UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza
PROFILI GIUSLAVORISTICI DEL CONTRATTO DI RETE: INQUADRAMENTO GIURIDICO E RISVOLTI PRATICI
Relatore: Xxxx. Xxxxxx XXXXXXXXX Correlatrice: Dott.ssa Xxxxx XXXXXXX
Tesi di Laurea di: Xxxxx TELO’ Matr. N. 748296
Anno Accademico 2017/2018
A Xxxxxxx e Xxxx, affinché passione, determinazione e caparbietà
siano la combinazione vincente di ogni vostro futuro successo
Ringraziamenti
Questo elaborato di tesi è stato realizzato nella forma e nel contenuto dalla sottoscritta. Eppure, la forza, l’ispirazione e la grinta per arrivare alla sua conclusione mi sono giunte da molte persone che, a vario titolo e da più o meno tempo, fanno parte della mia vita.
Mi rendo conto che sia una parola estremamente semplice e che, talvolta, si dia talmente tanto per scontato da risultare quasi superflua, però adesso è giunto il momento di dire loro grazie.
Innanzitutto, ci tengo a riservare un primissimo ringraziamento al Professor Xxxxxx Xxxxxxxxx per avermi spalancato molto più che le porte dello Studio Gusmitta, bensì quelle del mio futuro, e alla Dottoressa Xxxxx Xxxxxxx per la sua disponibilità, comprensione e celerità nel procedere alla correzione del mio lavoro.
Un grazie è più che dovuto anche al Dottor Xxxxxxx Xxxx Xxxxxx per aver accolto, contrariamente a molti altri, la richiesta di intervista da parte di una studentessa e averla resa uno stimolante e costruttivo momento di confronto.
Grazie alla mia mamma Xxxxxx e al mio xxxx Xxxxx, per essere genitori molto più che esemplari, nel caso in cui la perfezione possa considerarsi esistente a questo mondo, senza dubbio voi ne siete la migliore rappresentazione. Grazie per tutti gli amorevoli vizi e coccole che mi avete riservato da sempre e, in particolare, nel corso di tutti gli anni universitari, per avermi lasciata sempre libera di essere la protagonista indiscussa di ogni mia scelta di vita, senza volerla mai in alcun modo dirottare, fornendomi sempre la certezza che, qualunque essa fosse stata, voi sareste sempre stati i miei primi sostenitori.
Grazie alle mie sorelle, Xxxxxxxxx e Xxxxxx, per essere le mie mentori, le mie insostituibili compagne nonché esempi di vita. Grazie per avermi sopportata durante i miei innumerevoli attacchi di ira causati dall’ansia e dalla paura di non farcela e, ciò nonostante, non aver mai smesso, neanche per un attimo, di proteggermi, guidarmi e farmi sentire la vostra amata sorellina.
Grazie a Xxxxx, perché, nonostante tu sia stato la prima persona che ho chiamato al termine di ogni esame, non hai mai davvero avuto bisogno di quella telefonata, già sapevi
quale sarebbe stato l’esito. Grazie per essere stato l’oasi di serenità in cui rifugiarmi dopo le mie interminabili giornate di studio, la mia fonte primaria di autostima la sera prima degli esami ma, soprattutto, per essere il compagno migliore che potessi desiderare con cui festeggiare ogni mio piccolo, grande successo.
Grazie ai miei Xxxx, Xxxxx e Xxxxx, per essere molto più che amici, fratelli non di sangue. Grazie perché le risate più belle e sincere della mia vita sono state quelle fatte insieme a voi, per l’ironia unica con cui riuscite sempre a prendermi e per il vostro costante e, ormai, indispensabile supporto che, spero, continuerete a darmi per sempre.
Grazie ad Xxxxxxx e Xxxxxx, le mie preziosissime compagne, col tempo diventate grandi amiche, con cui ho condiviso l’amore e le sofferenze provate all’interno delle aule del nostro caro Edificio U6. Grazie perché siete state il mio valore aggiunto alla carriera universitaria, grazie per non aver mai giudicato il mio percorso e per l’immenso incoraggiamento con cui mi avete sempre sostenuta.
Grazie alla mia amica Xxxxxx, perché sei la migliore dimostrazione di quanto sia fondamentale fare delle esperienze lavorative durante gli anni universitari e di quanto la distanza non possa fare altro che rafforzare le amicizie, quelle vere, come la nostra.
Grazie a Xxxxxxxx e a Xxxxxxx, per non avermi mai trattata come una semplice stagista ma per avermi valorizzata sin dai primi mesi all’interno dello Studio. Grazie per essere venute incontro alle mie necessità da studentessa e per la fiducia accordatami, farò di tutto per dimostrarmi sempre all’altezza delle vostre aspettative.
Grazie a Xxxxxxxx, perché, nonostante i pochissimi mesi in cui ho potuto lavorare con te, sei riuscita ad insegnarmi molto. Grazie per avermi spronata, come una sorella maggiore, a raggiungere il mio obiettivo e per avermi aiutata a capire che quella che ho intrapreso è la strada giusta per me.
Grazie anche ai miei cognati. A Xxxxxx, perché sin da subito hai capito molto di me e mi hai saputa prendere, regalandomi parole di sostegno proprio nel momento in cui ne ho avuto bisogno. A Xxxxxxxx, perché in più occasioni hai mostrato interesse per la materia da me studiata, ponendomi diversi quesiti e fornendomi l’occasione per “mettermi alla prova”. Mi impegnerò al massimo per essere una consulente competente e preparata.
Un grazie finale, e più generico, va a tutte le persone da me incontrate durante il lungo percorso universitario, tra cui compagni, professori, colleghi/e ed ex datori di lavoro, per essere stati una continua fonte di confronto, di crescita e per aver contribuito a rendere la persona che sono oggi, nonché l’aspirante professionista che mi auguro di diventare domani.
Indice
Considerazioni introduttive 1
Capitolo I Il contratto di rete: la struttura
1. Introduzione 7
2. L’evoluzione legislativa della disciplina: dai primi interventi nel biennio 2008/2009 all’assetto attuale 10
3. L’assetto normativo attuale del contratto di rete: la distinzione tra elementi costitutivi e facoltativi del contratto di rete 15
4. Reti-contratto vs Reti-soggetto 17
4.1 I soggetti stipulanti e lo scopo del contratto di rete 20
4.2 La conclusione del contratto di rete e il regime pubblicitario 23
4.2.1 La forma e la durata del contratto di rete 26
4.3 Il programma comune di rete 28
4.4 L’organo comune 30
4.5 Il fondo patrimoniale comune 37
4.6 La possibile istituzione di fondi patrimoniali destinati 41
5. La responsabilità della rete verso terzi 43
5.1 La responsabilità verso terzi della rete-contratto 43
5.1.1 Inadempimento della rete-contratto e tutela dei terzi 46
5.2 La responsabilità verso terzi della rete-soggetto 47
5.2.1 Inadempimento della rete-soggetto e tutela dei terzi 48
5.3 La responsabilità extracontrattuale della rete 49
6. Lo scioglimento del contratto di rete 51
6.1 Lo scioglimento del contratto di rete rispetto ad un singolo membro 51
6.2 Lo scioglimento totale del contratto e la liquidazione della rete 53
7. Conclusioni 55
Capitolo II Profili giuslavoristici del contratto di rete
1. Introduzione 57
2. Il distacco: la disciplina alla luce del d.lgs. 276/2003 58
2.1 I requisiti di legittimità del distacco: l’interesse del distaccante 62
2.1.1 La temporaneità 65
2.1.2 Lo svolgimento di una determinata attività lavorativa 68
2.1.3 Il consenso del lavoratore in caso di mutamento di mansioni 69
2.1.4 Distacco e trasferimento oltre i 50 km 73
2.2 Il distacco nel contratto di rete 74
2.3 Risvolti pratici del distacco: il trattamento retributivo, gli adempimenti previdenziali, l’Inail, il libro unico del lavoro 83
2.4 Profili comparativi tra distacco nelle reti e distacco nei gruppi di imprese 90
2.5 Le conseguenze sanzionatorie del distacco illecito 97
2.6 La Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 35/2013 e l’Interpello n. 1/2016 103
3. Dal superamento del divieto di interposizione di manodopera ex L. 1369/1960 alla codatorialità 107
2.1 La codatorialità nelle reti di imprese 115
3.1.1 La codatorialità nelle reti-contratto e nelle reti-soggetto 129
2.2 La distinzione rispetto ai gruppi di imprese e al distacco 134
4. La Circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 7/2018 144
5. L’assunzione congiunta nel contratto di rete 148
2.1 La Circolare Inps n. 131/2015 157
2.2 La tutela del lavoratore in regime di codatorialità e di assunzione congiunta 159
6. La Sentenza della Corte di Cassazione n. 8068/2016 162
7. Il contratto di rete e la sicurezza dei lavoratori 167
8. Conclusioni 172
Capitolo III La contrattazione collettiva nelle reti di impresa
1. Introduzione 174
2. La contrattazione collettiva nei gruppi di imprese e il confronto con le reti di imprese. .
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3. La contrattazione collettiva nella rete di imprese 183
3.1 Contrattazione collettiva (aziendale e territoriale) di secondo livello e contratto di prossimità 185
3.2 L’Avviso n. 4/2017 di Fondimpresa 195
3.3 La possibile funzionalità degli enti bilaterali 198
4. La contrattazione collettiva di rete: uno sguardo pratico 202
4.1 Il CCNL alimentari piccola e media industria; il CCNL per i dipendenti delle piccole e medie industrie grafiche e affini 202
4.2 L’Accordo provinciale delle imprese edili di Cosenza; il Contratto provinciale integrativo per i dipendenti del terziario di Treviso 206
5. Conclusioni 210
Capitolo IV Aspetti pratici del contratto di rete: l’evoluzione del suo utilizzo nel corso degli anni
1. Introduzione 211
2. I primi utilizzi: i dati di Unioncamere-Infocamere dal 2010 al 3 Novembre 2012 212
2.1 I contratti di rete al 1^ dicembre 2013 215
2.2 I contratti di rete al 1^ marzo 2015 217
2.3 I contratti di rete al 3 maggio 2017 218
2.4 La situazione odierna aggiornata al 3 settembre 2018 219
3. Scheda descrittiva: un Focus sui contratti di rete stipulati nel settore agroalimentare . .
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3.1 I dati e la distribuzione regionale 221
3.2 I possibili driver di sviluppo 223
4. La testimonianza diretta: la rete di imprese Euhrnet 225
5. Conclusioni 237
Considerazioni finali 239
Bibliografia 243
Sitografia 247
Considerazioni introduttive
Decidere di svolgere questo mio elaborato finale in Diritto del Lavoro è stato semplice, una scelta quasi scontata, in quanto già dal secondo anno di università ho avuto come una sorta di intuizione in merito al fatto che questa fosse la materia su cui avrei poi successivamente basato anche le mie future scelte lavorative.
Grazie al Professor Xxxxxx Xxxxxxxxx, mi è stata data l’opportunità di concretizzare questa mia affinità individuata nel corso degli studi all’interno della realtà lavorativa: a Novembre 2017 ho iniziato un percorso di stage presso lo Studio Gusmitta e Associati, inerente all’ambito della consulenza del lavoro e della gestione del personale, che col tempo si è convertito in un lavoro a tutti gli effetti e che, ad un anno di distanza, mi permette di essere estremamente grata per la carriera che mi ha permesso di intraprendere.
A seguito del mio ingresso nello Studio, ho finalmente potuto toccare con mano le questioni pratiche e i diversi problemi che caratterizzano il mondo delle imprese e tutti gli istituti concernenti la disciplina del rapporto di lavoro.
Questa esperienza si sta, tutt’ora, dimostrando ampiamente formante sotto diversi punti di vista: in primis, perché ogni giorno mi consente di capire, con sempre maggiore consapevolezza, cosa voglia dire effettivamente lavorare in uno studio di dimensioni medio-grandi, caratterizzato da un significativo numero di clienti e, quindi, quale sia il punto di partenza per gestire un carico di lavoro piuttosto ingerente, che porta con sé non poche responsabilità.
In secondo luogo, credo sia molto importante imparare a rapportarsi con colleghi, più grandi, decisamente più competenti e professionalmente preparati rispetto a una studentessa in procinto di concludere gli studi, grazie ai quali si può imparare un’intera professione.
Aver iniziato a lavorare prima di concludere il mio capitolo di vita universitaria mi ha permesso di riuscire a cambiare prospettiva nel corso del tempo. Ora, nel mio piccolo, mi sento in grado di affermare che quanto troviamo scritto sui libri sia sì fondamentale per l’acquisizione di conoscenze approfondite sulle materie di indirizzo e per modellare un’adeguata forma mentis, ma non è tutto: il diritto del lavoro studiato durante il mio percorso universitario mi aveva portato a sviluppare un interesse, soprattutto, per quel che concerne la tutela del lavoratore. In un certo mi sono sempre figurata l’idea che, in un qualche modo, lo scopo del diritto in parola fosse quello di utilizzare tutti gli strumenti in grado di approntare la giusta tutela al fine di far valere i diritti che fossero stati fino a quel momento violati.
Oggi posso dire che la mia prospettiva è parzialmente mutata: dico parzialmente perché, comunque, il suddetto aspetto del diritto del lavoro mi affascina e continuerà a farlo, però al momento riesco, forse meglio, a immedesimarmi nel ruolo di un’azienda e a capire, sicuramente di più rispetto a prima, quali siano le vicende organizzative, amministrative e giuslavoristiche che la toccano nel vivo e quanto sia fondamentale avere un competente team di professionisti in grado di gestire il complesso delle dinamiche che si presentano quotidianamente.
Ed è proprio a partire da questa esperienza che è nata l’idea di delineare, per il tramite di questo elaborato finale, il mio passaggio da studentessa universitaria ad aspirante consulente del lavoro.
L’argomento da me scelto, dietro prezioso suggerimento della Dott.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxxx e della Dott.ssa Xxxxxxx Xxxxx, come protagonista del presente lavoro di tesi è il contratto di rete: si tratta di uno strumento relativamente nuovo, che ha fatto la sua prima comparsa nel panorama legislativo italiano solamente nel 2009 e, per la verità, proprio questa sua attualità lo rende una componente giuridica non ancora perfettamente perlustrata, che presenta molti punti d’ombra, rispetto ai quali dottrina e giurisprudenza tentano di fornire adeguati chiarimenti. Essi, però, non sempre risultano sufficienti se non accompagnati da interventi specifici da parte del legislatore.
Ed è proprio la novità dell’istituto in questione, unitamente al suo utilizzo sempre più crescente nel mondo dell’imprenditoria, che l’hanno fatto apparire sin da subito come un tema che mi potesse appartenere ma, soprattutto, che fosse in grado di rappresentare al meglio il percorso “alternativo” da me svolto.
Il contratto di rete costituisce un’occasione che viene fornita alle aziende di poter implementare la propria forza, organizzativa, produttiva, di mercato o anche solo conoscitiva, per ottenere maggior competitività e visibilità, distinguendosi dalla miriade di imprese concorrenti e mio obiettivo è quello di poterne fornire una rappresentazione più completa possibile, andando a toccare innanzitutto gli aspetti civilistici che lo caratterizzano ma, soffermandomi particolarmente, sugli istituti nonché sulle conseguenti problematiche sollevatesi internamente al diritto del lavoro.
Il Capitolo 1 tratta il contratto di rete dal punto di vista prettamente strutturale, a cominciare dall’evoluzione legislativa che lo ha reso protagonista a partire dal 2009 fino a giungere alle modifiche che lo hanno toccato più recentemente; segue una trattazione degli elementi che lo caratterizzano, alcuni dei quali devono risultano imprescindibili (come ad es. il programma comune di rete) mentre altri sono facoltativi e verranno ad esistenza solo in caso di scelta verso una specifica tipologia di rete (come l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese piuttosto che la creazione di un fondo patrimoniale).
Nel Capitolo 2 viene proposto uno sviluppo degli aspetti giuslavoristici del contratto di rete, in particolare protagonista sarà l’analisi dei tre istituti che possono essere utilizzati dalle aziende facenti parte di una rete di imprese per disciplinare i rapporti con i lavoratori utilizzati: distacco, codatorialità, assunzione congiunta.
Il distacco è uno strumento che era già noto nell’orizzonte giuridico italiano, introdotto dalla riforma Biagi del 2003, il quale è stato oggetto di numerose modifiche, a seguito delle quali è apparso nell’orizzonte del D.lgs. 276/2003 anche il contratto di rete, seppur non disciplinato in maniera propriamente specifica e dettagliata.
Di più recente introduzione sono state invece la codatorialità e l’assunzione congiunta, istituti sui quali ancora oggi la dottrina discute se si tratti della medesima fattispecie ma chiamata in maniera differente oppure se queste due locuzioni possano essere fatte risalire a due ambiti ben distinti e specificamente individuati.
Per dare un’impronta più concreta, gli istituti in menzione sono stati analizzati alla luce di alcune Circolari provenienti dal principale ente di previdenza nazionale, l’Inps, e dal
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, accompagnate dalle pronunce giurisprudenziali adottate da alcune delle sentenze più significative sul tema.
Il Capitolo 3 si occupa della contrattazione collettiva nelle reti di impresa. La negoziazione di secondo livello non è stata ancora oggetto di uno specifico intervento legislativo alla luce dell’introduzione del contratto di rete. Al momento si può, infatti, più che altro parlare di una “prospettiva di regolazione del mercato del lavoro all’interno della rete”1, nella quale grande attenzione viene dedicata allo strumento del contratto di prossimità, introdotto dalla legge 148/2011.
Infine, il Capitolo 4 altro non è che una trasposizione, dalla teoria alla pratica, di tutto quanto analizzato nei capitoli precedenti.
Ho svolto diverse ricerche per il tramite dei siti di Unioncamere - Infocamere per dare atto della concreta trasformazione verificatasi nella crescita esponenziale in termini di adesione al contratto di rete da parte delle imprese italiane, a partire dai primissimi utilizzi relativi all’anno 2010 per giungere fino ai giorni nostri.
Punto d’arrivo del percorso da me svolto nella stesura della tesi è costituito dall’intervista, da me personalmente svolta, al Xxxx. Xxxxxxx Xxxx Xxxxxx, Business Development Manager di una delle cinque aziende, tutte operanti nel settore dei servizi di outsourcing del personale da più di 30 anni, che hanno sottoscritto il contratto di rete denominato “Euhrnet”.
L’apporto di questo colloquio è stato essenziale per “chiudere il cerchio” in maniera adeguata e coerente, posto che l’ambito nel quale opera Euhrnet costituisce materia viva
1 I. Xxxxxx, “Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici”, 2014, Xxxxxxx Editore, pag. 294
di ciò che sto toccando con mano a partire dallo svolgimento del mio stage, ossia la consulenza del lavoro, l’amministrazione del personale i servizi di payroll.
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI RETE: LA STRUTTURA
1. Introduzione
Il contratto di rete ha fatto la sua prima comparsa nel panorama legislativo nazionale all’interno dell’art. 3, commi 4 ter – 4 quinquies del D.L. n. 33/2009, denominato “misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi” e convertito successivamente con L. 33/2009. Per mezzo di tale contratto, due o più imprenditori “perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”1.
Proprio dalle prime righe della disposizione in esame, viene immediatamente palesato lo scopo di questo nuovo strumento: permettere agli imprenditori di unire le proprie forze per affrontare a testa alta la vastità di concorrenza che il mercato offre e il grado di tale alleanza può essere diverso, a seconda degli intenti prefissati all’interno del programma comune di rete; lo stesso articolo propone un elenco dei diversi obiettivi che possono essere stabiliti, partendo da quello meno invasivo (collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese), per passare allo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, giungendo infine ad un obiettivo in grado di intrecciare intrinsecamente la vita delle
1 Art. 3 comma 4 ter, D.L. n.5/2009, prima parte.
imprese stipulanti un contratto di rete, l’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Perché le imprese dovrebbero mai avvertire una forte esigenza di collaborare tra loro, magari addirittura con soggetti provenienti da realtà completamente estranee (un’impresa metalmeccanica decide un giorno di stipulare un contratto di rete con un’azienda che opera nel contratto della moda piuttosto che con una società immersa nel settore agroalimentare)? La risposta è piuttosto semplice: il contesto globale e complesso in cui le aziende si trovano a dover operare oggi giorno pretende che le stesse, per essere in grado di “fare impresa” e distinguersi dalle altre, siano dotate di struttura e dimensioni adeguate, di competenze e capacità innovativa e di slancio verso l’internazionalizzazione.2 E il nostro Paese, essendo caratterizzato per lo più (circa per il 99,9%) dalla presenza di imprese di micro-piccole-medie dimensioni (MPMI), trova nel contratto di rete uno strumento altamente funzionale e adatto a permettere alle realtà in questione di potersi espandere, non solamente sotto il profilo dimensionale, ma, forse soprattutto, sotto quello qualitativo-relazionale.
Infatti, uno dei principali problemi che le imprese italiane di modeste dimensioni si trovano a dover affrontare è costituito dalla difficoltà di innovazione e dalla conseguente incapacità di affacciarsi nel panorama internazionale; il contratto di rete ha rappresentato una “scialuppa di salvataggio” in tal senso, le aziende hanno iniziato ad assimilare sempre più il concetto del “fare rete” all’interno dei propri meccanismi organizzativi e strategici
2 X. Xxxxxx, “I vantaggi economici per le imprese nel fare rete” in X. Xxxxx, X. Xxxxx Grandi “Contratto di rete e diritto del lavoro” Xxxxxxx Kluwer Italia, 2014, pag. 5.
e ad oggi si può dire che esso costituisca un fattore di grande attrazione a cui gli autori del panorama economico-organizzativo guardano con sempre maggior favore.
Le reti di imprese si caratterizzano, contrariamente a quanto avviene nel diverso fenomeno aggregativo dei gruppi, che si distingue per i suoi connotati gerarchici, per una struttura di carattere orizzontale, nella quale più imprese collaborano tra di loro pur mantenendo ferma la propria autonomia e senza che nessuna prevalga sulle altre (reti paritarie o simmetriche); possono tuttavia sussistere relazioni tra nodi della rete in cui vi sono una o più imprese leader che, sulla base di particolari capacità e competenze, svolgono funzioni di coordinamento (reti centrate) 3.
A prescindere dalla tipologia di rete che si ha intenzione di realizzare, la vera forza della stessa è data proprio dagli elementi della collaborazione e partecipazione di tutte le imprese che la costituiscono, con la prospettiva di mantenere tali legami in forma continuativa e non puramente occasionale. E, inoltre, non perdendo il focus sull’obiettivo principale del contratto di rete, ovvero permettere alle imprese ad esso aderenti di poter ottenere determinati vantaggi, si può facilmente comprendere come la rete possa essere anche considerata dinamica, soggetta a modificare la propria composizione nel corso del tempo, per mezzo dell’ingresso di nuove imprese e dell’abbandono di altre, a seguito delle scelte di convenienza che vengono effettuate sia individualmente che nell’ambito complessivo.
3 X. Xxxxxxxxx, “Reti di imprese. Vantaggi competitivi e pianificazione strategica”, Xxxxxx Xxxxxx, 2003, pag. 80.
2. L’evoluzione legislativa della disciplina: dai primi interventi nel biennio 2008/2009 al Decreto Sviluppo-bis (D.L. n. 179/2012)
L’attuale quadro normativo riguardante il contratto di rete costituisce il punto di arrivo di un iter nato con l’art. 6-bis, D.L. n.112/2008 (convertito in L. 133/2008), per mezzo del quale il legislatore ha dato vita alla figura delle “reti di imprese e delle catene di fornitura”. La norma, tra l’altro, rinviava ad un successivo decreto del Ministro dello Sviluppo Economico – da adottare di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze – ai fini della definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione delle suddette fattispecie il quale, però, non ha mai visto la luce.
Risulta particolarmente significativo il comma 1 del presente articolo il quale, nell’illustrare l’obiettivo delle reti di imprese, lo descrive come un rafforzamento de “le misure organizzative, l'integrazione per filiera, lo scambio e la diffusione delle migliori tecnologie, lo sviluppo di servizi di sostegno e forme di collaborazione tra realtà produttive anche appartenenti a regioni diverse”.
Quanto appena menzionato comunica una forte assonanza rispetto al fulcro del testo emanato l’anno successivo e che ha determinato la definitiva introduzione del contratto di rete nel ordinamento giuridico italiano. Con l’art. 3, commi da 4-ter a 4-quinquies, del
D.L. 5/20094 (“Decreto Incentivi”), convertito con modificazioni in L. 33/2009, ha visto per la prima volta la luce, nel nostro ordinamento giuridico, la figura del contratto di rete. Utilizzando come base il testo del decreto in questione, il Legislatore è poi ritornato sui
4 D.L. 10 febbraio n. 5/2009 “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonché disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario” G.U. n. 34, serie generale, dell’11 febbraio 2009.
suoi passi, apportando molteplici modifiche nel corso degli anni, od addirittura riscrivendo alcune previsioni e ampliandone la portata. Dopo pochi mesi, la disciplina è stata già sottoposta a modifiche da parte della Legge del 23 luglio n. 99/2009.
Lo scopo del contratto di rete risulta fin da subito chiaro e lineare agli occhi del legislatore: “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’ esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’ oggetto della propria impresa”.
A distanza di nemmeno un anno dall’introduzione degli articoli appena menzionati, l’attività del Legislatore ha nuovamente individuato nel contratto di rete il centro di interesse della sua attività di modifica: con l’art. 42, rubricato “Reti di imprese”, del D.L. 31 maggio 2010, n. 785, sono stati ampiamente riformati i commi 4-ter e 4-quater del
D.L. n. 5/2009, provvedendo in particolare all’introduzione di benefici di carattere fiscale, amministrativo e finanziario. Nello specifico, alle imprese sottoscrittrici un contratto di rete, che abbiano destinato utili alla realizzazione delle attività previste nel programma comune di rete, viene riconosciuto un beneficio fiscale, che si realizza mediante una sospensione di imposta, per gli utili maturati nel triennio 2010-2012.
5 Convertito, con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122 (c.d. “Manovra d’estate”).
Le modifiche apportate nel corso del 2010, con la legge n. 122/2010, hanno inciso in misura notevole sulle caratteristiche strutturali del contratto di rete, ridisegnando l’istituto nei suoi profili essenziali. Attraverso tali modifiche è stato possibile realizzare una maggiore “personalizzazione” del contratto di rete, andando ad eliminare le maggiori affinità con i modelli societari: in particolare, alcuni elementi strutturali (come il fondo patrimoniale piuttosto che l’organo comune) che, nella prima versione del testo normativo del 2009 erano stati elevati ad elementi costitutivi, sono poi divenuti puramente facoltativi ed eventuali, rimettendo, di conseguenza, la loro previsione (sia per quanto concerne l’an che per il quomodo) alla determinazione pattizia dei contraenti.
L’intervento realizzato mediante la L. n. 122/2010, di conversione del D.L. n. 78/2010, ha toccato, da un lato, i tratti civilistici della fattispecie, dall’altro lato ha posto la sua attenzione in merito all’introduzione di una misura di natura fiscale (la c.d. “Agevolazione fiscale”). Con tale agevolazione, lo Stato italiano ha, di fatto, messo a disposizione delle imprese italiane, partecipanti a contratti di rete, risorse per 48 milioni di euro.
In ottemperanza alla disciplina europea, ai sensi dell’art. 108, par. 3, TFUE, la misura agevolativa fiscale è stata oggetto di valutazione da parte della Commissione Europea affinché ne potesse essere deliberata l’ammissibilità ai sensi dell’art. 107 TFUE. Durante lo svolgimento di tale valutazione, la Commissione Europea, sì da valutarne la liceità, ha esaminato le caratteristiche dell’agevolazione fiscale unitamente a quelle proprie del contratto di rete, in particolare riflettendo circa la possibilità per il medesimo di poter dar vita ad un’impresa distinta. In tale ipotesi, si sarebbe ravvisato un profilo di potenziale
incompatibilità con quanto disposto dall’art. 107, par. 1, TFUE per contrarietà alla disciplina inerente il divieto degli aiuti di Stato6.
A seguito dei chiarimenti forniti dalle Autorità italiane è stato precisato che le reti non avrebbero potuto essere considerate organismi dotati di propria autonomia rispetto alle imprese partecipanti; del resto, sulla base della disciplina vigente nel 2010, il contratto di rete si poneva come strumento di natura meramente contrattuale, non idoneo alla costituzione di nuovi enti giuridici. Tali affermazioni hanno rappresentato un importante punto di approdo ai fini delle considerazioni sull’ammissibilità della misura del beneficio fiscale, permettendo alla Commissione europea di decretare “scampato” il pericolo di violazione della normativa sugli aiuti di Stato. Senza dubbio, aver previsto l’eventualità di quegli elementi che, precedentemente, erano considerati come costitutivo-necessari, è stata una mossa del tutto appropriata al fine di deviare rispetto al possibile inquadramento della natura soggettiva del contratto di rete.
Nell’estate del 2012 il Legislatore, con la L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del
D.L. n. 83/2012 (c.d. “Decreto Sviluppo”), è nuovamente intervenuto in materia di contratto di rete. E’ stato, cioè, previsto che la rete (dotata di fondo patrimoniale comune) possa acquistare soggettività giuridica, collegando tale possibilità alla realizzazione di un adempimento di carattere pubblicitario consistente nell’iscrizione del contratto di rete in una determinata sezione del Registro delle Imprese. 7 Con il medesimo intervento di
6 In C(2010)88939 al punto (29): “(…) la Commissione ha considerato anche se l’esistenza di un tale contratto tra queste società dia vita ad un’impresa distinta ai sensi dell’art. 107, par. 1, del trattato. E’ questo il caso che potrebbe verificarsi se le imprese interessate istituissero un fondo, con responsabilità separata, all’atto della costituzione della rete di imprese”.
7 “(…) se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l'iscrizione nella sezione ordinaria
riforma, è stato ideato un regime di responsabilità limitata al fondo patrimoniale per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma comune di rete; come corollario di tale previsione, è stato introdotto l’obbligo di redazione e deposito annuale di una situazione patrimoniale.
Solo due mesi dopo, è stata la volta del D.L. n. 179/2012, c.d. Decreto Sviluppo-bis, convertito, con modificazioni, nella L. n. 221/2012, in vigore dal 19 dicembre 2012.
Con l’occasione, il legislatore ha formulato un chiarimento di notevole rilievo: l’acquisto di soggettività giuridica consegue ad una scelta rimessa alla discrezionalità delle parti, in quanto il contratto di rete, in assenza di una volontà espressa dalle parti contraenti, di default non costituisce un autonomo soggetto giuridico.
A fronte delle elaborazioni legislative susseguitesi negli anni, la rete-soggetto sembra essere una fattispecie a formazione complessa, in cui oltre alla presenza di tutti gli elementi richiesti per legge ed alla costituzione del fondo patrimoniale comune (elemento nel frattempo elevato a requisito indispensabile) occorre una formale manifestazione di volontà: la pubblicità del contratto, diretta al conseguimento della soggettività giuridica (e non della personalità).
Il punto di approdo finale al quale si è giunti a seguito del susseguirsi dei diversi interventi normativi ha portato ad una riflessione fondamentale: ci si domanda se effettivamente il quadro del contratto di rete oggi delineato possa essere definito coerente rispetto a quelle che sono state “le linee ispiratrici poste alla base dell’inserimento, nel tessuto
del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede la rete acquista soggettività giuridica”, art. 3 comma 4-quater, D.L. 5/2009.
ordinamentale, del contratto di rete, quale modello costituito da un’intelaiatura estremamente leggera” 8, considerando che scopo primo del Legislatore dell’epoca era quello di offrire alle imprese uno strumento relativamente semplice per facilitare i processi di aggregazione tra imprese, mantenendo ferma la reciproca autonomia e individualità.
3. L’assetto normativo attuale del contratto di rete: la distinzione tra elementi costitutivi e facoltativi del contratto di rete
Il quadro normativo vigente delinea principalmente due caratteri fondamentali della struttura del contratto di rete: da un lato, descrive forma e contenuto dello schema del contratto di rete, dall’altro introduce la possibilità che la rete possa essere dotata di soggettività giuridica, portando in tal modo alla creazione di un nuovo ente giuridico.
Come è già stato accennato, si è venuta quindi a configurare una distinzione tra elementi costitutivo-necessari, che devono sussistere necessariamente, qualsiasi sia il tipo di rete che gli imprenditori aderenti si siano prefissati di realizzare, ed elementi facoltativo- eventuali.
Segnatamente, gli elementi costitutivi che l’atto deve indicare sono:
• La presenza delle imprese quali soggetti stipulanti e la denominazione di ciascuna di esse;
8 Delle Monache S., in articolo pubblicato in Sole 24 Ore, 4 febbraio 2013.
• L’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’effettivo avanzamento verso il conseguimento degli stessi;
• La definizione di un programma comune con l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, tra cui gli obblighi di conferimento e le modalità di realizzazione dello scopo comune;
• La durata del contratto;
• La previsione di eventuali modalità per permettere l’adesione futura da parte di altri imprenditori;
• Le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia di comune interesse (che non rientri fra i poteri appartenenti all’organo comune, se e quando costituito) e le regole per apportare modifiche al programma comune precostituito.
Costituiscono, ad contrarium, contenuto prettamente facoltativo del contratto di rete tutti quegli elementi la cui presenza è rimessa completamente alla discrezionalità delle parti contraenti, nello specifico:
• L’istituzione di un fondo patrimoniale comune e, conseguentemente, l’indicazione delle regole, all’interno del contratto, di determinazione della misura e dei criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo, nonché le regole di gestione del fondo medesimo;
• L’organo comune. In caso di sua istituzione, nel contratto dovranno, conseguentemente, essere individuati il/i soggetto/i prescelto/i per svolgere tale
ufficio, ai fini dell’esecuzione di una o più parti o fasi del contratto di rete, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale organo, nonché le regole inerenti la sua eventuale sostituzione durante tutta la durata del contratto;
• La possibilità di prevedere le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l’esercizio del diritto in questione.
4. Reti-contratto vs Reti-soggetto
E’ necessario prendere atto della peculiarità per cui la configurabilità variabile, che caratterizza le reti, è una caratteristica propria delle sole reti-contratto: con tale espressione si allude ad una rete non dotata di soggettività giuridica, la quale di distingue dalla rete-soggetto, alla cui base è invece posto un contratto di rete che determina la creazione di un nuovo ente dotato di soggettività giuridica, diverso e autonomo rispetto alle altre imprese facenti parte della rete.
Per quanto concerne le reti-contratto, a seconda delle diverse combinazioni che si possono realizzare mediante la previsione di tutti o alcuni degli elementi facoltativi summenzionati, è possibile dar vita alle seguenti geometrie di contratto di rete9:
I. Contratto di rete costituito dai soli elementi necessari, dunque privo dell’organo comune e del fondo patrimoniale comune;
II. Contratto di rete dotato di organo comune ma privo di fondo patrimoniale comune;
9 Le configurazioni in questione sono state individuate da X. Xxxx, Contratto di rete, Trasformazioni del lavoro e reti di imprese, 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, pag. 90.
III. Contratto di rete dotato di fondo patrimoniale comune ma privo di organo comune;
IV. Contratto di rete dotato sia di organo comune che di fondo patrimoniale comune.
A seconda, quindi, che l’organizzazione di rete non preveda un organo comune oppure ne sia dotata, la gestione della rete sarà svolta, nel primo caso, direttamente dalle imprese contraenti e, nella seconda opzione, dall’organo stesso oppure, alternativamente o in maniera concorrente, dalle une e dall’altro, a seconda di quanto stabilito all’interno del contratto stesso.
Nella sua struttura più elementare, la rete viene gestita direttamente dalle imprese aderenti, in maniera del tutto simile a quanto previsto dall’art. 2257, comma 1, c.c. per la società semplice10 attraverso i processi decisionali che il contratto deve indicare.
Qualora la rete, prettamente contrattuale, sia caratterizzata dalla presenza di un fondo patrimoniale, la norma prescrive che siano indicate, in sede di atto costitutivo, la denominazione e la sede della rete.
Nell’ambito delle reti-contratto l’assunzione delle obbligazioni è rimessa in capo alle imprese retiste direttamente o per il tramite dell’organo comune il quale, non essendo la rete dotata di soggettività giuridica, non può agire direttamente per la rete stessa bensì per conto (ed eventualmente in nome) delle imprese partecipanti alla rete, per mezzo della previsione di una specie di mandato collettivo. Ciò è dovuto al fatto che le reti meramente contrattuali non costituiscono un autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche e non sono titolari dell’eventuale fondo patrimoniale comune che fa invece capo agli
10 Cfr. X. Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, Profili, cit. a pag. 371.
imprenditori partecipanti alla rete e costituisce un patrimonio separato rispetto a quello di questi ultimi.
La previsione di una limitazione della responsabilità patrimoniale al fondo patrimoniale comune è un regime previsto in comune sia per la rete dotata di soggettività giuridica, sia per la rete-contratto caratterizzata da organo e fondo patrimoniale comuni, quindi a prescindere dall’acquisizione di soggettività giuridica della rete.
Per quanto concerne la rete dotata di “soggettività giuridica”, oltre a tutti gli elementi obbligatori elencati nel precedente paragrafo, essa presuppone:
I. L’istituzione di un fondo patrimoniale comune;
II. L’istituzione di un organo comune (destinato ad intrattenere rapporti con soggetti terzi);
III. L’indicazione, in sede di atto costitutivo, della denominazione e della sede della “rete”;
IV. L’iscrizione della rete nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede.
Le reti riconducibili a questo modello, in quanto soggetti giuridici a tutti gli effetti, costituiscono un autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche, attive e passive, divenendo quindi titolari del fondo patrimoniale comune, il quale risulta quindi essere dotato di autonomia rispetto a quello delle singole imprese partecipanti.
Effettuando un’attenta analisi del comma 4-quater dell’art. 3, D.L. n. 5/2009, si può desumere come la norma in questione, per le reti dotate di soggettività giuridica, non pare prevedere la necessaria presenza dell’organo comune: sembra, infatti, che a seguito della
mera “iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, la rete acquista soggettività giuridica”11.
Nonostante la lettera della norma, sembra comunque difficile comprendere come possa esistere istituito un ente giuridico privo di un organo. Gli enti, infatti, necessitano di un soggetto investito della rappresentanza organica che esprima la loro volontà. La rappresentanza allude al potere rappresentativo di cui sono dotati gli organi di un ente giuridico e l’organo comune è l’ufficio addetto ad assicurare l’espletamento delle funzioni di un ente giuridico12.
Ciò premesso, quindi, nelle reti-soggetto le obbligazioni vengono assunte e i diritti acquistati per mezzo dell’organo comune il quale, in forza della rappresentanza organica, agisce in nome della rete stessa.
4.1 I soggetti stipulanti e lo scopo del contratto di rete
Il contratto di rete può atteggiarsi sia come un contratto bilaterale sia plurilaterale a parti qualificate, essendo riservata la partecipazione al contratto solo ai soggetti che rivestono la natura di imprenditori13. Lo stesso deve, inoltre, contenere l’indicazione della “ditta, nome, ragione o denominazione sociale di ogni partecipante”.
11 L’articolato in questione è stato inserito con la modifica apportata dalla L. n. 134/2012 (di conversione, con modificazioni, del D.L. 83/2012).
12 Xxxxxx X.X., Il Contratto, 2° ed., Milano, 2000, pag. 78.
13 Come sancito nella prima frase del comma 4-ter dell’art. 3 D.L. n. 5/2009 e nel successivo richiamo di cui al n. 3, lett. a) del medesimo comma in questione.
Il concetto di imprenditore, inteso dal Legislatore del contratto di rete, si rifà, sia nella sua sostanza sia nella forma all’accezione propria dell’art. 2082 del codice civile, prendendo in considerazione, quindi, per quanto concerne il primo profilo, colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, prescindendo dalle dimensioni dell’impresa, dalla specie dell’attività produttiva, dalla natura del soggetto; l’imprenditore deve essere, inoltre, per quanto riguarda l’aspetto formale, necessariamente iscritto nel Registro delle Imprese dato che l’iscrizione del contratto di rete all’interno della sezione in cui è presente ciascun partecipante è richiesta dalla norma ai fini dell’efficacia del contratto medesimo14.
A nulla rileva se gli imprenditori in questione esercitino attività commerciale o agricola, se siano piccoli imprenditori o meno, né incide che l’attività di impresa sia da essi svolta strumentalmente rispetto ad uno scopo prettamente ideale; parti del contratto di rete potranno, pertanto, essere sia persone fisiche sia giuridiche e, fra queste ultime, anche soggetti istituzionalmente connotati da fini ideali o altruistici, come ad es. fondazioni e imprese sociali di cui al d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155.
Lo scopo del contratto di rete è rappresentato dall’adempimento delle prestazioni alla cui esecuzione i singoli partecipanti si obbligano, si tratta in particolare:
I. Della collaborazione in forme e ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle imprese contraenti;
14 In questo senso, Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie e Retimpresa, Linee Guida per i contratti di rete, marzo 2012.
II. Dello scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica;
III. Dell’esercizio in comune di una o più attività rientranti nell’oggetto delle imprese medesime.
Quest’elenco non può essere considerato tassativo, con la conseguenza che le prestazioni degli aderenti alla rete devono consistere nello svolgimento di qualsiasi attività che presenti i caratteri della collaborazione, della predeterminazione e dell’inerenza all’esercizio delle imprese riunite nella rete.
La prima delle prestazioni prese in considerazione dall’art. 3, comma 4-ter, D.L. n. 5/2009, risulta avere un oggetto talmente ampio da essere in grado di ricomprendere al suo interno anche le due successive. E’ interessante notare come la scelta terminologica operata dal legislatore15, mediante l’impiego di un termine – collaborazione – suscettibile di contraddistinguere sia l’attività del lavoratore autonomo sia quella del lavoratore subordinato e, dunque, compatibile sia con una partecipazione che si realizzi su un piano di completa parità tra i partecipanti, sia con un’attività delle singole imprese nella quale possano essere ravvisati degli elementi di eterodirezione di alcune nei confronti di altre.
Per quel che concerne l’elemento della predeterminazione, riguardante le forme e gli ambiti della collaborazione fra le imprese partecipanti, esso emerge dalla necessità che le obbligazioni delle parti si sviluppino sulla base di quanto stabilito nel programma comune di rete.
15 Riflessione svolta da X. Xxxxxxx in Il contratto di rete. Commentario, cit. 29 in cui parla di una vera e propria “causa di collaborazione”.
Infine, risulta piuttosto lineare l’ultimo punto riguardante l’inerenza rispetto all’attività svolta dalle imprese partecipanti, quindi il collegamento funzionale tra l’attività della rete e quella delle imprese; sembra che il controllo di tale carattere debba essere svolto con riferimento all’attività economica concretamente posta in essere dalle singole imprese, non necessariamente in via principale e, per le società, dovrà farsi riferimento all’oggetto sociale16.
4.2 La conclusione del contratto di rete e il regime pubblicitario
Nel caso in cui il contratto di rete sia bilaterale, la sua conclusione sarà caratterizzata dall’ordinaria sequenza della proposta-accettazione, secondo quanto previsto dall’art. 1326 c.c.; nel caso di contratto di rete a struttura plurilaterale, sarà necessario distinguere, sulla base di quanto sancito dall’art. 1420 c.c., fra parti la cui partecipazione debba essere considerata “essenziale”, rispetto a parti la cui presenza non sia considerata tale17.
Per quanto concerne la possibilità per cui imprese interessate possano aderire alla rete in un momento successivo rispetto alla stipulazione originaria del contratto, sembra che il contratto di rete, bilaterale o plurilaterale che sia, possa essere sia aperto che chiuso di fronte alla previsione di una possibile adesione di altre parti.
16 Non sembra potersi configurare la possibilità per cui con l’attuazione del contratto di rete si possa determinare una modificazione dell’oggetto sociale, stante la necessaria strumentalità della rete rispetto all’attività imprenditoriale di ciascun partecipante.
17 X. Xxxxx, Il Contratto, seconda edizione, 2011, Xxxxxxx Editore.
Nel caso in cui si tratti di un contratto aperto a tale evenienza, le modalità dell’adesione dovranno essere stabilite all’interno dello stesso18; in caso di mancanza di indicazioni in merito, verrà applicato il contenuto dell’art. 1332 c.c. per cui l’adesione deve essere diretta all’organo che sia stato costituito per l’attuazione del contratto o, in assenza di tale organo, a tutti i contraenti originari.
Per quanto concerne il regime pubblicitario del contratto di rete, a partire dalla L. n. 134/2012, di conversione del D.L. n. 83/2012, la disciplina distingue a seconda che la rete intenda o meno acquistare soggettività giuridica.
Nel caso delle reti-contratto, dunque prive di soggettività giuridica, a seguito delle modifiche operate dal decreto legge summenzionato, il comma 4-quater dell’art. 3, D.L. 5/2009 sancisce che “il contratto di rete è soggetto ad iscrizione nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari”.
Si tratta, in questo caso, di una forma di pubblicità costitutiva. L’efficacia del contratto a cui si riferisce il comma 4-quater è quella nei confronti dei terzi, secondo le regole generali di cui agli artt. 2193 e 2448 e non quella inerente i rapporti interni tra le parti, che invece si produce sin dalla conclusione del contratto e senza vincoli di forma19. Il comma 4-quater tratta, inoltre, della pubblicità degli accordi modificativi del contratto di rete, prevedendo che le modifiche in questione vengano redatte e depositate, ad opera dell’impresa menzionata all’interno dell’atto modificativo, nella sezione del Registro
18 Come sancito nell’art. 3, comma 4-ter, lett. d), D.L. n. 5/2009.
00 Xxx. X. Xxxxx Xxxxxxx, Il contratto, cit. 5 s.
delle Imprese presso la quale l’impresa coinvolta risulta essere iscritta; dopodiché, sarà cura dell’ufficio del Registro delle Imprese in questione portare a conoscenza delle modifiche intervenute anche tutti gli altri uffici del registro al quale sono iscritte le altre imprese, ciascuno dei quali provvederà alla relativa annotazione.
Per quanto concerne, invece, il regime pubblicitario delle reti-soggetto, la parte finale del comma 4-ter prevede che “se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, la rete acquista soggettività giuridica”. Tale acquisto è automatico, non presupponendo un controllo del concreto assetto della rete: risulta sufficiente che il contratto sia aderente ai requisiti formali previsti ex lege e che sia quindi iscritto nel registro delle imprese.
Continuando sul filo dell’osservazione iniziata nel §4 in merito alla necessaria presenza dell’organo comune nell’ambito delle reti-soggetto, preme ancora una volta sottolineare come, nonostante la lettera della norma faccia espresso riferimento solo al fondo comune, in realtà l’acquisto della soggettività giuridica da parte della rete presuppone che questa sia dotata anche di un organo comune. Il n. 3 del comma 4-ter incarica l’organo comune di redigere la situazione patrimoniale della rete, dal quale si può dedurre che il fondo patrimoniale necessiti l’esistenza di un organo comune; a ciò si aggiunga che lo stesso comma 4-quater si riferisce alla sede della rete, la quale dovrà necessariamente essere situata nel medesimo luogo in cui l’organo comune risulta insediato.
Anche la pubblicità finalizzata all’acquisto della soggettività giuridica può essere qualificata come costitutiva; a differenza, però, di quanto avviene nell’ambito della pubblicità che coinvolge le reti-contrattuali, nelle reti-soggetto risulta essere sufficiente l’iscrizione del contratto di rete nell’ufficio del Registro delle Imprese del luogo nel quale ha sede la rete stessa (e quindi l’organo comune), non risultando necessaria l’ulteriore iscrizione presso l’ufficio in cui ha sede ogni singola società20.
Allo stesso regime si devono ritenere assoggettate le modifiche alla rete-soggetto, effettuate dunque mediante deposito, a cura di una delle imprese o dello stesso organo comune, presso la sezione ordinaria del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della rete; anche in mancanza di una specifica disposizione al riguardo, non si vede perché le modifiche al contratto dovrebbero essere assoggettate ad un regime diverso rispetto a quello previsto per l’originaria iscrizione dello stesso contratto.
4.2.1 La forma e la durata del contratto di rete
Di regola, la volontà delle parti, ai fini della validità ad substantiam del contratto, non richiede alcuna forma particolare, quindi generalmente vale la regola propria ex art. 2251
c.c. sancita per la società semplice, secondo cui “il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti”.
20 La considerazione in questione è stata il frutto di una riflessione svolta da X. Xxxxxxx in “Le pubblicità del contratto di rete: questioni applicative”, studio n. 5-2013/I del Consiglio nazionale del notariato.
Eppure, sulla base di quanto sancito all’interno del comma 4-ter dell’art. 3, D.L. n. 5/2009, il contratto di rete deve essere redatto per atto pubblico, scrittura privata autenticata o atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25, d.lgs. 82/2005, da ciascun imprenditore o legale rappresentante delle imprese aderenti. Esso, inoltre, deve essere trasmesso ai competenti uffici del Registro delle Imprese attraverso un modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico.
Il contratto di rete può essere ricondotto al novero dei c.d. “contratti di durata”: si tratta di un elemento la cui presenza nel contratto di rete è espressamente menzionata dalla lett.
d) del medesimo comma 4-ter. La determinazione della durata viene, invece, rimessa alla completa discrezionalità delle parti, posto che il Legislatore non ha indicato né una durata massima né un termine minimo. Se, peraltro, le parti non dovessero stabilire alcun termine del contratto, poiché il termine costituisce un elemento accidentale del contratto21, saranno rari i casi di nullità dello stesso: a maggior ragione, per il contratto di rete è lecito presupporre l’esistenza di una lunga durata, la quale deve essere funzionale ad una collaborazione che, in quanto strategica, può comportare il compimento di investimenti specifici e particolarmente onerosi, potendo determinare il verificarsi di una situazione di lock in nella relazione, con conseguente innalzamento dei costi derivanti dall’uscita e dallo scioglimento della rete.
Posto che la stabilità della rete è un elemento che necessita di essere preservato, si rende opportuna l’adozione di meccanismi di gestione delle sopravvenienze che valorizzino la
21 X. Xxxxx, Il Contratto, seconda edizione, 2011, Xxxxxxx Editore, pag. 607.
flessibilità della rete22 e la cooperazione tra le parti, ad esempio proprio mediante la previsione di modalità di adesione successiva, nel caso in cui le parti conferiscano alla rete una struttura aperta. In definitiva, la durata della rete è direttamente proporzionale agli stratagemmi che le imprese aderenti a ciascuna realtà retista decidono di adottare e che costituiscono il punto di equilibrio nel rapporto tra gli interessi individuali e lo scopo di crescita, che caratterizzano i singoli imprenditori, e gli interessi collettivi propri della rete considerata nella totalità di parti che la costituiscono.
4.3 Il programma comune di rete
L’importanza centrale rivestita dal programma comune di rete può essere facilmente dedotta dal fatto che si tratta di un elemento che viene menzionato dal legislatore tra le primissime righe del comma 4-ter, art. 3, D.L. n.5/2009, utilizzato per dare la definizione stessa del contratto di rete: sulla base di tale programma, “le parti si obbligano a collaborare in forme e ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese”. Il programma è una parte del tutto fondamentale del contenuto, formale e sostanziale23, del contratto di rete, come viene dimostrato anche dalla sua menzione all’interno della lett. c) del medesimo comma 4-ter, nel quale ci si riferisce alla circostanza per cui nel programma comune è possibile individuare “l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante”.
22 Il tema verrà ampiamente approfondito all’interno del Cap. II, per quanto concerne i profili giuslavoristici del contratto di rete.
23 Per la distinzione tra contenuto formale e sostanziale del contratto si rimanda a X. Xxxxx, Il Contratto, seconda edizione,2011, Xxxxxxx Editore.
Il programma, tuttavia, non si limita solo a questo: si ritiene che esso debba includere anche “le modalità di realizzazione dello scopo comune”24 e tale previsione va letta di concerto con quanto disposto dalla precedente lett. b), che prevede “l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi”.
Il programma comune di rete può quindi essere considerato come una sorta di linea guida che gli imprenditori si prefiggono di rispettare scrupolosamente: un punto di riferimento fondamentale che gli aderenti possono consultare in qualsiasi momento del loro percorso, anche con l’intento di valutare lo stato d’avanzamento del programma concordato ma anche la coerenza delle attività svolte con gli scopi concreti che si sono prefissati di portare a termine dal momento in cui hanno deciso di aderire al contratto di rete. Esso può consistere in uno scrupoloso business plan avente ad oggetto un determinato progetto oppure può assumere più le sembianze di una cornice al cui interno sono delineate attività eterogenee (in tal caso si suole parlare di reti “multi-progetto”); infatti, ricorre spesso nel fenomeno delle reti il caso in cui per mezzo del contratto di rete si coordini una pluralità di attività caratterizzate da una certa autonomia ma collegate da un unico filo conduttore. La possibile natura multi-progetto del contratto di rete è stata oggetto di attenzione del
24 Continuazione della lett. c), comma 4-ter, D.L. n. 5/2009.
Legislatore25 che ha introdotto il contratto di rete fra le possibili forme di aggregazione idonee a partecipare ai bandi di aggiudicazione dei contratti pubblici26.
4.4 L’organo comune
Semplificando, il contratto di rete può essere definito il risultato della scelta compiuta da un certo numero di imprenditori, ciascuno dei quali mette in campo determinati strumenti/competenze che risultano complementari tra di loro, per realizzare determinati processi innovativi. Il coordinamento tra le attività realizzate dalle imprese può avere diversi gradi di complessità organizzativa, richiedendo quindi un livello di governance che, sebbene non debba giungere a quello di carattere corporativo proprio del modello societario, comporta, nella maggior parte dei casi, la necessità che questi meccanismi siano presidiati da un organo dotato delle competenze specifiche delle organizzazioni complesse.
L’organo comune è, quindi, incaricato dell’esecuzione del contratto di rete e assurge ad elemento del tutto facoltativo nelle ipotesi di rete-contratto: nella sua struttura più semplice, infatti, la rete è gestita direttamente dalle imprese che ne fanno parte,
25 Con il D.L. n. 179/2012 (convertito in L. n. 221/2012) sono state apportate modifiche al Codice degli Appalti pubblici (D.lgs. n. 163/2006), a seguito delle quali l’art. 34, con l’aggiunta della lett. e-bis) prevede che tra le formazioni ammesse a partecipare alle gare per l’aggiudicazione dei contratti pubblici sono espressamente contemplate “le aggregazioni tra le imprese aderenti al contratto di rete, ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, D.L. n. 5/2009.
26 L’Autorità di Xxxxxxxxx per i contratti pubblici ha fornito, con la determinazione n. 3/2013, le indicazioni operative per la partecipazione alle gare per gli appalti pubblici, considerando espressamente che, nell’articolazione dell’oggetto del contratto di rete, tra le diverse attività costituenti il programma comune, le parti contraenti possono contemplare, tra gli scopi strategici, la partecipazione congiunta alle procedure di gara.
analogamente a quanto previsto dall’art. 2257, comma 1, c.c. per la società semplice, attraverso i processi decisionali che il contratto deve indicare27. Al contrario, nonostante non venga espressamente sancita in tali termini dalla norma, la presenza del fondo comune risulta essere assolutamente necessaria, dal punto di vista pratico, nelle ipotesi di rete-soggetto. Ciò non toglie che l’attuazione del programma di rete possa richiedere che determinati adempimenti siano oggetto di obbligo diretto posto in capo agli stessi partecipanti alla rete.
L’organo comune ha, dunque, il compito di perseguire l’interesse collettivo della rete: l’attività esecutiva può manifestarsi mediante il compimento di atti giuridici o atti materiali e deve essere realizzata alla luce della necessità di privilegiare in primis l’interesse collettivo della rete rispetto a quello dei singoli partecipanti, finalità che viene assicurata mediante il rispetto del dovere di lealtà nei confronti della collettività di partecipanti.
L’organo comune è disciplinato all’interno della lett. e) del comma 4-ter, art. 3, D.L. n. 5/2009, la cui normativa si caratterizza per un elevato grado di libertà riconosciuto alla discrezionalità delle parti nello stabilire la struttura e la composizione dell’organo in questione28. Le parti potranno, pertanto, scegliere organi comuni ampiamente rappresentativi, composti da tutti i membri della rete, oppure organi caratterizzati dalla
27 Lett. f) comma 4-ter, art. 3, D.L. n.5/2009 prevede che il contratto di rete debba indicare “le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo”.
28 Tra gli elementi elencati dall’art. 3 comma 4-ter, la lett. e) in commento sancisce che il contratto deve indicare “l'istituzione, il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l'ufficio di organo comune per l'esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto”.
presenza della maggioranza dei partecipanti, soltanto da una minoranza di essi od, ancora, optare per un organo monocratico; la scelta può, eventualmente, contemplare l’istituzione di un organo composto da soggetti esterni alla rete.
La natura dell’organo comune differisce a seconda che si tratti di a) rete-contratto o di b)
rete dotata di soggettività giuridica.
a) In caso di rete meramente contrattuale, nel silenzio della norma, si applica la disciplina del mandato: l’organo comune deve perseguire l’interesse collettivo della rete alla luce del rispetto degli interessi individuali di ciascun contraente e ciò costituisce un vincolo all’attività. Il riferimento alla disciplina del mandato può essere desunto, anzitutto, in forza del richiamo, contenuto all’interno del comma 4-quinquies, art. 3, D.L. n. 5/2009, nei confronti della lett. b) del comma 368, art. 1, L. 266/2005 in tema di distretti industriali: a questi (e di conseguenza alle reti di imprese) viene concessa la possibilità di stipulare, per conto delle imprese, negozi di diritto privato nel rispetto delle norme in tema di mandato di cui agli artt. 1703 ss. c.c. Inoltre, l’organo comune del contratto di rete privo di soggettività giuridica richiama in modo piuttosto chiaro l’organo “costituito per l’attuazione del contratto” su previsione dell’art. 1332 in tema di contratti aperti, rispetto al quale può essere individuato un collegamento con il contratto di rete.
Se alla base dell’istituzione dell’organo comune vi è, dunque, un contratto di mandato, che dovrà essere espressamente introdotto nel contratto di rete, le modalità con cui tale mandato può articolarsi sono svariate: anzitutto, l’organo comune può essere destinatario di un mandato con un’ampiezza anche diversa rispetto ai contenuti del contratto e del programma di rete, potendo essere incaricato dell’esecuzione anche di una sola parte o
fase del contratto; nel caso in cui il mandato fosse parziale, si verrebbe a determinare una “governance duale” tale per cui sarebbero i partecipanti alla rete direttamente, in base alle regole stabilite, ad occuparsi dell’attuazione della restante parte del contratto.
In quanto conferito da almeno due soggetti (i contraenti), il mandato ha natura collettiva per ciò che concerne l’attuazione del programma di rete, salva l’eventualità per cui i singoli membri affidino al medesimo organo incarichi individuali, seppur collegati e allo stesso modo attuativi del contratto di rete. In caso di organo non monocratico, troverà, inoltre, applicazione la disciplina inerente la pluralità di mandatari29. In tal caso, cioè, si presume la natura disgiunta dell’esecuzione in assenza di volontà contraria delle parti, salvo l’obbligo di informazione posto in capo a ciascun mandatario nei confronti degli altri membri dell’organo circa la realizzazione dell’affare. Si tratterà, pertanto, di un mandato unico e non di pluralità di mandati, posto che l’incarico all’esecuzione del contratto di rete è inteso dal Legislatore in senso unitario. Ai fini della disciplina del mandato collettivo, non può non essere menzionato il contenuto dell’art. 1726 c.c. in tema di revoca del mandato, il quale prevede un’importante conseguenza, ossia che “la revoca del mandato non ha effetto qualora non sia fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa”. Questa limitazione posta rispetto alla revoca dell’organo comune risulta del tutto coerente con la finalità del contratto di rete e con le esigenze di inscindibilità del relativo programma, impedendo revoche da parte del singolo mandante
29 Art. 1716 c.c.: “Salvo patto contrario, il mandato conferito a più persone designate a operare congiuntamente non ha effetto, se non è accettato da tutte. Se nel mandato non è dichiarato che i mandatari devono agire congiuntamente, ciascuno di essi può concludere l’affare (…)”.
produttive di conseguenze nei confronti dell’intero contratto, se non supportate da una giusta causa30.
Nel caso in cui dovesse, invece, essere prevista l’esecuzione congiunta del contratto, ciascun componente dell’organo deve collaborare con gli altri e il venir meno dell’apporto di uno impedirebbe la realizzazione dell’incarico, esponendo tutti i membri dell’organo a responsabilità.
L’applicazione della disciplina civile del contratto di mandato31 comporta le numerose varianti e peculiarità che derivano dal carattere dispositivo delle norme inerenti il tema in questione, a cui si aggiunge l’ampia libertà riconosciuta alle parti del contratto di rete dal D.L. n. 5/2009.
Innanzitutto, è possibile richiamare l’art. 1710 c.c. in tema di diligenza richiesta al mandatario, la quale si riferisce a quella ordinaria del buon padre di famiglia e non a quella rafforzata del professionista: ciò implica che, nel caso in cui si volesse attribuire un onere di diligenza qualificata all’organo comune della rete, questo andrebbe reso esplicito o quanto meno desunto dalla qualificazione professionale del mandatario o dalla natura del mandato conferito. Ancora, ex art. 1711 c.c., il mandatario è sempre soggetto alle direttive ed istruzioni del mandante e non può superare i limiti del mandato, restando a suo carico, in un ipotesi simile, l’atto esorbitante eventualmente compiuto. A tal proposito, sarebbe idoneo effettuare una dettagliata descrizione dei poteri e dei limiti del mandatario già all’interno del contratto di rete o, quanto meno, prevedere un meccanismo
30 F. Filì, “La governance del contratto di rete: organo comune e codatorialità”, in Contratto di rete: trasformazione del lavoro e reti di imprese, 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, pag.103.
31 X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, Manuale di diritto privato, ventesima edizione, 2011, Xxxxxxx editore.
di rendicontazione nei confronti dei partecipanti alla rete che consentisse di precisare il perimetro del mandato conferito all’organo comune.
Un aspetto fondamentale che deve essere regolato nel contratto di rete riguarda la durata dell’incarico all’organo comune, non potendo sul punto intervenire il meccanismo dell’analogia e quindi prendere in considerazione le norme del Codice Civile sul contratto di mandato, ideato per il compimento di “uno o più atti giuridici” e non per un rapporto di durata, nonché eventuali meccanismi di rinnovo o di revoca degli stessi.
b) Nella seconda ipotesi, quella in cui ci si trovi dinanzi ad una rete-soggetto, le parti possono optare per un modello a struttura complessa, nel quale vi è un completo abbandono delle regole in tema di mandato e si determina un avvicinamento nei confronti della disciplina in base alla quale “produzione” e “imputazione” di determinati atti vengono ricollegate direttamente all’attività dell’organo comune costituito.
Nel silenzio del Legislatore, alle parti viene riconosciuta la possibilità di determinare il funzionamento di tale organo optando per un’amministrazione congiunta o disgiunta o prediligendo l’adozione del metodo collegiale. In questo caso, l’organo comune acquista maggiore autonomia rispetto alle figure delle imprese aderenti alla rete, anche se ciò non implica una assimilazione rispetto al consiglio di amministrazione di una società32.
Avendo, invece, riguardo ad entrambe le ipotesi di rete (rete-contratto e rete-soggetto), si potrebbe ipotizzare l’ipotesi per cui le parti istituiscano una società partecipata per renderla organo comune della rete e realizzare l’esecuzione del relativo programma; nel
32 X. Xxxxxxx e P. Iamiceli, “La governance del contratto di rete”, in Il contratto di rete. Commentario, 2009, Edizioni Il Mulino.
caso in cui si dovesse optare per una soluzione simile, la società-organo in questione opererebbe come mandataria nella rete puramente contrattuale e in qualità di amministratore unico in caso di rete-soggetto. In tal caso si tratterebbe, per di più, di un mandato conferito anche nell’interesse del mandatario, determinando quindi la revocabilità solo per giusta causa33.
Per quanto riguarda, infine, la disciplina della rappresentanza, essa è diversa nel caso di rete-contratto rispetto all’ipotesi di rete-soggetto: nel primo caso si applica la disciplina della rappresentanza ordinaria, nel secondo quella della rappresentanza organica.
La lett. e) del comma 4-ter, art. 3, D.L. n. 5/2009 precisa, infatti, che “L'organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica e, in assenza della soggettività, degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto (…)”.
L’attribuzione del potere di rappresentanza all’organo comune, nella rete-contratto, comporta che tutti gli effetti degli atti posti in essere dallo stesso, nei limiti delle facoltà conferite, si riflettono automaticamente nella sfera giuridica delle imprese rappresentate; in mancanza di tale rappresentanza, l’organo comune opererà in qualità di mandatario, compiendo tutti gli atti necessari all’attuazione del contratto e del programma di rete, direttamente per conto degli aderenti alla rete, restando il conseguente obbligo di trasferimento degli effetti giuridici degli atti compiuti.
33 Cfr. art. 1723 c.c.
Per contro, nella rete-soggetto, rimanendo fedeli alla lettera della norma, l’organo comune agisce direttamente in rappresentanza della rete, in maniera tale che ciascuno degli atti posti in essere si vada a riflettere nella sfera giuridica della stessa.
Per concludere, il potere di rappresentanza dell’organo comune deve comunque intendersi generale e non limitato alle attività esecutive del contratto di rete (come, invece, può dirsi con riferimento al potere gestorio ex comma 4-ter, lett. d), art. 3, D.L. 5/2009): ciò può essere desunto anche a seguito del riferimento effettuato nei confronti dell’art. 2615, comma 2, c.c. in materia di consorzi, da cui si deduce che l’organo comune può agire nell’interesse esclusivo di singole imprese della rete, oltre che nell’interesse esclusivo o congiunto di quest’ultima34.
4.5 Il fondo patrimoniale comune
Tra gli elementi che il comma 4-ter, art. 3, D.L. n. 5/2009 considera come facoltativi nel contratto di rete, è possibile individuare l’istituzione di un fondo patrimoniale comune. Esso viene disciplinato, in parte, tramite il rinvio effettuato dall’articolo in questione ad alcune disposizioni in materia di consorzi con attività esterna35, in parte da una normativa autonoma36.
34 X. Xxxxxxxx, “Il contratto di rete: un inquadramento civilistico” in X. Xxxxx Xxxxxx, X. Xxxxx, Contratto di rete e diritto del lavoro, 0000, Xxxxxxx Xxxxxx, pag. 62.
35 Il num. 2) del comma 4-ter menziona gli artt. 2614 e 2615, comma 2, c.c., i quali vengono richiamati “in quanto compatibili”.
36 Si fa riferimento a quanto contenuto al n. 2) e lett. c) comma 4-ter, art. 3, D.L. n. 5/2009.
Il fondo patrimoniale comune è costituito dagli apporti delle imprese aderenti, effettuando la legge una distinzione tra “conferimenti iniziali” ed “eventuali contributi successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo” (lett. c comma 4-ter) e, per mezzo del richiamo all’art. 2614 c.c., vengono presi in considerazione anche i beni successivamente acquistati utilizzando i contributi in questione.
La lettera della legge potrebbe essere interpretata in maniera fuorviante: il riferimento al concetto di “conferimenti” non deve indurre in errore. Non deve, infatti, intendersi che il contratto di rete, in tutte le ipotesi in cui sia prevista l’istituzione di un fondo comune, debba essere ricollegato alla categoria dei contratti traslativi. Solo nell’ipotesi di rete- soggetto, infatti, il contratto comporta uno “spostamento” dalle imprese alla rete, la quale, dopo aver acquisito la soggettività giuridica e, quindi, la capacità giuridica, diviene autonoma titolare di diritti; al contrario, nelle ipotesi di reti meramente contrattuali, sebbene dotate di un fondo patrimoniale comune, queste non assumono mai l’identità di enti giuridici, in maniera tale che gli apporti che vengano conferiti al fondo da parte delle singole imprese determinino semplicemente una separazione dal patrimonio individuale del conferente, realizzando una sorta di mero “distacco”. Il fondo comune delle reti non entificate, di conseguenza, appare semplicemente come un complesso di beni di diversa provenienza, organizzati con lo scopo di realizzare l’esercizio dell’attività della rete.
Non assurgendo il fondo patrimoniale comune tra gli elementi costitutivo-necessari del contratto, la rete può operare anche “senza portafoglio”37. Nel caso in cui, però, le imprese
37 P. Iamiceli in il Contratto di rete. Commentario, cit. 64, la quale ritiene che, in mancanza di un effettivo fondo comune, alle parti sia comunque riconosciuta la possibilità di dotare la rete di determinati bene, senza che tale approvvigionamento sia considerato autonomo rispetto ai singoli patrimoni individuali, realizzando al massimo una comunione di beni.
abbiano deciso di dotare la rete del fondo in questione, la norma richiede che il contratto indichi “la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti” nonché “le regole di gestione del fondo medesimo”.
In caso di eventuale silenzio operato dal contratto in merito all’entità di tali contributi, si presume che le parti siano obbligate in ugual misura; in caso contrario, la determinazione dei singoli apporti, che la legge sembra rimettere alla più completa discrezionalità delle parti, determina le quote di partecipazione delle imprese al fondo comune, in piena applicazione del disposto di cui al comma 2 dell’art. 261538, come richiamato dal comma 4-ter. La libertà delle parti viene, inoltre, riconosciuta anche per quel che concerne la natura dei conferimenti da trasferire al fondo, non potendosi effettuare un espresso richiamo alle norme sui conferimenti in materia di società per azioni.
Per quanto concerne la gestione del fondo patrimoniale comune, in particolare il compimento di atti di investimento per mezzo dei beni e diritti facenti parte del fondo, si tratta sempre di aspetti suscettibili di essere regolati dal contratto stesso e si deve ritenere che tale gestione rientri nell’ambito di esecuzione del contratto. L’incarico in questione, in caso di assenza di specifiche previsioni al riguardo, si ritiene debba essere espletato dall’organo comune. Non si può, però, escludere che il contratto possa attribuire tale compito ad un soggetto diverso dall’organo comune, eventualmente incaricato della sola gestione patrimoniale, oppure che quest’ultimo assegni tale incarico ad un soggetto specializzato, magari solo limitatamente ad una parte del fondo stesso. Nel primo caso, tra i partecipanti alla rete e il gestore del fondo si instaurerebbe un autonomo rapporto di
38 L’articolo in questione recita: “Per le obbligazioni assunte dagli organi del consorzio per conto dei singoli consorziati rispondo questi ultimi solidalmente col fondo consortile”.
mandato, parallelo e non coincidente con quello intercorrente tra imprese aderenti e organo comune; nella seconda ipotesi, il gestore opererebbe quale sostituto del mandatario ex art. 1717 c.c., in quanto previamente autorizzato dai mandanti o direttamente investito di tale compito da parte del mandatario (ovvero l’organo comune), in presenza di una situazione di necessità legata alla natura della gestione39.
Sulla scorta del richiamo effettuato dal comma 4-ter all’art. 2614, per tutta la durata della rete le imprese contraenti “non possono richiedere la divisione del fondo” Ciò implica che non può essere effettuata una liquidazione di tal genere al di fuori dell’eventualità di scioglimento del contratto e che, prima di tale momento, il fondo patrimoniale comune potrà essere solo oggetto ad incrementi e mai a riduzioni: una riduzione volontaria, con conseguente rimborso dei contributi alle imprese aderenti (c.d. riduzione reale) ne determinerebbe una divisione, in espressa violazione del divieto posto dalla legge.
Inoltre, sempre per tutta la durata della rete, i creditori particolari delle imprese partecipanti non possono far valere i propri diritti sul fondo comune, in conformità a quanto sancito dall’ultima parte dell’art. 2614 c.c.
Si tratta di una regola che ha come diretti destinatari i consorzi con attività esterna, i quali si caratterizzano dal fatto di essere sempre dotati di soggettività giuridica e, di conseguenza, il relativo fondo consortile appartiene sempre al consorzio in qualità di autonomo soggetto di diritto. Essendo questa la ratio della norma in esame, essa potrebbe risultare non perfettamente adeguabile a quelle che, invece, sono le peculiarità della rete la quale, si ribadisce, può perfettamente non essere entificata. D’altronde, il comma 4-ter
39 P. Iamiceli, “Contratto di rete, fondo comune e responsabilità patrimoniale” in Contratto di rete. Commentario, 2009, Edizioni il Mulino.
non lascia dubbi circa il fatto che il riferimento all’art. 2614 viene effettuato nei confronti di tutte le reti che siano dotate di fondo patrimoniale e organo comune, prescindendo dalla soggettività giuridica. In caso di rete-contratto, quindi, si fa riferimento all’ apporto realizzato nei confronti della rete come atto che determina un mero allontanamento rispetto al patrimonio proprio della singola impresa, comportando una semplice sottrazione di esso dalla regola generale della responsabilità patrimoniale.
Infine, a completamento del quadro inerente le disposizioni che hanno ad oggetto il fondo patrimoniale comune, il num. 3) del comma 4-ter sancisce che “entro due mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale l'organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede”.
4.6 La possibile istituzione di fondi patrimoniali destinati
L’ultima parte della lett. c) del comma 4-ter, art. 3, D.L. n. 5/2009, accenna alla possibile istituzione di fondi patrimoniali destinati per la realizzazione del conferimento alla rete da parte di ciascuna impresa aderente, quale unica alternativa rispetto all’istituzione del fondo patrimoniale comune, nel caso in cui vi sia stata un’esplicita previsione in tal senso da parte del programma comune di rete e sulla scia della disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, stabilita dall’art. 2247-bis, comma 1, lett a) che, infatti, viene espressamente menzionata dal comma 4-ter in oggetto.
Si tratta di una soluzione che può essere contemplata solo nei casi di reti costituite tra società per azioni e, comunque, nel rispetto dei limiti qualitativi e quantitativi indicati dalla norma40.
Nella fattispecie in esame è possibile riconoscere un collegamento tra diversi patrimoni destinati, che non sono costituiti per la realizzazione di una pluralità di affari distinti ma per l’adempimento di un medesimo affare, in altre parole per l’attuazione del programma di rete, a meno che non vi sia l’intenzione di suddividere il programma in questione nell’esecuzione di tanti “sotto programmi” diversi, benché tra di loro collegati. E’ utile precisare che, diversamente dal fondo patrimoniale comune, dei beni e dei diritti imputati ai patrimoni destinati restano titolari le singole imprese aderenti, senza configurare alcun regime di comunione; la proprietà risulta, quindi, essere individuale, ma la destinazione è rivolta alla soddisfazione di interessi collettivi.
Non configurandosi nessun patrimonio comune, che possa essere elevato a patrimonio autonomo, si deve ritenere, in conclusione, che la rete che può contemplare l’istituzione di patrimoni destinati in alternativa al fondo patrimoniale comune, è una rete puramente contrattuale, caratterizzata da un sistema di patrimoni destinati collegati tra loro ma di proprietà individuale.
40 Il comma 2 dell’art. 2247-bis sancisce espressamente, fatto salvo il disposto di eventuali leggi speciali, che l’ammontare destinato a patrimonio specifico deve rispettare il limite del 10% del patrimonio netto della società.
5. La responsabilità della rete verso terzi
L’art. 3, comma 4-ter del decreto legge n. 5/2009, stabilisce alle lett. c e d che, ai fini del perseguimento dello scopo comune della rete, i contraenti debbano, in sede di stipulazione, definire un programma, prevedere un organo comune incaricato di eseguire il contratto di rete, individuare i poteri, anche rappresentativi, di tale organo e istituire un fondo patrimoniale comune. A seguito delle modifiche apportate all’articolo in esame, ad opera della riforma attuata dalla legge n. 99/2009, è stato introdotto un esplicito riferimento a due articoli del codice civile, l’art. 2614 c.c., che, in tema di consorzi, prevede l’intangibilità e l’inaggredibilità del fondo consortile da parte, rispettivamente, dei consorziati e dei creditori particolari di questi, e l’art. 2615 c.c. inerente alla responsabilità del consorzio e dei consorziati verso i terzi.
La rete, come già si è potuto vedere, può rilevare esternamente come entità unitaria, distinta dai diversi soggetti stipulanti e dotata di propria soggettività giuridica oppure può realizzare i propri atti a livello prettamente interno, relazionandosi con i terzi, agendo per conto dei soggetti aderenti al contratto di rete. A tal riguardo, dunque, risulta necessario effettuare un’analisi distinguendo sulla base delle due tipologie di rete possibili.
5.1 La responsabilità verso terzi della rete-contratto
La rete-contratto, priva di rilevanza esterna unitaria, può interfacciarsi con i terzi in due modi:
I. Attraverso l’organo comune;
II. In maniera diretta, non passando per il tramite dell’organo comune.
Per quanto concerne l’opzione I, il rapporto con soggetti terzi viene dunque instaurato mediante l’azione dell’organo comune, pur rilevando la rete sempre come collettività di soggetti priva di rappresentanza unitaria esterna, nell’ambito della quale i rapporti con i terzi vengono regolati mediante il ricorso agli strumenti gestori tipici, il mandato e la rappresentanza nei contratti41; a ciò sembra specificamente far riferimento la normativa dettata dall’art. 3, comma 4-ter, lett. e) la quale, nell’elencare gli elementi che devono essere indicati all’interno del contratto di rete, menziona “i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto”.
Possono, dunque, essere considerate due diverse ipotesi:
- L’organo comune agisce in forza di un mandato con rappresentanza, operando in nome e per conto delle imprese membri della rete;
- L’organo comune agisce sulla base di un mandato senza rappresentanza, spendendo il proprio nome ma nell’interesse dei partecipanti alla rete.
Nel primo caso, gli atti negoziali stipulati dall’organo comune produrranno i propri effetti direttamente nella sfera giuridica delle singole imprese e, conseguentemente, queste ultime risponderanno individualmente, parziariamente o in via solidale a seconda del tipo di obbligazione contratta e di quanto stabilito nel titolo.
41 Si vedano, per la relativa disciplina, rispettivamente gli artt. 1703 ss. e gli art. 1387 ss. del codice civile.
Nel secondo caso, sarà l’organo agente ad essere tenuto al trasferimento degli effetti giuridici degli atti compiuti per conto dei mandanti nella loro sfera giuridica ma, prima del trasferimento in questione, sarà l’organo comune a rispondere in primis degli impegni assunti; si tratta però di un’ipotesi residuale, poco plausibile da un punto di vista pratico.
Tornando all’opzione II sopra menzionata, per alcune attività rientranti nell’oggetto del contratto di rete è possibile che i terzi si interfaccino direttamente con i partecipanti alla rete o con alcuni di essi che operano per conto della rete. In tal modo, si configurerebbero rapporti contrattuali con i terzi, di natura bilaterale, oppure talvolta con parte plurisoggettiva. Si avrebbe, pertanto, una pluralità di soggetti debitori (partecipanti alla rete) co-obbligati nei confronti di un’unica controparte contrattuale. In una simile ipotesi, troverebbe applicazione la presunzione di solidarietà dell’obbligazione unitariamente assunta dalle imprese della rete coinvolte, per cui ciascuna di queste imprese potrebbe essere chiamata ad eseguire la prestazione per intero42. Stando ad un più recente orientamento giurisprudenziale43, tale presunzione opera esclusivamente in presenza di obbligazioni indivisibili, tale per cui se i partecipanti alla rete fossero obbligati ad una medesima prestazione di natura divisibile, essi sarebbero tenuti a risponderne esclusivamente in proporzione delle rispettive quote.
Infine, laddove si pervenisse alla stipulazione di distinti contratti da parte delle singole imprese, sebbene sempre in esecuzione del contratto di rete, ciascuna impresa sarebbe esclusivamente responsabile per l’obbligazione singolarmente pattuita.
42 Si considerino gli artt. 1292 e 1294 c.c. nonché Cass. 10 settembre 2007, n. 18939.
43 Cass., sez. un., 9 aprile 2008, n. 9148.
5.1.1 Inadempimento della rete-contratto e tutela dei terzi
Anche per affrontare l’ipotesi di inadempimento della rete-contratto, è necessario distinguere in:
I. presenza di un organo comune che agisce con poteri di rappresentanza;
II. presenza di un organo comune privo di poteri di rappresentanza.
Nella prima ipotesi, è necessario rifarsi alla disciplina in materia di obbligazioni con pluralità di soggetti, in particolare con pluralità di debitori: in assenza di soggettività, l’attività realizzata dall’organo comune in nome e per conto di tutti gli aderenti produce i suoi effetti direttamente nella sfera giuridica dei singoli partecipanti alla rete, configurando così un unico rapporto obbligatorio con il terzo contraente, con parte plurisoggettiva dal lato passivo ex art. 1294 c.c.44 Tuttavia, nel caso in cui le prestazioni oggetto del contratto stipulato dall’organo comune della rete risultino divisibili, si ritiene che l’obbligazione possa essere suddivisa in tante obbligazioni quanti sono i condebitori, ognuno dei quali risulta obbligato per la propria parte45.
Ciò vale nel caso in cui le obbligazioni siano contratte nell’interesse di tutti i condebitori. Laddove l’obbligazione sia stata realizzata nell’interesse esclusivo di un singolo partecipante alla rete, sarebbe il singolo debitore a risponderne, senza possibilità di agire in regresso nei confronti degli altri; si verificherebbe, tuttavia, una ripartizione della
44 “I condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente”.
45 Art. 1314 c.c.: “Se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è solidale, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte, e ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte”.
xxxxxxx fra tutti gli altri condebitori, qualora il condebitore nel cui interesse è stata assunta l’obbligazione si dimostrasse insolvente46.
5.2 La responsabilità verso terzi della rete-soggetto
Nel caso di rete dotata di soggettività giuridica, l’attività negoziale con i terzi viene esercitata direttamente dalla rete, per il tramite del proprio organo comune.
Tra le fattispecie tipizzate, il consorzio con attività esterna si presenta come quella più facilmente riconducibile alla configurazione del contratto di rete, in vista degli espressi richiami agli artt. 2614 e 2615 c.c. Il consorzio con attività esterna intrattiene rapporti con i terzi e si caratterizza quale autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche, distinto dai suoi membri.
Per quanto compatibile con la disciplina appena menzionata, ai sensi dell’art. 2615 c.c. l’organo comune della rete può, di conseguenza, agire in nome e per conto della rete47 oppure agire in nome della rete ma per conto di soli singoli membri; con riferimento a questa seconda ipotesi, sulla base del comma 2 dell’art. 2615 c.c. vengono individuati più centri di responsabilità solidale con rilevanza esterna: il singolo consorziato (alias il singolo membro della rete) e il consorzio con il fondo consortile (nell’ipotesi della rete, la rete con il fondo patrimoniale). Inoltre, in caso di insolvenza del singolo, il debito dell’insolvente si ripartisce tra tutti i consorziati (tra tutti i membri della rete)
46 Art. 1298, comma 1 c.c.: “Nei rapporti interni l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori o tra i diversi creditori (1), salvo che sia stata contratta nell'interesse esclusivo di alcuno di essi”.
47 Ci si riferisce in particolare al comma 1 art. 1615 c.c.
proporzionalmente alle quote di ciascuno. In tal modo, l’imputazione dell’obbligo in capo al membro interessato sembra essere svincolata dai meccanismi propri dell’esercizio di poteri rappresentativi e della spendita del nome.
5.2.1 Inadempimento della rete-soggetto e tutela dei terzi
In tutte le ipotesi in cui la rete costituisca un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici, in forza del rinvio all’art. 2614 c.c. il fondo patrimoniale comune assume i tratti di un patrimonio autonomo, non potendo essere aggredito dai creditori particolari delle imprese partecipanti al contratto di rete né potendo chiederne i membri della rete la divisione per tutta la durata del contratto di rete.
L’esplicito rinvio effettuato dal D.L. n. 5/2009 nei confronti dell’art. 2615 c.c., in quanto compatibile, impone di distinguere tra:
- Obbligazioni assunte dall’organo comune della rete in nome della rete stessa e nell’interesse di tutti i partecipanti (art. 2615 comma 1 c.c.);
- Obbligazioni assunte dall’organo comune in nome della rete ma nell’interesse di un singolo partecipante della stessa (art. 2615 comma 2 c.c.).
Solo la prima ipotesi rappresenta un vero e proprio caso di responsabilità che coinvolge unicamente la rete: essa, in qualità di soggetto di diritto a sé stante, risponde esclusivamente con il proprio patrimonio autonomo delle obbligazioni assunte dai propri organi; i terzi contraenti, di conseguenza, potranno aggredire solo le risorse del
patrimonio comune, non potendo attingere ai patrimoni personali dei singoli membri della rete.
Diversamente, per le obbligazioni assunte dalla rete in nome della stessa ma nell’interesse di singoli membri si applica un regime di responsabilità solidale tra i singoli membri interessati all’affare ed il fondo patrimoniale comune; in tal caso, il terzo contraente potrebbe rivolgersi sia alla rete che alla singola impresa partecipante per far valere i propri diritti e, nel caso in cui la singola impresa dovesse dimostrarsi insolvente, il debito verrebbe ripartito tra tutti i membri della rete in proporzione delle quote, sulla scia di quanto sancito dal comma 2 dell’art. 2615 c.c.
5.3 La responsabilità extracontrattuale della rete
Per quel che concerne le obbligazioni da fatto illecito extracontrattuale, sorte a seguito di una condotta antigiuridica ai sensi dell’art. 2043 c.c., è necessario effettuare, ancora una volta, una distinzione tra rete non entificata e rete-soggetto.
La materia della responsabilità extracontrattuale della rete priva di soggettività giuridica per i danni cagionati a terzi nell’ambito dell’esecuzione del contratto di rete richiede, innanzitutto, di individuare i criteri che consentano di imputare l’illecito ai responsabili. A tal fine, possono essere formulate due ipotesi:
- il fatto illecito può essere imputabile ad una singola impresa e, in tal caso, sarà solo essa a risponderne;
- l’illecito può essere imputabile alle imprese in forma collettiva.
Nel secondo caso, può essere delineata una responsabilità solidale delle imprese partecipanti al contratto di rete sulla base del disposto ex art. 2055 c.c.48, salvo l’eventuale riparto interno del carico risarcitorio in proporzione della gravità della rispettiva colpa e delle relative conseguenze da ciò derivate. Per far sì che tale ipotesi si possa realizzare, è necessario che più imprese abbiano concorso a cagionare un unico evento dannoso nella sfera giuridica del danneggiato e, dunque, un’effettiva imputabilità dell’evento dannoso ad una pluralità di imprese. Il terzo danneggiato potrà, dunque, rivolgersi ad una sola delle imprese responsabili, chiedendo l’intero risarcimento del danno, godendo di una maggiore protezione contro il rischio di insolvenza da parte di uno dei danneggianti. Il peso della condotta concretamente tenuta da ciascuna impresa, il diverso grado di colpa e il suo contributo nella realizzazione del danno avranno rilievo unicamente in sede di regresso interno.
Diversamente, in caso di rete-soggetto, nell’ipotesi in cui un’impresa cagioni un danno ad un terzo in occasione dell’esecuzione di un’attività inerente l’oggetto del contratto di rete, sembra plausibile ritenere che sia la rete stessa a rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale. In tal senso si è espressa la giurisprudenza in tema di consorzio con attività esterna, affermando che, proprio in vista del rapporto che lega i membri all’ente dotato di soggettività giuridica, è il consorzio che risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale di tutte le conseguenze degli atti realizzati dai suoi membri49. Dunque, in conclusione, se un terzo subisce un danno derivante dall’esecuzione, da parte di una
48 Art. 2055 c.c.: “Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”.
49 Si veda Cass., 3 luglio 2008, n. 18235.
delle imprese aderenti alla rete, di attività oggetto dello stesso contratto di rete, sarà comunque quest’ultima a risponderne con il proprio fondo patrimoniale sulla base di quelli che sono i principi della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
6. Lo scioglimento del contratto di rete.
La lett. d), comma 4-ter del D.L. n.5/2009 si occupa di introdurre i concetti di durata del contratto di rete, delle possibili “cause facoltative di recesso anticipato”, formulando un riferimento molto generico alla normativa civilistica in materia di scioglimento totale o parziale dei contratti plurilaterali con comunione di scopo. Seppur il rinvio non sia effettuato in maniera esplicita, gli articoli del codice civile coinvolti sono sicuramente l’art. 1446 c.c., in merito all’annullabilità del contratto plurilaterale, l’art. 1459 c.c., riguardante la risoluzione nel contratto plurilaterale ed, infine, l’art. 1466 c.c., intitolato “impossibilità nel contratto plurilaterale”.
Si è dell’avviso che i richiami codicistici considerino a sufficienza le specificità proprie del contratto di rete; risulta, dunque, necessario, provare ad effettuare una distinzione tra i possibili scenari a cui può essere data origine.
6.1 Lo scioglimento del contratto di rete rispetto ad un singolo membro
Come già sopra indicato, la legge menziona l’istituto del recesso, per poter esercitare il quale è necessario che all’interno del contratto di rete siano indicate le “cause facoltative
dello stesso. La previsione di un recesso libero e privo di particolari condizioni non sembra essere né gradito al legislatore della rete contrattuale (si tratta di un’impressione ricavata dal fatto che l’enunciato contenuto nella lett. d), comma 4-ter, art. 3, D.L. n. 5/2009 si limita semplicemente ad indicare che “se pattuite, le cause facoltative di recesso anticipato e le condizioni per l'esercizio del relativo diritto”), né particolarmente adatto a questa specifica materia. La stabilità e durata sono, del resto, due elementi imprescindibili per un corretto adempimento del contratto di rete, il quale tende alla realizzazione di uno scopo che accomuna gli interessi individuali degli imprenditori contraenti, scopo che necessita di una certa quantità di tempo per giungere a realizzazione.
Ciò nonostante, la legge dona alle parti ampia libertà nello stabilire limiti e oneri procedimentali per l’esercizio del recesso.
Il D.L. n.5/2009 non contempla espressamente l’ipotesi di esclusione dei contraenti, anche se questa appare essere una possibilità totalmente ammissibile: sarà, quindi, necessario che il contratto contempli cause e modalità dell’esclusione, attribuendo il potere di realizzarla agli stessi contraenti oppure all’organo comune. L’esclusione dei contraenti potrebbe, inoltre, costituire un efficace compromesso rispetto alla situazione che potrebbe venire a determinarsi a seguito di risoluzione del vincolo individuale dell’inadempiente, scontrandosi l’interesse dei contraenti adempienti che votano a favore della continuazione del rapporto con quello di coloro che invece optano per lo scioglimento.
Altre cause di scioglimento del contratto, limitatamente ad una parte, sono la morte, l’estinzione o la cessazione dell’attività del contraente, come pure la successione nella
titolarità della relativa azienda. Si ritiene che la qualità di membro della rete non possa considerarsi trasmissibile in quanto il contratto di rete si basa fortemente sull’intuitus personae. Parimenti, non si può nemmeno escludere a priori che tale contratto consenta la trasmissione del rapporto, potendo tale circostanza rappresentare manifestazione del consenso anticipato dei contraenti alla cessione contrattuale, sulla base di quanto sancito dall’art. 1407 c.c.50
Sono stati menzionati, infine, nel precedente paragrafo gli artt. 1446, 1459, 1466, relativi all’annullamento e alla risoluzione del contratto limitatamente ad una sola parte. Tali vicende possono comportare sia lo scioglimento parziale che quello totale del contratto, a seconda che la partecipazione venuta meno debba “secondo le circostanze, considerarsi essenziale” all’interno del contratto di rete; sarà, dunque, necessario procedere, di caso in caso, alla valutazione dell’essenzialità del vincolo, per constatare l’idoneità del contratto di rete a raggiungere ugualmente gli scopi prefissati dalle parti, pur in assenza della partecipazione venuta meno.
6.2 Lo scioglimento totale del contratto e la liquidazione della rete
La prima causa che può comportare lo scioglimento totale del contratto di rete è la medesima desumibile dal summenzionato art. 3, comma 4-ter, lett. d) del D.L. n. 5/2009. Ci si riferisce alla scadenza del termine di efficacia del contratto di rete, in caso di
50 Art. 1407, comma 1: “Se una parte ha consentito preventivamente che l’altra sostituisca a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, la sostituzione è efficace nei suoi confronti dal momento in cui le è stata notificata o in cui essa l’ha accettata”.
apposizione di una specifica durata del medesimo. Tale causa di scioglimento della rete non potrà, invece, essere contemplata laddove le parti abbiano deciso di stipulare un vincolo a tempo indeterminato.
Altra causa di scioglimento totale del contratto è data, come precedentemente accennato, dall’impossibilità definitiva di perseguire lo scopo della rete. Detta impossibilità può essere oggettiva (ad es. a seguito di un provvedimento delle autorità viene sancito che il bene oggetto della produzione prevista dal contratto di rete non può più essere messo in commercio) oppure soggettiva (ad es. nel caso in cui dovesse venire meno la pluralità di imprese stipulanti il contratto di rete).
Per quanto riguarda l’idoneità del raggiungimento dello scopo comune a determinare lo scioglimento del contratto di rete, che viene descritto dalla norma in termini di “accrescimento della capacità innovativa e della competitività sul mercato delle imprese contraenti”, si tratta di un obiettivo avente carattere indicativo, fonte di un possibile percorso destinato a continuare nel tempo. Sarà, pertanto, necessario tenere distinto il caso in cui le parti stipulanti abbiano effettivamente inciso in termini pratici sullo scopo comune, delineando precisamente gli obiettivi prefissati il cui raggiungimento può essere percepito concretamente, da quello in cui esse si siano limitate a recepire molto genericamente lo scopo indicato all’interno della normativa sul contratto di rete. Nel primo caso, il perseguimento dello scopo potrà essere effettivamente verificato sulla base del raggiungimento degli obiettivi prefissati nel contratto e potendo determinare così lo scioglimento dello stesso. Nel secondo, l’obiettivo genericamente prefissato non potrà, invece, mai dirsi perfettamente assolto, a meno che gli stessi contraenti non ritengano
comunque conclusa l’attività della rete e decidano, di comune accordo, di procedere al suo scioglimento.
Una volta sciolto il contratto, nel caso di rete-soggetto è necessario procedere alla liquidazione del fondo comune e alla cancellazione dell’iscrizione nel registro delle imprese. La procedura di liquidazione dovrà essere svolta rimanendo fedeli a quanto sancito all’interno del contratto di rete stesso oppure, in caso di silenzio rispetto a tale materia, in assenza di particolari vincoli procedimentali ma pur sempre nel rispetto di quanto sancito all’interno dell’art. 2280, comma 1, c.c., secondo il quale è assolutamente doveroso attendere prima di procedere alla ripartizione dei beni del fondo tra i contraenti, fin tanto che tutti i creditori della rete non siano stati pagati. In caso di rete-contratto, lo scioglimento comporta semplicemente la riunione dei patrimoni dei singoli imprenditori, in maniera tale che gli attivi che erano stati specificamente destinati alla rete possano fare ritorno nei patrimoni di provenienza.
Infine, nel caso di scioglimento del rapporto limitatamente ad un singolo contraente, questi non ha diritto ad ottenere il rimborso del proprio apporto al fondo comune: ciò può essere desunto dalla regola generale dell’indivisibilità del fondo comune, sancita dall’art. 2614 ed espressamente richiamato dall’art. 3, comma 4-ter, D.L. n. 5/2009.
7. Conclusioni
Il contratto di rete ha rappresentato, senza ombra di dubbio, uno strumento fortemente innovativo nel panorama imprenditoriale italiano, offrendo un mezzo versatile, capace di
adattarsi alle più disparate esigenze che possono nascere da una “comunione di scopi” tra imprenditori. Si tratta, però, di un istituto ancora molto giovane e non pienamente approfondito dal legislatore. Dal punto di vista civilistico, la normativa, che è stata oggetto di trattazione nel capitolo che va concludendosi, tocca molti punti, spesso in maniera piuttosto superficiale o tramite rinvii alla normativa relativa ad altri istituti non perfettamente assimilabili alla rete di imprese; questa vaghezza rappresenta un punto a sfavore verso un auspicabile maggiore utilizzo del contratto di rete.
Si è dell’avviso che per attrarre ancora di più gli imprenditori verso questo strumento saranno necessari innanzitutto nuovi interventi normativi diretti a meglio valorizzare le caratteristiche proprie del contratto di rete ed i suoi contenuti, sì da consentire al contratto di rete di farsi spazio tra gli altri istituti conosciuti dal diritto civile e di acquisire una maggiore indipendenza.
CAPITOLO II
PROFILI GIUSLAVORISTICI DEL CONTRATTO DI RETE
1. Introduzione
Dopo aver concluso l’analisi avente ad oggetto i profili strettamente formali del contratto di rete, nel capitolo che segue si effettuerà lo studio degli istituti del diritto del lavoro che sono stati utilizzati per far fronte alle esigenze di mobilità e flessibilità nell’utilizzo del personale coinvolto dalle reti di imprese. In particolare, saranno oggetto di trattazione le modalità con cui il legislatore del diritto del lavoro è stato in grado di adeguare la normativa preesistente alla luce delle peculiarità che caratterizzano il contratto di rete, come nel caso del distacco, istituto che si è affacciato formalmente, per la prima volta, nel panorama giuridico nazionale con il D.lgs. 276/2003. Saranno analizzati gli aspetti similari e le differenze rispetto a strumenti che hanno, invece, rappresentato un’assoluta novità nel mondo del diritto del lavoro: la codatorialità e l’assunzione congiunta, entrambi istituti introdotti dal Governo Xxxxx nell’estate del 2013, con il D.L. n.76/2013 (convertito con L. 99/2013).
Si affronterà, inoltre, la risposta che è stata fornita dai principali enti nazionali operanti nel campo della previdenza sociale (INPS), della tutela contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) alle problematiche scaturenti dalla maggiore flessibilità fornita dal contratto di rete ai datori di lavoro per quanto concerne la gestione del proprio personale all’interno della rete.
Sarà anche studiata, in particolare, una sentenza della Corte di Cassazione, piuttosto recente, la quale ha rappresentato una piena novità rispetto al panorama giurisprudenziale che l’ha preceduta e che risulta interessante da svariati punti di vista. Il tutto alla luce della laconicità che ha caratterizzato l’intervento del legislatore sul contratto di rete, anche, e soprattutto, nel campo del diritto del lavoro.
2. Il distacco: la disciplina alla luce del D.lgs. 276/2003
Il D.lgs. 276/2003, meglio conosciuto come “la Riforma Biagi” costituisce il primo provvedimento normativo che ha dato una forma e un contenuto specifici all’istituto del distacco, sebbene la prassi e la giurisprudenza avessero anticipato in di numerosi anni l’intervento legislativo in questione. L’istituto del distacco, infatti, costituisce, innanzitutto, il risultato ottenuto a seguito di svariati interventi giurisprudenziali, dottrinali, giudiziali e di prassi imprenditoriali volti ad ottenere un legittimo utilizzo dissociato della prestazione lavorativa in tutti quei casi in cui si profili un cointeresse, in capo a diversi soggetti imprenditori e non, all’utilizzo di un medesimo lavoratore.
Una, seppur temporanea, eccezione è costituita dal comma 12 dell’art. 13, D.L. n. 1/1993 che, nel disciplinare il rapporto di lavoro interinale, non aveva incluso l’istituto del distacco nella trattazione regolativa. La norma si limitava a fornire una definizione in termini prettamente descrittivi e a richiedere che il distacco fosse “caratterizzato dalla
temporaneità e che sussistesse un interesse dell’impresa distaccante affinché propri dipendenti svolgano l’attività lavorativa presso un altro soggetto”.1
La delega contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. m, n. 3 della legge n.30/2003 aveva fissato criteri molto vaghi2, limitandosi a fare un cenno al criterio della “chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione”, contestualmente ad una ridefinizione dei casi di comando e distacco, laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva.
Dalle parole contenute nella legge delega, le possibilità di ricorso al distacco parevano essere residuali e la successiva resa legislativa ha riportato solo parzialmente i criteri di delega.
Insieme con la somministrazione di lavoro, il distacco rappresenta l’unico strumento esistente, nel nostro ordinamento giuridico, per mezzo del quale è possibile realizzare una, seppur parziale, scissione tra titolarità formale del rapporto di lavoro ed esercizio del potere direttivo3.
Il distacco, sulla base di quanto sancito dal comma 1 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, viene definito come l’ipotesi per cui “un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”.
1 X. Xxxxxxxxxx, Dir. Relaz. Ind., fasc. 3, 2009, p. 680
2 Art. 1, comma 2, lett. m, n. 3 L. n.30/2003: “chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro”.
3 I. Xxxxxx, “Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici”, 2014, Xxxxxxx Editore, pag. 191.
Elemento che, in primis, rappresenta un’innovazione piuttosto peculiare è costituito dall’alternativa, che viene in tal modo offerta, rispetto al classico schema bilaterale che caratterizza il rapporto tra datore di lavoro – lavoratore dipendente: si legalizza, per la prima volta nella realtà del diritto del lavoro, la possibilità per cui un lavoratore, alle dipendenze di un determinato soggetto, possa esercitare le mansioni alle quali è adibito presso un terzo senza modificare la titolarità del rapporto, al punto che il contratto di lavoro continua pur sempre a far capo al datore di lavoro che realizza il distacco. Il distacco non comporta, in alcun modo, una novazione soggettiva nel rapporto ma soltanto una modificazione nell’esecuzione dello stesso, nel senso che l’obbligazione del lavoratore di prestare la propria attività viene, temporaneamente, soddisfatta con una prestazione resa in favore di un altro soggetto presso il quale è stato effettuato il distacco4.
Il lavoratore che può essere oggetto di un distacco, deve essere un prestatore di lavoro subordinato5, del quale non vi è obbligo di ottenere il previo consenso, posto che si tratta di una manifestazione del potere organizzativo datoriale.
Dal punto di vista soggettivo, la fattispecie descritta dall’art. 30 del D.lgs. 276/2003 prevede uno schema caratterizzato da tre parti: il datore di lavoro distaccante, il lavoratore dipendente di questi ed un soggetto terzo che utilizza la prestazione del lavoratore dipendente dal distaccante. Elemento particolarmente innovativo è costituito dalla mancanza di un riferimento alla natura imprenditoriale del datore di lavoro distaccante: ciò porta a concludere che il distacco possa essere disposto anche da datori di lavoro non
4 Cass. Civ, Sez. Lav., 22 marzo 2007, n. 7049.
5 Art. 2094 c.c.: “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
imprenditori; eppure, la dottrina prevalente tende a circoscrivere l’apparente ampiezza del dettato normativo, sancendo la regola per cui il distaccante, qualora non fosse imprenditore, appaia dotato di un’autonoma struttura organizzativa6. Inoltre, sulla base della definizione di distacco contenuta nella Riforma Biagi, si può dedurre che anche il soggetto destinatario del distacco possa essere un “soggetto”, prescindendo completamente dalla sua qualifica come imprenditore.
Il comma 3 del D.lgs. 276/2003 specifica, però, che il lavoratore è tenuto a fornire, o meno, un consenso esplicito ad essere oggetto di distacco, nell’ipotesi in cui il provvedimento in questione determini anche un mutamento delle mansioni alle quali è ordinariamente adibito. Inoltre, nella medesima disposizione, il legislatore specifica che, nella peculiare eventualità per cui il distacco comporti uno spostamento superiore a 50 km dall’ordinaria sede di lavoro, esso possa essere sancito solo per “comprovate ragioni tecnico produttive o organizzative”7.Gli oneri relativi al trattamento economico e normativo del lavoratore in distacco sono posti esclusivamente a carico del datore di lavoro distaccante8, sebbene non possa essere taciuta la presenza di una consolidata prassi per cui distaccante e distaccatario pattuiscono la corresponsione, da realizzarsi a cura del distaccatario, di un rimborso spese che, tuttavia, non può superare, nel quantum, la retribuzione erogata da parte del distaccante.
6 X. Xxxx, Il distacco del lavoratore nel settore privato, in Dir. lav., 2003, I, p. 944.
7 Comma 3, art. 30, D.lgs. 276/2003: “Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento ad un’unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive”.
8 Comma 2, art. 30, D.lgs. 276/2003.
Il distacco determina un parziale mutamento nell’esercizio dei poteri imprenditoriali: nello svolgimento dei suoi ordinari poteri direttivi, il datore di lavoro pone il lavoratore a disposizione di un soggetto terzo per svolgere l’attività lavorativa, senza che ciò comporti una modificazione del rapporto di lavoro e con la sola nuova obbligazione fondamentale di fornire il proprio apporto lavorativo presso il distaccatario.
Le ragioni poste alla base di tale atto dispositivo possono essere plurime, fatta eccezione per il caso in cui il distacco avvenga verso un’unità produttiva del distaccatario che disti oltre 50 km dalla sede del distaccante: in tale ipotesi, infatti, la norma richiede che sussistano comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, in maniera tale per cui “il sacrificio chiesto al lavoratore sia controbilanciato da un interesse ancor più dettagliato e specifico”9.
2.1 I requisiti di legittimità del distacco: l’interesse del distaccante
Il primo requisito fondamentale, sancito a capo del comma 1 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, è l’interesse del datore di lavoro distaccante: si deve trattare, in maniera ovvia, di un interesse lecito a che un proprio lavoratore venga spostato a svolgere l’attività lavorativa presso un soggetto terzo.
L’interesse è, nello specifico, quello a far sì che la manodopera di un lavoratore dipendente possa essere utilizzata in un contesto produttivo-organizzativo che, sebbene
9 X. Xxxxxxxxx, “Il distacco nelle reti di imprese”, in X. Xxxxx Xxxxxx, X. Xxxxx “Contratto di rete e diritto del lavoro” (a cura di), 0000, Xxxxxxx Xxxxxx Italia, pag. 102.
non risulti di immediata pertinenza del distaccante, consenta lo svolgimento di un’attività lavorativa, la cui utilità possa, comunque, essere ricollegata alla sua organizzazione e che, di conseguenza, trovi piena disciplina all’interno dell’originario contratto di lavoro stipulato tra datore di lavoro distaccante e lavoratore distaccato.
In questi termini, si può dire confermato che il distacco costituisce una modalità di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, il cui interesse deve permanere per tutta la durata del distacco medesimo e non solo al momento della stipulazione del distacco, come è stato affermato dalla Corte di Cassazione10: “L'esistenza di un interesse qualificato del datore di lavoro a che il dipendente svolga la prestazione di lavoro presso altro soggetto costituisce requisito qualificante della fattispecie del distacco e presuppone che tale interesse sussista non solo allorché il provvedimento organizzativo venga adottato, ma anche nel corso della sua esecuzione, dovendo trovare il soddisfacimento dell'interesse del terzo a utilizzare la prestazione del lavoratore distaccato perdurante giustificazione causale nell'esistenza di un interesse organizzativo proprio del datore di lavoro distaccante”.
Il legislatore del Decreto Biagi non si è premurato di circoscrivere o specificare esattamente in cosa debba consistere questo interesse del datore di lavoro: è possibile, di conseguenza, procedere ad un’interpretazione ampia della nozione di interesse, includendone le più svariate tipologie.
L’ampiezza del dettato legislativo è stata sottolineata anche dal Ministero del Lavoro nella circolare n. 3/2004, nella quale viene fatto riferimento a “qualsiasi interesse
10 Cass., sez. lav., 15.5.2012, n. 7517.
produttivo del distaccante che non coincida con quello alla mera somministrazione di lavoro altrui”. Ciò nonostante, si è d’accordo sul fatto che l’interesse del distaccante deve, quanto meno, riguardare l’attività da lui istituzionalmente svolta, dovendo necessariamente trovare un riferimento ad esigenze strutturali e funzionali che trovano origine nell’attività a cui capo vi è il datore di lavoro distaccante. In tal modo non si vuole escludere a priori la sussistenza di un interesse al distacco anche in capo al distaccatario oppure una condivisione di interessi propria sia del distaccante sia del distaccatario, semplicemente si sancisce che la legittimità del distacco viene valutata sulla base della presenza di un interesse in capo al primo.
Ulteriori caratteri che tale interesse al distacco deve possedere sono l’attualità, la specificità e la concretezza.
Va, inoltre, precisato che l’interesse di cui si discute può sostanziarsi in una prerogativa che non coincide integralmente con ragioni imprenditoriali, le quali, ad ogni modo, sono poste alla base del provvedimento: una ragione imprenditoriale, in quanto tale dotata di carattere economico, può essere soddisfatta mediante un distacco realizzato per rispondere non esclusivamente a fini aventi natura esclusivamente economica ma, ad esempio anche morali o solidali11. Pertanto, l’interesse del distaccante può anche non essere necessariamente economico, purché il distacco sia inequivocabilmente diretto ad assicurare il raggiungimento delle legittime finalità del distaccante, senza prestarsi a mettere a repentaglio la tutela dei lavoratori inserendoli in via definitiva
11 X. Xxxx e X. Xxxx, “Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori” (a cura di), 2014, Utet giuridica, pag. 614, riporta un esempio interessante: un’impresa decide di inviare, in distacco, parte del personale a sostegno di un proprio fornitore, per garantire la continuità degli apporti di fornitura a favore della propria azienda; in tale ipotesi, vi sono sicuramente un interesse produttivo accompagnato ad un interesse di natura solidale che sorregge il distacco.
nell’organizzazione dell’impresa distaccataria, con l’unico scopo di evitare l’assunzione diretta da parte di quest’ultima.
La non necessaria identità tra ragioni economiche e interesse posto alla base del distacco può essere dedotta dal contenuto del comma 3 del D.lgs. 276/2003: viene introdotta la necessità per cui, se un distacco fosse disposto ad un’unità produttiva sita oltre 50 km, esso sarebbe considerato lecito solo in presenza di “ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive”. Da ciò, si può pensare che il legislatore abbia voluto intendere, quindi, che entro i 50 km il datore di lavoro possa procedere al distacco in qualsiasi caso, purché in presenza di un proprio interesse non preventivamente individuato, e, dunque, non necessariamente di ordine tecnico-organizzativo; solo superata tale distanza, la natura economico-organizzativa del distacco assume carattere imprescindibile.
Si tratta pur sempre di mere supposizioni “causate” dall’eccessiva ampiezza del dettato legislativo, l’effettiva legittimità del distacco dovrà, poi, essere valutata di volta in volta, sulla base dello specifico interesse preso in considerazione.
2.1.1 La temporaneità
Il secondo requisito indicato nel comma 1 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 è costituito dalla temporaneità del distacco12. Si tratta di un elemento di particolare importanza ai fini della valutazione della legittimità del distacco: il fatto che si tratti di un istituto che deve necessariamente avere una durata limitata nel tempo non fa che sottolineare la specificità
12 “(…) pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto”, art. 30, comma 1, D.lgs. 276/2003.
e l’eccezionalità della prestazione lavorativa svolta alle dipendenze di un soggetto terzo rispetto al contratto stipulato fra datore di lavoro e lavoratore subordinato e dunque il mantenimento di una linea di continuità rispetto all’originario vincolo di subordinazione.
Effettuando un confronto tra l’art. 30 del D.lgs. 276/2003 e l’art. 2103 c.c. si evince il carattere imprescindibile della temporaneità del distacco: se così non fosse, il divieto di trasferimento di un dipendente ad una diversa unità produttiva se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive sancito dal codice civile sarebbe completamente superfluo posto che, in attuazione della Riforma Biagi, esso diventerebbe perfettamente legittimo se realizzato nel rispetto del limite dei 50 km, anche in assenza di tali motivazioni e, addirittura, presso un diverso datore di lavoro.
Nonostante il dettato legislativo, la giurisprudenza tende a non fornire eccessivo rigore al requisito della temporaneità e lo interpreta in senso lato: spesso si è affermato che la durata del distacco sia intrinsecamente collegata al persistere dell’interesse del datore di lavoro e, che con questo possa coincidere13, in maniera tale da ritenere possibile un distacco equivalente con l’intera durata del rapporto di lavoro, come ad es. nel caso di un lavoratore assunto a tempo determinato, tutte quelle volte in cui l’interesse del datore di lavoro sia mirato alla realizzazione di progetti impegnativi, richiedendo tempistiche particolarmente lunghe. Sulla base di tale assunto, dunque, si andrebbe ad affermare che temporaneità non coincide con brevità, bensì con “non definitività”.
13 Cass. Civ, sez. lav., 02.09.2004, n. 17748 oppure Xxxx., sez. lav., 15.5.2012, n. 7517: “(…) la temporaneità della destinazione del lavoratore a prestare la propria opera a favore di un terzo, che configura, comunque, uno dei presupposti di legittimità dell'istituto, non richiede che tale destinazione abbia una durata predeterminata, nè che essa sia più o meno lunga o sia contestuale all'assunzione del lavoratore, ovvero persista per tutta la durata del rapporto, richiedendosi solo che la durata del distacco coincida con quella dell'interesse del datore di lavoro alla destinazione della prestazione di lavoro a favore di altra organizzazione d'impresa”.
Eppure, è preferibile dare maggior peso al dettato legislativo, posto che la temporaneità, al pari dell’interesse, viene espressamente menzionato dal legislatore quale requisito di legittimità del distacco, autonomo e separato rispetto a quello dell’interesse. Tende a diventare sempre più solida l’idea per cui “il distacco debba avere durata limitata nel tempo anche qualora l’interesse al distacco possa rivelarsi definitivo o di lungo periodo”.14
Diversi dubbi ha destato la menzionata Circolare del Ministero del Lavoro n. 3/2004, la quale se da un lato afferma che “Il concetto di temporaneità coincide con quello di non definitività”, ribadendo, quindi, la necessità che il requisito della temporaneità del distacco venga rispettato, successivamente aggiunge “indipendentemente dalla entità della durata del periodo di distacco”. In questo modo, dunque, il Ministro del Lavoro ritiene certo il fatto che il distacco non possa mai essere realizzato a tempo indeterminato ma rende, comunque, possibilmente legittima l’azione di datori di lavoro che intendano avvalersene anche per periodi di tempo particolarmente lunghi, fin tanto che sussista l’interesse.
Nulla esclude che il distacco possa essere realizzato in maniera “parziale”: si tratta di un’ipotesi secondo cui il lavoratore subordinato continuerebbe a svolgere la propria attività lavorativa sia presso il proprio datore di lavoro formale sia verso il terzo utilizzatore15 oppure che il medesimo lavoratore possa essere distaccato e utilizzato
14 X. Xxxxxxxx, “Il lavoro esternalizzato”, 2012, X. Xxxxxxxxxxxx editore - Torino, pag. 222.
15 Si tratta di un’ipotesi espressamente prevista dalla Circolare del Ministro del Lavoro n. 5/2004, nel capoverso conclusivo: “Nell’ipotesi di distacco, il lavoratore potrà svolgere la sua prestazione anche parzialmente presso il distaccatario, continuando a svolgere presso il distaccante la restante parte della prestazione”.
temporaneamente dal distaccatario anche a più riprese, alternativamente all’utilizzazione diretta da parte del proprio datore di lavoro.
2.1.2 Lo svolgimento di una determinata attività lavorativa
Il terzo, e ultimo, requisito di legittimità del distacco, posto a conclusione del comma 1 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, è costituito da “l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”, che il lavoratore distaccato si trova a dover svolgere nei confronti di un soggetto diverso dal suo datore di lavoro.
Si tratta di un requisito che agevola l’analisi inerente la sussistenza dei due elementi precedentemente analizzati: la precisa individuazione dell’attività da svolgere durante il distacco è in grado di fornire elementi presuntivi utili ai fini di verificare sia la sussistenza di un effettivo interesse del distaccante, sia la durata necessaria all’espletamento dell’attività richiesta. Un distacco, nel quale non venga realizzata la preventiva determinazione di un’attività che sia palesemente collegata con l’interesse del datore di lavoro distaccante, non può essere considerato ammissibile: una situazione di questo tipo si verrebbe a realizzare tutte le volte in cui vengano fatti riferimenti a interessi indeterminati e vaghi dell’impresa distaccante.
Secondo un orientamento dottrinale16, il requisito dell’esecuzione di una determinata attività lavorativa rende necessaria la sussistenza di un’intesa tra distaccante e distaccatario, la quale, nel silenzio del legislatore, non richiede necessariamente la forma
16 X. Xxxx, “Il distacco del lavoratore nel settore privato”, in Dir. lav., 2003, I, p. 944.
scritta; in tal modo, il distaccatario non potrà richiedere al lavoratore distaccato di svolgere mansioni diverse rispetto a quelle concordate con il distaccante, se non a seguito di un nuovo accordo seguito da comunicazione al lavoratore che, sebbene l’inesistenza di uno specifico obbligo, sarebbe comunque preferibile fissare in forma scritta. In realtà, la previsione di una comunicazione in merito al mutamento dell’attività lavorativa, sebbene sarebbe corretto che fosse realizzata, non trova fondamento normativo alcuno all’interno del D.lgs. 276/2003. D’altronde, il Decreto non ha introdotto neppure l’obbligo di forma scritta per la validità dello stesso distacco, anche se, secondo una condivisibile opinione17, ad essa bisognerebbe pervenirvi quanto meno in via interpretativa, per garantire una massima certezza circa il controllo dei requisiti di legittimità del distacco.
2.1.3 Il consenso del lavoratore in caso di mutamento di mansioni
Il comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 introduce l’elemento del consenso del lavoratore sottoposto al distacco, qualora questo dovesse comportare un mutamento di mansioni.
Molti autori18 sostengono che il distacco debba essere inquadrato come esercizio del potere direttivo del datore di lavoro distaccante. Di conseguenza, il fatto che il consenso venga richiesto necessariamente solo in caso di mutamento delle mansioni, permette di effettuare un ragionamento a contrario, tale per cui il consenso del lavoratore non può essere richiesto normalmente, in tutte le ipotesi in cui non si verifichi uno stravolgimento rispetto alle mansioni concordate ab origine.
17 X. Xxxxxxxxxxx, “La disciplina del distacco dell’art. 30 del D.lgs. n. 276/2003, in ADL, 2005, pag. 220. 18 Per citarne alcuni, X. Xxxxxxx, “La nuova disciplina del distacco”, in Lav. prev. Oggi, 2003, p.1889; X. Xxxxxxx, “Il potere direttivo dell’imprenditore”, Xxxxxxx, Milano, 1992, p.320.
Nel momento in cui il comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 affronta il tema del mutamento di mansioni, è necessario tenere in considerazione il contenuto dell’art. 2103 c.c., intitolato “Prestazioni di lavoro”, per evitare che l’intervento del legislatore delegato possa essere utilizzato per raggirare quanto sancito dalla normativa civilistica.
Si deve trattare, necessariamente, di una modifica di mansioni legittima, i cui confini, dunque, devono rientrare nel perimetro dei limiti generali posti all’esercizio dello ius variandi19. Ciò porta a dedurre che il comma in questione non possa tornare utile tutte le volte in cui un lavoratore, sottoposto a distacco, subisca un peggioramento nell’attribuzione delle nuove mansioni da svolgere, rispetto a quelle cui era originariamente adibito presso l’impresa distaccante, a meno che non si voglia realizzare una palese violazione dei limiti fissati dal citato articolo 2103 c.c. e cercando, quindi, di far ricadere nell’ambito della legalità una fattispecie che assume tutte le caratteristiche del demansionamento. Si dovrebbe, altrimenti, sposare la tesi per cui il Decreto Biagi abbia introdotto un’ulteriore deroga legale ai limiti posti dall’art. 2103 c.c., come ad esempio quella sancita dal D.lgs. n. 151/2001 per le lavoratrici madri20. Si tratta di casi in cui l’ordinamento consente sì di effettuare delle modifiche in senso peggiorativo ma pur sempre in presenza di ragioni strettamente connesse ad uno specifico interesse del lavoratore; la fattispecie delineata dal comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 andrebbe,
19 La legittimità dell’attribuzione di mansioni al lavoratore viene indicata nelle primissime righe del comma 1 dell’art. 2103 c.c.:” Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.
20 Ai fini della tutela della maternità, il “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità” all’art. 7, comma 5, prevede che la lavoratrice possa essere adibita allo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle abituali e che “conservi la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale”.
invece, a tutelare non il lavoratore sottoposto a distacco, bensì l’interesse del datore di lavoro di sottoporre il lavoratore ad un distacco che comporti un demansionamento.
Si ritiene che anche un eventuale consenso esplicito, prestato dal lavoratore distaccato, ad essere adibito a mansioni inferiori, non possa essere considerato idoneo ai fini della legittimità del distacco, posta la nullità di ogni patto contrario, sancita dal comma 2 dell’art. 2013 c.c.
Risulta più plausibile che il legislatore delegato, con il comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, abbia voluto disciplinare il caso in cui il lavoratore distaccato sia adibito a mansioni superiori presso l’impresa distaccataria. Dunque, nel caso in cui tale ipotesi si verificasse, il distaccante sarebbe responsabile del trattamento economico conseguente allo svolgimento delle mansioni superiori e del riconoscimento del grado e della qualifica superiore, posto che non potrebbe reclamare una propria estraneità al conferimento di mansioni superiori, necessariamente collegate al provvedimento di distacco. Tale conclusione è attualmente la diretta conseguenza del disposto di cui al comma 2 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, il quale stabilisce che le responsabilità in merito al trattamento economico e normativo del lavoratore distaccato siano a carico del distaccante.
La giurisprudenza21 ha, però, escluso che possa raffigurare un’ipotesi di distacco legittimo quella in cui il lavoratore distaccato e l’impresa distaccataria abbiano stipulato un accordo, ad insaputa del datore di lavoro originario, realizzato al solo scopo di apportare un vantaggio al lavoratore e, quindi, di fargli ottenere una migliore collocazione lavorativa.
21 Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, 0 maggio 2001, in Orient. giur. lav., 2001, pag. 329.
Da ultimo, rimane l’ipotesi di assegnazione di mansioni equivalenti, rispetto alla quale non si è realizzata un’unanimità di opinioni dottrinali: alcuni22 ritengono che tale fattispecie rientri nell’ambito applicativo del comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, posto che non si determina una modificazione delle mansioni da svolgere, ma solo una specificazione; altri23 elevano a necessario il consenso del lavoratore, nel momento in cui, nonostante il formale rispetto dell’inquadramento e del livello ad egli riconosciuti, debba, comunque, ampliare l’ambito delle mansioni svolte piuttosto che mutare i compiti precedenti.
A parziale sostegno della tesi che predilige la sussistenza dell’assenso da parte del lavoratore, accorre la Circolare del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3/2004, la quale, in uno dei capoversi finali, sancisce che “(…) il consenso del lavoratore vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione dell’attività effettivamente svolta, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso”. A ben vedere, la Circolare non risulta precisa, se si considera che il demansionamento deve essere tenuto distinto dall’attribuzione di mansioni equivalenti e, di tal ché, il mero consenso del lavoratore potrebbe non risultare sufficiente e si potrebbe rischiare di sconfinare nel divieto, sancito al comma 2 dell’art. 2103 c.c.
22 X. Xxxx, “Il distacco del lavoratore nel settore privato”, in Dir. lav., 2003, I, cit. p.945
23 X. Xxxxxx, “L’art. 30 del d.lgs. 276/2003: una norma di difficile lettura”, in Mass. Giur. lav., 2004 cit. p. 571.
2.1.4 Distacco e trasferimento oltre i 50 km
Nell’effettuare il confronto fra la fattispecie di distacco e quella di trasferimento del lavoratore oltre i 50 km, risulta necessario, ancora una volta, effettuare un parallelo tra il comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 e l’art. 2103 c.c.
Il Decreto Biagi stabilisce che qualora un distacco venga disposto nei confronti di un’unità operativa distante più di 50 km, esso può essere legittimamente realizzato solo in presenza di “comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive”.
Ciò implica che per rientrare nell’ambito della legalità, superando, dunque, i 50 km, è necessario che sia spendibile una delle ragioni anzidette; se tale distanza non viene superata, il distacco può essere disposto sempre e comunque, senza bisogno di richiedere alcun tipo di consenso da parte del lavoratore distaccato.
Per contro, l’art. 2103 c.c. sembra tutelare in maniera più decisa il lavoratore oggetto di trasferimento, richiedendo sempre la presenza di comprovate ragioni tecniche, produttive od organizzative, prescindendo da qualsiasi distanza.
Xxxxxxx, però, ricordare che le fattispecie del distacco e del trasferimento non sono assimilabili, fosse anche già solo per il fatto che il primo ha natura temporanea, il secondo definitiva. Al riguardo, accorre la già più volte menzionata Circolare del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3/2004, indicando che “Non si applica in caso di distacco, per sua natura temporaneo, la disciplina del trasferimento”.
E’, ad ogni modo, preferibile leggere il comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 in chiave di tutela del lavoratore distaccato: i requisiti oggettivi delle ragioni tecniche,
organizzative, produttive o sostitutive impongono un limite ai distacchi geograficamente più distanti, che altrimenti non esisterebbe. Pertanto, quando il distacco comporta un sacrificio particolarmente gravoso per il lavoratore, il legislatore richiede che il potere unilaterale del datore di lavoro distaccante venga parzialmente corretto, introducendo l’obbligo di una sorta di giustificato motivo oggettivo. Ciò nonostante, il rispetto di tale requisito non è sicuramente facile da realizzare, se affiancato pure all’ elemento dell’interesse del distaccante, richiesto dal comma 1.
Per ciò che riguarda le modalità attraverso cui il datore di lavoro distaccante procede a comunicare il provvedimento di distacco al dipendente, l’art. 30 del D.lgs. 276/2003 non pone precisazioni, permettendo, dunque, di desumere che non siano imposti particolari vincoli formali. Tuttavia, la forma scritta è considerata opportuna, proprio in ragione delle variazioni che conseguono alla prestazione lavorativa effettuata a favore di altro soggetto. La comunicazione al dipendente, oltre ad indicare la durata del distacco, qualora dovesse determinare il trasferimento ad unità produttiva distante più di 50 km da quella originaria, dovrebbe essere impostata in maniera tale da consentire al datore di lavoro di rendere esplicite le ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive che legittimano il provvedimento24.
2.2 Il distacco nel contratto di rete
Il legislatore, con il D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito, con modificazioni, nella L. 9 agosto 2013, n.99, ha offerto nuovi spiragli al fenomeno delle reti di impresa per quanto
24 X. Xx Xxxxxxx, “Distacco e contratto di rete”, Diritto & pratica del Lavoro n. 13/2006, pag. 834.
concerne il profilo della mobilità del lavoro, con evidenti benefici non solo sul piano dell’efficienza gestionale, ma anche della protezione dei posti di lavoro in caso di eccedenze temporanee di personale in alcune imprese della rete.
Relativamente al tema del distacco, è utile soffermarsi, in particolare, sulle modifiche che sono state apportate all’art. 30 del D.lgs. 276/2003 da parte dell’art. 7, comma 2, della legge 99/2013 la quale ha introdotto il nuovo comma 4-ter.
Si tratta di una vera e propria svolta nel sistema lavoristico nazionale che, fino a quel momento, si era astenuto quasi totalmente dal regolamentare espressamente l’incidenza del fenomeno del collegamento tra imprese sui rapporti di lavoro. Nello specifico, fino al 2013 vi era una totale carenza di norme che consentissero espressamente un utilizzo e una gestione condivisa del personale nell’ambito di tutte quelle fattispecie che presentassero qualche tipo di legame o interazione fra imprenditori; successivamente, invece, si è ammessa, limitatamente a quanto è inerente al contratto di rete, la condivisione del personale dipendente nelle due versioni del distacco e della vera e propria “codatorialità” (di cui si parlerà successivamente) nell’ambito dei rapporti contrattuali tra imprese25.
Si tratta, però, soltanto dei primissimi passi verso una normativa che necessiterebbe di essere ampliata e, soprattutto, specificata ulteriormente: le esigenze che si possono determinare all’interno di una rete di imprese, per quel che concerne un utile impiego dei dipendenti che sia orientato agli obiettivi della rete stessa, sono diverse e più complesse di quelle cui risponde l’istituto del distacco nella sua configurazione tradizionale. Queste
25 A. Sitzia, “Il sistema lavoristico tra appalto repressivo e deregolazione. La codatorialità nel sistema del contratto di rete e i demandi regolativi verso il diritto commerciale”, intervento realizzato in occasione del Convegno internazionale di studio 26-27 giugno 2014, Rete di imprese e subordinazione, consultabile dal sito xxxx://xxxxxxx.xxxxx.xx/Xxxx_xxxxxxx/.
esigenze, infatti, non sono né transitorie né eccezionali, posto che il perseguimento degli obiettivi che la rete si è prefissata può richiedere lo scambio frequente o, addirittura, continuo di personale, a seconda di quali compiti vengano, di volta in volta, attribuiti alle diverse imprese retiste per la realizzazione degli obiettivi che si sono poste in comune.
Venendo alla normativa in vigore, ai sensi dell’art. 30, comma 4-ter, è sancito che “Qualora il distacco avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di imprese che abbia validità ai sensi del decreto legge 10 febbraio 2009, n.5, l’interesse del distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità del lavoratore previste dall’art. 2103 c.c. Inoltre, per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto stesso”.
Proprio la caratteristica del contratto di rete relativa all’ampiezza e, per certi versi, all’indeterminatezza del suo contenuto, al punto da lasciare le parti molto libere nella stipulazione dell’oggetto del contratto, è quella che il legislatore ha deciso di prediligere rispetto all’inquadramento del distacco di lavoratori nell’ambito del contratto di rete stesso.
Il legislatore, al fine di favorire la mobilità infra-rete, ha concentrato la propria attenzione, tra i vari requisiti essenziali alla legittimità del distacco, sull’interesse del distaccante, che deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente26, introducendo una novità di fortissimo impatto: si tratta di un interesse che “sorge automaticamente in forza dell’operare della rete”.
26 Le caratteristiche dell’interesse del distaccante sono state specificate dal Ministro del Lavoro all’interno della Circolare n. 28/2005.
Dunque, sulla base della lettera della norma, è possibile ricavare che in presenza di un contratto di rete, tutte le volte in cui il titolare di una delle aziende partecipanti alla rete intenda realizzare il distacco di un proprio lavoratore dipendente nei confronti di altra azienda retista, l’interesse del distaccante non sarà sottoposto a particolari indagini in quanto risulta intrinseco all’operare della rete stessa. L’interesse al distacco, nell’ambito delle aziende coinvolte da un contratto di rete, potrebbe, quindi, coincidere con l’interesse stesso alla realizzazione del programma di rete e rappresentare, di conseguenza, un interesse condiviso da una pluralità di imprese. In altre parole, il fatto che il distacco soddisfi allo stesso tempo non soltanto l’interesse del datore di lavoro distaccante, bensì anche quello di tutte le altre aziende partecipanti alla rete e che, dunque, si articoli come un interesse congiunto e condiviso, non si ritiene che possa minare la legittimità dell’istituto, anzi, ciò potrebbe essere considerato quale indice della persistente operatività della causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante27.
E’, dunque, possibile affermare che la causa del contratto di rete sostanzialmente integra la causa del negozio di distacco. Si ritiene, però, che la natura della previsione normativa in esame non configuri un’ipotesi di presunzione legale assoluta come intesa ai sensi dell’art. 2728 c.c.28. La fattispecie in oggetto non concerne la conoscibilità o la probazione di un fatto ignoto da un fatto noto ad opera della legge o del giudice ma, piuttosto, si può desumere che si tratti di una tipizzazione legale del presupposto di legittimità del negozio
27 X. Xxxxxxx, “Il distacco di personale tra imprese che hanno sottoscritto un contratto di rete. Nozione di codatorialità e questioni aperte”, intervento realizzato in occasione del Convegno internazionale di studio 26-27 giugno 2014, Rete di imprese e subordinazione, consultabile dal sito xxxx://xxxxxxx.xxxxx.xx/Xxxx_xxxxxxx/.
28 Art. 2728, comma 1, c.c.: “Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite”.
di distacco relativamente al requisito dell’interesse del distaccante, il cui oggetto risulta essere proprio il contratto di rete fra imprese29.
La novella del 2013, oltre ad aver apportato indubbi benefici per quel che concerne “l’alleggerimento” dell’onere probatorio che ruota attorno al requisito dell’interesse al distacco e ad aver determinato, di conseguenza, maggiori semplicità e flessibilità nella gestione del personale impiegato nelle realtà retiste, non è risultata, d’altra parte, scevra rispetto a critiche e perplessità30.
Le riflessioni che sono state svolte rispetto a tali problematiche hanno riguardato, in particolare, le ipotesi di reti di imprese non dotate di soggettività giuridica.
La prima critica ha ad oggetto lo spostamento, realizzato sia nella sostanza sia nei fatti, del caposaldo della titolarità dell’interesse al distacco dal distaccante alla rete. Questo primo dubbio deriva dal fatto che, non potendo i rapporti di lavoro essere imputati direttamente in capo alla rete a causa della mancanza di soggettività giuridica, risulta piuttosto difficile immaginare come la rete stessa possa risultare portatrice di un interesse condiviso e tale da giustificare la ratio della presunzione stessa.
La seconda considerazione, invece, è da attribuirsi direttamente alla lettera del comma 4- ter dell’art. 30. La norma, che è improntata sullo schema tradizionale del distacco, continua a riferirsi all’interesse come ad una facoltà del distaccante retista. Anche nel momento in cui si riuscisse ad individuare un interesse al distacco condiviso tra i vari retisti, sia nell’ipotesi di rete-soggetto, sia in quella di rete priva di personalità giuridica,
29 X. Xxxxxxx, “La disciplina del distacco e le nuove regole sulla codatorialità nelle reti di imprese”, in X. Xxxxxxxxxx, “Il lavoro riformato” (a cura di), 2013, Xxxxxxx Editore, pag. 205.
30 Riflessioni svolte da X. Xxxxxxxxx, “Il distacco delle reti di imprese”, in X. Xxxxx Xxxxxx, X. Xxxxx, “Contratto di rete e diritto del lavoro”, 2014, Xxxxxxx Kluwer Italia, pag. 109 e segg.
come potrebbe questa tendenza conciliarsi con l’intero testo della legge che continua ad interpretare l’interesse al distacco come prerogativa spettante alla persona del datore di lavoro distaccante?
Le problematiche appena descritte sembrano potersi superare mediante la costante rintracciabilità dell’interesse all’interno dell’accordo tra distaccante e distaccatario, il quale sembra ancora essere un “presupposto implicito della fattispecie”31. Si pensa a tale accordo come ad un presupposto implicito in quanto difficilmente si può immaginare un distacco privo di una programmazione o un piano operativo tra distaccante e distaccatario. Si auspica che l’accordo in questione, che è sempre esistente o in forma orale o in forma scritta, venga, però, concluso per iscritto; tale auspicio potrebbe essere in grado di garantire che l’accordo scritto completi e puntualizzi i contenuti del relativo provvedimento di distacco, tra i quali anche l’interesse.
Nulla è, invece, stato sancito relativamente agli altri requisiti del distacco previsti dal D.lgs. 276/2003 (la temporaneità e lo svolgimento di una determinata attività), per cui è da ritenere che, per quel che riguarda questi ulteriori profili, la stipulazione di un contratto di rete non determini alcun alleggerimento rispetto all’indagine sulla loro sussistenza, anzi, si impone un particolare rigore nell’accertamento della loro presenza. Il requisito della temporaneità rimane, quindi, capo saldo dell’istituto del distacco anche nell’ambito del contratto di rete, prescindendo dalla durata più o meno lunga del periodo di distacco, ricordando che tale durata dipende sempre strettamente dal persistere dell’interesse del distaccante. La giurisprudenza32 ha, al riguardo, precisato che “la durata non sia
00 X. Xxxxxxxxxx, “Il distacco dei lavoratori”, in Dir. Relaz. Ind., fasc. 3, 2009, pag. 689.
32 Cass. Sez. lav., 07.11.2000,n. 14458.
circoscritta ad un periodo di tempo particolarmente ristretto, potendo, invero, protrarsi per tutto il tempo in cui sussiste l’interesse del distaccante” e che non è richiesto che la durata del distacco sia predeterminata al momento in cui lo stesso viene disposto.
Se, da un lato, distacco non deve essere considerato sinonimo di brevità, dall’altro lato il legislatore non ha nemmeno provveduto a stabilire una durata massima dell’istituto in questione. Tale carenza di precisione potrebbe essere considerata una problematica da non sottovalutare ai fini della piena utilizzabilità del distacco da parte degli imprenditori retisti: se, nel contratto di rete, l’interesse al distacco può essere desunto automaticamente dalla presenza della rete, ciò implica che un possibile distacco potrebbe, idealmente, durare per tutto il corso della vita della rete stessa, rappresentando ciò una grave violazione del dettato legislativo in merito alla temporaneità del distacco.
Nonostante il forte favor mostrato dal legislatore nei confronti del contratto di rete, è preferibile ritenere che, in mancanza di un effettivo interesse in capo al distaccante o della temporaneità dell’assegnazione del lavoratore presso il distaccatario, debba applicarsi il comma 4-bis del D.lgs. 276/200333, in tema di ipotesi di somministrazione irregolare di manodopera. Il lavoratore avrà, cioè, la possibilità di poter intraprendere un’azione giudiziale di accertamento ab initio di un rapporto di lavoro alle dirette dipendenze del distaccatario, ottenendo, dunque, una novazione del rapporto originario.
33 Art. 30, comma 4-bis, D.lgs. 276/2003: “Quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’art. 27 comma 2”.
Il comma 4-ter dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, nell’ultima parte, sancisce, inoltre, che sono “sono fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del codice civile”.
La riserva di applicazione della disciplina codicistica sta semplicemente a significare che l’esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro rimane strettamente condizionato ai vincoli di carattere generale anche nell’ipotesi di distacco che sia realizzato in presenza di un contratto di rete.
E’ necessario, di conseguenza, effettuare riflessioni del tutto simili a quelle che sono già state svolte sul tema del distacco in generale.
Il consenso del lavoratore non è stato elevato, dal legislatore del D.lgs. 276/2003, a elemento costitutivo della fattispecie in esame: questa conclusione può facilmente essere tratta dopo aver notato che la conseguenza sancita dal comma 4-bis viene applicata solo nei confronti dei distacchi considerati illeciti a causa di violazione dei requisiti contenuti nel comma 1 e non nel comma 3. Ne deriva che il distacco viene considerato una forma di esercizio del potere direttivo-organizzativo del datore di lavoro, rispetto al quale il consenso del lavoratore non è necessario, stante il dovere di obbedienza ex art. 2104 c.c.34
Questo vuol dire che il distacco resta un atto unilaterale, privo di natura contrattuale, rispetto al quale il consenso del lavoratore non può essere elevato a presupposto di legittimità dell’istituto. Il consenso del lavoratore rappresenta un mero limite esterno al potere direttivo del datore di lavoro di modificare unilateralmente le modalità di
34 Art. 2104 c.c.: “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.
Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
esecuzione della prestazione, tutte le volte in cui il distacco arrivi a determinare un cambiamento di mansioni. Dunque, il consenso del lavoratore, ben lontano dal trasformare il distacco da atto unilaterale a contratto, va ad incidere non sulla validità, bensì sull’efficacia del provvedimento datoriale: il distacco, nel caso in cui determini l’attribuzione di mansioni diverse rispetto a quelle a cui il lavoratore era originariamente adibito e disposto in assenza del consenso del lavoratore, costituisce inadempimento di un onere posto a carico del datore di lavoro, determinando, per il lavoratore, la possibilità di disattendere legittimamente gli ordini impartiti dal datore di lavoro, senza incorrere in sanzioni disciplinari.
Anche in presenza di un contratto di rete, si ritiene necessario procedere, nei confronti del lavoratore sottoposto a distacco, ad una esplicazione delle “comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive” richieste dal comma 3 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003 in caso di un distacco che venga realizzato nei confronti di un’unità produttiva distante più di 50 km. Anche l’indicazione di tali elementi non può essere considerato requisito essenziale ai fini della legittimità del distacco, di conseguenza si tratterà, come per il consenso, di una condicio iuris, da tenere in considerazione ai fini dell’efficacia dell’istituto35.
A seguito di quanto appena esposto, è possibile constatare quanto debole sia ancora la disciplina giuslavoristica specifica sul distacco alla luce delle novità introdotte con il contratto di rete: un utilizzo vantaggioso dell’istituto del distacco, per quelle che possono essere le esigenze delle imprese partecipanti a una rete, necessita una sostanziale
35A. Xxxxxxx, “Contratto di rete, distacco, codatorialità, assunzioni in agricoltura, in X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, “La riforma del mercato del lavoro” (a cura di), 2014, Giappichelli, pag. 477 e segg.
rimodulazione della materia. Tale correzione dovrebbe essere realizzata mediante un intervento legislativo che, ad esempio, vada a precisare la possibile durata dell’istituto, contemplandolo, magari, anche a tempo indeterminato, la finalizzazione dell’impiego del personale all’interesse comune della rete o di singoli progetti portati avanti dalle imprese che la costituiscono o, ancora, la possibilità per le imprese di tracciare di comune accordo la ripartizione dei poteri e degli oneri relativi alla gestione delle risorse comuni, con le modalità ritenute più idonee alle esigenze delle attività concordate.
2.3 Risvolti pratici del distacco: il trattamento retributivo, gli adempimenti previdenziali, l’Inail, il libro unico del lavoro
Considerato il totale silenzio del legislatore in merito ai profili di ordine pratico dell’istituto del distacco all’interno del contratto di rete, si ritiene che, al momento, possa trovare piena applicazione la disciplina attuata dai diversi Enti nei confronti del distacco nella sua generalità.
“In caso di distacco, il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore”. Così recita il comma 2 dell’art. 30, D.lgs. 276/2003, in maniera piuttosto concisa e senza fornire dettagli di alcun tipo.
Gli oneri relativi al trattamento retributivo permangono, dunque, in capo al datore di lavoro originario, in quanto unico titolare del rapporto di lavoro. Tuttavia, è possibile che, oltre alla ordinaria retribuzione prevista da contratto, il distaccatario decida di erogare delle somme di denaro a titolo di rimborso per le spese sostenute dal distaccante. Tale rimborso può essere sempre effettuato, a patto che la somma erogata dal distaccatario al
distaccante non superi quanto sia stato, da questo, effettivamente corrisposto al dipendente. La Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 3/2004 evidenzia, in particolare, come sia data la possibilità di ammettere il rimborso per rendere più lineare e trasparente anche l’imputazione reale dei costi sostenuti da ogni singola società. Inoltre, sempre in tema di rimborso, la Cassazione a Sezioni Unite, 13 aprile 1989, n. 1751, ha chiarito che il rimborso da parte del distaccatario nei confronti del distaccante, avente ad oggetto le spese sostenute da quest’ultimo in merito al trattamento economico del dipendente, non ha alcuna rilevanza ai fini di una qualificazione legittima del distacco.
Poiché quella del rimborso costituisce una mera eventualità, è necessario che distaccante e distaccatario, nel caso in cui si volessero avvalere di tale opportunità, stipulino un accordo scritto in tal senso, esplicitando i tempi e le modalità attraverso cui tale rimborso dovrà essere realizzato36.
In capo al datore di lavoro distaccante, sempre sulla base di quanto stabilito dal Decreto Biagi, permane l’obbligo di adempiere anche al trattamento contributivo, sempre nel rispetto dell’inquadramento dato dal datore di lavoro distaccante.
In particolare, la Circolare Inps del 13 Marzo 2006, n. 41, avente ad oggetto “Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 e successive modificazioni. Effetti sulle prestazioni a sostegno del reddito nelle nuove forme di rapporto di lavoro”, nel Paragrafo 3, dedicato all’istituto del distacco, si premura di specificare la disciplina inerente le diverse prestazioni previdenziali oggi esistenti:
36 X. Xx Xxxxxxx, “Distacco e contratto di rete”, Diritto & Pratica del Lavoro n. 13/2016, pag. 834.
- Trattamenti di famiglia: in materia di ANF (assegno per il nucleo familiare), è previsto che tale prestazione venga erogata dal datore di lavoro distaccante il quale, come sancito dallo stesso art. 30 D.lgs. 276/2003 e ribadito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con circolare n. 3/2004, rimane obbligato a corrispondere il trattamento economico e contributivo;
- Indennità di maternità, di malattia e tbc: viene ricordato che il lavoratore sottoposto a distacco rimane, ad ogni effetto, dipendente dell’azienda di origine e, pertanto, anche tali tipi di erogazioni saranno adempiuti dal datore di lavoro distaccante;
- Indennità di disoccupazione: al lavoratore distaccato continuano ad essere riconosciuti i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali previsti per il rapporto di lavoro subordinato in essere al momento del distacco e, per il quale, si continuano ad applicare i principi generali in materia di disoccupazione;
- Indennità di mobilità e trattamenti speciali per l’edilizia: nell’ipotesi in cui il datore di lavoro distaccante debba ricorrere ad una procedura di mobilità e inserisca anche il nome del lavoratore sottoposto a distacco, quest’ultimo avrà diritto a ricevere l’indennità di mobilità, ferma restando l’immediata revoca del distacco da parte del datore di lavoro distaccante e l’immediato rientro del lavoratore nell’unità produttiva originaria. Il periodo di distacco viene computato ai fini dei requisiti di cui all’art. 16, comma 1, L. n. 223/199137;
37 Art. 16, comma 1, L. n. 223/1991: “Nel caso di disoccupazione derivante da licenziamento per riduzione di personale ai sensi dell'articolo 24 da parte delle imprese, diverse da quelle edili, rientranti nel campo di applicazione della disciplina dell'intervento straordinario di integrazione salariale, il lavoratore, operaio, impiegato o quadro, qualora possa far valere una anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie,
- Integrazioni salariali: posto che, come più volte ribadito, il datore di lavoro distaccante rimane l’unico responsabile per il trattamento economico e normativo del dipendente distaccato, nel caso in cui l’azienda distaccataria, presso cui si trova il lavoratore, usufruisca delle integrazioni salariali, queste ultime non gli saranno dovute in quanto egli rimane dipendente presso l’azienda d’origine a tutti gli effetti.
Per quanto riguarda gli adempimenti richiesti dall’Inail (Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), con la Circolare n.3/2004 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato sancito che “il premio rimane a carico del datore di lavoro distaccante ma è calcolato sulla base dei premi e della tariffa che sono applicati al distaccatario”. Ciò significa che responsabile del pagamento dei premi assicurativi obbligatori dovuti all’Inail per il dipendente sottoposto a distacco rimane il datore di lavoro originario ma essi saranno calcolati sulla base della voce di tariffa, di cui fa parte la lavorazione da effettuare, utilizzata dall’impresa distaccataria.
Sul piano strettamente operativo, bisogna effettuare sostanzialmente una distinzione tra i effettivi due scenari che si possono aprire:
I. La Gestione tariffaria del distaccante coincide con quella del distaccatario;
II. La Gestione tariffaria del distaccante è diversa da quella del distaccatario.
L’ipotesi della gestione tariffaria coincidente può articolarsi, a sua volta, in tre possibili situazioni:
festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine, ha diritto alla indennità di mobilità ai sensi dell'articolo 7”.
- Se la lavorazione da realizzare presso l’impresa distaccataria coincide con quella svolta presso il distaccante, l’assicurazione viene adempiuta con l’inserimento del lavoratore distaccato nell’originaria polizza presente nella PAT (Posizione Assicurativa Territoriale) del distaccante alla voce di tariffa corrispondente;
- Se, contrariamente, la lavorazione da porre in essere presso l’impresa distaccataria non coincide con quella propria del distaccante, sarà necessario procedere all’iscrizione ad una o più nuove voci di tariffa nell’ambito della PAT del datore di lavoro distaccante;
- Se il lavoratore distaccato non si limita a svolgere le proprie lavorazioni solo presso l’impresa distaccataria ma continua a prestare la propria opera anche presso il datore di lavoro distaccante, si dovranno ripartire le retribuzioni erogate fra le diverse voci di tariffa presenti nella PAT del distaccante, proporzionalmente all’incidenza delle singole lavorazioni sul complesso dell’attività lavorativa effettuata.
Nel caso in cui, invece, la gestione tariffaria dell’impresa distaccante non dovesse coincidere con quella della distaccataria, sarà necessario aprire una nuova PAT a carico del datore di lavoro distaccante, con gestione tariffaria uguale a quella dell’impresa distaccataria.
Per quel che concerne gli adempimenti in merito alle denunce di infortunio, spetta al datore di lavoro distaccante effettuare le denunce di infortunio sul lavoro e di malattia professionale, nonché a dare notizia all’autorità di pubblica sicurezza di ogni evento che abbia per conseguenza la morte o l’inabilità al lavoro per più d tre giorni38. Ciò perché,
38 D.P.R. n. 1124/1965, art. 54, comma 1.
nonostante l’unità produttiva dove si verifica l’infortunio sia quella del distaccatario, il datore di lavoro formale rimane pur sempre il distaccante.
Il lavoratore distaccato è tenuto a comunicare l’accadimento dell’infortunio (o a denunciare la malattia professionale) al datore di lavoro distaccante, al quale dovrà essere trasmessa anche l’inerente certificazione medica. Nell’ipotesi in cui il lavoratore trasmetta la denuncia di infortunio esclusivamente al distaccatario, quest’ultimo sarà tenuto a notificare al distaccante l’evento accaduto al lavoratore; tale obbligo, però, deve necessariamente essere oggetto di specifici accordi intervenuti tra distaccante e distaccatario, volti ad assicurare la dovuta tempestività della comunicazione delle assenze per infortunio, permettendo al distaccante di effettuare le relative denunce entro i termini di legge.
Tutto ciò comporta che nel caso in cui il lavoratore dovesse procedere a denunciare l’infortunio al distaccatario e non al datore di lavoro di origine, non verrà meno il diritto del dipendente ad ottenere l’indennizzo relativo ai giorni antecedenti la denuncia39; inoltre, in sede di accertamento del termine di legge per l’invio della denuncia di infortunio all’Inail, si terrà conto della data in cui il distaccante ha ricevuto il certificato
39 D.P.R. n. 1124/1965, art. 52: “L'assicurato è obbligato a dare immediata notizia di qualsiasi infortunio che gli accada, anche se di lieve entità, al proprio datore di lavoro. Quando l'assicurato abbia trascurato di ottemperare all'obbligo predetto ed il datore di lavoro, non essendo venuto altrimenti a conoscenza dell'infortunio, non abbia fatto la denuncia ai termini dell'articolo successivo, non è corrisposta l'indennità per i giorni antecedenti a quelli in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell'infortunio. La denuncia della malattia professionale deve essere fatta dall'assicurato al datore di lavoro entro il termine di giorni quindici dalla manifestazione di essa sotto pena di decadenza dal diritto a indennizzo per il tempo antecedente la denuncia”.
medico e non di quella in cui il certificato sia stato, eventualmente, ricevuto dal distaccatario.
Infine, in materia di compilazione e tenuta del LUL (Libro Unico del Lavoro), il soggetto che deve premurarsi di procedere all’iscrizione del distacco del lavoratore è il datore di lavoro distaccante, tenendo in considerazione che è su quest’ultimo che grava la gestione amministrativa del rapporto di lavoro e, dunque, è il distaccante che possiede l’analitica conoscenza della posizione lavorativa e retributiva del lavoratore.
Il Ministero del lavoro, con la Circolare n. 20/2008, ha chiarito che i lavoratori distaccati devono essere registrati sul Libro Unico del lavoro all’inizio e alla fine dell’impiego presso il distaccatario, mediante l’annotazione dei dati identificativi (nome, cognome, codice fiscale, qualifica e livello di inquadramento contrattuale). Ad ogni modo, l’eventuale omissione di tale registrazione non è da considerarsi oggetto di sanzione ai sensi dell’art. 39, comma 7, D.lgs. n. 112/2008, in quanto le omesse registrazioni non incidono sui profili retributivi, contributivi o fiscali; tuttavia l’ispettore del lavoro potrà ordinarne l’annotazione prevista dalla Circolare n. 20/2008 mediante il legittimo esercizio del potere di disposizione40.
Sarà sempre a cura del datore di lavoro distaccante effettuare la comunicazione al Centro per l’Impiego in merito al distacco del lavoratore, comprensiva del nome e della sede operativa della impresa distaccataria che ne prenderà carico. Dovrà essere compilata la
40 Comma 1, art. 14, D.lgs. 124/2004: “Le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell'ambito dell'applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”.
sezione “Quadro Trasformazione” del modello Unilav41. La comunicazione deve essere fatta entro 5 giorni dall’inizio del distacco. In caso di omissione sarà applicata la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 100 a Euro 500 per lavoratore.
2.4 Profili comparativi tra distacco nelle reti e distacco nei gruppi di imprese
I gruppi di imprese costituiscono una struttura giuridica di tipo gerarchico, da tenere ben distinta rispetto alle reti: la principale caratteristica di queste ultime risiede nel creare un’agglomerazione tra imprese accomunate dall’intento di realizzare uno o più obiettivi comuni sanciti all’interno del programma di rete e tali società operano tutte su un piano paritario, posta l’insussistenza di un’idea di preponderanza dell’una sulle altre.
Il gruppo di società è un aggregazione di imprese societarie, le cui principali caratteristiche ruotano essenzialmente attorno all’esistenza di un collegamento partecipativo di controllo che viene effettivamente esercitato da parte dalla società c.d. Capogruppo, nonostante, comunque, tutte le società che vi partecipano rimangano formalmente autonome e indipendenti l’una dall’altra. La società Capogruppo controlla, direttamente o indirettamente, tutte le società partecipanti e dirige, secondo un disegno unitario, la loro attività di impresa, per il perseguimento di uno scopo identico e comune a tutte le società del gruppo42.
41 Unilav è il modello telematico con il quale viene comunicata all'ufficio per l'Impiego la costituzione del rapporto di lavoro. Vengono trasmessi i dati del datore, del lavoratore e le caratteristiche del rapporto, l’argomento è consultabile su xxxx://xxxxxxxxx.xxxxxx00xxx.xxx
42 G.F. Campobasso, “Diritto Commerciale 2, Diritto delle Società”, a cura di X. Xxxxxxxxxx, 8° edizione, 2012, Utet giuridica,pag. 283 e segg.
A partire dagli anni ’80, numerosi studi si sono occupati della gestione del lavoro all’interno dei gruppi di imprese, contrariamente alle reti che costituiscono un fenomeno decisamente più recente; ciò nonostante, si può tendenzialmente affermare che lo scambio di manodopera che avviene in entrambi i contesti sia alimentato da finalità simili e sia perseguibile anche attraverso il medesimo istituto oggetto di trattazione, il distacco.
La giurisprudenza sull’uso flessibile della manodopera all’interno dei gruppi di imprese ha dovuto, in primis, affrontare alcune questioni di carattere preliminare, inerenti la possibilità di riconoscere un’autonomia soggettiva al gruppo, per poter attribuire allo stesso la titolarità dei rapporti di lavoro. Tali problematiche hanno portato ad effettive conseguenze anche sull’inquadramento e l’importanza dei requisiti del distacco infra- gruppo.
Sulla base di una classificazione fornita dalla dottrina43, è possibile sintetizzare le modalità di uso della prestazione lavorativa all’interno dei gruppi di imprese, alternative rispetto al classico schema binario lavoratore-datore di lavoro, nel seguente modo:
I. Il lavoratore viene sottoposto a distacco, dunque presta la propria attività lavorativa presso un’impresa distaccataria del gruppo, in risposta alle istanze di flessibilità, decentramento ed articolazione dell’organizzazione produttiva di appartenenza, senza che si verifichino mutamenti nella titolarità del rapporto;
II. Il lavoratore viene utilizzato in forma stabile da parte di un’impresa diversa da quella titolare del rapporto di lavoro ma, pur sempre, appartenente al gruppo. E’ importante sottolineare che, generalmente, il riconoscimento della titolarità del
43 X. Xxxxxxxx, “Diritto del lavoro”, a cura di Xxxxxxxx Xxxxxx e Xxxxx Xxxxx, 2016, Xxxxxxx Editore, pag. 250 e segg.