Sommario
Commento alla legge 16 maggio 2014 n. 78, di conversione del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34
(Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese)
22 maggio 2014
Sommario
CONTRATTO A TERMINE (art. 1, comma 1) 3
Contratto a tempo determinato “acausale” 3
Contratto a termine: proroghe 4
Introduzione di un limite percentuale alle assunzioni a termine 6
Diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato 8
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO (art. 1, comma 2) 10
Contratto di somministrazione a tempo determinato “acausale” 10
Limiti quantitativi 10
CONTRATTO DI APPRENDISTATO (art. 2) 11
Semplificazioni formali 11
Percentuali di conferma per l’assunzione di nuovi apprendisti 11
DISPOSIZIONI TRANSITORIE (art. 2-bis) 14
ELENCO ANAGRAFICO DEI LAVORATORI (art. 3) 16
SEMPLIFICAZIONE DEL DURC (art. 4) 17
CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ (art. 5) 19
CONTRATTO A TERMINE (art. 1, comma 1)
Contratto a tempo determinato “acausale”.
La principale novità introdotta dal decreto legge n. 34/2014, e confermata dalla legge di conversione n. 78/2014, è il superamento della cd. “causale” per la stipulazione di un contratto a tempo determinato o della somministrazione a tempo determinato.
Come noto, infatti, prima del decreto legge n. 34/2014, era possibile apporre un termine al contratto solo qualora ricorressero specifiche ragioni di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. Le uniche eccezioni previste alla regola generale dell’indicazione di una di queste causali erano le seguenti: i) nel caso del primo contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi, comprensivo di una proroga; ii) in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali.
Con il decreto legge n. 34/2014, come convertito dalla legge n. 78/2014, si pone fine al sistema delle causali e la regola generale diventa quella della cd. “acausalità” del contratto. In altre parole, non è più richiesta, come requisito per la valida apposizione del termine al contratto, la sussistenza di specifiche ragioni di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Merita però, fin da subito, precisare che l’interesse all’indicazione della “ragione” che sottende il contratto talora può permanere, seppure per il diverso fine dell’esclusione dal limite percentuale all’utilizzo del contratto a tempo determinato. In altre parole, il venir meno della necessità di indicare causali nel contratto a tempo determinato comporta che l’eventuale apposizione di una causale non assumerà, in generale, rilievo decisivo, pur mantenendo una sua specifica funzione, ad esempio, nel caso delle ipotesi di stagionalità e di contratti a termine sottoscritti per sostituzione, dato che, in queste ipotesi, si potrà superare il tetto del 20% dell’organico complessivo, di cui si dirà tra breve.
La disciplina generalizzata dell’“acausalità” viene estesa anche al contratto commerciale di somministrazione di lavoro a termine (cfr. art. 1, comma 2, lett. a, n. 1 del decreto legge n. 34/2014 come convertito dalla legge n. 78/2014).
Il carattere di regola generale dell’“acausalità” è confermato anche dall’abrogazione dell’art. 1, comma 1-bis, del D. Lgs. n. 368/2001, come da ultimo modificato dal D. L. n. 76/2013, nonché dalla modifica del comma 2 dell’art. 1. Conseguentemente, il contratto a termine “acausale” non riguarda soltanto il primo rapporto a tempo determinato, bensì è applicabile anche nelle ipotesi in cui sia già intervenuto un precedente rapporto a termine tra le parti. La legge di conversione ha, poi, introdotto numerose modifiche al decreto legge n. 34/2014 volte a risolvere i problemi di coordinamento determinati dalla soppressione dell’art. 1, comma 1-bis del D. Lgs. n. 368/2001 (cfr. art. 1, comma 1, lettere b-ter, b-quater, b-novies del D. L. n. 34/2014, come convertito dalla legge n. 78/2014 )
Il decreto legge conferma, invece, il limite massimo di 36 mesi di durata del rapporto, limite che può essere raggiunto anche con più proroghe, secondo la nuova disciplina di cui si dirà di seguito. Peraltro, a fronte della nuova formulazione dell’art. 1, comma 1, del D. Lgs.
n. 368/2001, la disciplina chiarisce ora, espressamente, che anche il primo contratto a tempo determinato stipulato tra le parti non può superare il limite temporale massimo dei 36 mesi.
Viene confermato anche che l’apposizione del termine deve risultare, direttamente o indirettamente, da atto scritto (cfr. art. 1, comma 1, lett. a, n. 3).
Contratto a termine: proroghe.
Nella precedente disciplina il termine finale del contratto a tempo determinato poteva essere prorogato, con il consenso del lavoratore, per una sola volta, quando il contratto iniziale avesse una durata inferiore a tre anni e sempre che la proroga si riferisse alla stessa attività lavorativa e sussistessero ragioni oggettive a sostegno della proroga stessa.
Con il decreto legge n. 34/2014 viene introdotta la possibilità di prorogare più volte il contratto a termine. Con la legge di conversione del decreto, il numero massimo delle proroghe è stato fissato in cinque, fermo restando il tetto complessivo dei 36 mesi ed indipendentemente dal numero dei rinnovi. Quest’ultima precisazione chiarisce il profilo dei rapporti tra rinnovi e proroghe, precedentemente non affrontato dal decreto legge: in sostanza, la disciplina dei rinnovi rimane quella precedente mentre le proroghe devono
essere eventualmente poste in essere nell’ambito del complessivo limite temporale dei 36 mesi.
Rimane, invece, quale unica condizione per le proroghe, il fatto che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato inizialmente stipulato. Non occorre più, pertanto, che sussistano anche “ragioni oggettive”, coerentemente con il superamento del requisito della cd. “causale”.
Resta il problema di attribuire un esatto significato all’espressione “stessa attività lavorativa” che, nel contesto normativo precedente, veniva interpretata come riferita alla “dimensione oggettiva riferibile alla destinazione aziendale”1 rispetto alla quale il contratto era stato stipulato: in altre parole, si sosteneva che la proroga non potesse comportare l’adibizione del lavoratore ad altre attività non connesse a quelle in relazione alle quali il contratto è stato originariamente stipulato. Questa interpretazione, però, scontava l’esistenza del sistema delle causali.
Ora, nel nuovo contesto normativo, e in prima interpretazione, si può dire che il limite cui è prudenzialmente consigliabile attenersi è quello delle mansioni cui il lavoratore era stato inizialmente adibito. Ciò nel senso che potrebbe non ritenersi coerente con la nuova formulazione una proroga che fosse “motivata” con l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse.
Opportunamente la legge di conversione ha, invece, soppresso il comma 2 dell’art. 4 del
D. Lgs. n. 368/2001. La norma, infatti, disciplinando l’onere della prova relativa all’esistenza delle ragioni che giustificano l’apposizione del termine, risultava superflua a seguito della soppressione della regola della causale.
Si pone, poi, la questione dell’applicabilità del nuovo regime delle proroghe ai contratti a termine in essere, ovvero a quei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore del decreto legge.
La questione risulta definitivamente risolta dalle disposizioni transitorie introdotte all’art. 2- bis del D. L. n. 34/2014 dalla legge di conversione del provvedimento. Infatti, il primo comma dell’art. 2-bis prevede che le modifiche introdotte dagli artt. 1 e 2 del D. L. n. 34/2014 si applicano ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto. Ne segue che le novità introdotte dal decreto in materia di proroghe
1 Cfr., in tal senso, Cass. 16 aprile 2008, n. 9993 e Cass. 16 maggio 2005, n. 10140.
trovano applicazione unicamente per i contratti a tempo determinato sottoscritti dall’entrata in vigore del decreto legge (ossia al 21 marzo 2014) e sulla base, quindi, della nuova disciplina2.
Per risolvere eventuali problemi derivanti dalla disposizione transitoria, la medesima norma chiarisce, altresì, che “sono fatti salvi gli effetti già prodotti dalla disposizioni introdotte dal presente decreto”.
Introduzione di un limite percentuale alle assunzioni a termine.
Unitamente all’apprezzabile ampliamento delle possibilità di instaurare contratti a termine e contratti di somministrazione di lavoro a termine, viene introdotto un limite del 20% di contratti a termine che ciascun datore di lavoro può stipulare rispetto al proprio organico complessivo. La legge prevede che questo limite possa essere rideterminato in virtù della contrattazione collettiva nazionale che ben potrà demandare questa competenza alla contrattazione di secondo livello.
Va, comunque, notato che il limite del 20% non si applica in una serie di ipotesi, ossia quelle elencate all’art. 10, comma 7, del d. lgs. n. 368 del 2001, tra le quali le più rilevanti sono: le attività stagionali (da intendersi individuate ai sensi dell’art. 5, comma 4 ter dello stesso d. lgs. n. 368 del 2001, ossia comprese quelle attività stagionali individuate come tali da avvisi comuni e contratti collettivi nazionali); le fasi di avvio di nuove attività ( come individuate dai contratti collettivi nazionali di lavoro); i contratti sottoscritti per ragioni sostitutive.
La legge di conversione ha aggiunto a queste ipotesi i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa.
La norma deroga non solo alla regola del limite percentuale, ma anche al limite di durata massima dei 36 mesi. In questo senso sembra potersi interpretare la disposizione che “i
2 Ricordiamo che nella News del 21 marzo 2014 nel tentativo di fornire una prima interpretazione sistematica della nuova disposizione avevamo distinto la disciplina applicabile ai contratti “causali” da quella degli “acausali”. A seguito della nuova norma transitoria questa impostazione interpretativa deve ritenersi superata, fermo restando che, in base al disposto del’art. 2-bis del D. L. n. 34/2014, come convertito dalla legge n. 78/2014, “sono fatti salvi gli effetti già prodotti dalla disposizioni introdotte dal presente decreto”
contratti di lavoro a tempo determinato che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono”. Merita, peraltro, sottolineare che la deroga al limite temporale riguarda solo i contratti che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica. Conseguentemente, a contrario, sembra doversi escludere l’operatività della deroga al limite temporale per le altre attività individuate dal primo comma, ovvero quelle di assistenza tecnica o di coordinamento e direzione, per le quali resta, invece, ferma l’esclusione dal limite percentuale.
Ricordiamo, però, che il limite alla durata massima di 36 mesi può essere sempre modificato dai contratti collettivi di ogni livello in base al disposto dell’art. 5 comma 4 bis che, da questo punto di vista, non ha subito modifiche.
I datori di lavoro3 che occupano fino a 5 dipendenti possono comunque stipulare un contratto a termine.
La legge di conversione del decreto legge ha introdotto importanti novità e chiarimenti in materia.
In primo luogo, si chiarisce come debba essere determinata la base occupazionale sulla quale applicare il limite del 20%. La nuova formulazione, infatti, precisa che la percentuale deve essere calcolata sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno in cui avviene l’assunzione.
A tal fine, in sede di prima interpretazione, devono ritenersi esclusi dalla base occupazionale gli apprendisti, a mente del disposto dell’art. 7, comma 3, del D. Lgs. n. 167/2011, mentre sono ricompresi i lavoratori a tempo indeterminato in part-time, sempre pro-quota. Alla stessa stregua devono ritenersi esclusi quei rapporti di lavoro che, in base a disposizioni di legge, non vengono presi in considerazione nelle basi di computo (ad es. i lavoratori somministrati a tempo indeterminato).
La legge di conversione ha introdotto nel decreto legge n. 34/2014 una sanzione amministrativa pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese (o frazione superiore ai 15 giorni) di durata del rapporto, se l’assunzione oltre il limite riguarda un solo lavoratore. La
3 La legge di conversione ha chiarito che questa possibilità riguarda tutti i datori di lavoro e non solo quelli che rientrano nella definizione di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c.
sanzione è, invece, pari al 50% della retribuzione se l’assunzione oltre il limite riguarda più di un lavoratore.
L’intento legislativo, come emerge anche dall’iter parlamentare del provvedimento, è quello di introdurre una sanzione amministrativa sostitutiva della conversione del rapporto a tempo indeterminato, in caso di superamento della soglia del 20%. Tuttavia, stante la formulazione della disposizione - che non chiarisce espressamente questo profilo - alcune prime (e non condivisibili) interpretazioni si sono espresse nel senso che la sanzione amministrativa si aggiunge a quella civilistica della conversione del rapporto e dell’eventuale risarcimento del danno.
I proventi derivanti dalla sanzione amministrativa vengono destinati al Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.
Con la legge di conversione è stato poi espressamente chiarito che la disciplina sanzionatoria per il superamento del limite quantitivo non opera per i rapporti di lavoro a termine instaurati prima dell’entrata in vigore del decreto legge.
Diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato.
La legge di conversione ha introdotto nel decreto legge nuove disposizioni relative al diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi che l’art. 5, comma 4-quater, del D. Lgs. n. 368/2001 riconosce a favore del lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi.
Il decreto legge n. 34/2014, come modificato dalla legge di conversione n. 78/2014, ha esteso il diritto di precedenza a favore delle lavoratrici madri prevedendo in particolare che:
1. il periodo di congedo di maternità di cui all’art. 16, comma 1, del D. Lgs. n. 151/2001 è utile ai fini del raggiungimento del semestre necessario alla maturazione del diritto di precedenza;
2. il diritto di precedenza si estende anche alle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.
Altra novità introdotta dal decreto legge è la previsione che il contratto, come atto scritto, dovrà contenere un richiamo alle disposizioni che regolano il diritto di precedenza, ovvero i commi 4-quater e 4-quinquies dell’art. 5 del D. Lgs. n. 368/2001.
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO (art. 1, comma 2)
Contratto di somministrazione a tempo determinato “acausale”.
La principale novità relativa alla somministrazione a tempo determinato è il già anticipato superamento del requisito della “causale” anche relativamente al contratto commerciale stipulato tra l’utilizzatore e l’agenzia per il lavoro (cfr. art. 1, comma 2, lett. a, n. 1 del decreto legge n. 34/2014, come convertito dalla legge n. 78/2014, che dispone la soppressione dei primi due periodi dell’art. 20, comma 4, del D. Lgs. n. 276/2003).
Altre disposizioni del decreto legge sono volte ad aggiornare ulteriori disposizioni del D. Lgs. n. 276/2003, coordinandole con questa novità (cfr. art. 1, comma 2, lett. a, n. 2 e lett. b).
Limiti quantitativi.
Per quanto riguarda l’individuazione di limiti quantitativi al ricorso alla somministrazione a termine, va sottolineato che la permanenza del terzo periodo dell’art. 20, comma 4, del D. Lgs. n. 276/2003 conferma il demando esclusivo ai contratti collettivi nazionali di lavoro dell’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione. Le modifiche apportate dalla legge di conversione all’art. 1, comma 1, del D. Lgs. n. 368/2001 hanno, infatti, definitivamente chiarito che il limite di legge del 20% non si applica ai rapporti in somministrazione.
CONTRATTO DI APPRENDISTATO (art. 2)
Semplificazioni formali.
La legge di conversione ha modificato la disposizione del decreto legge che eliminava l’obbligo di redigere il piano formativo individuale dell’apprendista in forma scritta.
La nuova disposizione, infatti, fa salvo l’obbligo di forma scritta per il piano formativo individuale ma, al contempo, prevede che esso possa essere redatto anche in forma sintetica ed in base a moduli o formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali.
Percentuali di conferma per l’assunzione di nuovi apprendisti.
Con la legge di conversione è stata modificata la disposizione che disponeva l’abrogazione di tutte le norme che subordinavano l’assunzione di nuovi apprendisti alla conferma di una quota dei rapporti di apprendistato in essere.
Viene, però, riscritta la disciplina delle percentuali di conferma per l’assunzione di nuovi apprendisti e non risulta più abrogata - e, quindi, rimane in vigore - la lettera i) dell’art. 2, comma 1, del TU sull’apprendistato (d. lgs. n. 167/2011) che demanda ai contratti collettivi nazionali “forme e modalità per la conferma in servizio”.
Analogamente all’impostazione seguita dalla norma precedente, viene previsto per legge - ed a certe condizioni di cui si dirà subito dopo - un limite di conferma dei rapporti di apprendistato in essere (20%), salvo affidare alla contrattazione collettiva nazionale, stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, la possibilità di individuare limiti diversi.
Venendo, quindi, all’esame specifico della disciplina legale, occorre, in primo luogo, sottolineare come sia più ristretto l’ambito di applicazione del nuovo onere di conferma. La nuova disciplina opera, infatti, esclusivamente per i datori di lavoro che occupano almeno cinquanta dipendenti (precedentemente, invece, l’onere riguardava i datori di lavoro che occupassero alle loro dipendenze un numero di lavoratori almeno pari a dieci).
Risulta anche più bassa, come si diceva, la percentuale di conferma, che viene definitivamente fissata nella misura del 20% (mentre prima, invece, era pari al 30%, per il primo triennio, ed al 50% per gli anni successivi).
Restano, invece, inalterate tanto le ipotesi di recesso che non si computano ai fini della percentuale di conferma (ovvero: recesso durante il periodo di prova, le dimissioni e il licenziamento per giusta causa), quanto le conseguenze derivanti dal mancato rispetto della percentuale medesima. Ricordiamo infatti che, in caso di mancato rispetto della percentuale di conferma, il datore di lavoro potrà, in ogni caso, assumere un numero di apprendisti pari al numero di apprendisti confermato nei trentasei precedenti più un ulteriore apprendista. Un apprendista può, comunque, essere assunto anche qualora il datore di lavoro non abbia confermato nessun apprendista nei trentasei mesi precedenti.
Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale (cd. di primo livello). Nell’apprendistato di primo livello, fatte salve disposizioni derivanti dalla contrattazione collettiva, è consentito che il compenso per le ore di formazione venga corrisposto nella misura del 35% del monte ore complessivo impiegato a tal fine. Con la legge di conversione è stato chiarito che tale misura costituisce un importo minimo consentendo, quindi, alle parti di stabilire una retribuzione più alta.
Viene esteso anche per questa tipologia di apprendistato la possibilità, prima riservata all’apprendistato professionalizzante, per i contratti collettivi di lavoro stipulati da associazioni di datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale di prevedere specifiche modalità di utilizzo del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato, per lo svolgimento di attività stagionali.
Apprendistato professionalizzante o di mestiere (cd. di secondo livello).
La legge di conversione ha modificato il decreto legge n. 34/2014 nella parte in cui rendeva pienamente facoltativa (in tal senso si era espressa la maggior parte degli interpreti) la formazione di base e trasversale, ossia quella di competenza delle Regioni.
La nuova formulazione della disposizione introduce, invece, un termine di 45 giorni entro il quale la Regione è tenuta a comunicare al datore di lavoro le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività
previste. L’offerta formativa pubblica potrà essere formulata anche tramite i datori di lavoro o le associazioni che si siano dichiarate disponibile. Tale termine decorre dalla comunicazione dell’instaurazione del rapporto di lavoro.
Si ritiene in ogni caso che, trascorsi i 45 giorni senza aver ricevuto alcuna comunicazione, il datore di lavoro possa limitarsi ad applicare le sole disposizioni contrattuali vigenti, e ciò in base al disposto del secondo periodo dell’art. 7, comma 7, del D. Lgs. n. 167/2011.
Apprendistato di alta formazione e di ricerca (cd. di terzo livello).
Con la legge di conversione è stata introdotta una deroga al limite minimo di età per le assunzioni con contrato di apprendistato di alta formazione e di ricerca limitatamente ai programmi sperimentali per lo svolgimento di periodi di formazione in azienda per gli studenti degli ultimi due anni delle scuole secondarie di secondo grado, previsti dall’art. 8- bis, comma 2, del Decreto Legge n. 104/2013 per il triennio 2014-2016 (cfr. art. 2, comma 2-bis del decreto legge n. 34/2014 come convertito dalla legge n. 78/2014).
DISPOSIZIONI TRANSITORIE (art. 2-bis)
Tra le novità più importanti introdotte dalla legge di conversione rientrano, senza dubbio, le disposizioni transitorie volte a disciplinare i profili di diritto intertemporale determinati dall’entrata in vigore della nuova disciplina.
Il primo comma chiarisce che le nuove disposizioni in materia di contratti a tempo determinato, somministrazione e apprendistato trovano applicazione solo per i rapporti di lavoro costituiti successivamente all’entrata in vigore del decreto legge. La norma, tuttavia, fa salvi gli effetti delle disposizioni introdotte dal decreto.
Il secondo comma prevede che le percentuali già contenute nei contratti collettivi nazionali conservano efficacia ai fini della deroga al limite del 20% di assunzioni a tempo determinato di cui all’art. 1, comma 1, del D. Lgs. n. 368/2001.
Conseguentemente, in via di prima interpretazione, le imprese che applicano contratti collettivi nazionali che prevedono un diverso limite percentuale per le assunzioni a tempo determinato saranno tenute a rispettare quel limite e non quello di legge del 20%.
Si ritiene, però (in attesa di chiarimenti da parte del Ministero del lavoro), che l’eventuale limite “diverso”, fissato dal contratto collettivo, possa continuare ad applicarsi ove abbia la stessa funzione del limite ora introdotto dalla legge, ossia nel caso preveda un complessivo tetto massimo di utilizzo del contratto a termine.
Più articolato è il contenuto del terzo comma.
La disposizione trova applicazione per i datori di lavoro che, alla data di entrata in vigore del decreto legge, abbiano avuto in corso un numero di contratti a tempo determinato che eccedeva il limite del 20%.
In questo caso, il datore di lavoro è tenuto a rientrare nel limite di legge entro il 31 dicembre 2014 a meno che un contratto collettivo applicabile in azienda preveda un diverso limite percentuale o un termine (temporale) più favorevole.
Merita di essere sottolineato che la norma, nel caso di specie, fa un generico riferimento alla contrattazione collettiva “applicabile in azienda” e che, pertanto, devono ritenersi valide anche le “deroghe” previste con accordo aziendale.
Più controversa è, invece, la previsione circa le conseguenze derivanti dal mancato tempestivo rientro nella percentuale di legge. Si prevede infatti che, in tal caso, “il datore di lavoro, successivamente a tale data, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel limite percentuale di cui al citato articolo 1, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo n. 368 del 2001”.
Dalla lettura sistematica del decreto legge risulta che il divieto all’ulteriore ricorso al contratto a tempo determinato costituisce l’unica conseguenza del mancato rientro nella percentuale entro il 31 dicembre 2014 (ovviamente, in assenza di contrattazione collettiva “in deroga”). La norma deve, infatti, essere letta in combinato disposto con l’art. 1, comma 2-ter, del decreto legge n. 34/2014 (come convertito dalla legge n. 78/2014), che esclude l’applicazione della nuova sanzione amministrativa pecuniaria per i rapporti di lavoro instaurati precedentemente alla data di entrata in vigore del decreto legge.
Questione diversa è invece se, sempre in assenza di contrattazione collettiva in deroga, sia possibile procedere a nuove assunzioni, oltre il limite di legge, prima del 31 dicembre 2014. In altre parole, ci si chiede se il limite del 20% sia immediatamente vincolante ovvero se, medio tempore, e fino al 31 dicembre 2014, le imprese possano superarlo, a condizione di “rientrare” nella percentuale a quella data.
A nostro avviso, il divieto di effettuare nuove assunzioni a termine dopo il 31 dicembre 2014, ove si sia superato il tetto del 20%, non può essere interpretato come “abilitante” il superamento della percentuale “medio tempore” (ossia fino al 31 dicembre 2014), mediante la stipula di nuovi contratti a termine.
Il disposto del primo comma dell’art. 2-bis, infatti, prevede l’applicazione delle nuove disposizioni ai rapporti costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legge e, quindi, condiziona, da subito, la possibilità di stipulare nuovi rapporti a tempo determinato al rispetto del limite percentuale previsto dall’art. 1, comma 1 del D. Lgs. n. 368/2001.
ELENCO ANAGRAFICO DEI LAVORATORI (art. 3)
Si precisa che si applica non solo ai cittadini italiani ma anche ai cittadini degli Stati Membri dell’Unione Europea e agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, la norma che prevede, per chi intende avvalersi dei servizi per l’impiego, di essere inseriti in un apposito elenco anagrafico, a prescindere dal luogo di residenza.
La legge di conversione ha lasciato sostanzialmente inalterata la disposizione operando esclusivamente alcune modifiche di coordinamento e sostituendo, più correttamente, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il riferimento ai cittadini comunitari con quello ai cittadini dell’Unione Europea.
Si prevede, altresì, che il soggetto privo di lavoro, per comprovare il suo stato di disoccupazione, possa presentarsi presso un servizio per l’impiego in qualsiasi ambito del territorio dello Stato e non più soltanto presso il servizio competente in base al suo domicilio. La legge di conversione ha aggiunto anche la possibilità di utilizzare a tal fine la posta elettronica certificata (PEC).
SEMPLIFICAZIONE DEL DURC (art. 4)
Si istituisce un nuovo sistema di verifica della regolarità contributiva con modalità telematiche, in tempo reale, nei confronti dell'INPS, dell'INAIL e, per le imprese edili, delle Casse edili. La legge di conversione ha chiarito che la verifica possa essere effettuata anche dall’impresa interessata.
La definizione delle modalità attuative è rinviata ad un decreto interministeriale (Lavoro - Economia- Semplificazione della PA) da adottarsi entro il 20 maggio - termine peraltro non perentorio - sentiti INPS e INAIL nonché, a seguito della legge di conversione, la Commissione nazionale paritetica per le Casse edili.
L’esito dell'interrogazione del sistema telematico ha una validità di 120 giorni e sostituisce, ad ogni effetto, il Documento Unico di Regolarità Contributiva, ovunque previsto, fatta eccezione per le ipotesi di esclusione che saranno individuate con lo stesso decreto attuativo.
Attraverso l’interrogazione del sistema telematico, la stazione appaltante può assolvere l’obbligo di accertamento della mancata commissione, da parte del fornitore, di violazioni gravi, accertate definitivamente, in materia di contributi previdenziali e assistenziali.
I criteri a cui si informerà il decreto attuativo sono i seguenti:
- la verifica della regolarità, in tempo reale, riguarderà i pagamenti scaduti sino all'ultimo giorno del secondo mese antecedente a quello in cui la verifica è effettuata, a condizione che sia scaduto anche il termine di presentazione delle relative denunce retributive. La verifica comprende anche le posizioni dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto che operano nell'impresa;
- la verifica avviene tramite un’unica interrogazione negli archivi dell'INPS, dell'INAIL e delle Casse edili che, anche in cooperazione applicativa, operano in integrazione e riconoscimento reciproco, indicando esclusivamente il codice fiscale del soggetto da verificare;
- individuazione delle tipologie di pregresse irregolarità di natura previdenziale ed in materia di tutela delle condizioni di lavoro da considerare ostative all’accesso ai benefici
normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale.
CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ (art. 5)
La legge di conversione ha modificato la precedente formulazione della disposizione, prevedendo che con decreto interministeriale del Ministero del Lavoro e dell’Economia siano fissati i criteri per la concessione del beneficio dello sgravio contributivo per i contratti di solidarietà per aziende che rientrano nel campo della CIGS. La precedente formulazione della disposizione, invece, demandava al decreto interministeriale l’individuazione “dei datori di lavoro beneficiari”.
Resta ferma lo stanziamento economico a sostegno del beneficio che è concesso nei limiti di 15 milioni di euro dal 2014.
La legge di conversione ha, però, rideterminato l’ammontare della riduzione contributiva che viene ora fissata nella misura unica del 35% per un periodo non superiore a 24 mesi sull’ammontare della contribuzione previdenziale ed assistenziale dovuta dalle aziende per i lavoratori interessati da una riduzione di orario in misura superiore al 20%.
Viene, infine, introdotto un onore di deposito dei contratti di solidarietà presso l'archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro, di cui all'articolo 17 della legge 30 dicembre 1986, n. 936 (CNEL).