienda agricola oggetto del rapporto di affiancamento, che il relativo corrispettivo (ossia il prezzo di vendita o il canone di affitto) potrà essere determinato da un terzo, munito delle necessarie competenze tecniche (ad es. un agronomo o un ingegnere), nominato di comune accordo tra loro ovvero, in caso di disaccordo, dal Presidente del Tribunale o dal Presidente della locale Camera di Commercio (o da altro Ente indipendente), il quale assumerà la funzione di arbitratore, ex art. 1349 c.c.
Il tale ipotesi, il terzo, cosiddetto arbitratore, procederà alla valutazione economica dell’azienda e determinerà, in base ad un equo apprezzamento, il corrispettivo dovuto per la vendita o la concessione in affitto dell’azienda agricola al momento della cessazione del rapporto di affiancamento, e la relativa valutazione sarà vincolante per entrambe le parti.
Come stabilito dalla Legge Delega, l’emanando Decreto Legislativo dovrà anche stabilire le forme di compensazione a favore del giovane imprenditore agricolo nel caso in cui alla cessazione del rapporto di affiancamento quest’ultimo, per sua volontà o per motivi indipendenti dalla sua volontà, non subentri nella titolarità o nella conduzione dell’azienda dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato.
Al momento della costituzione del rapporto di affiancamento, pertanto, le parti, dovranno anche stabilire, la forma in cui il giovane imprenditore agricolo sarà compensato nell’ipotesi in cui, alla cessazione del rapporto, non voglia o non possa subentrare nella titolarità o nella conduzione dell’azienda dell’agricoltore ultra- sessantacinquenne o pensionato.
E’ presumibile che una forma di compensazione del giovane agricoltore che non subentri nella titolarità o nella conduzione dell’azienda dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, al termine del rapporto di affiancamento, possa essere costituita dalla corresponsione, da parte di quest’ultimo, di una somma di denaro, la quale potrà essere prestabilita in misura fissa sin dall’inizio del rapporto, o potrà essere commisurata all’incremento di valore acquisito dall’azienda agricola nel corso del rapporto stesso, e ciò anche in esito alle migliorie e alle innovazioni eventualmente apportate all’azienda, in esecuzione ed attuazione del progetto imprenditoriale inizialmente presentato dal giovane imprenditore agricolo e posto alla base del rapporto di affiancamento.
7. ANALISI DELLA DISCIPLINA ADOTTATA DA ALTRI PAESI EUROPEI PER FAVORIRE IL PASSAGGIO GENERAZIONALE IN AGRICOLTURA
In questo ultimo capitolo si analizzano brevemente, e senza alcuna pretesa di esaustività, le azioni compiute da alcuni degli altri paesi europei per favorire il passaggio generazionale nell’ambito della gestione delle imprese agricole. Si deve, comunque, subito precisare che non tutti i paesi europei si sono premurati di approntare strumenti particolari o discipline specifiche per favorire il subentro dei giovani nella titolarità o, comunque, nella gestione delle aziende agricole, il cui passaggio generazionale, in alcuni paesi, viene lasciato esclusivamente all’iniziativa dei singoli.
7.1 La Francia
La Francia ha adottato da molti anni una legislazione particolare per favorire il passaggio generazionale delle imprese in vari settori delle attività produttive.
Nel settore agricolo, nel 2014 ha rinnovato il quadro normativo che disciplina il primo insediamento e la trasmissione dell’impresa agricola tra l’agricoltore che per motivi di età si accinge a cessare la propria attività e i giovani imprenditori (estranei al suo nucleo familiare) che intendono subentrare nell’impresa.
Secondo una stima del Governo Francese, nei prossimi cinque anni circa il 20% dei terreni agricoli vedranno un cambiamento della proprietà o del possesso. In base a tale stima, infatti, ogni anno quasi 16.000 imprenditori agricoli raggiungeranno l'età della pensione e potranno trasferire la propria azienda.
7.1.1 Gli aiuti a sostegno del ricambio generazionale in agricoltura
Per agevolare il ricambio generazionale il Governo, in collaborazione con Le Chambres d'Agriculture, ha promosso un programma quinquennale per il subentro nelle aziende condotte da potenziali pensionati.
Il programma prevede sia dei servizi per l'imprenditore cedente e per il giovane che vuole subentrare sia degli aiuti specifici in termini monetari.
L’attuazione del programma è stato demandato alle Regioni. Nell’ambito dei servizi il programma prevede:
Per gli Agricoltori cedenti
a) L’iscrizione nel Registro per la dismissione dell'azienda RDI (Répertoire Depart d'Istallation)
Il registro è tenuto presso le Camere dell'Agricoltura di ogni singolo Compartimento e la sua finalità è quella di incoraggiare i futuri venditori a iscriversi in RDI per cercare un giovane acquirente ed evitare che il terreno rilasciato venga utilizzato per espandere le aziende esistenti.
È previsto che, tranne che in caso di forza maggiore, almeno tre anni prima del pensionamento, gli imprenditori agricoli debbano informare l'autorità amministrativa della loro intenzione di cessare l'attività agricola e indicare le caratteristiche di quest'ultima, precisando se, al momento della cessazione, essa sarà disponibile.
Al fine di facilitare tale adempimento i servizi e gli enti responsabili della gestione delle pensioni debbono informare individualmente ciascun agricoltore di tale obbligo, quattro anni prima che raggiunga l'età richiesta per beneficiare della pensione.
b) La gestione parziale dei costi di audit
Sono previsti degli aiuti finalizzati ad incoraggiare la realizzazione di un audit dell'impresa agricola che può essere ceduta.
L'audit è previsto per facilitare il processo di subentro: esso, infatti, consente di verificare la vitalità economica dell'impresa e di definire un piano di sviluppo, nonché il conseguente fabbisogno finanziario per il giovane che subentra.
c) Gli aiuti alla cessione in locazione dell’abitazione dell’agricoltore
Sono previsti degli aiuti destinati a incoraggiare l’agricoltore a cessare l’attività trasmettendo la sua terra a un giovane che si insedia, affittando a quest’ultimo la parte "residenziale" degli edifici e/o la casa colonica.
d) Gli aiuti alla trasmissione progressiva del capitale
Sono previsti degli aiuti destinati a incoraggiare il trasferimento progressivo dell’impresa agricola in favore del giovane imprenditore, attraverso il trasferimento frazionato nel tempo delle quote della società che gestisce l’azienda agricola, al fine di facilitare il subentro ed evitare un eccessivo indebitamento del giovane agricoltore.
Per i proprietari dei terreni
e) Gli aiuti alla stipula di contratti di Leasing
Sono previsti degli aiuti destinati ad incoraggiare i proprietari terrieri a cedere i loro terreni. Questi aiuti sono rivolti esclusivamente ai proprietari che non si dedicano all’agricoltura. Tale supporto intende favorire la conclusione di contratti di locazione dei terreni agricoli a lungo termine a beneficio dei giovani agricoltori, con facoltà di questi ultimi di riscattare i terreni alla fine della locazione.
f) Gli aiuti alla stipula di un accordo con la SAFER (Ente Fondiario Nazionale)8
Sono previsti degli aiuti volti ad incoraggiare i proprietari terrieri a stipulare un accordo con la SAFER finalizzato alla costituzione di un’unità aziendale che assicuri un reddito adeguato e/o per ricercare un giovane agricoltore disposto ad acquistarla.
Per il giovane agricoltore che intende subentrare nell’impresa agricola
g) Sponsorizzazione dello stage nell’azienda cedente
L’obiettivo di questo aiuto è quello di consentire al candidato interessato a subentrare in un’impresa agricola di lavorare a fianco dell’agricoltore che intende lasciare la propria attività e/o comunque di lavorare all’interno di un’azienda agricola, allo scopo di acquisire le necessarie competenze professionali.
Questo tirocinio è riconosciuto come vera e propria formazione professionale. Il che implica che la relativa remunerazione sia pagata dallo Stato o da un Ente Locale e che il giovane tirocinante goda dell’assicurazione sociale.
Il tutoraggio dello stage può essere svolto dai consiglieri della Camera dell’Agricoltura.
7.1.2 Il Contratto generazionale in agricoltura
Con la Legge per l’avvenire dell’agricoltura del 13 ottobre 2014 (LOI n° 2014-1170 du 13 octobre 2014 d'avenir pou l'agricolture, l'alimnetation e la foret) che, come notato, ha rinnovato il quadro normativo che disciplina il primo insediamento e la trasmissione dell’impresa agricola a favore dei giovani agricoltori, la Francia ha adattato all’obiettivo della trasmissione dell’impresa agricola l’istituto del cosiddetto Contratto generazionale (Contract de gènèration), già previsto anche per altri settori.
L’obiettivo perseguito è quello di favorire il ricambio generazionale, mantenendo vitali le imprese esistenti, in modo che non si riduca il numero complessivo delle imprese agricole attive.
Le condizioni per beneficiare di questo contratto e dei relativi aiuti sono le seguenti:
- l’imprenditore agricolo deve avere un’età di almeno 57 anni, deve lavorare a tempo pieno nell’impresa agricola e deve continuare a lavorare nella stessa per tutta la durata dell’aiuto, nella prospettiva di trasferire l’azienda a un giovane che non sia un familiare o parente sino al terzo grado;
- il giovane imprenditore agricolo intenzionato a subentrare nell’impresa dell’anziano agricoltore deve avere un’età di almeno 26 anni e non più di 30 nel momento in cui accede nell’azienda nel caso in cui venga assunto come dipendente nel periodo che precede il subentro;
- in alternativa, il giovane imprenditore agricolo intenzionato a subentrare nell’impresa dell’anziano imprenditore deve avere un’età non superiore a 30 anni nel momento in cui accede nell’azienda, nel caso in cui venga assunto come tirocinante nel periodo che precede il subentro;
- quando il background del giovane o la sua situazione lo richiedano, il medesimo, con il suo consenso, può essere assunto a tempo parziale; in tal caso, però, le sue ore settimanali di lavoro non possono essere inferiori ai quattro quinti (80%) delle ore settimanali previste per il lavoro a tempo pieno;
- quando la persona assunta è un tirocinante, l’importo dell’aiuto concesso all’impresa è pari a € 2.000,00 all’anno;
- quando la persona assunta è un dipendente9, l’importo dell’aiuto concesso all’impresa è pari a €4.000,00 all’anno;
- se nel corso del rapporto il tirocinante diventa dipendente l’importo dell’aiuto viene aumentato;
- nel caso in cui il giovane dipendente o tirocinante svolga il suo lavoro a tempo parziale l’entità dell’aiuto concesso all’impresa viene ridotto proporzionalmente;
- la durata massima dell’aiuto concesso per favorire il subentro del giovane imprenditore nell’impresa xxxxxxxx non può essere superiore a 3 anni;
- quando l’anziano imprenditore xxxxxxxx non è il proprietario di tutta o parte dell’azienda da trasferire, l’erogazione dell’aiuto economico è subordinato all’accordo del proprietario di trasferire al giovane imprenditore il contratto di affitto dei terreni;
- qualora il rapporto di tirocinio o di dipendenza tra l’anziano agricoltore e il giovane cessi anticipatamente, per qualsiasi ragione (recesso o licenziamento) l’erogazione dell’aiuto viene interrotta;
- nel caso in cui l’anziano imprenditore agricolo non mantenga l’impegno di trasferire la propria impresa al giovane imprenditore agricolo, il medesimo sarà tenuto a restituire tutte le somme ricevute a titolo di aiuto dallo Stato o dalla Regione;
- l’aiuto non può essere cumulato con altri aiuti a favore dell'inserimento, dell'accesso o del ritorno all'impiego finanziati dallo Stato, ad eccezione del contratto di professionalizzazione; inoltre, non può essere cumulato con l'aiuto allo stage di sponsorizzazione finanziato dallo Stato o dalle autorità locali;
- l'aiuto, inoltre, non può essere concesso all'azienda agricola quando questa non è in regola con i suoi obblighi dichiarativi e di pagamento per quanto riguarda la riscossione dei contributi previdenziali o assicurativi.
Prima o dopo la conclusione del contratto con il quale subentra nell’azienda, il giovane può richiedere il supporto di una consulenza da parte delle Camere dell’Agricoltura.
Dal suo canto, l’azienda cedente può ricevere un aiuto per la realizzazione di un audit, quando tale audit è necessario per facilitare il processo di subentro del giovane imprenditore agricolo.
7.2 L’Irlanda
Per favorire il ricambio generazionale in agricoltura, l’Irlanda ha di recente varato delle agevolazioni fiscali in favore degli anziani agricoltori che intendono cedere la loro impresa e dei giovani imprenditori che intendono subentrare nelle stesse.
I recenti incentivi fiscali promossi dal Governo Irlandese, che sono disciplinati dalla Sezione 667D del “Taxes Consolidation Xxx 0000”, hanno ottenuto l’approvazione degli aiuti di Stato da parte della UE.
Per poter godere delle suddette agevolazioni, le imprese agricole devono preventivamente iscriversi nel Registro degli Accordi per la successione delle imprese agricole (Register of Succession Farm Partnerships) tenuto presso il Ministero dell’Agricoltura dell’Alimentazione e della Pesca (DAFM).
Tale registro è stato aperto il 1° giugno 2017.
Tali agevolazioni sono costituite da un credito di imposta annuale sul reddito pari a € 5.000,00 per un periodo massimo di 5 anni.
Il credito viene ripartito annualmente in base al rapporto di partecipazione agli utili della partenership tra l’anziano agricoltore e il giovane imprenditore agricolo.
I requisiti per poter beneficiare del credito d’imposta sul reddito sono i seguenti:
1 – Come detto, occorre necessariamente che l’accordo di partnership tra l’anziano agricoltore e il giovane imprenditore sia registrato presso il Registro degli Accordi per la successione delle imprese agricole presso il DAFM.
3 – L’accordo che prevede il subentro deve essere stipulato da persone fisiche che costituiscono o diventano socie di una società di persone.
4 – La società può essere partecipata sino a un massimo di 10 persone, ma solitamente è costituita solo tra l’anziano agricoltore e il giovane imprenditore agricolo.
5 – Almeno uno dei soci (l’anziano agricoltore) deve essere una persona fisica che, nei 2 anni precedenti all’accordo che prevede il subentro, abbia gestito un’azienda agricola che abbia un’estensione di almeno 3 ettari.
6 – Oltre all’agricoltore di cui al precedente punto 4 l’altro socio o gli altri soci devono essere dei giovani agricoltori già formati al quale (o ai quali) deve essere assegnata una quota pari al 20% degli utili dell’impresa.
7 – Il giovane che partecipa all’accordo che prevede il suo subentro nell’impresa xxxxxxxx deve avere un’età inferiore ai 40 anni al momento della sua conclusione.
8 – Contestualmente alla costituzione della società di persone tra l’anziano agricoltore e il giovane imprenditore, o all’ingresso di quest’ultimo nella società, entrambi debbono sottoscrivere un separato accordo giuridicamente vincolante con il quale l’anziano agricoltore si impegna a cedere al giovane imprenditore, che a sua volta si obbliga ad acquistare, l’intera azienda agricola o, in alternativa, almeno l’80% dei beni aziendali indicati nel contratto.
9 – Il contratto con il quale l’anziano agricoltore si obbliga a cedere al giovane imprenditore la sua azienda agricola, o l’80% dei suoi beni aziendali, deve indicare la data stabilita per il trasferimento. L’anno del trasferimento deve essere compreso tra i 3 e i 10 anni dalla registrazione del contratto.
Per facilitare il subentro del giovane imprenditore nell’azienda dell’anziano agricoltore, dopo la registrazione dell’Accordo che prevede tale subentro il giovane agricoltore può richiedere un finanziamento agevolato nell’ambito delle sovvenzioni previste dal programma di sviluppo rurale.
Dopo il trasferimento dell’azienda agricola o dell’80% dei beni aziendali in favore del giovane imprenditore, effettuato secondo le modalità e i termini stabiliti nell’Accordo stipulato con l’anziano agricoltore le due parti
possono alternativamente porre termine alla loro partnership ovvero proseguire la suddetta partnership per un ulteriore periodo, variando a loro discrezione i termini dell’accordo originario e prevedere ad esempio una diversa ripartizione degli utili di esercizio, non essendo più vincolati al rispetto delle regole che disciplinano il subentro e che costituiscono il presupposto per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per favorire il ricambio generazionale in agricoltura.
7.3 L’Austria
L'Austria ha un contratto speciale che regolamenta la successione extra-familiare in agricoltura. Tale contratto prende il nome di Leibrente e costituisce la forma classica e più importante per la successione extra- familiare delle aziende agricole. La sua base legale è costituita dagli articoli 1284, il 1285 e il 1286 del Codice civile austriaco. Il termine Leibrente può essere tradotto in italiano come contratto di rendita o di vitalizio. In estrema sintesi si tratta di un contratto di natura privatistica contenente tutti i diritti e doveri di entrambe le parti, stipulato tra il successore e il cedente. Il successore, in genere un giovane aspirante agricoltore, si impegna a versare una certa quantità di denaro a cadenza mensile al cedente, un agricoltore anziano disposto a lasciare l’azienda. Tale versamento accompagnerà l’anziano imprenditore per tutto il resto della sua vita.
Il contratto è stipulato davanti ad un notaio e l’importo da versare mensilmente varia ovviamente da caso a caso in funzione del valore dell’azienda e degli indicatori di longevità calcolati statisticamente.
Il valore del contributo mensile potrebbe essere ridotto sulla base di accordi particolari raggiunti tra il cedente e il successore. Il successore potrebbe, a fronte di una riduzione dell’importo da versare mensilmente, garantire al cedente alcuni benefit come il pagamento di una certa quota dell’importo in natura, forme di assistenza e accompagnamento, la possibilità di usufruire di alcune parti del capitale fondiario come la casa colonica o altro. La casistica in questo senso è molto ampia e variegata con una grande flessibilità in termini di forme di assistenza e possibilità di utilizzo a fini residenziali di parte del capitale fondiario concessa al cedente. Non esiste infatti un accordo tipo. Potrebbe anche capitare che il cedente rinunci ad ogni forma di corrispettivo monetario in cambio di una più spinta forma di assistenza e residenzialità garantita. Il cedente potrebbe richiedere anche che una certa somma di denaro venga corrisposta all’inizio della successione come forma di anticipazione.
In sintesi, la struttura del contratto è fissa dal punto di vista della forma (numero e titolo dei paragrafi), ma il contenuto di alcuni paragrafi è il risultato dell’accordo tra le parti.
La proprietà dell’azienda rimane al cedente fino al momento della sua morte. Solo al momento della morte del cedente, il successore diventa il legittimo proprietario.
Si tratta, quindi, di un contratto legale molto aleatorio di cui non si conosce in anticipo la conclusione legata al decesso del cedente. Paradossalmente potrebbe quindi rivelarsi un contratto estremamente vantaggioso per il successore, in caso di decesso prematuro del cedente, o meno conveniente rispetto ad una normale compravendita con indebitamento bancario, in caso di straordinaria longevità del cedente.
Immaginiamo che un imprenditore anziano privo di legittimi successori cerchi un giovane aspirante imprenditore agricolo a cui lasciare la sua azienda di un determinato valore calcolato con le normali tecniche estimative. Il cedente ha 65 anni a fronte di un’aspettativa di vita mediamente pari a 82,8 anni. La differenza tra l’aspettativa media di vita e l’età del cedente è pari a 17,8 anni. Questa differenza, unitamente al valore
aziendale portano le parti, dietro suggerimento del notaio, a concordare un pagamento mensile (Leibrente) di 1.000 € a cui si aggiungono alcuni benefits a vantaggio del cedente e a carico del successore.
Nel caso in cui il cedente muoia prematuramente all’età di 68 anni, il successore diventerà proprietario dell’azienda con un esborso minimo di 40.000 €. Nel caso in cui, però, il cedente arrivi fino a 100 anni appare evidente come il successore avrebbe potuto avere delle condizioni migliori ricorrendo ad un prestito bancario ed acquistando l’azienda attraverso una compravendita tradizionale.
Per eliminare o ridurre questo elemento di aleatorietà è prevista in Austria una variante al Leibrente che introduce un limite temporale al versamento, da parte del successore, della rendita mensile. In tale forma di contratto, noto come Zeitrente, i pagamenti mensili sono limitati ad un arco di tempo definito preliminarmente al momento della stipula del contratto. Il contratto definisce un periodo di tempo in cui l'intero importo concordato per l’acquisto dell’impresa agricola deve essere pagato con rate mensili. Una volta che il periodo di tempo concordato è trascorso e le rate sono state interamente versate, il successore diventa automaticamente il proprietario dell’azienda. In questo caso, se il cedente dovesse venir meno prematuramente, il successore continuerebbe a versare le quote concordate agli eredi fino al termine del periodo concordato.
7.3.1 Bibliografia
XXXXX et al. (2013), Bachelor thesis: Einstieg in die Landwirtschaft. Bedarf und Situation landwirtschaftlicher Existenzgründungen außerhalb der familiären Hofnachfolge in Österreich. Universität für Bodenkultur, Wien(A). Description of farm §04, “Leibrente”/”annuity of life”, p. 45fff.
HEISTINGER A. (2011), in XXXXX et al. (2013). Page 45fff
8. LA LEGGE ITALIANA DI ATTUAZIONE DELLA DISCIPLINA DETTATA PER FAVORIRE IL PASSAGGIO GENERAZIONALE IN AGRICOLTURA
La delega conferita al Governo dall’art. 6 della Legge 28 luglio 2016 n. 154 (collegato agricolo), allo scopo di disciplinare le forme di affiancamento tra agricoltori ultra-sessantacinquenni o pensionati e giovani, ha trovato concretizzazione alla fine del 2017 con l’approvazione della legge di bilancio 2018 (Legge 27 dicembre 2017 n. 205, pubblicata in G. U. il 29.12.2017). Con i commi 119 e 120 dell’art. 1, infatti, sono state dettate le regole che disciplinano le forme di affiancamento tra anziani e giovani agricoltori finalizzate a favorire il passaggio generazionale in agricoltura11. La pubblicazione della legge di bilancio 2018 è avvenuta a ridosso della pubblicazione del presente documento che si sviluppava prevalentemente sui dettati del collegato agricolo. Tuttavia, al fine di fornire un quadro giuridico quanto più aggiornato possibile si è cercato nei paragrafi precedenti di presentare i contenuti dell’art. 6 del collegato agricolo in modo che fosse quanto più allineato possibile ai due commi dell’art. 6 della legge di bilancio 2018. Ad ogni buon conto, ai dispositivi contenuti nei commi 119 e 120 dell’art.1 è interamente dedicato questo capitolo.
8.1 Benefici: accesso agevolato al credito
Il comma 119 della legge di attuazione ha stabilito che: “Al fine di favorire lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura e agevolare il passaggio generazionale nella gestione dell'attività d'impresa per il triennio 2018-2020, i giovani di età compresa tra i diciotto e i quarant'anni, anche organizzati in forma associata, che non siano titolari del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento su terreni agricoli e che stipulano con imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile o coltivatori diretti, di età superiore a sessantacinque anni o pensionati, un contratto di affiancamento ai sensi del presente comma, hanno accesso prioritario alle agevolazioni previste dal capo III del titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185”.
In sostanza, i giovani imprenditori, in possesso dei requisiti previsti, che stipulano un contratto di affiancamento con un agricoltore (imprenditore agricolo o coltivatore diretto) ultra-sessantacinquenne o pensionato, ai sensi del comma 119 dell’art. 1 della Legge 205/2017 hanno un diritto di priorità nell’accedere alle agevolazioni previste dalla legge 185/2000 che ha istituito degli incentivi in favore dell’autoimprenditorialità giovanile anche nel settore agricolo, proprio allo scopo di favorire il passaggio generazionale.
Le misure previste dalla citata legge 185/2000 mirano sostanzialmente ad assicurare ai giovani migliori condizioni per l’accesso al credito.
Ai soggetti ammessi alle suddette agevolazioni, infatti, possono essere concessi mutui agevolati per gli investimenti, a un tasso pari a zero, della durata massima di dieci anni comprensiva del periodo di preammortamento, e di importo non superiore al 75 per cento della spesa ammissibile. Nelle regioni
11 Il testo del dispositivo dei commi 119 e 120 dell’art. 1 è riportato nell’allegato 2.
Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, ai medesimi soggetti può essere concesso, in alternativa ai mutui agevolati di cui sopra, un contributo a fondo perduto fino al 35 per cento della spesa ammissibile nonché mutui agevolati, a un tasso pari a zero, di importo non superiore al 60 per cento della spesa ammissibile. Per le iniziative nel settore della produzione agricola il mutuo agevolato può avere una durata, comprensiva del periodo di preammortamento, non superiore a quindici anni.
8.2 Il piano aziendale
Secondo quanto stabilito dalla legge di attuazione, il piano aziendale, posto a base del rapporto di affiancamento, già previsto dalla legge delega, deve essere presentato all’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA).
Il suddetto piano aziendale, il quale deve essere allegato al contratto di affiancamento, può prevedere un regime di miglioramenti fondiari anche in deroga alla legislazione vigente.
Tale piano impegna da un lato l'imprenditore agricolo o il coltivatore diretto a trasferire al giovane affiancato le proprie competenze nell'ambito delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile; dall'altro il giovane imprenditore agricolo a contribuire direttamente alla gestione, anche manuale, dell'impresa, d'intesa con il titolare, e ad apportare le innovazioni tecniche e gestionali necessarie alla crescita d'impresa.
8.3 La durata del contratto di affiancamento e la ripartizione degli utili
In conformità a quanto previsto dalla legge delega, la legge di attuazione ha stabilito che la durata del contratto di affiancamento non può essere superiore a tre anni.
Secondo le disposizioni della legge di attuazione, inoltre, il contratto di affiancamento deve in ogni caso prevedere la ripartizione degli utili di impresa tra il giovane e l’imprenditore agricolo.
A tale riguardo, la legge ha stabilito che la suddetta ripartizione di utili deve essere fissata in una percentuale compresa tra il 30 e il 50 per cento a favore del giovane imprenditore.
8.4 Il subentro e le forme di compensazione in caso di anticipata cessazione del contratto
La legge di attuazione non ha stabilito l’obbligo di prevedere nel contratto di affiancamento il subentro del giovane imprenditore agricolo nella gestione dell’azienda dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, ma solo la possibilità di tale previsione.
Al momento della conclusione del contratto di affiancamento le parti, quindi, saranno libere di prevedere o meno il subentro del giovane imprenditore agricolo nella gestione dell’azienda, al termine del rapporto.
Il contratto, però, dovrà necessariamente prevedere delle forme di compensazione in favore del giovane imprenditore in caso di conclusione anticipata del rapporto di affiancamento.
8.5 Il diritto di prelazione a favore del giovane imprenditore agricolo
In conformità a quanto previsto dalla legge delega, la legge di attuazione ha previsto un diritto di prelazione a favore del giovane imprenditore in caso di vendita dell’azienda nel corso del rapporto di affiancamento.
Tale diritto, però, è stato limitato ai primi sei mesi successivi alla conclusione del contratto di affiancamento. L’esercizio del diritto di prelazione è stato modulato su quello previsto dall’art. 8 della legge 26 maggio 1965,
n. 590 a favore dei coltivatori diretti che conducono in affitto il fondo da almeno due anni.
Si tratta, quindi, di un diritto di prelazione di tipo legale e non volontario che, di conseguenza, ha un’efficacia reale ed è opponibile ai terzi.
Come tutti i diritti di prelazione di tipo legale è, inoltre, assistito da un diritto di riscatto in capo al soggetto preferito, da esercitarsi in caso di violazione del diritto da parte del soggetto obbligato.
8.6 La qualifica di imprenditore agricolo professionale attribuita al giovane agricoltore
Il comma 120 dell’art. 1 della legge di attuazione (L. 205/2017) stabilisce, infine, espressamente che: “Nel periodo di affiancamento il giovane imprenditore è equiparato all'imprenditore agricolo professionale, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99.”
Nel periodo di affiancamento, pertanto, al giovane imprenditore agricolo saranno riconosciute tutte le agevolazioni tributarie e creditizie previste a favore dell’imprenditore agricolo professionale.
9. ALLEGATO 1: LEGGE 28 LUGLIO 2016 N. 154, ART. 6 (DELEGA AL GOVERNO IN MATERIA DI SOCIETÀ DI AFFIANCAMENTO PER LE TERRE AGRICOLE)
1. Al fine di favorire processi di affiancamento economico e gestionale nell’attività d’impresa agricola nonché lo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato, un decreto legislativo per la disciplina delle forme di affiancamento tra agricoltori ultra- sessantacinquenni o pensionati e giovani, non proprietari di terreni agricoli, di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni, anche organizzati in forma associata, allo scopo del graduale passaggio della gestione dell’attività d’impresa agricola ai giovani, in base ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) stabilire la durata del processo di affiancamento, per un periodo massimo di tre anni;
b) prevedere criteri di assegnazione prioritaria delle agevolazioni e degli sgravi fiscali già previsti a legislazione vigente, a favore dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e del giovane imprenditore agricolo;
c) definire le modalità di conclusione dell’attività di affiancamento, prevedendo le seguenti alternative:
1) la trasformazione del rapporto tra l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo in forme di subentro;
2) la trasformazione del rapporto in un contratto di conduzione da parte del giovane imprenditore agricolo;
3) le forme di compensazione a favore del giovane imprenditore agricolo nei casi diversi da quelli contemplati ai numeri 1) e 2);
d) definire le modalità di presentazione da parte del giovane imprenditore agricolo di un progetto imprenditoriale posto a base del rapporto di affiancamento, che deve essere sottoscritto da parte dell’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato, definendone i reciproci obblighi;
e) stabilire le forme di compartecipazione agli utili dell’impresa agricola;
f) definire il regime dei miglioramenti fondiari, anche in deroga alla legislazione vigente qualora apportati sulla base del progetto imprenditoriale presentato;
g) prevedere forme di garanzia per l’agricoltore ultra-sessantacinquenne o pensionato e il giovane imprenditore agricolo, anche attraverso le necessarie coperture infortunistiche;
h) stabilire il riconoscimento del diritto di prelazione in caso di vendita dei terreni oggetto del rapporto di affiancamento;
i) prevedere forme di compensazione a favore del giovane imprenditore agricolo nei casi di recesso anticipato dal rapporto di affiancamento;
l) definire le forme di agevolazione a favore del giovane imprenditore agricolo per la gestione e l’utilizzo dei mezzi agricoli.
2. Ai giovani imprenditori agricoli di cui al presente articolo è comunque fatto obbligo, entro il termine stabilito con il medesimo decreto legislativo di cui al comma 1, di dimostrare di aver apportato innovazioni ed aver investito in azienda eventuali provvidenze ad essi destinate.
3. Al fine di agevolare il pieno trasferimento delle competenze dal soggetto ultra-sessantacinquenne o pensionato al giovane imprenditore agricolo, sono favorite tutte le azioni volte alla formazione e alla consulenza specializzata.
4. Il decreto legislativo di cui al comma 1 è adottato su proposta del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, che è reso nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l’espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto
legislativo può essere comunque adottato. Se il termine previsto per il parere cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al comma 1 o successivamente, la scadenza medesima è prorogata di novanta giorni.
10. ALLEGATO 2. IL TESTO DELLA LEGGE DI ATTUAZIONE (COMMI 119 E 120 DELL’ART. 1 DELLA LEGGE 205/2017)
Per completezza, si riporta qui di seguito il testo delle disposizioni contenute nella Legge di Bilancio 2018 che hanno dato attuazione alla Legge Delega contenuta nell’art. 6 della Legge 154/2016 e precisamente i commi 119 e 120 dell’art. 1 della Legge 27 dicembre 2017 n. 205, pubblicata in G. U. il 29.12.2017.
119. Al fine di favorire lo sviluppo dell'imprenditoria giovanile in agricoltura e agevolare il passaggio generazionale nella gestione dell'attività d'impresa per il triennio 2018-2020, i giovani di età compresa tra i diciotto e i quarant'anni, anche organizzati in forma associata, che non siano titolari del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento su terreni agricoli e che stipulano con imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile o coltivatori diretti, di età superiore a sessantacinque anni o pensionati, un contratto di affiancamento ai sensi del presente comma, hanno accesso prioritario alle agevolazioni previste dal capo III del titolo I del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185. Il contratto di affiancamento, da allegare al piano aziendale presentato all'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) che può prevedere un regime di miglioramenti fondiari anche in deroga alla legislazione vigente, impegna da un lato l'imprenditore agricolo o il coltivatore diretto a trasferire al giovane affiancato le proprie competenze nell'ambito delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile; dall'altro il giovane imprenditore agricolo a contribuire direttamente alla gestione, anche manuale, dell'impresa, d'intesa con il titolare, e ad apportare le innovazioni tecniche e gestionali necessarie alla crescita d'impresa. L'affiancamento non può avere durata superiore ai tre anni e comporta in ogni caso la ripartizione degli utili di impresa tra il giovane e l'imprenditore agricolo, in percentuali comprese tra il 30 ed il 50 per cento a favore del giovane imprenditore. Il contratto può stabilire il subentro del giovane imprenditore agricolo nella gestione dell'azienda ed in ogni caso prevede le forme di compensazione del giovane imprenditore in caso di conclusione anticipata del contratto. Al giovane imprenditore è garantito in caso di vendita, per i sei mesi successivi alla conclusione del contratto, un diritto di prelazione con le modalità di cui all'articolo 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590.
120. Nel periodo di affiancamento il giovane imprenditore è equiparato all'imprenditore agricolo professionale, ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99.
RETE RURALE NAZIONALE
Autorità di gestione
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali Xxx XX Xxxxxxxxx, 00 Xxxx
xxx.xxxxxxxxxx.xx xxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx @reterurale xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxx
Pubblicazione realizzata con il contributo del Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale) nell’ambito delle attività previste dal Programma Rete Rurale Nazionale 2014-2020