a cura di Valerio Sangiovanni
L’indennità di cessazione del rapporto dell’agente
a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Alla cessazione del rapporto contrattuale, l’agente può percepire dal preponente un’indennità e la legge fis- sa i presupposti per il riconoscimento di tale indennità. Considerato anche che la somma da corrispondersi può essere ingente, capita con una certa frequenza che i contraenti litighino in merito sia alla spettanza sia all’ammontare dell’indennità. La rilevanza pratica della materia rende utile una rassegna delle più recenti pro- nunce giurisprudenziali.
Introduzione
Riconoscimento dell’indennità: condizioni
La materia dell’indennità di fine rapporto dell’agente deve essere affrontata tenendo in debito conto i contenuti del diritto comunitario. Come è difatti noto, la normativa italiana costituisce at- tuazione di una direttiva comunitaria (direttiva del Consiglio del 18 dicembre 1986 relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, 86/653/CEE). In questo lavoro ci limiteremo a un esame del diritto italiano in materia di contrat- to di agenzia, tipo contrattuale che è disciplinato negli artt. 1742-1753 c.c.
Più specificamente obiettivo di questa rassegna giurisprudenziale è quello di esaminare un aspetto particolare della disciplina del contratto di agenzia: l’indennità di fine rapporto spettan- te all’agente. Tale materia è regolata negli artt. 17-19 della direttiva 86/653/CEE. Nell’ordina- mento italiano la disposizione di riferimento è l’art. 1751 c.c.
Per completezza va segnalato che l’istituto dell’indennità di fine rapporto è conosciuto non so- lo in materia di contratto di agenzia, ma anche nell’area del diritto del lavoro, dove si stabilisce che «in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha di- ritto a un trattamento di fine rapporto» (art. 2120 comma 1 c.c.). La similitudine fra le due figu- re risiede nel fatto che, anche nel caso dell’agente, la cessazione del rapporto significa la perdi- ta della fonte di sostentamento (non raramente l’agente opera però per più preponenti e, con- seguentemente, la perdita di guadagni può essere solo parziale).
L’indennità di fine rapporto ha una doppia funzione: 1) di premio dell’agente che ha incremen-
tato il portafoglio clienti del preponente; 2) di tutela sociale dell’agente che perde (o comunque vede ridotti) i propri mezzi di sostentamento. Il meccanismo creato dal legislatore comunitario, e attuato da quello italiano, prevede: da un lato il diritto del preponente di organizzare come me- glio crede la propria rete di vendita (e, dunque, anche di risolvere il contratto di agenzia); dall’al- tro il diritto dell’agente di ricevere un’indennità all’atto della cessazione del rapporto (purché ri- corrano certe condizioni, che si esamineranno in dettaglio in questa rassegna).
È quasi superfluo sottolineare che la materia dell’indennità di fine rapporto dell’agente è di con- siderevole rilevanza pratica. Le aziende che vogliono distribuire un certo prodotto si affidano fre- quentemente ad agenti per rifornire i mercati. Numerose controversie che vedono opporsi pre- ponente e agente riguardano proprio l’indennità di fine rapporto. Al termine della relazione con- trattuale tende a emergere una conflittualità che durante l’esecuzione del contratto è general- mente rimasta in secondo piano. In pendenza di rapporto i contraenti hanno interesse a mante- nere un buon clima, proprio perché la relazione continua e non ha senso creare tensioni inutili. Quando il contratto non è più in forza, preponente e agente tendono invece ad assumere posi- zioni più rigide. Ciascuno cerca di trarre i massimi benefici dalla cessazione della relazione con- trattuale, ignorando o minimizzando le aspettative della controparte. Le discussioni sull’inden- nità di fine rapporto rappresentano normalmente l’argomento più critico, anche perché la som- ma che il preponente deve all’agente può essere d’importo considerevole.
Le condizioni per ottenere l’indennità di fine rapporto sono fissate dall’art. 17 par. 2 della diret- tiva 86/653/CEE: «l’agente commerciale ha diritto ad un’indennità se e nella misura in cui: - ab- bia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente abbia ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; - il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in partico- lare delle provvigioni che l’agente commerciale perde e che risultano dagli affari con tali clien- ti».
In attuazione di tale disposizione comunitaria l’art. 1751 comma 1 c.c. prevede che all’atto del-
la cessazione del rapporto il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità se ri- corrono le seguenti condizioni: l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sen-
Itinerari della giurisprudenza
Acquisizione di nuovi clienti
Equità
sibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali van- taggi derivanti dagli affari con tali clienti; il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti».
Con riferimento alla titolarità del diritto all’indennità di fine rapporto, essa spetta all’“agente”. La legge non definisce l’agente ma dà la diversa nozione di contratto di agenzia (dalla quale si può peraltro ricavare la definizione di agente): «col contratto di agenzia una parte assume sta- bilmente l’incarico di promuovere, per conto dell’altra, verso retribuzione, la conclusione di con- tratti in una zona determinata» (art. 1742 comma 1 c.c.). Tale definizione non fa alcuna distin- zione in base alla natura dell’agente, che può pertanto essere sia una persona fisica sia una per- sona giuridica. A questo riguardo è utile segnalare una recentissima sentenza della Corte di cas- sazione (Cass. 17 marzo 2009, n. 6481), la quale ha deciso che dalla legge non risultano ele- menti idonei ad istituire un regime differenziato per l’indennità di fine rapporto in ragione della natura del soggetto che ha svolto l’attività di agente. Non ha pertanto rilievo che l’agente sia una persona fisica oppure una persona giuridica. In particolare l’indennità di fine rapporto spetta an- che all’agente che operi in forma di società di capitali.
Dal punto di vista dei presupposti oggettivi di applicazione della disposizione, si deve rilevare che l’indennità di fine rapporto dell’agente non è un diritto che spetta in ogni caso, ma che può essere riconosciuto solo in presenza di due condizioni (acquisizione di nuovi clienti ed equità) che devono sussistere in via cumulativa. Sotto questo profilo l’indennità di fine rapporto dell’a- gente si distingue dall’indennità di fine rapporto del lavoratore subordinato, per il quale l’art. 2120 comma 1 c.c. statuisce che si tratta di un diritto che compete “in ogni caso”. Cass. 12 giugno 2008, n. 15784, dopo aver evidenziato che l’art. 1751 c.c. è stato interamente sostitui- to dal d.lgs. n. 303 del 1991 che ha dato attuazione nel diritto interno alla direttiva 86/653/CEE, indica come la nuova normativa abbia sottolineato il carattere imprenditoriale dell’agenzia e ab- bia distaccato più nettamente la sua disciplina da quella del lavoro subordinato. In particolare l’indennità di cessazione del rapporto non è più dovuta all’agente in ogni caso di scioglimento del rapporto.
Esaminiamo ora in dettaglio quali sono le condizioni per il riconoscimento all’agente dell’inden- nità di fine rapporto.
La prima condizione fissata dal legislatore italiano per il riconoscimento dell’indennità di fine rap- porto è che «l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente svilup- pato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti» (art. 1751 comma 1 c.c.).
In merito alla ratio della disposizione di legge, l’indennità presenta un tratto meritocratico: solo l’agente che abbia procurato nuovi clienti o che abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti può pretendere l’indennità (vedremo però come gli accordi economici collettivi prescindano, almeno in parte, dall’elemento meritocratico). L’indennità ha poi un’ulteriore fun- zione, “di riequilibrio” delle posizioni delle parti. Difatti l’indennità può essere riconosciuta solo se il preponente trae ancora vantaggi dagli affari con i clienti acquisiti o sviluppati dall’agente. Il legislatore è insomma preoccupato che il preponente faccia proprio il portafoglio clienti dell’a- gente, traendone vantaggi, senza riconoscere alcunché al suo ex collaboratore per il lavoro svol- to.
Così spiegata la ratio della disposizione, passiamo all’analisi del suo contenuto. L’agente deve anzitutto avere procurato nuovi clienti. Bisogna dunque confrontare quelli che erano i clienti al momento dell’inizio del rapporto contrattuale di agenzia e quelli che sono i clienti al momento finale. Se l’agente è il primo soggetto a sviluppare un determinato mercato, evidentemente tut- ti i clienti acquisiti si devono considerare come nuovi. In alternativa alla possibilità di acquisire nuovi clienti, l’agente viene premiato con l’indennità di fine rapporto quando ha sviluppato gli af- fari con i clienti esistenti. Si tratta pertanto di confrontare il fatturato realizzato all’inizio del rap- porto con i clienti che erano già propri del preponente con il fatturato che viene realizzato alla fi- ne del rapporto con gli stessi clienti. La legge specifica però che lo sviluppo deve essere “sen- sibile”. Questo significa che un piccolo aumento di fatturato non è sufficiente a giustificare il ri- conoscimento dell’indennità. Dal lavoro svolto dall’agente il preponente deve trarre ancora van- taggi, affinché si possa riconoscere l’indennità di fine rapporto. Bisogna pertanto che il prepo- nente continui a fare affari con tali clienti. Occorre inoltre, come specifica il testo legislativo, che tali vantaggi siano “sostanziali”.
La seconda condizione fissata dal legislatore per il riconoscimento dell’indennità di fine rappor- to è che «il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti» (art. 1751 comma 1 c.c.).
Il criterio equitativo, previsto dal diritto comunitario e da quello italiano, è indefinito, tanto è ve- ro che ambedue i regolatori specificano che si deve tenere conto di tutte le circostanze del ca-
so. Bisogna peraltro dire che, in entrambe le discipline, viene fatto riferimento a uno specifico parametro di valutazione, di cui occorre sempre tenere conto: le provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con i clienti. Come è noto, la provvigione costituisce la modalità di compenso dell’agente (cfr. l’art. 1748 comma 1 c.c.: «per tutti gli affari conclusi durante il con- tratto l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento»).
L’ordinamento italiano è caratterizzato dalla presenza di accordi economici collettivi che concre- tizzano la disciplina del rapporto di agenzia, ivi compresa l’indennità di fine rapporto. L’accordo del 1992 era strutturato in modo tale da assicurare all’agente un’indennità minima. In particola- re tale accordo prevedeva che, in tutti i casi di cessazione del rapporto, venisse corrisposta al- l’agente un’indennità pari all’1% dell’ammontare globale delle provvigioni maturate e liquidate durante il corso del rapporto. L’accordo economico stabiliva pertanto un’indennità fissa indi- pendente da qualsiasi valutazione meritocratica. Tale indennità base era integrata con un’in- dennità aggiuntiva espressa in misura percentuale rispetto al monte provvigioni realizzato dal- l’agente (3% fino a un certo importo, 1% per gli importi superiori). Un sistema strutturato in questo modo “livella” l’indennità di fine rapporto degli agenti, prevedendo un minimo automa- tico (1%): vengono premiati al minimo tutti gli agenti, anche se non hanno acquisito nuovi clien- ti. L’accordo economico collettivo del 1992 prevedeva che le parti si davano reciprocamente at- to che, con il meccanismo appena illustrato, intendevano soddisfare il criterio di equità di cui al- l’art. 1751 c.c.
Sennonché i calcoli dell’indennità effettuati, rispettivamente, sulla base dell’accordo economi- co collettivo e in base al codice civile possono dare risultati diversi. La somma spettante all’a- gente sulla base dell’accordo economico può risultare inferiore rispetto a quanto darebbe l’ap- plicazione del parametro civilistico. In un celebre caso giunto all’attenzione della Corte di xxxxxx- xxx, l’agente - vistosi danneggiato dalle modalità di calcolo fissate dall’accordo economico col- lettivo - non accettò la proposta di liquidazione dell’indennità avanzata dal preponente, agendo invece in giudizio per ottenere la condanna al pagamento di una somma superiore. La vicenda fu affrontata prima in tribunale e poi in corte di appello, per giungere infine alla Corte di cassa- zione (Cass. 18 ottobre 2004, ord., n. 20410). La Cassazione ha ritenuto di investire la Corte di giustizia delle Comunità Europee della questione pregiudiziale relativa all’interpretazione degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653/CEE, apparendo necessario chiarire - in particolare - se l’art. 19 della medesima direttiva sia interpretabile nel senso che la normativa nazionale possa con- sentire che un accordo economico collettivo preveda, invece che un’indennità dovuta all’agen- te nel concorso delle condizioni previste dal par. 2 dell’art. 17, un’indennità che sia determinata senza alcun riferimento specifico all’incremento degli affari procurato dall’agente, sulla base di determinate percentuali dei compensi ricevuti nel corso del rapporto, sicché la stessa indennità
- anche in presenza della misura massima dei presupposti cui la direttiva collega il diritto all’in- dennità - in molti casi sia liquidata in misura inferiore a quella massima prevista dalla direttiva. La questione è dunque divenuta oggetto di un’importante sentenza della Corte di giustizia (Cor- te di giustizia delle Comunità Europee, 23 marzo 2006, causa X-000/00, Xxxxxxx infor- mazioni commerciali c. Xx Xxxxx, in Foro it., 2006, IV, 572 ss.). La soluzione proposta dalla Cor- te di giustizia è nel senso dell’efficacia degli accordi economici collettivi solo nella misura in cui i calcoli dell’indennità effettuati sulla base di essi non peggiorano la posizione dell’agente ri- spetto ai calcoli effettuati sulla base della legge (attuativa della direttiva comunitaria). Gli accor- di economici possono solo migliorare la posizione dell’agente; qualora, invece, la loro applica- zione finisca col ridurre l’ammontare dell’indennità, l’agente può insistere per l’applicazione dei canoni fissati dal codice civile. L’art. 19 della direttiva 86/653/CEE non consente una deroga a detrimento dell’agente “prima della scadenza del contratto”. Ma se si considera che gli accor- di economici collettivi operano fin dalla conclusione dello specifico contratto di agenzia, essi possono rappresentare una deroga in peggio - effettuata in via generale e in anticipo - rispetto alla disciplina legislativa. Una deroga alle disposizioni dell’art. 17 della direttiva 86/653/CEE può essere ammessa solo se, ex ante, è escluso che essa risulterà - alla cessazione del contratto - a detrimento dell’agente. La Corte di giustizia conclude pertanto nel senso che l’art. 19 della di- rettiva 86/653/CEE deve essere interpretato nel senso che l’indennità di cessazione del rappor- to, che risulta dall’applicazione dell’art. 17 di tale direttiva, non può essere sostituita, in applica- zione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quest’ulti- ma disposizione, a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione di detta disposizione.
La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee, come era da aspettarsi, ha in- fluenzato profondamente tutta la successiva giurisprudenza italiana.
Ad esempio la questione della rilevanza del criterio dell’equità nel calcolo dell’indennità di fine rapporto è stata trattata in dettaglio da Xxxx. 19 febbraio 2008, n. 4056 (in Dir. giur., 2009, 308 ss.). L’agente lamentava che il calcolo dell’indennità effettuato sulla base dell’accordo econo- mico collettivo del 27 novembre 1992 fosse per esso pregiudizievole. La società preponente
aveva liquidato l’indennità sulla base dei criteri previsti da tale accordo economico che - come si è già detto - tenevano conto dell’ammontare globale delle provvigioni maturate dall’agente nel corso del rapporto e calcolavano l’indennità sulla base di percentuali ben determinate (l’1% di base sull’ammontare globale, oltre una percentuale aggiuntiva - dell’1% o del 3% - su sca- glioni specifici di provvigioni annue in ragione anche della previsione, o meno, della clausola di esclusiva). Il calcolo effettuato secondo l’art. 1751 c.c. (ovvero secondo equità e senza fare ap- plicazione dell’accordo economico collettivo) dava invece, nel caso specifico, un risultato mag- giormente favorevole all’agente. Conseguentemente questi si rifiutò di accettare la proposta di liquidazione della propria indennità ai sensi dell’accordo economico e agì in giudizio per ottene- re la condanna del preponente a corrispondere una somma maggiore. La Corte di cassazione ri- leva che la normativa comunitaria contempla l’obbligo degli Stati membri di introdurre nei ri- spettivi ordinamenti giuridici un’indennità a favore di “alcuni” agenti all’atto dell’estinzione del contratto: i più “meritevoli” ossia quelli che avessero procurato nuovi clienti al preponente o avessero sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente avesse ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti; criterio questo che svelava un’ottica marcatamente premiale che veniva a schermare la finalità di protezione generalizzata emer- gente dalla contrattazione collettiva. Per la quantificazione di tale indennità la normativa comu- nitaria non detta criteri precisi di calcolo, limitandosi a prescrivere che il pagamento di tale in- dennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
Il legislatore italiano, invece di articolare in modo più puntuale la normativa comunitaria, soprat- tutto individuando in concreto i criteri di calcolo dell’indennità per rispondere a quell’esigenza di equità richiesta dal legislatore comunitario, si è limitato a trasporla quasi pedissequamente. Le parti sociali hanno poi stipulato un accordo economico collettivo (27 novembre 1992) dandosi reciprocamente atto che con tale normativa collettiva avevano inteso soddisfare il criterio di equità di cui all’art. 1751 c.c. Se l’accordo collettivo avesse limitato l’indennità solo agli agenti che avessero procurato nuovi clienti al preponente o avessero sensibilmente sviluppato gli af- fari con i clienti esistenti, nessun dubbio sarebbe sorto in ordine alla piena conformità al detta- to dell’art. 1751 c.c. e alla normativa comunitaria. Ma l’accordo collettivo ha fatto di più; ha ga- rantito tale indennità anche agli “altri” agenti, quelli che comunque avevano procurato affari al preponente anche solo con clienti esistenti e non necessariamente con incremento del fattura- to. Vi è all’evidenza un complessivo trattamento di miglior favore per la categoria degli agenti: l’indennità, proprio perché riconosciuta dalla contrattazione collettiva a tutti gli agenti, assolve ad una funzione di protezione in favore degli agenti - di tutti gli agenti - che, cessato il rapporto, si ritrovano, nell’immediato, senza una fonte di guadagno. Manca però indubbiamente l’aspet- to premiale per gli agenti che si siano particolarmente distinti nel senso che la loro attività sia stata specificamente utile al preponente. La normativa contrattuale, generalizzando la garanzia dell’indennità di fine rapporto, non valorizzava il fatto che l’agente avesse procurato nuovi clien- ti al preponente o avesse sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti.
Tanto premesso, nella sentenza del febbraio 2008 la Corte di cassazione chiarisce che la sen- tenza della Corte di giustizia non implica l’invalidità dell’accordo economico collettivo per con- trarietà a una disposizione imperativa e inderogabile in danno dell’agente, quale è quella posta dall’art. 1751 c.c., ma impone una verifica individualizzata e focalizzata sul caso concreto giac- ché la normativa collettiva non tiene conto della specifica circostanza consistente nel fatto che l’agente possa aver procurato nuovi clienti al preponente o aver sensibilmente sviluppato gli af- fari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti. Quando - e solo quando - questa circostanza di fatto ricorre nel caso concreto, si impone una verifica ulteriore della “giusta” quantificazione dell’indennità di cessazione del rap- porto per l’agente. Il giudice deve verificare, tenendo conto di tutte le circostanze di fatto emer- genti dal concreto svolgimento del rapporto di agenzia, se l’indennità di cessazione del rappor- to, nella misura calcolata sulla base dei criteri previsti dalla contrattazione collettiva, possa con- siderarsi, o no, “equa”, nel senso di compensativa anche del particolare merito dell’agente emergente dalle suddette circostanze di fatto. Questa verifica sulla scorta del parametro dell’e- quità si impone proprio perché la contrattazione collettiva, pur avendo posto una disciplina del- l’indennità in questione complessivamente più favorevole per l’agente, non ha tenuto conto del- la particolare possibile evenienza che l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o ab- bia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora so- stanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti. A ciò hanno posto rimedio le parti sociali con il successivo accordo economico collettivo del 26 febbraio 2002, che all’art. 12 ha espres- samente previsto un’“indennità meritocratica”.
Nella sentenza in esame, la Corte di cassazione, facendo propri gli insegnamenti della Corte di
giustizia, accoglie il ricorso dell’agente e enuncia il principio di diritto secondo cui al fine della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente, nel regime prece- dente all’accordo economico collettivo del 26 febbraio 2002 che ha specificamente introdotto l’“indennità meritocratica”, se l’agente allega e prova le circostanze di fatto previste dall’art.
Esclusione del diritto
all’indennità
Risoluzione del contratto da parte
del preponente
1751 comma 1 c.c. (ossia di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti, sempre che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti), il giudice è tenuto a verificare se - nei limiti posti dall’art. 1751 comma 3 c.c. (che prescrive che l’importo dell’indennità non può superare una ci- fra equivalente a un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle “retribuzio- ni” riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione) - la quantificazione dell’indennità calcolata sulla base dei criteri posti dall’accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 sia corrispondente, o no, al canone di equità prescritto dal medesimo art. 1751 comma 1 c.c., tenuto conto di tutte le cir- costanze del caso e in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affa- ri con tali clienti e, ove non la ritenga tale, deve - in mancanza di una specifica disciplina collet- tiva - riconoscere all’agente il differenziale necessario per riportarla a equità.
Sempre in collegamento con la sentenza della Corte di giustizia, molto recentemente la Corte di cassazione (Cass. 1° giugno 2009, n. 12724) ha avuto occasione di occuparsi del rilievo del criterio dell’equità nella determinazione dell’indennità di fine rapporto. La Cassazione ha deciso che al fine della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente, ove risultino dimostrate le circostanze di fatto previste dall’art. 1751 comma 1 c.c. (ossia di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esi- stenti, sempre che il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti), il giudice è tenuto a verificare se nei limiti posti dall’art. 1751 comma 3 c.c. la quantifi- cazione dell’indennità calcolata sulla base dei criteri posti dall’accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 sia corrispondente al canone di equità prescritto dal medesimo art. 1751 comma 1 c.c., tenuto conto di tutte le circostanze del caso e in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti, e, ove non la ritenga tale, deve - in man- canza di una specifica disciplina collettiva - riconoscere all’agente il differenziale necessario per riportarla a equità. Dunque anche questa sentenza della Corte di cassazione tiene conto della pronuncia della Corte di giustizia: quando il calcolo dell’indennità effettuato sulla base degli ac- cordi economici collettivi non soddisfa sufficientemente l’agente (avuto riguardo al criterio del- l’equità), questi può ottenere un incremento.
La legge prevede alcuni casi in cui l’indennità di fine rapporto non può essere riconosciuta all’a- gente. Più precisamente il testo legislativo stabilisce che «l’indennità non è dovuta: quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto; quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecu- zione dell’attività; quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto di agenzia» (art. 1751 comma 2 c.c.).
Ai fini dell’accertamento della spettanza dell’indennità di fine rapporto è fondamentale chieder- si da chi provenga la disdetta del contratto. È inoltre importante chiedersi quale dei due con- traenti abbia dato adito all’interruzione del rapporto contrattuale. Esaminiamo separatamente i tre casi previsti dal legislatore come ipotesi espresse di esclusione dell’indennità di fine rap- porto.
Il primo caso di esclusione espressa del diritto all’indennità di fine rapporto si verifica «quando il preponente risolve il contratto per un’inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto» (art. 1751 comma 2 c.c.). In questa ipotesi la risoluzione del rapporto contrattuale proviene dal preponente, ma è stata de- terminata da un comportamento imputabile all’agente. Il legislatore prevede allora che l’agente non possa far valere la pretesa all’indennità. Con questa regola si vuole evitare che l’agente de- termini, con comportamenti strumentali, l’interruzione del rapporto contrattuale al fine di per- cepire l’indennità.
Gli elementi costitutivi della fattispecie sono i seguenti: 1) la risoluzione del contratto da parte del preponente; 2) un’inadempienza dell’agente; 3) l’imputabilità di tale inadempienza all’agen- te; 4) la gravità dell’inadempienza (che non consente la prosecuzione anche provvisoria del rap- porto).
Con riferimento alla risoluzione del contratto da parte del preponente, la disposizione fa appli- cazione in un contesto particolare del rimedio generale della risoluzione del contratto. Secondo i principi «nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto» (art. 1453 comma 1 c.c.). Cass. 9 aprile 1994, n. 3348, ha affermato che non si possono confondere, ai fini dei diritti spettanti all’agente di compagnia di assicurazioni sottoposta a liqui- dazione coatta, l’ipotesi dello scioglimento di diritto del rapporto (conseguente alla procedura concorsuale aperta a carico del preponente) con quella del recesso della compagnia. Anche Xxxx. 29 aprile 1999, n. 4310, si è occupata di risoluzione del contratto di agenzia nel contesto
Recesso del contratto da parte dell’agente
particolare delle procedure concorsuali. In questa sentenza la Cassazione perviene però a una conclusione diversa, in quanto equipara alla risoluzione dichiarata dal preponente la risoluzione conseguita di diritto alla dichiarazione d’insolvenza e messa in liquidazione coatta della società di assicurazione. A livello di giurisprudenza di merito la Corte di appello di Roma (App. Roma 16 giugno 2003, in Fallimento, 2004, 1110 s.) ha avuto occasione di occuparsi di questa materia statuendo che, in caso di scioglimento del rapporto di agenzia dovuto alla liquidazione coatta amministrativa della compagnia assicurativa, all’agente spetta l’indennità sostitutiva del preav- viso, dovendosi equiparare al recesso dell’impresa la scioglimento del rapporto per la sua mes- sa in liquidazione.
Il secondo elemento costitutivo della fattispecie è un’inadempienza dell’agente. La legge dice che si deve verificare una “inadempienza”; la terminologia del legislatore in questo contesto è dunque diversa da quella utilizzata nell’art. 1453 c.c. (“inadempimento”). La differenza fra “ina- dempienza” e “inadempimento” deve tuttavia ritenersi di mero carattere terminologico ed è probabilmente da ascriversi al fatto che l’art. 1751 comma 2 c.c. costituisce attuazione dell’art. 18 direttiva 86/653/CEE, in cui si fa appunto uso del termine “inadempienza”. Non pare che vi siano differenze di sostanza fra “inadempienza” e “inadempimento”: occorre un comporta- mento dell’agente che configura violazione dei doveri che gli fanno capo.
Il terzo elemento costitutivo della fattispecie è che l’inadempienza deve essere “imputabile”. In questo modo la legge richiama il principio della responsabilità contrattuale secondo cui «il de- bitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della presta- zione derivante da causa a lui non imputabile» (art. 1218 c.c.). Sul punto va segnalata una cu- riosa sentenza della Corte di cassazione (Cass. 25 luglio 2008, n. 20497, in Contratti, 2009, 375 ss.), che ribadisce anzitutto che il recesso per giusta causa è esercitabile quando vi sia un’ina- dempienza imputabile all’agente, la quale - per la sua gravità - non consenta la prosecuzione, an- che provvisoria, del rapporto (e, fin qui, si tratta della mera ripetizione di quanto statuisce la leg- ge). La Suprema Corte specifica però che non è idonea a concretare detta inadempienza la so- spensione dell’esecuzione della prestazione operata dall’agente che si trovi in stato di deten- zione in carcere, non sussistendo in tal caso il requisito indispensabile dell’imputabilità dell’ina- dempimento.
La legge prevede infine che (quarto elemento costitutivo della fattispecie) l’inadempienza del- l’agente, per escludere il diritto all’indennità di fine rapporto, deve essere particolarmente gra- ve: si deve difatti trattare di un’inadempienza «la quale, per la sua gravità, non consenta la pro- secuzione anche provvisoria del rapporto». Anche nel contesto generale della risoluzione si fa riferimento alla gravità dell’inadempimento: «il contratto non si può risolvere se l’inadempi- mento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra» (art. 1455 c.c.). Inoltre il legislatore fa uso di una terminologia simile a quella utilizzata nel contesto del contratto di agenzia nell’art. 2119 comma 1. c.c.: nel disciplinare l’estinzione del rapporto di la- voro si prevede infatti che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto «qualora si verifi- chi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto». Il legislatore pone dunque un limite al potere del preponente di risolvere il contratto e, contestualmente, di negare all’agente il diritto all’indennità di fine rapporto: solo un’inadempienza particolarmente grave permette il rifiuto.
Se si legge la disposizione in esame in connessione con quanto statuito dal comma 6 dell’art. 1751 (inderogabilità dell’art. 1751 c.c. a svantaggio dell’agente), si deve concludere che non è possibile prevedere contrattualmente casi più lievi d’inadempienza dell’agente che legittimano il preponente a risolvere il contratto rifiutando di corrispondere l’indennità. In particolare non sarà legittimo inserire nel contratto, per ipotesi del genere, delle clausole risolutive espresse le quali prevedano - a danno dell’agente - il venir meno del diritto all’indennità di fine rapporto.
Il secondo caso in cui l’agente non ha diritto all’indennità di fine rapporto si verifica «quando l’a- gente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell’attività» (art. 1751 comma 2 c.c.). Se dunque l’agente pone termine di propria iniziativa alla relazione contrattuale, l’indennità non gli spetta (salvo per alcuni casi eccezionali). In questo senso si è espressa Cass., 12 giugno 2008, n. 15784, ribadendo che l’indennità non è dovuta quando l’agente recede dal contratto. L’indennità non gli può essere riconosciuta, indipendentemente dall’apporto che abbia dato al- lo sviluppo della rete distributiva e agli affari del preponente.
Mentre nel caso del preponente la legge si riferisce alla “risoluzione” del contratto, nel caso dell’agente il riferimento è al “recesso” dal contratto. Il “recesso” dal contratto di agenzia è di- sciplinato nell’art. 1750 c.c. che regola, oltre alla durata del contratto, appunto il recesso dallo stesso. Il contratto di agenzia può avere durata determinata oppure indeterminata. Questa di- stinzione rileva anche in tema di recesso. La legge prevede che «se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto stesso dandone preavvi-
so all’altra entro un termine stabilito» (art. 1750 comma 2 c.c.). Nel caso tipico di un contratto a tempo indeterminato, l’agente può dunque sempre recedere dal contratto. L’unica accortezza cui è tenuto è quella di rispettare il termine di preavviso. Questo termine serve al preponente il quale deve avere tempo sufficiente per trovare un sostituto dell’agente oppure per organizzare in altro modo la rete di vendita.
Per completezza si deve indicare che vi è una terza possibilità, che non ha a che fare né con la risoluzione da parte del preponente né con il recesso da parte dell’agente: si tratta della risolu- zione consensuale. La giurisprudenza ha deciso che il recesso del contratto da parte dell’agen- te va tenuto distinto dalla risoluzione consensuale del rapporto contrattuale (cfr. Cass. 24 apri- le 2004, n. 7855). Una risoluzione consensuale non è una disdetta che provenga dall’una oppu- re dall’altra parte; si tratta semplicemente di un accordo con il quale si pone fine al contratto.
Il legislatore prevede due eccezioni alla regola secondo cui l’agente che recede dal contratto non ha diritto all’indennità di fine rapporto. In presenza di queste due situazioni eccezionali l’a- gente può recedere dal contratto, senza - con ciò - perdere il diritto all’indennità.
In primo luogo questa ipotesi eccezionale si realizza quando il recesso, pur provenendo dall’a- gente, è «giustificato da circostanze attribuibili al preponente». Xxxx intende la legge con tale espressione? Rispetto all’ipotesi esaminata sopra (risoluzione dichiarata dal preponente per ina- dempienza imputabile all’agente) si può notare l’utilizzo di una differente terminologia. In capo all’imprenditore non occorrono vere e proprie “inadempienze”, bastano invece delle “circo- stanze”, anche se il loro contenuto non viene specificato dalla legge. Questa differenza termi- nologica dovrebbe essere sufficiente a giustificare un recesso dell’agente, con mantenimento del diritto all’indennità, anche per ragioni meno gravi di quelle che possono giustificare la riso- luzione a opera del preponente. In particolare sono ipotizzabili circostanze diverse dall’inadem- pimento che possono autorizzare l’agente a recedere conservando il diritto all’indennità.
La tematica del recesso dal contratto di agenzia da parte dell’agente per circostanze attribui- bili al preponente è stata oggetto di alcune sentenze della Corte di cassazione. Secondo Xxxx. 1° febbraio 1999, n. 845, è richiesto un inadempimento colpevole e non di scarsa im- portanza del preponente tale da ledere in misura considerevole l’interesse dell’agente per giustificare un recesso per giusta causa e senza preavviso. Nel caso affrontato da Xxxx. 24 aprile 2004, n. 7855, l’agente recedette dal contratto per il fatto che il preponente gli aveva inibito la vendita di un certo prodotto. La Suprema Corte esclude che tale comportamento del preponente possa legittimare il recesso dell’agente e giustificare la richiesta dell’indennità di fine rapporto. Secondo la Cassazione non vi è la prova che il recesso fosse giustificato da cir- costanze attribuibili all’imprenditore. Il divieto del preponente di vendere un certo prodotto non ha configurato nel caso di specie, secondo il giudice di legittimità, un evento che non consente la prosecuzione del rapporto anche in via provvisoria. Quest’ultima sentenza della Corte di cassazione, a mio avviso, non distingue in modo sufficientemente chiaro fra la no- zione di “inadempienza imputabile” e quella di “circostanza attribuibile” di cui all’art. 1751 comma 2 c.c. Mentre all’agente deve essere contestata una vera e propria “inadempienza”, il preponente è obbligato a corrispondere l’indennità anche in presenza di mere “circostanze” che gli sono attribuibili. Se questa interpretazione è corretta, sussistono i margini per ritene- re - ad esempio - che anche una riduzione del portafoglio prodotti a disposizione dell’agente possa costituire una circostanza atta a indurlo a recedere dal contratto senza perdere il dirit- to all’indennità di fine rapporto. Ovviamente andrà effettuata, di volta in volta, una valutazio- ne di proporzionalità e occorrerà chiedersi in che misura i diritti dell’agente vengano com- pressi da iniziative unilaterali del preponente. Rispetto alle due sentenze appena illustrate, appare più favorevole all’agente la posizione assunta da Xxxx. 12 ottobre 2007, n. 21445 (in questa Rivista, 2008, 636 ss.). Secondo questa pronuncia la cessione dell’azienda da parte del preponente può integrare una giusta causa di recesso dal rapporto di agenzia da parte del- l’agente se il cessionario non offre una sufficiente sicurezza di solidità finanziaria e, dunque, non garantisce il regolare adempimento delle obbligazioni derivanti dalla prosecuzione del contratto di durata.
In secondo luogo la legge prevede che il diritto all’indennità di fine rapporto compete comun- que quando il recesso dal contratto - pur provenendo dall’agente - è giustificato «da circostan- ze attribuibili all’agente, quali età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragione- volmente chiesta la prosecuzione dell’attività» (art. 1751 comma 2 c.c.). Questa disposizione fa emergere la funzione sociale dell’indennità di fine rapporto. Può succedere che l’agente sia im- possibilitato a continuare a svolgere la propria attività: l’età (la legge non lo dice ma, evidente- mente, si deve trattare di età avanzata) oppure una situazione di infermità o di malattia può ren- dere particolarmente difficile la continuazione del rapporto. La disposizione non parla di “im- possibilità” della prestazione in senso tecnico, ma usa un’espressione diversa: all’agente non può essere “ragionevolmente chiesto” di proseguire l’attività. La grave difficoltà viene tuttavia, nella sostanza, equiparata all’impossibilità. Al sussistere di tali condizioni il legislatore non solo consente l’interruzione del rapporto contrattuale, ma - in aggiunta - impone al preponente la cor- responsione dell’indennità.
Subentro di un terzo
nel rapporto contrattuale
Calcolo dell’indennità
Diritto al risarcimento dei danni e decadenza
La terza ipotesi di esclusione espressa del diritto alla indennità di fine rapporto si ha nel caso di cessione del contratto: l’indennità non è dovuta, dice la legge, «quando, ai sensi di un accordo con il preponente, l’agente cede ad un terzo i diritti e gli obblighi che ha in virtù del contratto d’a- genzia» (art. 1751 comma 2 c.c.). L’agente - con il consenso del preponente - può sostituire a sé un’altra persona, la quale diventa nuova parte del contratto di agenzia. In una situazione del genere il legislatore non riconosce all’agente uscente l’indennità di fine rapporto. La relazione viene difatti continuata da un nuovo agente, il quale - al termine della relazione - avrà diritto al- l’indennità. Nella prassi capita che l’agente subentrante paghi una certa somma all’agente uscente, come “premio” per la possibilità di sostituirlo. Tale somma verrà recuperata una volta che il preponente corrisponderà al secondo agente l’indennità di fine rapporto.
La legge prevede poi che «l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’a- gente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del pe- riodo in questione» (art. 1751 comma 3 c.c.).
Come si è visto prima, uno dei problemi principali che si pongono nella prassi è la quantificazio- ne dell’indennità spettante all’agente. Il legislatore, con l’art. 1751 comma 3 c.c., fissa il limite massimo che può essere riconosciuto.
Per quanto riguarda invece le modalità di calcolo dell’indennità si devono prendere in conside- razione gli ultimi cinque anni del rapporto contrattuale. In una prima fase si sommano tutte le retribuzioni percepite dall’agente in tali cinque anni. Al riguardo si noti che il legislatore non si ri- ferisce a “provvigioni”, ma a “retribuzioni”. Non si tratta di un’imprecisione del legislatore, ma di una terminologia appropriata. Bisogna difatti tenere conto che è vero che la provvigione co- stituisce il meccanismo tipico di compenso dell’agente, tuttavia non si può escludere che l’a- gente riceva altri compensi (ad esempio dei fissi), i quali concorrono nel calcolo dell’indennità di fine rapporto. Ottenuto un certo risultato sommando le retribuzioni degli ultimi cinque anni, la procedura di calcolo - in una seconda fase - consiste nel dividere tale somma per cinque, otte- nendo così la media annuale dei guadagni (degli ultimi cinque anni). L’importo che ne risulta è l’ammontare massimo dell’indennità di fine rapporto che può essere riconosciuto all’agente. Come già esposto prima in dettaglio, il calcolo effettuato sulla base della legge può risultare in contrasto con il calcolo effettuato sulla base degli accordi economici collettivi. Sul punto si è già dato ampio spazio sopra alla giurisprudenza della Corte di giustizia e della Corte di cassazione che ha stabilito come le modalità di calcolo previste dagli accordi economici collettivi non pos- sano andare a detrimento dell’agente.
Per quanto riguarda la ratio della previsione di un limite massimo il legislatore è preoccupato che l’onere per il preponente divenga eccessivo e ha posto una soglia oltre la quale non si può andare. Nella ipotesi più favorevole per l’agente, l’indennità arriva a un’annualità delle retribu- zioni. In questo modo l’indennità è in grado di coprire un periodo d’inattività di pari durata. Oltre tale limite, non si è ritenuto ragionevole addossare al preponente il mantenimento dell’agente, anche nella ragionevole prospettiva che questi sia in grado di trovare una nuova fonte di guada- gno.
Il diritto comunitario prevede che «la concessione dell’indennità non priva l’agente della facoltà di chiedere un risarcimento del danno» (art. 17 par. 2 lett. c direttiva 86/653/CEE).
La legge italiana stabilisce che «la concessione dell’indennità non priva comunque l’agente del diritto all’eventuale risarcimento dei danni» (art. 1751 comma 4 c.c.). Probabilmente una dispo- sizione del genere, pur dovuta in attuazione del diritto comunitario, è inutile, nel senso che - lad- dove esistano ragioni per far valere la responsabilità del preponente - già secondo i principi ge- nerali del diritto italiano sarebbe possibile ottenere il risarcimento del danno. Tali principi gene- rali sono la regola sulla responsabilità contrattuale del debitore (art. 1218 c.c.) e la regola sulla responsabilità extracontrattuale di chi compie un fatto illecito (art. 2043 c.c.), a seconda che si tratti - appunto - di responsabilità contrattuale oppure extracontrattuale. In via interpretativa si sarebbe peraltro potuto assumere che la liquidazione dell’indennità di fine rapporto configura il regolamento definitivo di tutti i rapporti intercorrenti fra i contraenti. Per evitare un risultato del genere, e anche tenuto conto della posizione di debolezza dell’agente rispetto al preponente, il legislatore ha precisato che l’agente può comunque far valere eventuali titoli al risarcimento del danno.
Sulla questione del risarcimento del danno ulteriore si è pronunciata Cass. 10 aprile 2008, n. 9426, in Contratti, 2008, 1103 ss. Questa sentenza ha affermato il principio di diritto che l’art. 1751 comma 4 c.c., secondo cui la concessione all’agente dell’indennità di cessazione del rap- porto non priva comunque l’agente medesimo del diritto all’eventuale risarcimento dei danni, si
riferisce a danni ulteriori da fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, connesso ad esempio alla violazione dei doveri informativi, al mancato pagamento di provvigioni maturate, a fatti di de- nigrazione personale, alla ingiuriosità del recesso del preponente, alla induzione dell’agente pri- ma della risoluzione del rapporto a oneri e spese di esecuzione del contratto poi inopinatamen-
Inderogabilità a svantaggio dell’agente
te risolto. La suddetta disposizione configura un’ipotesi di risarcimento al di fuori di quello da fatto lecito (cessazione del rapporto) considerato nel comma 2 dello stesso art. 1751 c.c. e ne è consentita la cumulabilità con un diverso e ulteriore danno da illecito (contrattuale o extra- contrattuale), sempre che sussistano nella condotta del preponente i requisiti soggettivi e og- gettivi di detto illecito.
Come ogni diritto, anche quello all’indennità di fine rapporto deve essere fatto valere entro un certo termine. Il diritto comunitario prevede che «l’agente commerciale perde il diritto all’in- dennità di cui al paragrafo 2 o alla riparazione del pregiudizio di cui al paragrafo 3, se ha omesso di notificare al preponente, entro un anno dall’estinzione del contratto, l’intenzione di far valere i propri diritti» (art. 17 par. 5 direttiva 86/653/CEE).
La legge italiana di attuazione specifica che «l’agente decade dal diritto all’indennità prevista dal presente articolo se, nel termine di un anno dallo scioglimento del rapporto, omette di comuni- care al preponente l’intenzione di far valere i propri diritti» (art. 1751 comma 5 c.c.). Questa di- sposizione impone all’agente di agire con una certa celerità una volta che il contratto è termi- nato. La norma non impone peraltro particolari oneri formali, per cui qualsiasi modalità di co- municazione è sufficiente per rispettare il termine di decadenza.
A livello comunitario si prevede che «le parti non possono derogare, prima della scadenza del contratto, agli artt. 17 e 18 a detrimento dell’agente commerciale» (art. 19 direttiva 86/653/CEE).
In attuazione di tale disposizione comunitaria la legge italiana prevede che «le disposizioni di cui al presente articolo sono inderogabili a svantaggio dell’agente» (art. 1751 comma 6 c.c.). Il rap- porto di agenzia si instaura fra due contraenti che non dispongono della stessa forza contrat- tuale. Mentre il preponente ha tendenziale facilità a reperire collaboratori che si occupino della distribuzione dei suoi prodotti, per gli agenti la relazione contrattuale con il produttore può es- sere di centrale importanza anche al fine del proprio sostentamento. In genere pertanto, proprio alla luce della disparità di forza fra i contraenti, risulta facile per il preponente imporre clausole contrattuali che devono essere accettate in toto dall’agente. Sussiste il rischio concreto che ta- li pattuizioni alterino gravemente in peggio la posizione dell’agente, senza che questi possa di- fendersi. Al fine di evitare un risultato del genere la legge statuisce che le disposizioni dell’art. 1751 sono inderogabili a svantaggio dell’agente.
Le limitazioni al diritto all’indennità risultanti dall’applicazione di accordi economici collettivi so- no state oggetto dell’importante sentenza, citata sopra, della Corte di giustizia (Corte di giusti- zia delle Comunità Europee, 23 marzo 2006, causa C-465/04). La Corte di giustizia ha deci- so che l’art. 19 della direttiva 86/653/CEE deve essere interpretato nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17 par. 2 della direttiva 86/653/CEE non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione di detta disposizione.
La successiva giurisprudenza italiana in materia di inderogabilità dell’art. 1751 c.c. ad opera di accordi economici collettivi si colloca, ovviamente, sulla scia dell’importante sentenza della Cor- te di giustizia.
A livello di giurisprudenza di merito va citato Trib. Pistoia, 2 febbraio 2007 (in Diritto delle re- lazioni industriali, 2008, 755 ss.). Secondo questa sentenza l’art. 10 dell’accordo economico col- lettivo del 20 marzo 2002, in materia di rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore della piccola e media industria, deve ritenersi nullo - nella parte relativa alla disciplina del- l’indennità per lo scioglimento del contratto - per contrasto con le norme imperative contenute nella direttiva 86/653/CEE. Tali norme, spiega il Tribunale di Pistoia, possono essere derogate solo in melius e a condizione che la deroga sia pattuita ex ante, ovvero prima della scadenza del contratto. Conformemente all’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia, la natura migliora- tiva o peggiorativa dell’accordo in deroga deve poter essere valutata anteriormente alla cessa- zione del rapporto di agenzia.
A livello di giurisprudenza di legittimità, uno dei primi interventi successivi alla sentenza della Corte di giustizia è stato quello di Cass., 3 ottobre 2006, n. 21309 (in Foro it., 2007, 1205 ss.). Secondo la Corte di cassazione l’interpretazione della Corte di giustizia comporta che l’indennità contemplata dall’accordo economico collettivo del 1992 deve rappresentare per l’agente un trattamento minimo garantito, che può essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spetti all’agente l’indennità di legge in misura maggiore. La Corte di cas- sazione conclude affermando il principio di diritto secondo cui l’art. 1751 comma 6 c.c. si inter- preta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla lu- ce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; la prevista inderogabilità a favore dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. Va segnalata inoltre Cass., 9 ottobre 2007, n. 21088, secondo cui l’art. 19 della direttiva
86/653/CEE deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di giustizia del 23 marzo 2006, nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto, come risultante dalla di- sposizione dell’art. 17 par. 2 della direttiva, non può essere sostituita, in applicazione di un ac- cordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi, a meno che non sia prova- to che l’applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all’agente commerciale un’inden- nità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione di detta disposizione.
La questione della derogabilità delle disposizioni in materia d’indennità di fine rapporto a danno dell’agente è stata poi oggetto della sentenza della Cass. 16 gennaio 2008, n. 687. Questa de- cisione ha ribadito il principio che l’art. 1751 comma 6 c.c. si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, infe- riore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.
Più recentemente si deve segnalare l’intervento di Xxxx. 22 settembre 2008, n. 23966, che ha affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di cessazione del rapporto di agenzia, l’art. 19 della direttiva 86/653/CEE deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di giustizia del 23 marzo 2006, nel senso che la predetta indennità, come risultante dalla disposizione dell’art. 17 par.2 della direttiva, non può essere sostituita, in applicazione di un ac- cordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi, a meno che non sia prova- to che l’applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all’agente un’indennità superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione di tale disposizione. Pertanto l’art. 1751 c.c. va inter- pretato nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore; la prevista inderogabilità a svan- taggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa le- gale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. Questa sentenza specifica che tale conclusione non impone il calcolo dell’indennità in maniera analitica, mediante la stima delle ulteriori provvigioni che l’agente avrebbe presumi- bilmente percepito negli anni successivi alla risoluzione del rapporto, in quanto per l’art. 17 del- la direttiva 86/653/CEE gli Stati membri godono di un potere discrezionale di fissare metodi di calcolo diversi, di carattere anche sintetico, in modo da valorizzare il criterio dell’equità, che ten- ga conto delle circostanze del caso concreto e in particolare delle provvigioni perse dall’agente. In conclusione si noti che l’inderogabilità stabilita dall’art. 1751 comma 6 c.c. è solo “a svan- taggio” dell’agente, non “a vantaggio” del medesimo. Può pertanto capitare che i contraenti concordino delle clausole migliorative rispetto a quelle previste dalla legge. Nella prassi è diffi- cile che ciò accada, stante la disparità di forze fra preponente e agente. Se però dovessero es- sere concordate della clausole più favorevoli per l’agente, tali pattuizioni sarebbero legittime ed efficaci.
Itinerari della giurisprudenza