PROFILI DI DIRITTO TRANSITORIO NEL CONCORSO TRA LEGGE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Xxxxx Xxxxxxxxxx
Ricercatore dell’Università degli Studi di Bergamo
PROFILI DI DIRITTO TRANSITORIO NEL CONCORSO TRA LEGGE E CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
Sommario: 1. Introduzione. 2. Tipizzazione delle fattispecie di conflitto-concorso tra legge e contrattazione collettiva. 3. Il coordinamento tra fonte legale e fonte con- trattuale. 4. Segue: conflitto-concorso tra disposizioni contrattuali vigenti e mutato quadro legislativo. 5. Conseguenze dell’applicazione unilaterale del (nuovo) regime legale.
1. Introduzione.
Non è bastato il passaggio alla c.d. Terza Repubblica per segnare una discontinu- ità con il (recente) passato di riforme e controriforme del diritto del lavoro ita- liano. La storia del rapporto tra legge e contrattazione appare, ancora una volta, destinata a vedere replicare se stessa (1).
Se rispetto ad alcune materie il rapporto tra fonti del diritto del lavoro sembra essersi assestato su un equilibrio consolidato, stante la sostanziale staticità del dato legislativo, e il sicuro presidio sindacale sui risvolti tecnici di certi istituti (es. quelli sull’orario di lavoro) (2), i nodi sui profili di conflitto-concorso tra legge e contrattazione collettiva ritornano puntualmente al pettine quando, ad ogni cambio di legislatura, entra in gioco la regolazione della flessibilità delle tipologie contrattuali non-standard (3). Come a testimoniare il carattere intrinsecamente
(1) Cfr. i saggi e gli interventi contenuti in Aa.Vv., Xxxxx e contrattazione collettiva nel diritto del la- voro post-statutario. Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Napoli, 16-17 giugno 2016, Milano, 2017. Di recente, si vedano anche X. Xxxxxxx, Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva, in Dir. Rel. Ind., 2017, n. 1, pag. 1; X. Xxxxxxx, Le fonti (dopo il Jobs Act): autonomia ed eteronomia a confronto, in Labor, 2016, n. 1-2, pag. 37 e segg.
(2) Nell’ultimo decennio, pare essersi superato, almeno in materia di orario di lavoro, l’andamento “a fisarmonica” tra ampliamento e limitazioni degli spazi di manovra riconosciuti dalla legge alla contratta- zione, a seconda dell’indirizzo politico del legislatore (cfr. X. Xxxxx, Retribuzione di produttività, flessibilità e nuove prospettive partecipative, in Riv. It. Dir. Lav., 2014, n. 2, a pag. 358). In argomento, cfr. X. Xxxxxxx (a cura di), Orario di lavoro. Legge e contrattazione collettiva, Milano, 2001; X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Una riflessione sul sofferto rapporto tra legge e autonomia collettiva: spunti dalla nuova disciplina dell’orario di lavoro, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 22/2004.
(3) E, segnatamente, la disciplina sul contratto a termine (cfr., ex multis, X. Xxxxxx, Il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro a termine, in X. Xxxxxxx, M. Napoli (a cura di), Il lavoro a termine in Italia e in Europa, Torino, 2003, X. Xxxxxxxxxxx, Autonomia collettiva e contingentamento delle forme flessibili di impiego, in Arg. Dir. Lav., 2002, pag. 375, X. Xxxxxxxxx, Il contratto a termine e la liberalizzazione negata, in Dir. Rel. Ind., 2006, n. 1, pag. 109 e segg., spec. pag. 117) e sul contratto di lavoro part-time (cfr., ex multis, X. Xxxxxxx, Il lavoro a tempo parziale, in X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di),
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politico di una materia che, tra le zone d’ombra della «terza dimensione del dirit- to» (4), si presta a facili strumentalizzazioni.
Decretato nel segno della disintermediazione, anche il D.L. 12 luglio 2018,
n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96 (c.d. Decreto dignità), non sarà neutrale in quanto a ricadute sulla prassi delle relazioni in- dustriali. E, del resto, nessun intervento normativo su materie oggetto di re- golazione sindacale concorrente può esserlo (5), specie se non concordato, nella fase di gestazione, con tutte le parti sociali nell’ambito di quei processi di con- certazione e dialogo sociale di cui il Jobs Act ha segnato il definitivo tramon- to(6). Sullo sfondo di ogni progetto di riforma del mercato del lavoro, ci sono i contratti collettivi nazionali e aziendali, la cui efficacia è destinata ad essere messa in discussione da norme di legge non del tutto allineate alle previsioni contrattuali in forza (7), attraverso una disciplina difforme degli istituti regolati in concorso, o tramite la rimozione delle clausole di delega per mezzo delle
Tipologie contrattuali e disciplina delle mansioni. Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, Torino, 2015, spec. pagg. 60-61, X. Xxxxxxx, La riscrittura della disciplina in materia di contratto di lavoro a tempo par- ziale: semplificazione, unificazione e ricalibratura dell’equilibrio tra autonomia collettiva ed individuale, in
X. Xxxxx Xxxxxx, X. Xxxxx (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs Act”, Padova, 2016, pag. 503 e segg.; X. Xxxxxxxx, Il contratto di lavoro part-time tra Jobs Act (decreto legislativo n. 81/2015) e diritto giurisprudenziale, in Dir. Rel. Ind., 2018, n. 1, pag. 1 e segg., spec. §§ 4-5).
(4) X. Xxxxx, “La terza dimensione del diritto”: legge e contratto collettivo nel Novecento italiano, in
Dir. Lav. Rel. Ind., 2016, n. 4, pag. 573 e segg.
(5) Soprattutto su una materia soggetta ad alto tasso di regolazione da parte della contrattazione collettiva, come è quella sul contratto a tempo determinato. In argomento, valgano su tutte le conside- razioni espresse dalla migliore dottrina con riferimento al decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34: «occorre prendere atto che la riforma del 2014 mostra una sostanziale indifferenza rispetto alle funzioni regolative dell’autonomia collettiva, indifferenza che si rivela un’arma a doppio taglio quando diventa sottovaluta- zione del peso che questa riveste nella lunga esperienza delle relazioni sindacali italiane anche sul tema del contratto a termine» (X. Xxxxxxx, X. Xxxxx Grandi, Jobs Act. La nuova politica del lavoro: contratto a termine e somministrazione, in Dir. Prat. Lav., 2014, n. 44, pag. 4).
(6) X. Xxxxxxx, Jobs Act e formante sindacale: quale ruolo per quale contrattazione collettiva?, in
X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), Jobs Act e contratti di lavoro dopo la legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, in Working Paper CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx” – Collective Volumes, 2014, n. 3. In ar- gomento, cfr. anche X. Xxxx, La contrattazione collettiva in Europa, in Dir. Rel. Ind., 2018, n. 2, spec. pagg. 377-378.
(7) Cfr. X. Xxxxxxxx, Le relazioni collettive nel “nuovo” diritto del lavoro, in Aa.Vv., Legge e con- trattazione collettiva nel diritto del lavoro post-statutario, op. cit., il quale revoca in dubbio che le rifor- me più recenti del diritto del lavoro, «abbiano adottato approcci di tipo diverso rispetto al fenomeno sindacale ed alle relazioni collettive, non sempre funzionali agli obiettivi finali del legislatore e, soprat- tutto, raramente sintonici con le linee di politica sindacale in atto» (ivi, pag. 184). Dello stesso avviso, Xxxxxxx Xxxxxxx sul c.d. Jobs Act (X. Xxxxxxx, Le fonti (dopo il Jobs Act): autonomia ed eteronomia a confronto, in Labor, 2016, n. 1-2, pag. 37 e segg.) e Xxxxx Xxxxxxxx sulla c.d. Xxxxx Xxxxxxx (M. Ru- sciano, Contrattazione e sindacato nel diritto del lavoro dopo la L. 28 giugno 2012, n. 92, in Arg. Dir. Lav., 2013, n. 6, pag. 1284).
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quali il legislatore devolve alle parti sociali «quote di potere pubblico» (8), rico- noscendo loro funzioni normative altrimenti precluse. «Croce e delizia» degli interpreti, per essere ad un tempo negozio ed atto normativo (9), il contratto collettivo può divenire a sua volta un potenziale impedimento alla volontà po- litica del legislatore?
La questione riveste particolare importanza nel nostro sistema di diritto del lavoro che, non da oggi, ha abbracciato la tecnica normativa della delega nei ter- mini della c.d. responsive regulation (10), tentando di superare la dicotomia secca tra regolazione e deregolazione attraverso la costruzione di spazi di legislazione recettizia e di flessibilità contratta (11), talvolta divenuti tanto ampi da rischiare di compromettere, a fronte della erosione del carattere imperativo e inderogabile della norma di legge (12), perfino la compliance dell’ordinamento nazionale con le obbligazioni derivanti dal diritto dell’Unione europea (13).
(8) Cfr. X. Xxxx, Autonomia collettiva e occupazione, Intervento, in Aa.Vv., Autonomia collettiva e occupazione. Atti del 12° Congresso nazionale di diritto del lavoro, Milano, 23- 25 maggio 1997, Milano, 1998, pag. 7.
(9) Così X. Xxxxxxx, Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva, in Dir. Rel. Ind., 2017, n. 1, pag. 1, la quale evoca, indirettamente, X. Xxxxxxxxxx, Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro, Padova, 1928, pag. 108. Sul punto, cfr. anche X. Xxxxx, Sulle fonti del diritto del lavoro. Autonomia collettiva e pluralismo giuridico, in Riv. It. Scienze Giur., 2010, n. 1, pag. 309 e X. Xxxxxxx, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2005, n. 1, pag. 137 e segg.
(10) Sulla c.d. responsive regulation, cfr. I. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, Responsive regulation. Transcending the Deregulation Debate, Oxford University Press, 1992. La tecnica della delega e del rinvio alla contratta- zione collettiva è stata di recente oggetto di studio monografico e sistematico da parte di I. Xxxxxx, I rinvii legislativi al contratto collettivo. Tecniche e interazioni con la dinamica delle relazioni sindacali, 2018.
(11) Si veda la copiosa letteratura in materia che va dai testi classici di X. Xxxx-Xxxxxx, Il lavoro e la legge, Milano, 1974, spec. pag. 61 e segg., X. Xxxxxx, Giuridificazione e deregolazione nel diritto del lavoro italiano, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1986, n. 30, pag. 317, passando per i contributi raccolti in M. D’Antona (a cura di), Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro, Roma, 1990, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx- sta (a cura di), La flessibilità nel mercato del lavoro, Milano, 2000 e X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), Contratto collettivo e disciplina dei rapporti di lavoro, Torino, 2004, fino ai più recenti saggi di X. Xxxxxxx, Il declino dell’inderogabilità?, in Dir. Lav. Merc., 2013, spec. pagg. 59-62, X. Xxxxxxx, Le fonti (dopo il Jobs Act): autonomia ed eteronomia a confronto, in Labor, 2016, n. 1-2, pag. 37 e segg. e, ancora, X. Xxxxxxx, Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva, in Dir. Rel. Ind., 2017, n. 1, pag. 1 e segg.
(12) È il caso tipico del contratto a termine, su cui cfr. X. Xxxxxxxxxxxx, Il contratto a termine dopo il Jobs Act – atto I: l’insostenibile ruolo derogatorio libero della contrattazione collettiva, in Mass. Giur. Lav., 2015, n. 3, pag. 102 e segg.
(13) Il riferimento è ai vincoli della direttiva 1999/70/CE sul contratto a tempo determinato che, dall’intreccio tra deregolazione legislativa e potenziale deregolazione contrattuale, potrebbero risultare completamente rimossi. In argomento, sia consentito rinviare a X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, Il nuovo lavoro a termine, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), Jobs Act: il cantiere aperto delle riforme del lavoro. Primo commento al d.l. 20 marzo 2014, n. 34 convertito, con modificazioni, in l. 16 maggio 2014, n. 78, Adapt University Press, 2014, § 7. Cfr. altresì X. Xxxxxxx, La compatibilità della nuova disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato con la direttiva n. 99/70, in Riv. Giur. Lav., 2014, n. 4, I, pag. 709 e segg.;
M.P. Aimo, Il lavoro a termine tra modello europeo e regole nazionali, Torino, 2017, spec. cap. III, sez. I e
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Di fianco al crescente ruolo assunto dall’autonomia collettiva nella specificazione delle c.d. clausole generali di matrice legale (14), l’ampliamento (e la compressione) dei margini di flessibilità nell’impiego di forza lavoro con modalità diverse dal contratto a tempo pieno e indeterminato è, per questa via, divenuto uno dei principali ambiti di «reciproca permeabilità normativa» tra fonti eteronome e fonti autonome del diritto del lavoro (15). Al punto da rendere anacronistico, se non del tutto superato, non solo lo schema binario regolazione- deregolazione (16), quanto lo stesso confine tra individuale e collettivo nella nostra legislazione lavoristica (17).
2. Tipizzazione delle fattispecie di conflitto-concorso tra legge e contrattazione collettiva Il quadro normativo che si offre alle valutazioni dell’interprete e degli operatori finisce, inevitabilmente, col presentare ampi profili di complessità e incertezza. In primo luogo, per via del non facile raccordo tra le stesse norme di legge, vuoi per la evanescenza e indeterminatezza del dato normativo, vuoi per la diversità che connota la tecnica del rinvio alla contrattazione collettiva (18). In secondo luogo, a causa della forte eterogeneità delle disposizioni della contrattazione collettiva, che ai diversi livelli interviene nella regolazione degli istituti contrattuali con so- luzioni diversificate e talvolta irriducibili agli schemi precostituiti dal legislatore (19). In terzo luogo, in ragione del fatto che, ad ogni modifica del quadro legisla- tivo, emerge il problema del se le clausole della contrattazione collettiva in essere
II; X. Xxxxxxxxxx, L’ordinamento perduto, in Lav. Dir., 2015, n. 1, pag. 75 e X. Xxxxxxx, Le modifiche al contratto di lavoro, in X. Xxxxxxx (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio Atti del XI Seminario di Bertinoro- Bologna del 22-23 ottobre 2015, ADAPT Labour Studies e-Book Series, 2016, pagg. 72-73. Sul rapporto tra normativa europea e disciplina nazionale del lavoro a termine, anche con riferimento alla competenza derogatoria del contratto collettivo, si veda, più in generale, X. Xxxxx Xxxxxx, La normativa comunitaria sul lavoro a termine, in Dir. Rel. Ind., 2007, n. 4, pag. 1052 e segg. e, ancora, M.P. Aimo, Il lavoro a termine tra modello europeo e regole nazionali, op. cit., spec. pagg. 131-174.
(14) X. Xxxxxxx, Autonomia collettiva e clausole generali, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2015, n. 1, pag. 45 e segg.
(15) X. Xxxxxxx, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in Arg. Dir. Lav., 2005, n. 1, pag. 137.
(16) Sul superamento della dicotomia regolazione-deregolazione anche come chiave analitica, oltre agli autori richiamati in nota 10, cfr. C. Inversi, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, An analytical framework for em- ployment regulation: investigating the regulatory space, in Employee Relations, vol. 39, 2017, pagg. 291-307.
(17) Cfr. X. Xxxx, Autonomia collettiva e occupazione, op. cit., pag. 6 e, sulla specifica opportunità di un superamento della coppia oppositiva individuale-collettivo, X. Xxxxxxx, Postfazione: un repertorio di imma- gini sul lavoro, in Id. (a cura di), Il lavoro. Xxxxxx, significato, identità, regole, Xxxx, 0000, pagg. 211-212.
(18) Cfr. I. Xxxxxx, I rinvii legislativi al contratto collettivo, cit. e X. Xxxxxxx, I rinvii alla contrattazio- ne collettiva nel decreto legislativo n. 81/2015, in Dir. Rel. Ind., 2016, n. 4, pag. 1073 e segg.
(19) Sul contratto a termine, in particolare, cfr. X. Xxxxxxxx, Contratto a tempo determinato versus contratto a tutele crescenti: gli obiettivi e i risultati del Jobs Act tra flessibilità e incentivi economici, in Dir. Rel. Ind., 2018, n. 1, spec. pag. 81.
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conservino intatta la loro efficacia, ovvero se debbano considerarsi caducate in quanto contrastanti con la sopravvenuta regolazione eteronoma.
Provando a fare ordine nel complesso reticolo normativo riguardante le tipologie contrattuali non-standard, la ricerca delle ipotesi di concorso tra legge e contrattazione, nella peculiare prospettiva del diritto transitorio, conduce alla individuazione delle seguenti fattispecie che, come di vedrà a breve, possono tra loro coesistere e rispetto alle quali è possibile registrare la presenza o all’opposto l’assenza di una espressa riserva di legge in favore dell’autonomia collettiva: (1) ipotesi di deregolazione legale e regolazione contrattuale in concorso, ovvero clausole della contrattazione collettiva che, di fronte a interventi di delegificazione operati dal legislatore, continuino a prevedere maggiori restrizioni nell’uso della flessibilità; (2) ipotesi di regolazione contrattuale e successiva regolazione legale in concorso, ovvero clausole della contrattazione collettiva relative a un istituto solo successivamente normato dalla legge, con contenuti non necessariamente conformi al dato contrattuale; (3) ipotesi di regolazione legale e deregolazione contrattuale in concorso, ovvero clausole della contrattazione collettiva che, di fronte a interventi di giuridificazione operati dal legislatore, continuino a prevedere maggiori margini di flessibilità.
La prima delle tre ipotesi non si concretizza, prima facie, in nessuna delle previsioni introdotte dal c.d. Decreto dignità, configurandosi quest’ultimo come tipico intervento di giuridificazione attuato nella forma della ri-regolazione (20). Va subito rilevato tuttavia il dato di complessità che si presenta quando, all’osservazione asettica delle norme di legge e di contratto collettivo, si affianca l’analisi dei contenuti contrattuali in tutta la loro ricchezza normativa. Si considerino ad esempio le previsioni del CCNL Confimi impresa meccanica, Fim- Cisl e Uilm-Uil del 22 luglio 2016 che, sulla scorta di una analoga sperimentazione invalsa nel settore del commercio (21), ha introdotto il contratto c.d. “Socrate” come strumento per favorire lo sviluppo e l’occupazione nella piccola e media industria manifatturiera e metalmeccanica. Trattasi di un contratto di ingresso, a tempo determinato, rivolto a determinate categorie di lavoratori e attivabile da determinate tipologie di aziende, a fronte di investimenti produttivi e organizzativi, per favorire l’occupazione giovanile, femminile, dei disoccupati di
(20) Esemplificativa di tale fattispecie era stata la dinamica di concorso tra legge e contrattazione quando, all’indomani dell’approvazione del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 34 e successivamente del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il legislatore aveva rimosso l’obbligo delle causali per la stipula di contratti a termine o delle clausole flessibili nei rapporti a tempo parziale. Materie, queste, che allora erano ampiamente disciplinate in termini limitativi dalla contrattazione collettiva in essere (Ipotesi 1).
(21) Cfr. X. Xxxxxxxxx, Esperimenti di flexicurity nell’autonomia collettiva: prime riflessioni sul contratto di sostegno all’occupazione del nuovo CCNL Terziario, in Dir. Rel. Ind., 2015, 2, pagg. 507-518.
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lungo corso e degli ultracinquantenni (22). In questo caso, le previsioni contrattuali predispongono un assetto normativo del rapporto a termine i cui contenuti non risultano per buona parte conformi alle “condizioni” di cui all’art. 19, comma 1, del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
Xxxx esemplifica invece la seconda e la terza ipotesi di concorso tra legge e contrattazione il riferimento al nuovo regime delle causali reintrodotto dal c.d. Decreto dignità, all’art. 19, comma 1, del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Nonostante la piena liberalizzazione del contratto a termine disposta dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, infatti, diversi contratti collettivi, nel corso dell’ultimo triennio, hanno mantenuto una qualche forma di regolamentazione delle causali giustificative dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, che oggi risulta non propriamente allineata alle “condizioni” disposte dall’art. 19, comma 1, del medesimo decreto legislativo, per come novellato dal c.d. Decreto dignità (Ipotesi
2) (23). Altri contratti collettivi, diversamente, hanno provveduto ad adeguare la regolazione dell’istituto al nuovo regime di a-causalità, eliminando le previgenti disposizioni atte a tipizzare le ipotesi di ricorso al contratto a termine Ipotesi 3) (24). Sullo sfondo di entrambe queste fattispecie, si registra l’assenza di apertura del mutato quadro legislativo verso interventi modificativi o adattivi del nuovo regime delle causali da parte dell’autonomia collettiva.
Parzialmente diverso è il discorso per quanto riguarda la durata massima del contratto a tempo determinato, ridotta da 36 a 24 mesi complessivi. Di fianco ai casi in cui la contrattazione collettiva si è del tutto astenuta dalla regolazione dell’istituto, nonostante la possibilità di sforamento del limite disposta dall’art. 19, comma 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ci sono i contratti collettivi che hanno esteso la durata del contratto a termine oltre i 36 mesi, ovvero quelli che hanno richiamato il predetto limite ai fini del computo di altri istituti (proroghe e rinnovi) (Ipotesi 3)(25).
(22) Il contratto c.d. “Socrate” ha una durata variabile da sei a diciotto mesi continuativi e, a seguito del rinnovo del CCNL del 18 dicembre 2017, è stato reso maggiormente flessibile a seconda della tipologia di categoria “svantaggiata” per cui è stipulato, attraverso un prolungamento della relativa durata, la possibilità di proroga, così come la previsione di minimi tabellari inferiori di circa il 18% per i primi sei mesi, a condizione che il rapporto prosegua a tempo indeterminato decorso il periodo di inserimento.
(23) Cfr., a mero titolo di esempio, l’art. 6 del CCNL Tabacco, rinnovato l’8 maggio 2017 e l’art. 21 del CCNL Istituti socio-sanitari e assistenziali, rinnovato il 20 febbraio 2017.
(24) Cfr., ex multis, il rinnovo del CCNL Terziario, distribuzione e servizi del 30 marzo 2015 e il rinnovo del Ccnl studi professionali del 17 aprile 2015.
(25) Tipico esempio di questa fattispecie si ha con riferimento al contratto di lavoro in somministrazione, rispetto al quale è controverso se sia possibile prorogare ciascun singolo rapporto fino a sei volte, per una durata complessiva di 36 mesi, come previsto dall’art. 47 del CCNL del 27 febbraio 2014 applicato dalle agenzie, ovvero se debba considerarsi prevalente il nuovo assetto legislativo.
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Ricade invece nella seconda delle tre ipotesi la disposizione di cui all’art. 31, comma 2, del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, percome modificata dal c.d. Decreto dignità (26). Taluni contratti collettivi, infatti, hanno disciplinato forme di contingentamento del ricorso al contratto a termine a scopo di somministrazione non necessariamente allineate al nuovo standard di legge (Ipotesi 2) (27), finanche attraverso la previsione di aperture in favore di intese modificative di livello aziendale (28).
Altra fattispecie del tutto peculiare, riconducibile alla seconda e alla terza delle tre ipotesi, è quella di contratti collettivi che prevedono una durata massima del contratto a termine inferiore perfino ai 24 mesi oggi previsti per legge (Ipotesi 2), ma senza l’obbligo di apposizione della causale (che secondo le nuove regole dovrebbe scattare decorsi i 12 mesi) (Ipotesi 3) (29).
3. Il coordinamento tra fonte legale e fonte contrattuale.
Xxxxxxxxx ed esemplificate le fattispecie di conflitto-concorso tra legge e contratta- zione collettiva, si tratta ora di indagare a quale sorte andranno incontro le clau- sole contrattuali difformi rispetto al rinnovato quadro legislativo, in mancanza di un regime transitorio che regoli i rapporti tra le due fonti. In questa direzione di ricerca va subito chiarito che la questione che si vuole analizzare riguarda la sola ipotesi d’intervento regolativo (o deregolativo) da parte della legge su un isti-
(26) In forza di questa disposizione, salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore e fermo restando il limite disposto per i contratti a termine, il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5.
(27) Il CCNL Energia e Petrolio, ad esempio, prevede che la somma dei contratti a tempo determinato e di somministrazione a tempo determinato non debba superare il 25% della forza lavoro su media annua, mentre il CCNL Gas e acqua prevede che il numero dei lavoratori occupati con contratti a tempo determinato e con contratti di somministrazione a tempo determinato non può complessivamente superare la percentuale del 30% dei lavoratori occupati con contratto a tempo indeterminato, da calcolarsi come media annua tempo per tempo all’atto dell’assunzione. Similmente, il CCNL Chimico-farmaceutico che, all’art. 3, lett. c), punto 1, prevede testualmente che con esclusivo riferimento a talune specifiche condizioni individuate dalle parti, il numero di lavoratori occupati con contratto di somministrazione a tempo determinato non possa superare il 18% (30% nei territori del Mezzogiorno) in media annua dei lavoratori occupati nell’impresa alla data del 31 dicembre dell’anno precedente.
(28) Il CCNL Giocattoli, ad esempio, prevede che la percentuale massima di lavoratori che possono essere utilizzati con contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato non potrà superare nell’arco di 12 mesi la media dell’8%, elevabile con accordo aziendale, dei lavoratori occupati dall’impresa utilizzatrice con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
(29) È il caso del rinnovo dell’integrativo Berco del 2017, in cui le parti hanno concordato la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato per le maestranze che abbiano prestato 18 mesi di servizio in azienda, anche come sommatoria di periodi non consecutivi, nell’arco degli ultimi 36 mesi di calendario.
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tuto disciplinato da un contratto collettivo in corso di vigenza. Il nocciolo del problema, infatti, attiene non solo e non tanto al (mero) rapporto di competenza regolativa tra fonte autonoma e fonte eteronoma del diritto del lavoro, quanto all’efficacia del contratto collettivo nel tempo (30), là dove i continui mutamenti del quadro regolatorio vengano a determinare la (presunta) obsolescenza di vincoli contrattuali assunti nell’ambito di contratti collettivi non ancora giunti a natu- rale scadenza oppure ultrattivi. Diversamente, la dialettica tra legge e contratta- zione collettiva si risolverebbe, fatte salve le eccezioni di cui si dirà a breve, nella tecnica dell’inderogabilità relativa del precetto legale (31), per cui in assenza di esplicite clausole di rinvio in favore dell’autonomia collettiva, la legge può essere modificata soltanto in senso migliorativo, nell’interesse individuale del presta- tore di lavoro. È pacifico in altre parole che un contratto collettivo qualificato ai sensi dell’art. 51, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, possa modulare o finanche rimuo- vere la clausola di contingentamento all’assunzione in somministrazione prevista all’art. 31, comma 2, del medesimo decreto legislativo, in esecuzione della riserva di legge in favore dell’autonomia collettiva che la predetta disposizione prevede al primo periodo. Come pure non può revocarsi in dubbio la impossibilità che la contrattazione collettiva possa operare in deroga al nuovo regime delle causali di cui all’art. 19, comma 1, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ad eccezione delle ipotesi di
contrattazione di prossimità ex art. 8, decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, con-
vertito con modifiche in legge 14 settembre 2011, n. 148 (32).
Resterebbe invece salvo, ad avviso di scrive, il potere dell’autonomia collettiva di tipizzare le clausole generali di fonte legale in materia di causali, a prescindere da una specifica investitura da parte della legge (33). Tipizzazione a cui l’autonomia individuale, obbligata ad individuare puntualmente le motivazioni giustificative dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, potrebbe richiamarsi. Si tratta
(30) X. Xxxxxxxxxx, L’efficacia temporale del contratto collettivo di lavoro: atipicità dello schema negoziale, giuridicità del vincolo e cause di scioglimento, in Dir. Rel. Ind., 1994, n. 1, pag. 83 e segg.
(31) X. Xx Xxxx Xxxxxx, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Milano, 1976, spec. pag. 113 e segg.; X. Xxxxxx, La norma inderogabile: fondamento e problema nel diritto del lavoro, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2008, pag. 341 e segg.; M. Xxxxxxx, L’inderogabilità nel diritto del lavoro. Norme imperative e autonomia individuale, Milano, 2008; X. Xxxxxxx, Il declino dell’inderogabilità, in Dir. Lav. Merc., 2013, n. 1, pag. 53 e segg.; X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Autonomia privata individuale e collettiva e norma inderogabile, in Riv. It. Dir. Lav., 2015, n. 1, pag. 61 e segg.; X. Xxxxxxx, Inderogabilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, in Working Paper CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx” – IT, 2015, n. 276.
(32) Per analisi di sistema, cfr. X. Xxxxxxx, Lavoro a termine, somministrazione e contrattazione collettiva in deroga, Padova, 2013. Xxxxx deroghe ex articolo 8 verso il nuovo regime di limitazioni al contratto a termine e in somministrazione, cfr. X. Xxxxxxx, Contratti a termine, spazi ridotti per la contrattazione collettiva, in Il Sole 24 Ore, 28 agosto 2018.
(33) In argomento, cfr. X. Xxxxxxxxx, Convertito in legge il “decreto dignità”: al via il dibattito sui problemi interpretativi e applicativi, in XxxxxxxxxXxxxxx.xxx, 2019, n. 9, pag. 11.
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invero di una competenza tipica dell’autonomia collettiva, già invalsa nella prassi delle relazioni industriali, direttamente ascrivibile al principio costituzionale di libertà sindacale (art. 39, comma 1, Cost.). A offrire una esemplare testimonianza di questo è la storica funzione normativa che il contratto collettivo nazionale di lavoro ha svolto nella regolazione dei codici disciplinari, in ordine alla tipizzazione delle clausole generali di proporzionalità e adeguatezza. Sebbene nella previgente disciplina del recesso per giustificato motivo soggettivo la legge non prevedesse alcun rinvio alla contrattazione collettiva, il dato della proporzionalità del licenziamento disciplinare veniva comunque verificato dalla magistratura tenendo conto dei codici predisposti dai CCNL. Analogo discorso varrebbe oggi qualora un contratto collettivo, nonostante l’assenza di espresse riserve di legge in tal senso, specificasse il contenuto delle “condizioni” per l’assunzione a termine e in somministrazione secondo il nuovo regime delle causali disposto dall’art. 19, comma 1, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, per come novellato dal c.d. Decreto dignità. E non è neppure escluso che si possano differenziare, in via negoziale, le ragioni giustificative del termine a seconda che si scelga di optare per la somministrazione o per il contratto “diretto” a tempo determinato, riconoscendo una tipicità funzionale ai due istituti in base al settore di riferimento.
4. Segue: conflitto-concorso tra disposizioni contrattuali vigenti e mutato quadro legislativo.
Sgombrato il campo di analisi dalla problematica riguardante le future previsioni della contrattazione collettiva, si possono ora trattare i profili attuali del coor- dinamento tra disposizioni contrattuali vigenti e mutato quadro legislativo, con specifico riguardo a due possibili orientamenti: uno conservativo, favorevole cioè alla perdurante vigenza delle disposizioni della contrattazione collettiva; l’altro tendente a riconoscere la immediata sincronizzazione dei contenuti contrattuali alla sopravvenuta modifica delle previsioni di legge in concorso.
In favore del primo orientamento (34), si è espresso il Ministero del Lavoro con circolare n. 17 del 31 ottobre 2018, precisando che «le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che – facendo riferimento al previgente quadro normativo – abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo». In opposizione alla tesi conservativa, invece, taluna giurisprudenza di merito ha di recente sancito che, essendo un
(34) Orientamento già accolto dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Xxxx. 3 gennaio 2014, n. 27 e Cass. 4 luglio 2008, n. 21092) quando tuttavia la legge dettava specifiche norme di diritto transitorio: il riferimento è all’art. 11, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368.
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CCNL «antecedente alle (rilevanti) modifiche introdotte in tema di contratto a termine, risulta superato dalla successiva norma legale (e per tale ragione non si può sostenere che le parti sociali abbiano voluto derogare a quest’ultima)» (35). Premesso il carattere fugace dell’orientamento espresso dalla Corte di Appello di Bologna, che esprimendo una presa di posizione priva di argomentazione dà per scontato qualcosa che, come si dirà tra breve, scontato non è, questa sentenza risulta molto utile a decostruire in modo critico l’alternativa netta tra la tesi conservativa e quella ad essa contrapposta, suggerendo la opportunità di valutare la questione caso per caso.
Va innanzitutto rilevato che il cuore del problema di cui si sta discutendo, in assenza di un regime transitorio che disciplini chiaramente la materia, non riguarda il se le parti abbiano intenzionalmente voluto discostarsi dalla legge con la firma del contratto collettivo, ma come si conforma l’equilibrio complessivo da esse raggiunto con la conclusione dell’intesa, in quali termini quell’equilibrio è idoneo a soddisfare, complessivamente, i loro reciproci interessi, e in che misura il mutato quadro legislativo incide sulla causa del contratto, oltreché sul suo oggetto. Si tratta di questioni non affrontate dalla richiamata giurisprudenza di merito, come pure dal thema decidendum esulano i profili centrali della tesi conservativa che verrà analizzata di seguito, riguardanti la natura del rapporto tra legge e contrattazione collettiva, la presenza o meno della clausola di inscindibilità del CCNL in questione e la relativa efficacia nel tempo, posto che il contratto collettivo oggetto di contenzioso, seppur scaduto, prevedeva una clausola di ultrattività.
A conclusioni convergenti con la sentenza della Corte di Appello di Bologna
si potrebbe pervenire se si ipotizzasse che il contratto collettivo delegato dal legislatore non fosse diretta espressione del principio di libertà di azione e contrattazione collettiva di cui all’art. 39, comma 1, Cost., bensì trovasse la sua legittimazione nell’atto di delega attraverso cui il legislatore trasferisce funzioni normative proprie all’autonomia collettiva. Con la conseguenza che si dovrebbe dubitare che le parti «abbiano dato luogo ad una manifestazione contrattuale frutto del libero esercizio dell’autonomia collettiva di cui sono titolari» (36). Circostanza che dovrebbe implicare la immediata sincronizzazione tra mutato quadro legislativo ed eventuali previsioni contrattuali difformi. Ma una simile impostazione incontra almeno tre resistenze che conviene subito considerare.
La prima è di carattere dogmatico. È stato di recente ricordato che il contratto collettivo “delegato” non rappresenta una tipologia negoziale autonoma, ma
(35) Xxxxx Xxx. xx Xxxxxxx, 0 gennaio 2018.
(36) X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 489.
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una manifestazione dell’evoluzione funzionale dell’istituto, che mantiene la sua unitarietà sotto il profilo concettuale e strutturale (37). In altre parole, l’autonomia collettiva conserva la sua natura di potere sociale, e la «bivalenza normativa» che qualifica la tecnica della delega consente al contratto collettivo di non perdere quella caratteristica anche se esso viene giuridificato dall’ordinamento (38). Ciò induce a ritenere che – seppur in assenza di una riserva di competenza in favore dell’autonomia collettiva – il rapporto tra legge e contrattazione debba essere letto alla luce della copertura costituzionale di cui gode la fonte pattizia, nonostante la mancata attuazione della seconda parte dell’articolo 39 della Costituzione, e che pertanto il legislatore non possa sancire il venir meno dell’efficacia delle norme collettive tout court. Tema questo già affrontato all’alba dell’introduzione del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, quando, infatti, era stata espunta dal testo di legge la previsione che sanciva l’inapplicabilità dei contratti collettivi stipulati prima dell’entrata in vigore della novella proprio per non incorrere in ipotesi di incostituzionalità (39).
A maggior ragione, non sembra revocabile in dubbio che l’atto di autonomia
negoziale collettiva debba considerarsi disposto dalle parti nel pieno della loro libertà sindacale quando la materia trattata sia oggetto di rinvii c.d. impropri, vale a dire quando il rimando alla contrattazione è operato attraverso «disposizioni legali che, pur richiamando i contratti collettivi stipulati da alcuni particolari soggetti sindacali e nonostante la formulazione letterale, si limitano ad evidenziare funzioni tradizionalmente proprie della contrattazione collettiva» (40). In questo
(37) Così, testualmente, X. Xxxxxxx, I rinvii alla contrattazione collettiva nel decreto legislativo n. 81/2015, in Dir. Rel. Ind., 2016, n. 4, pag. 1075, il quale richiama in nota M. Napoli, Autonomia individuale e autonomia collettiva nelle più recenti riforme, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2004, pag. 581; M.C. Cataudella, Contratto collettivo (nuove funzioni del), in Enc. Giur. Treccani, 2002; X. Xxxxxxxx, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, in Arg. Dir. Lav., 1999, n. 4; X. Xxxxxxx, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, in Lav. Dir., 1987, pag. 245; X. Xx Xxxx Xxxxxx, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, in Riv. It. Dir. Lav., 1985, I, pag. 16.
(38) Così, ma in forma velatamente critica, X. Xxxxx, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica: rileggendo Xxxxxxx Xxxxxxx, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2011, pag. 197.
(39) Per una ricostruzione completa della vicenda in materia di disciplina transitoria a seguito dell’introduzione del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, si veda X. Xxxxxxxx, Abrogazione e disciplina transitoria, in X. Xxxxx (a cura di), Il nuovo lavoro a termine. Commentario al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Milano, 2002, pag. 249 e segg., e X. Xxxxxxxx, Regime transitorio ed efficacia dei contratti collettivi in vigore, in X. Xxxxxxxxxx (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, Milano, 2004, pag. 1015 e segg.
(40) Cfr. X. Xxxxx, Il lavoro part-time e la mediazione sindacale: la devoluzione di funzioni normative al contratto collettivo nel d.lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 e le prospettive di riforma, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2002, n. 2, pag. 278. In argomento, cfr. anche X. Xxxxxxxxxxx, Autonomia collettiva e mercato del lavoro. La contrattazione gestionale e di rinvio, Torino, 2005, spec. pag. 135 e segg.
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caso, infatti, ci si trova dinnanzi ad una «“esplicitazione” (più che ad una devoluzione) di poteri negoziali del sindacato» (41), dovendosi pertanto considerare il rinvio una «forma anomala di valorizzazione dell’autonomia collettiva» (42).
Un’analisi di segno diverso può essere svolta, invece, con riguardo alle ipotesi in cui il rinvio al contratto collettivo preveda l’intervento amministrativo sostitutivo. In tal caso, in effetti, il negoziato e i rapporti di forza tra le parti che lo conducono sono inficiati dalla spada di Damocle dell’atto amministrativo che verrebbe comunque emanato in caso di mancato accordo in sede sindacale (43). Circostanza, questa, che depone in favore della natura speciale di questa specifica fattispecie di contratto delegato, lasciando intendere la volontà prioritaria per il legislatore che un determinato istituto sia attivato, tanto da prevedere un meccanismo che, a priori, «sia in grado di aggirare la situazione di stallo che invece si determinerebbe inevitabilmente ove la contrattazione collettiva fosse l’unica fonte per l’attivazione di un determinato istituto» (44).
In secondo luogo, si è visto che in molti casi le previsioni contrattuali preesistono e/o prescindono dalle esplicite riserve di legge in favore della contrattazione collettiva. L’esempio tipico è quello delle clausole legali di contingentamento che fissano i limiti percentuali al ricorso al contratto a termine, ora anche quando concluso a scopo di somministrazione. In questo caso la legge regola per la prima volta un istituto, facendo però salvo il rinvio preesistente in favore della contrattazione collettiva. Considerata la persistente apertura in favore della fonte pattizia, in assenza di previsioni contrarie, il rinvio non può che considerarsi dinamico, venendo dunque ad assorbire quanto definito dalle parti in sede negoziale, specie se il relativo contratto collettivo non sia ancora giunto a naturale scadenza. La clausola di contingentamento legale, infatti, opera «fatto salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva», appunto, precedentemente alla puntuale regolazione dello standard da parte della legge. Anche in questa circostanza, quindi, in attesa di eventuali accordi collettivi di riallineamento rispetto allo standard legale, dovrebbero continuare ad applicarsi le previgenti previsioni contrattuali (45).
(41) X. Xxxxxx, Rappresentanza sindacale e contrattazione collettiva sulla flessibilità, in M. D’Xxxxxx (a cura di), Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro, Napoli, 1990, pag. 174.
(42) X. Xxxxxxxx, Dalla concertazione al dialogo sociale: scelte politiche e nuove regole, in Lav. Dir., 2004, n. 1, spec. § 4.
(43) In argomento, cfr. ampiamente X. Xxxxxxxx, Dalla concertazione al dialogo sociale: scelte politiche e nuove regole, in Lav. Dir., 2004, n. 1, spec. § 3.3.
(44) X. Xxxxx, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica, op. cit., pag. 198.
(45) Analogo problema si era posto, in materia di contratto a termine, con l’entrata in vigore del decreto- legge 28 giugno 2013, n. 76. Allora non si discusse della perdurante vigenza di quei contratti collettivi che
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Il discorso non cambierebbe in presenza di un contratto collettivo ultrattivo. Posto che la clausola convenzionale di ultrattività consente di «preservare nel tempo gli effetti del contratto, fino al momento del suo rinnovo» (46), o le parti continuerebbero ad applicarlo nella sua interezza, oppure lo dovrebbero modificare di comune accordo, o ancora sarebbero tenute a disapplicarlo interamente. In casi assai rari, è possibile che venga apposto un termine all’ultrattività del contratto collettivo. In questa circostanza il contratto collettivo, decorso il termine dell’ultrattività, cesserebbe di produrre effetti con riferimento all’intera gamma degli istituti che regola. Con la conseguenza che l’autonomia privata individuale non potrebbe che riferirsi al solo dato normativo legale.
Nel caso in cui il legislatore disciplinasse per la prima volta un istituto già regolato dalla contrattazione collettiva, senza prevedere aperture in favore di interventi modificativi della fonte pattizia, in favore della caducazione delle previsioni contrattuali previgenti potrebbe essere fatta valere la tesi della inderogabilità bilaterale del precetto legale, tendente a restringere gli spazi di intervento della autonomia collettiva – qualificata ai sensi dell’art. 51, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 – alle sole aree di competenza concorrente tra le due fonti specificatamente individuate dal legislatore. Sicché tutte le disposizioni contrattuali non (più) coperte da delega o rinvio dovrebbero considerarsi decadute con l’entrata in vigore del nuovo quadro legislativo. La questione, come noto, fu posta con riferimento al rapporto tra legge e contrattazione collettiva in generale (47), per essere poi traslata su specifici istituti oggetto di recenti misure di liberalizzazione (48).
avessero agito sulla base della previsione del rinvio ridotto ai sensi della legge 28 giugno 2012, n. 92, poiché la norma contenente il rinvio legale agli stessi non era stata toccata (cfr. X. Xxxxxx, Tendenze della contrattazione nazionale in materia di contratto a termine, part-time e apprendistato professionalizzante, WP CSDLE Xxxxxxx X’Xxxxxx. IT, 2013, n. 186). Del pari, a seguito della liberalizzazione del primo contratto a termine ad opera della stessa legge 28 giugno 2012, n. 92, e dell’intervento del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, i contratti collettivi antecedenti l’entrata in vigore di tale ultimo decreto avevano mantenuto la propria efficacia stante la perdurante vigenza dell’articolo 1, comma 1, decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
(46) Così X. Xxxxxxx, Contratto collettivo e libertà di recesso, op. cit., pag. 61.
(47) Cfr. X. Xxxxxxx, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi. L’omaggio dell’Accademia a Xxxxxx Xxxxxxxx, Padova, 2005, pag. 479 e X. Xxxxx, L’autonomia collettiva nella dottrina giuslavoristica: rileggendo Xxxxxxx Xxxxxxx, in Dir. Lav. Rel. Ind., 2011, spec. pag. 198. In argomento, si veda anche X. Xxxxxxx, Il declino dell’inderogabilità?, op. cit., pag. 93.
(48) Ad esempio, con riferimento al contratto a tutele crescenti, Xxxxxx ha osservato che «potrebbe emergere un contrasto con la nuova disciplina se i contratti collettivi dovessero introdurre una clausola analoga alla seconda ipotesi di reintegrazione prevista dal comma 4 dell’art. 18 St. Lav. (…) nel caso in cui il contratto collettivo deroghi, ai sensi dell’art. 12 L. n. 604/1966, al sistema sanzionatorio previsto dal decreto in esame (D.lgs. n. 23/2015), sorgerebbe il dubbio sulla validità di tale previsione». E ciò in
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Occorre tuttavia ricordare che la dottrina dell’inderogabilità bilaterale, già criticabile nella prospettiva di una interpretazione costituzionalmente orientata del rapporto tra legge e contrattazione collettiva (49), riposava principalmente su presupposti di natura teleologica: al tempo del Jobs Act, ad esempio, l’intervento legislativo era chiaramente votato all’obiettivo di politica economica del diritto consistente nel superamento del dualismo del mercato del lavoro. In quella stagione di de-regolazione di alcuni istituti normativi riguardanti la flessibilità in ingresso e in uscita, era in effetti possibile evocare l’orientamento della Corte Costituzionale che aveva riconosciuto la legittimità dell’”apposizione di tetti alla contrattazione collettiva” allorquando la limitazione della libertà sindacale fosse stata rivolta alla tutela di interessi superiori di carattere generale (50). Soprassedendo al fatto che di tale orientamento non si evidenziarono i limiti puntualmente richiamati dalla Consulta, in ordine al carattere esplicito e temporaneo che avrebbe dovuto qualificare la misura di compressione della libertà di azione e contrattazione sindacale garantita dall’art. 39, comma 1, si converrà che quegli argomenti della dottrina incontrerebbero, oggi, maggiori resistenze ad essere sostenuti, essendo venuto meno il presupposto teleologico che li aveva legittimati (51): il legislatore del
c.d. Decreto dignità, infatti, è chiaro nel precisare che, di fronte alla «straordinaria necessità e urgenza di attivare con immediatezza misure a tutela della dignità dei lavoratori e delle imprese», la sua volontà non è più soltanto quella del rilancio della occupazione, bensì quella di «contrastare fenomeni di crescente precarizzazione
quanto «la nuova disciplina introduce trattamenti che non si possono né accrescere né ridurre, perché sono standard, come tali immodificabili. In ogni caso, la deroga in melius da parte del contratto collettivo sarebbe in contrasto con la ratio del decreto che, come si è visto, ha inteso abbassare le tutele contro il licenziamento per favorire la lotta alla disoccupazione. Sicché un’eventuale clausola in senso contrario del contratto collettivo potrebbe essere colpita da nullità per contrasto a norme imperative» (cfr. X. Xxxxxx, Il nuovo regime di tutele per il licenziamento ingiustificato, in X. Xxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxx, Jobs Act e licenziamento, Torino, 2015, pag. 35).
(49) X. Xxxxxxxxx, Legge e autonomia collettiva: una critica della dottrina dell’inderogabilità bilaterale, in Lav. Dir., 2015, pag. 491 e segg. e, conformemente, X. Xxxxxxx, I rinvii alla contrattazione collettiva nel decreto legislativo n. 81/2015, in Dir. Rel. Ind., 2016, n. 4, spec. pagg. 1084-1085.
(50) Cfr. Corte cost. 7 febbraio 1985, n. 34. In dottrina v., ex multis, X. Xxxxxx, Diritto sindacale, Bari, 2009, pag. 183, che parla di apposizione di “tetti” alla contrattazione collettiva; X. Xxxxxxx, La delegificazione nel diritto del lavoro italiano, in M. D’Antona (a cura di), Politiche di flessibilità e mutamenti del diritto del lavoro, Napoli, 1990, pag. 163 e segg.; X. Xxxxx, Giustizia costituzionale e autonomia collettiva, Bari, 1999; X. Xxxxxxxxxxxx, I rapporti tra legge e contratto collettivo, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, Le fonti. Il diritto sindacale, Torino, UTET, 2007, I, pag. 424 e segg.; X. Xxxxxxxxx, Commento all’art. 39 della Costituzione, in X. Xxxxxxx, X. Xx Xxxxx, X. Xxxxxxx, Diritto del lavoro. La Costituzione, il Codice civile e le leggi speciali, vol. I, 3^ edizione, Milano, 2009, pag. 358 e segg. e ancora X. Xxxxxxx, Il declino dell’inderogabilità?, op. cit., pagg. 93-94.
(51) Vale a dire, il superamento della tensione tra insiders e outsiders e il perseguimento della maggiore occupazione come interesse generale: X. Xxxxxxx, ivi.
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in ambito lavorativo». Sicché interventi contrattuali previgenti o futuri che siano, pattuiti nel segno di una maggiore stabilità dei rapporti di lavoro, sarebbero da ritenersi coerenti con queste finalità.
Le previsioni del contratto collettivo potranno essere considerate prive di effetti, invece, allorché si limitassero a rimandare, in termini di mero rinvio o richiamo, alle disposizioni di legge relative a istituti abrogati (52). Non così, viceversa, per l’ipotesi di rinvii contrattuali a norme di legge di cui risultasse mutata la sola «collocazione formale confluendo nel nuovo testo organico, ma non il senso sostanziale e complessivo della relativa disciplina» (53). In tal caso, maggiore affidamento merita il richiamo all’articolo 1367 del codice civile che, nel disporre il principio di conservazione del contratto, porta a giustificare «la piena operatività dei rinvii contrattuali ancorché le relative discipline facciano ancora formale riferimento, in attesa dei rinnovi, ai testi di legge oggi abrogati dal nuovo decreto» (54).
In terzo luogo, pur aderendo alla tesi della decadenza delle previsioni contrattuali che risultassero in contrasto con la norma di legge sopravvenuta, si paleserebbe un problema di equità e giustizia contrattuale, posto che il mutato quadro legislativo verrebbe ad alterare gli equilibri complessivi raggiunti dalle parti con la conclusione del contratto. Un contratto collettivo, infatti, può contenere clausole o parti di varia natura, ciascuna delle quali munita di una autonoma fisionomia funzionale, ma «il negozio, come tale, resta unico e ciò rileva a vari effetti» (55). In presenza di accordi complessi, destinati a disciplinare
«una pluralità di materie con un intreccio di diritti ed obblighi (più o meno bilanciati) che coinvolge le due parti» (56), il contratto collettivo non solo realizza una tutela diffusa dei lavoratori e posizioni di controllo in favore delle loro rappresentanze, ma nel contempo rappresenta anche un «efficace strumento di gestione per l’azienda impegnata, ad esempio, nella ricerca di una maggiore flessibilità necessaria a recuperare efficienza tecnologica e organizzativa» (57).
(52) È il caso ad esempio dei contratti collettivi che si limitavano a menzionare gli articoli del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sulla disciplina del Job-sharing, di fronte all’abrogazione dell’istituto da parte del Jobs Act. In quella circostanza, a ben vedere, il concorso-conflitto tra legge e contrattazione collettiva non si pose affatto, giacché la fonte pattizia non disciplinava alcunché.
(53) Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Prima lettura del d.lgs. n. 81/2015 recante la disciplina organica dei contratti di lavoro, ADAPT Labour Studies e-Book Series, 2015, n. 45, 27.
(54) Ibidem.
(55) X. Xxxxxx, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in Atti del terzo congresso nazionale di diritto del lavoro sul tema “Il contratto di lavoro”, 1-4 giugno 1967, Milano, 1968, pag. 23.
(56) X. Xxxxxxx, Contratto collettivo e libertà di recesso, in Arg. Dir. Lav., 1995, n. 2, pagg. 35-62, qui pag. 57.
(57) Ibidem.
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L’individuazione del grado di flessibilità e, per converso, di rigidità applicativa delle norme di legge, in particolare, rientra a pieno titolo nel novero dei termini di scambio negoziale in sede di rinnovo tanto dei CCNL che dei contratti integrativi aziendali e territoriali. La proceduralizzazione delle prerogative manageriali, al di là degli standard fissati dalla legge, è scambiata, ad esempio, con concessioni sindacali sulla flessibilità organizzativa (orario di lavoro, inquadramento ecc.) e salariale. Specularmente, l’ampliamento dei margini di flessibilità nell’impiego di manodopera si realizza, almeno nell’ambito delle forme genuine di valorizzazione dell’autonomia collettiva, a fronte di concessioni manageriali di natura compensativa, riguardanti dinamiche salariali o forme di garanzia occupazionale. Si consideri peraltro che l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili viene sovente avallato dal sindacato in forma alternativa al ricorso a pratiche più o meno spinte di decentramento produttivo (58).
Tutto ciò induce a ritenere che i compromessi raggiunti in sede negoziale danno luogo a un equilibrio complessivo nella regolazione degli interessi del lavoro e dell’impresa che non può rompersi ogni volta che, nella vigenza del contratto collettivo, i termini dello scambio vengano ad essere modificati, selettivamente, dal legislatore. La posizione prospettata sembra avvalorarsi quando l’assetto complessivo degli interessi ricomposti in sede negoziale viene ad essere sugellato dalla c.d. clausola di inscindibilità, con la quale le parti firmatarie convengono espressamente che le disposizioni del contratto collettivo sono correlate ed inscindibili tra loro, non ammettendone pertanto un’applicazione parziale. Liberamente assunte in conformità all’art. 1316 c.c., tali pattuizioni vincolano i contraenti ad applicare tutto quanto definito o richiamato nell’intesa, affinché non ne venga tradito lo spirito che ne è a fondamento e non venga meno l’interesse alla permanenza dello scambio contrattuale che con essa si realizza (59).
Seppur riferita alla tenuta del contratto collettivo nel proprio interno, nella sua versione più tipica, la clausola di inscindibilità è «destinata a salvaguardare
– nei confronti della disciplina eteronoma e di quella autonoma – l’unitarietà e l’interdipendenza delle singole clausole o parti del contratto collettivo» (60). Con la conseguenza che, se la natura unitaria e inscindibile degli interessi alla base del
(58) Sull’alternatività tra flessibilità e decentramento, cfr. X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, impresa e trasformazioni organizzative, in Aa.Vv., Frammentazione organizzativa e lavoro: rapporti individuali e collettivi (atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Cassino 18-19 maggio 2017), Milano, 2018, § 7.
(59) X. Xxxxxx, Xxxxx «inscindibilità delle clausole» nei conflitti tra legge, contratto collettivo e contratto individuale, in Mass. Giur. Lav., 1967, pag. 245 e segg.
(60) X. Xx Xxxx Xxxxxx, La norma inderogabile, op. cit., pag. 201. Sulle implicazioni della clausola di inscindibilità nella interpretazione del contratto collettivo, cfr. X. Xxxxxx, Il contratto collettivo quale fonte di regolamentazione della retribuzione-parametro, in Lav. Dir., 1994, n. 3, pag. 375 e seg., spec. pagg. 397-398.
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contratto collettivo è il presupposto fattuale che determina l’effettività e l’esigibilità dell’accordo sindacale, interventi eteronomi difformi rispetto ai contenuti contrattuali, o la rimozione di un precetto legale, non possano implicare, sic et simpliciter, il venir meno dell’efficacia delle clausole della contrattazione collettiva in contrasto. Quest’ultima circostanza, infatti, verrebbe ad alterare l’equilibrio sinallagmatico raggiunto dalle parti in sede negoziale (61), oltreché l’autonomia funzionale che, seppur in assenza di una riserva di competenza normativa, l’ordinamento giuridico riconosce alla contrattazione collettiva per il tramite dell’art. 39 Cost.
Al cospetto della clausola di inscindibilità, peraltro, perde di rilevanza qualsiasi argomento fondato sul carattere migliorativo o peggiorativo del dato normativo analizzato, sia esso di matrice legale che pattizia. L’intento tipizzato dai contraenti con la clausola di inscindibilità è, anzi, proprio quello di
«salvaguardare i nessi di interdipendenza tra aspetti peggiorativi e migliorativi del contratto collettivo, privilegiando l’applicazione complessiva ed unitaria dell’uno o dell’altro trattamento posto a confronto» (62). Si renderebbe dunque necessario che la volontà del legislatore, conchiusa nel testo promulgato, venga recepita nei contratti collettivi per potersi dire pienamente operativa.
5. Conseguenze dell’applicazione unilaterale del (nuovo) regime legale.
In tutte le circostanze fin qui analizzate, le parti firmatarie del contratto colletti- vo potrebbero decidere pattiziamente se e in che misura rinegoziarne i contenuti anzitempo, riallineandoli al nuovo standard di legge, ovvero se procedere auto- nomamente all’esercizio della facoltà di recesso (63), con tutte le implicazioni che tale ultima prospettiva comporterebbe sul piano della responsabilità contrattuale e delle dinamiche intersindacali. Anche i soggetti da loro rappresentati che rite- nessero il regime legale maggiormente funzionale ai propri interessi potrebbero decidere, con un certo margine di discrezionalità, comunque di procedere alla disapplicazione (integrale) del contratto collettivo. E ciò in ragione del fatto che finanche l’esercizio di una delega di legge da parte della autonomia collettiva non
(61) Cfr. X. Xxxxxxxxxx, L’efficacia temporale del contratto collettivo di lavoro, op. cit., pag. 120. Sulla corrispettività del contratto collettivo, cfr. X. Xxxxxx, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in Atti del terzo congresso nazionale di diritto del lavoro sul tema “Il contratto di lavoro”, 1-4 giugno 1967, Xxxxxxx, § 7.
(62) X. Xx Xxxx Xxxxxx, La norma inderogabile, op. cit., pag. 208, nota 92.
(63) Cfr., ancora, X. Xxxxxxxxxx, L’efficacia temporale del contratto collettivo di lavoro, op. cit., e
X. Xxxxxxx, Contratto collettivo e libertà di recesso, op. cit.; X. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Il recesso dal contratto collettivo, Torino, 2010.
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produrrebbe effetti sulla sfera dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo, che resta limitata ai soggetti aderenti alle parti firmatarie (64).
Ma né i soggetti firmatari del contratto collettivo né gli attori aziendali destinatari delle relative previsioni potrebbero, se non per mutuo consenso, disapplicare soltanto l’istituto contrattuale modificato dall’intervento legislativo: l’effetto del recesso, infatti, dovrebbe implicare «la rimozione dell’intero accordo, palesandosi inammissibile un’estinzione parziale» (65). E ciò vale a maggior ragione quando ci si trovi in presenza di una clausola di inscindibilità che, con funzione di conservazione complessiva degli interessi normativi che le parti hanno ricomposto, in maniera unitaria, per l’arco di durata del contratto collettivo, rendesse in modo esplicito i relativi istituti correlati e inscindibili tra loro, non ammettendone pertanto una applicazione selettiva.
Sullo sfondo del ragionamento resta la significativa differenza con cui le parti sociali e gli attori aziendali si confrontano, oggi, rispetto al passato. Con gli interventi di riallineamento operati dalla contrattazione collettiva al regime legale di flessibilità introdotto dal Jobs Act si trattò, infatti, di gestire la transizione da una regolazione contrattuale più rigida a una più flessibile delle tipologie contrattuali non standard. Interessata a trasferire nella contrattazione le novità legislative, la parte datoriale disponeva di una leva contrattuale che era la prospettiva del non rinnovo o perfino della disdetta del contratto collettivo. A parti rovesciate, queste opzioni paiono meno praticabili per il sindacato, essendo affatto conveniente sul piano degli equilibri complessivi della flessibilità contrattata, mettere a repentaglio la tenuta del sistema contrattuale, già seriamente compromessa dal dilagare di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni non rappresentative con l’obiettivo di abbattere il costo di lavoro e gli standard di tutela.
A prescindere da queste considerazioni di natura politico-sindacale, conviene comunquevalutareiriflessichelaeventualesceltadirecederedalcontrattoverrebbe a produrre sul piano della responsabilità contrattuale e delle relazioni industriali. La scelta di disapplicare la regolazione pattizia in favore della nuova disciplina di legge, implicherebbe conseguenze differenti sotto il profilo dell’inadempimento, a seconda che si tratti del contratto collettivo nazionale di lavoro o del contratto aziendale. Nel primo caso, si avrebbe una responsabilità contrattuale indiretta laddove l’azienda aderisse alla associazione datoriale firmataria del contratto
(64) Cfr., per tutti, M. D’Xxxxxx, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione oggi, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1998, pag. 665 e segg., M. D’Antona, Contrattazione collettiva e autonomia individuale nei rapporti di lavoro atipici, in Dir. Lav. Rel. Ind., 1990, pag. 559 e, di recente, X. Xxxxxxxx, Le vicende della rappresentanza e rappresentatività sindacali tra legge e contratto collettivo, in Arg. Dir. Lav., 2017, 3, pag. 231.
(65) Così X. Xxxxxxx, Contratto collettivo e libertà di recesso, op. cit., pag. 57.
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collettivo. Più precisamente, qui i profili di inadempimento riguarderebbero il vincolo associativo tra l’azienda e la propria associazione di rappresentanza, posto che, di norma, gli statuti delle organizzazioni datoriali impongono il rispetto della politica sindacale e dei contratti collettivi sottoscritti dalla federazione cui l’azienda aderisce. Nel caso in cui la violazione riguardasse la disciplina del contratto aziendale in corso di vigenza, invece, il sindacato potrebbe opporre alla direzione d’azienda la responsabilità contrattuale diretta, per violazione arbitraria dei termini del contratto, specie se la disdetta del medesimo avvenisse in violazione del principio di buona fede, ovvero se l’azienda non coinvolgesse il sindacato almeno in un tentativo di ridefinizione pattizia dei termini contrattuali. In questa ipotesi, potrebbe porsi per la convenuta il problema di giustificare il recesso dall’intero contratto, che regola una molteplicità di interessi economici, adducendo come unica motivazione il mutamento del quadro legislativo riguardante però un solo istituto oggetto di regolazione contrattuale. Nondimeno, essendo il contratto collettivo un contratto a tempo determinato, la direzione d’azienda sarebbe tenuta a dimostrare non solo l’avvenuta modifica della situazione di fatto alla base del raggiunto equilibrio negoziale, ma anche «il motivo oggettivo per cui non può attendere la risoluzione naturale del contratto»(66).
In ogni caso, inclusa l’ipotesi di assenza di vincoli associativi e di applicazione del contratto collettivo per comportamenti concludenti (67), la inosservanza unilaterale della disciplina contrattuale relativa a uno specifico istituto, fosse anche finalizzata al riallineamento del medesimo allo standard di legge, implicherebbe la violazione della clausola di inscindibilità del contratto collettivo applicato. Con la conseguenza che, ad esempio, per allineare la nuova percentuale di contingentamento prevista per le assunzioni in somministrazione, si dovrebbe disapplicare l’intero contratto collettivo.
Con riferimento alla fattispecie di un contratto collettivo che prevedeva ipotesi di a-causalità determinate secondo il rinvio ad esso operato dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, è stato sostenuto che la stipula del contratto a termine a-causale in luogo di quello previsto dal contratto collettivo avrebbe potuto esporre il datore di lavoro vincolato al rispetto dell’autonomia collettiva ad una azione per condotta antisindacale e alla possibilità che venisse emessa una sentenza di conversione del contratto a termine in uno a tempo indeterminato (68). Benché possibile, e fermo restando l’effetto deterrente della disposizione statutaria preposta alla repressione
(66) Ivi, pag. 19.
(67) Cfr., ex multis, Cassazione, 1 dicembre 1994, n. 6435.
(68) X. Xxxxxxxx, La riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012 n. 92, WP C.S.D.L.E. Xxxxxxx X’Xxxxxx .IT, 2012, n. 153, con il quale concorda X. Xxxx, Il contratto a tempo determinato, in
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della condotta antisindacale, appare tuttavia improbabile che un ricorso ex articolo 28 legge 20 maggio 1970, n. 300, vedrebbe l’azienda soccombere, anche tenuto conto della giurisprudenza prevalente in materia che si è espressa in modo costante sostenendo la sussistenza di profili di antisindacalità in ipotesi di mancato rispetto di quanto stabilito dalla autonomia collettiva richiedendo però, oltre al dato oggettivo, anche la sussistenza di una violazione della buona fede contrattuale che realizzi un attentato all’ordine contrattuale e quindi alla stessa posizione del sindacato (69).
Sul piano sanzionatorio, infine, la violazione delle previsioni contrattuali oggetto di rinvio, darebbe luogo alle specifiche sanzioni previste per le ipotesi di violazione del precetto legale (es. trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in caso di violazione della clausola di contingentamento stabilita dalla contrattazione). Questo perché la contrattazione collettiva, in forza del rinvio legale, viene dotata di efficacia costitutiva della tipologia contrattuale che regola, cosicché, nel sostituirsi alla norma di legge e individuando un nuovo standard valevole per le aziende rientranti nel relativo campo di applicazione, diviene vincolante e assorbe il regime sanzionatorio previsto dal legislatore in caso di violazione della fonte eteronoma. Diversa invece è la ipotesi di non compliance rispetto a vincoli non previsti dalla legge e dunque non oggetto di sanzioni di matrice legale. In tal caso, laddove ne ricorressero gli estremi, l’inosservanza delle disposizioni contrattuali avrebbe dei riflessi esclusivamente sul piano della responsabilità contrattuale e delle relazioni sindacali.
Abstract: L’articolo analizza il rapporto tra legge e contrattazione collettiva nella peculiare prospettiva del diritto transitorio. L’articolo si sofferma sui profili attuali del coordinamento tra disposizioni contrattuali vigenti e mutato quadro legislativo, con specifico riguardo a due possibili orientamenti: uno conservativo, favorevole cioè alla perdurante vigenza delle disposizioni della contrattazione col- lettiva; l’altro tendente a riconoscere la immediata sincronizzazione dei contenuti contrattuali alla sopravvenuta modifica delle previsioni di legge in concorso. Sulla base dell’analisi delle previsioni contrattuali in essere e dei cambiamenti legislativi intervenuti con il c.d. “Decreto dignità”, l’articolo decostruisce in modo critico l’al- ternativa netta tra la tesi conservativa e quella ad essa contrapposta, suggerendo la opportunità di valutare la questione caso per caso.
X. Xxxxxx (a cura di), Flessibilità e tutele nei contratti e nel mercato del lavoro. Commentario della legge 28 giugno 2012, n. 92, Bari, 2013.
(69) Per un’analisi approfondita di questa problematica si rinvia a X. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, op. cit., pag. 83 e segg.
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Abstract: The article analyses the relationship between law and collective bar- gaining from the perspective of transitional law. The analysis focuses on coordi- nation problems between existing collective bargaining provisions and changes in statutory legislation, with regard to two alternatives: the first one is conservative, meaning that existing contractual provisions will continue to be in effect; the se- cond one regognises that collective bargaining provisions must adapt to changes in legislation. Based on the analysis of existing collective agreements and the new ru- les introduced by the so-called “Dignity law”, the article deconstructs the alternati- ve between the conservative thesis and the opposite one, suggesting the opportunity to address the issue with a case by case approach.
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