TESI DI LAUREA IN CONTRATTI BANCARI E ASSICURATIVI
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
TESI DI LAUREA IN CONTRATTI BANCARI E ASSICURATIVI
CONTRATTI BANCARI
IL FACTORING: EVOLUZIONI E PROSPETTIVE
Relatore: Prof.ssa Xxxxx Xxxxxx | |
Xxxxxxxxxxx: Xxxx. Xxxxxx Xxxxx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx | Xxxxxxxxx: Xxxxxx Xxxxxx |
Anno accademico 2016/2017
INDICE
INTRODUZIONE 7
CAPITOLO 1
L’ORIGINE DEL CONTRATTO DI FACTORING: PROBLEMI DI INQUADRAMENTO E DI QUALIFICAZIONE
1. ORIGINI ED EVOLUZIONI
1.1. Origini storiche 11
1.2. Factoring ed esperienza italiana ante l. n. 52/91: tentativi
di riforma 12
1.3. Sviluppi dell’istituto a fronte del disegno di legge n. 882
del 1984 15
2. NOZIONE 20
3. FONTI
3.1. Prassi: il contratto di factoring e clausole ivi contenute 25
3.2. T.U. Bancario 33
3.3. L. n. 52 del 1991 33
4. FACTORING TRA ATIPICITA’ E TIPICITA’
4.1. Definizione 36
4.2. Qualificazione ante l. n. 52 del 1991 37
4.3. Qualificazione post l. n. 52 del 1991: contrasti giurisprudenziali e dottrinalI 38
CAPITOLO 2
IL CONTRATTO DI FACTORING: PROFILI ECONOMICI E GIURIDICI
1. PROFILO ECONOMICO
1.1. Funzioni 45
1.2. Gli effetti del factoring sulla gestione dell’impresa:
benefici 48
1.2.1. Factoring e centrale dei rischi 50
1.3. Costi 51
1.4. Imprese che aderiscono al factoring 55
2. PROFILO GIURIDICO
2.1. Qualificazione giuridica
2.1.1. Ambito di applicazione l. n. 52/91: soggetti e requisiti 56
2.1.1.1. Cedente 57
2.1.1.2. Debitore ceduto 59
2.1.1.3. Factor 60
2.1.2. Oggetto
2.1.2.1. I crediti cedibili 66
2.1.2.2. La cessione di crediti futuri e in massa 69
2.1.3. Garanzia e solvenza 74
2.2. Natura giuridica e struttura: questioni controverse
2.2.1 Natura giuridica: causa del contratto 78
2.2.2 Struttura dell’operazione 91
2.3. Efficacia della cessione dei crediti d’impresa
2.3.1. Efficacia della cessione nei confronti del debitore
ceduto 96
2.3.2. Efficacia della cessione nei confronti dei terzi tra
codice civile e normativa speciale 98
CAPITOLO 3
LA SORTE DEL CONTRATTO DI FACTORING NEL FALLIMENTO: UN CASO PRATICO
1. FALLIMENTO DEL CEDENTE
1.1. Premessa 107
1.2. Fallimento del cedente tra artt. 5 e 7, l. n. 52 del 1991 112
1.3. Fallimento del cedente: disciplina e portata innovativa
dell’art. 7, l. n. 52 del 1991 114
1.4. Art. 7, l. n. 52 del 1991 e revocatoria fallimentare: problemi di coordinamento 122
1.4.1. (segue): il ruolo della revocatoria ex art. 67, comma 1°, l.fall., nell’ambito della cessione dei crediti
d’impresa 127
2. FALLIMENTO DEL DEBITORE CEDUTO 130
3. PRETESE DELLE PARTI IN LUOGO DEL FALLIMENTO DELL’IMPRESA CEDENTE: RISOLUZIONE DI UN CASO PRATICO.
3.1. Il caso 138
3.2. Il contenzioso 141
3.3. Problema 145
3.4. Risoluzione 145
Bibliografia 147
Giurisprudenza 163
INTRODUZIONE
Il presente elaborato ha il fine di descrivere, analizzare ed approfondire le peculiarità inerenti al fenomeno emerso all’interno dell’ordinamento italiano nei primi anni sessanta del ‘900: con ciò intendo fare riferimento al factoring, reso noto in ambito legislativo, con l’epiteto “cessione di crediti d’impresa”.
Il tema è stato dapprima affrontato, a livello tecnico- teorico, con dovizia di particolari, all’interno del corso universitario di contratti bancari ed assicurativi presieduto dalla prof.ssa Xxxxxx Xxxxx; ed in seguito approfondito nell’aspetto pratico- applicativo mediante collaborazione instaurata con BCC Factoring, società che mi ha permesso di “toccare con mano” tale realtà.
Il factoring è definibile come: un contratto, stipulato tra due soggetti, in base al quale il cedente si impegna a cedere i crediti presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale ad un altro soggetto detto cessionario (factor) il quale, assume l'obbligo di somministrare una serie di servizi quali: gestione, riscossione, contabilizzazione dei crediti, assunzione del rischio d’insolvenza dei debitori ceduti; verso dazione di un corrispettivo consistente in una commissione, il cui importo può variare in rapporto ai servizi offerti dal factor.
Nel contesto sociale odierno, in cui la crisi economica finanziaria fa da padrona, danneggiando un numero elevato di imprese che faticano ad ottenere liquidità tramite ordinarie fonti di finanziamento rappresentate dal credito bancario, l’operazione di factoring registra un consistente sviluppo sia in termini quantitativi che qualitativi.
Per ciò che attiene all’ aspetto quantitativo, tale attività assume nel
mercato italiano un ruolo centrale: può rilevarsi infatti, grazie alle
statistiche pubblicate annualmente da Assifact, un incremento del ricorso a formule alternative di finanziamento che permettono lo sviluppo di aziende nel breve periodo, e la riduzione di rischi relativi alla cessione di crediti con l’ausilio di un sistema di controllo centralizzato.
Sotto il profilo qualitativo, il factoring, da mera tecnica di finanziamento ha assunto varie funzioni tra cui quella gestoria, assicurativa, contabile, organizzativa: non regolamentate all’interno della vigente disciplina.
Può dirsi così consentita, tramite un’operazione a carattere sistematico: la semplificazione strutturale dell’impresa cedente, tramite supporto gestionale, organizzativo; e la liberazione di risorse per lo sviluppo dell’attività aziendale mediante smobilizzo di crediti non ancora scaduti.
A fronte di tali premesse, nell’elaborato, oltre che dell’ambito giuridico, mi occuperò del contratto di factoring all’interno del contesto economico: analizzando le situazioni in cui le imprese di piccole, medie o grandi dimensioni decidono se accedere o meno all’opportunità di istaurare un rapporto di cessione di crediti d’impresa, sulla base di valutazioni operate in termini di costi e benefici. Stima quest’ultima che non può esaurirsi, come spesso si sostiene, all’accertamento del rapporto tra struttura organizzativa e dimensioni aziendali: bensì dovrà sfociare nella verifica dell’effettivo fabbisogno finanziario dell’impresa cedente.
A ciò seguirà l’esposizione e l’esame critico delle peculiarità giuridiche inerenti al contratto di factoring, la cui normativa appare non organica e non esauriente ponendo invero non scarsi problemi in ambito applicativo. Xxxxx, a tal fine, ricordare come nonostante l’emanazione della legge n. 52 del 1991, dottrina e giurisprudenza prevalenti
classificano l’operazione in termini di atipicità contrattuale: infatti la disciplina legislativa, composta da soli sette articoli, non contiene una regolamentazione completa perché più ampio ed articolato appare l’oggetto del contratto straniero; e nemmeno lo definisce occupandosi unicamente della cessione dei crediti d’impresa.
Nello specifico l’elaborato risulta suddiviso in tre capitoli.
Nel primo darò adito ad un inquadramento generale della fattispecie occupandomi: delle origini dell’operazione di factoring all’interno dell’esperienza giuridica italiana; della nozione, e delle fonti quali codice civile, testo unico bancario, legge speciale, ed infine prassi che non manca di regolare il rapporto tramite accordo comprensivo di espressione e clausole standardizzate.
Nel secondo capitolo l’attenzione sarà posta in primis sull’aspetto economico dell’operazione, con una valutazione sommaria di benefici e costi che dovranno essere sostenuti dall’impresa cedente.
Seguirà poi l’esame del profilo giuridico con conseguente analisi dei problemi che via via si presentano, alla luce dell’ordine teorico imposto dal dettato legislativo, ossia: ambito applicativo, requisiti soggettivi ed oggettivi, garanzie accordabili, ed efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto e di soggetti terzi. Emergeranno così le dispute dottrinali e giurisprudenziali in luogo: dell’interpretazione letterale e/o sistematica del testo di legge ed in tema di natura giuridica e struttura dell’operazione, variabile a seconda della causa ritenuta prevalente all’interno del contratto stipulato.
Infine il terzo capitolo sarà incentrato sulla normativa applicabile al fallimento del cedente, al fallimento del debitore ceduto e sul ruolo esercitato dall’azione di revocatoria fallimentare.
Le problematiche e le discipline trattate all’interno dello scritto hanno
lo scopo di analizzare con cognizione di causa la risoluzione del caso
giuridico proposto, nel cui ambito non manca l’avanzamento di laute e, per certi versi, errate pretese da parte di curatore fallimentare, factor e pubblica amministrazione. Si ammette così largo spazio a riflessioni sul ruolo, non ancora ben definito, e sull’importanza che tale contratto ha e potrà avere all’interno del nostro ordinamento.
CAPITOLO 1
L’ORIGINE DEL CONTRATTO DI FACTORING: PROBLEMI DI INQUADRAMENTO E DI QUALIFICAZIONE
Sommario: 1. ORIGINI ED EVOLUZIONI; - 1.1. Origini storiche; - 1.2. Factoring ed esperienza italiana ante l. n. 52/91: tentativi di riforma; - 1.3. Sviluppi dell’istituto a fronte del disegno di legge n. 882 del 1984; - 2. NOZIONE; - 3. FONTI; - 3.1. Prassi: il contratto di factoring e clausole ivi contenute; - 3.2. T.U. Bancario; -
3.3. L. n. 52 del 1991; - 4. FACTORING TRA ATIPICITA’ E TIPICITA’; - 4.1. Definizione; - 4.2. Qualificazione ante
l. n. 52 del 1991; - 4.3. Qualificazione post l. n. 52 del 1991: contrasti giurisprudenziali e dottrinali.
1. ORIGINI ED EVOLUZIONI
1.1 . Origini storiche
Le origini dell’attività di factoring sono lontane, risalgono al periodo tardo medioevale, epoca in cui nacque il commercio internazionale in relazione alle zone dell’Europa Occidentale.
Solo nel XV secolo, quando i confini statali vennero smantellati grazie alle grandi scoperte geografiche, trovò terreno fertile lo sviluppo di tale
attività; incrementata anche dalla nascita dei commerci tra madre patria e colonie americane.
Il factor era un intermediario mercantile che risiedeva nelle colonie e che operava per conto delle imprese manifatturieri inglesi, ricopriva la figura di depositario- commissionario e, distribuendo informazioni sul mercato interno al territorio coloniale, favorì la penetrazione delle imprese inglesi in quei mercati.
Solo a metà del 1600 il factor divenne un intermediario finanziario: egli assumeva il rischio dell’inadempimento del debitore ceduto e forniva anticipazioni sulle merci, utilizzate poi come garanzia1. Iniziarono così ad essere poste le basi per la nascita del factoring moderno, in cui prevalente è l’aspetto finanziario; inoltre le industrie americane, afferenti al settore tessile, auspicavano che la figura del factor non venisse meno, in quanto conforme alle loro esigenze espansionistiche.
A partire degli anni sessanta del ‘900, i factors americani convenirono sull’espansione della propria attività oltre Oceano, così si ebbe l’introduzione dell’attività di factoring in Europa.
L’importazione dell’attività di factoring nei Paesi di civil law2, non è stata operazione semplice: difatti occorreva coordinare la prassi sviluppata nei Paesi di common law, con la normativa alquanto rigida del diritto continentale.
1.2. Factoring ed esperienza italiana ante l. n. 52/91: tentativi di riforma
Negli anni sessanta il factoring fece le prime apparizioni in Italia grazie
1 X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, pp. 1 ss.
2 X.XXXXX, Il factoring, Milano, 1999, pp. 26 ss.
a talune società statunitensi3, solo negli anni settanta si diffuse attraverso società italiane di estrazione bancaria, sostituite in un secondo momento da grossi gruppi industriali i quali costituirono società di factoring atte a fornire i loro servizi unicamente alle imprese di un certo gruppo.
L’espansione di tale attività non fu priva di inconvenienti, difficile risultò la conciliazione della pratica commerciale americana con la regolamentazione poco duttile del sistema italiano4; e quasi inevitabili furono le variazioni strutturali apportate al modello originario.
Il factoring venne dapprima collocato nella disciplina codicistica della cessione dei crediti, ma tale inquadramento fece sorgere interrogativi in capo a dottrina e giurisprudenza in quanto, alcune norme si attagliavano con difficoltà a tale istituto.
In particolare perplessità sorgevano difronte:
- al regime applicabile alla cessione di crediti futuri
- alla rilevanza da attribuire al patto di incedibilità del credito
- e alla forma ascrivibile alla comunicazione dell’avvenuta cessione al debitore ceduto, nello specifico ci si domandava se fosse necessaria la notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario o se fosse sufficiente un qualunque altro mezzo che garantisse il medesimo risultato5.
Nacque perciò l’esigenza di produrre una legge che tenesse conto delle
caratteristiche peculiari dell’operazione di factoring, non del tutto
3 X.XXXXXX, Il contratto di factoring, Napoli, 1983, p. 55. Cit. “La prima società italiana di factoring –International Factors Italia S.p.A. – è stata costituita nel 1963”, “Alla fine del 1982 esistevano in Italia almeno ventidue imprese di factoring”.
4 La cessione anglosassone è solo pro soluto, gli anticipi sono concessi in minima parte e non vengono disciplinati quei servizi accessori che rappresentano la peculiarità dell’operazione.
5 X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, pp. 5 ss.
sovrapponibili a quelle delineate dalla disciplina della cessione dei crediti; a tal fine vennero individuate diverse vie percorribili.
La prima proposta fu quella di intervenire direttamente sulla normativa degli art. 1260 e ss. c.c., alla luce delle novità apportate dal factoring, facendo convivere le peculiarità dei due diversi istituti.
Il progetto risultava coerente ma non era di certo privo di inconvenienti, conseguenti alla volontà di riscrivere la disciplina codicistica: l’unica novità recepita fu “il fatto che nel factoring il cessionario acquista tutti i crediti facenti capo al cedente e non invece quei servizi accessori sì, ma essenziali in una corretta qualificazione dell’operazione”6.
Venne perciò cambiato approccio, si sostenne il progetto di una legge speciale e autonoma rispetto al codice per disciplinare l’operazione di factoring. Tale progetto fu estremamente complesso ed articolato: Banca d’Italia aveva il compito di regolamentare e vigilare i soggetti autorizzati, la normativa applicabile al contratto era precisa e puntuale, e venne previsto il deposito del contratto di factoring presso la Camera di commercio, risolvendo la problematica relativa all’efficacia della cessione verso terzi.
Con tale progetto vennero disciplinati anche le attività accessorie diffuse nella pratica vigente, ma numerose furono le critiche: in primis si affermava che una disciplina così dettagliata e specifica avrebbe rallentato lo sviluppo del factoring in Italia e, al contempo si precisò che raramente un articolato così lungo avrebbe superato, senza subire modifiche consistenti, il lungo iter Parlamentare7.
6 Cit. X.XXXXXXXX op. cit., p. 6.
7 La discussione e le successive critiche al progetto furono frutto di un incontro
avvenuto nel 1983 tra giuristi ed operatori sotto il controllo dell’ ABI.
Il factoring si rivelò uno strumento fallace: non solo per la natura intrinseca, “quanto per il complesso interagire delle posizioni di più soggetti che costituiscono distinti poli d’interessi: il cedente, il cessionario, il debitore ceduto, i terzi creditori di ciascuno di essi, le eventuali masse fallimentari”8.
Nel 1984 venne sviluppato un disegno di legge diverso dai due sopracitati (D.D.L. 882/1984), con cui non si intendeva creare una disciplina generale, ma al contrario si elaborò una normativa-tampone da affiancare a quella del codice civile, ed idonea a perseguire due obiettivi principali:
- facilitare la cessione di crediti futuri
- ampliare l’opponibilità della cessione al fallimento9.
1.3 . Sviluppi dell’istituto a fronte del disegno di legge n. 882 del 1984
Il disegno di legge 882 del 1984 fu presentato al Senato su iniziativa dei senatori Lipari, Xxxxxxxx, Xxxx, Xxxxxxx, De Cinque: tale progetto era destinato a disciplinare “l’acquisto dei crediti d’impresa”10.
8 Cit. X. X'XXXXXXXX, Sulla proposta disciplina del Factoring, in Nuovi studi politici, 1987, fasc. I, p. 89.
9 X.XXXXXXXX-X.XXXXX, Il "factoring": la nuova legge italiana (con riferimenti alla Convenzione di diritto uniforme), in Giurisprudenza italiana, 1991, fasc. XII, pt. 4, p. 481. X.XXXXXXXXX, I problemi della cessione globale al factor dei crediti di impresa: possibili soluzioni contrattuali e legislative, in Giurisprudenza commerciale, 1982, fasc. I, pt. 1, pp. 157 ss.: evidenzia i punti che il legislatore dovrebbe prendere in considerazione nel creare la nuova normativa: in particolare si ritiene necessario il superamento della rigidità e del formalismo codicistico, auspicando una maggiore tutela nei confronti del cessionario sia per quanto riguarda il fallimento del cedente, sia nelle ipotesi delle eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cedente.
10 X. XX XXXX- XXXXXXX, L' acquisto dei crediti di impresa (factoring) nel disegno di legge n. 882, in Temi Romana, 1985, fasc. II, pt. 1, pp. 407 ss.
L’impatto del factoring sul sistema economico11 e istituzionale italiano fu notevole, la normativa però era ritenuta insufficiente e ampio spazio di manovra venne lasciato alla giurisprudenza.
Come accennato in precedenza, con tale disegno di legge si voleva creare una disciplina che non si sostituisse alla normativa del codice civile, ma che prendesse in considerazione i problemi12 non risolvibili tramite l’istituto della cessione dei crediti; occorreva a tal fine una normativa semplice ed idonea a regolare il fenomeno della cessione avente ad oggetto una globalità di crediti presenti e futuri, con carattere non episodico ma professionale.
Dunque l’iniziativa legislativa mirava a mantenere salda la centralità della normativa codicistica, derogandovi allorquando si presentava in contrasto con la ratio del nuovo progetto di legge13.
Occorre premettere che il factoring veniva utilizzato soprattutto dalle medie e piccole imprese14, in quanto tale istituto rendeva agevole la gestione finanziaria e permetteva, garantendo la stabilità della clientela, la produzione di liquidità.
L’ambito di applicazione è delimitato da requisiti oggettivi e soggettivi che circoscrivono l’oggetto dell’operazione alla cessione di crediti pecuniari, sorti da contratti stipulati tra il cedente (imprenditore)
11 X.XXXXXXXX, Osservazioni alla proposta di legge in tema di factoring, in Le società, 1985, fasc. II, p. 704. Cit. “Secondo dati forniti dall’ABI sono ormai quaranta le società operanti nel settore e il loro giro d’affari ha raggiunto i 10.000 miliardi”.
12 X.XXXXXXXXX, I problemi giuridici del factoring, in Rivista di diritto civile, 1978, fasc. I, pp. 304 ss.
13 Relazione al D.D.L., p. 3, Atti parlamentari Senato della Repubblica.
14 X.XXXXXXXXX, Collaborazione alla gestione e finanziamento d'impresa: il factoring in Europa, Milano, 1981, p. 5. Cit. L’esigenza di tali imprese consiste nell’essere “al passo con i tempi sia sotto il profilo dell’utilizzazione di sistemi di gestione amministrativa e contabile aggiornati, sia sotto l’aspetto dell’informazione commerciale e tecnologica, per poter reggere la concorrenza sul mercato ed espandere la propria attività anche al di fuori dei confini nazionali”. Ed ancora “la mobilizzazione dei crediti d’impresa”, tramite il factoring, costituisce “un utile mezzo per risolvere i problemi delle imprese di dimensioni minori”.
nell’ambito dell’esercizio d’impresa, e una società per azioni il cui oggetto sociale prevede l’acquisto di crediti d’impresa (art. 1): contro il versamento di un corrispettivo. Tali requisiti per D’Ambrosio15 si riscontrano già nelle società di factoring operanti in Italia.
La cessione dei crediti può avvenire anche in massa: sia per crediti presenti che futuri sempre che sia determinato il debitore, e che il contratto, da cui sorgono tali crediti, sia stipulato entro 24 mesi antecedenti alla cessione stessa (art. 2); si elimina così: l’incertezza sulla validità della cessione in massa e di quella avente per oggetto crediti futuri, e si determina la possibilità per il factor di assumere la gestione completa dell’azienda del cedente, intervenendo sistematicamente.
Il fatto che al momento della conclusione del negozio debba essere esistente il contratto da cui sorgeranno i crediti futuri, fa sì che essi siano determinati o determinabili fin dalla data della cessione16.
Tale D.D.L. detta una disciplina innovativa rispetto all’art 1267 c.c., comma 1°, capovolgendo la normativa inerente alla solvenza del debitore ceduto, difatti emerge che: in tema di cessione di crediti d’impresa la garanzia sarà prestata dal cedente, con la conseguente facoltà di rinunciarvi in tutto o in parte in capo al cessionario (art. 3).
Viene inoltre disciplinata l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi, ma senza tralasciare la tutela del debitore ceduto il quale non deve essere danneggiato da pretese del cessionario17.
15 M. D'XXXXXXXX, Sulla proposta disciplina del Factoring, in Nuovi studi politici, 1987, fasc. I, p. 91.
16 Cass. civ., Sez. I, 2 agosto 1977, n. 3421: “Nei limiti in cui è consentito all’autonomia negoziale dedurre in contratto la prestazione di cose future (art. 1348 c.c.) è ammissibile la cessione di crediti futuri, sempre che, al momento della conclusione del negozio, sussista già il rapporto giuridico di base, dal quale possano trarre origine i crediti futuri, in modo che questi ultimi siano, fin da quel momento determinati o determinabili”.
17 Art. 4 D.D.L. 882/1984: “E’ fatta salva l’efficacia liberatoria secondo le norme del codice
civile dei pagamenti eseguiti dal debitore a terzi”.
Una ragguardevole attenzione viene rivolta al fallimento: in caso di fallimento del cedente la cessione può esservi opposta, a condizione che il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo per la cessione e che il fallimento sia stato dichiarato dopo la data del pagamento (art. 4 punto 3). Tale ipotesi va letta in combinato disposto con l’art. 6, il quale dispone che l’opponibilità viene meno se il curatore dimostra che il cessionario conosceva lo stato di insolvenza del cedente, al momento del pagamento; “sempre che tale pagamento sia stato eseguito nell’anno anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento e prima della scadenza del credito ceduto”.
Per di più, il curatore può recedere dalle cessioni aventi ad oggetto crediti non ancora sorti al momento della sentenza dichiarativa di fallimento, sempre che restituisca al cessionario il corrispettivo da lui pagato a fronte delle cessioni.
Nel caso in cui il fallimento colpisca il debitore ceduto, è prevista nei confronti del cedente la revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal ceduto a favore del cessionario (art. 5).
Sembra opportuno osservare che tale D.D.L. tende a creare un assetto normativo favorevole al cessionario, più di quanto sia in grado di offrire il codice civile: in effetti si vuole dare fiducia ai soggetti che operano nell’attività di factoring, con lo scopo di garantire una rapida e sicura circolazione dei crediti; entro il limite in cui il cessionario operi secondo buona fede18.
18 X.XXXXXXX, X.XXXXX, Il factoring aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1980, pp. 216 ss. Cit.: “Qualche autore… dal punto di vista giuridico ha rilevato pessimisticamente, senza per altro approfondirne le cause, l’incapacità della vigente legislazione in materia di cessione di crediti, a tutelare l’attività del factor. Personalmente, non riteniamo di poter condividere tale pessimismo, anche se l’istituto della cessione del credito è per qualche aspetto insufficiente per una completa tutela degli interessi delle società di factoring e degli stessi utilizzatori economici.”
Tale disegno di legge però solleva qualche xxxxxxx00: infatti non sembra risolta la questione riguardante la forma della notifica idonea a rendere opponibile la cessione al debitore ceduto (art 1264 c.c.), mentre nella prassi commerciale, avvalorata dalla dottrina, si ritiene sufficiente la notifica dell’avvenuta cessione tramite raccomandata con ricevuta di ritorno20; una parte di giurisprudenza si discosta da tale prassi ritenendo che per essere considerata valida la notifica dovrà essere compiuta a mezzo di ufficiale giudiziario21.
La dottrina sottolinea come tale questione nasce dal fatto che il cedente, spesso teme che la cessione dei crediti al factor “possa essere intesa come segno di debolezza finanziaria o addirittura come manifestazione di uno stato di insolvenza”22 oppure vuole “evitare che clienti diffidenti del factor si rivolgano per il futuro ad altre imprese fornitrici che non praticano la cessione dei crediti”23.
Criticata è anche l’eccessiva tutela prevista nei confronti del cessionario rispetto alle disposizioni contenute nel codice civile: ad esempio per quanto riguarda l’opponibilità della cessione, la condizione posta dall’art 4 è che il cessionario “abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione”.
Si sostituisce quindi il requisito più garantista previsto all’art 1265 c.c.:
ossia quello della data certa, ritendendo idoneo il versamento di parte
19 X.XXXXXXXX op. cit., pp. 704 ss.
20 X.XXXXXXXXX XXXXXXXX, Appello di Milano, 21 febbraio 1975, in Giurisprudenza commerciale, 1976, pp. 387 ss. e X.XXXXXXX -X.XXXXX, Il factoring aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1974, pp. 234 ss. contenente Trib.Milano, 18 giugno 1969, ENEL c. International Factors Italia SpA. Vedi anche Xxxx. 27 aprile 1961 n.948 in Foro Italiano, 1961, fasc. I, p. 918. Cit.: per la validità della cessione “nei confronti del debitore ceduto è efficace ogni mezzo idoneo a portare a conoscenza l’avvenuta cessione.”
21 Trib. Milano 19 luglio 1973, in Giurisprudenza italiana, 1975, pp. 538 ss.
22 Cit. X.XXXXXXXXX, op. cit., p. 318.
23 Cit. X.XXXXXXXXX, ibidem, p. 318.
del corrispettivo; tale ambiguità espressiva legittima l’opponibilità
anche nel caso in cui la somma pagata sia irrisoria.
Nella stessa logica delle disposizioni precedente, è incappato l’art. 5 in tema di revocatoria fallimentare dei pagamenti del debitore ceduto nei confronti del cessionario, in cui legittimato passivo è il cedente: il quale ha sì azione di rivalsa nei confronti del cessionario; ma tale azione è possibile solo se: la cessione sia pro soluto, o se il prezzo della cessione sia stato pagato.
Tale disegno di legge decadde a causa dell’anticipato scioglimento delle camere, venne ripresentato nel corso della decima legislatura come disegno n° 383 del 1987 e, ricevette approvazione definitiva dalla seconda Commissione permanente della Camera dei Deputati il 9 gennaio 199124.
24 X.XXXXXX, Xxxxx considerazioni sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring anche alla luce della recente legge 21 febbraio 1991, n 52 e sugli effetti del fallimento del fornitore cedente. Nota a Trib. Genova 17 ottobre 1994, in Giurisprudenza commerciale, 1995, fasc. V, pt. 2, pp. 703 ss.
2. NOZIONE
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano il legislatore ha rinunciato al tentativo di fornire una nozione di factoring, ciò è dimostrabile volgendo lo sguardo alle scarne disposizioni della Legge 21 febbraio 1991 n. 52, la quale non contiene alcuna definizione25, e lo stesso vale se si osservano le disposizioni del codice civile.
A tal fine appare utile richiamare la qualificazione di tale modello contrattuale contenuta nella Raccolta degli usi di Milano in cui si afferma che: “si suole denominare factoring il contratto con il quale un imprenditore, detto cedente o fornitore, trasferisce o si obbliga a trasferire in esclusiva ed a titolo oneroso mediante cessioni di crediti ad altro soggetto, detto cessionario o factor, la totalità o parte dei crediti anche futuri derivanti dall’esercizio dell’impresa, verso propri clienti, detti debitori ceduti, ottenendone la controprestazione in servizio e/o denaro. Il factor suole anticipare in tutto o in parte l’importo dei crediti ceduti”26.
Dello stesso tenore è la nozione, giuridicamente rilevante, contenuta all’art. 12, 2° comma, della Legge Regione Lombardia 30 aprile 1980, n. 48, recante interventi in materia di associazionismo artigiano, in cui si legge che: “per contratti di cessione globale, senza garanzia, di credito commerciali («factoring») si intendono quei contratti innominati, a titolo oneroso, con prestazioni corrispettive, in base ai quali i soggetti di cui al precedente art. 2 cedono globalmente i propri crediti commerciali o, per loro conto, quelli delle imprese artigiane consociate, ad una società finanziaria («factor»), la quale li contabilizza e li incassa, assumendosi a carico il rischio
25 In questo senso Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510, in Giustizia civile, 2001, fasc. I, pp. 1856 ss.
26 Si veda il testo degli usi di factoring, approvato dalla Commissione Provinciale della Camera di Commercio di Milano, in data 6 Marzo 1985. Vedi anche X.XX XXXX, voce Factoring, in Dig. disc. priv. – sez. comm., vol. V, Torino, 1990, p. 351.
dell’insolvenza da parte dei debitori ceduti ed anticipandone eventualmente il ricavo, mentre a loro volta, i medesimi si obbligano al pagamento alla società finanziaria di una commissione di incasso sull’ammontare dei crediti ceduti ed un interesse sulle anticipazioni ottenute”27.
Conviene infine riportare la nozione di factoring prevista dalla Convenzione Unidroit di Ottawa del 28 marzo 1988 sul factoring internazionale, rilevante all’interno del nostro ordinamento grazie alla legge di ratifica n. 260 del 14 luglio 1993.
Tale Convenzione, sebbene disciplini le operazioni di factoring internazionale, fissa una nozione di “contratto di factoring” utile alle operazioni soggette alla regolamentazione da parte del diritto interno; infatti, come spesso accade, la disciplina adottata dalla Convenzione influenza anche quanto disposto dall’ordinamento nazionale28.
L’art. 1, 2° comma, dispone che per contratto di factoring si intende: “un contratto concluso tra una parte (il fornitore) e un’altra parte (l’impresa di factoring, appresso denominata cessionario) in base al quale:
a) il fornitore può cedere o cederà al cessionario crediti derivanti da contratti di vendita di merci conclusi tra il fornitore e i suoi clienti (debitori), ad esclusione dei contratti concernenti merci acquistate essenzialmente per uso personale, familiare o domestico;
b) il cessionario deve svolgere per lo meno due delle seguenti funzioni:
- il finanziamento del fornitore, attraverso, in specie, il prestito o il pagamento anticipato;
- la tenuta dei conti relativi ai crediti;
- l’incasso dei crediti;
- la protezione contro il mancato pagamento da parte dei debitori;
27 X.XXXXX, Il factoring, Milano, 1999, p. 51.
28 X.XXXXX, Factoring, in I contratti del commercio dell’industria e del mercato finanziario,
diretto da X. XXXXXXX, I, UTET, Torino, p 527.
c) la cessione dei crediti deve essere comunicata ai debitori.”
Occorre precisare che il riferimento a tale Convenzione è da farsi in una prospettiva che consenta di distinguere il modello formatosi nell’ordinamento italiano, da quello scaturente dalla normativa internazionale in cui vi è l’esigenza di conciliare sistemi contrattuali differenti29.
Dall’insieme di tali definizioni si possono individuare i tratti caratterizzanti l’istituto: si tratta di un contratto, tra due soggetti, in base al quale il cedente si impegna a cedere i crediti presenti e futuri scaturiti dalla propria attività imprenditoriale ad un altro soggetto detto cessionario (factor) il quale, assume l'obbligo di somministrare una serie di servizi quali: gestione, riscossione, contabilizzazione dei crediti, assunzione del rischio dell’insolvenza dei debitori ceduti; verso dazione di un corrispettivo consistente in una commissione, il cui importo può variare in rapporto ai servizi offerti dal factor30.
Se dottrina e giurisprudenza, da un lato, si sono dimostrati concordi nel proporre qualificazioni del contratto di factoring sostanzialmente conformi alle definizioni suindicate, non sono, dall’altro, riusciti ad
29 X.XXXXXXXX, L’avan-progetto di legge uniforme sul Factoring internazionale (Unidroit, 1982), in Rivista di diritto civile, 1983, fasc. I, pt. 1, pp. 96 ss.
30 Sulla nozione di contratto di factoring Cass. 18 Gennaio 2001, n.684: Il contratto di factoring è costituito da “una convenzione complessa per effetto della quale il "factor" si obbliga ad acquistare la totalità dei crediti di cui un imprenditore è o diventerà titolare, a causa della vendita dei beni da lui prodotti o commercializzati; in esso è di regola prevista la facoltà dell'imprenditore cedente di ottenere delle anticipazioni dal "factor", che si obbliga a fornire alla controparte altri servizi (di informazione, consulenza, collaborazione nella gestione aziendale) di non secondaria importanza nell'economia del contratto, con una commissione che costituisce il corrispettivo di quell'attività, variabile in rapporto a molteplici elementi che incidono sul grado di assunzione del rischio dell'operazione. A fronte di tali molteplici funzioni economiche, in forza delle quali il contratto non si esaurisce nella pura e semplice cessione di uno o più crediti, ma comporta per le parti e soprattutto per il "factor" l'assunzione di fondamentali obbligazioni (di "facere", "non facere", "prestare") non strettamente inerenti alla cessione, ma di essenziale importanza nel regolamento degli interessi realizzato con il contratto”.
esprimere un orientamento altrettanto uniforme per quanto concerne
l’individuazione della struttura e della natura dello stesso31.
31 P. XXXXXXXX XXXXXXX, Il rapporto tra contratto di factoring e la sentenza dichiarativa di fallimento, in Rivista dei dottori commercialisti, 2005, fasc. II, pp. 318 ss. Ed ancora: X.XXXXXXXXX, Il comportamento dei debitore ceduto nel contratto di factoring, in giustizia civile, 2001, fasc. I, pt. 2, pp. 27 ss.
3. FONTI
3.1. Prassi: il contratto di factoring e clausole ivi contenute
Il contratto di factoring, ancor prima di ricevere una disciplina legislativa, vide nelle raccolte della Camera di Commercio di Milano, della Camera di Commercio di Torino e di altri enti una genesi della propria normativa32. Difatti tali raccolte contengono una nozione e una peculiare disciplina del contratto, concorrendo alla sua tipizzazione e registrando clausole contrattuali che siano comuni ai diversi tipi di formulari.
Il contratto di factoring è dunque un contratto nato grazie alla prassi e che continua ad essere regolato dalla prassi, ciò accade anche a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 52 del 1991: il contenuto, delle condizioni generali che le imprese di factoring predispongono, non è stato modificato dall’avvento della legge se non per la circostanza che i nuovi formulari di fatto fanno espresso riferimento ad essa33.
Esaminiamo ora il contratto di factoring e le condizioni generali predisposte da Assifact (Associazione delle società italiane di factoring) nel 2007: il testo negoziale, nella prassi, è solitamente composto da due distinti documenti.
In un primo documento si trovano le condizioni generali, le quali: vengono predisposte unilateralmente dal cessionario, disciplinano i profili fondamentali del rapporto (ad esempio durata del contratto,
32 X.XX NOVA, voce Factoring, in Dig. disc. priv. – sez. comm., V, Torino, 1987, p.
352. Il quale annovera gli usi della Camera di Commercio di Milano tra gli “usi negoziali”, lo stesso è sostenuto da DE NOVA, Usi negoziali in materia di leasing e di factoring della C.C.I.A.A. di Milano, in Rivista italiana leasing, 1991, pp. 169 ss.
33 X.XXXXX, Il factoring, Milano, 1999, p. 51.
obblighi delle parti), e di regola durante l’esecuzione del contratto non
subiscono modifiche.
Le condizioni particolari sono collocate in un secondo documento, sono il risultato di specifiche trattative tra cedente e cessionario, regolano gli aspetti finanziari dell’operazione (come interessi e commissione), queste condizioni a differenza delle precedenti possono subire modifiche.
Le clausole solitamente contenute nei contratti di factoring possono essere così elencate:
• Clausola di esclusiva: la quale vincola il cedente a non istaurare rapporti di cessione del credito con altri cessionari, per l’intero periodo di durata del contratto di factoring. Ciò ha un duplice fine: evitare “l’istaurarsi di relazioni preferenziali con i vari factors che comportino distribuzioni non eque, sotto il profilo del rischio, dei crediti oggetto di cessione” e di munirsi di “cautela a fronte di eventuali comportamenti dolosi del fornitore che possa illegittimamente cedere più di una volta lo stesso credito”34. Tale clausola oggi non è più utilizzata, e per certi versi può essere sostituita dall’obbligo, disciplinato dall’art. 5 del contratto predisposto da Assifact, che prevede in capo al cedente, di comunicare al factor l’esistenza o la successiva costituzione di altri rapporti di cessione di credito35.
• Clausola di globalità: con cui il cedente si impegna a cedere al factor tutti i crediti nascenti dall’attività d’impresa, vantati perciò verso tutti i debitori. Oggi, diversamente, per globalità si intende crediti vantati nei confronti di ogni debitore, si parla infatti di globalità soggettiva. Tale clausola viene attualmente
34 X.XXXXX X.XXXXXXXXX, Manuale del factoring, Milano, 1985.
35 X. XXXXXX, X.XXXXXXX, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato La circolazione del credito, IV, 1, Padova 2008, p. 1138 ss.
abbandonata, la spiegazione sembra attenere al tema del plafond: ossia si deve fissare un limite massimo di rischio che il factor assume nei confronti del mancato pagamento da parte del debitore ceduto, pratica che mal si concilia con l’obbligo in capo al cedente di cedere al factor la totalità dei crediti36.
Come accennato in precedenza, Assifact ha predisposto un modulo precompilato, contenente le condizioni generali del contratto di factoring; l’art. 1, fa riferimento all’oggetto del contratto consistente: nelle “future cessioni verso corrispettivo di crediti vantati dal fornitore nei confronti dei propri debitori”, e alle seguenti prestazioni che possono essere eseguite dal factor:
“a) il sollecito del pagamento e l'incasso dei crediti ceduti dal fornitore, nonché la registrazione sulle proprie evidenze dei crediti e dei fatti amministrativi e gestionali ad essi connessi, sino al loro incasso;
b) il pagamento anticipato, in tutto o in parte, del corrispettivo dei crediti ceduti;
c) l'assunzione, in tutto o in parte, del rischio del mancato pagamento dovuto ad inadempimento dei debitori”37.
Il factor potrà eseguire anche altre prestazioni a richiesta del fornitore, come la valutazione di potenziali clienti italiani o esteri.
36 X.XXXXXX, Il contratto di factoring, Napoli, 1983, pp. 85 ss.
37 X.XXXXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile, XII, 4, Torino 2004, p. 71. I servizi prestati dal factor al cedente possono essere così raggruppati: servizi gestionali attinenti all’amministrazione, riscossione, incasso crediti; servizi in lato sensu assicurativi inerenti ad una cessione in cui il factor acquista il rischio dell’inadempimento del ceduto; servizi finanziari posti in essere dal factor quando anticipa all’impresa, in tutto o in parte l’importo dei crediti acquistati. Scarsa importanza è solitamente riservata ai servizi di informazione e di sondaggio forniti dal cessionario. In tal senso si esprime Tribunale di Appello di Bologna, 28 maggio 1994, in Giustizia civile, 1994, pp. 182:Cit. “in un contratto di factoring, eventuali reciproche segnalazioni sulla situazione economica dei clienti rientrano nei normali rapporti di cortesia e di collaborazione commerciale e non possono intendersi espressione di un preciso obbligo giuridico in assenza di una espressa pattuizione sul punto”.
Per tali prestazioni e per i rischi e gli oneri ad esse collegate, il factor vedrà corrispondersi dal fornitore una commissione specificata in un separato accordo (cd. Documento di sintesi); naturalmente la quantificazione della commissione sarà adeguata alle caratteristiche del caso concreto.
L’art. 2 profila la struttura dell’operazione, indicando termini e modalità di cessione: se il fornitore si obbliga a cedere al factor tutti i crediti sorgenti dall’esercizio dell’impresa (cd. “clausola di offerta dei crediti”38), il factor ha la facoltà di accettarli, se li accettata la cessione produrrà i propri effetti e si provvederà alla gestione e all’erogazione delle prestazioni concordate; in capo al fornitore sorgerà l’obbligo di comunicare al factor la nascita del credito futuro. Tale schema sembra atteggiarsi a modello di contratto ad effetti obbligatori, in cui il trasferimento del credito appare come adempimento di una delle obbligazioni accettate dal fornitore.
Se invece si procede alla cessione di singoli crediti: “il Fornitore dovrà proporla entro il termine di trenta giorni dalla data di spedizione delle merci o di prestazioni di servizi”, sarà cura del fornitore comunicare al debitore ogni cessione accettata.
L’art. 3 indica le garanzie che il cedente deve prestare a seguito della cessione, ne cito alcune: “che i crediti ceduti sono o, in caso di cessione di crediti futuri, saranno certi, liquidi ed esigibili a scadenza”, “che l'importo dei crediti ceduti è, o in caso di cessione di crediti futuri sarà, incontestabilmente dovuto dal Debitore al Fornitore quale corrispettivo di merci o beni effettivamente forniti o di servizi effettivamente resi”, “che ha adempiuto o adempirà esattamente e puntualmente i contratti in base ai quali i crediti sono sorti o sorgeranno”, “che i crediti ceduti sono, o in caso di cessione di crediti
38 X. XXXXXX X.XXXXXXX op. cit., p. 1139.
futuri saranno, originati da contratti di fornitura regolati dalla legge italiana, salvo espressa deroga del factor”.
All’art. 4 sono poi specificati gli obblighi del fornitore: “Il fornitore dovrà preventivamente sottoporre al factor l'elenco completo di tutta la sua clientela, indicando per ciascun nominativo il volume d'affari in corso e previsionale, specificando altresì l'esistenza di altri rapporti di factoring occasionali e/o continuativi, nonché ogni altra informazione che il factor riterrà opportuno richiedere sull’andamento del rapporto con il debitore, anche al fine di valutare l’eventuale rinuncia alla garanzia di solvenza prestata dal fornitore”. Queste informazioni dovranno essere aggiornate dal cedente durante il rapporto, e lo stesso autorizzerà il factor a comunicare alle Autorità di vigilanza ed alle banche dati senza scopo di lucro, i dati riguardanti l’operazione di factoring.
Il fornitore in base all’art 5 è poi obbligato: “a far sì che i pagamenti dei crediti ceduti vengano effettuati dai debitori esclusivamente al factor, astenendosi da qualsiasi iniziativa tendente all'incasso dei crediti medesimi. Al verificarsi di pagamenti dei debitori erroneamente effettuati al fornitore, questi è obbligato a trasmettere immediatamente al factor le somme, gli eventuali titoli debitamente girati ed i valori ricevuti; ove si tratti di titoli non trasferibili, il fornitore si asterrà dal negoziarli e sarà comunque obbligato ad adoperarsi, d'intesa con il factor, presso i debitori, per consentirne l'incasso”, inoltre non può modificare condizioni di vendita e/o le prestazioni di servizi, e non deve accordare riduzioni di prezzo, restituzioni di merce o intraprendere altre iniziative che danneggino il cessionario senza il consenso espresso di quest’ultimo.
All’art. 6 viene esplicitato il principio di collaborazione del cedente nei confronti del cessionario, collaborazione ad ampio raggio; difatti il cedente deve comunicare di propria iniziativa o a seguito di richiesta: notizie di rilievo riguardanti i debitori, la loro solvibilità, i reclami e le
domande giudiziali o stragiudiziali da questi poste, o i crediti ceduti e fornire i documenti richiesti.
A fronte delle obbligazioni assunte dal cedente, abbiamo una gamma altrettanto vasta di obbligazioni che il cessionario dovrà accettare: “Il factor provvederà all'incasso dei crediti ceduti, inviando solleciti ai debitori che presentino ritardi o irregolarità nei pagamenti nonché alla registrazione dei crediti ceduti su apposite evidenze dando periodica informazione al fornitore delle successive attività svolte”. Tale obbligo, inserito all’art. 7 è la prestazione minima, ossia il servizio base che caratterizza ogni operazione di factoring, indipendentemente dalla fisionomia più o meno articolata che l’attività può assumere in concreto39.
L’operazione può presentare alcune variabili: per quanto riguarda il sistema delle garanzie prestate all’art. 3 si dispone che il cedente garantisca la solvenza del debitore ceduto salvo che, a norma dell’art. 9, tale rischio sia assunto dal cessionario40.
Se la cessione avviene come stabilito in quest’ultima disposizione il fornitore avrà un obbligo inderogabile di cedere indistintamente tutti i crediti che vanta e vanterà nei confronti del ceduto, “a decorrere dalla data di validità del Plafond concesso”41, questa condizione è posta per assicurare al factor “la massima remunerazione delle attività di accertamento di solvibilità del debitore da lui poste in essere, garantendo altresì al fornitore,
39 Art 8 contratto di factoring predisposto da Assifact, 2007: “Su richiesta del Fornitore, il Factor potrà pagare in tutto o in parte i corrispettivi dovuti per i crediti ceduti, anche prima dell'incasso effettivo degli stessi.”.
40 Art 9 contratto di factoring predisposto da Assifact, 2007: “Il Factor, esclusivamente previa espressa richiesta del Fornitore, potrà rinunciare alla garanzia da questi prestata in merito alla solvenza del Debitore, assumendosi il rischio del mancato pagamento da parte del Debitore (Pro soluto), previa determinazione di un Plafond alla sua assunzione di rischio”.
41 Art 10, contratto di factoring predisposto da Assifact, 2007.
attraverso la regola della rotatività del plafond (art 11), il migliore sfruttamento del limite di garanzia accordatagli”42.
Altra variante si trova all’art. 8: “Su richiesta del fornitore, il factor potrà pagare in tutto o in parte i corrispettivi dovuti per i crediti ceduti, anche prima dell'incasso effettivo degli stessi. In tal caso sulle somme anticipate decorreranno interessi convenzionali nella misura determinata nel Documento di Sintesi e successivi aggiornamenti ai sensi della normativa vigente, sino al momento dell'incasso dei crediti da parte del Factor o dalla diversa data convenzionalmente stabilita tra le parti”. La regola al contrario prevede che il factor corrisponderà al fornitore un corrispettivo, al momento dell’incasso di ciascun credito, a meno che il cessionario non abbia assunto il rischio dell’inadempimento del ceduto.
Nel caso di mancato incasso dei crediti alla loro scadenza, in ambito di cessione pro solvendo, su richiesta del factor il cedente dovrà restituire a quest’ultimo il corrispettivo eventualmente ricevuto a norma dell’art. 8, oltre agli interessi convenzionali maturati sino alla data della restituzione e alle spese sostenute. Tale restituzione può essere richiesta dal factor anche qualora vengano meno le garanzie prestate dal cedente, o qualora sia ragionevole presumere che il debitore non possa o non voglia adempiere alle obbligazioni assunte.
Si deve distinguere il caso in cui il cedente non restituisca quanto dovuto, dal caso in cui restituisca i corrispettivi anticipati. Nella prima situazione il factor avrà la facoltà di agire sia nei confronti del debitore che del cedente, o stipulare transazioni con il debitore, o attuare ogni
42 X.XXXXXXXX- X.XXXXX, Il factoring, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, 2000, pp. 53 ss. Art 11 contratto di factoring predisposto da Assifact, 2007: “Il Plafond di credito sul Debitore ha carattere di rotatività, cosicché, qualora lo stesso risulti totalmente utilizzato, ogni pagamento da parte del Debitore o di terzi relativo a crediti ceduti, in essere e garantiti, nonché ogni nota di credito emessa in relazione agli stessi renderà disponibile per pari importo il Plafond medesimo. Ne consegue che nei limiti di tale disponibilità i crediti fino allora non rientranti nel Plafond vi rientreranno automaticamente, in successione di data emissione e numero della fattura a partire dalla più vecchia”.
altra iniziativa utile al raggiungimento del suo scopo; mentre nella seconda ipotesi: “ad avvenuta restituzione dei corrispettivi anticipati e di quant'altro dovuto, la cessione si considererà risolta, salvo che il fornitore chieda al factor, e questo vi acconsenta, di esperire, a proprie spese, le azioni necessarie al recupero del credito.”
Il contratto di factoring è a tempo indeterminato43, le parti hanno tuttavia facoltà di recedervi, purché adempienti, a mezzo di comunicazione scritta ma senza obbligo di motivazione né di preavviso. Può essere richiesta da entrambe le parti la risoluzione del contratto a norma dell’art. 1456 c.c.44.
Accanto alla possibilità di recesso dal contratto, i formulari spesso prevedono una clausola risolutiva espressa a favore del factor, che opera sia se il cedente non adempie ad uno degli obblighi previsti dal contratto, ma anche quando lo stesso sia soggetto a pignoramenti, sequestri, azioni esecutive, protesti, procedure concorsuali o liquidazione45.
La validità e l’efficacia delle cessioni già perfezionate non sarà pregiudicata dallo scioglimento del contratto, infatti “continueranno ad essere regolate dal presente contratto e per le quali avranno valore tutte le obbligazioni e garanzie accessorie assunte dal fornitore”46.
43 Art 19 contratto di factoring predisposto da Assifact, 2007.
44 Art. 1456 c.c. “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva”.
45 X.XXXXXXX, op. cit., p. 71.
46 Art. 20 contratto di factoring predisposto da Assifact, 2007.
3.2. T.U. Bancario
Un riferimento espresso al factoring è contenuto nel Testo unico bancario, nello specifico all’art. 1,2° comma lett. f), n. 2, in cui viene ricompreso tra le attività ammesse al mutuo riconoscimento.
Con tale forma espressiva, il legislatore bancario oltre ad annoverare il contratto di factoring tra le operazioni finanziarie, ha consacrato il riconoscimento di tale istituto inserendolo a pieno titolo in un testo legislativo. Si sottolinea allora la differenza con la legge n. 52 del 1991 che non parla espressamente di factoring, ma utilizza la dizione: “cessione di crediti d’impresa”. In tal senso si esprime anche la Cassazione nella sentenza 2 febbraio 2001, n. 151047.
3.3. L. n. 52 del 1991
Dopo anni di totale oblio e di numerosi tentativi di regolamentazione si giunse alla tanto attesa legge n. 52 del 199148.
In tale legge troviamo due modifiche al D.D.L. 882/ 1984: la prima riguarda l’art 1 del D.D.L. in cui, il cessionario doveva possedere esclusivamente la qualifica di società per azioni; oggi invece può ricoprire il ruolo di “ente, pubblico o privato, avente personalità giuridica”.
47 Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510, in Giustizia civile, 2001, fascicolo VII-VIII, pt. 1, p. 1855.
48 Accanto a chi plaude alla novità, non manca certo chi la commenta con arido scetticismo v. X.XXXXXXX, Il contratto di factoring, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1991, fasc. I, pt. 1, p. 93, cit.: “Non so se sia proprio il caso di lamentarsi di questa lentezza legislativa. Forse sarebbe meglio lasciare le cose come stanno, sperando che l’interpretazione giurisprudenziale giunga a soluzioni omogenee adeguate ai tempi e agli interessi contrapposti”.
Tale modifica fu inserita a fronte dell’esclusione, dall’ambito di applicazione della legge, subita dalle casse di risparmio aventi la qualifica di fondazioni49.
La seconda differenza è relativa all’art. 4 del D.D.L.: difatti mentre nel testo originario era previsto, per l’opponibilità della cessione ai terzi, che il cessionario avesse anticipato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione, nella legge attuale si richiede anche che “il pagamento abbia data certa”.
Tale legge fu molto discussa: mentre per alcuni favoriva la circolazione dei crediti d’impresa, apportando alcune modifiche alla disciplina codicistica, anche al fine di allontanare “ogni dubbio sulla liceità delle operazioni in massa di crediti futuri ed offrendo una normativa per il caso di fallimento del cedente che tenga conto delle novità del fenomeno senza sacrificare l’interesse dei terzi che ne siano in qualche modo coinvolti”50.
Altri guardarono a tale riforma con sfiducia, sostenendo che sebbene tale legge rispondesse alle esigenze delle imprese di factoring, non prendeva in considerazione alcune questioni attinenti alla collocazione del factoring nell’ambito dell’attività d’impresa; sembra essere dimenticato infatti “il profilo organizzativo del fenomeno e soprattutto la dialettica che si crea fra cedente e cessionario”51.
Acquistò rilevanza l’influenza del cessionario sulle decisioni del cedente, il primo selezionava e intratteneva le relazioni con i debitori del cedente, controllava la struttura amministrativa e contabile
49 X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, pp. 1 ss.
50 Cit. X.XXXXX FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova disciplina della cessione dei crediti d’impresa (l. 21 febbraio 1991, n.52), in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. XI-XII, pt. 1, p. 732. Relazione al D.D.L n. 383 del 5 agosto 1987.
51 Cit. X.XXXXXX, La l.21 febbraio 1991, n. 52, sulla disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. V-VI, pt. 1, p. 732. Relazione al D.D.L n. 383 del 5 agosto 1987.
dell’impresa affiancandola alla propria; dunque oltre al rapporto di cessione dei crediti abbiamo una costellazione di rapporti accessori.
In una posizione intermedia si può collocare la sentenza della Cassazione avente data: 25 marzo 1999, n. 2821, nella quale si osserva che: “tuttavia fin dalle prime decisioni la giurisprudenza ha applicato pedissequamente, in materia di factoring, proprio le norme sulla cessione dei crediti; e malgrado autorevole dottrina abbia denunciato che una rigida applicazione di tali norme possa ritardare sensibilmente la speditezza di un'operazione escogitata, nei paesi di capitalismo avanzato, nel quadro dei nuovi strumenti di finanziamento indiretto delle imprese, anche il recente e singolare intervento Legislativo in materia (L. 21 febbraio 1991, n. 52 rubricata come "disciplina della cessione dei crediti di impresa"), recita testualmente che "resta salva l'applicazione delle norme del codice civile per le cessioni di credito" (L. cit., art. 1, n. 2). Trattasi di una normativa che lungi - forse intenzionalmente - dal fornire una disciplina organica del contratto di factoring (neppure menzionato con l'espressione anglofona a favore della generica dizione di "disciplina dei crediti di impresa"), ha quantomeno risolto i dubbi originariamente insorti circa la cedibilità di crediti futuri e di crediti in massa (art. 3); cosicché per rinvenire una regolamentazione più completa deve farsi riferimento alla L. 14 luglio 1993, n. 260 di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul factoring internazionale di Ottawa del 28 maggio 1988”52.
Si può dunque affermare che il legislatore ha tracciato una disciplina di riferimento per l’attività di factoring, ma ha ricostruito il fenomeno attraverso una prospettiva finanziaria, lasciando irrisolte alcune questioni a cui dottrina e giurisprudenza tentano di dare soluzione.
52 R.CLARIZIA, Il factoring in Italia: la legge n. 52/91 e la giurisprudenza, in Europa e diritto privato, 2000, fasc. III, pp. 856 ss.
4. FACTORING TRA ATIPICITA’ E TIPICITA’
Dopo l’esame della normativa disciplinante il factoring, sembra lecito porsi il seguente interrogativo: il factoring è ancora un contratto atipico? Oppure può dirsi realizzata la sua tipizzazione grazie alla legge n. 52 del 1991?
4.1. Definizione
Proviamo innanzitutto a dare una definizione di atipicità: nel nostro ordinamento ampio spazio di manovra viene dato all’autonomia contrattuale, individuabile come il potere di provvedere, con proprio atto di volontà alla costituzione, regolazione ed estinzione dei rapporti patrimoniali, riconosciuto alle parti.
L’autonomia consente perciò a queste di scegliere, tra i diversi tipi di contratto previsti dalla legge, quello idoneo a realizzare i propri fini; le parti inoltre potranno determinare il contenuto del contratto (art. 1322, comma 1° c.c.), ma sempre entro i limiti fissati dalla legge.
Autonomia contrattuale significa anche libertà di concludere contratti atipici: “ossia contratti non corrispondenti ai tipi contrattuali previsti dal codice civile o da altre leggi ma ideati e praticati nel mondo degli affari”53.
L'art. 1322 c.c., al comma 2° ritiene validi tali contratti atipici, purché gli interessi che realizzano siano riconosciuti meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
53 X. XXXXXXX, Diritto privato, Padova, 2001, pp. 224 ss.
Essi sono soggetti alla disciplina contenuta nelle norme sui contratti in generale (art 1323 c.c.), e sono regolati, nella parte rimanente, dalle clausole stabilite nel singolo contratto atipico.
Il mondo degli affari crea senza sosta nuove figure contrattuali, destinate ad essere classificate come contratti atipici finché la legge non ne predisponga una disciplina: e proprio in tale ambito sembra ricadere il contratto di factoring, ma facciamo un passo per volta.
4.2. Qualificazione ante l. n. 52 del 1991
Precedentemente alla legge n. 52 del 1991, sebbene numerosi furono i tentativi della dottrina e giurisprudenza di ingabbiare il factoring all’interno di uno schema negoziale disciplinato nel nostro ordinamento, vi era chi considerava tale istituto atipico. Non mancano pronunce giudiziarie in tal senso, può farsi riferimento alla sentenza del tribunale di Milano del 28 marzo 1977 in cui: “il contratto di factoring ha natura atipica ed innominata poiché pur realizzandosi essenzialmente attraverso una cessione di credito, presenta un più ampio contenuto in senso economico e giuridico”54; ed ancora il tribunale di Firenze in data 16 luglio 1984 sosteneva che: “il contratto di factoring non può essere considerato né come aleatorio né come normativo unilaterale...ma come contratto atipico”55.
Tale prospettiva era condivisa dalla relazione al disegno di legge n. 383 presentata al Senato il 5 agosto 1987 ad iniziativa dei senatori: Xxxxxxx, Xxxx, Xx Xxxxxx, Lipari e Perugini; approvata dalla II Commissione giustizia del Senato, il 17 dicembre 1987, ed intitolata “disciplina
54 B.C. SULPASSO, Tribunale di Milano, 28 marzo 1977, in Giurisprudenza commerciale, 1978, pp. 436 ss.
55 Cit. X.X.XXXXXXXXX, Disciplina della cessione dei crediti d'impresa e factoring, in Rivista di diritto dell'economia dei trasporti e dell'ambiente, 2008, pp. 10 ss.
dell’acquisto dei crediti d’impresa (factoring)”. Anche dai lavori preparatori emerse la consapevolezza che il factoring racchiude in sé un fenomeno ben più ampio del tipo cessione di crediti, disciplinata con la proposta di legge.
In tale relazione si sente l’esigenza di non “mortificare le novità dell’istituto, riportandolo negli schemi di un contratto tipico e quindi sopprimendone ogni potenzialità innovativa”, e ciò nasce “dalla consapevolezza che, nel nostro ordinamento, non è possibile far ricorso
– per realizzare questo tipo di interessi- ad altri strumenti diversi dalla cessione di credito, e che esso tuttavia (così come disciplinato dal codice civile) appare vestito troppo stretto per regolare l’assunzione dei crediti quando questa diventi oggetto di un’attività d’impresa”56.
4.3. Qualificazione post l. n. 52 del 1991: contrasti giurisprudenziali e dottrinali
Tali contrasti non furono assopiti di certo con l’entrata in vigore della l.
n. 52 del 1991: molti commentatori ritenevano che tale legge non costituisse affatto la tipizzazione legale del contratto di factoring, perché più complesso ed articolato sarebbe il contenuto dell’istituto in questione rispetto alla disciplina inserita nella legge medesima.
Infatti mentre la legge presta attenzione al momento del trasferimento del credito, con particolare riguardo ai profili civilistici e fallimentari; il contratto di factoring prende in considerazione ulteriori servizi come: l’amministrazione, la contabilizzazione, la gestione del credito ceduto;
56 X. XXXXX FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova "disciplina della cessione dei crediti d' impresa" (l. 21 febbraio 1991, n. 52), in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. XI-XII, pt. 1, pp. 731 ss.
della medesima opinione appare Xxxxxxxx, confermando che, la convenzione di factoring: «pur realizzandosi essenzialmente attraverso la cessione del credito, presenta un più ampio contenuto in senso economico e in senso giuridico»57.
La nuova disciplina ad opinione della prevalente dottrina58, non ha reso tipico il contratto di factoring, anzi, tale normativa non lo definisce e non utilizza mai il termine anglofono, preferendo parlare di cessione di crediti d’impresa.
57 Cit. X. XXXXXXXX, Factoring, Leasing, Franchising, Venture capital, Leveraged buy-out, Hardship clause, Countertrade, Cash and carry, Merchandising, Know-how, Giappichelli, 1993, pp. 99 ss. Xxxxx stesso parere appare X.XXXXX, Factoring, in Contratto e impresa, 1992, 1387: “Il contratto di factoring, pur dopo l’entrata in vigore della legge n. 52/1991 sulla cessione dei crediti d’impresa, malgrado alcune espressione equivoche usate in sede di lavori preparatori, non conosce una tipizzazione legale nella nostra esperienza giuridica”.
58 X.XXXXXXXX, Contratti tipici ed atipici, Milano, 1995, pp. 289 ss. Cit.: “di questo contratto non abbiamo in Italia una definizione normativa- se si eccettuano talune leggi regionali, che peraltro concernono specifiche sottospecie di factoring- non avendo il nostro legislatore dettato per esso un’organica disciplina. Il contratto quindi rimane (legalmente) atipico anche dopo l’emanazione della legge 21 febbraio 1991, n. 52, dal momento che essa – pur fornendo, a nostro avviso, utili indicazioni anche ai fini della ricostruzione dell’operazione di factoring- non contiene una regolamentazione di questo contratto e nemmeno lo definisce, occupandosi unicamente della cessione dei crediti d’impresa. Né la situazione è cambiata per effetto dell’emanazione (della legge 17 febbraio 1992, n. 154, e successivamente) del t.u. in materia bancaria approvato con il d.l. 1 settembre 1993, n. 385 che trova applicazione anche alle operazioni di factoring”, e lo stesso è ribadito da X.XXXXXXX, Sulla causa del contratto di factoring, in Contratto e impresa, 1997. Cit.: “quest’ultima normativa, infatti, approvata dopo annosi dibattiti parlamentari (basti pensare che il progetto di legge fu presentato nel 1984), non si propone di fornire una collocazione legislativa precisa del factoring, ma esclusivamente di disciplinare uno degli aspetti più rilevanti del contratto, ovvero il suo rapporto con il fallimento”. X.XXXXXXXX, I rapporti tra le parti del contratto di factoring tra disciplina uniforme e molteplicità delle fonti, in Contratto e impresa, 1999, p 539. Cit.: “la prevalente dottrina peraltro concorda nel ritenere che l’intervento del Legislatore non è valso a tipizzare il contratto di factoring- il che sembra confermato dalla pluralità di funzioni che possono tuttora essere assegnate al contratto nella prassi- cosicché il problema della qualificazione della causa rimane aperto; né la questione può dirsi risolta in base alla qualificazione, pur ampiamente condivisa del contratto come atipico, quanto meno in considerazione del persistente orientamento della giurisprudenza incline ad individuare la disciplina applicabile ad un contratto atipico in base al criterio della causa prevalente”.
La legge pertanto offre un fondamento normativo alla cessione in massa dei crediti di impresa, al fine di sottrarre tali cessioni ai limiti previsti dalla disciplina codicistica59.
Non possono tacersi le opinioni giurisprudenziali sul punto, emblematica appare la pronuncia della Cassazione contenuta nella sentenza n. 1510 del 2 febbraio 2001: “il contratto di factoring, anche dopo l’entrata in vigore della disciplina contenuta nella l. 21 febbraio 1991 n. 52, è una convenzione atipica – la cui disciplina, integrativa dell’autonomia negoziale, è contenuta negli artt. 1260 ss. cod. civ. – attuata mediante la cessione, pro solvendo o pro soluto, della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (factor)” 60.
Dottrina e giurisprudenza elencano vari servizi che possono essere svolti dal factor oltre alla cessione di crediti; servizi essenziali ma non tutelati e non regolati dalla legge n. 52 del 1991, la quale, oltre a non essere idonea ad una tipizzazione del contratto di factoring è ritenuta colpevole di non aver recepito correttamente i modelli stranieri a cui si è ispirata.
Ma a fronte di chi sostiene l’atipicità del factoring, dovuta alla natura di negozio complesso, come la Cassazione 25 marzo 1999, n. 2821: “ancorché il nucleo essenziale del negozio sia costituito dalla cessione dei crediti d’impresa, esso non si esaurisce nella sola cessione, poiché altrimenti
59G. DE NOVA, Disciplina dell’acquisto dei crediti d’impresa: un disegno di legge, in
Rivista di diritto civile, 1987, p. 287.
60 Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510, in Giustizia civile, 2001, fasc. VII-VIII, pp. 1855. Vedi anche Xxxx. 18 ottobre 1994, n. 8947, in I contratti, 1995, p. 23: Cit.: “il contratto di factoring è un contratto atipico in cui l’elemento costante è la gestione della totalità dei crediti di un’impresa, attuata mediante lo strumento della cessione dei crediti, in unione, di solito, con un’operazione di finanziamento all’impresa, quale elemento funzionale caratterizzante, e talora con un’operazione di assicurazione, quando il factor assume il rischio dell’insolvenza del debitore”. Anche la sentenza Xxxx. 12 aprile del 2000, n. 4654, in Fallimento, 2001, p. 515, afferma che il contratto di factoring è atipico e di natura complessa.
non si differenzierebbe dall’istituto tipico disciplinato dall’art. 1260 e ss. c.c. Tuttavia fin dalle prime decisioni- prosegue la Suprema Corte- la giurisprudenza ha applicato pedissequamente in materia di factoring, proprio le norme sulla cessione dei crediti; e malgrado autorevole dottrina abbia denunciato che una rigida applicazione di tali norme possa ritardare sensibilmente la speditezza di un’operazione escogitata, nei paesi di capitalismo avanzato, nel quadro dei nuovi strumenti di finanziamento indiretto delle imprese, anche il recente e singolare intervento legislativo in materia (legge 21 febbraio 1991, n. 52, rubricata come “disciplina della cessione dei crediti d’impresa”) recita testualmente che “resta salva l’applicazione delle norme del codice civile per le cessione di credito” (art. 1, n. 2, legge cit.). Trattasi di una normativa che lungi – forse intenzionalmente - dal fornire una disciplina organica del contratto di factoring (neppure menzionato con l’espressione anglofona a favore della generica dizione di “disciplina dei crediti d’impresa”) ha quanto meno risolto i dubbi originariamente insorti circa la cedibilità dei crediti futuri e dei crediti di massa (art.3)”;vi è chi rileva che le attività quali amministrazione, contabilizzazione, gestione crediti, spesso sono inerenti e connesse all’acquisto dei crediti da parte del factor (ad esempio l’attività di recupero crediti); e ciò perché nessuna di queste attività costituisce da sola l’oggetto del contratto di factoring, senza un collegamento ad una precedente cessione dei crediti.
Per i sostenitori di questa teoria, è importante fare riferimento alle origini anglosassoni di tale contratto, difatti nel momento in cui venne importato nel nostro ordinamento esso subì inevitabilmente modifiche, le proprie caratteristiche originarie vennero alterate e mischiate alle peculiarità del sistema giuridico italiano.
Ecco che per i sostenitori della tipicità del factoring ad opera della legge
n. 52 del 1991, l’introduzione di tale istituto in Italia ha fatto sì che esso
non avesse le medesime caratteristiche della fattispecie straniera ma, che assumesse connotati particolari anche rispetto a fattispecie tipizzate come la cessione di crediti (art 1260 c.c.): “in quest’opera di adattamento il contratto può anche subire modifiche, aggiunte, riduzioni rispetto al modello originario straniero e si verrà tipizzando, prima socialmente, poi eventualmente legalmente, secondo caratteristiche proprie divenendo un contratto di diritto italiano”61.
Ed inoltre appare difficile, sempre secondo tale dottrina, individuare quali attività svolte dal factor debbano ritenersi casualmente essenziali alla costruzione del tipo e quali no, difatti in dottrina e in giurisprudenza non si hanno vedute uniforme; impossibile appare la creazione di una disciplina capace di regolamentare in modo completo tale fattispecie perché sfuggente a qualsiasi definizione e qualificazione. Si sostiene così, che la legge ha tipizzato il modello italiano di factoring, con la sua peculiare natura di cessione di crediti d’impresa, dei soggetti che ne prendono parte, e della possibilità di trasferire crediti futuri ed in massa.
Altri autori intraprendono una terza via, e più che di atipicità di tale contratto preferiscono parlare di “parziale tipizzazione del contratto di factoring”62, tenendo conto anche del fatto che «l’operazione, una volta scomposta e ricostruita secondo gli elementi essenziali (e costanti) e quelli integrativi (ed eventuali), rivela caratteristiche funzionali nient’affatto atipiche»63 . La convenzione di factoring, secondo tale impostazione,
61 Cit. X.XXXXXXXX, I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing,
factoring, in Trattato di diritto commerciale, IV, Torino 2002, p. 433.
62 Cit.,X.XXXXXXXX, Contratto di factoring e azioni revocatorie, in X.XXXXXXXX, La cessione dei crediti d’impresa, in Collana dell’istituto per la promozione della cultura giuridica d’impresa nel Mezzogiorno, I, Napoli, 1995, pp. 129 ss.
63A.XXXXX, Dal contratto all’impresa: “il factoring”, in Rivista delle società, fasc. 1984, I, pp. 954 ss.
presenterebbe «la causa del mandato, tipica dunque, cui possono risultare
connessi altri contratti, anch’essi tipici»64.
In conclusione, riassumendo, la giurisprudenza prevalente ritiene il contratto di factoring atipico e sostiene che la legge n. 52 del 1991 non è la disciplina del factoring perché più ampio e articolato è l’oggetto del contratto straniero. Tantè che Xx Xxxx afferma che denominare la legge in questione “legge sul factoring”, significa commettere un errore per difetto e uno per eccesso.
Per eccesso perché, come più volte sottolineato, la disciplina si occupa solo della cessione dei crediti di impresa che è un aspetto del factoring, ma non lo esaurisce; e per difetto perché non disciplina soltanto l’acquisto di crediti da parte del factor, ma ogni acquisto dei medesimi che abbia i requisiti previsti dalla legge65.
64 X.XXXXX, ibidem.
65 X.XX NOVA, I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma?, in Rivista di diritto civile, 2006, pp. 345 e ss. Il quale in relazione alla disciplina dei contratti atipici sostiene: Cit.: “dettare una disciplina di contratti atipici significa – nella nostra tradizione – in parte recepire le clausole contrattuali caratteristiche, in parte limitarle o proscriverle con norme imperative. Significa dettare un insieme di norme, la più parte dispositive alcune poche imperative. Ebbene, questo modo di legiferare non è coerente con la materia da regolare. Perché il contratto di derivazione angloamericana non è fatto per essere integrato da norme dispositive. È fatto per essere autosufficiente, per essere completo. E non è, come si è detto, pensato in relazione al diritto italiano. Dunque la “materia da regolare” è ostile. Il nostro legislatore è abituato a considerare i singoli contratti come destinatari di una disciplina speciale rispetto a quella generale sul contratto. Ma la prassi contrattuale dei nuovi contratti non risponde a questo schema: costituisce un corpus non speciale, bensì alieno”.
CAPITOLO 2
IL CONTRATTO DI FACTORING: PROFILI ECONOMICI E GIURIDICI
Sommario: 1. PROFILO ECONOMICO; - 1.1. Funzioni; -
1.2. Gli effetti del factoring sulla gestione dell’impresa: benefici; - 1.2.1. Factoring e centrale dei rischi; - 1.3. Costi; - 1.4. Imprese che aderiscono al factoring; - 2. PROFILO GIURIDICO; - 2.1. Qualificazione giuridica; -
2.1.1. Ambito di applicazione l. n. 52/91: soggetti e requisiti; - 2.1.1.1. Cedente; - 2.1.1.2. Debitore ceduto; -
2.1.1.3. Factor; - 2.1.2. Oggetto; - 2.1.2.1. I crediti cedibili;
- 2.1.2.2. La cessione di crediti futuri e in massa; - 2.1.3. Garanzia e solvenza; - 2.2. Natura giuridica e struttura: questioni controverse; - 2.2.1 Natura giuridica: causa del contratto; - 2.2.2 Struttura dell’operazione; - 2.3. Efficacia della cessione dei crediti d’impresa; - 2.3.1. Efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto; - 2.3.2. Efficacia della cessione nei confronti dei terzi tra codice civile e normativa speciale.
1. PROFILO ECONOMICO
1.1. Funzioni
Per descrivere in modo completo l’istituto, a parere di chi scrive, appare utile analizzare brevemente il profilo economico del factoring, per poi concentrarsi su quello giuridico.
Il nucleo dell’istituto, come evidenziato nei precedenti paragrafi, consiste nella cessione, verso corrispettivo, di una massa di crediti sorgenti da attività d’impresa. Tale modello base può essere poi integrato da numerose clausole, le quali consentono l’aumento delle funzioni esperibili dal factor.
Difatti, appurato che la cessione di crediti assurge ad elemento centrale ed essenziale del contratto66, il factor, in base al modello contrattuale attualmente in uso, è tenuto a svolgere una serie di operazioni accessorie attinenti al recupero, alla gestione, alla contabilizzazione dei crediti stessi; tali funzioni sono svolte in maniera autonoma e nell’ambito della propria organizzazione aziendale.
In genere al factor è concessa la possibilità di approvare gli affari conclusi, tramite un meccanismo con cui il cedente richiede il consenso per ciascun contratto o serie di contratti da cui sorgeranno i crediti; se tale procedure non viene attuata il factor sceglie se accettare o rifiutare la cessione non autorizzata.
Analizziamo brevemente alcuni dei servizi che compongono il factoring, facendolo esulare dall’istituto civilistico della cessione di xxxxxxx00:
• Contabilizzazione dei crediti: s’intende oltre all’obbligo del
factor di tenere la contabilità dei crediti del cliente, quello di
66 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile, 2004, IV, pp. 72 ss. Mentre il Tribunale di Appello di Genova dispone che, Cit.: “l’utilizzazione dello schema della cessione di credito ha nell’ambito del contratto di factoring in questione una funzione puramente strumentale”, X.XXXXXXX, Xxxxx qualificazione giuridica del contratto di factoring. Nota a App. Genova 19 Marzo 1993, in Vita notarile, 1994, fasc. II, pt.1, p. 685.
67 Per una visione completa dell’istituto si veda, Art 1, 2° co, lettera b), Convenzione Unidroit sul Factoring Internazionale: “il cessionario deve svolgere per lo meno due delle seguenti funzioni: il finanziamento del fornitore, attraverso, in specie, il prestito o il pagamento anticipato; la tenuta dei conti relativi ai crediti; l’incasso dei crediti; la protezione contro il mancato pagamento da parte dei debitori”.
inviare settimanalmente o mensilmente prospetti contenenti
informazioni sull’andamento e la situazione delle partite cedute.
• Recupero crediti: consiste nel sollecitare i pagamenti, o su mandato del fornitore, di intentare azioni legali verso i debitori inadempienti. Tale operazione rileva nei confronti dei crediti ceduti con diritto di rivalsa nei confronti del cedente.
• Incasso crediti: operazione svolta dal factor e correlata dall’invio periodico al fornitore della descrizione dell’importo incassato, di eventuali sconti o arrotondamenti o accrediti.
• Smobilizzo crediti: il factor con tale servizio concede anticipatamente l’importo dei crediti ceduti, il quale sarà commisurato sulla base della qualità, delle caratteristiche e della disponibilità dei crediti.
• Cessione pro soluto: attraverso cui il factor si assume il rischio dell’inadempimento del debitore ceduto, cosicché qualunque sia il comportamento tenuto dal debitore il cedente possa ottenere gli importi dei crediti ceduti.
Va detto che queste operazioni non devono essere compiute congiuntamente all’interno del medesimo contratto; l’impresa di factoring può essere chiamata a svolgere una o più funzioni a seconda delle problematiche che l’impresa richiedente deve risolvere. L’elasticità delle funzioni, che possono essere svolte all’interno del contratto di factoring è da tenere ben presente in quanto a seconda delle attività svolte, il factoring avrà natura diversa.
1.2. Gli effetti del factoring sulla gestione dell’impresa: benefici
L’impresa cedente, avviando un rapporto di factoring otterrà numerosi vantaggi in termini di semplificazione delle funzioni amministrative e contabili, della strategia commerciale, della gestione finanziaria e dell’organizzazione aziendale.
Per quanto riguarda i vantaggi attinenti all’aspetto amministrativo contabile: il factoring consente la semplificazione delle scritture contabili relative ai conti-clienti, sostituendo ad una pluralità di rapporti, un unico rapporto68.
Dal punto di vista della strategia commerciale, l’impresa cedente fornirà al factor periodiche informazioni sui debitori, consentendogli così un controllo sulla solvibilità della clientela, e sui rischi riguardanti i specifici rapporti. Essendo il factoring un contratto orientato ad una relazione duratura, piuttosto che occasionale, sia con cedente che con ceduto; è in grado di fornire informazioni rilevanti e significative relative agli specifici debitori ed ai crediti oggetto dell’operazione: tali informazioni possono contribuire a ridurre il rischio dell’operazione.
Il profilo finanziario, viene alimentato dalle anticipazione concesse dal factor a fronte di credito non ancora scaduto, permettendo all’impresa cedente un incremento di liquidità a seguito del quale avrà una serie di vantaggi indiretti come ad esempio una maggiore affidabilità e credibilità agli occhi di altre imprese o banche. Ed inoltre, se alla cessione si aggiunge l’assunzione del rischio di inadempimento da parte del factor, il cedente sarà esente da rischi che possono colpire il
68 O..X.XXXXXXX, Aspetti finanziari ed economici del factoring breve analisi dei costi e dei vantaggi, in X.XXXXXXXX, La cessione dei crediti d’impresa, in Collana dell’istituto per la promozione della cultura giuridica d’impresa nel Mezzogiorno, I, Napoli,1995, p. 262.
credito ceduto: e di converso dall’impresa cessionaria sarà eseguita una
valutazione professionale e sofisticata della propria clientela.
La semplificazione dell’organizzazione aziendale consente di ridurre o reimpiegare efficientemente le risorse umane e le tecnologie adottate, precedentemente, per la riscossione crediti; con conseguente riduzione dei costi organizzativi69.
Con l’emissione di tali servizi dunque, il factor, interviene nell’ambito delle funzioni contabili, finanziarie, amministrative e gestionali, regolamentando le posizioni relative ai rapporti commerciali e fungendo da raccordo tra le parti.
L’esternalizzazione del servizio di gestione oltre a conferire la possibilità di reimpiego di risorse umane e strumentali per lo svolgimento di attività a maggior valore aggiunto; consente all’impresa di trasformare costi fissi (come stipendi e attrezzature), in costi variabili (ossia la commissione di factoring dipendente da numero, durata delle fatture). Inoltre l’impresa è favorita nella programmazione aziendale grazie alla puntualità di incasso crediti, e ha la possibilità di potenziare il controllo del portafoglio commerciale attraverso prospetti informativi e comunicazioni ad essa fornite. Il factor, grazie allo smobilizzo dei crediti commerciali prima della scadenza, genera risorse finanziarie per il cedente che potrà impiegarle per rimborsare debiti contratti, effettuare nuovi investimenti, sviluppare le vendite: viene in sostanza ridotto il fabbisogno finanziario dello stesso. Per converso il debitore potrà favorire di ulteriori dilazioni di pagamento cosicché sarà invogliato a reiterare gli acquisti presso lo stesso fornitore. A fronte di tale illustrazione pare possibile affermare che: il factoring presenta
69 X.XXXXXXX,X.XXXXX, Il factoring: aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1985, pp. 41 ss.
caratteristiche che lo rendono strumento idoneo a supportare la crescita
dell’impresa, e a ridurre i rischi relativi alla cessione dei crediti70.
1.2.1. Factoring e centrale dei rischi
Nel gennaio 1994 è stata istituita, ad opera dell’Associazione Italiana per il factoring la “Centrale Rischi Factoring”, la quale appare aderire ai principi ispiratori della Centrale dei Rischi costituita da Banca Italia. Essa è stata progettata e pianificata sulla base delle specificità del contratto di factoring, e dei rischi creditizi che tale operazione comporta.
Le società aderenti inviano, periodicamente, informazioni a tale centrale; la quale poi genererà un flusso di informazioni verso il factor: relativo alla clientela (cedenti e ceduti) già segnalata, ma anche ai potenziali clienti censiti dalla centrale.
Le informazioni così raccolte e immesse in circolazione, consentono agli operatori aderenti di acquisire una visione uniforme e specifica dei rapporti di factoring, della connessa clientela e del grado di rischio che li contraddistingue.
All’interno della Centrale dei Rischi, per quanto riguarda l’operazione di factoring, deve prendersi atto della presenza e dei ruoli fondamentali di due soggetti: il cedente ed il debitore ceduto. Le informazioni concernenti il primo soggetto si basano sull’anticipazione
70 Della stessa opinione appare la Cass., 10 gennaio 1992, n. 198, in Foro italiano, 1992, 4, fasc. I, p. 1110; affermando che l’attività di factoring fa conseguire all’impresa cedente: “ vantaggi notevoli quali la semplificazione della contabilità e dell’amministrazione aziendale, la eliminazione del rischio d’insolvenza dei clienti, l’acquisizione di una fonte supplementare di liquidità attraverso le anticipazioni pattuite, la garanzia di poter disporre di determinate somme in momenti prestabiliti e l’utilizzazione dell’opera di informazione e consulenza fornita dal factor”: cit. in: X.X.XXXXXX, Le funzioni del contratto di factoring, in Rassegna di diritto civile, 1994, fasc. II, p. 250.
corrisposta dal factor, il fido da questo concesso, e l’importo nominale dei crediti ceduti; mentre per le informazioni riguardanti il debitore deve essere individuato il valore nominale del credito ceduto, differenziato nelle componenti pro soluto e pro solvendo.
L’oggetto della cessione è un credito commerciale non ancora scaduto, in tale ottica devono dunque considerarsi le scadenze di questi, le modalità e i tempi di adempimento delle controparti; il ritardo nella riscossione del credito, viene utilizzato come elemento informativo per la valutazione dell’andamento dell’operazione di factoring e per esprimere un giudizio sul rischio creditizio attinente ad una specifica clientela.
Dunque, a fronte della particolarità dell’attività di factoring: caratterizzata per la specialità del rapporto intercorrente tra cedente e factor, facente leva sull’acquisizione di un importo rilevante di crediti e sulla possibilità da parte del cedente, di risparmiare in termini di costi amministrativi, contabili, organizzativi; la società di factoring acquisisce, anche grazie alla Centrale dei rischi un controllo e una visione più ampia ed efficace della propria clientela 71.
1.3. Costi
Osserviamo ora i riflessi sulla reddittività aziendale, comportati dalla
cessione di crediti d’impresa.
Il contratto di factoring è un contratto assai articolato e, in quanto tale non tende a regolare rapporti occasionali o saltuari, avendo la natura di
71A. CARRETTA, Il mercato del factoring e la centralizzazione dei rischi di credito. Relazione alla giornata di studio dell'ABI sul tema: "La centralizzazione dei rischi di credito", Roma, 29 aprile 1996, in Bancaria, 1996, fasc. X, pp. 68 ss.
operazione a carattere sistematico. L’impresa cedente, nel momento in cui decide di cedere i propri crediti al factor e richiede servizi ulteriori rispetto al semplice acquisto di crediti, dovrà sostenere dei costi che possono essere così elencati:
• Costi espliciti: ossia oneri che il cedente deve pagare rispetto ai fondi ottenuti, per far fronte alle necessità conseguenti all’investimento in crediti72;
• Costi impliciti: rappresentano i risultati raggiungibili con investimenti alternativi rispetto a quelli eseguiti in crediti;
• Costi amministrativi: le spese sostenute dall’impresa per la gestione, contabilizzazione e recupero credito. Comprendono anche i costi attinenti alle azioni esperibili in giudizio a seguito di riscossioni non andate a buon fine;
• Commissioni: vale a dire il corrispettivo che l’impresa deve versare al factor in luogo dei servizi da esso svolti. Tale commissione può variare da un valore minimo ad uno massimo a seconda: dell’importo dei crediti, della loro durata, delle dilazioni di pagamento, della loro qualità o della clientela interessata73;
• Interessi: il corrispettivo che il factor trattiene, a fronte della
somma anticipata all’impresa;
• Diritti fissi su ogni fattura ceduta: come conseguenza di accordi contrattuali e di prassi commerciali, il factor può richiederli in aggiunta alla commissione. Solitamente questo costo non sarà applicato dai factor orientati all’ampliamento della clientela;
72 O..X.XXXXXXX, Aspetti finanziari ed economici del factoring breve analisi dei costi e dei vantaggi, in X.XXXXXXXX, La cessione dei crediti d’impresa, in Collana dell’istituto per la promozione della cultura giuridica d’impresa nel Mezzogiorno, I, Napoli,1995, p. 261.
73 X.XXXXXXX, Il contratto di factoring, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1991, fasc. I, pt. 1, pp. 87 ss.
inoltre sarà ricompreso nella commissione di factoring e l’ammontare diminuisce all’aumentare della commissione stessa.
Tali costi hanno in comune la caratteristica di essere certi ed espliciti; a questi vengono contrapposti altri costi che non sono di così facile determinazione, che comprendono servizi permanenti, ad esempio l’introduzione di un nuovo modello di fatturazione, servizi occasionali e temporanei, ad esempio informazioni e valutazioni dei debitori o recupero crediti.
Riassumendo dunque, l’impresa che decide di far ricorso a tale strumento dovrà valutare in termini di costi e benefici la convenienza di utilizzare o meno il factoring; per determinare il costo effettivo, occorre procedere ad un raffronto con i vantaggi che esso concede all’impresa. La commissione di factoring non deve essere considerata pertanto un costo aggiuntivo, ma piuttosto il corrispettivo dei servizi di amministrazione, di contabilizzazione, di incasso e di garanzia dei crediti, i quali non gravano più direttamente sull’impresa.
1.4. Imprese che aderiscono al factoring
Nonostante i benefici prodotti dall’operazione di factoring, non sembra lecito affermare che tale contratto sia conveniente per ogni tipo di impresa operante sul mercato. Difatti se per un verso risulta utile per imprese di dimensioni medio- piccole, dall’altro il suo ambito di intervento non si esaurisce al mero rapporto tra struttura organizzativa e dimensioni aziendali, ma occorre verificare anche il fabbisogno finanziario dell’impresa cedente.
Come accennato per le imprese di medio- piccole dimensioni il factoring è utile al soddisfacimento delle proprie esigenze finanziare, in quanto queste si trovano spesso nelle condizioni di dover pagare le forniture con una dilazione di 30, 60 o anche 90 giorni, a fronte di tre problematiche. In primis esse possiedono solitamente un elevato numero di debitori, per cui alla scadenza devono impegnarsi ad esigere il proprio credito, attivando, se necessario procedure processuali utili al raggiungimento dello scopo. Inoltre la piccola impresa, concedendo credito fino alla scadenza stabilita, può incappare in deficit di liquidità. Infine l’impresa si trova esposta al rischio di inadempimento del debitore ceduto74.
Diversamente: se un’impresa pur godendo di ampi margini di redditività75, presenta una struttura finanziaria fragile a causa di un elevato incremento del capitale circolante; non potrà essere soddisfatta dal credito bancario vista la fragilità insita in essa, subentrerà allora il factor che basando la concessione di credito sulla valutazione dei debitori ceduti rappresenta una risposta efficace alla immediata esigenza di liquidità richiesta da tali imprese.
In sostanza sembrano da escludere dall’ambito di applicazione del contratto le sole imprese che godono di redditività e presentano una “struttura finanziaria equilibrata sotto il profilo dell’indebitamento e della correlazione tra capitali permanenti ed immobilizzazioni”76.
74 X.XXXXXXXXX, Il problema del factoring, in Tipicità e atipicità nei contratti, Milano, 1983, pp. 21 ss.
75 Per una definizione di redditività si veda: X.XXXXXXX,X.XXXXX, Il factoring: aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1994, p. 49. Cit.: “La redditività, riferita al capitale proprio o di rischio della impresa, esprime il frutto di questo capitale in termini di utili netti di esercizio”.
76 Cit. X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile, 2004, IV, p. 77.
Le situazioni tipiche, in cui è auspicabile richiedere l’intervento di un’impresa di factoring, sono date da imprese con clientela frazionata e in continuo rinnovo; oppure da imprese che pur presentando una solida clientela sono di recente costruzione. Altresì può essere conveniente per imprese in fase di espansione che non possiedono la liquidità necessaria per far fronte a fabbisogni connessi all’incremento delle vendite; per imprese che dispongono di un’inadeguata consistenza patrimoniale; per imprese con attività prevalentemente svolta a livello regionale.
Non sembra conveniente richiedere l’esecuzione di tale attività per imprese che: trattano con ampia clientela per forniture di lievi entità, che presentano bassi margini di redditività, o per quelle che emettono poche fatture e che concedono lunghi termini di pagamento, o per imprese che presentano adeguata liquidità77.
77 X.XXXXX, ibidem. X.XXXXX, X.XXXXXXXXXX, Il manuale del factoring, Milano, 1985, pp. 79 ss.
2. PROFILO GIURIDICO
2.1. Qualificazione giuridica
Dopo aver delineato le caratteristiche fondamentali attinenti al profilo economico dell’operazione di factoring, analizzerò le questioni controverse all’interno del contesto giuridico, soffermandomi sui punti critici, alimentati dalle dispute dottrinali e giurisprudenziali: presenti nonostante l’entrata in vigore della legge n. 52 del 1991.
2.1.1. Ambito di applicazione l. n. 52/91: soggetti e requisiti
L’ art. 1, 1° comma, della legge n. 52 del 1991 così recita: “La cessione di crediti pecuniari verso corrispettivo è disciplinata dalla presente legge, quando concorrono le seguenti condizioni:
a) il cedente è un imprenditore;
b) i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa;
c) il cessionario è una società o un ente pubblico o privato, avente personalità giuridica, sempre che, in ogni caso, l'oggetto sociale preveda anche l'acquisto di crediti di impresa, e il cui capitale sociale o il fondo di dotazione sia non inferiore a dieci volte il capitale minimo previsto per le società per azioni.”
Tale articolo individua dunque i requisiti che consentono l’applicazione della suddetta legge a discapito della disciplina civilistica situata agli artt. 1260 ss. c.c.; ciò può essere sostenuto volgendo lo sguardo al co. 2° del medesimo articolo: “resta salva l'applicazione delle norme del codice civile per le cessioni di credito prive dei requisiti di cui al comma 1.”
2.1.1.1. Cedente
L’art. 1, 1° comma, lett. a) della presente legge ordina che il cedente deve essere un imprenditore; qualità che deve esistere nel momento in cui questi conclude il contratto di factoring78. Imprenditore è definibile in base all’art 2082 c.c. come soggetto che: “esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”79.
Vista l’assenza all’interno della legge n. 52 del 1991di ogni limitazione espressa, pare che le figure di piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.80) e artigiano81 siano da ritenersi rispondenti al requisito richiesto dalla lett
78 X.XXXXXXX, L’ambito di applicabilità della nuova disciplina sulla cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto dell’impresa, 1992, p. 9.; ed ancora X.XXXXXXXXX, Cessione dei crediti d’impresa e fallimento, Milano, 2002, pp. 25 ss.; X.X.X.XXXXXXX, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto civile, 1991, fasc. II, pp. 713 ss.; X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile, 2004, IV, p. 99. Cit: “Del pari, ci si può chiedere cosa accada nell’ipotesi in cui il cedente, nel momento in cui conclude il contratto di factoring, non abbia ancora iniziato la propria attività e conseguentemente acquisito la qualità di imprenditore (nel qual caso, dunque, la cessione ha portata di contratto di organizzazione della futura attività imprenditoriale). (Solo)qualora i suddetti requisiti sopravvengano in corso di rapporto, la legge sarà da ritenersi applicabile. Laddove si ritenga invece che “sono atti d’impresa tutti gli atti preordinati al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”, poiché “ciò che conta è che possa dirsi certo in chi li compie l’intento di esercitare professionalmente una data attività di produzione o di scambio” (X. XXXXXXX, L’imprenditore, in Diritto Commerciale, I, Bologna, 2002, p. 96), sarà necessario valutare se tale attività di predisposizione della sorte dei futuri crediti possa presentarsi quale elemento di una attività diretta alla produzione od allo scambio di beni o servizi, nel qual caso potrà ritenersi già acquisita al soggetto cedente la qualità di imprenditore e, conseguentemente, realizzati i presupposti soggettivi dell’art. 1, l. n. 52/1991”.
79 Cit. X.XXXXXXX, Diritto commerciale: l'imprenditore, le società, Bologna,2013, pp. 43 ss.
80 Art. 2083 c.c.: “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”.
81 X.XXXXX, op. cit., p. 99; Cit. contenuta in nota, sono considerate artigiane: “le società appartenenti ad un tipo diverso dalla società per azioni, a responsabilità limitata od in accomandita, purché siano rispettati i limiti dimensionali e siano perseguiti gli scopi indicati dalla legge per l’impresa individuale. In particolare, tra le caratteristiche essenziali vanno annoverate la preminenza del lavoro sul capitale ed il prevalente contributo di manualità ed originalità dell’apporto da parte del titolare, come affermato, fra le altre da Cass.,4 aprile
a) dell’art. 182, potendo così usufruire dei vantaggi offerti dall’istituto, dal momento che tale operazione risponde in modo adeguato alle esigenze di finanziamento. Il fatto che: all’art. 7 della suddetta legge si parli di “fallimento del cedente” non sembra smentire quanto finora detto, ma pare opportuno ritenere che l’art. 7 trovi applicazione solo se il cedente imprenditore sia assoggettabile alla procedura fallimentare83. Infatti il legislatore non mirava certo ad escludere il piccolo imprenditore e l’artigiano; quanto piuttosto i soggetti non classificabili come imprenditori, nello specifico il lavoratore autonomo o più in generale i consumatori84. La peculiare natura del cedente non permette dunque l’applicazione degli artt. 1469-bis c.c., 1469-sexies c.c.: contenenti la disciplina delle clausole vessatorie. Secondo parte della dottrina85, però la limitazione dell’ambito applicativo della legge non troverebbe giustificazione; infatti in contesti normativi come quelli francese o tedesco viene efficacemente utilizzata la pratica dello smobilizzo avente ad oggetto gli onorari vantati verso la propria clientela, nel contesto delle professioni liberali. Attuale si presenta il dibattito dottrinale sulla possibilità che le professioni liberali siano o meno esercitabili in forma di impresa, ciò ha preso vita dall’art 2338 c.c. che permette l’applicazione delle disposizioni vigenti in tema d’impresa se: “l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività
2003, n. 5249, Fa, 2004, 505 con nota di X. XX XXXXXXX; Cass., 21 giugno 2002, n. 9069,
AC, 2003, 439”.
82 X.XXXXX, Annotazioni alla Legge 21 febbraio 1991 n° 52, sulla cessione dei crediti
d’impresa, in Quadrimestre, 1992, p 481.
83 Lo stesso è sostenuto da: DE NOVA, Il factoring, in Nuovi contratti, Torino, 1994; ed ancora X.XXXXXXX, X.XXXXX, Il factoring: aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1994, pp. 118 ss.; X.XXXXXXXX- X.XXXXX, Il factoring, in Trattato di diritto privato, 2000, pp. 63 ss.
84 X.XXXXXXXX- X.XXXXX, op. cit., p. 64.
85 X.X.X.XXXXXXX, op. cit., p. 713 ss.; F. XXXXX, La legge 21 Febbraio 1991, n. 52 sulla disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Banca borsa e titoli di credito, 1991, fasc. I, p. 409.
organizzata in forma d’impresa”. Al momento sembra da ritenersi difficile ed inopportuno che i liberi professionisti si avvalgano della normativa contenuta nella legge n. 52 del 1991. Il factoring, dunque, si caratterizza sotto il profilo soggettivo perché se viene meno la natura imprenditoriale del cedente, o mancano i requisiti soggettivi strutturali e di professionalità richiesti al cessionario: non si avrà l’applicazione della legge e ne conseguirà il ricorso al diritto comune.
2.1.1.2. Debitore ceduto
La legge in materia di cessione di crediti d’impresa non rende necessaria la sussistenza di specifiche caratteristiche in capo al debitore ceduto; tanté che può essere chiunque intrattenga o intratterrà nell’arco di due anni rapporti contrattuali con il cedente.
Un riscontro di ciò si ritrova all’art. 3,3° comma legge n. 52 del 1991: per il quale è possibile cedere anche crediti futuri e in massa, sempre che questi “sorgano da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a 24 mesi”. L’art. 6 della medesima legge si occupa della “revocatoria fallimentare e dei pagamenti del debitore ceduto”; anche in tal caso il legislatore non vuole che il ceduto possieda inevitabilmente la qualifica di imprenditore, ma l’articolo troverà applicazione solo se il debitore avrà la suddetta qualifica 86.
Occorre precisare poi che: nel caso in cui il ceduto sia un consumatore, il contratto da cui sorgeranno i crediti acquistati dal factor sarà soggetto ad una diversa regolamentazione; e troverà applicazione la normativa
86 X. XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, p. 100.
concernente le clausole vessatorie o abusive87. I peculiari principi inerenti la tutela del consumatore a cui dovrà sottostare il contratto, “incidono non soltanto sulla disciplina delle azioni ed eccezioni esercitabili, delle responsabilità, delle prerogative, ma anche sul contenuto economico dell’accordo e sullo ius variandi”88.
In sostanza se il debitore è un consumatore il cedente avrà una minor tutela della propria posizione contrattuale e il factor ne risentirà.
2.1.1.3. Factor
L’attuale disciplina del factoring, alla lett. c), art. 1,1° comma, prescrive che le imprese cessionarie debbano soddisfare alcuni requisiti oggettivi e soggettivi per vedersi applicato il regime speciale, a loro favorevole, contenuto nella già citata legge.
Il factor infatti deve essere una società o un ente pubblico o privato, con personalità giuridica; e deve rispettare due condizioni:
• Il proprio oggetto sociale deve prevedere l’acquisto di crediti d’impresa;
• Deve possedere un fondo di dotazione, o un capitale sociale non inferiore a dieci volte il capitale minimo previsto per le S.p.A.89.
Questo secondo requisito fa sorgere perplessità in ordine alla possibilità per le società di persone di svolgere attività di factor; infatti
87V.XXXXXXXXX, La direttiva comunitaria del 5 aprile 1993 sulle "clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori" e la disciplina della trasparenza nelle operazioni di intermediazione finanziaria (leasing, factoring e credito al consumo), in Banca borsa e titoli di credito, 1994, fasc. 4, pt. 1, pp. 449 ss.
88 Cit. X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, p. 92.
89 Per effetto della modifica all’art. 2327 del c.c. disposta dall’art. 20 co. 7 del D.l. 91/2014, per costituire una S.p.A. il capitale sociale minimo corrisponde a 50.000 euro, a discapito dei 120.000 euro precedentemente previsti.
De Nova 90sottolinea come il legislatore, con la dicitura della legge richiamante il capitale sociale minimo, sembra voler escludere dall’ambito di applicazione della stessa le società di persone; inducendo a ritenere che il factor debba essere una società di capitali. Mentre Xxxxxx00, calpestando l’opinione di Xx Xxxx, sostiene che il dato letterale sia superabile e dunque vi è la possibilità di includere, all’interno delle società che possono accingersi a svolgere l’attività di factoring, le società di persone; egli sostiene infatti che: “non esistono, per concludere sull’argomento in esame, norme della legge 52/91, che entrano in rotta di collisione con l’esercizio dell’attività di factoring, sotto forma di società di persone; e nemmeno sul piano della ratio si vedono ragioni di incompatibilità”92.
La ratio di tale norma sembra individuabile con la necessità di salvaguardare l’affidabilità e la professionalità dell’impresa cessionaria. Tale fu il fine perseguito anche durante la trasformazione del factoring da fenomeno commerciale ad attività con carattere spiccatamente finanziario; esigendo così l’intervento delle Autorità di sorveglianza bancaria93. È in tale ottica che si chiarisce l’inserimento dell’art. 2 all’interno del testo legislativo intitolato “Albo delle imprese che esercitano l'attività di cessione dei crediti”, il cui contenuto così recita: “1. E' istituito presso la Banca d'Italia un albo delle imprese che esercitano l'attività di cessione dei crediti di impresa ai sensi della presente legge. La Banca d'Italia
90 G. DE NOVA, Disciplina dell’acquisto dei crediti d’impresa (factoring): un disegno di
legge, in Rivista di diritto civile, 1987, fasc. II, p. 288.
91 X.X.XXXXXX, L’impresa di factoring, in X.XXXXXXXX, La cessione dei crediti d’impresa, in Collana dell’istituto per la promozione della cultura giuridica d’impresa nel Mezzogiorno, I, Napoli,1995, pp. 58 ss.
92 Cit. X.X.XXXXXX, ibidem, p. 61.
93 X.XXXXX FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova disciplina della cessione dei crediti d’impresa (l. 21 febbraio 1991, n.52), in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. XI-XII, pt. 1, pp. 737 ss.
esercita la vigilanza sul corretto svolgimento della suddetta attività, anche al fine di impedire l'impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita.
2. Nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro provvede con proprio decreto a disciplinare l'iscrizione all'albo di cui al comma 1 e la cancellazione dal medesimo, i contenuti e le modalità della vigilanza, nonché le relative sanzioni amministrative.
3. Il cessionario dei crediti di impresa di cui alla presente legge è tenuto all'osservanza dell'obbligo di certificazione del proprio bilancio annuale”. Dopo aver delineato per sommi capi la normativa, pare opportuno analizzarne il contenuto ripercorrendo l’evoluzione storica che ha accompagnato la modifica della presente legge, giungendo fino all’attuale dicitura contenuta nel T.U. bancario in cui si richiede che: le imprese cessionarie siano banche o intermediari finanziari autorizzati ed iscritti all’albo di cui all’art 106 T.U. bancario, ed il cui oggetto sociale sia costituito dall’esercizio dell’attività di acquisto di crediti di impresa (lett. c, art. 1,1 comma così come sostituito dall’art 156 T.U. bancario).
Nei testi anteriori al disegno di legge 383/ 1987, non veniva fatta menzione alcuna dell’attuale art. 2; questo fu introdotto solo nella fase finale dei lavori, contestualmente all’emanazione dei decreti leggi sfociati poi nella legge antiriciclaggio 197 del 199194. Con la presente si obbligavano le società finanziarie (tra le quali le società esercenti attività di “concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”95) all’iscrizione in appositi elenchi, detenuti presso il Ministero del Tesoro, al fine di sottoporle a controlli, salvaguardando così il sistema finanziario dal rischio di essere utilizzato da organizzazioni criminali
94 X.XXXXXXX, Factoring e attività bancaria, in Rivista italiana del leasing, 1993, fasc. I, pp. 13 ss.
95 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, pp. 101 ss.
per fini di riciclaggio di denaro. Si trattava di un’iscrizione con effetti autorizzativi, essendo indispensabile per lo svolgimento delle attività considerate96.
Codesta disciplina si intrecciava con la legge n. 52 del 1991, ma le normative non sembravano coordinate tra loro, infatti l’art. 8, comma 2- ter della legge antiriciclaggio escludeva la normativa di vigilanza e la relativa iscrizione agli elenchi, nel caso di intermediari soggetti a norme di vigilanza previste da leggi speciali (nel cui ambito possono ricomprendersi le società di factoring). In tal modo venne a crearsi una discrasia tra le legge n. 52 del 1991: in cui l’iscrizione all’albo aveva effetti non autorizzativi perché considerata presupposto per l’applicazione, alla cessione dei crediti d’impresa, della disciplina speciale e, non come elemento di legittimazione all’esercizio di tale attività; e la legge n. 197 del 1991 in cui tale iscrizione era un provvedimento con effetti abilitativi all’esercizio di attività finanziarie. Ministero del Tesoro e Banca Italia intervennero, con scarsi risultati, per risolvere l’anomala posizione delle società di factoring; a tale situazione fu posto rimedio solo con la revisione della legge bancaria del 1936, attraverso l’entrata in vigore del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia97.
Il T.U bancario all’art. 156, comma 2 ha modificato la lett. c) dell’art. 1,1 comma della legge n. 52 del 1991, e all’art. 161 ha previsto l’abrogazione dell’intero articolo 2 della suddetta legge; sostituendo perciò l’albo definito all’art. 2 con l’albo previsto all’art 106 T.U. bancario. Attualmente, alla luce della lett c) art. 1,1° comma e della successiva modifica operata dal T.U.B, il cessionario di crediti d’impresa deve essere una banca o un intermediario finanziario
96 X.XXXXX, Il factoring, Milano, 1999, pp. 80 ss.
97 D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385.
disciplinato dal Testo Unico suddetto e il proprio oggetto sociale deve prevedere “l’esercizio dell’attività di acquisto dei crediti d’impresa”98. La sottoposizione del factor alle norme del T.U. bancario, implica che l’attività di cessione dei crediti d’impresa sia soggetta ad una diversa disciplina a seconda che il cessionario sia:
• Una banca, che vedrà applicati gli art. 10 ss. T.U bancario99;
• O un intermediario finanziario iscritto unicamente all’elenco generale previsto all’art. 106 T.U. bancario; iscrizione che può avvenire se l’intermediario si trova in possesso di tutti i requisiti contenuti all’interno dell’art. 107 T.U. bancario attuale100;
98 L’art 156 T.U.B. ha modificato la vecchia dizione riguardante l’oggetto sociale da: “acquisto di crediti di impresa” in “attività di acquisto crediti di impresa” (contenuta nello stesso art.); garantendo così la sottoposizione alle agevolazioni previste dalla normativa in materia di cessione di crediti d’impresa, solo ad attività svolte non a livello saltuario od occasionale.
99 X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, pp. 1 ss.
100 Cit., art. 107 T.U. bancario, articolo così sostituito dall’art. 7 D.Lgs. 13 agosto 2010,
n. 141, come modificato dall’art. 3, comma 0, xxxx. x) x x), X.Xxx. 00 xxxxxxxxx 0000, x. 000: “La Banca d'Italia autorizza gli intermediari finanziari ad esercitare la propria attività al ricorrere delle seguenti condizioni:
a) sia adottata la forma di società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa;
b) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica;
c) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d'Italia anche in relazione al tipo di operatività;
d) venga presentato un programma concernente l'attività iniziale e la struttura organizzativa, unitamente all'atto costitutivo e allo statuto;
e) sussistano i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 19 per i titolari delle partecipazioni ivi indicate (lettera così sostituita dall'art. 1, comma 34, lett. a), X.Xxx. 12 maggio 2015, n. 72);
e-bis) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano idonei, secondo quanto previsto ai sensi dell’articolo 110 (lettera inserita dall'art. 1, comma 34, lett. b), D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72.);
f) non sussistano, tra gli intermediari finanziari o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri
soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza;
g) l’oggetto sociale sia limitato alle sole attività di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 106.”
od un intermediario finanziario iscritto nell’elenco speciale previsto dall’originario art. 107 T.U. bancario101. Tale distinzione è venuta meno in seguito all’entrata in vigore del D.lgs. 13 agosto 2010, n. 141: esiste perciò oggi un’unica categoria di intermediari finanziari abilitati all’attività di concessione di finanziamenti nei confronti del pubblico. Questi sono soggetti a preventiva autorizzazione da parte di Banca Italia, ed all’iscrizione nell’albo previsto all’art. 106 T.U. bancario.
Il testo Unico bancario all’articolo 1, comma 2°, lett. g): definisce intermediario finanziario quel soggetto iscritto all’albo ex art. 106; e operante, principalmente, attraverso “l’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”, il contenuto di tale attività è specificato all’interno del decreto del Ministro dell’economia e della finanza del 17 febbraio 2009, n. 29102.
Dunque affinché il cessionario possa giovare dell’applicazione del regime speciale contenuto nella legge n. 52 del 1991, deve prevedere all’interno del proprio statuto l’acquisto dei crediti d’impresa; e che tale attività sia esercitata da una banca o da un intermediario abilitato in conformità alla disciplina a lui riservata dal T.U. bancario. Il factor che
101 Originariamente tale articolo riguardava società finanziarie di maggiori dimensioni: “soggette a particolare rischio sistemico”, ossia “quelle società svolgenti determinate attività finanziarie o aventi un volume di attività finanziaria superiore a determinati valori o caratterizzate da un rapporto indebitamento-patrimonio particolarmente rilevante”.
102 X.XXXXXXXX, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2014, pp. 116 ss. L’intermediario può svolgere ulteriori attività indicate sempre all’art 106 T.U.B: “a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114–quinquies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, oppure prestare solo servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114–novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo; b) prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d'Italia”.
non opererà all’interno delle prescrizioni dettate dal T.U.B. concluderà un contratto comunque valido: ma a cui non potrà applicarsi il regime favorevole previsto per l’operazione di cessione dei crediti d’impresa. Giova infine ricordare che il factor, rispondente ai requisiti del T.U.B, sarà assoggettato al titolo VI del medesimo T.U. intitolato: “trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti”.
2.1.2. Oggetto
2.1.2.1. I crediti cedibili
Volgiamo ora l’attenzione all’oggetto dell’operazione di factoring, in particolare alla lett. b) dell’art. 1, comma 1, che testualmente recita: “i crediti ceduti sorgono da contratti stipulati dal cedente nell'esercizio dell'impresa”. Per rientrare nell’ambito di applicazione della legge 52 del 1991, l’oggetto del contratto di factoring deve essere costituito da “crediti pecuniari”.
A fronte di tale dizione non saranno assoggettati alla suddetta disciplina quei negozi che determinano il trasferimento di posizioni giuridiche attive diverse da crediti; o che prevedono cessioni di crediti non aventi ad oggetto una somma di denaro103. I crediti, inoltre, devono caratterizzarsi in ragione della propria fonte, ossia essi devono sorgere da contratti stipulati dal cedente durante l’esercizio di impresa. Si restringe perciò ulteriormente l’ambito di applicazione, risultano infatti esclusi: i crediti vantati dal cedente nei confronti dell’amministrazione finanziaria in luogo del rimborso di imposte non dovute; oppure i
103 X.XXXXXXXXX, Cessione dei crediti d’impresa e fallimento, Milano, 2002, pp. 9 ss.
crediti derivanti da risarcimento danni104. Ulteriormente esclusi sono da ritenersi i crediti sorti da contratti conclusi dall’imprenditore nell’esercizio di un’attività diversa da quella che costituisce l’oggetto della sua impresa. Tale dicitura risulta vaga, perché può essere opinabile la determinazione di quali siano i contratti stipulati nell’esercizio d’impresa. In dottrina non mancano opinioni contrastanti; vi è chi ritiene non irragionevole far rientrare nell’ambito di applicazione della legge l’ampia categoria di crediti connessi con l’attività d’impresa105. Questa opinione trova un riscontro nella prassi contrattuale, in cui le condizioni generali di contratto Assifact indicano come oggetto non solo: “i crediti pecuniari sorti o che sorgeranno da contratti stipulati o da stipulare dal fornitore nell’esercizio dell’impresa e quindi le somme che il fornitore ha diritto di ricevere dal debitore in pagamento di beni e/o servizi”, ma anche “quanto il fornitore ha diritto di ricevere in pagamento dal debitore a titolo diverso”106. Si può perciò affermare che nella prassi non si trova alcuna discriminazione in ambito di fonte dei crediti e ciò è ragionevole perché: i factors tenderanno ad ampliare il più possibile l’ambito di applicazione di una legge a loro favorevole. D’altro canto, c’è chi si schiera per un’interpretazione eccessivamente restrittiva, sostenendo la tesi secondo cui la legge verrà applicata ai soli contratti di fornitura107, aventi ad oggetto crediti che costituiscono il corrispettivo di prestazioni di servizi o cessioni di beni al cui scambio o produzione è diretta l’attività d’impresa. All’interno di tale categoria sono certamente individuabili i contratti stipulati per “collocare sul
104 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, pp. 108 ss.
105 X.XXXX, Legge 21 febbraio 1991, n. 52, Disciplina dei crediti d’impresa, in Nuove leggi civili commentate, 1994, p. 249.
106 Definizione contenuta in contratto di Assifact 2007.
107 F. XXXXX, La legge 21 Febbraio 1991, n. 52 sulla disciplina della cessione dei crediti di impresa, in Banca borsa e titoli di credito, 1991, fasc. I, p. 409.
mercato i beni ed i servizi prodotti nell’esercizio dell’impresa industriale; tutti i contratti, altresì, mediante i quali si esplica l’intermediazione nella circolazione dei beni propria dell’impresa intermediaria; o, ancora, i contratti di trasporto, bancari, o assicurativi, attraverso i quali si esercitano le relative imprese”108. Ma che dire dei contratti “stipulati per esitare gli strumenti aziendali obsoleti, o per smobilizzare le scorte”109?. Anche qui si rilevano due orientamenti opposti: in base al primo si opera un’interpretazione restrittiva e si ritiene corretta l’equazione fra i crediti sorti “da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa”, (legge n. 52 del 1991), ed i soli crediti che costituiscono il corrispettivo di cessione di beni o di prestazione di servizi, alla cui produzione o scambio l’attività d’impresa è diretta110. Contrariamente il secondo orientamento sostenuto da autorevole dottrina dispone che tali contratti vadano compresi nell’ambito di applicazione della norma; in quanto risultano compatibili con il dettato normativo e con la ratio sottostante alla legge
n. 52 del 1991. Infatti: “se la ratio dell’art.1 è quella di consentire l’applicazione di una disciplina privilegiata alle società di factoring che si pongono al servizio degli imprenditori consentendo loro la smobilizzazione di crediti di impresa, coerenza vuole che l’interpretazione della norma sia diretta ad allargare l’ambito dei crediti cedibili sino a ricomprendere tutti quelli che sorgano da contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della propria attività”111. In ultima analisi si confronta la disciplina speciale: che
108 Cit., X.XXXXX, op. cit.,p. 109.
109 Cit., X.XXXXX, ibidem.
110 X.XXXXXXX, L’ambito di applicabilità della nuova disciplina sulla cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto dell’impresa, 1992, p.9. L’autore precisa che il riferimento a tali crediti, cit.: “si pone bene nella logica di un legislatore che sembra ammettere il ricorso alla disciplina di diritto speciale solo se i crediti vengano ceduti da chi sia titolare di un’impresa in esercizio”.
111 Cit., X.XXXXXXXXX, op. cit., p. 29; lo stesso autore sostiene inoltre che: “devono farsi rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 1 tutti i contratti che si pongano in posizione strumentale rispetto all’impresa del cedente: sia quelli che gli consentono di allestirne
prevede, coerentemente alle caratteristiche soggettive dell’attività, che i crediti sorgano “da contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa”; con la disciplina civilista, art. 1260 c.c. che ritiene cedibili tutti i crediti salvo che non possiedano: “carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le parti possono escludere la cedibilità del credito, ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione”. Orbene se non si rispettano i requisiti indicati al 1° comma, dell’art. 1 verranno applicate le disposizioni del x.x. x xxxxx xxx 0x xxxxx xxx xxxxxxxx articolo.
2.1.2.2. La cessione di crediti futuri e in massa
La sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, finora illustrati, permettono l’applicazione del regime normativo speciale avente ad oggetto la cessione dei crediti d’impresa; nel corso della trattazione sarà mia premura evidenziare il trattamento privilegiato riservato alle imprese esercenti attività di factoring grazie a tale legge, a scapito di quanto previsto dalla disciplina civilistica. Una prima agevolazione può riscontrarsi all’interno dell’art. 3 legge n. 52 del 1991 intitolato: “Cessione dei crediti futuri e di crediti in massa”. Prima di intraprendere l’analisi di tale articolo è necessario segnalare che anteriormente alla riforma legislativa del 1991, vi fu un aspro dibattito in ordine all’ammissibilità, all’interno del nostro ordinamento, della cessione di crediti futuri. La Cassazione dell’epoca, sulla base di una serie di pronunce, ammetteva la possibilità che la cessione ordinaria avesse ad
l’organizzazione; sia quelli attraverso i quali egli offre al mercato i prodotti o i servizi che tipicamente caratterizzano la sua attività; sia quelli che egli stipula al fine di promuoverne l’immagine o, comunque, di svilupparne l’esercizio. Al contrario, paiono esclusi dal novero dei rapporti disciplinati dalla legge speciale i contratti che, pur essendo conclusi dal cedente nella sua veste di imprenditore, non presentino alcun rapporto di connessione con l’impresa”.
oggetto crediti già sorti, ma anche crediti futuri: sempre che al momento della cessione esistesse il rapporto da cui tali crediti sarebbero sorti; rispettando così il fine della determinatezza o quanto meno della determinabilità degli stessi 112. La dottrina113 criticava l’orientamento della Suprema Corte, a fronte dell’esigenza di superare il rigido formalismo proprio delle norme codicistiche, ritenute sì idonee per la cessione di singoli crediti ma non per il trasferimento di crediti futuri in massa; difatti per la validità di tale ultimo negozio appariva necessario che fosse determinata la fonte dei crediti, individuata nell’attività d’impresa svolta dal cedente114; così facendo si ritenne possibile far discendere la determinabilità dell’oggetto della cessione dalle peculiari caratteristiche dell’attività da cui derivavano i crediti futuri, a prescindere dall’effettiva esistenza di un rapporto alla base115. A tale incertezze fu posta fine con a stesura dell’art. 3, 1° comma ad opera della legge n. 52 del 1991116, il quale dispone che la cessione di crediti futuri può avvenire anche anteriormente alla stipulazione del contratto da cui gli stessi sorgeranno. Di più, la norma citata, ai commi successivi rende praticabile la cessione in massa di crediti esistenti o
112 In tal senso: Cass., 24/10/1975, n. 3519, in Giustizia civile, 1976, p. 267; e Xxxx.,
2/8/1977, n. 3412, in Massimario Foro italiano, 1977, p. 638.
113A.FRIGNANI- X.XXXXX, Il factoring, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, 2000, pp. 85 ss.
114 X.X.XXXXXXXXX, Disciplina della cessione dei crediti d'impresa e factoring, in Rivista di diritto dell'economia dei trasporti e dell'ambiente, 2008.
115 A tale orientamento apparteneva anche una pronuncia simbolica del: Trib. Milano,
16 ottobre 1989, in Rivista italiana del leasing, 1990, p. 182, con nota di X.XXXXXXXXXXX, La cessione dei crediti futuri e il momento traslativo dei crediti.
116 Art. 3 legge 2 febbraio 1991, n.52; così recita: “1. I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno. 2. I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa. 3. La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi. 4. La cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3.”
futuri: con ciò è permesso cedere una pluralità indeterminata di crediti non ancora venuti ad esistenza. Il legislatore però, per evitare di rendere eccessivamente indeterminato l’oggetto del contratto, fissa ulteriori requisiti: a norma del comma 4° si precisa che la persona del debitore ceduto deve essere determinata, ed in riferimento alla cessione in massa di crediti futuri si richiede che i contratti costituenti la fonte degli stessi, siano stipulati entro 24 mesi. La novità legislativa non consistette tanto nel conferimento di validità riservato alla cessione dei crediti in massa, che trovava già fondamento all’art 1377 c.c. rubricato: “trasferimento di una massa di cose”. Ma il vero punto di forza della novella fu l’aver affermato il principio di cedibilità di crediti futuri117 ponendo fine alle incertezze dottrinali e giurisprudenziali dapprima evidenziate. La norma inoltre risponde ad esigenze di semplificazione e certezza utili all’operazione di factoring: rendendo cedibili crediti futuri anche in massa con un unico atto, a condizione che siano conformi ai requisiti richiesti, ed opponibili ai terzi con un’unica
117 Anche se tale principio poteva scorgersi all’interno dell’ordinamento argomentando a dovere l’art 1348 c.c.: “La prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge”. Così afferma: Cit.: X. XXXXXX, X.XXXXXXX, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato delle obbligazioni, Padova, 2008, p. 1107. Contraria alla portata innovativa della riforma legislativa appare X.XXXXXXXXX, Obblighi di informazione e responsabilità del debitore ceduto nel factoring. Intervento al convegno sul tema: "Le cessioni di crediti d' impresa", Gallipoli, 25-
26 settembre 1992.,in Rassegna di diritto civile, 1994, fasc. II, p. 398. Cit,: “E non corrisponde nemmeno a verità che la norma dell’art. 3 abbia superato la consolidata giurisprudenza in materia di cessione di crediti futuri. Affermazione questa che si trova ripetuta nella quasi totalità dei primi commenti dell’art. 3, ma che non tiene conto di due circostanze. Innanzitutto, che già prima dell’emanazione della legge in questione alcuni tribunali di merito avevano precisato che in materia di factoring” non appariva necessario che al momento della stipulazione del contratto di cessione sussistesse già la fonte obbligatoria dei futuri crediti. “Soprattutto, poi, tali affermazioni sulle pretese novità della normativa non tengono conto che la consolidata giurisprudenza sulla cessione dei crediti futuri era già stata superata dalla stessa Suprema Corte in materia ben diversa dal factoring e dalla cessione di crediti in massa. Era stato chiarito che nella nozione di credito futuro rientra anche il credito semplicemente sperato cioè meramente eventuale ”. Con questa ultima affermazione l’autrice si riferisce alla Cass.8 maggio 1990, n. 4040, in Foro italiano, 1991, fasc. I, pp. 2489 ss.
comunicazione118. La norma, nonostante l’intento semplificatorio, ha prodotto qualche problema applicativo. La prima delle questioni che prenderò in considerazione riguarda il termine a quo su cui imperniare “il periodo di tempo non superiore ai 24 mesi”; nello specifico ci si domanda se il termine decorre dal momento della stipulazione del contratto di factoring o dalle singole cessioni. Preferibile appare la seconda alternativa in quanto, se si ritenesse corretta la prima l’autonomia contrattuale delle parti sarebbe gravemente limitata119, ed inoltre tale soluzione è conforme al dettato normativo e all’esigenza di non aggravare ulteriormente le difficoltà di determinabilità dell’oggetto della cessione. Successivamente ci si chiede quale sia la sorte della cessione che abbia per oggetto un credito futuro destinato a sorgere da un contratto stipulato in seguito alla scadenza del termine di 24 mesi decorrente dalla conclusione della cessione. Secondo taluno si: “determinerà la nullità della sola clausola e la sostituzione con il termine dei ventiquattro mesi previsto dalla norma (da ritenersi) imperativa, ai sensi dell’art. 1419, comma 2, cod. civ. ”120. Diversamente altra parte della dottrina ritiene che l’art. 3 l. n. 52 del 1991 vada connesso all’art. 5 della medesima legge121; infatti per tale orientamento le cessioni aventi ad
118 X.XXXXXXX,X.XXXXX, Il factoring: aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1994, pp. 183 ss.
119 X.XXXX, Legge 21 febbraio 1991, n. 52, Disciplina dei crediti d’impresa, in Nuove leggi civili commentate, 1994, p. 250. Della stessa opinione: X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile, 2004, IV, p. 112.
120 Cit.: X. XXXXXX, X.XXXXXXX, op. cit.,, p. 1109. Si veda anche: X.XXXXXXXXX, La
cessione dei crediti d’impresa (L. 21 febbraio 1991, n. 52), Rivista del notariato, 1993, pp. 317 ss.; e X.X.X.XXXXXXX, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto civile, 1991, fasc. II, pp. 716 ss
121 Art. 5, comma 1°, legge 52 del 1991, rubricato “efficacia della cessione nei confronti dei terzi”: “Qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile: a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento; b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del
oggetti crediti sorti tardivamente non sono nulle, ma il legislatore con i requisiti contenuti all’art. 3 voleva rendere possibile l’opponibilità della cessione ai terzi disciplinata dall’art. 5 l. n. 52 del 1991122. Medesimi riscontri si hanno nel caso in cui non sia rispettato il requisito della determinazione del debitore ceduto: infatti a fronte di chi individua la conseguenza nella nullità della cessione per indeterminabilità dell’oggetto; vi è chi ritiene che l’indicazione del nome del ceduto abbia il mero scopo di potersi avvalere del meccanismo di cui all’art. 5 l. n. 52 del 1991. Le questioni controverse non sono terminate, il dettato dell’art. 3 infatti pone problematiche a livello interpretativo: la prima riguarda la dizione contenuta al comma 3° del suddetto articolo: “la cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi”. Secondo un’interpretazione puramente letterale della disposizione, il termine di 24 mesi sembra riferirsi solamente alla cessione in massa di crediti futuri e non alla cessione di singoli crediti futuri, o ad una pluralità di crediti che non possono considerarsi in massa123. Mentre chi opera un’interpretazione logico-sistematica della norma in esame, ritiene che il requisito attinente al limite temporale sia da ritenersi necessario per la validità delle cessioni di crediti futuri sia singole che in massa. Tale interpretazione permette di non riproporre il problema dell’indeterminatezza dell’oggetto la cui norma sembra atta a risolvere124. Da ultimo qualche dubbio interpretativo si rileva sul
pagamento; c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall'articolo 7, comma 1.”
122 X.XXXX, op. cit., p. 249.
123 X.XXXXXXX,X.XXXXX, op. cit., p. 184.
124 X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, p. 101. Della medesima opinione è X. XXXXXX, X.XXXXXXX, op. cit., p. 1109; Cit: “Nonostante tali criteri siano espressamente riferiti a una differente fattispecie, quella ora prospettata sembra essere la soluzione più coerente. Una applicazione letterale della legge condurrebbe, infatti, alla conclusione,
significato da attribuire all’espressione “crediti in massa”: e cioè se questa sia riferibile a tutti i crediti vantati verso tutti i debitore del cedente125; ovvero tutti i crediti vantati verso un solo debitore126.
2.1.3. Garanzia e solvenza
Altra disposizione speciale contenuta nella legge disciplinante la cessione dei crediti d’impresa è la garanzia di solvibilità del debitore ceduto rilasciata dal cedente, così come disciplinato all’art. 4: “Il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo pattuito, la solvenza del debitore, salvo che il cessionario rinunci, in tutto o in parte, alla garanzia”. Tale articolo capovolge il principio contenuto all’art. 1267 c.c.127, ossia la previsione
evidentemente paradossale, per cui la cessione di crediti futuri, sarebbe sempre ammessa quando i crediti sono ceduti in massa e non quando si tratti di un singolo credito futuro, cedibile o meno in presenza dei presupposti individuati dalla giurisprudenza: non si spiegherebbero la disparità di trattamento e la doppia disciplina. Invece, dovranno prendersi in considerazione, anche per i crediti singoli, le medesime regole dettate per le cessioni in massa: la cessione (sia che riguardi crediti singoli sia che riguardi masse di crediti) è subordinata, dunque, alla duplice condizione della individuazione del debitore e/o del limite temporale dei ventiquattro mesi per la stipulazione del contratto da cui il credito sorgerà.”.
125 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 99.
126 Si veda X.XXXXXXXX- X.XXXXX, op. cit., p. 87. Cit.: “Non si concorda con la tesi… in particolare nel senso di rendere possibile la cessione uno actu di tutti i crediti presenti e futuri di un imprenditore nei confronti di tutti i clienti”. Ed ancora: X.XXXXXXX-X.XXXXX, op. cit., p. 185. Cit.: “ l’espressione al singolare usata dal legislatore (debitore ceduto)non lascia adito a dubbi sulla validità di una interpretazione letterale del quarto comma, che fra l’altro soddisfa esigenze pratiche e di certezza”. Lo stesso è sostenuto da: X.XXXXXX, X.XXXXXXX, op. cit., p. 1110. Ed infine si veda: X.XXXXXXXX, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2014, p. 159. Cit.: “dovranno considerarsi nulle, per indeterminatezza dell’oggetto, quelle cessioni riguardanti i crediti verso tutti i clienti di un imprenditore. Potranno invece formare oggetto di valida cessione i crediti vantati da un imprenditore verso più clienti (purché tutti determinati)”.
127 Art. 1267 c.c. così recita: “Il cedente non risponde della solvenza del debitore, salvo che ne abbia assunto la garanzia. In questo caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto; deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportate per escutere il debitore, e risarcire il danno. Ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente è senza effetto. Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa, se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell'iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso”.
che il cedente non risponde di fronte all’eventuale insolvenza del ceduto salvo che ne abbia assunto la garanzia; il cedente infatti garantisce unicamente l’esistenza e la validità del credito al momento della cessione128. All’interno della cessione dei crediti d’imprese dunque, la garanzia di solvenza si presenta come regola, a cui le parti possono autonomamente derogare, ed è da ritenersi una figura a se stante non riconducibile a modelli tipici ma rispondente ad una finalità restitutoria reintegrativa129. Entrambe le discipline, sia quella 23approntata dal legislatore nel 1991 che quella civilistica, pongono limiti alla garanzia non estendendola all’intero credito; e dispongono che l’escussione della garanzia del cedente sfoci nella risoluzione della cessione 130. Ma tra le due discipline esistono questioni che ne sottolineano la difformità; la prima: mentre all’art 1267 c.c. si parla di “corrispettivo ricevuto”, all’art. 4 si fa riferimento al “corrispettivo pattuito”, limitando così a quest’ultimo il rischio posto in capo al cedente. Gli autori sono convinti che sul piano pratico l’adozione della differente formula nell’ambito dell’art 4: “corrispettivo pattuito”, non porti ad innovazioni significative rispetto alla cessione ordinaria dei crediti131. Altra questione riguarda il fatto che all’art. 1267 c.c. viene
128Cit., X.XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, 2015, p. 785. Per cessione pro solvendo s’intende: “ che la liberazione del cedente si verifichi solo quando il cessionario abbia ottenuto il pagamento dal debitore ceduto”. Di cessione pro soluto si parla quando: “il cessionario liberi senz’ altro il cedente dall’obbligo che quest’ultimo aveva nei suoi confronti, accollandosi pertanto l’intero rischio della solvenza del debitore ceduto”.
129 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, pp. 113 ss.
130 DE NOVA, Il factoring, in Nuovi contratti, Torino, 1994, p. 137.
131 X.XXXXX FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova disciplina della cessione dei crediti d’impresa (l. 21 febbraio 1991, n.52), in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. XI-XII, pt. 1, p. 741. Cit.: “Piuttosto il riferimento al corrispettivo pattuito appare più appropriato, implicando la precisazione dell’ininfluenza delle anticipazioni concesse dal factor nella considerazione complessiva dell’oggetto della garanzia”.
imposto al cedente, che abbia assunto la garanzia di xxxxxxxx, di restituire il corrispettivo ricevuto e di corrispondere interessi e spese e risarcimento del danno, per converso all’art. 4 l. n. 52 del 1991 non troviamo nulla a riguardo. Sorge così l’interrogativo: se nel rapporto di factoring la garanzia si estenda anche agli interessi e alle spese; dunque oltre il corrispettivo pattuito.
Sul punto le opinioni dottrinali sono discordanti; difatti vi è chi a fronte del silenzio del legislatore del 1991 ritiene applicabile la normativa codicistica132. Altri invece, dal medesimo silenzio legislativo, ricavano la soluzione opposta, ritenendo impossibile che regolando rapporti tra imprenditori l’art. 4 abbia imposto silenziosamente la propria incidenza su altre somme non incluse nel corrispettivo pattuito133. Ed ancora, pare opportuno evidenziare che la garanzia di solvenza in capo al cedente cessa di operare, in base alla cessione civilistica, se la mancata realizzazione del credito dovuta all’insolvenza del debitore sia causa della negligenza del cessionario nell’iniziare o proseguire le richieste verso il debitore (art. 1267, comma 1°). Vale qui il richiamo all’art. 1460
x.x. xx xxxxxxx xx xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxxx000. Il factor al fine di
132 X.XXXXXXXXX, La cessione dei crediti d’impresa (L. 21 febbraio 1991, n. 52), Rivista del notariato, 1993, pp. 317 ss. Ed ancora: X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, p. 103. Cit. “Condivido la tesi… che ritiene compresa nella “garanzia” anche la restituzione delle spese, degli interessi e dei danni, in quanto l’art. 4 intende esclusivamente normativizzare la prassi italiana di un factoring che ordinariamente prevede una cessione pro solvendo, ma non incide sulle altre prescrizioni di cui all’art. 1267 c.c.”.
133 X.X.X.XXXXXXX, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto civile, 1991, II, p. 719 ss.; X.XXXX, Legge 21 febbraio 1991, n. 52, Disciplina dei crediti d’impresa, in Nuove leggi civili commentate, 1994, p. 263. Lo definisce come: Cit., “Silenzio eloquente”; “Si può ritenere che i criteri e i calcoli economici sottesi alle operazioni di factoring siano tali da poter dare ragione della mancata previsione di un obbligo di rimborso anche per queste voci”.
134 Art. 1460 c.c.: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.
dimostrare di aver prima escusso senza esito il debitore e solo successivamente di essersi rivolto al cedente, dovrà agire giudizialmente per conseguire il proprio credito non essendo sufficiente la prova dell’insolvenza del debitore alla scadenza. La rinuncia del cessionario alla garanzia, nel silenzio del legislatore dovrà farsi per iscritto a norma dell’art. 117,1 ° comma TU bancario, che prescrive la forma scritta per i contratti; nel rispetto del generale principio di trasparenza135.
Dunque sussiste, in capo al cessionario il dovere di controllare e vigilare sui mutamenti del patrimonio del debitore e sul venire meno della possibilità del debitore di adempiere alla prestazione. Tale disposizione opera anche in relazione alla cessione di crediti d’impresa; ed è considerata espressione del principio generale di correttezza nei rapporti obbligatori136.
Altro oggetto di dispute è la disciplina della garanzia in caso di cessione di crediti in massa; due sono le soluzioni ritenute possibili137: o il cedente risponde al manifestarsi delle singole insolvenze per l’intero importo del debito insoluto, ma entro il limite massimo del corrispettivo pattuito; non rispondendo dunque per le ulteriori insolvenze. Tale soluzione però appare maggiormente gravosa per il cedente, e fa venire meno la corrispondenza tra garanzia e corrispettivo a fronte del credito ceduto, posta alla base dell’art. 4 legge n. 52 del 1991. La seconda soluzione prevede di suddividere idealmente il corrispettivo in tante parti quanti sono i crediti ceduti in massa; cosicché il cedente possa rispondere dell’insolvenza di ciascun debitore
135 X.XXXXX, op. cit., pp. 114 ss.
136 X.XXXXXXXXXX, La cessione dei crediti ordinari e “d’impresa”. Nozioni, orientamenti
giurisprudenziali e documenti, Napoli, 1993, p. 125.
137 Così riferisce: X.X.X.XXXXXXX, op. cit., p. 718 ss.
nei limiti della frazione corrispondente. Tale soluzione appare però di difficile attuazione nel caso di cessione dei crediti futuri sorgenti da contratti ancora da stipulare (art. 3, 3° comma), poiché si dovrebbe attendere la fine del rapporto per il calcolo dell’incidenza della garanzia sulle insolvenze manifestate138. Non è consentito un aggravamento della garanzia legale del cedente all’interno della cessione dei crediti d’impresa così come previsto dall’art. 1267 c.c., ultimo comma: “ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente è senza effetto”. Parte della dottrina139 esclude l’estensione dell’art. 1267
x.x. xxxx xxxxxxxxxx xxxx’xxx. 0, x xxxxxx xxxxx xxxxxxxxx caratteristiche soggettive ed oggettive richieste nel factoring; può trovare invece spazio un aggravio di responsabilità convenzionale in capo al cedente.
2.2. Natura giuridica e struttura: questioni controverse
2.2.1. Natura giuridica: causa del contratto
Oggetto di accese dispute dottrinali, nonché giurisprudenziali è quello inerente alla natura giuridica del contratto di factoring. Tali difficoltà sono frutto dell’incerto inquadramento dell’operazione; lo sforzo di sistematizzazione è giustificato dal fatto che il factoring, come illustrato in precedenza, è da ritenersi un contratto atipico anche dopo l’introduzione all’interno del nostro ordinamento della legge n. 52 del 1991, non permettendo la sovrapponibilità di tale istituto ad altri negozi tipizzati dal codice.
138 X.XXXXXXXX, op. cit., p. 101 ss.: sostiene una tesi conforme alla seconda soluzione illustrata, in quanto la ritiene rispettosa dell’indivisibilità applicata dalla legge 52 del 1991 nella trattazione della cessione dei crediti in massa e futuri.
139 X.X.X.XXXXXXX, op. cit., p. 719;X.XXXXXXXX, op. cit., p. 105.
I dubbi sono inoltre alimentati dalla constatazione che il factoring si basa sull’istituto della cessione dei crediti, descrivibile come negozio tipico ma che può prestarsi a diverse finalità come quelle di scambio, prestito, garanzia, liberalità, pagamento140. Non sembra dunque condivisibile la tesi di chi si limita a collocare il factoring nello schema giuridico della cessione del credito, perché questa non è in grado di esaurire il contenuto del factoring, non essendovi piena coincidenza tra causa della cessione e del contratto summenzionato141. Xxxx è che il factoring senza cessione non esisterebbe, ma la cessione è solo uno strumento attraverso cui il factoring realizza i suoi fini, ed ha un contenuto certamente più ampio rispetto ad essa.
Ci si chiede allora se essa rientri nello schema causale del contratto di finanziamento ovvero di scambio, o in quello di mandato.
Se volessimo attribuire alla cessione di crediti un ruolo centrale, con conseguente inquadramento del contratto nella funzione traslativa dei crediti, l’operazione andrebbe annoverata nei contratti di scambio; essendo sostanzialmente una vendita di crediti. Se invece assegnassimo alla cessione una mera funzione di garanzia accessoria, prevalente risulterebbe la funzione di finanziamento, soddisfatta inoltre dalle anticipazioni che il cedente riesce ad ottenere per sopperire alla propria esigenza di liquidità142. Se viceversa si afferma che la cessione dei
140 D. DI GRAVIO, Revocatoria di factoring: lascia o raddoppia? Nota a Trib. Latina 28 gennaio 1995. in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1995, fasc. 5, pt. 2, pp. 948 ss. Lo stesso è ritenuto dalla giurisprudenza: Xxxx. 12 novembre 1973, n. 3004, in Foro Italiano, 1974, fasc. I, p. 1121; Cass. 15 maggio 1974, n. 1396, in Banca borsa e titoli di credito, 1974, fasc. II, pp. 205 ss..
141 X.XXXXXXX,X.XXXXX, Il factoring: aspetti economici, finanziari e giuridici, Milano, 1994, pp. 127 ss.
142 X.XXXXX, Factoring e cessione dei crediti di impresa,in Quaderni di banca, borsa e titoli di credito, Milano, 1993, fasc. XV, pp. 11 ss. Ugualmente: X.XXXXXX, I crediti e le operazioni su crediti (cessione dei crediti, factoring, cartolarizzazioni e contratti affini) nel bilancio IAS/IFRS, in Rivista delle società, 2010, fasc. IV, pp. 745 ss.
crediti sia strumentale ad assegnare al factor la legittimazione ad incassare e gestire i crediti ricevuti dai terzi debitori, ci si trova difronte ad un contratto con prevalente funzione di mandato.
Guardando alla prassi commerciale affermatasi in Italia sembra possibile configurare il contratto di factoring come contratto a prevalente causa di scambio, in quanto il sinallagma contrattuale si fonda proprio sulla cessione dei crediti. Ciò ha condotto la dottrina143 a ravvisare nel contratto di factoring una compravendita di crediti, cosicché la prestazione del factor a favore del cedente può essere definita “prezzo” della cessione144. L’inserimento del factoring nel
143 X.XX NOVA, Leasing e factoring, in Nuove forme di impiego e risparmio e di finanziamento delle imprese: disciplina civile e fiscale, Milano, 1984, p. 628. Ed ancora: R: BIANCHI, Il factoring e i problemi gestionali che comporta, Napoli 1970 p. 77.; e: X.XXXXXXXXX, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Milano, 1984, p. 629.
144 Lo stesso è ritenuto da Xxxx. 18 gennaio 2001, n. 684, X.XXXXXXX, Osservatorio della Corte di Cassazione. Rassegna di giurisprudenza, in Corriere giuridico, 2001, fasc. III, pp. 304 ss. Cit., “S.C, si sofferma sulla natura composita di tale fattispecie negoziale che porta a considerarla come un “atipico contratto di cessione dei crediti a prevalente causa vendendi””. Contrari a tale indirizzo: X.XXXXXXXX, Cessione strumentale dei crediti e finanziamento del fornitore quali funzioni assorbenti la causa di finanziamento e gestione del contratto di factoring. Commento a Cass. 12 aprile 2000, n. 4654 Trib. Genova 10 agosto 2000,in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2001, fasc. V, pp. 523 ss, ed ancora: X.XXXXXXXXXXX, Natura delle anticipazioni del factor al creditore cedente e art. 5, legge 21 febbraio 1991, n. 52 . Nota a Trib. Vicenza 10 settembre 1998,in Il Diritto fallimentare e delle società commerciali, 1999, fasc. IV, pt. 2, pp. 837 ss. Cit., “è evidente, quindi, la insanabile contraddittorietà della decorrenza di interessi su un prezzo pagato. Tali versamenti anticipati, infatti, costituiscono altrettanti debiti pecuniari nel confronti del factor, ed una tale qualifica, appunto, contraddice ed è assolutamente incompatibile con quella di pagamento del prezzo dovuto, in quanto al pagamento si accompagna la estinzione di un debito del factor solvens e non certo, la nascita di un credito del solvens sulle somme pagate. Considerare quindi gli anticipi effettuati dal factor al creditore cedente come “pagamenti in tutto o in parte
…(del) corrispettivo della cessione”, non corrisponde alla realtà dell’operazione economico- giuridica con cui si realizza il factoring”. Pertanto è condivisibile la decisione del Tribunale di Vicenza, secondo il quale “è sicuramente da escludere che gli anticipi abbiano assolto la funzione di pagamento di debiti pecuniari assunti dal factor per effetto delle intervenute cessioni di credito… I medesimi anticipi, invece, hanno assolto la funzione precipua di garantire una forma di finanziamento…””. Tali tesi vengono contrastate dalla seguente argomentazione: X.XXXXXXXXX, Xxxxx qualificazione del contratto di factoring e sull'applicazione della normativa dettata dalla l. 21 febbraio 1991 n. 52 in materia di cessione di crediti d'impresa. Nota a Cass. 13 febbraio 2004, n. 2782, in Il Diritto fallimentare e delle società commerciali, 2006, fasc. I, pt. 2, pp. 46 ss. Cit., “tali interessi nient’altro
novero dei contratti di scambio, fa sì che esso si contraddistingua per la diversità degli scopi perseguiti dalle parti, e per la interdipendenza tra le prestazioni. Sul primo versante il factor avrà lo scopo di soddisfare il proprio interesse commerciale tramite l’acquisto in cessione dei crediti, e il cedente perseguirà il fine di realizzare lo smobilizzo e/o la contabilizzazione e la gestione dei propri crediti. Sul secondo versante le prestazioni del factor e del cedente devono essere fra loro interdipendenti, “in forza del rapporto diretto tra prestazione e la realizzazione dell’interesse individuale delle parti”145. L’oggetto di scambio può consistere poi in crediti contro anticipazione (rientrando così nell’ambito della vendita di crediti), oppure può consistere nel prestare servizi verso prestazione di dare da parte del cliente. A fronte di questo orientamento, vi è chi ritiene che la complessità del fenomeno non permetta la riconduzione del contratto sempre e solo alla causa di scambio146.
Lo svolgimento del rapporto di factoring evidenzia, infatti, una serie di servizi accessori offerti dal factor al cedente tali da avvicinarlo allo schema del mandato, sto parlando dei servizi di contabilità, riscossione,
costituirebbero se non una componente negativa del prezzo al pari di quanto accade nella commissione”.
145 Cit., X.XXXXXXX-X.XXXXX, op. cit., p. 151; il quale ulteriormente osserva: “Certa è pertanto l’estraneità del factoring rispetto ai contratti associativi o di collaborazione, nonostante la particolare insistenza in esso degli obblighi di collaborazione”.
146 X. XXXXX, Brevi riflessioni su cartolarizzazione dei crediti e factoring relazione svolta nell'ambito del corso di dottorato di ricerca in Diritto dei contratti ed economia d'impresa, Roma, 23 febbraio 2002, in Vita notarile, 2002, fasc. III, pt. 2, pp. 1761 ss. Cit.: “Nella normalità dei casi insomma il factoring appare contratto con causa gestoria (maturity factoring) e di finanziamento(nel caso di anticipazione) e la cessione appare strumentale alla realizzazione di tali funzioni. Solo qualora la cessione avvenga pro soluto può ravvisarsi nell’operazione una preminente causa di scambio che tuttavia mai esaurisce la ragione giustificativa del negozio laddove invece la cessione nella cartolarizzazione ha sempre causa vendendi”.
informazione commerciale già illustrati in precedenza147. La giurisprudenza della Suprema corte, vista la multiforme configurazione del factoring, qualifica l’operazione in esame come: “una convenzione complessa nella quale confluiscono elementi sia di finanziamento, sia di trasferimento dei crediti, sia di gestione della totalità dei crediti, con prevalenza delle prime due funzioni di finanziamento e di trasferimento di crediti”148.
A tali orientamenti se ne affianca un altro, il cui tratto caratterizzante è annoverabile nell’operazione di assicurazione di credito, questo accade nel momento in cui il factor assume espressamente il rischio di insolvenza del debitore149; ciò che il cedente trasferisce al factor è un normale rischio di impresa. Il contratto di assicurazione di credito è ritenuto un sottotipo del contratto di assicurazione ex artt. 1882 c.c.150.
147 In tal senso: X. XXXXX, Il factoring nella dottrina italiana, in Rivista italiana leasing, 1985, fasc. II, pp. 311 ss.; X.XXXXXXX, Fallimento e factoring, in Diritto fallimentare, 1988, pp. 244 ss; X.XXXXXXX, nota a Trib. Genova, 19 novembre 1990, in La nuova giurisprudenza civile, 1991, fasc. I, pp. 605 ss. Ed: S.D’ORO, Il "discrimen" tra il "factoring" e il mandato. Nota a Cass. sez. I civ. 3 dicembre 2012, n. 21603, in Giurisprudenza italiana, 2013, fasc. VI, pp. 1294 ss. Cit.: “Si tratterebbe quindi di un mandato senza rappresentanza, con cui il cedente conferisce al factor il mandato a compiere in nome e nel proprio interesse atti giuridici di gestione dei crediti. La cessione dei crediti costituirebbe solo lo strumento necessario per l’esecuzione del mandato da parte del factor- mandatario nella gestione e riscossione dei crediti — operazione, quest’ultima, qualificante il contratto — ma non si verificherebbe
alcun trasferimento effettivo della loro titolarità se non nei limiti di un conferimento di incarico di incasso e gestione. Gli anticipi rappresenterebbero la concessione di un finanziamento da parte del factor all’impresa cedente, non essendo qualificabili come prezzo delle cessioni dei crediti”.
148 X.XXXXXXXX, Natura di mandato in rem propriam del contratto di factoring, Cass. 12 aprile 2000, n. 4654, in Fallimento, 2001, fasc. V, pp. 515 ss. Con una sentenza successiva: Xxxx. 15 febbraio 2013, n. 3829; la Suprema corte ha chiarito che sebbene l’entrata in vigore della legge 52 del 1991, il contratto di factoring conserva la propria natura atipica, nello stesso può intravedersi la prevalenza della causa vendendi o, diversamente, di quella mandati. Sarà poi il giudice, che riferendosi all’intento negoziale delle parti, deciderà la funzione attribuibile al contratto di specie.
149 Cass. 18 ottobre 1994, n. 8497, in Contratti, 1995, pp. 23 ss; Cass. S.U., 10 gennaio 1992, n. 198, in Banca, borsa e titoli di credito,1992, fasc. II, pp. 632 ss.
150 X.XXXXX, Il factoring, Milano, 1999, p. 163.
Secondo una contraria opinione151, si esclude che il contratto di factoring possa rientrare nell’ambito di applicazione del contratto di assicurazione di crediti. Tale ultimo negozio è definibile come quel contratto concluso dall’assicuratore con il creditore, individuabile quest’ultimo come soggetto che sopporta il sinistro (fatto futuro ed incerto che nel caso di specie è ravvisabile nell’inadempimento del debitore); e che ha lo scopo di coprire il danno conseguente all’inadempimento152. L’assicurazione di crediti però non copre l’ammontare totale del credito, ma solo una parte, ed il rimanente è lasciato a carico dell’assicurato. Dunque si può affermare che tale operazione, anche se garantisce contro l’insolvenza, differisce da quella di factoring poiché la garanzia assunta dal factor copre interamente i crediti acquistati. Inoltre la compagnia assicuratrice, solo dopo un certo periodo dalla denuncia di insolvenza, provvede al pagamento dell’assicurato, al quale offre solo il servizio di garanzia e non la varietà di servizi esperibili nell’ambito del contratto di factoring. Infine nel contratto da ultimo menzionato, la copertura del rischio di insolvenza assunto dal factor deriva dal trasferimento del credito, nell’assicurazione al converso è il fatto stesso che dà luogo all’indennizzo. Una parte di dottrina e di giurisprudenza di merito conferisce rilevanza agli elementi del mandato come sopra illustrati; il factoring viene da esse configurato: “contratto di collaborazione tra imprese, con oggetto l’organizzazione e la gestione di un servizio di contabilizzazione, gestione e recupero crediti, attuate mediante l’utilizzazione
151 X.XXXX, I contratti di finanziamento dell'impresa: leasing e factoring, in Collana di studi giuridici, Milano, 1997, pp. 90 ss.
152 Cass. 7 aprile 1982, n. 2142, contenuta in: X.XXXXX, op. cit., p. 164.
dello strumento tecnico della cessione”153. Il factoring, è così scomposto in una convenzione con causa di mandato avente rilevanza principale; ed in una pluralità di negozi ad essa collegati. Questi negozi sono costituiti in maniera prevalente da cessioni di credito utilizzate come strumento per eseguire il mandato; e configurate come anticipazioni dei mezzi necessari all’adempimento delle obbligazioni assunte dal mandatario ex art. 1719 c.c.154. A tali considerazione si è giunti basandosi sulla considerazione che: la cessione di crediti, all’interno di un rapporto di factoring, non è caratterizzata da causa vendendi, perché sarebbe in contrasto con l’obbligo assunto dal factor di restituire al cedente l’importo dei crediti, dopo la riscossione. Il mandato è definibile, in base all’art. 1703 c.c.: “contratto con cui una parte (mandatario) assume l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto (= nell’interesse) dell’altra parte (mandante)”155. La natura di mandato conferita a tale contratto, conduce ad escludere l’applicabilità della legge n. 52 del 1991
153 Cit., X.XXXXXXX-X.XXXXX, op. cit., p. 148. Lo stesso sostiene: X.XXXXXXXX, Factoring, leasing, franchising, venture capital, leveraged buy-out, hardship clause, countertrade, cash and carry, merchandising, know-how, securitization, Torino, 1996, pp.
63 ss. Individuando nel factoring un contratto di: “collaborazione tra imprese”, in quanto è “nozione che ne sottolinea i caratteri salienti: durata, onerosità, diritti ed obblighi rispettivi delle parti che non si esauriscono nella pura e semplice vendita di un credito, ma incidono profondamente nel comportamento delle parti con obbligazioni di facere e non facere e praestare”. Cass., 15 maggio 1993, n. 5545, cit., in A.M. AZZARO, Le funzioni del contratto di factoring. in Rassegna di diritto civile, 1994, fasc. II, p. 247. Cit.: “ Detta attività -che non si risolve nella pura e semplice cessione dei crediti, ma comporta l’assunzione di una serie di altre obbligazioni con cui si realizza una forma di cooperazione nella gestione dell’impresa- concreta un servizio avente ad oggetto una nuova utilità economica ottenuta mediante l’organizzazione e l’impiego di fattori produttivi”. Ed infine: X.XXXXXXX, Xxxxx qualificazione giuridica del contratto di factoring. Nota a App. Genova 19 marzo 1993, in Vita notarile, 1994, fasc. II, pt. 1, pp. 682 ss.
154 Trib. Genova, 19 novembre 1990, in X.XXXXXXXXX-X.XXXXXXXX, Contratti d'impresa, Milano, 1993, pt. 2, pp. 1761 ss.; App. Milano, 24 aprile 2007, in Banca, borsa e titoli di credito, 2008, fasc. II, pp. 610 ss.
155Cit., X.XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, 2015, p. 785.
in quanto la stessa prevede una causa di scambio156. Un indirizzo dottrinale opposto sostiene che non sia possibile individuare nel contratto di factoring una causa ascrivibile a quella di mandato; analizziamo le ragioni. In primis il factor agisce per proprio conto, acquistando dal cliente i crediti vantati nei confronti di terzi; inoltre gli stessi servizi accessori che egli può prestare per conto del cliente non possono indurre a ritenere il rapporto sovrapponibile allo schema negoziale del mandato157. Il factor poi agisce in qualità di titolare del diritto di credito cedutogli, non così il mandatario che agisce sempre per conto del mandante e nell’interesse dello stesso. Alle medesime conclusione si giunge anche se il factor operasse sulla base di un mandato senza rappresentanza (in nome proprio); in quanto questa caratteristica non incide sulla causa del contratto, ma sul profilo degli effetti individuando se essi ricadono direttamente o meno all’interno della sfera giuridica del mandante158. Inoltre in capo al mandatario vige l’obbligo di rendere conto del proprio operato (spese, decisioni) al mandante, e restituire quanto consegnato per il mandato, ad esempio le somme in eccedenza, ex art. 1713 c.c.; il factor invece, lungi dall’obbligo di rendicontazione, ha il dovere di pagare i crediti oggetto di cessione, anche se non incassati. Nella cessione dei crediti d’impresa inoltre il cedente non può sostituirsi al factor per la riscossione dei crediti, e vale
156 X.XXXXXXXX, op. cit., pp. 517 ss. Che esclude la causa di scambio nel factoring perché: gli interessi pattuiti sulle somme anticipate dal factor non avrebbero senso se le anticipazioni costituissero il prezzo della cessione; e di più, la pattuizione di una commissione e dei rimborsi spesa riguardanti i servizi di gestione e riscossione dei crediti ceduti, si giustifica solo se tali servizi vengono svolti nell’interesse del cedente. Non si esclude però che a ragione del caso concreto, le parti prevedano una causa di scambio e quindi la conseguente applicazione della legge sulla cessione dei crediti d’impresa. Per un approfondimento in tal senso: X.XXXXXXXXX, Cessione dei crediti d’impresa e fallimento, Milano, 2002, pp. 42 ss. Concorde con tale orientamento: X.XXXXXXXXX, op. cit., pp. 46 ss.
157 App. Genova 19 marzo 1993, in Rivista italiana del leasing, 1994, pp. 392 ss.
158 X.XXXX,, op. cit., pp.93 ss.
la clausola di esclusiva che vieta al cedente di porre in essere con terzi, altri rapporti di factoring. Nel mandato a norma dell’art. 1724 c.c.: il mandante può sia sostituirsi al mandatario per esercitare i diritti di credito estromettendo il mandatario; sia nominare un nuovo mandatario per lo stesso affare, rendendo così attuabile la revoca del mandato. La rinuncia senza giusta causa all’interno di un rapporto di mandato comporta per il mandatario l’obbligo di risarcimento danni, mentre nel factoring le parti possono in qualsiasi momento e a prescindere da una giusta causa, recedere dal contratto con riferimento ai crediti non ancora ceduti. Infine possibile, in questo ultimo contratto, risulta la risoluzione dello stesso per inadempimento o per effetto di una clausola risolutiva espressa interna al contratto ex art. 1456 c.c.. Ad ogni modo la diversa funzione a cui il contratto è riconducibile comporterà diverse conseguenze in ambito fallimentare. Infatti in caso di fallimento del cedente se si accede alla tesi del mandato il factor dovrà restituire al curatore fallimentare del cedente le somme incassate dai debitori dopo la dichiarazione di fallimento, perché di competenza della procedura e non soggetti a compensazione con il credito spettante al factor avente ad oggetto la restituzione di anticipazioni159; cosicché il factor sarà obbligato ad insinuarsi nel passivo fallimentare per vedersi restituire quanto a lui spettante. Se invece si ritiene prevalente la causa di scambio il factor potrà trattenere quanto riscosso, essendo titolare dei crediti da un momento precedente al fallimento; inoltre troverà applicazione la disciplina fallimentare contenuta all’interno della legge
n. 52 del 1991, nello specifico gli artt. 5 e 7. Tali somme sono utilizzate per soddisfare il credito sulle anticipazioni erogate al cedente fallito, e
159 X.XXXXXXXX, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2014, pp. 116 ss. Secondo cui, cit.: “mancano i requisiti della reciprocità e dell’anteriorità al fallimento della fonte dei crediti contrapposti, dato che il debito restitutorio del factor sorge verso la massa e solo a seguito dell’incasso dei crediti”.
non si richiede al factor l’insinuazione nel passivo fallimentare160. Differenze vi sono anche riguardo alla sorte del contratto, infatti se ci troviamo davanti ad una causa mandati il factoring può sciogliersi a norma degli artt. 78 e 72 l.fall.161; il factor perderebbe quindi la legittimazione a riscuotere i crediti per conto del cedente fallito e, sarà obbligato a porre la richiesta di insinuazione nel passivo fallimentare, allo scopo di recuperare le anticipazioni concesse. Nel caso di mandato in rem propriam non troverebbe applicazione l’art. 78 l.fall., non si avrebbe quindi lo scioglimento automatico del contratto come effetto del fallimento del cedente; ma sarà compito del curatore revocare espressamente il contratto162. Ma si ritiene che anche nel caso in cui il
160 Cass., 27 agosto 2004, n. 17116, in giustizia civile massimario, 2004, fasc. VII - VIII.
161 In riferimento al contratto di mandato, il fallimento del mandatario scioglie il contratto, mentre quello del mandante consente al curatore di subentrare nel contratto, infatti a norma dell’art. 72 x.xxxx.xx primi due commi: “Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. 0.Xx contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto”. Per: X. XXXXXX, X.XXXXXXX, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato La circolazione del credito, IV, 1, Padova 2008, p. 1155; lo scioglimento del contratto è da ritenersi automatico in caso di fallimento del cedente.
162 X.XXXXXXXXXXX, Qualificazione giuridica del contratto di factoring e suoi riflessi in caso di fallimento del cedente, in Obbligazioni e Contratti, 2005, fasc. 4, pp. 348 ss. Cit., “La giurisprudenza dominante ritiene che la regola dell’automatico scioglimento del contratto ai sensi dell’art. 78 l.fall. trovi una deroga nell’ipotesi di mandato in rem propriam, sulla base dell’applicazione analogica dell’art. 1723, 2° co c.c.” e a tale scopo si riferisce a Xxxx., 8 agosto 1988, n. 8145, in diritto fallimentare, 1999, fasc. II, p.247.; opinione condivisa anche da U.APICE, Factoring e procedure concorsuali, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 1999, fasc. 12, pp. 1289 ss. Cit.: “ mandati in rem propriam: negozi che alla stregua della giurisprudenza non rientrano nell’ambito dell’ art. 78 cit. e quindi non sono soggetti allo scioglimento ex lege”. Per X.XXXXXX REDENGHIERI, Crediti del factor e legittimazione all'incasso. Osservazioni a App. Genova 18 maggio 2001, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2002, fasc. VI, pp. 639 ss. Cit.: “ La qualificazione del factoring come mandato semplice o in rem propriam non conduce in effetti a differenti risultati pratici, posto che anche nel secondo caso il factor, essendo legittimato alla sola riscossione dei crediti,
curatore non si prodighi per la revoca; il factor dovrebbe comunque insinuarsi nel passivo fallimentare, perché possiede la qualità di “mandatario, non li acquisterebbe, bensì dovrebbe rimettere l’importo del credito al fallimento, ex art. 1713 co 1° c.c.”163. Non opera neppure la compensazione tra credito derivato dalle anticipazioni e il debito di restituzione delle somme riscosse, visto che questo ultimo è sorto in un momento successivo rispetto alla dichiarazione di fallimento: ex art. 56 l.fall.. Mentre, annoverando l’operazione all’interno del contratto di scambio troverà applicazione il co 2°, art. 7, l. n. 52 del 1991: “Il curatore del fallimento del cedente può recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente ai crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa”. In tale ipotesi non si pone un problema di compensazione, infatti manca il debito di restituzione delle somme riscosse; oggetto della cessione è il trasferimento del diritto acquistato per effetto del consenso tra le parti come disposto dall’art. 1376 c.c.. Dunque il factor sarà l’unico legittimato a pretendere la prestazione dal debitore ceduto, il cui pagamento costituirà adempimento dell’obbligazione propria e non del cedente164. Xxxxxx ancora ritiene rilevante la causa di finanziamento, soprattutto alla luce del T.U. bancario, che inquadra il factoring tra le operazioni di prestito all’art. 1, lett. F), n. 2165, consistente nell’erogazione di anticipazione su crediti; tale dottrina osserva che il cedente, che possiede la qualità d’imprenditore, realizzi tramite la cessione dei crediti lo smobilizzo di risorse contenute nel suo patrimonio conseguendo altresì la disponibilità di altre risorse
con l’obbligo di rimetterne l’ammontare incassato al curatore, non potrebbe detrarre il relativo importo dal credito che vanta per anticipazione effettuata al fornitore prima del fallimento”.
163 X.XXXXXXXXXXX, op. cit., p.350.
164 X. XXXXXX, Causa vendendi del factoring e fallimento del fornitore. Nota a Cass., sez. I civ. 18 gennaio 2001, n. 684, in I Contratti, 2001, fasc. VI, pt. 2, pp. 567 ss.
165 X. XXXXXX, X.XXXXXXX, op. cit., pp. 1143 ss.
immediatamente utilizzabili: il tutto prima della scadenza del credito e prima che il debitore estingua l’obbligazione. Perciò non sembra contestabile l’applicazione della legge n. 52 del 1991166. Questo schema causale può essere attuato sia nel caso di cessione pro soluto sia nel caso di cessione pro solvendo: nel primo caso il negozio sarà definibile come finanziamento dietro corrispettivo e nel secondo come prefinanziamento a scopo di garanzia167.
Attribuire al contratto funzione di finanziamento comporta una differenza di disciplina rispetto all’inserimento dello stesso all’interno della causa di scambio. Se si considera la causa di finanziamento avremmo un contratto in forza del quale, il cedente a fronte dell’anticipazione ricevuta è gravato dall’obbligazione di restituzione nei confronti del factor. Mentre nella cessione vendendi causa manca un rapporto giuridico autonomo dalla cessione, realizzandosi solamente uno scambio contestuale fra una somma di denaro e la titolarità del credito ceduto. Le conseguenze in questa seconda ipotesi consistono nella possibilità per il cessionario, in caso di insolvenza del ceduto, di agire nei confronti del cedente facendo valere i diritti derivanti dal negozio di cessione168. Contrasta con tale visione A. Bassi169: “ da un lato, non si intravede una soddisfacente linea di demarcazione tra la già nota categoria dei contratti di credito e quella, che si vorrebbe oggi accreditare, dei contratti di finanziamento ( a meno che non si
166 Cass. 15 febbraio 2013, n. 3829; e X.XXXXXXX, L’ambito di applicabilità della nuova disciplina sulla cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto dell’impresa, 1992, p.3: Cit., “Le imprese(c.d.) di factoring sono sovente, nella realtà italiana, imprese che compiono operazioni che con il factoring non hanno molto a che fare, risolvendosi in operazioni di finanziamento alle quali resta estranea la funzione, che gli operatori economici considerano centrale a questo contratto, di gestione dei crediti d’impresa”.
167A.X. XXXXXX, op. cit., p.263.
168 X.XXXXXXXXX, op. cit., pp.42 ss.
169 X.XXXXX, op. cit., pp.13 ss.
ripieghi sulla già acquisita nozione di finanziamento come credito di scopo, che però non si attaglierebbe al contratto di factoring). Dall’altro lato, quella dottrina talora tende ad accomunare e a sovrapporre il concetto di contratto e quello di attività, concetti che viceversa si collocano su piani diversi, propugnando come causa negoziale quella che forse è scopo dell’attività. Comunque, vale la pena osservare che non ogni tipo di factoring ha funzione finanziaria”.
Ed ancora, si è tentato in dottrina, di ricondurre il factoring nel novero dei contratti di credito (come anticipazione bancaria, sconto). La natura creditizia sembra emergere dalla centralità della funzione di godimento di somme di denaro anticipate dal factor; dal conseguente pagamento di interessi nei confronti del factor; e dalla natura “restitutoria” del pagamento effettuati dal debitore ceduto alla scadenza, o dal cedente se il ceduto è insolvente170. Tesi che fu oggetto di profonde critiche, dal momento che la concessione di anticipazioni è meramente eventuale, ed inoltre non esiste nello schema contrattuale l’obbligo del cedente afferente alla restituzione del tantundem171.
In base alle diverse prospettive finora analizzate, arduo risulta ricondurre l’operazione di factoring nell’ambito di un unico tipo contrattuale; considerata la pluralità di funzioni a cui esso risponde. L’errore di fondo di certa dottrina e di parte della giurisprudenza consiste: nel voler ridurre ad ogni costo lo schema contrattuale del factoring, creato dalla prassi, a figure tipiche presenti all’interno del nostro ordinamento. Se la causa può essere definita come ragione del contratto172, il factoring può definirsi come “schema contrattuale
170 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, pp. 84 ss.
171 X.XXXXXXXX- X.XXXXX, op. cit., pp. 76 ss.
172 X.XXXXX, Il contratto, in X.XXXXXX-X.XXXXX, Trattato di diritto privato, Milano, 2011, p. 343.
casualmente neutro, (o meglio parzialmente neutro, dal momento che è sempre presente la reciprocità di vantaggi e sacrifici), in grado di collocarsi entro contesti causali diversi”173. Tale soluzione sembra condivisa anche dalla giurisprudenza che afferma come la causa del contratto di factoring: “è identificabile in concreto con una qualsiasi delle cause compatibili con la natura e la struttura del contratto”174. Si rifiuta così la definizione di “causa variabile”175 a favore di quella di causa concreta; nel senso che la natura del negozio varia in base alla causa risultante prevalente all’interno della fattispecie concreta. Perciò sarà l’interprete, adiuvato da criteri ermeneutici a ravvisare come prevalente o la causa vendendi o quella mandati; e solo nel primo caso troverebbe applicazione la legge 52 del 1991.
2.2.2. Struttura dell’operazione
Il factoring, come più volte ribadito nel corso della trattazione, possiede una struttura assai complessa, ed anche dopo l’entrata in vigore della legge sulla cessione dei crediti d’impresa, non cessa di essere al centro di dispute dottrinali e giurisprudenziali alquanto accese.
173 X. XXXXXX, X.XXXXXXX, op. cit., pp. 1153 ss.
174 Cass. 24 giugno 2003, n. 10004, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2004, I, con nota di X.XXXXXXX, La cessione di crediti d’impresa come schema di contratto atipico a prestazioni corrispettive. Si veda anche: A.M. XXXXXX, op. cit., p.279. Cit.,: “La causa del contratto di factoring non può essere perciò compresa appieno se le diverse funzioni vengono separate le une dalle altre alla ricerca della norma con cui disciplinarle, senza tenere conto del legame operativo che le unisce. Tale vincolo può in un certo senso definirsi strumentale, giacché le funzioni si attuano le une per mezzo delle altre, non avendo alcuna di esse, nel contesto specifico, autonomia di contenuto o di attuazione se considerata singolarmente”.
Innanzitutto occorre dire che il contratto di factoring può essere scomposto in176:
• Una convenzione di durata che prevede reciproche obbligazioni a carico delle parti, a fronte di singole cessioni di crediti che avverranno in un successivo momento. Questa è la sede in cui le parti predispongono le caratteristiche complessive dell’accordo.
• Singoli contratti di cessione di crediti, avente la funzione di concretizzare ed attuare la convenzione summenzionata.
Sulla base di queste premesse, è utile definire il rapporto intercorrente tra convenzione generale di factoring e successive cessioni, trovanti origine e fondamento nella prima. Dottrina e giurisprudenza, come spesso accade, si mostrano divise tra: coloro che intravedono una separazione tra convenzione base e singoli atti di cessione; e coloro che sostengono che il factoring sia un unico contratto che si specifica in un’ unica cessione di crediti futuri, che al momento della loro nascita si trasferirebbero automaticamente in capo al factor, senza necessità che i contraenti esprimano ulteriormente la loro volontà. Alla base del primo orientamento prospettato c’è la concezione del factoring come contratto ad effetti obbligatori177, con il conseguente dovere delle parti di manifestare la propria volontà al momento di ogni singola cessione; in tal senso viene segnalata178 la spiccata propensione della prassi ad adottare tale modello contrattuale, nel testo Assifact 2007 infatti si
176 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, pp. 78 ss.
177 X.X.XXXXXX, Le funzioni del contratto di factoring, in Rassegna di diritto civile, 1994, fasc. II, p. 254.
178 X. XXXXXX, X.XXXXXXX, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato La circolazione del credito, IV, 1, Padova 2008, pp. 1156 ss.
legge: “il fornitore, salvo diversi accordi, proporrà al factor la cessione in massa di tutti i propri crediti nei confronti di ogni debitore”179. Diversamente nel secondo caso l’operazione di factoring assume i connotati di un contratto ad effetti reali, comportando già il trasferimento dei crediti indicati nei successivi atti di cessione180.
Sembra però prospettata una terza via da parte della Suprema Corte181, infatti essa condivide la tesi di un contratto ad effetti reali ma precisa poi che può essere presente un contratto ad effetti obbligatori: quando oggetto della cessione sono crediti futuri o, se per adempiere alla convenzione base i crediti debbano essere trasmessi con negozi separati; l’effetto traslativo dei singoli crediti sarà quindi differito rispetto allo scambio dei consensi. Ciò non accade invece nel caso in cui vi sia una cessione globale di crediti esistenti: qui infatti l’effetto traslativo si produrrà al momento dello scambio dei consensi.
Tale problema per alcuni182 può dirsi superato dalla prassi, che ha abbandonato il modello della cessione globale, anche se oggi si trova esplicitato all’art. 3 l. n. 52 del 1991.
Maggiore interesse dunque presenta un’altra questione, posta da coloro i quali aderiscono alla tesi della pluralità di contratti ed inerente alla natura della convenzione di factoring posta in relazione con le singole cessioni di credito: in particolare tre sono le classificazioni effettuate.
179 Art. 2 contenuto in condizioni generali del contratto Assifact, 2007.
180 G.FINO, Abuso del factoring e obblighi del debitore ceduto, in Giurisprudenza italiana, 1991, fasc. IV, pt. 1B, p. 318. Cit., “ il contratto di factoring è un contratto atipico ad effetti reali, avente ad oggetto la cessione globale dei crediti d’impresa, in cui le singole cessioni trovano la loro causa nell’accordo intercorso, e si qualificano come semplici atti esecutivi del contratto di factoring stesso”. Ed anche: X.XXXXX FELSANI, Il contratto di factoring e la nuova disciplina della cessione dei crediti d’impresa (l. 21 febbraio 1991, n.52), in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. XI-XII, pt. 1, p. 740.
181 Cass. 2 febbraio 2001, n. 1510, in Giustizia civile, 2001, VII-VIII, p. 1858.
182 X.XXXXXXXX- X.XXXXX, Il factoring, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, 2000, pp. 74 ss.
Per alcuni183 la convenzione riveste la natura di contratto normativo, da intendersi come un accordo quadro, in cui le parti stabiliscono una disciplina per l’istaurazione di futuri rapporti giuridici tra le stesse. Questo accordo si colloca nella categoria dei negozi preparatori, figure che restano autonome rispetto al negozio finale; inoltre tra le parti non sorge alcun obbligo di contrarre una volta sorti i rapporti regolamentati dall’accordo normativo, l’unico limite risiede nel rispetto delle regole contenute in quest’ultimo se decidono per la conclusione dei rapporti ivi regolati. Per altri184 si deve parlare invece di preliminare, con conseguente produzione dell’obbligo in capo alle parti, di stipulare i futuri contratti in questo previsti. La terza ipotesi è quella per cui sembra possibile prevedere l’innesto del contratto preliminare in un contratto normativo, in quanto non sussiste una contrapposizione netta tra le due tipologie contrattuali; in tal caso le parti oltre a concordare il contenuto di futuri contratti si obbligano anche alla stipulazione degli stessi185. Queste tesi sono spesso criticate: per quanto riguarda l’inserimento della convenzione di factoring nell’alveo del preliminare si rileva che la non conoscenza al momento della stipulazione dell’ammontare delle future cessioni o della fonte da cui sorge il credito, o della persona del ceduto può convergere nella nullità a causa dell’indeterminatezza dell’oggetto a norma dell’art. 1418, comma 2°
183 Cit.: X.XXXXXXXXX, Xxxxx qualificazione del contratto di factoring e sull'applicazione della normativa dettata dalla l. 21 febbraio 1991 n. 52 in materia di cessione di crediti d'impresa. Nota a Cass. 13 febbraio 2004, n. 2782, in Il Diritto fallimentare e delle società commerciali, 2006, fasc. I, pt. 2, pp. 50 ss. Si veda: X.XXXXXXX, Il factoring, Milano, 1986, pp. 9 ss.
184 X.XXXX, Legge 21 febbraio 1991, n. 52. Disciplina dei crediti d’impresa, in Nuove leggi civili, 1994, pp. 258 ss. E: Trib. Firenze, 2 giugno 1995, in Giurisprudenza italiana, 1996, fasc. I, pt. 2, pp. 272 ss.
185 X.XXXXXXXX, Factoring, leasing, franchising, venture capital, leveraged buy-out, hardship clause, countertrade, cash and carry, merchandising, know-how, securitization, Torino, 1996, pp. 64 ss. Ed ancora: X.XXXXXXXX- X.XXXXX, op. cit., pp. 64 ss.
c.c.. Inoltre in tale concezione i contratti aventi ad oggetto le successive cessioni assumono una rilevanza economica e giuridica che in concreto non potrebbero mai avere all’interno dell’operazione di factoring. Infatti verrebbero sovvertiti i rapporti tra contratto di factoring e cessioni di credito, divenendo il primo uno strumento (di contabilizzazione, gestione, incasso) per l’attuazione del secondo e non l’inverso186.
Ugualmente riduttiva è ritenuta la tesi della conducibilità della convenzione nell’ambito del contratto normativo, perché il factor in questa ipotesi si riserva la facoltà di scegliere quali crediti effettivamente acquistare, rendendo così non automatico il trasferimento, ma non solo: infatti il factor può diminuire il plafond di liquidità accordabile ai singoli clienti, con la conseguente incertezza dell’oggetto a fondamento della prestazione del factor e dunque della possibile nullità per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1418, co 2°
c.c.187. A riguardo della tesi del contratto normativo- preliminare una parte della dottrina sostiene che: “risulta difficile, sul piano dogmatico, giustificare come da un unico contratto preliminare possa in realtà discendere l’obbligo di concludere una serie imprecisata di contratti definitivi”188.
186 X.XXXXX, Il factoring, Milano, 1999, pp. 125 ss. Cit., “È stato giustamente osservato che ravvisare nel factoring un preliminare, seguito da tanti contratti definitivi, equivale a rendere frammentaria un operazione che è stata concepita sistematicamente ed unitariamente dal punto di vista economico”. Lo stesso è sostenuto da X. XXXXXX, X.XXXXXXX, op. cit., pp.1157 ss. L’autore specifica anche che nell’ambito del factoring le singole cessioni siano da ritenersi strumentali, finalizzate appunto a legittimare il factor ad incassare i crediti dai debitori ceduti. Le cessioni vengono descritte come atti esecutivi del contratto di factoring che trovano la propria causa in quest’ultimo.
187 X.XXXXXXXX, op. cit., pp. 62 ss. Lo stesso è previsto da: X.XXXXXXXX- X.XXXXX,
op. cit., pp. 74 ss.
188 Cit.: X.XXXXXXXXX, op. cit., pp. 53 ss.
2.3. Efficacia della cessione dei crediti d’impresa
Grazie alla l. n. 52 del 1991, viene introdotto un elemento particolarmente vantaggioso per il cedente ed il cessionario, mi riferisco al nuovo criterio di opponibilità della cessione ai terzi prevista all’art. 5 della richiamata legge189; che avrebbe dovuto comportare una notevole semplificazione dell’operazione di factoring. Questo criterio viene limitato agli aventi causa del cedente, ai suoi creditori e sulla base di determinate condizioni al suo fallimento, avvenuto in tempo successivo alla cessione. Non può però applicarsi al debitore ceduto; infatti l’opponibilità della cessione, in questo caso, continuerà ad essere disciplinata dall’art 1264 c.c..
2.3.1. Efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto
Prima di procedere alla trattazione del contenuto e dei problemi afferenti all’art. 5 della l. 52 del 1991, sembra opportuno ad opinione di chi scrive un breve cenno all’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto. Come accennato in precedenza il problema non è stato affrontato dalla normativa speciale, continuando a trovare applicazione dunque le norme codicistiche, in particolare l’art. 1264 c.c.190. Dottrina e
189 X.XXXXXXXX, Questioni in tema di opponibilità al fallimento del cedente delle cessioni di credito . Commento a Cass. 29 settembre 1999, n. 10788 Cass. 27 settembre 1999, n. 10668 App. Milano 18 gennaio 2000, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2000, fasc. XI, pp. 1244 ss.
190 Art. 1264 c.c.: “La cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l'ha accettata o quando gli è stata notificata. 2.Tuttavia, anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato, se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell'avvenuta cessione”.
giurisprudenza191 sono concordi nel ritenere che la notifica o l’accettazione siano necessarie per informare il debitore sull’identità del soggetto a cui dovrà pagare; ma visto che la cessione produce i suoi effetti dal momento della sua conclusione, il cessionario è legittimato sin da tale momento a pretendere il pagamento da parte del ceduto indipendentemente della comunicazione dell’avvenuta cessione allo stesso. La conoscenza di cui al comma 2°, art 1264 c.c. richiesta al debitore è necessaria al solo fine di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento al cedente. Altra questione dibattuta nel corso dell’istaurazione in Italia del contratto di factoring, sempre in riferimento a tale articolo, è quella relativa alle modalità che rendono opponibile la comunicazione dell’avvenuta cessione al debitore. Contrasti sorsero tra chi riteneva sufficiente una notifica non qualificata e chi al converso pretendeva la necessità di una notifica qualificata e cioè a mezzo di ufficiale giudiziario192. La soluzione finale della giurisprudenza sembra aver affermato il principio secondo cui: “notizia idonea è qualsiasi forma di comunicazione che pone il debitore in grado di apprendere la mutata titolarità del rapporto obbligatorio, senza essere soggetta a termini o a particolari formalità”193.
191 X.XXXXXXXXX, Cessione dei crediti d’impresa e fallimento, Milano, 2002, p. 22.; X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile, 2004, IV, pp. 115 ss. X.XXXXXXXX, Il factoring, Torino, 1998, pp. 106 ss.
192 Rimando per un approfondimento sulla questione al paragrafo 1,3 del presente scritto.
193 Cit., X.XXXXXXXX- X.XXXXX, Il factoring, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, 2000, p. 89. Lo stesso autore richiama a sostegno di tale tesi: Xxxx. 12 maggio 1990, n. 4077, in Rep. Foro italiano, 1990, fasc. III, p. 337; Trib. Milano 28 maggio 1990, in Xxxx Xxxxxxxx, 0000, fasc. I, p. 194.
2.3.2. Efficacia della cessione nei confronti dei terzi tra codice civile e normativa speciale
L’efficacia della cessione nei confronti dei terzi conosce dopo l’entrata in vigore della normativa speciale sul factoring, una duplice disciplina riprodotta da un lato all’interno del codice all’art. 1265 c.c.194, e dall’altro all’art. 5 della legge speciale195. L’opponibilità contenuta all’interno di quest’ultimo articolo, rivela una materia più ampia rispetto a quella indicata all’art. 1265 c.c., il quale limita la propria applicazione ad ipotesi di conflitto con una speciale categoria di terzi, ossia “gli ulteriori cessionari aventi causa dal medesimo cedente”196. Inoltre il legislatore della normativa speciale attua non soltanto l’allargamento dell’efficacia della cessione in ambito soggettivo, ma ha lo scopo di permettere al factor di sfruttare l’opponibilità anche nei confronti di cessione in massa di crediti futuri, senza ricorrere agli adempimenti richiesti a norma dell’art. 1265 c.c.. E ciò è da ritenersi vantaggioso,
194 Art. 1265 c.c.: “Se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata prima accettata dal debitore con atto di data certa, ancorché essa sia di data posteriore. 0.Xx stessa norma si osserva quando il credito ha formato oggetto di costituzione di usufrutto o di pegno.”
195 Art. 5, l. n. 52 del 1991: “1. Qualora il cessionario abbia pagato in tutto o in parte il corrispettivo della
cessione ed il pagamento abbia data certa, la cessione è opponibile:
a) agli altri aventi causa del cedente, il cui titolo di acquisto non sia stato reso efficace verso i terzi anteriormente alla data del pagamento;
b) al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito dopo la data del pagamento;
c) al fallimento del cedente dichiarato dopo la data del pagamento, salvo quanto disposto dall'articolo 7, comma 1.
2. E' fatta salva per il cessionario la facoltà di rendere la cessione opponibile ai terzi nei modi previsti dal codice civile.
3. E' fatta salva l'efficacia liberatoria secondo le norme del codice civile dei pagamenti eseguiti dal debitore a terzi.”
196 X.XXXXX, Contratti moderni: factoring, franchising, leasing, in Trattato di diritto civile,
2004, IV, p. 116.
infatti numerosi dubbi permangono alla base dell’applicazione dell’art. 1265 c.c., soprattutto per quanto riguarda il soddisfacimento del requisito che ritiene prevalente: “la cessione notificata per prima al debitore”. Dal legislatore del 1942 è data un’importanza eccessiva alla notificazione da far pervenire al debitore, che non è sempre nota alle parti in conflitto, i cessionari dunque potrebbero non sapere se la cessione sia già stata notificata da altri al debitore ed in quale ordine cronologico siano avvenute le notifiche. Tale criterio poi, risulta ancora meno idoneo a risolvere i potenziali conflitti tra creditori del cedente e cessionario, i quali non possiedono alcun strumento per accertare con sufficiente affidabilità se un credito faccia ancora parte del patrimonio del loro debitore ovvero ne sia uscito a causa di una cessione a loro opponibile. A fronte di quanto illustrato la giurisprudenza utilizza un atteggiamento alquanto rigoroso per definire le modalità attraverso cui notificare la cessione, a tal fine si richiamano le dispute inerenti all’art. 1264 c.c.. Tali interpretazioni però sembrano non tenere conto del fatto che il criterio che emerge dalla norma sull’opponibilità della cessione ai terzi, è un criterio temporale, viene ritenuto prevalente infatti il cessionario che si sia attivato per primo. Si può allora concludere che ciò che deve essere provato è il momento in cui avviene la comunicazione o l’accettazione e non la forma della comunicazione, requisito rilevante è perciò quello della data certa197. Tutto questo sembra avallato anche dalla Suprema corte198, che afferma come la comunicazione sia: “un atto a forma libera, non soggetto a particolari discipline e formalità”. Analizziamo ora l’art. 5 della legge n. 52 del 1991, il quale ha profondamento innovato la preesistente disciplina
197 Ciò viene sostenuto da: X.XXXXXXXX- X.XXXXX, Il factoring, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx Xxxxxxxx, 2000, pp. 103 ss.
198 Cit. Cass., 12 maggio 1998, n. 4774, in Giustizia civile, 1998, p. 2140