LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TERMINE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI*
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO A TERMINE NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI*
di Xxxxxxxx Xxxxxx**
SOMMARIO
1. Il d. lgs. 276/2003 e l’applicazione alle pubbliche amministrazioni della nuova disciplina della somministrazione di lavoro. 2. Il contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato. 3. Causali e limitazioni. 4. I divieti di somministrazione. 5. Forma, contenuto necessario e autonomia negoziale del contratto di somministrazione di lavoro. 6. I contratti di lavoro finalizzati alla somministrazione tra ordinarietà e specialità. 7. La disciplina dei contratti di lavoro: i poteri, le obbligazioni, le tutele individuali e collettive. 8. Il regime sanzionatorio della somministrazione di lavoro non regolare: il quadro legale.
1. Il d. lgs. 276/2003 e l’applicazione alle pubbliche amministrazioni della nuova disciplina della somministrazione di lavoro.
La «somministrazione di lavoro», definita dal d. lgs 10.9.2003, 2761 (di seguito Decreto) come «fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine” (art. 1, 1° comma, lett. a), è un contratto commerciale mediante il quale una società di capitali (o cooperativa) denominata agenzia di lavoro, appositamente autorizzata, per un periodo di tempo indeterminato ovvero determinato fornisce ad un soggetto, definito utilizzatore, lavoratori subordinati i quali «per tutta la durata della somministrazione … svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore» (art. 20, comma 2, d. lgs 276).
Com’è evidente già da queste prime indicazioni, il nuovo contratto commerciale di fornitura di “manodopera” (ma l’espressione è impropria perché i lavoratori somministrati possono svolgere anche mansioni di esclusiva natura intellettuale) evoca una struttura tipicamente trilaterale poiché all’accordo tra agenzia e utilizzatore si affianca il contratto di lavoro tra agenzia e lavoratore somministrato strumentale alla esecuzione del primo; una struttura ed una attività già sperimentata nel nostro sistema con il lavoro interinale introdotto e disciplinato dalla L. n. 196 del 1997.
Ed invero, nel disegno tracciato dal d. lgs. 276/2003 la somministrazione di lavoro “prende il posto” del vecchio contratto di fornitura di lavoro temporaneo, assorbito e superato dalle molteplici possibilità di fornitura di lavoratori subordinati (v. infra) utilizzabili sia a tempo determinato che -novità assoluta nel nostro sistema- a tempo indeterminato (c.d. staff leasing).
Non solo. Proprio l’ampiezza dei casi e delle esigenze che legittimano il ricorso alla nuova somministrazione provocano un complessivo riassestamento della materia sin qui governata dal divieto generale di interposizione della L. 23.10.1960, n. 1369.
Infatti, il duplice impatto che la nuova disciplina della somministrazione provoca sull’ordinamento vigente si traduce nella abrogazione (salvo le code della disciplina transitoria, oramai cessate2) disposta dall’art. 85 del Decreto sia degli artt. 1-11 della L. n. 196/1997 (contenenti la disciplina della fornitura di lavoro temporaneo) sia della L. n. 1369/19603.
Ebbene, quanto di questa rivoluzione normativa coinvolga (per ciò qui interessa) la pubblica amministrazione emerge dalla lettura incrociata dell’art. 1, comma 2, -in linea con l’art. 6 della legge- delega secondo il quale «il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e il loro personale» 4- con l’art. 86 del Decreto, contenente le disposizioni transitorie.
* L’articolo è stato pubblicato sulla rivista Risorse umane nella pubblica amministrazione, n. 1 (gennaio-febbraio), 2005, pagg. 21- 65.
** Professore straordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli studi di Bari.
1 Il D. lgs. 276/2003 è stato modificato per taluni (in larga misura marginali) aspetti dal d. lgs. 6.10.2004, n. 251. Alla versione aggiornata della disciplina si farà pertanto riferimento nel corso della trattazione.
2 A partire dal 2 luglio 2004 data di entrata in vigore del DM 5.5.2004 che, con il DM 23.12.2003, hanno reso operative le Agenzie di somministrazione autorizzate alla fornitura professionale di lavoro.
3 Oltre che di «tutte le disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con il presente decreto», art. 85, comma 1, lett. i), del Decreto.
4 L’art. 6 della l. n. 30/2003, esclude dall’ambito di applicazione della delega di cui agli artt. 1-5 le pubbliche amministrazioni,
«ove non siano espressamente richiamate». Quali siano queste norme e sulla base di quali criteri la legge-delega non dice sicché anche qui si tratta di una vera e propria delega in bianco. Trova conferma ancora una volta la redazione a dir poco
Da una parte, infatti, l’art. 1, comma 2, del Decreto proclama che «Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale» così da giustificare il rinvio operato nel successivo art. 86, comma 8, alla iniziativa del Ministro per la funzione pubblica chiamato convocare i sindacati maggiormente rappresentativi «per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del presente decreto legislativo entro sei mesi anche al fine, anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia». In tal modo il legislatore delegato, osservando il mandato della legge-delega, sembra convinto che l’applicazione del nuovo e complesso quadro regolativo del Decreto debba essere applicato alla p.a. mediante provvedimenti (ma anche contratti collettivi, visto il coinvolgimento delle parti sociali) di armonizzazione.
Dall’altra parte, però, questo disegno viene in parte smentito poiché lo stesso art. 86, al comma 9, con una formula tutt’altro che lineare, introduce una importante eccezione a detta esclusione stabilendosi che, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, «la disciplina della somministrazione trova applicazione solo per quanto attiene alla somministrazione di lavoro a tempo determinato» (art. 86, comma 9), mentre resta esclusa la sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro connessa alla somministrazione irregolare (art. 27, comma 1)5.
In proposito si è sostenuto che si tratta di un’eccezione che, stante l’abrogazione degli artt. 1-11 L. 196/97, mira a fare “salvo il regime quo ante”6. La rassicurante conclusione è però smentita dalle profonde differenze tra il (restrittivo) regime della fornitura di lavoro temporaneo e l’indubbio ampliamento del mercato della somministrazione di lavoro (anche) a tempo determinato (v. oltre).
Non solo. Quella giustificazione è in fondo solo apparente in quanto il datore di lavoro pubblico è espressamente escluso (anche) dall’ambito di applicazione dell’art. 85 del Decreto le cui disposizioni, proprio per la loro limitata efficacia (al settore privato), sarebbe piuttosto da intendere quali altrettante “disapplicazioni”7.
In ogni caso, aldilà della tecnica normativa utilizzata, l’applicazione alle pubbliche amministrazioni della (sola) somministrazione a tempo determinato è un dato di fatto dal quale prendere le mosse per un’analisi di dettaglio di questa nuova tecnica di esternalizzazione.
2. Il contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato
Come si è già anticipato, la somministrazione di lavoro viene definita (art. 1.1, lett. a) come «fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ai sensi dell’art. 20» del Decreto.
Tuttavia, il rinvio a questa ultima disposizione del decreto, non aiuta molto a cogliere gli elementi costitutivi di un contratto commerciale che produce il curioso effetto di obbligare un soggetto terzo (il lavoratore), dipendente dell’Agenzia di lavoro, a svolgere la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore (art. 20, comma 2).
approssimata della legge n. 30/2003, nella quale il potere legislativo è stato affidato al Governo senza avere ben chiare le implicazioni che l’esercizio della delega avrebbe avuto su altre materie e istituti dell’ordinamento. Come in questo caso, nel quale l’estensione della somministrazione a tempo determinato alla P.A. si è resa necessaria in corso d’opera per effetto della decisione (del Governo) di abrogare gli artt. 1-11, della L. 196/1997 che avrebbero comportato la preclusione della possibilità di utilizzare la fornitura di manodopera in tutte le pubbliche amministrazioni: cfr. TIRABOSCHI, 2003, 66-67. Per l’affermazione della incostituzionalità della legge-delega nella parte in cui esclude il lavoro pubblico dal suo ambito di applicazione x. XXXXXXX, 2003, 16-17; di diverso avviso BORGOGELLI, 2004,
5 Quella proposta nel testo è in realtà una lettura ragionata della norma che recita testualmente «La previsione della trasformazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 27, comma 1, non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni cui la disciplina della somministrazione trova applicazione solo per quanto attiene alla somministrazione di lavoro a tempo determinato» (art. 86, comma 9). La norma si chiude poi con la precisazione che «Le sanzioni amministrative di cui all’art. 19 si applicano anche nei confronti della pubblica amministrazione»; precisazione inutile e anzi fuorviante perché non vengono richiamate le sanzioni penali previste dall’art. 18, nonché quelle per la somministrazione fraudolenta, che sono certamente applicabili anche quando soggetto attivo del reato sia la pubblica amministrazione (ma sul punto v. xxx.xx 8).
6 Così, TIRABOSCHI, 2003, 67. L’abrogazione, infatti, avrebbe comportato l’impossibilità per le pp.aa. di valersi del lavoro temporaneo, nonostante il l’espresso richiamo a questa forma di lavoro “flessibile” nell’art. 31, comma 1, del d. lgs. 165/2001.
7 Così, XXXXXXXX, 2003, 254-255, seppure con riferimento alla l. n. 30/2003. Cfr., con riferimento alla somministrazione a termine e all’abrogazione degli artt. 1-11, l. 196/1997, BORGOGELLI, 2004, 28.
Chiarite, infatti, le esigenze che consentono la fornitura a termine di lavoratori (comma 4) e le ipotesi che, viceversa, la vietano (comma 5), l’art. 20 del decreto null’altro aggiunge ed è piuttosto il successivo art. 21 a indicare alcune clausole (melius, il contenuto di alcune clausole) che devono, a pena di annullabilità, essere contenute nel contratto di fornitura.
In ogni caso, dal punto di vista tipologico (e, quindi, del completamento del regolamento legale) la somministrazione di lavoro (genus) sembra possa essere ricondotta al contratto di somministrazione di cose (species), di cui all’art. 1559 e ss. c.c., e quindi alle molteplici clausole (tra le quali, ad es., quelle in tema di esclusiva e di recesso) che costituiscono la rete della disciplina legale di questa tipologia contrattuale.
La sussunzione della nuova fattispecie in quella codicistica, se chiarisce in termini definitivi che l’obbligazione tipica del debitore della fornitura di lavoro consiste (non nella messa a disposizione di lavoratori, bensì) nell’assicurare la effettiva prestazione dei lavoratori somministrati, non impedisce ovviamente alle parti (e nella specie proprio alle pp.aa.) di inserire clausole e pattuizioni miranti a rendere il contratto più vantaggioso ovvero meglio rispondente alle esigenze perseguite.
Trattandosi, infatti, di un contratto (non di lavoro, ma) commerciale le parti sono libere di esercitare la propria autonomia contrattuale. E’, quindi, ben possibile che il bando di gara preveda (fermo rimanendo il contenuto necessario prescritto dall’art. 21 del decreto) l’inclusione nel contratto della clausola che obblighi l’agenzia di somministrazione a garantire la continuità della fornitura e, quindi, a sostituire prontamente il lavoratore somministrato impossibilitato a rendere la prestazione8.
Ma, ovviamente, questa non è affatto l’unica possibilità di “adeguamento” della somministrazione alla esigenze delle pp.aa. come via via si osserverà nel corso del lavoro.
3. Causali e limitazioni.
Il contratto commerciale di somministrazione a termine (a differenza dello staff leasing, ancorato a casi elencati e tipizzati dal legislatore) risulta legittimamente stipulabile in presenza di «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore» (art. 20, comma 3).
Com’è evidente, la differenza rispetto alla fornitura di lavoro regolata dalla l. 196/97 -che pure ne costituisce l’antecedente- è enorme giacché si passa da prestazioni fornite per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo ad una somministrazione di lavoro causalmente fondata su clausole generali, idonee a soddisfare esigenze riferibili anche all’ordinaria attività della P.A. (ma v. infra).
Viene meno così il ruolo assegnato dalla L. 196/1997 alla contrattazione collettiva di individuare (integrando le due ipotesi legali9) i casi di legittima conclusione del contratto di fornitura, nonché quelli vietati a causa del contenuto delle mansioni (specie quando pericolose per la sicurezza del lavoratore o dei terzi). Nella nuova somministrazione a termine ai contratti collettivi nazionali di comparto è riservata esclusivamente la facoltà di introdurre «limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato», nel rispetto però delle esenzioni stabilite dall’art. 10 del D. lgs. 368/01 in materia di limiti quantitativi alla stipulazione di contratti a tempo determinato, che il Decreto espressamente richiama10.
8 Resta ovviamente esclusa l’ipotesi di assenza dovuta a sciopero del lavoratore somministrato che ai sensi dell’art.20, comma 5, del Decreto costituisce una vera e propria fattispecie di divieto di somministrazione.
9 E cioè la sostituzione di lavoratori assenti e la temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti produttivi dell’impresa, già previste dall’art. 1, comma 2, l. n. 196/97.
10 L’introduzione di limiti quantitativi non è consentita: nella fase di avvio di nuove attività per i periodi definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, anche in misura non uniforme, con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525; per l'intensificazione dell'attività lavorativa in determinati periodi dell'anno; per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi. A tali ipotesi devono aggiungersi le somministrazioni stipulate a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, ovvero quelle stipulate con lavoratori di età superiore ai cinquantacinque anni, o conclusi per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti o predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario o occasionale e, infine i contratti di somministrazione a tempo determinato non rientranti nelle precedenti tipologie, di durata non superiore ai sette mesi, compresa la eventuale proroga, ovvero non
Né queste considerazioni sono messe in discussione dalla disciplina transitoria del Decreto lì dove, in considerazione dell’abrogazione della l. 196/1997, sono fatte salve, ma solo fino alla loro naturale scadenza, le clausole dei contratti collettivi «con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che consentono la somministrazione di lavoro» (art. 86, comma 3, del Decreto)
Si tratta, infatti, di causali che si aggiungono (melius, aggiungevano, vista la scadenza dei contratti collettivi di comparto11) a quelle generali previste dall’art. 20, comma 3, del Decreto sicché il valore di tale rinvio è praticamente nullo. Invero, le «ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore» della somministrazione a termine sono talmente ampie da includere e assorbire le causali temporanee specificate dalla contrattazione collettiva attuativa del rinvio dell’art. 1, comma 2, lett. a), L. 196/1997. La conferma, oltre che dalla lettera delle norme richiamate, è contenuta nel D.M. 23.12.2003 (contenente la disciplina transitoria e di raccordo tra la vecchia fornitura della L. 196/97 e la nuova somministrazione di lavoro) e nella relativa circolare esplicativa n. 25 del 24.6.2004 dove, peraltro, si precisa che -proprio in virtù della espressa limitazione stabilita nella norma di salvaguardia- è venuta meno l’efficacia delle clausole dei contratti collettivi che escludevano il ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo per determinate mansioni così come quelle che prevedevano contingentamenti quantitativi alla fornitura di lavoro.
Ciò dovrebbe valere, evidentemente, anche per il limite del 7% gia fissato in via generale per le pp.aa. dal CCNQ 9.8.2000 per la disciplina del rapporto di lavoro del personale assunto con contratto di fornitura di lavoro temporaneo.
Tuttavia, le indicazioni e le conclusioni di fonte legale e ministeriale, certamente valide per il lavoro privato, non sembrano del tutto appaganti per quel che concerne il settore pubblico. Qui, infatti, vi è una argomentata proposta interpretativa che si basa sulla “lettura” della disciplina del Decreto attraverso le disposizioni (generali) del D. lgs. 165/2001 e specificamente dell’art. 36, comma 1, in tema di applicazione alle pp.aa. delle forme contrattuali flessibili di impiego. Xxxxxx, i contratti collettivi del settore pubblico avrebbero (e continuerebbero ad avere) vigore in quanto sono essi che “provvedono a disciplinare la materia …. della fornitura di prestazioni lavoro temporaneo … della legge 24 giugno 1997, n. 196, nonché di ogni successiva modificazione o integrazione” (art. 36, comma 1, d. lgs. 165/01).
Questa posizione rafforzata della contrattazione collettiva quale mediatore necessario dell’applicazione al lavoro pubblico dei contratti della flessibilità, in altri termini, non verrebbe smentita ma confermata dal Decreto sia sul piano generale, mediante il meccanismo di armonizzazione della sua disciplina alle specificità delle pubbliche amministrazioni (art. 86, comma 8, del Decreto)12, sia con riferimento alla somministrazione a termine la cui applicazione, provvisoriamente (ex art. 86, comma 9, del Decreto), dovrebbe avvenire in osservanza della disciplina della fornitura di lavoro dei contratti collettivi nazionali quadro e di comparto.
A questa incertezza, si aggiunge quella a largo spettro concernente la portata della clausola generale dell’art. 20, comma 4, del Decreto. Invero, una parte della dottrina che si è cimentata sul punto, pone l’accento sul riferimento alla ordinaria attività dell’utilizzatore quale manifestazione della volontà del legislatore di estendere la somministrazione a termine a ogni esigenza rientrante nella sfera tecnica, produttiva, organizzativa ovvero sostitutiva dell’attività della P.A. (come di qualsiasi altro utilizzatore)13.
superiore alla maggiore durata definita dalla contrattazione collettiva con riferimento a situazioni di difficoltà occupazionale per specifiche aree geografiche.
11 Di qui il valore meramente ricostruttivo, nell’ambito del lavoro pubblico, della questione nascente dal rinvio alla contrattazione collettiva dell’art. 86, comma 3, del Decreto.
12 La norma prevede che i profili di questa armonizzazione siano il frutto dell’esame del complesso delle innovazioni introdotte dal Decreto tra il Ministro per la funzione pubblica e le xx.xx. maggiormente rappresentative dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
13 Cfr., XXXXXXXXXX, 2003, 70; XXXXXX, 0000, 99 ss., ed ivi per ulteriori riferimenti. Secondo questa dottrina, il riferimento alla «ordinaria attività dell’utilizzatore», integra e chiarisce la natura delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; ragioni, queste ultime, che evocano la formula già utilizzata nell’art. 1, comma 1, d. lgs. 368/2001 contenente la disciplina del contratto di lavoro a termine attorno alla quale si è sviluppato un ampio dibattito (tutt’altro che sopito) proprio in ordine alla necessaria temporaneità o meno delle ragioni atte a giustificare l’apposizione del termine. In particolare, si è osservato che la precisazione contenuta nell’art. 20, comma 3, del Decreto è stata introdotta proprio per evitare il riproporsi nella somministrazione di lavoro a termine della contrapposizione sulla portata delle causali legittimanti che affanna il contratto di lavoro a termine.
Di qui la tendenziale natura “acausale” del nuovo istituto, nel senso di essere svincolato da esigenze tipiche e precostituite -in funzione limitativa- dalla legge, coincidendo quelle indicate nel comma 4 dell’art. 20 con ognuna delle infinite ragioni non arbitrarie né illecite14 ispirate all’interesse pubblico da perseguire e alla libera interpretazione che dello stesso ne dà la p.a.15
Altra parte della dottrina, al contrario, vede confermata nella clausola in esame la natura temporanea delle esigenze suscettibili di essere (legittimamente) soddisfatte mediante fornitura di lavoro16. Ciò in quanto la ordinarietà dell’attività non si contrappone né è incompatibile con la temporaneità dell’esigenza tecnico-produttiva o organizzativa, potendo darsi fasi ciclicamente stabili nell’attività e tuttavia temporalmente limitate17.
Peraltro, quale che sia la soluzione di questa querelle sulla temporaneità o meno delle esigenze evocate dall’art. 20, comma 4, del Decreto, vi è un’altra e rilevante questione che coinvolge direttamente la clausola legale in esame la cui formulazione non appare rispettosa della legge-delega n. 30/2003. Il mandato assegnato dal Parlamento al Governo, infatti, era quello di introdurre una nuova disciplina basata, tra gli altri, sul criterio della «ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali» (art. 1, comma 2, lettera m), n. 2, l. 30/2003).
Occorreva, pertanto, che entro l’ambito oggettivo di riferimento (le ragioni tecniche, produttive o organizzative), il legislatore delegato procedesse, direttamente o a mezzo rinvio ai contratti collettivi, ad individuare le concrete condizioni di ammissibilità della somministrazione di manodopera.
Così però non è stato in quanto l’art. 20, comma 4, del Decreto si è limitato a ripetere le ragioni (con l’aggiunta della sostituzione) dettate dalla legge delega; ragioni che, senza alcune specificazione, sono diventate esse stesse le generiche e indistinte causali della somministrazione a tempo determinato18, con una chiara violazione dell’art. 76 cost.
Il complesso degli elementi di incertezza sulla portata e sulla stessa legittimità della clausola generale di cui all’art. 20, comma 4, del Decreto, consigliano un uso molto accorto di questo nuovo strumento della flessibilità. Invero, secondo quanto ripetutamente segnalato nelle prime riflessioni sull’applicazione della somministrazione a termine nella p.a.19, in attesa delle prime indicazioni giurisprudenziali ovvero di precisi interventi (legislativi o contrattuali) di armonizzazione ex art. 86, comma 8, del Decreto, sembra opportuno optare per l’utilizzazione della somministrazione esclusivamente nell’ambito delle causali già tipizzate nella contrattazione di comparto (ex L. 196/1997 e CCNQ 9.8.2000) o, al più, caratterizzate dalla temporaneità delle esigenze da soddisfare (ad es. specifico progetto o programma di lavoro).
4. I divieti di somministrazione
14 Secondo le espressioni di VALLEBONA, PISANI, 2001, 26, seppure utilizzate con riferimento alla clausola generale di cui all’art.1.1 d. lgs. 368/2001.
15 L’ampiezza della causale legale dell’art. 20, comma 4, del Decreto sembra trovare ulteriore conferma nel successivo art. 27, comma 3. Qui si prescrive che il controllo giudiziale è limitato esclusivamente («in conformità ai principi generali dell’ordinamento») all’esistenza delle ragioni che giustificano la somministrazione «e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito le valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all’utilizzatore». In tal modo, ci sembra inutilmente, la norma ricorda che il giudice è abilitato (qui al pari che in ogni dove nell’ordinamento) a verificare la corrispondenza tra l’esigenza dichiarata e quella effettiva in ossequio al principio di trasparenza implicato nell’obbligo di motivazione, mentre non ha alcun potere di spingere il controllo fino a verificare la ragionevolezza ovvero la meritevolezza delle scelte contrattuali miranti a soddisfare l’esigenza dichiarata.
16 Cfr. SPEZIALE, 2004, 323; SOLOPERTO, 2004, 113-115.
17 Resta il fatto però che così intesa la precisazione dell’art. 20, comma 4, del Decreto risulta del tutto inutile in quanto non si dubita che la formula “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” sia già di per sè sufficiente a legittimare la somministrazione a termine nei casi di attività temporanee cicliche o stagionali.
18 Cfr., XXXXXX, 2004, 106, ma già DEL PUNTA, 2003, 79, il quale, interpretando la delega, ha sostenuto che essa imponeva di specificare le regioni giustificative, “altrimenti la formula della delega sarebbe stata sufficiente a se stessa”.
19 Cfr., XXXXXXX E ALTRI, La somministrazione di lavoro a termine, in Lavoro pubblico e flessibilità, Manuale operativo, Formez, 2004, 165/166; SOLOPERTO, 2004, 114/115, il quale peraltro indica quale utile esemplificazione delle causali cui fare riferimento per la somministrazione quella contenuta nell’art. 10, comma 7, del d. lgs. 368/2001-
Fissate le causali del contratto, l’art. 20, comma 5, del Decreto stabilisce i casi nei quali la somministrazione di lavoro è vietata, individuandoli in termini identici a quelli del d. lgs. 368/2001 sul contratto di lavoro a termine (vero e proprio paradigma di riferimento per il legislatore delegato), mentre risulta in parte -ma significativamente- manomesso il sistema dei divieti di fornitura di lavoro dell’art. 1, comma 4, L. 196/1997.
Il contratto di somministrazione non è consentito nei casi di sostituzione di lavoratori in sciopero e di mancata valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori da parte della p.a. utilizzatrice.
A questi va aggiunto il divieto di somministrare lavoro presso unità produttive nelle quali nei sei mesi precedenti (i mesi erano dodici nella vecchia disciplina del lavoro temporaneo) si sia proceduto a licenziamenti collettivi (ex artt. 4 e 24 L. 23.7.1993, n. 223); divieto che scatta quando i lavoratori siano somministrati per lo svolgimento delle stesse mansioni di quelli licenziati.
Com’è evidente, si tratta di una prescrizione espressamente confenzionata per il settore privato ma che può trovare applicazione anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni all’esito della procedura di dichiarazione degli esuberi di personale e di collocamento in disponibilità (art. 33, d. lgs. 165/2001). Quest’ultimo, infatti, è un meccanismo di gestione delle eccedenze definitive di personale che realizza nel settore pubblico ciò in quello privato fa la L. 223/1991 che, del resto, viene espressamente richiamata a completamento della procedura di collocamento in disponibilità20.
Va tuttavia segnalato che, a differenza di quanto stabiliva la l. 196/1997, il divieto connesso a situazioni di crisi dell’unità produttiva può essere rimosso ad opera di non meglio precisati «accordi sindacali». La norma, anche per l’indeterminatezza dei soggetti abilitati ad introdurre la deroga, si presta a possibili elusioni e deve perciò essere interpretata e applicata in termini particolarmente stringenti. Peraltro, proprio il fatto che si parli di accordi sindacali nell’ambito di un contesto regolativo che richiama le procedure di cui agli artt. 4 e 24 della l. 223/1991, consente di ritenere che la deroga si riferisca proprio agli accordi gestionali previsti e disciplinati dai suddetti artt. 4 e 24, anche in ordine ai soggetti collettivi abilitati a sottoscriverli.
Certamente inapplicabile alle pp.aa. è invece l’ultimo divieto concernente la somministrazione di lavoro presso unità produttive presso le quali sia in atto una sospensione o riduzione di orario di lavoro con trattamento di integrazione salariale, stante l’esclusione della P.A. dall’ambito di applicazione della Cassa integrazione guadagni. in entrambe le ipotesi la limitazione concerne i soli lavoratori adibiti alle stesse mansioni oggetto del contratto di somministrazione.
Non risultano invece riproposti i divieti di fornitura di manodopera per lo svolgimento di attività lavorative pericolose21. Si tratta di una scelta decisamente censurabile in considerazione delle finalità di tutela perseguite dai divieti oggi abrogati che, peraltro, mostra di ignorare la grave incidenza degli incidenti sul lavoro proprio con riferimento ai lavoratori c.d. flessibili22.
5. Forma, contenuto necessario e autonomia negoziale del contratto di somministrazione di lavoro
Come si è già osservato, la nuova fattispecie di somministrazione di lavoro se per un verso apre ampi spazi alle autonome pattuizioni dei contraenti (Agenzia e pp.aa.), dall’altro lascia intatta la necessità di rispettare le norme specificamente dettate dal Decreto per la sottoscrizione del relativo contratto.
Tra queste, un ruolo centrale ha indubbiamente l’art. 21 che, preliminarmente, impone la forma scritta (comma 1) ad substantiam, e sanziona espressamente la sua mancanza con la nullità del contratto23.
Ebbene, entro questa cornice formale, l’art. 21 elenca una serie di elementi che devono essere contenuti nel contratto di somministrazione, una parte dei quali costituisce una mera riproposizione, con taluni
20 Cfr. SOLOPERTO, 2004, 116.
21 Si tratta delle mansioni pericolose individuate dalla contrattazione collettiva, delle lavorazioni che richiedono sorveglianza medica ovvero dell’esecuzione dei lavori pericolosi individuati con decreto del Ministro del lavoro: art. 1, comma 4, lett. a) e f), L. n. 196/1997.
22 Cfr., BORTONE, 1999, 324-235.
23 Così dispone l’ultimo comma dell’art. 21, modificato dall’art. 5 del d. lgs. 6.10.2004, n. 251 (decreto correttivo del decreto
276) il quale stabilisce altresì che alla nullità del contratto consegue che «i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore». Sulla inapplicabilità di questa sanzione alla pubblica amministrazione v. xxx.xx 8.
adattamenti terminologici, delle clausole che la L. n. 196/97 richiedeva per la validità del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.
Scendendo più nei dettagli, va osservato che nell’elenco dell’art. 21 vi sono elementi che non abbisognano di particolare approfondimento in quanto sono di piana lettura e di chiaro significato. Così è, in particolare, per ciò che concerne l’indicazione degli estremi dell’autorizzazione del somministratore (lett. a) nonché della data di inizio e della durata del contratto (lett. e). Quest’ultima, peraltro, potrà essere individuata con l’indicazione di una data di scadenza ovvero di un evento certo nel se ma non nel quando.
Di particolare interesse è l’obbligo di stabilire nel contratto il numero dei lavoratori da somministrare (lett. b), integrata e rafforzata dalla prescrizione di indicare altri elementi (sempre necessari) attinenti ai connotati essenziali della prestazione dei lavoratori somministrati, quali «mansioni» e «inquadramento» (lett.
f) nonché «il luogo, l’orario» di lavoro (lett. g).
Se ne deduce, infatti, a conferma di quanto già stabilito dalla L. 196/1997 per il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, che è esclusa la legittimità di somministrazioni a “borsa aperta” in quanto, sin dalla stipulazione del negozio, dovrà esservi un chiaro e definito programma di lavoratori da utilizzare da parte della p.a., individuati oltre che per numero complessivo, per mansioni e qualifiche nonché per sede di lavoro (v. infra). Ciò non toglie, tuttavia, che queste indicazioni necessarie possano essere determinate in modo da consentire all’amministrazione utilizzatrice una certa elasticità e, ancor più, di conciliare risposta tempestiva alle proprie esigenze con la necessità di espletare le procedure di evidenza pubblica per selezionare l’agenzia di fornitura.
Posto, infatti, che è ben possibile che i lavoratori vengano somministrati (non tutti insieme, ma) in tempi diversi e che, in ogni caso, sono possibili variazioni al programma iniziale, nel contratto di somministrazione si potrà precedere la facoltà per l’amministrazione utilizzatrice di chiedere l’invio di un numero di lavoratori inferiore di quello (opportunamente più ampio) stabilito nel contratto. Un’altra strada, meglio rispondente ai molteplici profili coinvolti, può essere quella della stipulazione -all’esito delle procedure di evidenza pubblica- di contratto normativo tra agenzia e p.a. che stabilisca ad es. i costi orari per categoria di lavoratori rinviando a successivi contratti di somministrazione (attivabili a richiesta della p.a.) la concreta fornitura di lavoratori da somministrare (individuati per numero, qualifica ecc.)24.
Un elemento introdotto per dare chiarezza e trasparenza alla fattispecie negoziale è la prescrizione che vengano espressamente indicate le ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive della somministrazione (lett. c) in modo da consentire, con immediatezza e certezza, la verifica della rispondenza del contratto alle causali legali. In proposito, va segnalato che esse dovranno essere specifiche, idonee a stabilire la concreta utilizzazione dei lavoratori da somministrare e, viceversa, non risolversi in affermazioni generiche o in clausole di stile.
Ciò si evince non solo dal tenore letterale della norma ma anche dalla necessità di rendere possibile e concreto il controllo sia delle organizzazioni sindacali, alle quali vanno comunicati «i motivi del ricorso alla somministrazione» (art. 24, comma 4, decreto: v. infra), sia del lavoratore somministrato il quale, destinatario di tutte le «informazioni» contenute nel contratto di fornitura (art. 21, comma 3: v. infra), dovrà essere posto nella condizione di verificare la rispondenza del proprio impiego alle causali dichiarate della somministrazione25.
Come già per il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, l’art. 21 del decreto prescrive altresì l’indicazione del «trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative» (lett. g). In proposito va rimarcato che tale trattamento non è liberamente determinabile in quanto deve essere «complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte» (art. 23, comma 1). Di qui l’opportuno l’inserimento nel contratto di fornitura (sempre tra gli elementi necessari) della clausola che obbliga l’utilizzatore a «comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili» (art. 21, lett. j) consentendo così all’Agenzia somministrante di acquisire il paramento di riferimento necessario a quantificare l’ammontare della retribuzione complessiva dovuta al proprio dipendente (v. xxx.xx 7)
24 Cfr., SOLOPERTO, 2004, 124.
25 Cfr., MORONE, 2004, 49.
Di nuova introduzione è l’obbligo di indicare nel contratto «la presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate» (art. 21, lett. d). La ragione dell’indicazione di tale ulteriore elemento nel contratto di somministrazione va ricondotta alla eliminazione del divieto di fornitura di lavoratori da adibire a mansioni di maggiore pericolo, già previsto dalla l. 196/97 (art. 1, comma 4, lett. a)26. Previsione meritoria, questa, anche perché costringendo agenzia e pp.aa. a dichiarare i rischi per la salute (seppure solo «eventuali») e le misure di prevenzione farà sì che di tali elementi il lavoratore somministrato avrà specifica conoscenza per effetto dell’obbligo di comunicazione dell’art. 21, comma 3 (v. infra).
L’art. 21 dispone, infine, che il contratto di somministrazione contenga clausole dirette a disciplinare gli obblighi facenti capo ai due contraenti (agenzia e pp.aa.) rispetto al trattamento economico e normativo dovuto a lavoratori somministrati.
Così, mentre da un lato si prescrive quale contenuto necessario del contratto che l’Agenzia deve assumersi la «obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali» (lett. h) dall’altro si impone di stabilire che la pp.aa. utilizzatrice si obblighi di provvedere a «rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro» (lett. i) nonché, in caso di inadempimento dell’Agenzia, «al pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore» (lett. k).
Come si vede le prime due obbligazioni attengono alla struttura tipica della somministrazione di lavoro la cui esecuzione presuppone un contratto di lavoro nell’ambito del quale il datore di lavoro (agenzia) assume e paga (versando i relativi oneri previdenziali) un lavoratore perché questi svolga la sua attività in forma subordinata presso un terzo utilizzatore (nella specie la pp.aa.) il quale, a sua volta, rimborsa al datore di lavoro gli oneri da questi sostenuti in favore del lavoratore27. Il terzo elemento contenutistico completa il quadro delle tutele costruite a favore dei lavoratori somministrati in quanto impone che nel contratto di somministrazione la pp.aa. utilizzatrice si costituisca debitore solidale nei confronti dei medesimi lavoratori per il caso di inadempimento del somministratore nel pagamento delle retribuzione e nel versamento dei contributi. Sicché, nel caso si verifichi tale inadempimento la pp.aa. sarà tenuta al pagamento diretto di retribuzioni e oneri riflessi a prescindere dal fatto che abbia o meno versato (ovvero rimborsato) quanto contrattualmente dovuto all’agenzia. La disposizione in esame, condizionando il sorgere dell’obbligo di pagamento diretto dell’utilizzatore all’inadempimento del somministratore, chiarisce che il lavoratore deve preventivamente esigere la retribuzione dall’agenzia28. Proprio il valore di clausola a favore del terzo (il lavoratore) di tale elemento contenutistico imposto dal decreto al contratto di somministrazione (alias, alle parti stipulanti tenute a provvedervi) comporta che una sua eventuale mancanza faccia scattare il meccanismo della integrazione contrattuale (ex art. 1374 c.c.).
Si tratta di una conclusione, peraltro, che vale anche per le altre clausole a contenuto obbligatorio (anche se non qualificabili a favore di terzo) individuate e imposte al contratto di somministrazione poiché tutte le prescrizioni elencate dall’art. 21, comma 1, hanno natura imperativa in quanto sanzionate, in caso di violazione, con una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 18, comma 3, v. xxx.xx 8)29.
26 Va tuttavia osservato che se è vero che nel sistema della L. 196/1997 le mansioni rischiose potevano essere escluse dalla fornitura, è altrettanto vero che ciò non sempre è avvenuto e non per tutte le mansioni soggette a rischio (anche) grave, come si evince a chiare lettere dal disposto dell’art. 6, comma 1, L. 196/97 che regolava l’ipotesi dei prestatori di lavoro temporaneo adibiti a mansioni per le quali era richiesta la sorveglianza medica speciale o che comportassero rischi specifici per la salute.
27 Che includono (ma non si esauriscono con) le retribuzioni e i contributi previdenziali e assicurativi in quanto l’agenzia, per ogni lavatore, versa un contributo pari al 4% della retribuzione in favore dei fondi per la formazione e l’integrazione del reddito di cui all’art. 12 del decreto. Ovviamente, anche l’ammontare di tali contributi è oggetto dell’obbligazione di rimborso gravante sull’utilizzatore.
28 Si tratta di una sorta di beneficium excussionis che si aggiunge alla solidarietà dell’obbligazione di pagamento dei trattamento retributivo previdenziale ribadita sul piano (non del contratto di somministrazione ma) del contratto di lavoro dall’art. 23, comma 3, del decreto.
29 Cfr., MORONE, 2004, 51.
L?art. 21, comma 2, del Decreto, infine, riferendosi a tutti gli elementi sin qui ricordati, impone alla agenzia e alla pp.aa. di recepire nel contratto di somministrazione, ove esistenti, «le indicazioni contenute nei contratti collettivi». Si tratta di un rinvio che assegna ai contratti collettivi (di qualsiasi livello), siano essi quelli applicati dalle pubbliche amministrazione ovvero dalle agenzie di somministrazione, il potere di chiarire e specificare il contenuto delle clausole obbligatorie, ma non di introdurre deroghe o modificazioni alle prescrizioni legali.
Nella complessa rete normativa in esame va, in conclusione, segnalata la presenza di disposizioni non riferibili alla pubblica amministrazione ovvero a essa certamente inapplicabili, frutto delle modalità non poco improvvisate -come si è visto- della estensione della somministrazione a termine alle pp.aa. Tra queste meritano di essere menzionate in ragione della novità che introducono rispetto alla disciplina della L. 196/1997, sia la possibilità di limitare la (ordinaria e, sin qui, inderogabile) facoltà dell’utilizzatore di assumere i lavoratori una volta cessato il contratto di somministrazione a tempo determinato30; sia, ancora, la possibilità per il somministratore di esigere o, comunque, di percepire compensi dal lavoratore31.
6. I contratti di lavoro finalizzati alla somministrazione tra ordinarietà e specialità .
L’art. 22, comma 1, del decreto stabilisce che «In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali». Ugualmente in termini di rinvio si esprime il successivo comma 2, in base al quale
«In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile».
Queste due prime disposizioni, pertanto, sembrano affermare la regola che mentre nello staff leasing sono ammesse assunzioni con qualunque tipologia di contratti di lavoro subordinato altrettanto non vale per la somministrazione a tempo determinato, che dovrebbe essere eseguita da lavoratori assunti solo con contratto a tempo determinato32.
Tuttavia, nonostante l’ambigua formulazione specie di questa ultima disposizione, vi è ampia convergenza in dottrina sul fatto che per la esecuzione di una somministrazione a tempo determinato l’Agenzia possa utilizzare, oltre che lavoratori assunti appositamente a termine, anche prestatori con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
In particolare, spinge in questa direzione, anzitutto, la palese e grave irragionevolezza di un assetto regolativo che si risolverebbe nell’introdurre limiti alla libertà di azione dell’Agenzia in funzione (non dell’aumento ma, paradossalmente) della diminuzione dello standard di tutela dei lavoratori, privati della possibilità di accesso al contratto di lavoro a tempo indeterminato.
In ogni caso, ad evitare queste paradossali e irragionevoli conseguenze sovviene il comma 3 dell’art. 22 del Decreto che regolamenta la «indennità mensile di disponibilità» dovuta dall’Agenzia ai lavoratori a tempo indeterminato per i periodi di inattività tra una missione e l’altra e così, implicitamente ma chiaramente, conferma la insussistenza di una correlazione tipologica necessaria tra i contratti di lavoro e i contratti di somministrazione.
30 In particolare, dichiarata la nullità della clausola diretta a limitare -anche indirettamente- la facoltà dell’utilizzatore di assumere i lavoratori una volta cessato il contratto di somministrazione a tempo determinato (art. 23, comma 8, del Decreto), l’art. 23, comma 9, del Decreto, stabilisce che la nullità può non trovare applicazione -e, quindi, il patto limitativo dell’assunzione può essere validamente convenuto- quando, usufruendo di una apposita e necessaria clausola “autorizzatoria” del contratto collettivo applicabile al somministratore, sia corrisposta al lavoratore «una adeguata indennità» .
31 In proposito, l’art. 11 del Decreto, dopo aver ribadito il divieto per il somministratore di esigere o comunque percepire - direttamente o indirettamente- compensi dai lavoratori, prevede la possibilità che il divieto sia rimosso «per specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati» ovvero «per specifici servizi offerti dai soggetti autorizzati o accreditati» anche in tal caso ad opera di contratti collettivi stipulati da associazioni datoriali e dei lavoratori comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale.
32 In questi termini TIRABOSCHI, 2003, 73.
Non avrebbe molto senso, infatti, disciplinare il trattamento economico-normativo che compete, tra un’assegnazione e l’altra, al dipendente a tempo indeterminato dell’agenzia, se tale disciplina non fosse riferita proprio ai contratti di somministrazione a termine33
In altri termini, nonostante l’andamento ondivago del legislatore e taluni effetti di regolamentazione differenziata di dubbia ragionevolezza che ne derivano34, il quadro che alla fine si delinea è quello di una completa e indistinta agibilità nell’esecuzione di entrambi i tipi di somministrazione sia del contratto a termine, sia di quello a tempo indeterminato.
Più discutibile è invece l’utilizzabilità, sempre ai fini dell’esecuzione di una somministrazione a termine, delle altre tipologie speciali di contratto di lavoro e, in particolare -stante l’inapplicabilità del Decreto al settore pubblico che vale ad escludere tutte le nuove tipologie della flessibilità- il contratto di lavoro part time (oggetto di leggi speciali). Invero, rinviando alla “disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali”, l’art. 22, comma 1, lascia intendere che soltanto nella somministrazione a tempo indeterminato sia possibile utilizzare contratti di lavoro speciale (come per l’appunto il part time), viceversa, preclusi nelle somministrazioni a termine.
Tuttavia, proprio per quel che concerne il contratto di lavoro a tempo parziale la sua inutilizzabilità nella somministrazione a tempo determinato può essere scongiurata in ragione della certa utilizzabilità, per l’esecuzione di tale somministrazione, del contratto di lavoro a tempo determinato disciplinato dal
d. lgs. 368/2001 il quale può essere stabilito «con rapporto a tempo parziale» (art. 46, comma 1, lett. c)35.
Ad una lettura sistematica, l’art. 22 del decreto propone in maniera esplicita una costruzione normativa che esclude il benché minimo carattere di specialità del rapporto di lavoro tra agenzia e dipendente (da somministrare) strutturandolo, viceversa, secondo i contenuti tipici del contratto di lavoro subordinato dell’art. 2094 c.c. e delle sue varanti, ivi inclusa quella connessa all’apposizione del termine. L’effetto principale (forse esclusivo: v. infra) di questa scelta è l’abrogazione dell’obbligo di stipulazione in forma scritta del contratto (già speciale36) di lavoro del prestatore assunto per essere somministrato, sostituito da un semplice obbligo per l’agenzia di comunicargli i contenuti del contratto di somministrazione, con l’aggiunta della data di inizio e della durata prevedibile dell’attività lavorativa presso la pp.aa. (art. 21, comma 3, decreto). In altri termini, il contratto di lavoro tra agenzia e lavoratore da somministrare dovrà avere i requisiti formali e contenutistici propri del tipo contrattuale concretamente prescelto dalle parti, integrati da tutte le informazioni attinenti al contenuto del contratto di somministrazione tra agenzia e pp.aa., da comunicarsi per iscritto unitamente all’inizio e alla durata della missione.
L’elemento tipizzante del contratto di lavoro è contenuto (piuttosto che nell’art. 22 del decreto che disciplina il contratto) nell’art. 20 dove, nel regolamentare il contratto di somministrazione, si stabilisce che «Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore». E’ questa, infatti, la norma che sancisce la dissociazione tra titolarità del contratto (agenzia) e titolarità dei poteri datoriali (somministratore) tipizzandola quale effetto di un contratto commerciale
Tuttavia, nonostante gli elementi normativi sin qui indicati, l’art. 22 del decreto sembra contraddire l’operazione di normalizzazione del contratto di lavoro finalizzato alla somministrazione in quanto ripropone, in termini pressoché letterali, le speciali disposizioni che la l. 196/1997 aveva introdotto per tipizzare la struttura dello «contratto per prestazioni di lavoro temporaneo». In altri termini, nonostante le diverse opzioni formali del legislatore delegato, la disciplina (ri)proposta nell’art. 23 del decreto sembra dimostrare che il contratto di lavoro finalizzato alla somministrazione è, ancora oggi, una tipologia che
33 In altri termini, è nell’alternarsi dei contratti di somministrazione a termine (e non nella continuità della somministrazione a tempo indeterminato) che possono verificarsi quelle pause di inattività per il dipendente a tempo indeterminato che gli danno titolo a percepire l’indennità di disponibilità.
34 Così è per il contratto a termine connesso ad una somministrazione a tempo indeterminato al quale non si applica il regime più vantaggioso della proroga riservato dall’art. 22.2 del decreto alla somministrazione a tempo determinato.
35 Questa soluzione interpretativa consente -seppure per via indiretta- di risolvere una questione che, diversamente, avrebbe manifestato un evidente contrasto con il divieto di discriminazione di cui all’art. 4, comma 1, del d. lgs. 25.2.2000, n. 61, in quanto ai lavoratori part timers sarebbe risultato irragionevolmente precluso l’accesso ad un segmento del mercato del lavoro, quello concernete del somministrazioni a termine, riservato ai full timers.
36 La L. 196/1997, all’art. 3, tipizzava il contratto tra agenzia e lavoratore in termini di contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, dedicandogli una speciali disciplina, peraltro quasi integralmente riproposta nel decreto 276 (v. infra).
disfunziona ove manchino clausole legali capaci di adattarlo a soddisfare interessi organizzativi e produttivi diversi da quelli del datore di lavoro.
Non solo. Quantomeno con riferimento al contratto di lavoro a termine, emerge che proprio il collegamento con la somministrazione a tempo determinato voluto dall’art. 22, comma 2, del Decreto vale a configurare un importante elemento di specialità costituito dalla inapplicabilità del regime del rinnovo di cui all’art. 5, commi 3 e 4, del d. lgs. 318/2001. La conseguenza è che alla scadenza del termine il contratto di lavoro potrà essere rinnovato senza il rispetto dell’intervallo temporale prescritto in via ordinaria37 ove ciò sia necessario per far fronte ad esigenze legate alla somministrazione in atto ovvero a un nuovo contratto di somministrazione a termine. A questa alterazione del modello regolativo ordinario si accompagna poi quella concernente la proroga del termine inizialmente fissato38 che, previo consenso per atto scritto del lavoratore, può essere effettuata «nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore» (art. 22, comma 2, del Decreto).
7. La disciplina dei contratti di lavoro: i poteri, le obbligazioni, le tutele individuali e collettive.
Come si è anticipato, lo speciale contenuto regolativo del contratto di lavoro finalizzato alla somministrazione viene definito dal Decreto mediante un collage delle disposizioni, spesso riprese alla lettera dalla l. 196/1997.
Tuttavia, non c’è dubbio che la disposizione che caratterizza la fattispecie è certamente costituita dal comma 2 dell’art. 2° del Decreto secondo il quale «Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore».
Trova quindi conferma la dissociazione tra la titolarità formale del contratto (in capo alla agenzia) e la titolarità del potere direttivo e di controllo (in capo all’utilizzatore) che connota la “specialità” del contratto di lavoro finalizzato alla somministrazione. Più in generale viene a configurasi una fattispecie che, in definitiva, consente alla p.a. di acquistare sul mercato “subordinazione” senza caricarsi degli “pesi” relativi (diversi, ovviamente dagli oneri economici), incluso il livello dell’organico che non varia poiché i lavoratori somministrati non sono computati ai fini dell’applicazione di normative di legge e di contratto collettivo, ad eccezione di quelle relative all’igiene e alla sicurezza sul lavoro39.
Nella concreta esecuzione del contratto è, poi, il dirigente nell’ambito del cui ufficio rientra l’attività dei lavoratori somministrati colui che è chiamato ad esercitare nei loro confronti le prerogative di indirizzo e di controllo, nelle forme, secondo i modi e con il rispetto dei limiti con cui le medesime prerogative vengono ordinariamente esercitate nei confronti dei dipendenti della p.a.
A questa regola generale sembra però fare eccezione la disciplina della modificazione delle mansioni
contenuta il comma 6 dell’art. 22 del Decreto.
L’eccezione, ovviamente, non sta nella parte in cui la norma consente di attivare, secondo le regole ordinarie40, i meccanismi di mobilità orizzontale (per mansioni equivalenti) e verticale, adattandoli all’esercizio di tale forme di ius variandi da parte (non del datore di lavoro, ma) dell’utilizzatore, titolare del potere direttivo41.
37 Ordinariamente, la riassunzione del lavoratore con un nuovo contratto a termine non può avvenire prima di 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero di 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, pena la trasformazione del secondo contratto a tempo indeterminato (art. 5, comma 3, d.lgs. 368/2001). Sempre in via ordinaria, dopo due assunzioni successive a termine effettuate senza soluzione di continuità, il contratto di lavoro si considera sin dall’inizio a tempo indeterminato (art. 5, comma 4, d.lgs. 368/2001).
38 Ordinariamente, la proroga del contratto a termine è possibile per una sola volta e solo quando la durata complessiva del contratto (durata iniziale e proroga) non superi i tre anni (art. 4, d. lgs. 368/2001).
39 Cfr. art. 22, comma 5, d. Lgs. 276/2003. Si tratta tuttavia di un vantaggio di pressoché nessuna rilevanza per le pp.aa. e basti in proposito pensare all’obbligo di queste ultime di applicare lo Statuto dei lavoratori a prescindere dal numero dei dipendenti (art. 51, comma 2, d. lgs. 165/2001).
40 E’ da ritenere che la p.a. debba in materia fare riferimento alla disciplina della mobilità di cui all’art. 52 del d. lgs. 165/2001.
41 In particolare, l’art. 23, comma 6, del Decreto, prescrive che la pp.aa. utilizzatrice comunichi per iscritto all’agenzia, fornendone copia al lavoratore, l’assegnazione di quest’ultimo a mansioni superiori o equivalenti in modo da consentire all’agenzia stessa di provvedere al pagamento delle differenze retributive in favore del lavoratore.
Essa sta invece nella parte in cui l’art. 22, comma 6, del Decreto obbliga l’utilizzatore a comunicare per iscritto al somministratore l’assegnazione del prestatore a mansioni (non solo superiori, ma anche) «non equivalenti». Sicché sembrerebbe consentita alla pp.aa. l’utilizzazione del lavoratore somministrato in mansioni inferiori rispetto a quelle proprie della sua qualifica e previste nel contratto di somministrazione.
Una apparente conferma se ne trae dalla seconda parte della disposizione in esame, secondo la quale la violazione dell’obbligo di informazione viene sanzionata addebitando esclusivamente all’utilizzatore la responsabilità per lo «eventuale risarcimento del danno derivante dall’assegnazione (del lavoratore) a mansioni inferiori». Così, seppure attraverso lo schermo della regolazione dell’assetto della responsabilità risarcitoria tra somministratore e utilizzatore, sembra venga introdotta una modificazione di grande rilevanza nell’assetto delle posizioni soggettive e indisponibili delle parti nel contratto di lavoro. Essa, infatti, pare convalidare una lettura che, per effetto del combinato disposto della prima e dell’ultima parte del comma 6 dell’art. 23 del Decreto, fa transitare la modificazione in peius delle mansioni del lavoratore da atto negoziale nullo, perché assunto in violazione di una norma imperativa, a mera irregolarità gestionale, suscettibile di provocare un mero obbligo di risarcimento dei danni in capo all’utilizzatore.
In ogni caso, se abbiamo correttamente inteso la lettera tutt’altro che limpida della norma e, quindi, se il regime descritto fosse davvero quello voluto dal legislatore delegato, esso sarebbe decisamente censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale42 e, in ultima analisi, del tutto incongruente. E’, invero, difficile ipotizzare la ragione per cui la pp.aa. (come qualsiasi altro utilizzatore) debba “sottoutilizzare” un lavoratore la cui professionalità è richiesta e pagata all’agenzia di somministrazione.
Tornando al contratto di lavoro e alla titolarità delle prerogative datoriali va rilevato che, nonostante l’ampia formula utilizzata nell’art. 20, comma 2, del Decreto, l’agenzia non si spoglia completamente delle posizioni giuridiche attive riconducibili al potere direttivo ed a quello di controllo.
Per qual che concerne il potere direttivo, infatti, compete all’agenzia il c.d. potere di richiamo non essendo stata riproposta la previsione della l. 196/97 (art. 3, comma 4, seconda parte) che riconosceva il
«diritto» del lavoratore «di prestare l’opera lavorativa per l’intero periodo di assegnazione, salvo il caso del mancato superamento della prova o della sopravvenienza di una giusta causa di recesso». Si tratta di un potere dell’agenzia che, di fatto, incrementa implicitamente ma significativamente le prerogative dell’utilizzatore in quanto è proprio su di esso che possono innestarsi ed esercitarsi le prerogative della clausola di gradimento mediante la quale la pp.aa. può chiedere la sostituzione di un lavoratore somministrato perché insoddisfatta dalla sua prestazione di lavoro.
In proposito, peraltro, ci si chiede se questa clausola di gradimento possa spingersi più in là, attribuendo all’utilizzatore la facoltà di scegliere nominativamente il lavoratore da farsi inviare in missione dall’agenzia. Si tratta di una possibilità che è certamente configurabile nei rapporti interprivati ma che suscita non poche perplessità ove riferita alla pubblica amministrazione.
Certo, nella specie non è applicabile il principio costituzionale della selezione del contraente mediante concorso (art. 97 cost.) in quanto il lavoratore non è dipendente della pp.aa. con la quale non ha alcun contratto in atto. Tuttavia, l’individuazione nominativa del lavoratore da farsi somministrare è fatto che, ove operato da una pubblica amministrazione, impone il rispetto del canone generale dell’imparzialità e,
Di nessun significato, tuttavia, è la sanzione prevista in caso di inottemperanza a tale obbligo di comunicazione, consistente nel fatto che «l’utilizzatore risponde in via esclusiva delle differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori». Invero, poiché non c’è dubbio che il lavoratore maturi in ogni caso (con o senza comunicazione) il diritto al pagamento delle differenze retributive ne deriva che il loro pagamento graverà comunque a carico della pp.aa. utilizzatrice e sempre in via esclusiva. Ciò anche nel caso di avvenuta comunicazione dell’assegnazione del lavoratore a mansioni superiori, in quanto sarà pur sempre l’utilizzatore a dover rimborsare l’agenzia de «gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro», nei quali certo rientrano le differenze retributive di cui si discute.
42 In primo luogo, per contrasto con il principio di eguaglianza dell’art. 3 cost. in quanto introduce una importante quanto gratuita modificazione nel regime ordinario e inderogabile della disciplina delle mansioni dell’art. 2103 c.c. che, com’è noto, sancisce in termini di nullità le modificazioni peggiorative, creando una irragionevole disparità di trattamento tra lavoratori ordinari e lavoratori somministrati. In secondo luogo, perché abroga e sostituisce la diversa disposizione della l. 196/1997 senza che vi sia alcun mandato specifico in tal senso da parte della legge delega, violando così l’art. 77 cost.
quindi, la necessità di un’adeguata motivazione che spieghi e nello stesso giustifichi in termini oggettivi e congruenti la scelta di quel lavoratore.
Per quel che concerne invece il potere di controllo, se non vi è dubbio che (sempre in base alla ampia formula dell’art. 20, comma 2, del Decreto) la sorveglianza sulla corretta esecuzione della prestazione lavorativa compete alla pp.aa. utilizzatrice, altrettanto non può dirsi per quel che concerne gli accertamenti sanitari e, in generale, tutti i controlli concernenti il mancato svolgimento della prestazione lavorativa. Se, infatti, si accede alla ricostruzione dal contratto di somministrazioni che ravvisa il contenuto fondamentale dell’obbligazione dell’agenzia somministrante nell’assicurare (non la messa a disposizione di lavoratori, bensì) la effettiva prestazione dei lavoratori somministrati, ne deriva che sarà l’agenzia -in quanto datore di lavoro sul quale grava il rischio della impossibilità della prestazione ex art. 2110 c.c. ma altresì quale soggetto obbligato ad assicurare alla pp.aa. utilizzatrice la sostituzione del lavoratore assente- ad avere titolo e interesse a promuovere gli accertamenti e i controlli sulle assenze dal lavoro dei propri dipendenti in missione. E ciò, a maggior ragione, ove l’obbligo di sostituzione sia oggetto di una specifica clausola del contratto di somministrazione.
Diversamente dalle altre posizioni giuridiche attive, il potere disciplinare (art. 23, comma 7) permane in capo alla agenzia datrice di lavoro. Invero, la p.a. utilizzatrice può solo raccogliere le infrazioni ritenute rilevanti commesse dal lavoratore somministrato per poi trasmetterle al somministratore al quale compete l’attivazione del procedimento disciplinare di cui all’art. 7 st. lav. a partire dalla contestazione disciplinare.
Tuttavia, la scissione è meno netta di quel che appaia a prima vista in quanto se l’esercizio del potere disciplinare rientra nella sfera di competenza dell’agenzia non altrettanto può dirsi per i presupposti formali e sostanziali che, viceversa, attengono direttamente alla sfera di azione della pp.aa.
E’ estremamente significativo del resto che -come ricordato- l’art. 20, comma 2, afferma a chiare lettere che il lavoratore somministrato presta la propria opera «nell’interesse ... dell’utilizzatore». Posto, infatti, che la concretizzazione di tale interesse si manifesta all’interno delle obbligazioni fondamentali, di sicurezza e strumentali del lavoratore, ne deriva che saranno proprio queste obbligazioni -nello specifico contenuto e nella concreta intensità assunte nell’organizzazione della pp.aa.- a fungere da paramento di riferimento della soddisfazione dell’interesse del creditore della prestazione di lavoro e, quindi, dell’esatto o inesatto adempimento dell’obbligazione lavorativa rilevante ai fini disciplinari.
Ovviamente, nel caso di inflizione di sanzioni di disciplinari come la sospensione ovvero il licenziamento, l’agenzia avrà l’obbligo di provvedere alla sostituzione (temporanea o definitiva) del lavoratore sanzionato salvo il diritto della p.a. utilizzatrice ad assumere ulteriori iniziative (ad es. di risarcimento dei danni ovvero di risoluzione contrattuale per inadempimento) sul piano del contratto commerciale. Stante, infatti, la struttura configurata da questo contratto commerciale, l’inadempimento della prestazione lavorativa assume rilievo non solo sul piano (disciplinare) del contratto di lavoro tra lavoratore somministrato e agenzia, ma anche su quello del contratto di somministrazione tra agenzia e pp.aa. il cui adempimento consiste proprio nella fornitura di prestazioni subordinate capaci di soddisfare l’interesse dell’utilizzatrice.
L’inserimento del lavoratore somministrato nell’organizzazione della p.a. utilizzatrice determina l’insorgenza in capo a quest’ultima di alcuni obblighi di fonte legale, svincolati cioè da un sottostante rapporto negoziale (tra lavoratore somministratore e p.a. non c’è alcun contratto).
Ci riferiamo, in primo luogo, agli obblighi di tutela della salute e sicurezza disciplinati dal comma 5 dell’art. 23 del Decreto, che assumono oggi una -se possibile- maggiore rilevanza in considerazione del fatto che la somministrazione di lavoro è ammessa anche per lo svolgimento di attività lavorative particolarmente rischiose.
In proposito, la regola generale è quella secondo cui è l’agenzia di somministrazione ad avere l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi «in generale» e di formarli e addestrare nell’uso delle attrezzature di lavoro necessarie a svolgere l’attività lavorativa oggetto della missione43. Pure se, il contratto di somministrazione può stabilire che tale obbligo sia adempiuto dalla p.a. utilizzatrice.
43 L’adempimento dell’obbligo informativo da parte dell’agenzia di somministrazione è direttamente collegato a quello per
c.d. dichiarativo prescritto dall’art. 21 (comma 1, lett. d) secondo il quale è parte necessaria del contratto di
Tuttavia, quando le mansioni cui è adibito il lavoratore richiedano «una sorveglianza medica speciale» ovvero comportino «rischi specifici», l’obbligazione di informare il lavoratore secondo le modalità di cui al d. lgs.
n. 626/1994 grava direttamente e (sembra) esclusivamente sulla p.a. utilizzatrice.
In ogni caso, se in materia di obblighi di informazione il Decreto prevede una certa articolazione, quando si passa alla tutela della salute e della sicurezza del lavoratore somministrato l’art. 22, comma 5, non lascia adito ad alternative in quanto obbliga la p.a. utilizzatrice ad applicare «tutti gli obblighi previsti nei confronti dei propri dipendenti». In tal modo i lavoratori somministrati sono parificati in tutto e per tutto ai dipendenti pubblici, ovviamente ai fini delle esatta individuazione e commisurazione dell’obbligo di garantire la sicurezza del lavoro, risultando da ciò quale ragionevole corollario che l’utilizzatrice è unica e diretta responsabile «per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi» Altro obbligo di fonte legale è quello in base al quale la p.a. utilizzatrice risponde «nei confronti dei terzi» dei danni arrecati dal lavoratore somministrato «nell’esercizio delle sue mansioni» (art. 26, Decreto). Si tratta di una prescrizione che separa la responsabilità civile dalla titolarità formale del contratto di lavoro per attribuirla in capo al “mero” utilizzatore del prestatore di lavoro. Ciò, presumibilmente, al fine di dare certezza ai terzi danneggiati in merito al soggetto tenuto nell’ambito di questa fattispecie che scinde tra due soggetti (agenzia somministrante e p.a utilizzatrice) il complesso delle posizioni giuridiche -attive e passive- facenti capo al datore di lavoro e nella quale l’apparenza è tale da indurre i terzi a collegare il lavoratore (somministrato) al datore di lavoro apparente (la p.a.).
Il fatto, tuttavia, che l’utilizzatore sia chiamato a rispondere verso i terzi dei danni causati dal dipendente dell’agenzia nell’esecuzione dell’attività lavorativa e cioè dell’attività oggetto della obbligazione di fornitura assunta con il contratto di somministrazione dalla medesima agenzia, induce a ritenere che la p.a. utilizzatrice possa rivalersi dei danni pagati nei confronti del vero datore di lavoro. In ogni caso, se questa conclusione sembra ben rispondere alla lettera della norma e alla sistematica dell’istituto, essa può ben essere trasposta in una clausola che, ferma rimanendo la responsabilità diretta verso i terzi, consenta alla pp.aa. di esercitare l’azione di rivalsa nei confronti dell’agenzia di somministrazione, quantomeno nei casi in cui emerga una condotta imprudente, negligente o imperita del lavoratore somministrato.
Sempre tra gli obblighi di fonte legale si collocano quelli che gravano sulla p.a. utilizzatrice per effetto dei «diritti di libertà e di attività sindacale» che l’art. 24 del Decreto riconosce al lavoratore somministrato, confermando quasi alla lettera la disciplina in tema di diritti sindacali dell’art. 7 della l. 196/199744.
In particolare, il lavoratore somministrato è legittimato ad esercitare la propria attività e libertà sindacale
«presso l’utilizzatore per tutta la durata della somministrazione» con l’ulteriore precisazione che, come stabilisce il comma 1 dell’art. 24 del Decreto, punto di riferimento normativo per la determinazione dei diritti di libertà e attività sindacale è lo Statuto dei lavoratori (l. 20.5.1970, n. 300) al quale tuttavia si associano (anche per effetto della parità di trattamento: v. infra) le ulteriori disposizioni contenute nel contratto collettivo applicato dalla p.a. ai propri dipendenti.
Per quel che concerne, in particolare, i diritti sindacali di cui al titolo III dello statuto dei lavoratori una attenzione particolare viene dedicata -oltre al diritto di riunione presso l’agenzia di somministrazione45
somministrazione «l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore» nonché l’indicazione «delle misure di prevenzione adottate».
44 L’unico dato nuovo è contenuto nel comma 1 dell’art. 24 del Decreto e consiste nella estensione dei diritti sindacali dei lavoratori somministrati “ai lavoratori ... degli appaltatori”. Si tratta di una prescrizione che, nei primi commenti, è parsa subito di difficile applicazione e non poco strana perché inserita in un contesto normativo (capo I del titolo III) diverso da quello dedicato alla nozione e alla regolazione dell’appalto (capo II, del titolo III), della quale peraltro è superfluo qui occuparsi in quanto certamente inapplicabile ai dipendenti della appaltatori della p.a. Invero, la pubblica amministrazione è esclusa dall’ambito di applicazione delle disposizioni contenute nel decreto, ivi incluse quelle in materia di appalto tra le quali quella in esame certamente rientra, disciplinando i diritti (sindacali) dei dipendenti degli appaltatori, solo occasionalmente apparentati ai dipendenti delle agenzie di lavoro somministrati (i cui diritti sono invece spendibili anche nei confronti della
p.a. per effetto della eccezione di cui all’art. 86, comma 6, del decreto).
45 Il comma 2 dell’art. 24 del Decreto, conferma (così già in comma 3 dell’art. 7, l. 196/97) in favore dei lavoratori somministrati inviati a svolgere la propria attività presso diversi utilizzatori questo specifico diritto di riunione la cui disciplina viene affidata alla contrattazione collettiva delle imprese di somministrazione.
all’assemblea dei dipendenti della pp.aa. utilizzatrice alla quale il lavoratore somministrato ha diritto di partecipare46.
Ai diritti individuali del lavoratore somministratore si aggiungono poi quelli propriamente collettivi in quanto attribuiti alle R.S.U. ovvero «in mancanza» alle istanze organizzative territoriali delle associazioni sindacali firmatarie del Contratto collettivo nazionale di comparto (art. 24, comma 4, del Decreto). Si tratta di diritti di informazione finalizzati a consentire il controllo sindacale sull’utilizzazione nella pp.aa. di questa modalità di acquisizione e utilizzazione di prestazioni di lavoro.
In particolare, è prevista una informazione preventiva che, salvo eccezioni, deve precedere la sottoscrizione del contratto di somministrazione e deve contenere precise indicazioni in ordine sia al numero (dei lavoratori) che alle ragioni del ricorso alla somministrazione. E’ altresì stabilita una informazione periodica, a cadenza annuale («ogni dodici mesi»), in occasione della quale la pp.aa. deve comunicare numero, durata e motivi dei contratti di somministrazione «conclusi» nonché il numero e la qualifica dei lavoratori somministrati.
Un elemento strutturale della somministrazione di lavoro si conferma essere il precetto di parità di trattamento, già proclamato nella L. 196/1997, in ragione del quale i lavoratori somministrati hanno diritto (salvo eccezioni: v. infra,) a ricevere un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello della p.a., a parità di mansioni svolte (art. 23, comma 1, Decreto).
Si tratta di un precetto di grande valore sistematico in quanto comporta che l’acquisizione di prestazioni di lavoro mediante somministrazione avvenga per i lavoratori a condizioni non inferiori a quelle che ad essi spetterebbero in caso di assunzione diretta da parte della pp.aa. utilizzatrice47. Peraltro, proprio a partire da tale elemento di costo indisponibile, viene confermata la maggiore onerosità di questa forma di acquisizione della forza lavoro rispetto all’assunzione diretta dei lavoratori in quanto al trattamento retributivo paritario va aggiunta la percentuale del 4% calcolata sulle retribuzioni corrisposte (ex art. 12 del Decreto)48 e, ovviamente, l’utile dell’impresa di somministrazione.
La formula del precetto dell’ art. 23, comma 1, del Decreto può essere intesa nel senso di imporre solo un determinato risultato (il trattamento complessivamente spettante al lavoratore comparabile) a prescindere dagli elementi che lo compongono (ad es. le singole voci retributive) sicché la parità di trattamento sarà rispettata anche quando, pur non applicando le voci e le indennità stabilite nel contratto collettivo della pp.aa. utilizzatrice, il lavoratore somministrato percepisca un compenso globale almeno uguale a quello complessivamente spettante al dipendente pubblico inquadrato nella stessa categoria, appartenente allo stesso profilo professionale e collocato al livello retributivo iniziale.
Va, peraltro, precisato che il trattamento retributivo del lavoratore comparabile non include le erogazioni «economiche correlate ai risultati» per le quali l’art. 23, comma 4, stabilisce la regola che esse vadano corrisposte ai lavoratori somministrati secondo le modalità e i criteri demandati ai «contratti collettivi applicati dall’utilizzatore»49.
Il precetto di parità, la cui applicazione -come si è visto- viene rafforzato dall’obbligo della pp.aa. utilizzatrice di comunicare all’agenzia i trattamenti applicati (ovvero applicabili) ai lavoratori comparabili50, concerne anche il trattamento normativo in relazione al quale espressa menzione viene
46 In proposito, il contratto collettivo nazionale quadro per la «disciplina del rapporto di lavoro del personale assunto con contratto di fornitura di lavoro temporaneo» del 9.8.2000 stabilisce che per partecipare a tali assemblee i lavoratori temporanei devono utilizzare l’apposito monte ore previsto dal contratto collettivo per le imprese di fornitura di lavoro temporaneo (art. 6).
47 Cfr., per tutti, TIRABOSCHI, 1999, 349, 350 e 351 ss., ed ivi anche per un’analisi di diritto comparato.
48 Le somme corrispondenti alla percentuale del 4% vanno versate dall’agenzia di somministrazione ai fondi bilaterali appositamente costituiti dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione, i quali attuano iniziative di vario generale, in parte destinate alla tutela del reddito e alla promozione della formazione dei lavoratori somministrati.
49 In proposito, l’art. 4 del contratto collettivo nazionale quadro per la «disciplina del rapporto di lavoro del personale assunto con contratto di fornitura di lavoro temporaneo» del 9.8.2000 impone l’attribuzione ai lavoratori temporanei dei trattamenti accessori connessi ai progetti di produttività ai quali essi partecipino, rinviando per modalità, condizioni e criteri di corresponsione ai contratti di comparto nonché a quelli decentrati, la cui concreta disciplina è condizione necessaria per l’attribuzione dei trattamenti in questione: cfr. SOLOPERTO, 2004, 130.
50 Si tratta, infatti, di una adempimento che il legislatore include nel contenuto obbligatorio del contratto di somministrazione, giusta la previsione di cui all’art. 00, xxxxx0, xxxx. x), xxx Xxxxxxx (x. xxx.xx 5).
dedicata al diritto del lavoratore somministrato di fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti della pp.aa. addetti alla stessa unità produttiva51.
Va tuttavia segnalato che, come si accennava, l’art. 23, comma 2, introduce una significativa eccezione al principio della parità di trattamento riferita ai contratti di somministrazione conclusi con Agenzie di somministrazione autorizzate a svolgere «specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale, a favore dei lavoratori svantaggiati» realizzati in concorso con Regioni, Province ed enti locali.
In particolare, la portata di questa eccezione la si coglie con il rinvio all’art.13 del Decreto (rubricato Misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato) la cui applicazione, pur essendo oggetto di un espresso rimando alla (futura) legislazione regionale -chiamata a disciplinare «la materia» (art. 13, comma 6)-, è già oggi possibile «in presenza di una convenzione tra una o più agenzie autorizzate alla somministrazione … e i comuni, le province o le regioni stesse» (art. 13, comma 6).
In particolare, dal raccordo tra le due disposizioni emerge che, al fine di garantire l’inserimento o il reinserimento -anche con contratti a termine- di lavoratori svantaggiati, si consente alle agenzie di somministrazione52 convenzionate con uno degli enti indicati (comuni, province, regioni) di fornire le prestazioni di tali lavoratori ad un costo decisamente più basso e conveniente in quanto (legittimamente) inferiore a quello del lavoratore pubblico comparabile53.
Va detto, però, che l’eccezione in esame al precetto di parità risponde a una scelta molto impegnativa di politica del diritto della quale non vi è traccia nella legge-delega dove, anzi, si prescrive esplicitamente che tra i criteri direttivi della nuova disciplina vi è quello di assicurare «ai lavoratori coinvolti nell’attività di somministrazione di manodopera -un trattamento- non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice» (art. 1, comma 2, lettera m), n. 5, l. 30/2003)54.
Sussistono, pertanto, elementi formali contrari alla operazione giuridico-economica realizzata dal legislatore delegato, il cui intervento appare in contrasto con l’art. 77 cost. per eccesso (xxxxxx, carenza) di delega.
Ne deriva un rischio evidente per la pp.aa. che stipuli e si avvalga delle convenzioni promosse dall’art. 13, comma 6, del Decreto in quanto potrebbe (programmare e) contare su costi del lavoro molto più bassi di quelli in seguito da (ri)determinare nel caso di declaratoria di illegittimità costituzionale della norma. Va infatti ricordato che -come si è osservato (v. xxx.xx 5)- l’utilizzatore è sempre tenuto a rimborsare i costi effettivamente sostenuti dal somministratore e in ogni caso risponde solidalmente con questi delle retribuzioni dovute ai lavoratori somministrati.
8. Il regime sanzionatorio della somministrazione di lavoro non regolare: il quadro legale.
Quando la somministrazione di lavoro avvenga «al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d), ed e)», il lavoratore ha facoltà di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 27, comma 1).
51 Cfr. art. 23, comma 4, ult. parte, ove peraltro si precisa che tale diritto va escluso per quei servizi il cui godimento sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o società cooperative (che, ovviamente, non può essere imposta -ma neppure impedita- ai lavoratori somministrati) ovvero al conseguimento di una determinata anzianità di servizio.
52 I meccanismi di cui all’art. 13 Decreto potranno essere utilizzati anche da «appositi soggetti giuridici» costituiti (in base ad una normativa regionale che verrà) mediante convenzione con le agenzie di somministrazione e accreditati dalla regione ex art. 7 decreto, alle cui spese di costituzione e funzionamento potranno concorrere gli enti locali, i centri per l’impiego, le regioni, seppure nei limiti della loro disponibilità finanziaria (art. 13, commi 7 e 8, Decreto).
53 Convenienza che può essere ulteriormente accresciuta in ragione della possibilità per le agenzie di somministrazione di valersi dei fondi costituiti con il contributo del 4% sulle retribuzioni dei lavoratori assunti a tempo indeterminato (art. 13.2, lett. c), seppure nel quadro delle politiche individuate dal contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione o, in mancanza, stabilite dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Non solo. L’inserimento dei lavoratori svantaggiati è reso ulteriormente conveniente dalla possibilità di determinare il trattamento retributivo dovuto detraendo quanto dagli stessi percepito a titolo di indennità di mobilità, di disoccupazione ecc. (art. 13, lett. b). In tal modo il datore di lavoro beneficia di una prestazione lavorativa pagata in parte dal bilancio dello Stato e dei suoi enti strumentali.
54 Previsione generale questa non derogata dalla delega nella parte in cui incentiva l’attuazione di «forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province» (art. 1, comma 2, lettera f).
Grazie all’ampiezza del rinvio questa sanzione civile è in grado di dare copertura alle violazioni dei requisiti soggettivi e sostanziali del contratto di somministrazione (art. 20)55 nonché alla gran parte di quelli formali (art. 21)56.
Ebbene, come si è già osservato, questa sanzione è dichiaratamente inapplicabile nei confronti delle pubbliche amministrazioni (art. 86, comma 9, del Decreto).
Si tratta di una scelta che appare in linea (ma v. infra) con il regime generale stabilito dall’art. 36, comma 2, del D. lgs. 165/2001, il quale, estese al settore pubblico le forme contrattuali flessibili, stabilisce in via generale e inderogabile che la violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’impiego o l’assunzione dei lavoratori (flessibili) «non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni»57, bensì il solo risarcimento dei danni eventualmente subiti dal lavoratore, salvo la rivalsa nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovute a dolo o colpa grave.
Proprio questa continuità, oltre che la portata generale del sistema sanzionatorio di cui al citato art. 36, portano a ritenere che, pur senza essere espressamente richiamato, l’obbligo risarcitorio -e la eventuale rivalsa che gli fa da corollario- trovino applicazione alla somministrazione irregolare sanzionata (in via ordinaria) dall’art. 27, comma 1, del Decreto.
Merita peraltro segnalare che l’inapplicabilità dell’art. 27, comma 1, del Decreto ha un ambito di applicazione potenzialmente più ampio di quello dell’art. 36, comma 2, d. lgs. 165/2001 in quanto, a differenza di quest’ultimo, esclude la conversione in capo alla p.a. utilizzatrice dei contratti a tempo determinato58.
Un interessante aspetto della regolazione delle conseguenze (diverse dalla costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore) della somministrazione irregolare, è costituito dalla disciplina del comma 2 dell’art. 27 del Decreto, dalla cui applicazione non v’è motivo (formale ma anche sostanziale) di escludere la p.a. Qui si stabilisce, infatti, che accertata la natura irregolare della somministrazione «tutti i pagamenti effettuati dal somministratore a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare ... l’utilizzatore (nella specie la p.a.)... dal debito corrispondente fino alla concorrenza della somma effettivamente pagata». Con l’ulteriore precisazione che gli atti gestionali del rapporto di lavoro compiuti dal somministratore (irregolare) «si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione».
Si tratta di una disposizione che mira a definire in termini chiari e, sostanzialmente, condivisili il “trapasso” di tutta l’attività (alias, degli effetti di tutta l’attività) compiuta dal somministratore irregolare in capo alla p.a. utilizzatrice che, per un verso, potrà scomputare dal risarcimento danni al lavoratore (irregolarmente) somministrato quanto da questi ricevuto in pagamento dal somministratore; e per altro verso, farà propri gli atti di gestione del rapporto di lavoro posti in essere dal somministratore irregolare, assumendo la titolarità degli effetti negoziali, anche modificativi, loro propri, ivi incluso il licenziamento59.
55 Il riferimento è alla somministrazione posta in essere da soggetti privi di autorizzazione (art. 20.1), ovvero al di fuori dei casi e delle causali (art. 20, commi 3 e 4) o, ancora, nelle ipotesi espressamente vietate (art. 20.5).
56 Il riferimento è al contratto di somministrazione: lett. a) privo dell’indicazione dell’autorizzazione; lett. b) privo dell’indicazione del numero dei lavoratori da somministrare ovvero (è da ritenere) somministrazione di uno o più lavoratori oltre il numero di quelli indicati nel contratto; lett. c) privo della indicazione dei casi e delle ragioni che consentono la somministrazione a tempo indeterminato (art. 20.3) e indeterminato (art. 20.4); lett. d) privo dell’indicazione della presenza di rischi eventuali per i lavoratori somministrati; lett. e) privo dell’indicazione della sua data di inizio e della sua durata. La violazione degli altri requisiti formali -xxxx.xx da f) a h) dell’art.21, comma 1- è punita esclusivamente con la sanzione amministrativa (v. oltre).
57 L’esenzione in esame, com’è noto, ha ricevuto di recente l’avallo della Corte costituzionale con la sentenza n. 89 del 27.3.2003 (sulla x. Xxxxxx, 0000, 489 ss.).
58 Il meccanismo sanzionatorio della somministrazione irregolare dell’art. 27, comma 1, del Decreto è infatti predisposto in modo tale da lasciare inalterati contenuto e tipologia del contratto di lavoro in atto tra il somministratore (irregolare) e l’utilizzatore -in ipotesi, quindi, un contratto a termine- imputandone titolarità ed effetti in capo a quest’ultimo. Ciò, ovviamente, fatto salvo il rispetto dei diritti inderogabili del lavoratore, tutelati mediante sostituzione automatica della clausole difformi.
59 Pertanto, il licenziamento anche se intimato dal somministratore andrà irrevocabilmente impugnato dal lavoratore nei 60 gg. successivi, pena la ordinaria decadenza dell’azione di annullamento anche rispetto all’utilizzatore.
Aldilà dei profili civilistici evidenziati, alla p.a. sono certamente applicabili sia le sanzioni penali che quelle amministrative60 previste dal Decreto in caso di mancato rispetto della disciplina formale e sostanziale della somministrazione a termine.
Scendendo più nei dettagli la sanzione amministrativa (ex art. 18, comma 3, del Decreto) compresa tra 250 a 1250 euro, scatta per il contratto di somministrazione a tempo determinato stipulato nei casi in cui non è consentito (art. 21, comma 4) ovvero è vietato (art. 21, comma 5), oppure è privo della forma scritta o degli altri elementi contenutistici richiesti dalla legge (art. 21, comma 1, xxxx.xx a/k) o dai contratti collettivi (art. 21, comma 2). Analoga sanzione, ma solo a carico del somministratore (e non - come negli altri casi ricordati- anche della p.a utilizzatrice), è prevista per la mancata comunicazione scritta al lavoratore delle informazioni prescritte concernenti il contratto di somministrazione ovvero della durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore (art. 21, comma 3).
Le violazioni più gravi, infine, sono oggetto di sanzioni di carattere penale che scattano, oltre che a carico del somministratore61, nei confronti dell’utilizzatore che è soggetto alla pena di 5euro di ammenda per ogni lavoratore e per ogni giorno di lavoro ove ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli autorizzati «o comunque al di fuori dei limiti previsti» (art. 18, comma 2, del Decreto)62.
Il regime penalistico è completato -oltre che dalla sanzione prevista nei confronti di chi richieda ovvero percepisca compensi dal lavoratore per «avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione»63- dalla fattispecie della somministrazione fraudolenta. L’art. 28 del Decreto sanziona (con la pena di 20 euro per ciascun lavoratore e per ciascun giorno) sia il somministratore che l’utilizzatore nei casi in cui «la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore».
Si tratta di una ipotesi che sembra aggiungersi alla somministrazione illecita, in quanto viene introdotta dall’art. 28 del Decreto dopo la premessa «Ferme restando le sanzioni di cui all’art. 18», così da apparire un’autonoma ipotesi di reato. Dubbio è se la somministrazione fraudolenta possa formalmente cumularsi con la fornitura di lavoro illecita (o soltanto irregolare ex art. 27, comma 1) quando, cioè, quest’ultima presenti un carico antigiuridico di particolare gravità (la finalità elusiva dell’art. 28 del Decreto) seppure in concreto difficilmente misurabile64. In proposito, stante la struttura del negozio in frode alla legge a cui la fattispecie penale si ispira, sarei incline a ritenere la non cumulabilità delle due ipotesi criminose.
In ogni caso, va osservato che la somministrazione fraudolenta si configura in presenza di una somministrazione formalmente regolare e, tuttavia, «posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo». Invero, il meccanismo dell’art. 28 del Decreto richiama, seppure in termini in parte discordanti, il contratto in frode alla legge dell’art. 1344 c.c. caratterizzato da una
60 L’art. 86, comma 9, si limita a richiamare -per sancirne l’applicabilità alla p.a.- esclusivamente le sanzioni amministrative di cui all’art. 19 del Decreto. Tuttavia, tale (limitato) richiamo appare per un verso pleonastico in quanto già di per sé l’art. 19 esplicita che le sanzioni ivi previste si applicano «ai datori di lavoro comprese le pubbliche amministrazioni»; per altro verso fuorviante in quanto non c’è alcuna ragione di ordine formale, logico o sistematico, che induca ad escludere le pp.aa. dall’ambito di applicazione della sanzioni penali e amministrative stabilite per le più gravi violazioni della disciplina sulla somministrazione di lavoro.
61 Il comma 1 dell’art. 18, concerne il somministratore “abusivo” e stabilisce che la pena prevista è quella dell’ammenda di 50 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giorno. La pena è diminuita (solo ammenda da 500 a 2.500 euro) se non vi è scopo di lucro mentre è aumentata nel caso di sfruttamento di minori (arresto fino a 18 mesi e ammenda aumentata fino a 6 volte). Nel caso di condanna si applica la pena accessoria della confisca del mezzo di trasporto eventualmente adoperato per l’esercizio abusivo della somministrazione di lavoro.
62 La pena è dell’arresto fino a diciotto mesi e dell’ammenda di euro 5 aumentata fino al sestuplo «se vi è sfruttamento dei minori» (art. 18, comma 2, del Decreto)
63 In questi casi, che configurano peraltro comportamenti difficilmente prospettabili nell’azione della p.a., è prevista la sanzione congiunta dell’arresto (max 1 anno) e dell’ammenda (da 2.500 a 6.000 euro) alla quale si aggiunge la cancellazione dall’albo. La sanzione è ovviamente esclusa nei casi in cui il compenso sia previsto dai contratti collettivi (art. 11, comma 2, del Decreto).
64 E’ del tutto evidente, infatti, che nella gran parte dei casi la somministrazione di manodopera irregolare (e cioè operata al di fuori del paradigma degli artt. 20 e 21 del Decreto) non ha altra finalità che quella di speculare al ribasso sui trattamenti economici e normativi che sarebbero spettati ai lavoratori in caso di contratto “legittimo” (di somministrazione ovvero di assunzione diretta del lavoratore) sicché è in re ipsa la finalità di eludere le norme inderogabili applicate al lavoratore.
causa reputata illecita perché strumento di elusione di una norma imperativa. Si tratta, in altri termini, di divieti e limiti posti all’autonomia privata che non sono violati direttamente ma solo elusi o aggirati dalle parti mediante accordi o procedimenti articolati in modo tale da rispettare la lettera della legge e, tuttavia, raggiungere risultati analoghi o identici a quelli proibiti, così da violarne lo «spirito».
Peraltro, proprio questo elemento vale a rendere pressoché impossibile il configurarsi di questa fattispecie nell’ambito dell’attività della pubblica amministrazione che, com’è noto, giunge alla stipulazione del contratto di somministrazione all’esito di procedure di evidenza pubblica.
BIBLIOGRAFIA