HUME E ROUSSEAU, DUE VISIONI CONTRAPPOSTE
Dipartimento di Impresa e Management
Cattedra di Metodologia delle Scienze Sociali
XXXX E XXXXXXXX, DUE VISIONI CONTRAPPOSTE
RELATORE
Xxxx.
Xxxxxxx Xxxxxxxxx
CANDIDATO
Xxxxxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxx. 191801
ANNO ACCADEMICO 2017/2018
Sommario
Introduzione 3
Capitolo primo. Xxxx e Xxxxxxxx 6
1.1 L’incontro tra Xxxx e Xxxxxxxx 8
1.2 Xxxx e Xxxxxxxx a Londra 10
1.3 La rottura tra Xxxx e Xxxxxxxx 11
1.4. Xxxxxxxx e il concetto ultimo di pietà nelle Fantasticherie 12
Capitolo secondo. Stato di natura e contratto sociale in Xxxxxxxx e Xxxx 14
2.1 Xxxxxxxx politico 14
2.2 I risvolti morali del pensiero di Xxxxx Xxxx 21
Capitolo terzo. Due diverse concezioni di volontà 26
3.1 Filosofie a confronto 26
3.2 Contrattualista e il realista 29
3.3 Una diversa idea di nazione 36
Conclusioni 40
Bibliografia 43
Introduzione
Il presente lavoro intende indagare la differente concezione di società e di politica propugnata dai filosofi Xxxx-Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxx.
Pur operando due approcci così distanti alla riflessione politica – Xxxxxxxx muove a partire da un terreno squisitamente legato alla critica della filosofia morale Illuminista, mentre gli sforzi di Xxxx sono legati a una ricerca che si svolga inizialmente nel territorio dell’epistemologia –, questi due pensatori offrono numerosi incroci che permettono di operare una riflessione organizzata intorno ad una ipotetica messa in dialogo. Entrambi passati alla storia della filosofia come pensatori che hanno tentato un percorso di rottura rispetto all’imperante atteggiamento Illuminista, il “primitivista” Xxxxxxxx e lo “scettico” Xxxx hanno in realtà operato nella viva carne del secolo dei Lumi, confrontandosi a viso aperto e con decisione nei confronti delle posizioni dei loro coevi. Xxxxxxxx arriva alla riflessione politica nel pieno dell’epoca dei grandi contrattualisti, e proprio a partire da una sistematica messa in discussione delle loro teorie formulerà quella serie di passaggi che lo condurranno alla stesura del Contratto sociale. Xxxx si inscrive invece nel solco di quei filosofi i quali, a partire da quel big bang seguito alle scoperte di Xxxxxx, si aprono via via sempre più alla rivalutazione prime e allo sforzo di sistematizzazione poi, del metodo empirico. Appare quindi semplificatorio ricorrere ai due virgolettati epiteti per descriverne lo statuto e la missione filosofica.
Entrambe le critiche hanno comunque grandi ricadute sul campo della filosofia morale, ed è a queste che l’elaborato si rivolge in maniera precipua. Nel primo capitolo si è tentato di ricostruire anzitutto la temperie intellettuale all’interno della quale i due filosofi operano. È infatti proprio a patire dall’esperienza dell’Éncyclopédie – cui aveva collaborato con la stesura di voci di argomento musicale e di filosofia politica, che Xxxxxxxx sviluppa quegli assunti polemici che animeranno le pagine del Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini (Amsterdam 1755). Successivamente si è passati all’analisi del rapporto diretto tra i due tramite l’attraversamento dello scambio epistolare che li ha visti protagonisti a partire dal 1762 – anno in cui Xxxxxxxx affida alle stampe la sua opera più importante e controversa, il Contratto Sociale – grazie all’intercessione della salonièrre Xxxxxx xx Xxxxxxxxx, la quale caldeggia presso l’amico Xxxx l’importanza e lo spessore del filosofo ginevrino. Un rapporto epistolare proficuo che li porterà nel 1765 a condividere addirittura lo spazio vitale di una casa, quella di Xxxx a Londra, nella quale lo scozzese offre rifugio al sodale elvetico, in seguito al rifiuto di quest’ultimo della possibilità di rientrare a Ginevra e al mandato di cattura spiccato nei suoi confronti in Francia.
Eppure non molto dopo si giungerà ad una brusca interruzione dei rapporti tra i due, operata principalmente da Xxxxxxxx in seguito alla pubblicazione, nel 1766, della lettera a lui rivolta da parte del Re di Prussia Xxxxxxxx, preparata da Xxxxxx Xxxxxxx e destinata a diffondersi rapidamente in tutta Europa, fino alla pubblicazione in Inghilterra sul St. Xxxxx’x Chronicle, lettera dietro la quale il ginevrino si convince possa esserci in qualche modo una partecipazione o almeno una connivenza da parte di Xxxx. In seguito si passerà a un’analisi più approfondita del testo di Xxxxxxxx Fantasticherie del passeggiatore solitario, scritto tra il 1776 e il 1778 e pubblicato postumo, nel quale è possibile rintracciare una sorta di tentativo di elaborazione sistematica della sua concezione sui rapporti umani.
Il secondo capitolo è dedicato invece ad una analisi più dettagliata di quei testi nei quali entrambe gli autori hanno affrontato direttamente la questione morale, che sarà alla base delle differenti concezioni di società e di Stato cui arriveranno successivamente. In questo senso quindi i primi testi di Xxxxxxxx
Ad essere stati passati al vaglio sono i celeberrimi Discorso sullo stato delle scienze e delle arti (1750) e il Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini (Amsterdam 1755). Nel primo di questi due scritti il ginevrino getta le basi alla dottrina del contatto sociale a partire dalla critica alla concezione del benessere collettivo propugnata dagli Illuministi, secondo i
quali il progresso scientifico e nel campo delle belle arti è alla base della possibilità stessa di una comunità fondata sul benessere. Il totale ribaltamento e rifiuto di questa concezione offre a Xxxxxxxx la prima possibilità di riversare su carta le riflessioni circa la natura umana. È qui infatti che per la prima volta il ginevrino affronta xxxxx come la natura della virtù e la conseguente dannosità del denaro, del lusso, della divisione del lavoro e della distinzione tra amor di sé e amor proprio, tutte argomentazioni che, riprese e sistematizzate poi nell’opera del 1755, lo porteranno alla formulazione del concetto di volontà generale prima e quindi alla stesura del Contratto Sociale. Per quanto riguarda Xxxxx Xxxx ci si è concentrati in particolare sul Trattato sulla natura umana, del 1739, passando per una breve ma necessaria ricostruzione della sua epistemologia. Diciamo qui necessaria perché è proprio nell’affermazione humiana secondo cui i customs, ovvero le credenze sulla base delle quali articoliamo i giudizi che guidano il nostro agire nel mondo, si formano al di fuori del campo della sensibilità e dell’intelletto, e quindi al di fuori della ragione. È tutto qui il presunto scetticismo di Xxxx, che ovviamente attraverso una affermazione teorica simile – pur inscrivendosi appunto nel solco della tradizione inaugurata da Xxxxxx e proseguita da pensatori come Xxxxxxxx e Xxxxx e gettando le radici in larga parte in quel bacino inesauribile che è la canonica epicurea – si presenta come un eretico alle orecchie dei suoi contemporanei, i quali sono disposti ad accettare il procedimento empirico ma non a spingerlo fino alle ricadute cui giunge lo scozzese. Ricadute che nel campo della filosofia morale lo portano a distanziarsi moltissimo anche da Xxxxxxxx. Basti pensare che la prima conseguenza della teoria dei customs è quella secondo la quale è proprio una sintesi di tutte le credenze accumulatisi nei secoli precedenti a fornirci le basi per l’elaborazione delle credenze e quindi dei giudizi. Una tesi questa che non si può non leggere contrapposta alla critica del progresso rousseuniana. In più, ancora nel Trattato, e in particolare nelle pagine dedicate alla analisi dell’incidenza della proprietà priva nella formazione della giustizia, si palesa un’altra grande differenza tra le due concezioni. Se per il ginevrino l’uomo sarebbe necessitato a rimettersi alla volontà generale perché si è allontanato dalla possibilità di vivere in solitudine, per Xxxx, in questo degno erede di Xxxxxxxxxx, la tendenza al raggruppamento è affidata alla volontà del singolo, dal momento che non esiste morale prima della natura, e che quindi le due vadano insieme. Non c’è una scienza del bene o del male, le norme morali sono il prodotto della stessa convivenza collettiva e questo perché la ragione può ritracciare le cause a partire dai fatti, ma non può declinarli poi in nessuna delle due direzioni. E, come si vedrà nel terzo capitolo e nelle pagine conclusive di questo lavoro, se non c’è una scienza del bene o del male viene a mancare anche qualsiasi possibile appiglio all’imposizione assolutistica del potere da parte di un sovrano. È questa la cosiddetta legge di Xxxx che sta alla base della libertà di coscienza e quindi della sua concezione politica. Un rovesciamento delle dottrine contrattualistiche molto simile al teorema della dispersione della conoscenza di cui Xxxx Xxxxx parla nella Ricchezza delle Nazioni e di cui si parlerà, appunto, più avanti nelle conclusioni.
E così nel terzo capitolo si è passati ad un raffronto più dettagliato delle due differenti idee di nazione e di Stato di Xxxx e Xxxxxxxx, contrapponendo il contrattualismo del filosofo ginevrino al realismo politico dello scozzese.
Xxxxxxxx arriva all’elaborazione del Contratto Sociale attraverso una riflessione nella quale lo “stato di natura” tipico delle dottrine di questo filone non è che un espediente logico utile ad affermare la necessità della cessione del potere e della libertà personale alla volontà generale – lo stesso passaggio logico alla base del Leviatano di Xxxxxx, viene qui ribaltato nelle sue conclusioni. Come abbiamo già accennato, ovviamente le conclusioni di Xxxx sono radicalmente diverse. Lo scozzese non vede una società che si costituisce a partire da una convenzione, da un patto, ma la vede animata da una casualità che potremmo definire darwiniana. Non c’è nessuno “stato di natura”, ma una stratificazione di esperienze e di credenze dalle quali la società si dipana e sulle quali si fonda.
Un dibattito molto lontano dal nostro tempo, nel quale pure risuonano echi di una incredibile attualità, in una società nella quale ci si interroga ogni giorno sull’incidenza di una volontà generalizzata dai meccanismi della rete e sui rischi che comportano le ricadute di questo fenomeno sull’informazione, la percezione del senso comune e, come vediamo proprio in questi mesi, sull’agone politico, sulla formazione dei governi nazionali e sull’andamento delle comunità internazionali.
Capitolo primo. Xxxx e Xxxxxxxx
Analizzare il rapporto tra Xxxx e Xxxxxxxx significa, almeno sotto un certo profilo, confrontarsi con una parte importante delle vicende filosofiche e intellettuali del Settecento europeo. Nati a un anno di distanza l’uno dall’altro, Xxxx e Xxxxxxxx rappresentano senza dubbio due delle figure più significative della filosofia settecentesca. In questo senso, entrambi si confrontano – e non potrebbe essere altrimenti – con quel vasto ed eterogeneo movimento di pensiero rappresentato dall’Illuminismo, declinandone tuttavia le principali istanze a partire da prospettive radicalmente differenti.
La vita di Xxxx-Xxxxxxx Xxxxxxxx si muove sullo sfondo di incontri e successi, ma anche di contrasti e delusioni. Nasce a Ginevra nel 1712, ma è destinato a una vita di vagabondaggi. Cresciuto orfano di madre, senza una regolare istruzione, lavora per poco tempo come apprendista di un orologiaio, da cui fugge alla volta della Savoia. Dopo il ritorno nei pressi di Ginevra, si trasferisce nuovamente, questa volta a Torino, dove, a 16 anni, abbandona la fede calvinista, convertendosi al cattolicesimo. Sono anni di storie d’amore travagliate e focose, e nel 1740 si allontana definitivamente dalla sua amante e protettrice X.xx de Warens, per trasferirsi a Parigi. Il primo periodo parigino è per Xxxxxxxx la città degli incontri fortunati, del fermento letterario e intellettuale; ma, d’altra parte, sarà proprio la monarchia francese a costringerlo alla fuga. Due dei suoi principali scritti verranno, infatti, interdetti: è il caso de Il contratto sociale, o principi del diritto politico e del xxxxxx Xxxxxx o dell’educazione. Due testi che non verranno accettati dal Parlamento di Parigi e che lo porteranno a non trovare accoglienza neppure nella sua Ginevra, dove il procuratore generale aveva messo al bando proprio Il contratto sociale, in accordo con lo Stato francese. Eppure, Xxxxxxxx amava definirsi citoyen de Gèneve; si sentiva, anche lontano dalla propria terra, cittadino della città calvinista, ancora repubblica indipendente. La città ripagherà il suo amore con il rogo dell’Xxxxxx e del Contratto Sociale nella piazza del Municipio nel 1762. Se è vero che ancora non siamo nel pieno del momento rivoluzionario, sono anni di sommosse per la città di Ginevra e i testi di Xxxxxxxx vanno contro il tentativo di mantenere l’ordine costituito dal Governo del Vecchio Regime.
In tutta Europa si muove una nuova esigenza di cambiamento e in Francia i philosophes dell’Illuminismo la interpretano all’interno dell’Encyclopédie (Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri; 1751-1772). Xxxxxxxx collaborerà alla stesura, redigendo voci sulla musica e sull’economia politica. Ben presto, però, arriverà la rottura con gli illuministi francesi, in particolare D’Xxxxxxxx e Xxxxxxxx, già prima della pubblicazione del Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini (Amesterdam 1755), ma che all’interno dello scritto troveranno una forma concreta. Una rottura e polemica che muove da caratteri e visioni differenti
sulla natura dell’uomo e che lo porterà nel 1754 a decidere di non ritrasferirsi a Ginevra, dove nel frattempo era stato riabilitato e accolto con grande entusiasmo repubblicano1, perché lì era presente anche Xxxxxxxx, che nel frattempo iniziava ad occuparsi della questione della tolleranza. Ancora prima, quindi, del litigio epistolare con Xxxx – che verrà analizzato successivamente nel presente elaborato – si nota una difficoltà di Xxxxxxxx nel rapportarsi con gli altri pensatori del proprio tempo. Una forte inquietudine che, in ultima istanza, lo conduce a trasformare il rapporto di amicizia con Xxxxxxx in un vero e proprio scontro, criticando il materialismo e la visione della politica e della morale. Propone così, nel Contratto Sociale, di superare la cinica insensatezza nel nome del materialismo, mostrando come l’uomo sia corrotto e denaturato, perso nella società moderna. Trascorre gli anni successivi lontano dalla città, in dimore di campagna messe a disposizione per lui da amici aristocratici. Proprio lì le sue teorie, e le critiche agli (ormai non più) amici illuministi, prendono forma e vita nell’Xxxxx (pubblicato a Den Xxxx nel 1762) e nel Contratto Sociale (Amsterdam 1762), che, come già visto, saranno i testi che lo costringeranno alla fuga. Nonostante un carattere poco incline alla socialità, nel momento della costrizione della fuga, trova ospitalità a Motier-Travers, dove continua a scrivere e a mantenere rapporti con i mondi intellettuali francesi e non.
È proprio questo il periodo in cui inizia il rapporto epistolare con Xxxxx Xxxx, che porterà il filosofo scozzese ad offrire lui ospitalità, come cortesia nei confronti della contessa di Xxxxxxxx, ma che nello stesso 1766 vedrà accendersi lo scontro tra i due. Uno scontro nato da una burla e da una errata interpretazione di comportamenti, ma dalla quale, probabilmente, si potrebbe proiettare una differente visione del mondo e degli uomini.
Se, come mostrato, il percorso di Xxxxxxxx è stato travagliato e fatto di fughe continue, costrette o volontarie, la vita di Xxxxx Xxxx è caratterizzata da una maggiore fortuna e dalla metodicità propria di uno studioso. Nasce infatti a Edimburgo, dove si forma. Con l’Atto di Unione del 1707 la Scozia diviene tutt’uno con l’Inghilterra. Sarà proprio la tradizione empirista inglese che Xxxx negli anni conosce, a cui si avvicina e che in cui viene progressivamente a inserirsi, sino a diventarne emblema di radicalità. Xxxx si forma dapprima su studi giuridici e umanistici, apprezzando enormemente i classici, per avvicinarsi negli anni universitari ad Edimburgo alla filosofia; tra il 1721 e il 1726 frequenta le lezioni di matematica e filosofia naturale, appassionandosi ad esse. Dopo un crollo psicologico con una depressione nervosa, causatagli dallo sforzo intellettuale, dal 1734 al 1737 si trasferisce in Francia per poter continuare i suoi studi e affinare gli elaborati iniziati in terra natale. Proprio a Reims scrive le prime due parti del Trattato sulla natura umana, pubblicato a Londra, in forma anonima, nel 1739. L’anno successivo, sempre in forma anonima, compare Estratto del
1 Vita di Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx
Trattato sulla natura umana e la terza parte del Trattato. Quando, a partire dal 1741, prova a percorrere la carriera universitaria, trova prontamente l’opposizione del clero scozzese. Se, infatti, i testi erano circolati in forma anonima, le posizioni anticlericali di Xxxx erano ormai note. È in lui forte il richiamo della critica religiosa di Xxxx: dalle idee del filosofo seicentesco inglese sulla religione e sui suoi rapporti con la politica, erano infatti nati alcuni dei temi fondamentali del deismo inglese settecentesco, che si diffusero in tutta Europa e in cui Xxxx viene inserito. Il filo che lega i principi del liberalismo inglese è quello della società politica, la quale ha la funzione di garantire la sicurezza dei suoi membri e tutelare i loro interessi comuni. Per fare ciò il presupposto è quello di una netta separazione della sfera religiosa e di quella politica: solo nel rispetto delle regole morali, però, viene garantita la connivenza tra gli uomini. Dal 1745 inizia a lavorare come precettore ma abbandona ben presto questa professione per divenire segretario dell’Ambasciata inglese. Questo lavoro lo porta nel 1763 a Parigi. Nella capitale francese entra in contatto con l’ambiente illuminista che lo accoglie con grande favore, anche se il filosofo d’oltre manica ha dimostrato negli scritti apparsi negli anni precedenti di voler superare la ragionevolezza tipica degli illuministi.
Come Xxxxx in precedenza, Xxxx parte dalla necessità dell’osservazione del dato empirico e del trarre le conseguenze da questo metodo di analisi. Andando oltre Xxxxx però, nel Trattato distingue le percezioni in impressioni e idee - stessa distinzione che si ha per il sentire e il pensare. Xxxx riconsidera così la questione dell’innatismo, affermando che se le idee non possono prescindere da esperienze precedenti, non possono darsi idee innate. Le idee infatti tendono ad associarsi tra di loro nella memoria e nell’immaginazione, e sono queste che danno luogo a <<relazioni filosofiche>>, necessarie per ordinare il mondo della conoscenza. Il risultato della sua ricerca non poteva che essere la critica delle pretese di ragione, a cui non è riconosciuta la capacità di rispecchiare processi reali, di scoprire verità di ordine teologico, di regolare la vita pratica. Una tale posizione si accordava, e accorda, con difficoltà con le posizioni illuministe ma anche con quelle di Xxxxxxxx. Così quando Xxxx aiuta e accoglie Xxxxxxxx in Inghilterra, nel 1766, e i due tornano insieme a Londra non sono destinati ad una fortunata amicizia, personale e filosofica.
1.1 L’incontro tra Xxxx e Xxxxxxxx
I litigi tra letterati, ricordano i curatori francesi del resoconto humeano pubblicato nel 1766, «sono lo scandalo della filosofia», uno scandalo «confortante per gli stolti»2. Eppure, conviene prendere le mosse da qui, e cioè dall’incontro tra Xxxx e Xxxxxxxx e dalla accesa disputa che ne è conseguita,
per cercare di comprendere e chiarire la differenza di prospettive (in termini culturali e filosofici, ma anche di temperamento personale) che separa i due filosofi.
A favorire l’inizio del rapporto personale e l’incontro tra Xxxx e Xxxxxxxx è Mme de Xxxxxxxxx, «una distinta – se non la più distinta – salonnière del Settecento»3, che il 14 giugno 1762, pochi giorni dopo la condanna al rogo dell’Xxxxx e il mandato di cattura emesso dall’autorità pubblica francese, chiede a Xxxx di offrire ospitalità a Xxxxxxxx (nel frattempo fuggito a Ginevra) in Inghilterra. Xxxxxxxx, scrive Mme de Xxxxxxxxx nella lettera a Xxxx, «ha pubblicato un trattato sull’educazione in quattro volumi, in cui espone molto princìpi contrari ai nostri, tanto in materia politica che religiosa. Poiché non beneficiamo qui della libertà di stampa […], le autorità ne hanno decretato l’arresto […]. Egli è perciò partito, incerto su quale esilio scegliere. Gli ho consigliato di ritirarsi in Inghilterra, promettendogli delle lettere di presentazione per voi, signore, e per altri miei amici». Aggiunge inoltre Mme de de Boufflers poco più avanti che Xxxxxxxx «è visto come un uomo singolare dalla maggior parte delle persone di questo paese. […] Egli si sottrae ai rapporti con il mondo, si trova a suo agio solo nella solitudine, un desiderio che gli ha procurato dei nemici, [mentre] l’amor proprio di coloro che l’hanno cercato è stato ferito dai suoi rifiuti. Malgrado la sua apparente misantropia, credo che non ci sia un uomo più dolce, più umano, più compassionevole delle sofferenze degli altri e più paziente verso le proprie»4.
Legato a Mme de Xxxxxxxxx da profonda amicizia, Xxxx non esita ad accettare l’invito della nobildonna, e si rivolge direttamente a Xxxxxxxx per comunicargli la propria stima e per offrirgli piena disponibilità, ritenendo tuttavia che il filosofo francese si trovi già a Londra. A quella data, in realtà, Xxxxxxxx è a Yverdon, e la lettera inviata da Xxxx il 2 luglio 1762 arriva nelle sue mani soltanto otto mesi dopo. Nella sua risposta, Xxxxxxxx contraccambia gli attestati di stima di Xxxx («se non vi avvicinasse a me il vostro buon cuore, sarebbero le vostre grandi idee, la vostra sorprendente imparzialità e il vostro genio a elevarvi assai al di sopra degli uomini»), ma prende tempo e non accetta l’invito, nella speranza – dice lo stesso Xxxxxxxx – che «una salute migliore e una situazione più tranquilla possano, così come l’avrei desiderato, consentirmi di fare questo viaggio!»5. Tuttavia, proprio in apertura della lettera di risposta a Xxxx, Xxxxxxxx fa riferimento alla pessima accoglienza ricevuta in patria dopo la fuga dalla Francia. Giunto infatti a Yverdon, Xxxxxxxx era stato condannato dal Piccolo Consiglio di Ginevra – che aveva ordinato di bruciare l’Xxxxxx e il Contratto sociale e di arrestare l’autore se trovato nel territorio della repubblica –, ed era stato
3 E. C. Xxxxxxx, The Life of Xxxxx Xxxx, Clarendon Press, Oxford 2001, p. 456, citato (e tradotto) da X. Xxxxxxxxx, in
Prefazione. Xxxx e Xxxxxxxx: un rapporto impossibile, in X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 6.
4 J.Y.T. Xxxxx (a cura di), The Letters of Xxxxx Xxxx, Oxford U.P., Oxford 1932, vol. 2, pp. 367-368, citato (e tradotto) da
X. Xxxxxxxxx nella Prefazione a X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 14.
5 Si veda X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., pp. 47-48.
costretto a trovare rifugio a Môtiers-Travers sotto la protezione del Re di Prussia Xxxxxxxx e del Xxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx. Nel giro di pochi mesi, tuttavia, la situazione a Môtiers precipita, e Xxxxxxxx, a causa del conflitto con il pastore Xxxxxxxxxx e della crescente ostilità della popolazione locale, è costretto a fuggire nuovamente. Arrivato a Strasburgo, Xxxxxxxx decide infine di accettare la soluzione prospettata originariamente da Mme de Xxxxxxxxx e suggerita anche da Mme de Verdelin
– che aveva incontrato il filosofo ginevrino a Xxxxxxx –, accettando l’ospitalità di Xxxx. Il 4 dicembre 1765 Xxxxxxxx scrive così a Xxxx (che nel frattempo aveva gli aveva inviato un’altra lettera, sollecitandolo nuovamente ad accettare il rifugio in Inghilterra), comunicandogli la propria decisione:
«La risposta più degna che possa dare alla vostra proposta è accettarla, e lo faccio. Partirò fra cinque o sei giorni per mettermi nelle vostre mani»6. Nei primi giorni di gennaio i due filosofi partono così insieme alla volta dell’Inghilterra.
1.2 Xxxx e Xxxxxxxx a Londra
Nel primo periodo inglese, il rapporto tra Xxxx e Xxxxxxxx sembra volgere al meglio. Xxxxxxxx non manca di riconoscere l’ospitalità e la benevolenza di Xxxx, rivolgendogli in più di un’occasione espressioni d’affetto «esagerate» - ha notato Xxxxxxxxx – «e probabilmente insincere»7. In una lettera del 22 marzo 1766, ad esempio, Xxxxxxxx ringrazia così Xxxx: «Se beneficio di questo gradevole asilo così felice quanto spero di esserlo, uno dei grandi piaceri della mia vita sarà pensare che lo devo a voi. Rendere un uomo felice è meritare di esserlo. […] Continuate a essermi amico, mio caro benefattore, amatemi per me stesso che vi devo tanto e per voi stesso; amatemi per il bene che mi avete fatto. Sento tutto il valore della vostra sincera amicizia; la desidero ardentemente; voglio ricambiarla con tutta la mia, sento nel mio cuore che un giorno vi convincerò che nemmeno la mia è senza valore»8. E ancora in una lettera inviata solo una settimana dopo, Xxxxxxxx si rivolge al «caro benefattore» Xxxx, sottolineando le tante attenzioni ricevute («forse mi sentirei più a mio agio se mi venissero riservate minori attenzioni; […] poiché nella vita tutto comporta inconvenienti, quello di stare troppo bene è uno di quelli che si tollerano più facilmente»9). Dal canto suo, Xxxx si era rivolto al generale Xxxxxx, segretario di Stato, e al generale Xxxxxx, affinché il Re Xxxxxxx XXX concedesse a Xxxxxxxx una pensione. Il rapporto tra i due, tuttavia, era destinato a logorarsi ben presto. Di lì a poco, infatti, uno scherzo architettato da Xxxxxx Xxxxxxx – che aveva preparato una lettera a firma del re di Prussia in cui rimprovera Xxxxxxxx di avere abbandonato la patria e di avere rifiutato la sua
6 Ivi, p. 50.
7 X. Xxxxxxxxx, Prefazione, in X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 19.
8 X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 55.
9 Ivi, p. 56.
protezione – susciterà l’ira e il risentimento dello stesso Xxxxxxxx. Già da qualche tempo, in realtà, Xxxx (come ricorda egli stesso nel resoconto della disputa) aveva iniziato a temere che
«l’irrequietezza dell’animo» di Xxxxxxxx «gli potesse impedire di godere del riposo a cui l’ospitalità e la sicurezza che trovava in Inghilterra gli suggerivano di abbandonarsi». A questo proposito, Xxxx evidenziava che, almeno a suo avviso, il filosofo ginevrino fosse nato «per il tumulto e le tempeste», e che perciò «l’avversione che segue il godimento sereno della solitudine e della tranquillità presto lo avrebbero reso un peso per se stesso e per tutti coloro che lo circondavano»10.
1.3 La rottura tra Xxxx e Xxxxxxxx
«Mio caro Xxxx-Xxxxxxx, voi avete rinunciato a Ginevra, vostra patria. Vi siete fatto cacciare dalla Svizzera, paese tanto decantato nei vostri scritti. La Francia ha emesso un mandato di cattura nei vostri confronti. […]. Potete trovare nei miei territori un ritiro tranquillo […]. Tuttavia, se vi ostinerete a rifiutare il mio sostegno, state certo che non lo dirò ad alcuno. Se persistete a lambiccarvi il cervello per trovare nuove disgrazie, fate come volete; io sono Re, e posso rendervi miserabile quanto voi desiderate»11. Sono questi i passaggi fondamentali della lettera a firma del Re di Prussia Xxxxxxxx, preparata da Xxxxxx Xxxxxxx e destinata a diffondersi rapidamente in tutta Europa, fino alla pubblicazione in Inghilterra sul St. Xxxxx’x Chronicle. La reazione di Xxxxxxxx non si fa attendere, e provoca una netta e sostanziale rottura dei rapporti con Xxxx. Il filosofo ginevrino invia infatti in prima battuta una lettera di protesta al direttore del giornale, denunciando, tra le altre cose, il fatto che la finta lettera del Re di Prussia «è stata architettata a Parigi», e che «l’impostore ha dei complici in Inghilterra». Come sottolineato da Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx pensava che lo scherzo «architettato a Parigi» ci fosse quella che egli definiva la “cricca holbachiana” (di cui facevano parte, a suo avviso, tutti i maggiori rappresentanti dell’Illuminismo francese), e riteneva che Xxxx fosse «il rappresentante in terra inglese di quella “cricca”»12. Agli occhi di Xxxxxxxx, il «caro benefattore» Xxxx si trasforma così nel peggiore dei suoi nemici. E questo nonostante Xxxx, ancora ignaro di essere l’oggetto del sospetto di Xxxxxxxx, continui a sollecitare il generale Xxxxxx per fare in modo che il Re accordi la pensione al filosofo ginevrino. Ottenuto il consenso da parte del Re, Xxxx non tarda a comunicare la notizia a Xxxxxxxx, che tuttavia si rivolge direttamente al generale Conway13 per comunicargli la decisione di rifiutare la pensione accordatagli, almeno alle condizioni stabilite (e cioè che la decisione rimanesse segreta).
10 X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 58.
11 Ivi, p. 59.
12 X. Xxxxxxxxx, Prefazione, in X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 20.
13 Si veda in proposito la lettera datata 12 maggio 1766 in X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., pp. 62-63.
Sollecitato alla risposta da una nuova lettera di Xxxx dopo un silenzio di tre settimane, Xxxxxxxx ribadisce la delusione per quanto accaduto («mi avete condotto in Inghilterra, in apparenza per procurarmi un asilo, ma in realtà per disonorarmi»), ed esprimendo la ferma volontà «di non avere più rapporti»14 con il filosofo scozzese. Tre giorni dopo, mosso dalla «estrema sorpresa» nel leggere la lettera d’accusa di Xxxxxxxx, Xxxx si dichiara assolutamente innocente («è da innocente, perché non userò il termine di amico, né quello di benefattore; è, lo ripeto, da innocente che rivendico il diritto di dimostrare la mia innocenza»15), e chiede al filosofo ginevrino di rivelare il nome del suo accusatore e di rendere noto ciò di cui viene accusato. È proprio qui che giunge così la lettera forse più celebre di questa disputa tra Xxxx e Xxxxxxxx: una lettera «lunga, contorta e melodrammatica»16 in cui Xxxxxxxx si scaglia senza mezzi termini contro il filosofo scozzese. Parlando di Xxxx in terza persona, Xxxxxxxx lo accusa di tradimento, di «adulazioni […] sospette», del modo di comportarsi dei giornali e delle persone conosciute e frequentate in Inghilterra, sfogandosi con una lettera che, sottolinea ancora Xxxxxxxxx, è scritta «per consentire al ginevrino di ascoltare se stesso e compiacersi delle proprie acrobazie cerebrali», «per essere declamato dal pubblico e dai posteri, ai quali spetta tributare la dovuta gloria alle capacità causidiche e all’ingegno dell’autore»17.
Con questa lettera, a cui seguirà una risposta sobria di Xxxx, veniva sancita la rottura del rapporto tra i due filosofi. Il problema è che tale rapporto era nato «dalla cortesia» di Xxxx nei confronti di Mme de Xxxxxxxx, Mme de Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx, e al contempo «dalla necessità» di Xxxxxxxx di trovare un rifugio. In realtà «non c’erano i presupposti umano o intellettuali per una salda relazione». Ed è proprio alla differenza di prospettive filosofiche tra Xxxx e Xxxxxxxx che ci volgeremo nei successivi capitoli, allo scopo di evidenziare una distanza quasi incolmabile tra i due autori su alcuni dei principali temi filosofici dibattuti nel Settecento.
1.4. Xxxxxxxx e il concetto ultimo di pietà nelle Fantasticherie
La lettura della crisi del rapporto tra il ginevrino e lo scozzese, alla luce della Lettera del 10 luglio 1766, e la critica al comportamento di Xxxxxxxx, si può ritrovare in una rilettura dell’ultimo testo del
14 Xxx, pp. 65-66.
15 Ivi, p. 67.
16 X. Xxxxxxxxx, Prefazione, in X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 21.
17 Xxx, pp. 21-22.
filosofo illuminista, le Fantasticherie del passeggiatore solitario18, in cui egli abbandona le convinzioni morali, e sociali, che lo hanno condotto in tutta la sua vita, approdando ad un individualismo negativo e solitario. A partire da un giudizio sull’insensatezza dell’appello alla sensibilità, Xxxxxxxx xxxx alla domanda di razionalità del giusto una forma nuova: in quanto derivata dell’amore di sé, la pietà è ormai l’unica sorgente della morale. Ciò che il giusnaturalismo moderno aveva creduto poter ancorare nella prudenza e nella massima razionalità, è ormai esploso con forza nella sensibilità; l’espansione dell’amore di sé, in morale realizza ciò che in politica produce l’amore delle leggi e dell’uguaglianza.
Xxxxxxxx sa di non rispondere alla sfida che i materialisti stanno ormai ponendo nel panorama filosofico europeo, e appare il suo tentativo di mostrare di essere lui stesso l’uomo indipendente che, in un secolo corrotto, non ha ragione di essere giusto. E allora viene da chiedersi chi sia questo Xxxxxxxx che parla. Non è forse lui che si è fatto accusare di ingratitudine? Non è forse lui l’uomo che negli anni si è più volte sottratto ai suoi obblighi? Arriva nelle Fantasticherie ad affermare di essere diventato l’uomo indipendente che non ha più simile né fratello. Escluso così dal genere umano per un patto diabolico, assume alla soglia della sua morte ciò che ha da sempre ha scongiurato: essere l’uomo solitario. Un individuo che, sicuramente anche a causa delle condizioni psico-fisiche dell’ultimo periodo della sua vita, vive nel timore dell’imbroglio; pensiero che però altera i rapporti di bontà e giustizia. È un uomo diverso da quello che scrive l’Xxxxxx: nel 1762 Xxxxxxxx concepiva la moralizzazione come il passaggio dalla pietà passiva alla difesa attiva del bene dei bisognosi: anziché <<fare l’elemosina di sventura, si tratta di diventare il loro uomo d’affari>>; anziché assisterli si deve <<chiedere che la giustizia sia loro resa>>. Era il Xxxxxxxx del secondo libro de l’Xxxxx a parlare, colui che definiva la pratica dell’elemosina un buon uso. Ora, il Xxxxxxxx delle Fantasticherie afferma di essere divenuto
<<l’ufficio generale di indirizzo di tutti i malati o sedicenti tali, di tutti gli avventurieri che cercano degli stupidi>>. Così la miseria non chiama più la fiducia ma la diffidenza e la pratica morale appare come un patto di stupidi. Il ginevrino esclude la possibilità di dedicarsi alla pratica morale in una società corrotta come quella europea del diciottesimo secolo.
L’ultimo Xxxxxxxx, negli scritti e nei comportamenti, si dimostra essere l’incarnazione dell’alterazione etica dell’io; nell’incoscienza degli atti – se di incoscienza nella risposta della lettera a Xxxx si può parlare – appare ai suoi contemporanei l’uomo dell’ingratitudine.
18 Les Rêveries du promeneur solitaire, opera inconclusa uscita postuma, scritta tra il 1776 e il 1778, nel periodo di rifugio nel castello di Ermenoville
Capitolo secondo. Stato di natura e contratto sociale in Xxxxxxxx e Xxxx
2.1 Xxxxxxxx politico
Sin dagli inizi della sua attività di filosofo, Xxxxxxxx suscitò grande attenzione da parte del pubblico, incorrendo in critiche non sempre limitate alla sua filosofia. Calato all’interno della cornice tardo- illuminista, il Ginevrino fu oggetto di attacchi personali che, fra le altre cose, gli valsero anche una serie di soprannomi dispregiativi quali Xxxxxxx, charlatan, apotre de l’ignorance, esprite de contradiction, homme paradoxe, cynique, sophiste, misantrope, solo per citarne alcuni19. Questo perché Xxxxxxxx si distinse ben presto dall’humus culturale che andavano istituendo in quegli anni i philosophes, cioè gli illuministi che agivano in contrapposizione all’anciene régime.
Di fronte ai pregiudizi e agli errori dell’ancien régime, ritenuto la fonte dell’ingiustizia sociale, della decadenza morale e dell’arretratezza tecnica e culturale gli Illuministi andavano affermando una forte fiducia sulle potenzialità della ragione. La ragione appariva, infatti, lo strumento più efficace per liberare l’umanità da uno stato di sudditanza e di minorità rispetto ai pregiudizi della tradizione, incarnati questi dalle istituzioni religiose e statali. L’esigenza di promuovere un nuovo tipo di cultura e di società si accompagnava alla fiducia nelle possibilità di progresso dell’uomo, legate alle sue capacità di conoscere ed abbattere, tramite la conoscenza, gli elementi irrazionali che sono fonte di corruzione.
La seconda generazione illuministica francese, che diede vita all’Encyclopédie, rafforzò queste convinzioni: richiamandosi a Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxx, i filosofi enciclopedici non avevano dubbi circa l’assoluta superiorità dei pensatori moderni rispetto a quelli dei secoli precedenti. La storia europea appariva allora come una storia di progresso, resa possibile dall’avanzare continuo delle scienze, portatrici, queste, di significative conseguenze anche in campo politico e morale. I successi della modernità sembravano, dunque, trionfare contro «l’ignoranza e la barbarie dei secoli oscuri»20. Se ci rivolgiamo all’opera di Xxxxxxxx si palesa chiaramente il diverso atteggiamento verso la cultura del suo secolo: l’assenza di fiducia verso il progresso e i suoi segni è la prima manifestazione di un pensiero critico verso quella società la cui stessa genesi, come vedremo più avanti, ne mina la
19 Si veda, ad esempio, X. Xxxxxxxx, Xxxxxxxx critico della «società civile», Esxx. xx Xx Xxxxxx, xxxxxx 00, xxxxxx xx xicerca per le scienze morali e sociali, Istituto di filosofia della Universita di Roma, 1966, p. 152
20 Per una ricostruzione dell’ambiente di pensiero dell’Illuminismo francese e in particolare della genesi dell’Enciclopédie si veda, ad esempio, X. Xxxxxx, Introduzione all’illuminismo. Da Xxxxxx a Xxxxxxxx, Laterza, Roma- Bari, 1973.
legittimità. La potenza di una ragione in grado di sfuggire alle catene dell’ancien regime, e di generare opere necessarie al benessere collettivo e individuale degli uomini, è per Xxxxxxxx un’idea falsa, un’apparenza da smascherare. E’ tutta qui la prima frattura tra il pensatore svizzero e i filosofi a lui contemporanei, che critica apertamente a partire fin dalla pubblicazione della sua prima opera di pensiero, il Discorso sulla scienza e sulle arti21, nel quale afferma che queste non sarebbero che meri prodotti della ragione che solo apparentemente possono essere considerate come fonte di felicità e progresso sociale. Il testo è la replica al quesito presentato dall’accademia di Digione nel 1749, “Se il rinascimento delle scienze e delle arti ha contribuito a migliorare i costumi”. Xxxxxxxx estende la sua tesi dall’ambito del Rinascimento a tutta la Storia, illustrando la correlazione tra il progresso culturale e la decadenza della virtù: «le nostre anime si sono corrotte via via che le scienze e le arti progredivano verso la perfezione. Diremo che si tratta di una sventura propria del nostro tempo? No, signori: i mali causati dalla vana curiosità umana sono vecchi come il mondo»22. A differenza degli illuministi, quindi, Xxxxxxxx vede il processo storico-culturale nel quale si è articolata la storia europea come una storia di decadimento morale. In questa prima opera dell’autore si configura quindi una sorta di “filosofia della decadenza” che in effetti comporrà il sostrato di tutti i suoi lavori successivi. Nel Primo Discorso Xxxxxxxx non mostra la differenza e la distanza tra la condizione naturale dell’uomo e le società civili che sarà tematizzata al culmine della sua riflessione, né si concentra a individuare le cause di corruzione della natura umana: il concetto di “Natura” in questo scritto compare solo sporadicamente. La riflessione nello scritto si articola tutta intorno alla virtù. La storia cui si appella Xxxxxxxx avrà, dunque, il compito di specificare le cause che hanno corrotto la virtù di alcuni popoli, mostrando la differenza tra le società virtuose e quelle dominate dai vizi. Per virtù qui intende quella relativa al versante etico-politico, quindi la capacità su subordinare il proprio interesse privato all’interesse e al bene della comunità che si anima e di cui si è parte. Nella prima parte del Primo Discorso il Ginevrino fornisce alcuni esempi di popoli e della loro inevitabile decadenza, dovuta allo sviluppo culturale. Così l’Egitto, «questa prima scuola dell’universo […], questo celebre paese da cui Sesostri un giorno partì alla conquista del mondo», generatasi la filosofia e le belle arti, cedette alla conquista di Cambise; la Grecia, quando le lettere non avevano ancora corrotto i costumi dei suoi abitanti, era popolata da eroi, ma «al progresso delle arti seguirono dappresso la dissoluzione dei costumi e il giogo macedone»; «Roma, fondata da un pastore e resa illustre da agricoltori, comincia a decadere al tempo di Xxxxx e di Terenzio»23. Il posto di maggior rilievo lo ha contrapposizione più perorata, cioè quella tra Atene e Sparta. Se ad Atene era concessa
21 J.-X. Xxxxxxxx, Discorso sulle scienze e sulle arti, in Xxxxxxxx. Scritti politici, Introduzione di Xxxxxxx Xxxxx, Xxxx- Xxxx, Xxxxxxx, 0000.
22 Ivi, p.8
23 Ivi, p. 9
la penetrazione dei vizi derivati dalla pratica delle arti, e quindi si andava incontro a un decadimento dei costumi, a Sparta invece tanto queste quanto la scienza erano bandite. Per questo la città viene ricordata per le gesta eroiche delle quali i suoi abitanti si resero protagonisti, a differenza di Atene, nella quale si produssero «tutte quelle opere stupefacenti che serviranno da modello a tutte le epoche di corruzione»24. Sparta ricorrerà spesso anche negli scritti successivi di Xxxxxxxx, soprattutto come modello di virtù, al pari dei selvaggi del Nuovo Mondo. L’idea è che una società, per far sì che i propri costumi siano fondati sulla virtù, deve essere frugale, come lo era appunto la polìs spartana. Una società basata sulla necessità di soddisfare i bisogni primari garantisce infatti una maggiore coesione morale tra i suoi componenti, diversamente da quanto accade nelle società civilizzate, nelle quali l’interesse privato diventa predominante rispetto all’interesse collettivo. Xxxxxxxxxx a fondo nella questione nel terzo capitolo della tesi, parlando della volontà generale. Per ora ci limitiamo a far emergere quanto tutti gli elementi che dai pensatori della sua epoca erano considerati risultati del progresso (le scienze, le arti, il lusso) per lui non erano che elementi superflui, addirittura elementi fuorvianti per un popolo che vuole essere virtuoso, che dovrebbe invece concentrarsi sullo sviluppo della forza fisica, della virtù guerresca eccetera. Gli strumenti, risultato di un’arte perfezionata, infatti, rispondono a delle presunte mancanze dell’essere umano, che di fatto non ne avrebbe bisogno. Il progresso tecnico soddisfa comodità che si trasformano rapidamente in bisogni, i quali, tra le altre cose, vanno ad indebolire la forza e il vigore corporeo, qualità necessarie alla virtù, come anche il coraggio.
Nelle nazioni antiche e addirittura ancora più indietro, l’uomo era al massimo del vigore consentito dalla specie e quindi la difesa della comunità era garantita da eserciti forti e funzionanti. Nelle nazioni moderne, invece, in cui la presenza delle scienze e delle arti non viene contrastata, ci sono eserciti dei quali Xxxxxxxx non esita a mettere in rilievo le debolezze. I guerrieri moderni, infatti, pur dimostrando «il loro valore in un giorno di battaglia» non sono in grado di sopportare “fatiche eccezionali”, di resistere al rigore delle stagioni e alle intemperie del clima25. Infatti, dice Xxxxxxxx,
«lo studio delle scienze è molto più adatto a sminuire ed effeminare gli animi che non a renderli più forti e coraggiosi»26. Oltre a distogliere gli individui dalle occupazioni virtuose le scienze e le arti contribuiscono ad alimentare i vizi da cui sono scaturite. Una società virtuosa presuppone che i costumi dei propri cittadini siano improntati alla repressione degli egoismi personali e della ricerca del benessere e delle comodità private. Qualsiasi società, invece, in cui siano valorizzate le scienze e le arti, presuppone uno stato sociale viziato dal punto di vista morale. Le scienze e le arti, infatti, sono potute nascere e progredire solo in un contesto segnato dall’ineguaglianza sociale. Come leggiamo
24 Ivi, p. 11
25 Ivi, p. 20
26 Ibidem
nella lettera che Xxxxxxxx rivolse a Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, «La fonte prima del male è la disuguaglianza; dalla disuguaglianza sono venute le ricchezze; […] dalle ricchezze sono nati il lusso e l’ozio; dal lusso sono venute le belle arti e dall’ozio le scienze»27. L’ineguaglianza è il risultato di una dinamica nella quale alcuni individui si sono arricchiti a discapito di altri. Le scienze sono, il prodotto della ricchezza di una parte esclusiva della popolazione, quella componente di persone che potevano ben permettersi di vivere nell’ozio. Le belle arti, che sono un prodotto del lusso, annunciano sin dalla propria origine la loro posizione di ostacolo alla virtù e al benessere sociale. Abbiamo visto come, secondo Xxxxxxxx, un popolo, per conservare la virtù, deve essere, come Sparta, frugale: le comodità che non rispondono a necessità reali hanno l’effetto di moltiplicare i bisogni, infiacchendo gli uomini nel corpo e nello spirito. Il lusso, come le scienze e le arti, rispecchia sempre la decadenza di un popolo, al di là dell’apparente benessere che i prodotti del progresso portano con sé. Se le cause dei vizi sono le ricchezze di una parte della popolazione, ciò non toglie che i mali che da esse derivano riguardino tutti, ricchi e poveri: «il lusso corrompe tutti; il ricco che ne gode e il miserabile che lo brama»28. Nota lo studioso Xxxxxxxx che «Opera al fondo del pensiero di Xxxxxxxx un ideale repubblicano (incardinato sui termini patria/città/nazione), e al tempo stesso un ideale sociale (incardinato sui termini comunità/fraternità/bene comune), che viene a coincidere con il primo»29. Cioè la devozione della comunità nei confronti del bene comune deve allontanare, escludere ogni forma di egoismo. La comunità virtuosa non ha bisogno di sviluppo economico, perché questo non è che la conseguenza dell’arricchimento del singolo. E quindi se non ha bisogno di sviluppo economico una società non ha nemmeno bisogno di scienza, arte eccetera, ovvero di tutte quelle cose che secondo il filosofo svizzero distruggono le virtù etico-politiche.
Alla critica spietata di Xxxxxxxx non sfugge nemmeno la religione, considerata al pari della scienza come fonte di danneggiamento morale del cittadino. In realtà, afferma il filosofo, il cristianesimo delle origini era libero dal vizio, perché basato appunto su una dimensione di frugalità, ma in seguito alle calunnie e poi alle persecuzioni si rese necessario per i cristiani passare ad una tradizione scritta, che poi incoraggiò altri scrittori cristiani nei secoli a venire a proseguire sulla strada delle lettere e quindi a trasformare la religione in cultura, cioè in decadenza. Scrive: «Presto non ci si contentò più della semplicità evangelica e della fede apostolica; bisognava sempre superare i predecessori per livello intellettuale. Si finì col sottilizzare su tutti i dogmi; ciascuno volle sostenere la propria
27 J.-X. Xxxxxxxx, Osservazioni di Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx di Xxxxxxx a proposito della risposta data al suo Discorso, in Xxxxxxxx. Scritti politici, Roma-Bari, Laterza, 1971, p. 44. Nella lettera a X. Xxxxxxxxxxx il tema dell’ineguaglianza viene solo accennato. Le cause dell’ineguaglianza sociale saranno trattate approfonditamente nel Secondo Discorso. Per ora non entriamo nel merito di tale argomento ma ci limitiamo a prenderlo in considerazione in riferimento al tema che stiamo affrontando (la critica alle scienze e alle arti).
28 J.-X. Xxxxxxxx, Lettera a Xxxxxx, in Xxxxxxxx Scritti politici, Introduzione di Xxxxxxx Xxxxx, RomaBari, Laterza, 1971,
p. 45.
29 X. Xxxxxxxx, Il rifiuto della modernità, Saggio su Xxxx-Xxxxxxx Xxxxxxxx, Firenze, Le Lettere, 2010, p.
opinione; nessuno volle cedere. Si fece strada l’ambizione di essere a capo di una setta e le eresie pullularono da ogni parte»30. Su questa ambizione Xxxxxxxx basa una buona parte della sua critica alle lettere. Tale desiderio, secondo lui, è difficilmente compatibile con la virtù. Mentre la virtù comporta un sentimento di dedizione alla patria e alla cosa pubblica, il desiderio di distinguersi conduce i cittadini alla rivalità reciproca per il riconoscimento sociale. E’ questo il caso di coloro che coltivano le lettere, i quali cercano sempre l’ammirazione del pubblico, facendo di tutto per ottenerla. Di qui i pervertimenti del gusto, delle buone maniere e “l’adulazione vile e bassa”. Nella comunità politica pensata da Xxxxxxxx tutti si sforzano di adempiere il più possibile ai loro doveri verso la totalità e, in essa, l’onore non si consegue in base alla quantità di talenti moralmente privi di merito, bensì in funzione della virtù. C’è un’altra caratteristica della modernità verso cui Xxxxxxxx rivolge delle dure accuse: una «pesante coltre di uniformità», «vile e ingannevole»31, che regola i rapporti interpersonali nelle società civili. In conclusione, lo sguardo di Xxxxxxxx rivolto al suo secolo si contrappone nettamente all’immagine illuministica di una società sulla via del progresso, dovuto allo svolgimento delle potenzialità della ragione: la filosofia secondo il Ginevrino, lungi dall’illuminare gli uomini, risvegliandoli dagli errori e i pregiudizi dell’ancien régime, parla solo il linguaggio dell’epoca. E questa è un’epoca di corruzione divorata dai vizi, anche se si nascondono sotto un «velo uniforme e perfido di cortesia, sotto la tanto decantata urbanità che dobbiamo al nostro secolo illuminato»32.
In riferimento alla caratterizzazione dell’uomo primitivo la distanza si acuisce e si fa palese. Secondo il pensatore di Ginevra, la maggior parte dei filosofi che hanno studiato la natura umana non hanno saputo distinguere tra la “natura” e le deformazioni che la cultura le ha imposto33. Dell’uomo contemporaneo Xxxxxxxx comincia, allora, con l’abolire tutto ciò che può avere avuto origine dalla vita associata e dalla società stessa, per giungere così all’uomo naturale che, come spiegheremo a breve, vive isolato. Se i giusnaturalisti avevano attribuito al selvaggio la nozione del giusto e dell’ingiusto, Xxxxxxxx, nel suo Discorso sull’origine della disuguaglianza34, nel delineare lo stato naturale dell’uomo, ci mostra un essere caratterizzato «dal grado più basso di pensiero e stupidità e privo di qualsiasi idea morale»35. E’ quindi impossibile, secondo Xxxxxxxx, ricercare nello stato primordiale dell’uomo le leggi naturali che possano essere comprese dalla ragione, in quanto la ragione stessa era assente in quello stato. Altrettanto errato è riferire al selvaggio i termini di «avidità,
30 J.-X. Xxxxxxxx, Osservazioni di Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx di Xxxxxxx a proposito della risposta data al suo Discorso, cit. p. 41.
31 J.-X. Xxxxxxxx, Discorso sulla scienze e sulle arti, cit., p. 7.
32 Ibidem
33 X. Xxxxxx, Introduzione all’Illuminismo. Da Xxxxxx a Xxxxxxxx, cit. p. 455
34 J.-X. Xxxxxxxx, Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza, in Xxxxxxxx Scritti politici, a cura di Xxxxxxx Xxxxx, Roma-Bari, Laterza, 1971
35 Ivi, p. 139.
di oppressione, di desiderio e d’orgoglio»36. Questi infatti, spiega il Ginevrino, sono attributi di una psicologia complessa, frutto di un evoluzione non ancora incominciata nell’uomo di natura. Nella sua condizione di pura animalità l’uomo selvaggio è non “l’aristotelico animale politico”37 ma un essere a-razionale e asociale. Nel distinguere “l’uomo fatto dall’uomo” dall’uomo “creato dalla natura”38, lo stesso istinto associativo viene considerato da Xxxxxxxx un tardo frutto delle circostanze, piuttosto che una tendenza innata. A indurre gli uomini ad avvicinarsi tra loro saranno fattori demografici e climatici che, in un modo o nell’altro, li obbligheranno a vivere insieme. A quel punto la vita comunitaria, non solo avrà l’effetto di far progredire le facoltà psicologiche che rendono possibili i sentimenti sociali, ma sarà altresì necessaria al soddisfacimento dei bisogni di ogni singolo. Il selvaggio vive isolato e non ha difficoltà a soddisfare i propri bisogni: si nutre di ciò che la natura gli offre, senza desiderare niente che non sia alla sua portata. Dal punto di vista materiale è completamente autarchico. Perciò non ha e non sente alcun bisogno dell’aiuto né della compagnia dei suoi simili. L’uomo allo stato naturale è un essere solitario e autosufficiente, soddisfatto della propria esistenza e privo di moralità. L’intelletto non ancora sviluppato gli permette di godere della soddisfazione dei bisogni naturali, senza indurlo a considerare i mezzi per accrescere il suo godimento; la mancanza di ragione fa di lui un essere poco incline alla violenza, in quanto l’amor proprio, e le passioni che ad esso si accompagnano, si sviluppano con il progresso dell’intelligenza, estraneo allo stato di natura. Inoltre, l’assenza di intelletto e di amor proprio, connessi ad una condizione materiale favorevole, lasciano che la pietà naturale si esprima al suo massimo grado. L’uomo poi, in seguito soprattutto alla crescita demografica e ai mutamenti e agli inasprimenti delle condizioni climatiche si è andato man mano riunendo in gruppi via via più articolati e complessi che trovano un primo approdo nella società patriarcale. Se le prime forme di società ebbero l’effetto di trasformare l’uomo primitivo indipendente, sia materialmente che spiritualmente, in un essere la cui identità era condizionata dall’opinione dei suoi simili, gli uomini delle prime comunità mantennero, tuttavia, quell’autosufficienza materiale che permetteva loro di provvedere al proprio sostentamento e conservare, almeno in questo senso, l’indipendenza originaria. La distinzione che il filosofo traccia tra i concetti di amor di sé e amor proprio ci aiuta a capire meglio la questione. Scrive Xxxxxxxx che:
«Non bisogna confondere l’amore proprio e l’amore di se stesso, si tratta di due passioni molto diverse per la loro natura e i loro effetti. L’amore di sé è un sentimento del tutto naturale che porta ogni animale a vegliare sulla propria conservazione e che nell’uomo, governato dalla ragione e temperato dalla pietà, da luogo all’umanità e alla virtù. L’amor proprio non è che un sentimento
36 Ibidem
37 E. Xxxxx, op. cit. p. XXXVIII
38 Ivi, p. XXXIV
relativo, artificioso e nato dalla società, che porta ogni individuo a far più caso a sé che ad ogni altro, e che ispira agli uomini tutti i mali che si fanno reciprocamente, ed è la vera sorgente dell’onore. Inteso bene ciò, dico che nel nostro stato primitivo, nel vero stato di natura, l’amor proprio non esiste; perché, considerando ogni uomo in particolare se stesso come il solo spettatore che l’osservi, come il solo essere nell’universo che prenda interesse a lui, come il solo giudice del proprio merito, non è possibile che un sentimento, che trae origine da paragoni ch’egli non è in grado di fare, possa germogliare nella sua anima [...]»39.
Amor di sé è allora espressione dello stato di natura, mentre l’amor proprio è l’espressione del temperamento della società civile. Decisivi per il definitivo decadimento morale dell’uomo sono, secondo Xxxxxxxx, l’introduzione della proprietà privata e la divisione del lavoro, come già notato da Xxxxxxx xxxxxxxxx nella prefazione a A proposito di Rousseau40. Finché gli uomini si limitarono alla frugalità, e quindi all’esercizio di arti e mestieri che non richiedevano altro che l’intervento del singolo si mantenne una purezza virtuosa. Quando «nel momento stesso in cui un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro; da quando ci si accorse che era utile a uno solo aver provviste per due, l’uguaglianza scomparve, fu introdotta la proprietà, il lavoro diventò necessario, e le vaste foreste si trasformarono in campagne ridenti che dovevano essere bagnate dal sudore degli uomini, e dove presto si videro germogliare e crescere con le messi la schiavitù e la miseria»41.
Xxxxxxxx ha ben presente che lo stato di natura cui si riferisce non è che una condizione ipotetica, probabilmente mai esistita, e tuttavia crede vi si debba tendere, che bisogni raggiungerlo tramite la stipulazione di quel contratto sociale di parleremo più approfonditamente nel terzo capitolo del presente lavoro, affrontando la questione della volontà generale e dell’idea di nazione del filosofo svizzero. Per ora ci limiteremo ad accennare di passaggio come, con la sottoscrizione del contratto, il cittadino di Xxxxxxxx rinunci in effetti alla sua libertà naturale per appropriarsi di una libertà civile nella quale anche il concetto di proprietà privata cambia profondamente. Nella libertà civile l’uomo guadagna la proprietà di ciò che possiede, rinunciando però alla possibilità di acquisire tutto ciò che desidera che gli era garantita dalla libertà naturale. Nello stato naturale il possesso è infatti l’effetto della forza del primo occupante che acquisisce la proprietà di ciò su cui allunga le mani, mentre nel contratto, che prevede la sottomissione del singolo alla volontà generale, la proprietà diviene fondata su un titolo positivo, si diviene cioè partecipi del bene comune.
39 J.-X. Xxxxxxxx, Dialogues, II, O.C., I; trad. it. S.A., p.899
40 Xxxxx Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2017.
41 J.-X. Xxxxxxxx, Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza, op. cit., p. 87
In definitiva possiamo concludere questa prima ricognizione attorno alla visione politica di Xxxxxxxx affermando che questa sorta di fascinazione per un passato mai esistito che anima la prima riflessione del filosofo è riconducibile a due fattori. In primo luogo Xxxxxxxx si rivolge polemicamente nei confronti dei suoi contemporanei che, come abbiamo visto, si muovono come un’unica nella direzione dell’affermazione del potere della scienza, anteponendo il progresso intellettuale alle necessità del singolo. In secondo luogo il passatismo di Xxxxxxxx non è semplice nostalgia del tempo perduto, ma una vera e propria fondazione degli assunti che gli serviranno per strutturare in seguito la sua filosofia politica del contratto sociale e della volontà generale: in questo senso, scritti come il Discorso sulle scienze e sulle arti e il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza gli sono fondamentali per chiarire anzitempo l’orizzonte all’interno del quale instaurare la sua idea di futuro, che sarà inevitabilmente in contrapposizione con un passato decaduto.
Una tale posizione era inaccettabile per gli Illuministi e non solo per quelli di loro che erano pensatori prettamente politici o interessati alla società come oggetto di ricerca primario. Come vedremo nel paragrafo seguente, lo stesso Xxxxx Xxxx, filosofo in un certo senso anti-illuminista, passato alla storia per il suo neo-scetticismo e interessato a smentire le teorie epistemologiche che basavano solo sull’utilizzo della ragione la dimensione dell’agire umano, giunge, nel campo della filosofia morale, a conclusioni antitetiche rispetto a quelle di Xxxxxxxx.
2.2 I risvolti morali del pensiero di Xxxxx Xxxx
Come accennato in conclusione del paragrafo precedente, non potrebbe esserci distanza maggiore tra due pensieri così in antitesi come quelli di Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxx. Se per il filosofo Ginevrino, come abbiamo visto, il progresso scientifico non è solo inutile, ma addirittura dannoso per l’essere umano inteso sia come singolo che come membro di una società, per il filosofo scozzese viceversa il progresso e l’elaborazione culturale dei secoli passati sarebbero addirittura alla base stessa dei giudizi mediante i quali strutturiamo quelle credenze che ci aiutano a muoverci nel mondo.
Prima di addentrarci nella visione della società di Xxxx è necessario passare brevemente in rassegna la sua teoria epistemologica. Xxxx, riferendosi a intuizioni precedenti alle sue, e in particolare quelle di Xxxxx e Xxxxxx, elabora una teoria della conoscenza la quale si basa in un certo senso proprio su quell’aspetto di cultura che Xxxxxxxx attacca e rinnega. A partire dal dato sensibile, le impressioni esterne, l’uomo, tramite l’intercessione dell’intelletto e dell’immaginazione, elabora i concetti e le immagini che compongono il mondo. Tuttavia questi dati sarebbero inutili se non servissero a giungere alle credenze, ovvero a quel dato di reale che è alla base dei giudizi, e che fa sì che l’uomo agisca in un modo piuttosto che in un altro. Le credenze si formano al di fuori tanto della sensibilità
quanto dell’intelletto e sono anzi i principi che guidano queste facoltà fondamentali. Alla base della formazione delle credenze ci sono le esperienze passate che l’uomo non ha necessariamente vissuto ma che la sua mente possiede già come dati sintetici42.
Tracciata brevemente questa premessa che chiarisce già una prima distanza apparentemente incolmabile tra due filosofi che comunque agiscono contro la filosofia del loro tempo – dire che il giudizio si forma al di fuori dei sensi e della ragione e che a dominarlo sono le passioni, in epoca illuminista era una vera e propria eresia al pari dell’affermare che la scienza sarebbe inutile e dannosa
– ci concentreremo ora sugli aspetti più propriamente politici della filosofia di Xxxxx Xxxx, a partire proprio dal concetto proprietà privata.
Nel Trattato sulla natura umana43 la proprietà è connessa alla giustizia, che a sua volta trova una base stabile all’interno di un ragionamento sulla natura e sulle passioni umane. Infatti, Xxxx scrive che la morale «si fonda sul piacere e dolore», quasi che essa sia «fondata sulla natura»44. L’umiltà e l’orgoglio sono passioni derivanti dalla natura umana, «ma sebbene abbiano per loro causa naturale e più immediata la qualità della nostra mente e del nostro corpo, e cioè l’io, l’esperienza ci dice che vi sono molti altri oggetti», per esempio la proprietà. «Essa è la relazione che è considerata più stretta delle altre e che fra tutte è quella che più facilmente suscita la passione dell’orgoglio»45. In questo passaggio del Trattato emerge già una prima insanabile differenza tra Xxxxxxxx e il filosofo scozzese. Xxx Xxxx infatti non si dà una natura prima della morale ma «l’evidenza naturale e quella morale si cementano perfettamente insieme e costituiscono un’unica catena di argomentazioni»46. Gli individui sono spinti naturalmente a formare la società in base a un interesse. Solo con la società l’uomo è in grado di sopperire alle sue mancanze e «quando l’individuo lavora solo per conto suo e solo per sé la sua forza è troppo piccola per realizzare un lavoro apprezzabile»47. Mentre la divisione del lavoro era vista da Xxxxxxxx come degenerazione morale dell’individuo che invece allo stato primitivo bastava a se stesso, per Xxxx senza la collaborazione l’uomo non sarebbe in grado di sopravvivere e perirebbe. Ci sono delle condizioni naturali interne che spingono l’uomo alla formazione della società: il naturale appetito sessuale e l’egoismo. Ad essere problematica, anche
4242 Per una ricostruzione dell’epistemologia di Xxxx e in particolare per la lettura della mente come tessuto biologico si veda Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Darwinismo morale. Da Xxxxxx alle neuroscienze, Utet, Novara, 2010, in particolare da
p.235 a p. 268.
43 Xxxxx Xxxx, Trattato sulla natura umana, Laterza, Bari, 1982.
44 Ivi, p. 310.
45 Ivi, p. 325.
46 Ivi, p. 426.
47 Ivi, p. 513.
nella riflessione dello scozzese, è la proprietà privata. In un passaggio ai nostri fini particolarmente interessante del Trattato Xxxx scrive:
«La soddisfazione interna della nostra mente, i vantaggi esterni del nostro corpo e il godimento di quei beni che abbiamo acquistato con il nostro buon lavoro e la nostra buona sorte. Siamo perfettamente sicuri nel godimento dei beni del primo tipo. Quelli del secondo possono esserci sottratti, ma non possono essere di nessun vantaggio per colui che li toglie. Soltanto gli ultimi sono soggetti tanto alla violenza altrui quanto alla possibilità di passare da una persona a un’altra senza subire nessuna perdita o alterazione; e nello stesso tempo non esiste una quantità di questi beni sufficiente a soddisfare i bisogni e i desideri di tutti»48.
Da ciò consegue per Xxxx che proprio nelle condizioni esterne del terzo tipo, la proprietà, risiedono i maggiori problemi con gli altri. Perché «una volta che ci siamo accorti come il principale motivo di turbamento nella società sorga da quei beni che chiamiamo esterni e dal loro continuo e instabile passare da una persona all’altra, dobbiamo cercare un rimedio ponendo questi beni, per quanto è possibile, sullo stesso piano dei vantaggi fisici e costanti della mente e del corpo. Ciò non si può fare altrimenti che mediante una convenzione tra tutti i membri della società, e cioè quella di conferire stabilità dei beni esterni e lasciare che ognuno goda in pace di tutto ciò che riesca ad acquisire casualmente o con il suo lavoro»49.
Sembrerebbe accorciarsi la distanza tra le posizioni dei due filosofi, ma in realtà è qui la prima traccia della rottura: Xxxx, come si evince dal passaggio appena citato, esprime un netto rifiuto non nei confronti della natura umana, ma nei confronti del fatto che sia esistito temporalmente qualcosa prima della società. Il mondo naturale di Xxxxxx, lo stato di natura di Xxxxxxxx, non sono che costruzioni logico-ipotetiche. Xxxx rifiuta l’idea dell’esistenza di un mondo naturale e, anche qui in netta antitesi rispetto al filosofo ginevrino, accetta la visione aristotelica dell’uomo come animale sociale. In secondo luogo, Xxxx riduce la giustizia al solo problema della proprietà. Infine egli non propone una giustizia distributiva, dato che la convenzione mira a ristabilire piuttosto delle convinzioni e delle abitudini già consolidate e non è tesa a ridistribuire i beni in conformità a certe norme nuove. Essendo una convenzione, sarebbe da chiedere a Xxxx perché non si possa convenire di formare leggi nuove o di ridistribuire i beni. A giudizio del filosofo scozzese, però, è «nel mio interesse lasciare ad un altro il possesso dei suoi beni, purché agisca nello stesso modo nei miei confronti»50. Tuttavia, si può ribadire che tale rispetto della proprietà dell’altro, che vorrebbe fondare un’etica normativa su
48 Ivi, p. 517.
49 Ibidem
50 Ibidem
un’etica strumentale e utilitaristica, vale quando entrambi abbiano una proprietà. Fra proprietari può valere la regola che se tu non mi rubi il cavallo io non ti rubo il carro, ma in una logica asimmetrica in cui uno ha e l’altro non ha il ragionamento di Xxxx cade. Nel caso di una logica asimmetrica varrebbe la sola forza. Eppure l’idea sociale di Xxxx si regge su questa ipotesi: «Due uomini che spingono una barca a forza di remi lo fanno in virtù di un accordo o di una convenzione, sebbene essi non si siano dati alcuna promessa reciproca»51.
Se come Xxxxxxxx, Xxxx afferma che alla base della proprietà potrebbe esserci la coercizione forzata dell’altro, a differenza del ginevrino lo scozzese ribadisce la necessità della collaborazione e dell’accordo. Dalla natura umana scaturisce la proprietà, e dalla proprietà la giustizia. Quest’ultima interviene per formalizzare regole che erano già state stabilite tacitamente dalla consuetudine e dalla convenzione, e non stabilite dalla sottomissione ad una dispotica volontà generale. Altrimenti, per tornare all’esempio della barca, sulla stessa base dell’egoismo naturale, Xxxx avrebbe dovuto ammettere che se non si fosse ottenuta una stabilità dei beni, uno avrebbe potuto rifiutarsi di remare. Sarebbe fondamentale dunque che nella società vi fosse una stabilità dei beni e che questi fossero ben distribuiti a tutti. Xxx Xxxx «la nostra proprietà non è altro che quell’insieme dei beni il cui possesso costante è stabilito dalle leggi della società»52. La proprietà ben stabilita ha bisogno di leggi che mantengano questa stabilità. La proprietà richiede la giustizia e la giustizia esiste sulla base della proprietà. Siamo quasi in un circolo vizioso che esclude la natura umana da cui primariamente Xxxx era partito: ma solo apparentemente; in realtà la natura umana permane costitutivamente entro le relazioni sociali. Rendendosi conto che la premessa di un egoismo naturale posto alla base della società scardinerebbe il ragionamento successivo sull’equazione proprietà-giustizia, Xxxx afferma che:
«La proprietà di un uomo è un oggetto di relazione con lui, questa relazione non è naturale, ma morale e basata sulla giustizia: è del tutto assurdo, quindi, immaginare che si possa avere un’idea della proprietà senza comprendere appieno la natura della giustizia»53. Esattamente al contrario di quello che afferma Xxxxxxxx, per Xxxx la proprietà non esisterebbe senza la giustizia, mentre come abbiamo per il ginevrino era la negazione stessa dell’esistenza di una giustizia sociale. La giustizia non è, quindi, anteriore alla proprietà ma sorge contemporaneamente. La differenza con Xxxxxxxx appare evidente, anche se entrambi ritengono che la proprietà sia una questione sociale. Infatti per il filosofo ginevrino, è noto, con la nascita della proprietà inizia anche la degenerazione umana e la violazione della giustizia. Xxx Xxxx invece «l’istituzione di tale regola che riguarda la stabilità del
51 Ivi, p. 518.
52 Ibidem
possesso non è soltanto utile, ma anche assolutamente necessaria alla società umana»54. La proprietà non sarebbe, per tutto ciò, che una consuetudine sociale derivata dalla convenzione degli uomini. Xxx Xxxx vi è una natura egoistica, ma la proprietà, benché rispondente ad un’esigenza naturale, vive e si legittima esclusivamente sulle regole sociali che convenzionalmente gli uomini si danno e che possiamo genericamente definire col termine di giustizia. Anche sostenere di poter godere di una proprietà in base al diritto dell’occupazione, per esempio di un suolo di un’isola deserta non garantisce “naturalmente” il godimento del bene e conduce a dispute infinite.
La distanza tra queste due visioni di proprietà apparentemente così vicine eppure inconciliabili è alla base della divergenza che nel pensiero dei due filosofi, c’è anche tra le concezioni di volontà. Xxx Xxxxxxxx la giustizia interviene sulla proprietà solo in seguito alla sottomissione della volontà del cittadino a alla volontà generale, con la conseguente rinuncia ai propri beni in favore del raggiungimento del bene comune. Xxx Xxxx invece la giustizia esiste prima della proprietà, l’uomo è aristotelicamente un animale politico fin dalla sua comparsa sul mondo. Non esiste un mondo naturale o uno stato di natura che giustifichi la rinuncia alla propria volontà e al libero esercizio dei propri diritti in favore dell’instaurazione di un Leviatano o di una volontà generale sovrani. La volontà del singolo non nega la giustizia, anzi, senza quest’ultima non esisterebbe. Pur epistemologicamente così lontano dalle posizioni degli Illuministi, nella sua idea di nazione, che approfondiremo nel capitolo successivo, Xxxx giunge ad un liberalismo che è in scia con i pensieri politici meno reazionari della sua epoca.
Capitolo terzo. Due diverse concezioni di volontà
3.1 Filosofie a confronto
Non solo nella visione politica, ma già con le loro personalità e nello stile intellettuale, Xxxx e Xxxxxxxx si trovavano su poli completamente opposti. Se il filosofo scozzese si può dire fosse un conservatore liberale che privilegiava “pacatezza” e“moderazione”, detestando “fanatismo e “ardore”, il ginevrino era un radicale e ribelle, se non perfino rivoluzionario. Xxxx amava la conversazione e il dialogo, mentre Xxxxxxxx era un tipo taciturno che preferiva il silenzio, poco avvezzo alle sarete mondane nei vari circoli aristocratici che in quegli anni, soprattutto a Parigi, erano soliti frequentare i grandi pensatori e intellettuali. Xxxx era incline al compromesso, aveva una predilezione verso la chiarezza e il discorso diretto. Xxxxxxxx, sempre pronto allo scontro, era solito nelle sue argomentazioni utilizzare nel suo stile narrativo il paradosso e la narrazione emozionale. Diversissime erano anche le loro letture e gli autori del passato a cui s’ispirarono per dar vita al loro pensiero politico. Xxxx, grande esperto di storia politica antica, già nel Trattato mostrò una approfondita conoscenza di classici come Xxxxxxxx, Xxxx Xxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxx e Xxxxxxxx. Ma leggeva anche scrittori moderni come Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxx, Xx Xxx e Xxxx. Xxxxxxxx, invece, nonostante nell’Xxxxxx avesse detto di detestare i libri perché «insegnano solo a parlare di quello che non si sa» era un fanatico della lettura giuridico-politica moderna rappresentata dai testi di Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxx e Jurieu55
La divergenza tra i due era visibile anche nei diversi approcci metodologici ai problemi della politica: storico-realista nel caso di Xxxx; <<diagnostico>>56, etico normativo, oltre che emotivo, in quello di Xxxxxxxx.
Ma è l’opposta visione sulla politica ad essere la linea di demarcazione più spessa tra i due pensatori del Settecento, i quali erano praticamente in disaccordo su tutto quello che avesse a che fare con lo sviluppo e l’organizzazione delle istituzioni sociali. A partire dall’origine dello Stato e il ruolo che esso aveva nelle vita delle persone, passando per il libero mercato, fino ad arrivare ai temi di giustizia, libertà, uguaglianza e proprietà, i due autori mostrano contrapposizioni nette che, messe in relazione, danno vita a due diverse concezioni dello Stato-Nazione.
55 Cfr. ivi, pp 83- 155
56 Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx e le patologie della modernità: le origini della filosofia sociale, in Xxxxxx Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx (a cura di), La filosofia politica di Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx, Milano 2012, p.36.
Xxxxxxx Xxxx osservò, che tra la visione del mondo di Xxxxxxxx e Xxxx ci fosse la stessa immensa differenza che passa tra un battito di ciglia e un occhiolino, una contrazione involontaria e un segnale deliberato57
L’analisi della controversia può essere iscritta nel contesto del secolo dei Lumi solo a patto che si tenga ben presente che, come concetto teorico prima ancora che come periodo storico, l’Illuminismo ha significato cose diverse, richiamato e sollecitato ideali perfino contrapposti. Xxxxx Xxx, nella sua memorabile analisi, lo descrisse come “ripresa di forze” da parte dei pensatori erotici impegnati nel progresso del genere umano attraverso la fede nella regione critica58. La più famosa espressione di questa fede è forse il saggio di de Condorcet, Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano (1795), in cui la regione umana e i dati concreti dell’esperienza sono posti a fondamento dell’ipotesi secondo cui la natura non avrebbe fissato alcun termine per la perfezione delle facoltà umane, la perfettibilità dell’uomo sarebbe veramente a tempo indeterminato e il suo progresso non avrebbe altro termine limite se non quello della durata del mondo. Per alcuni studiosi, l’illuminismo ha denunciato l’inutilità degli idoli, dei pregiudizi, delle superstizioni e delle ideologie di un Occidente repressivo e illiberale. Per altri come i teorici della scuola di Francoforte, tra cui Xxxxxxx Xxxxxx e Xxx Xxxxxxxxxx, e autori post-moderni come Xxxxxxx Xxxxxxxx, l’enfasi assoluta sulla ragione da parte degli illuministi avrebbe legittimato, invece di sfidarlo, il carattere dispotico e gerarchico della società e della politica tipico dell’ancien règime europeo. L’Illuminismo, secondo il pensiero critico di questi filosofi, sarebbe stato un autentico incubo della ragione da cui l’Occidente non si è più risvegliato. Per altri ancora, la vecchia nozione di un unico paneuropeo Illuminismo ridurrebbe la complessità della sua storia. E se alcuni storici hanno sostenuto che sono esistiti “illuminismi nazionali” distinti da elementi di natura politica, sociale e culturale, altri hanno identificato illuministi dalla sensibilità assai diversa all’interno di una stessa nazione: l’ “alto” e il “basso” Illuminismo in Francia, l’Illuminismo radicale capeggiato da Xxxxxxx e Xxxxx, che in Olanda ha preceduto quello più noto ma meno originale di Xxxxxxxxxxx e Voltaire59, e, in Italia, l’Illuminismo settentrionale collaborativo rispetto al potere del tempo, contrapposto a quello meridionale, riformatore fautore del repubblicanesimo civico.
57 Cfr. Xxxxxxxx Xxxxxx, The Interpretation of Culture, Basic, New York 1973, pp.3-30
58 Xxxxx Xxx, The Ellightment: An Interpretation, Xxxxxxxx anc Nicolson, London 1970, vol 2, p.30. Sulla definizione di illuminismo cfr. anche: Xxxxxx Xxxxxxx, Settecento riformatore, Einaudi, Torino 1969; Xxxxxxx Xxxxxxxx ( a cura di), Interpretazioni dell’Illuminismo, Il Mulino, Bologna 1979; Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx (a cura di), Che cos’è l’illuminismo: i testi e la genealogia del concetto, Mondadori, Milano 1997; Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx (a cura di), L’illuminismo.
Dizionario storico, Laterza, Roma-Bari 1997; Xxxxxxxx Xxxx, Che cos’è l’illuminismo? A cura di Xxxxxx Xxxxxx, Editori Riuniti, Roma 1997; Xxxxxxx Xxxxxx, L’Illuminismo, Il Mulino, Bologna, 1997
59 Cfr Xxxxxxxx Xxxxxx , Una rivoluzione della mente, L’illuminismo radicale e le origini intellettuali della democrazia moderna, tr, di Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx 0000.
Ma la consapevolezza della mancanza di una interpretazione univoca circa la natura e il programma dell’illuminismo non è una ragione valida per rinunciare a questo stesso termine, il quale rinvia ad una eredità sociale, filosofica e politica, a un concetto euristico che, per quanto inflazionato e ambiguo possa essere, rimane un riferimento indispensabile per gli studiosi. E l’analisi della controversia tra Xxxx e Xxxxxxxx ne è chiara testimonianza.
La ragione, come parola chiave della cultura illuminista, diventa quindi l’emblema delle diverse declinazioni che i due autori danno nel loro pensiero e marca la netta contrapposizione di concepire il secolo dei Lumi, in maniera irreversibile. Xxxx è assai scettico nei riguardi della ragionevolezza, intesa come fiducia nella ragione, in modo da compromettere la sua stessa appartenenza all’Illuminismo. Infatti secondo il filosofo scozzese, benché si ritenga che sia la ragione a regolare la nostra vita, egli ritiene che siano l’abitudine e la passione a dominarla totalmente. La ragione per Xxxx è: “e deve solo essere, schiava delle passioni non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse”60, che a ben pensare può sembrare paradossale detto da un autore che viene ascritto dentro il periodo dell’Illuminismo. Ma proprio questo l’aspetto che più ci fa cogliere il senso e il modo in cui il filosofo scozzese concepisse l’Illuminismo. Se questo infatti era inteso come esaltazione del potere della ragione di mettere in discussione se stessa, allora solo in questo senso si può dire che Xxxx sia stato illuminista.
Diversa, invece, la posizione di Xxxxxxxx. Per lui la ragione nemmeno meritava questa riduzione. Per lui era una sorta di malattia alla quale occorreva ricercare una cura. Andando contro il dogma della “sostanzialità della ragione”, Xxxxxxxx cercò di ridefinire la spontaneità del sentimento e dell’istinto come unica origine del processo conoscitivo dell’uomo. Se la conoscenza era una deduzione, in principio c’è sempre l’istinto che diventa la base stessa del ragionamento, potremmo dire una condizione necessaria. Alla quale segue la dimostrazione razionale. Pertanto, nel tentativo di ascrivere Xxxxxxxx all’interno dell’Illuminismo, bisogna concepire questo periodo come un movimento realizzato dall’uomo naturale, dal “contadino” unico vero illuminista modellato secondo la critica filosofica alla civiltà occidentale61.
E se Xxxx per le scienze e le arti dimostrava fiducia e dava un significato positivo del progresso dell’uomo, Xxxxxxxx metteva in discussione l’idea stessa di progresso, considerato come un diverso modo per indicare il decadimento morale del genere umano. Insomma entrambi furono critici della ragione nel secolo dei Lumi, abili costruttori di modelli logici alternativi a quelli basati sull’ipocrisia e l’inutilità della classe politica del loro tempo che elevava l’ingiustizia a valore nobile. Ma al di là di questa apparente sintonia il divario è visibile soprattutto in ambito politico.
60 Xxxxx Xxxx , Trattato sulla natura umana, cit.,p 436
61 Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, op. cit., p.293, nota 16
3.2 Contrattualista e il realista
L’obiettivo principale del Contratto Sociale (1762) era quello di tutelare le persone e le proprietà all’interno di una stessa comunità. Per dirla con le parole di Xxxxxxxx ˂trovare una forma di associazione che con tutta la forza comune difenda e protegga le persone e i beni di ogni associato, e mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, obbedisca tuttavia soltanto a se stesso, e resti non meno libero di prima ˃62
In questa dichiarazione è possibile rintracciare tutto il significato rousseauniano di libertà come autonomia: la libertà è vera, solo quando si obbedisce solo a se stessi. Questa concezione di libertà, che prende il nome di libertà positiva, definisce come unico limite o vincolo da rispettare le norme che ci siamo autoimposti. Diversa è l’accezione di libertà come non – impedimento, o libertà negativa, che è la facoltà di compiere certe azioni, senza impedimento dal potere esterno.
A questo punto è doveroso fare un piccolo accenno sulla disputa concettuale che in quegli anni si stava diffondendo tra le due concezioni di libertà sopracitate.
Con l’acuirsi della crisi costituzionale che scoppiò nel 1642 in Inghilterra, una nuova tesi irruppe sulla scena degli autori che in questi anni si domandavano quale fosse il ruolo dello Stato nel rapporto con i cittadini. Il vero soggetto e titolare della sovranità, veniva sostenuto, non è né la persona naturale del monarca né alcuna assemblea di persone naturali, ma piuttosto la persona artificiale dello Stato. Precedenti per questa tesi erano rintracciabili negli scritti degli studiosi di diritto romano63. E l’argomento avrebbe raggiunto presto un nuovo livello di argomentazione presso alcuni filosofi giusnaturalisti nell’Europa Continentale, come ad esempio Xxxxxx Xxxxxxxxx. Ma nell’ambito della teoria politica di lingua inglese non possiamo fare a meno di associare questa nuova tesi al nome di Xxxxxx Hobbes64. Xxxxxx cominciò a sviluppare la sua concezione della sovranità dello stato nel De Cive (1642), ma fu soltanto nel Leviatano (1651) che arrivò alla formulazione definitiva di essa. Lo Stato «è una persona unica, dei cui atti ogni membro di una grande moltitudine […] si è fatto autore» e che «chi regge la parte di questa persona viene chiamato sovrano». È qui che per la prima volta
62 Xxxx-Xxxxxxx Xxxxxxxx, I l contratto sociale (1762), tr. Di Xxxx Xxxxxxxxxx, Feltrinelli, Milano 2008, p.79
63 63 Lo stato è descritto come unione nella quale <<molti si stringono in un solo potere e in una sola volontà>> in X. Xxxxxx, An Ansewr to the first part Pat of a Certain Confederence, Concerning Succession London 1603, Sig.B, 3v. Sul pensiero politico dei civilisti inglesi del perido , cfr. B. P. Xxxxxx, The Civili Lawyers in England 1603-1641: a Political Study, Oxford 1973, pp 86-121. Sull’emergere, durante lo stesso periodo, dell’idea dello stato come di una entità astratta, distinguibile sia dai governanti sia dai governati ì, cfr.X. Xxxxxxx, The State, in Poliitcal Innovation and Conceptual Change, a cura di T. Xxxx, X. Xxxx e R.L. Xxxxxx, Cambridge 1989, pp. 90-131
64 Cfr. X.Xxxxxx, Natural Law and the Teeory of Scoiety 1500 to 1800 Boston (Mass) , 1960, pp. 60-61, 139; X.
Xxxxxxxx, Pluralism and the Personality of the State Cambridge 1997, in particolare pp 4-5
viene incontriamo l’affermazione che lo Stato è il nome di una persona artificiale o comunque rappresentato dalle persone che esercitano il potere sovrano, e che i loro atti sono giustificati dall’autorizzazione che i sudditi concedono a chi in quel momento è al potere.
Nello stesso tempo si afferma una relazione tra potere dello Stato e libertà dei sudditi diversa. Essere liberi è semplicemente non essere impediti nell’esercizio della propria capacità e nel perseguimento dei fini desiderati. A questa nuova, intesa come riqualificata, concezione della libertà che prenderà nel tempo il nome negativa, si oppone la libertà così come la intendeva Xxxxxxxx. La libertà negativa s’identifica con uno spazio non regolato di norme imperative (e quindi si oppone alla nozione di legge, intesa invece come limitazione dell’infinta gamma dei comportamenti individuali), invece la libertà come autonomia coincide proprio con la nozione di legge, intesa come norma autonoma proveniente cioè solo da noi stessi. Di conseguenza si avranno sull’agire politico due differenti fini con soluzioni completamente diverse: quando la libertà s’identifica con la legge significa che si è liberi solo quando si è sottoposti e niente deve essere sottratto alla competenza della legge stessa. Xxxxxxxx definì questo limite all’agire politico nel momento in cui ridusse la clausola del contratto sociale ad una sola «l’alienazione totale di ogni associato, con tutti i suoi diritti, in favore della comunità»65.
A questa tesi vennero mosse diverse critiche che possono essere riassunte sotto forma di domanda: una libertà del genere non implica una forma di liberticidio? Il filosofo ginevrino rispondeva a queste critiche che una libertà del genere genera una uguale condizione per tutti e che dunque nessuno può avere l’interesse di renderla onerosa per gli altri. In seconda battuta, sulla scia della prima argomentazione, chi si dà a tutti non si dà a nessuno, anzi, guadagna l’equivalente di ciò che perde (cioè i diritti naturali degli altri) nonché una maggiore forza per conservare ciò che ha. Ora, è chiaro che questa argomentazione, sotto il profilo pratico, è stata fortemente criticata e ancora oggi risulta essere il punto debole dell’intera impalcatura teorica, e di applicazione pratica, al modello del filosofo ginevrino. Il primo ad attaccar duramente il concetto di libertà di Xxxxxxxx fu Xxxxxxxx nel suo Discorso. Secondo Xxxxxxxxx la tesi di Xxxxxxxx secondo cui appartenendo a tutti, il potere non potrà abusare contro alcuno, cade nel momento della sua traduzione in pratica, perché il potere è sempre in mano a pochi. Di conseguenza anche nelle democrazie c’è sempre la necessità che resti in piedi una qualche forma di garanzia che tuteli i cittadini dagli abusi di potere. Infatti se ciò non si dovesse verificare, si andrebbe incontro a due rischi molto seri: gli individui sarebbero sottomessi alla volontà generale. E in secondo luogo, ben più grave, la volontà generale coinciderebbe con i pochi che governano. La conclusione sarebbe un dispotismo democratico legittimato dalle forza popolare, molto più pericoloso del dispotismo autocratico. Dunque il potere esercitato in nome di tutti sarà in
65 Ibidem
realtà nelle mani di pochi. Non è vero, dice Xxxxxxxx, che la condizione rimane uguale per tutti; così come non è vero che nessuno avrà interesse a renderla più onerosa per gli altri, dal momento che esisteranno cittadini i quali, di fatto, avranno più potere degli altri. Ciò che però è bene sottolineare, ed è il motivo per cui la libertà positiva ha avuto seguito, è che da un punto di vista teorico Xxxxxxxx vuole sottrarre al patto sociale ciò che non è essenziale, «ciascuno di noi mette in comune la propria persona e ogni proprio potere sotto la suprema direzione della volontà generale; e noi, in quanto corpo politico, riceviamo ciascun membro come parte indivisibile del tutto».66
Questo estratto ci consente di capire a fondo l’intento verso cui voleva tendere Xxxxxxxx. Quando l’individuo decide si assoggettarsi alla volontà generale, questa non è la somma dei diversi individui, bensì diventa un corpo unico che si muove verso la stessa direzione. Allineando i propri diritti, l’insieme degli individui, forma così un “corpo” morale prima ancora che politico e in quanto assoggettati a tale potere gli uomini diventato sudditi dello Stato, ma come membri del corpo sovrano partecipi di tale potere, saranno cittadini. L’idea della «piena realizzazione umana» e la visione della libertà sociale che l’accompagna, si forma a un livello filosofico molto più profondo di quello in cui si colloca il mero dibattito ideologico. Tale idea nasce come tentativo di dare risposta ad una delle questioni centrali della filosofia morale: se sia razionale essere soggetti morali. E il motivo consiste nel fatto che abbiamo una ragione per essere creature morali: il fondamento di questa affermazione, a sua volta, è che siamo agenti morali destinati dalla nostra stessa natura di perseguire certi fini normativi. Possiamo argomentare che questa teoria della natura è falsa. Ma non possiamo sostenere di sapere a priori che essa non può mai, in linea di principio, venire proposta in maniera sincera. Se si considera quindi la relazione fra libertà e impegno civico ciò vuol dire che la natura umana abbia un’essenza e che questa sia di tipo sociale e politico. È necessario dunque istituire un’associazione politica se vogliamo realizzare la nostra natura e quindi conseguire la nostra libertà più piena. Perché la forma di associazione politica che dovremo conservare e difendere sarà, naturalmente, proprio quella forma in cui la nostra libertà di essere veramente noi stessi potrà trovare la più completa realizzazione. Questo significa che all’interno di uno Stato i cittadini diventano governanti e governati e la sovranità appartiene indistintamente a tutti: lo Stato è in tutti e tutti sono lo Stato. Non essendo formato che dai singoli, il corpo sovrano «non ha e non può avere interessi contrari ai loro; di conseguenza il potere sovrano non ha alcun bisogno di dare garanzie ai sudditi, perché è impossibile che il corpo voglia nuocere a tutti i suoi membri […]. Il corpo sovrano, per il solo fatto di essere, è sempre tutto ciò che deve essere»67.
66 Ivi p 80
67 Ivi p 84
Da questa impalcatura deriva l’antigarantismo di Xxxxxxxx: se il corpo sovrano non ha bisogno di concedere garanzie ai singoli, essendo impossibile che un corpo voglia nuocere alle propria membra, lo stesso non vale per i cittadini, i quali, in quanto tali, sono portatori di interessi particolari che possono entrare in conflitto con quello generale. Saranno i cittadini quindi che dovranno, proprio in virtù di questa limitatezza, dare garanzie che il copro sovrano non ha bisogno, per la natura di cui e con cui si è costituito, di dare al fine di scongiurare la dissoluzione stessa dello Stato. «Affinchè il patto sociale non sia dunque una formula vana, esso implica tacitamente questo impegno, che solo può dare forza agli altri: che chiunque rifiuterà di obbedire alla volontà generale vi sarà costretto da tutto il corpo; ciò non significa altro se non che lo si obbligherà ad essere libero»68.
Grazie agli effetti del contratto sociale l’uomo entra nella Repubblica. Xx è in questo passaggio che Xxxxxxxx sottolinea una vera e propria trasformazione qualitativa della natura dell’uomo: l’uomo “civilizzato” prende il posto di colui, che prima, era guidato esclusivamente dalla propria istintività, il diritto sostituisce l’avidità e il dovere è subentrato all’impulso fisico. Se per tutti gli altri giusnaturalisti moderni lo Stato ha la funzione di proteggere l’individuo, per lui «il corpo politico che nasce dal contratto sociale ha il compito di trasformarlo. Il cittadino di Xxxxx è puramente e semplicemente l’uomo naturale protetto, il cittadino di Xxxxxxx è un altro uomo»69
La volontà generale, espressione vera del corpo politico rousseuniano, è assoluta perché nessuno piò limitarla e il fatto di essere svincolata da tutto non è affatto una limitazione per i singoli, essendo il prodotto di quel corpo le cui membra sono i singoli stessi. La volontà generale è sempre “retta”, tende all’utilità non si corrompe e non sbaglia mai. La volontà generale non è dunque un concetto quantitativo bensì qualitativo. Poiché mossa dall’utilità comune è la volontà della comunità concepito come un corpo coeso, unico, e grande. Concepita essenzialmente come un unico individuo composto. Per sua natura alle «condizioni che possono permettere la realizzazione della giustizia nel contesto specifico di una determinata società politica»70.
Il contratto sociale rappresenta per Xxxx un artificio intellettuale utile soltanto ad avvalorare la ipotesi astratte e insensate dei “filosofi del principio” e dei “ragionatori politici” come Xxxxxxxx. Non esisteva alcuna distinzione tra “stato di natura” e “stato civile”, anzi, Xxxx le definiva «mere finzioni filosofiche»: l’uomo per sua natura è istintivamente portato alla benevolenza nei confronti dei suoi simili dall’ «utilità sociale», «fonte di sentimento morale»; era l’uomo sempre più bisognoso di organizzazione e sviluppo. Il governo nasce semplicemente dalla crescente domanda individuale e
68 Ivi p 85
69 Xxxxxxxx Xxxxxx, Il modello giusnaturalista, in Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx, Società e Stato nella Filosofia politica moderna. Modello giusnaturalistico e modello hegelo-marxiano, Il Saggiatore , Milano 1979 p 68
70 Xxxxxxx Xxxxx, L’enigma del male. Un’interpretazione di Xxxxxxxx Edizioni Studium, Roma 1996, p. 207
collettiva di utilità sociale. Non ha alcuna funzione originaria e creativa nei riguardi della società perché è una struttura politica in grado di sopperire alla debolezza costitutiva della condizione umana e di consentire agli uomini di rapportarsi al meglio con la complessità sociale.
Il vero stato di natura, non è una condizione ipotetica e astratta imposta dagli uomini per soddisfare una deduzione logica, ma la società stessa composta dalle varie istituzioni che per soddisfare i bisogni e gli impulsi egoistici degli individui si sono sempre meglio evolute, arrivando alla condizione attuale. Questa evoluzione la si deve a quelle che Xxxx definiva “virtù artificiali” (lealtà, giustizia, tolleranza) funzionali ai moderni per poter riequilibrare la parzialità tipica del singolo individuo per poter garantire un benessere diffuso e più duraturo. In questa prospettiva la storia della politica, ben lungi dall’essere una storia di Stati nati da astratti contratti tra uomini liberi e uguali, si configurava come una cronaca di violenza, usurpazioni e macchinose forme di regolamentazione di norme amministrative sempre più efficaci nell’esclusivo interesse del cittadino. Lo Stato dunque non nasce più dalla testa di qualche filosofo, ma diventa il prodotto di una evoluzione di artifici escogitati dall’uomo nel corso del tempo per realizzare interessi reali e particolari: è il caso della stabilità del possesso, generata dalle convenzioni umani era sorta gradualmente e attraverso «una reiterata esperienza degli inconvenienti che sorgono per trasgredirla»71.
È questo un punto molto importante, non solo per capire origine ed evoluzione della società in Xxxx, anche perché il concetto di proprietà per il filosofo scozzese e altri autori della corrente empirista, rappresenta un vero e proprio spartiacque rispetto a qualsiasi teoria politica moderna. Secondo Xxxx a spingere gli uomini all’accaparramento continuo di beni era l’interesse di mantenere la proprietà, come artificio umano posto a garanzia della stabilità del possesso e del controllo della bramosia passionale. La proprietà, cui Xxxx dà un valore e una priorità assoluta, non è una condizione presociale o un principio etico, ma un prodotto della società per soddisfare i bisogni, una soluzione pragmatica alla scarsità dei beni. La proprietà viene dunque svuotata da qualsiasi significato metafisico, e diventa la fine di un processo psicologico che parte dalla necessità da parte degli uomini di negoziare per poter soddisfare il maggior numero di bisogni. Negoziare non ha nulla a che vedere con etica o razionalità, ma con giustizia e altre virtù artificiali che dovevano assolvere un unico scopo: mantenere la parola data. Riportiamo un passo direttamente da Il contratto originario (1742) in cui Xxxx spiega questo concetto «E’ così che la giustizia, cioè il rispetto della proprietà altrui, e la fedeltà, cioè l’osservanza delle promesse, diventano obbligatorie, e acquisiscono il potere dagli uomini». La proprietà quindi non può essere disgiunta dalla giustizia e infatti «è l’origine della giustizia che spiega quella della proprietà, è lo stesso artificio che dà vita a entrambe».
71 Xxxxx Xxxx, Trattato sulla natura umana cit., p. 518
Con questa argomentazione, Xxxx sferrò un attacco dal significato storico e filosofico alle dottrine del contratto. La filosofia del contratto di Xxxx non è più univoca, ma prevede una doppia direzione affinché l’accordo tra governanti (monarca e sudditi) sia rispettato: il sovrano deve governare equamente per essere rispettato, e i soggetti devono ubbidire in cambio di regole eque. Xxxx respinge categoricamente la tesi Xxxxxxxx di fondare ogni regime legittimo sul consenso del popolo, richiamando alla concreta evoluzione dei fatti. Se i contrattualisti, spiega Xxxx, invece di ricercare strampalate elaborazioni di principio, si fossero attenuti a fatti empirici e testimonianze storiche, non avrebbero trovato ragioni valide a sostegno delle loro tesi: ovunque vi sono stati governanti che hanno preteso obbedienza dai loro assoggettati attraverso conquiste o successioni di potere. I governanti non usurpano un contratto precedente, ma il potere quindi questo è stato acquisito con il ricorso alla violenza. Non è un caso che i sudditi hanno sempre riconosciuto il principe essendosi scoperti obbligati all’obbedienza, così come sono nati per portare rispetto ai propri genitori. In altri termini secondo Xxxx l’uomo comune non è mai stato interessato all’indagine della legge originale a cui si è sottomessi. Solo Xxxxxxxx poteva arrivare a questa conclusione. Su questo il filosofo scozzese non nutriva alcun dubbio e lo testimoniò con queste parole «Se andate predicando, in giro per il mondo, che i rapporti politici sono totalmente fondati sul consenso volontario o sulla promessa reciproca, presto il magistrato vi farebbe arrestare per sedizione, per avere allentato i vincoli dell’obbedienza, sempre che non saranno i vostri amici non farvi arrestare come folli per aver sostenuto tali assurdità. […] E’ strano che questo atto sia talmente sconosciuto a tutti da non esserne quasi rimasta traccia o memoria su tutta la faccia della terra»72.
Chi come Xxxxxxxx asseriva che l’uomo avesse dato il proprio consenso all’autorità avrebbe anche dovuto ammettere che tale assenso derivava da una scelta. Anche se di scelta non si può parlare perché gli uomini nascono in società in cui vivono e spesso non dispongono di mezzi per potersi per muovere o stabilire altrove. In altri termini, il consenso per Xxxx non faceva parte della storia. Questa, insieme all’esperienza e alla ragione, ha avuto un’origine tutt’altro che regolare. Alla base dell’ordine politico esistente non v’è altro che forza e violenza. «La faccia della terra muta in continuazione grazie alla trasformazione dei piccoli regni in grandi imperi, alla frantumazione dei grandi imperi in piccoli regni, alla fondazione delle colonie e alla migrazione dei popoli. Cos’altro si può trovare in questi eventi se non la forza e la violenza? Dov’è il reciproco accordo? Dov’è l’associazione volontaria di cui tanto si parla?»73.
72 Ivi p 249
73 Ivi, p250. Sull’anticcontrattuialismo di Xxxx cfr.: Xxxxxx Xxxxxx Xxxxx, Xxxx et la critique du contrat social: esquisse d’une theorie de l’insistution in <<Revue de Metaphisique et de Morale>>, 3, 1988, pp337-363: Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxx ‘s Critique of the Contract Theory in << History of Political Thought>>, 3, 1991, pp 457- 480
Xxxx negava così l’esistenza di qualsiasi ipotesi di contratto all’origine del governo. Questo si è originato in maniera «abbastanza casuale e imperfetta» come scrive ne L’origine della società politica, scritto contro le teorie contrattualistiche che venivano usate in quegli anni in modo strumentale per legittimare la seconda rivoluzione inglese. Xxxx, nel testo, stabilisce che il governo si forma originariamente in modo casuale e con una forma imperfetta. Ma prima di questa condizione, spiega Xxxx, non esiste un’ipotetica condizione naturale in cui gli uomini decidono di uscire tramite la stipulazione di un contratto. Xxxxx c’è uno «stato di guerra» e solo grazie al coraggio e al genio, due virtù superiori a detta di Xxxx, è possibile uscire da questa situazione. Scrive Xxxx: «La prolungata continuazione dello stato di guerra - incidente abbastanza comune tra le tribù selvagge – deve aver convinto il popolo a sottomettersi; e se il capo possedeva equità, prudenza e valore, anche in tempo di pace deve essere l’arbitro di tutte le controversie, stabilendo gradualmente le sue abilità grazie a un misto di forza e consenso. Il beneficio sensibilmente avvertito della sua influenza deve averlo reso caro al popolo, almeno a quella parte del popolo pacifica e ben disposta; e se suo figlio possedeva le sue stesse buone qualità, il governo deve essere avanzato in maniera più rapida a maturità e perfezione. Ma è stato debole fino a quando il progresso civile superiore non ha procurato un reddito al governatore e non gli ha permesso di premiare i vari apparati della sua amministrazione e di punire i renitenti e disobbedienti. Prima di allora l’esercizio della sua influenza deve essere stato speciale e fondato sugli elementi particolari del caso. In seguito la sottomissione non fu più una questione di scelta per la maggior parte della comunità, ma fu rigorosamente pretesa dall’autorità del magistrato supremo»74.
Nel passaggio appena citato Xxxx compie lo strappo definitivo dalla teoria contrattualista: non esiste alcun legame tra origine del governo e sua legittimità. A suo avviso non solo Xxxxxxxx, ma anche Xxxxx e Xxxxxx, avevano commesso l’errore di aggirare un fatto evidente e inoppugnabile: tutti i governi fino ad allora esistiti si sono fondati su usurpazione e forza e non per un presunto consenso volontario. Il fatto di presumere la violenza come condizione precedente alla formazione di un governo, non significa che Xxxx la giustifichi, o peggio, la possa elogiare. La sua tesi si basa su evidenze concrete che qualsiasi Stato abbia avuto bisogno di procedure illegittime per poter arrivare ad un obbedienza legittima da parte dei sudditi e che l’unico aspetto a dare “solidità” ad uno Stato, non è la più alta platea di individui disposti a cedere parte dei loro diritti su base razionale, ma è solo una questione di tempo. Era quest’ultimo a «abituare a considerare come legittima e nazionale quella dinastia che in precedenza vedeva come una famiglia di usurpatori e conquistatori stranieri»75. Tempo
74 Ivi p 243
75 Xxxxx Xxxx, Trattato sulla natura umana cit., p 599
e abitudine sono i due agenti sociali in grado di dare autorità a quel potere che prima era fondato solo su ingiustizia e violenza che col tempo diventa obbligatorio.
Tempo come guida dell’uomo e in grado di avere un forte impatto nella vita delle persone, conducendole a allinearsi a qualsiasi autorità giusta e ragionevole. L’innovazione violenta, di contro, è l’unico agente in grado di distruggere l’armonia che si è generata gradualmente tra le istituzioni. Il cambiamento radicale prodotto dall’innovazione è l’unico in grado di rompere l’adattamento delle istituzioni all’utilità sociale. Da qui la reverenza la continuità, da parte di Xxxx, per cui ogni individuo nasce in istituzioni che incarnano valori e norme di comportamento rappresentati il suo tempo e il suo luogo e rispetto al quale non può far finte di essere estraneo. «Ogni ora c’è un uomo che se ne va dal mondo e entra un altro a farne parte, per mantenere la stabilità del governo è necessario che la nuova generazione si conformi alle istituzioni vigenti senza scostarsi troppo dal sentiero che i suoi padri, sulle orme dei propri, hanno tracciato». Questo passaggio dimostra come Xxxx sia il vero antesignano del conservatorismo politico. Chiunque governi una nazione, prosegue Xxxx, dovrebbe «aver ben fermo in mente che egli altro non è che un temporaneo possessore del potere, un affittuario, dire:che quel potere gli deriva dai suoi antenati , insieme alle leggi che regolano la vita dello Stato, e che dovrà essere trasmesso ad una posteriorità; che si tratta di una preziosa eredità da mantenere intatta, non da distruggere a piacimento»76.
3.3 Una diversa idea di nazione
La riflessione condotta fino a questo momento conduce inevitabilmente ad una diversa concezione che Xxxx e Xxxxxxxx avevano della nazione in relazione al progetto di universalizzazione dell’etica e della politica.
Il mito del “buon selvaggio” trovò in Xxxxxxxx un grande estimatore. Il ginevrino arrivò a teorizzare la superiore bontà del selvaggio. Nella sua prefazione al Xxxxxxx e l’amante di se stesso (1753) mise a confronto l’uomo ben governato con il buon selvaggio, che non era l’individuo solitario e autosufficiente di un ipotetico stato di natura, ma un essere già sociale vivente in una società diversa in cui i bisogni personali coincidevano con l’interesse comune, in assenza di interessi antagonistici. A uscire sminuito da questa premessa è il ben governato con i suoi governi, tradizioni il suo “tutto” come testimonia questo passaggio: <<Un selvaggio è un uomo e un europeo è un uomo. Il semi- filosofo conclude subito che l’uomo non vale più dell’altro: ma il filosofo dice: in Europa, il governo, le leggi, i costumi, l’interesse, tutto mette gli individui nella società di ingannarsi reciprocamente e continuamente; tutto contribuisce in loro a fare del vizio un dovere; occorre che essi siano malvagi
76 Xxxxx Xxxx, Il contratto originario cit p253 - 254
per essere saggi, xxxxxxx non potrebbe esserci una follia peggiore che quella di fare la felicità dei furfanti a spesa della propria. Tra i selvaggi l’interesse personale parla così forte come da noi, ma non dice le stesse cose; l’amore della società e la cura della comune difesa sono i soli interessi che li uniscono […]. Lo dico a malincuore; l’uomo dabbene è colui che non ha bisogno d’ingannare nessuno e il selvaggio è appunto quest’uomo>>77.
Nonostante l’enfasi sul selvaggio non europeo, in Xxxxxxxx non era assente una qualche idea di nazione. Nel Contratto sociale la nazione coincideva con un corpo politico, un insieme di cittadini perfettamente uguale con gli stessi diritti e doveri, legame originario per un governo di tipo collettivistico. La nazione rousseaniana in altri termini coincideva con la comunità politica in quanto rappresentante del corpo comune di tutti i cittadini, l’espressione della volontà generale è l’immagine verso cui identificarsi reciprocamente per sentirsi parte di una totalità indivisibile. Per questo sono in molti a considerare il ginevrino come uno dei padri del nazionalismo moderno.78 La sovranità nazionale come premessa per lo sviluppo della libertà, la quale può scaturire soltanto dalla volontà generale, cioè dalla dimensione politica. La nazione si identifica di fatto con il popolo. Viene così ridefinito lo Stato dinastico in senso democratico.
Le premesse per una nuova definizione del concetto di nazione da parte Xxxx, vanno rintracciate nella volontà del filosofo scozzese di ridefinire i caratteri nazionali comuni tra le persone e quindi dare un nuovo significato al concetto di popolo, sostituendolo di fatto a quello giuridico-politico astratto dei giusnaturalisti. In I caratteri nazionali (1748) Xxxx voleva anzitutto rompere con la tradizionale classificazione iniziata da Xxxxxxxxxxx, basata principalmente su fattori come: il clima, le leggi, i costumi e la religione. Il punto di partenza inaugurato da Xxxx era la “causazione morale” nella formazione della nazione. Scriveva Xxxx<< che il carattere morale di una nazione dipenda molto da cause morali è cosa evidente anche all’osservatore più superficiale, dal momento che una nazione non è altro che una convivenza di individui, i cui stili di vita sono spesso determinati da questo tipo di fattori. Come la povertà e il duro lavoro avviliscono le menti del volgo, rendendole inadatte a ogni scienza o professione intellettuale, così quando un governo diventa molto oppressivo nei confronti di tutti i suoi sudditi non può provocare un effetto proporzionale sul loro carattere e sul loro genio, anzi dovrà proibirgli l’accesso a tutte le arti liberali>>79.
77 Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx ou l’amant de lui meme (1752), in Ouvres Completes a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxx 0000 vol 2, pp 969-970
78 Per alcuni è stato il “repubblicano” Xxxxxxxx ad avviare la tradizione del patriottismo repubblicano fondato sulla “nazionalizzazione” dell’amore “politico” per la patria (cfr Xxxxxxxx Xxxxxx, Per amore della patria: patriottismo e nazionalismo nella storia Laterza, Roma Bari 2001 pp 80 - 86)
79 Xxxxx Xxxx I caratteri nazionali (1748) in Libertà e moderazione cit p 106
Ciascun individuo in quanto membro di una nazione ha un tipo di carattere dovuto, non a questioni connesse all’ambiente, bensì alle interazioni con gli altri membri della stessa nazione. I caratteri nazionali si sviluppano attraverso la comunicazione, la lingua i confini geografici e scaturiscono da cause di tipo morale che per Xxxx sono le forme di governo e le leggi perché incidono sulle occasioni d’incontro fra gli uomini.
Per questa particolare rilevanza attribuita da Xxxx per le relazioni nella formazione di un determinato profilo nazionale, spicca tra tutte le forme di collanti sociali: la sympathy. Xxx Xxxx questo concetto morale, del tutto nuovo rispetto al contesto giuridico politico di allora, non sta a significare altruismo benevolenza o amicizia, bensì la comunicazione affettiva. Scrisse sempre ne I caratteri nazionali << Se facciamo un giro per il mondo o ripercorriamo tutti gli annali della Storia, scopriamo ovunque segni di contagio o simpatia di costumi, ma nessuna traccia dell’influenza dell’aria o del clima>>80. Già nel Trattato la symphaty aveva trovato spazio come origine di aggregazioni parziali come la famiglia, la tribù, in base alle affinità fisiche tra gli uomini, sempre dal tentativo della natura umana di uniformarsi o emulare gli altri individui simili a noi. Ad essa vanno attribuiti modi e comunicazione reciproca dei vizi e delle virtù, ma anche al contagio delle passioni e dei costumi. Scrive Xxxx nel Trattato << imputare la grande uniformità che possiamo osservare nelle inclinazioni e nel modo di pensare di coloro che appartengono ad una stessa nazione; ed è molto più probabile che questa rassomiglianza sorga dalla simpatia, più che da una qualsiasi influenza dal suolo e del clima che, pur restando invariabilmente identici, non possono certo far restare identico il carattere di una nazione per cent’anni>>81. La nazione era in grado di sviluppare passioni sia positive come l’orgoglio, le tradizioni, l’affratellamento, la cultura e lo sviluppo delle scienze. Tutti elementi che agiscono come forza motivazionale. Ma anche passioni negative come umiliazioni dopo una sconfitta bellica. Ma alla simpatia Xxxx dava anche una funzione di prevenzione. Infatti grazie ad essa era possibile disinnescare tutte quelle passioni che sono insite in una società come: odio, invidia e vanità.
La simpatia dunque è in grado di assicurare l’omogeneità all’interno degli stessi confini politicamente e giuridicamente definiti in una nazione, ma è anche una forza naturale in grado di stimolare l’immaginazione e come tale facilitare il processo di formazione delle credenze degli uomini, che può assumere connotati tanto positivi cioè costruttivi per legare la società, quanto negativi, come nel caso del contagio passionale. I caratteri nazionali per Xxxx erano fatti storici, psicologici e culturali che determinavano la formazione di governi diversi nelle diverse nazioni a cui si riferivano. Sebbene Xxxx identificava i caratteri nazionali erano fatti storici e che quindi ciascun popolo aveva bisogno
80 Ibidem
81 Xxxxx Xxxx Trattato sulla natura cit p 332. Cito per intero il passo come riportato in questa edizione italiana del
Trattato.
di un governo diverso, Xxxx non ipotizzò mai l’isolamento del singolo Stato. La prospettiva di Xxxx, a differenza di quella rousseuaniana, era prettamente internazionalista. Nei sui scritti economici, Xxxx, apprezzava e auspicava i contatti internazionali tra gli individui e i popoli perché davano la possibilità e ampliare le opinioni differenti.
La ricchezza delle nazioni, non solo dipendeva dalla posizione geografica della nazioni, intesa come la possibilità di accesso ai mari o la conformazione del suolo che assicurava scambi commerciali più o meno vantaggiosi, ma anche dalla produttività. Le idee di produttività provenivano a loro volta dallo scambio delle idee e dunque dalla possibilità che avevano i diversi popoli di poter interagire tra loro. In una parola la possibilità di accedere al libero mercato. Maggiore libertà nel poter scambiare e commerciale prodotti con altri popoli, migliore era possibilità di generare idee e quindi ricchezza. Da qui la battaglia di Xxxx in favore d i un libero mercato e dell’espansione del commercio. Nel saggio Credito pubblico scrisse che <<innumerevoli>> e <<imprevedibili>> sono gli
<<inconvenienti>> di una <<situazione mostruosa come quella in cui lo Stato il principale o l’esclusivo proprietario della terra, che grava di tutte le possibili forme di dazio o dogana che la fervida immaginazione di ministri ed estensori di programmi possa escogitare>>82.
Di natura opposta è invece il pensiero a riguardo di Xxxxxxxx: protezionista convinto. Il filosofo ginevrino avviò la sua discussione sui temi economici a partire dalla impresa collettiva, equiparando la società allo Stato e di fatto sostenendo l’idea di volontà generale come idea di umanità spogliata di tutti i corpi intermedi (chiesa, imprese, associazioni di mutuo soccorso). Xxxx demolì le tesi che avevano frapponevano qualsiasi forma di ostacolo al commercio e all’iniziativa privata. La libertà economica secondo aveva un importante funzione per la ricchezza di una nazione. Qualsiasi forma di imposizione fiscale o proibizionismo danneggia il commercio: abbassando i profitti, tengono bassi i salari creano condizioni di monopolio che prima di danneggiare l’economia della nazione, hanno effetti sulla tenuta di un popolo.
In sostanza la nazione di Xxxxxxxx era esattamente ciò che Xxxx deplorava: il corpo di individui che non possedevano alcun diritto se no quello di essere cittadini di uno Stato. Il famoso “io comune” in vista del quale era possibile ristabilire l’ordine naturale. L’uguaglianza che per Xxxxxxxx era una forma di libertà anzi la libertà è uguaglianza poteva realizzarsi soltanto assegnando al sovrano un autorità assoluta. E la volontà generale era questo sovrano incorruttibile, il guardiano dell’interesse comune che univa tutti i cittadini. Dall’altra parte la nazione di Xxxx, che nutriva diffidenza verso l’uguaglianza perfetta della proprietà, era a fondamento di una visione dello Stato che non annullava ma esaltava la libertà individuale, intesa come autonomia individuale.
82 Xxxxx Xxxx Il credito pubblico (1752) in Libertà e moderazione cit p 224
Conclusioni
In termini filosofici, politici e culturali, si è visto, la distanza tra Xxxx e Xxxxxxxx non potrebbe essere più netta. Le divergenze su questioni teoriche di particolare rilievo, quali lo stato di natura, il contratto sociale o la proprietà privata, e su temi specifici connessi a quelle questioni, dalla funzione del denaro e dei commerci fino al ruolo più o meno negativo delle arti e del progresso scientifico, evidenziano una contrapposizione per certi versi irriducibile tra i due. A questo proposito, come sottolineato anche da Xxxxxxxxx, sembra possibile sostenere che tale contrasto, in ultima istanza, sia dovuto a due concezioni radicalmente diverse di libertà (e di volontà) individuale, e cioè al fatto che Xxxx «intendeva estendere il più possibile il territorio della libertà individuale», mentre Xxxxxxxx, al contrario, «intendeva esattamente cancellare quel territorio»83. Particolarmente significativa, in questo senso, appare l’adozione di Sparta come modello sociale da parte di Xxxxxxxx, che nel Discorso sulla scienza e sulle arti ne parla come di una «Repubblica di semidei più che di uomini»84. Di qui non può che derivare, tra le altre cose e come necessario contrappunto, una visione negativa del modello di Atene, definita «un’aristocrazia assai tirannica, retta da sapienti e da oratori»85. Prediligendo il modello fornito dalla società spartana – sulla cui bontà Xxxxxxxx è tornato in altre opere, dal Contratto sociale fino al Progetto di Costituzione per la Corsica –, il filosofo ginevrino si scaglia inoltre contro le scienze, le arti e il lusso, considerate un prodotto dell’«ozio» e della «vanità umana». In merito a queste posizioni, Xxxxx Xxxxxxxx ha notato che «al culmine dell’età illuministica, Xxxxxxxx leva la sua ardente requisitoria contro le arti e le scienze [… sicché] tutti i valori della cultura» vengono trasformati in «fantasmi da abbandonare»86.
Il punto centrale della questione, in realtà, da cui discendono le differenze sostanziali tra le prospettive filosofiche dei due autori, risiede nella diversa visione dell’uomo e della società umana. Xxxx, infatti,
«non credeva nella possibilità di poter avere esseri perfetti; riteneva che, per rendere possibile la cooperazione sociale, fosse necessario impedire all’uomo, quando è al peggio della propria condizione, di procurare danno al prossimo», secondo una posizione che si trova alla base della teoria liberale della società. Xxxxxxxx, al contrario, si poneva «l’insolubile problema»87 di estirpare il male dalla vita degli uomini. A questo proposito, ha notato ancora Xxxxxxxx, lì dove gli altri Enciclopedisti vedevano «semplici difetti della società, semplici errori della sua “organizzazione”, che si sarebbero
83 X. Xxxxxxxxx, Prefazione, in X. Xxxx, A proposito di Xxxxxxxx, cit., p. 28.
84 J. X Xxxxxxxx, Discorso sulla scienza e sulle arti, cit., p. 219.
85 J. J. Xxxxxxxx, Discorso sull’economia politica, cit., p. 379. Sul dibattito tra i sostenitori del modello ateniese e i sostenitori del modello spartano, si veda X. Xxxxxx, La libertà degli antichi e la libertà dei moderni, Guida, Napoli 1979. 86 E. Xxxxxxxx, Sulla logica delle scienze della cultura, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 97.
87 X. Xxxxxxxxx, Prefazione, cit. pp. 33-34.
dovuti correggere man mano», Xxxxxxxx rintracciava piuttosto «la colpa della società»88. In questa concezione, agiva il profondo legame del filosofo ginevrino con la dimensione religiosa e l’influenza del problema della teodicea. Xxxxxxxx sembra infatti aver sottratto a Dio il «il fardello della responsabilità» per scaricarlo sulla società umana, riprendendo così «l’antica lotta per la giustificazione di Dio» - che riguarda appunto il problema del Male e della teodicea – per trasportarla
«al centro dell’etica e della politica»89. La società, per come è nata e si è sviluppata a partire dallo stato di natura e dal un contratto sociale, per Xxxxxxxx va così cancellata e riedificata sulla base di un nuovo patto sociale. In questo senso, l’obiettivo di Xxxxxxxx è quello di munire la “volontà generale”
– che è concetto chiave nel pensiero politico del filosofo ginevrino, e che coincide con la nozione di “potere pubblico” – di «una forza reale superiore all’azione di ogni volontà particolare», poiché «se le leggi delle nazioni potessero avere, come quelle della natura, un’inflessibilità che mani nessuna forza umana potesse vincere, la dipendenza dagli uomini ridiventerebbe allora quelle dalle cose»90. Xxxxxxxx, insomma, ha teorizzato una soluzione politica capace di annullare la volontà del singolo attraverso l’individuazione di “un punto di vista privilegiato sul mondo” (di cui si parla, ad esempio, nel Contratto sociale). Per suffragare questa tesi, e in parte per eliminarne limiti ed errori, è giunto addirittura ad affermare che «ci vorrebbe un’intelligenza superiore che vedesse tutte le passioni degli uomini e non ne provasse alcuna; che non avesse alcun rapporto con la nostra natura, e pur la conoscesse a fondo, la cui felicità fosse indipendente da noi, e che tuttavia volesse davvero occuparsi della nostra; e che infine, preparandosi una gloria futura con il passare del tempo, potesse lavorare in un secolo e godere in un altro». A questa invocazione, segue infine la conclusione, in cui Xxxxxxxx sembra appellarsi a un tipo di onniscienza divina vietata agli uomini: «Ci vorrebbero degli Dei per dare leggi agli uomini»91.
Da questo punto di vista, la distanza con Xxxx appare davvero incolmabile. Insieme agli altri principali protagonisti dell’Illuminismo scozzese, Xxxx ha infatti contribuito in modo determinante a scardinare il cosiddetto mito del Grande Legislatore (nonché della verità manifesta). Quest’opera di demolizione, come ha notato Xxxxxxxxx, si è svolta lungo tre versanti: il primo ha riguardato la pretesa di poter disporre di una scienza del Bene e del Male, e ha visto proprio Xxxx protagonista; il secondo e il terzo (con Xxxxx e Xxxxxxxxxx) si sono concentrati sulla dispersione della conoscenza – secondo cui non c’è alcun uomo che possa essere onnisciente e nessuna verità che possa essere manifesta a tutti in virtù di una dispersione delle conoscenze nella società – e sull’attacco all’aristocraticismo morale dell’uomo virtuoso. Per concludere il nostro discorso, basterà soffermarsi
00 X. Xxxxxxxx, Xx problema Xxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, La Nuova Xxxxxx, Xxxxxxx, x. 00.
89 Ivi, p. 60.
00 X. X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, cit., p. 96
91 J. J. Xxxxxxxx, Il contratto sociale, cit., p. 752.
sulla prima delle tre linee, e sulla cosiddetta legge di Xxxx (su cui tra l’altro concordano anche Xxxxx e Xxxxxxxxxx). Stando a tale legge, che separa nettamente fatti e valori, non può esserci nessuna scienza del Bene e del Male, né alcuna verità incarnata da un qualche tipo di Legislatore in grado di imporne la validità a tutti. Da qui discende, ricorda Xxxxxxxxx, «che nessuna credenza, religiosa o filosofica, può essere imposta in forza di una conoscenza “superiore” o di per sé evidente. Il che costituisce un’invalicabile barriera difensiva per la libertà di coscienza»92. Che è, appunto, una tesi che contrasta radicalmente con la proposta filosofica di Xxxxxxxx, e con la sua visione di una volontà generale imposta dall’alto.
92 X. Xxxxxxxxx, Potere, cit., p. 177.
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