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IL DIVIETO DI ABUSO DI DIPENDENZA ECONOMICA TRA ABUSO DEL DIRITTO E ABUSO DEL CONTRATTO
1. Introduzione; 2. Il divieto di abuso di dipendenza economica nell’art. 9 l. subfornitura. Conseguenze della violazione (commento a Trib. Xxxxx Xxxxxxx, 00 marzo 2014); 3. La portata dell’art. 9 l. subfornitura (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2011, n. 24906); 4. Divieto di abuso di dipedendenza economica tra abuso del diritto e abuso del contratto (commento a Trib. Bergamo 4 gennaio 2017).
1. Introduzione.
I mutamenti che hanno interessato il processo produttivo hanno determinato una nuova suddivisione del lavoro tra imprese. In particolare, le case produttrici hanno avvertito l’esigenza di affidare ad altre imprese la lavorazione su prodotti semilavorati o su materie prime da esse stesse fornite. Le medesime imprese hanno avertito altresì l’esigenza di acquisire prodotti o servizi destinati a essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito della propria attività economica o nella produzione di un bene complesso, in conformità a propri progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi.
Le esigenze riferite hanno portato alla nascita di un contratto peculiare, non inquadrabile in uno schema tipico, denominato contratto di subfornitura. Tale fattispecie ha posto delicati problemi, tenuto conto che la conclusione e l’esecuzione del contratto sono suscettibili di determinare l’ingresso e la permaneza di una delle due imprese all’interno del mercato. La fornitura di un bene può difatti condizionare la possibilità di realizzare un determinato prodotto finale, di guisa che non disporre di un certo bene significa non poter confezionare un dato prodotto; allo stesso modo, non avere un’impresa alla quale fornire una materia prima può portare alla fuoriuscita dal mercato. In buona sostanza, un’impresa può trovarsi a dipendere da un’altra la quale approfitti di questa situazione per imporre condizioni per sé vantaggiose, a discapito della controparte contrattuale.
Per queste ragioni si è reso necessario un intervento del legislatore, il quale ha dettato un’apposita disciplina in materia di subfornitura con l. 18 giugno 1998, n. 192 (di seguito l. subfornitura), giungendo a sancire in maniera esplicita, all’art. 9, un divieto di abuso di dipendenza economica1.
1 Sull’abuso di dipendenza economica: X. XXXXX, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in X. XXXXXXX (a cura di), La subfornitura nelle attività produttive, Napoli, 1998, p. 297 ss.; X. XXXXXXX, Art. 9 – Abuso di dipendenza economica, in G. DE NOVA, X. XXXXXX, F. XXXXXXX, X. XXXXXXX e X. XXXXXXX (a cura di),
Sennonché, una medesima situazione di dipendenza economica può essere altresì riscontrata nell’ambito di contratti diversi dalla subfornitura, la quale può essere definita come quel contratto mediante il quale un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati a essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente (cfr. art. 1 l. subfornitura).
Eloquenti al riguardo sono i contratti conclusi nel settore della distribuzione integrata di veicoli2, dove una casa madre stipula accordi con imprese concessionarie le quali si obbligano a vendere i veicoli prodotti dalla concedente e a eseguire una serie di ulteriori prestazioni. Non pare inutile allora interrogarsi sulla portata dell’art. 9, cercando di chiarire se si tratti di una norma settoriale, insuscettibile di essere applicata al di fuori del terreno che le è proprio – quello della subfornitura – ovvero se possa essere considerata una norma «transtipica», capace di trovare applicazione a prescindere dalla tipologia contrattuale, ogni qualvolta ricorrano in concreto le medesime esigenze di tutela.
La questione è stata ampiamente discussa tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. La Corte di cassazione a Sezioni unite – come vedremo – sembra aver tacitato il dibattito, riconoscendo alla norma in esame una portata generale, ossia ritenendo che la stessa possa trovare applicazione nei contratti tra imprese, anche al di là dei ristretti confini della subfornitura.
Nondimeno, merita di essere segnalato che, nonostante tale ampliamento, la norma fatica a trovare applicazione nella pur ricca casistica giurisprudenziale, ove l’accertamento in ordine alla sussistenza della dipendenza economica fornisce assai sovente un esito negativo. Il che talvolta conduce le corti a ripiegare sulla categoria dell’abuso del diritto, lasciando spazio a non poche perplessità.
La subfornitura, Milano, 1998, in part. p. 36 ss.; X. XXXXXXX, Subfornitura, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Agg., Torino, 2000, p. 781; X. XXXX e X. XXXXXXX, La subfornitura, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, XI, Torino, 2002, p. 283 ss.; PH. FABBIO, L’abuso di dipendenza economica, Milano, 2006; X. XXXXXXXXX, La subfornitura, in X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX (a cura di), Manuale di diritto privato europeo, II, Proprietà. Obbligazioni. Contratti, Milano, 2007, p. 1073 s.
2 In argomento, X. XXXXXXXXX, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, p. 325; ID., Distribuzione (contratti di), Dig. disc. priv., Sez. comm., V (1990), 66; X.XXXXXXX, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Xxxxxxx, Milano,1983.
Sulla scorta di queste premesse, ci avviamo a considerare in maniera più diffusa l’art. 9 l. subfornitura, per poi focalizzare il conflitto che ha dato origine alla sopra menzionata pronuncia delle Sezioni unite, con la quale la Suprema corte ha posto fine al dibattito sulla sua portata. Successivamente, sposteremo l’attenzione sull’accertamento della dipendenza economica e tenteremo di porre in evidenza i risvolti – sul piano teorico e pratico – di una interpretazione particolarmente rigorosa di tale requisito.
2. Il divieto di abuso di dipendenza economica nell’art. 9 l. subfornitura. Conseguenze della violazione (commento a Trib. Xxxxx Xxxxxxx, 00 marzo 2014).
Cominciamo dall’ art. 9 l. subfornitura, il quale definisce la situazione di dipendenza economica come la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.
La disposizione offre all’interprete un criterio per valutare la sussistenza del predetto squilibrio, là dove prevede che la dipendenza economica debba essere valutata tenendo conto «anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti».
Quanto all’abuso, l’art. 9 riporta un’elencazione esemplificativa di condotte, ma si tratta di un novero aperto, suscettibile di arricchirsi di volta in volta, sulla base del caso concreto. La disposizione richiama una serie di comportamenti diversi tra loro, i quali possono essere realizzati tanto nella fase delle trattative e al momento della conclusione del contratto tanto nella successiva fase dell’esecuzione. In particolare, l’abuso può consistere nel rifiuto di vendere o di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.
Venendo alle conseguenze scaturenti dalla violazione del divieto, può osservarsi che l’art. 9 contempla sanzioni sia di carattere privatistico che pubblicistico, con competenza anche dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, a testimonianza della duplice natura dell’istituto (il quale rappresenta invero una specificazione del divieto di abuso di posizione dominante). Nel dettaglio, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato può procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell’attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell’istruttoria.
Riguardo alle sanzioni di carattere privatistico, l’art. 9 sancisce in maniera espressa la nullità del patto attraverso il quale si realizza l'abuso. Completano il quadro la tutela inibitoria e risarcitoria.
Il rimedio della nullità dell’intero contratto è apparso in questo contesto inidoneo a tutelare adeguatamente la parte che subisce l’abuso. Difatti, nei rapporti di durata, l’interesse del contraente debole è proprio quello di proseguire il rapporto contrattuale.
Da qui gli sforzi della giurisprudenza, tesi a individuare una soluzione più rispondente alle finalità della disciplina in esame. In particolare, nel tentativo di risolvere la questione, è stata riconosciuta la possibilità di colpire soltanto le singole clausole contrattuali riconducibili all’abuso. A questa soluzione è giunto il Tribunale di Massa Carrara3, in un caso che è stato definito «pilota», in quanto in tale occasione ha trovato probabilmente per la prima volta applicazione l’art. 9 l. subfornitura, nella parte in cui dispone la nullità dei patti che realizzano l’abuso. La controversia si era originata nell’ambito di un contratto di somministrazione di carburanti misto a comodato di attrezzature. Il contratto conteneva una clausola che prevedeva l’esclusiva della fornitura, per cui il gestore non avrebbe potuto rifornirsi da altre compagnie petrolifere. Nell’accordo era contemplata altresì una clausola che consentiva alla società somministrante di determinare in maniera unilaterale e senza alcuna limitazione il prezzo del carburante alla pompa. La compagnia petrolifera effettuava differenziazioni sui prezzi di cessione dei carburanti ai vari gestori dei distributori appartenenti al proprio marchio, ed imponeva al gestore ricorrente di praticare un prezzo molto più alto di quello imposto agli altri gestori.
Il giudice non ha esitato ad applicare al caso di specie l’art. 9 l. subfornitura, riferibile al rapporto tra gestore e compagnia petrolifera in virtù dell’art. 17, comma 3, d.l. n. 1 del 2012, convertito in l. n. 27 del 20124. Il Tribunale ha ritenuto che ricorresse un abuso di dipendenza economica, in ragione della presenza delle anzidette clausole, ed ha dichiarato la nullità parziale della clausola relativa al prezzo. Ma una volta fatto ciò, il decidente ha dovuto risolvere un’altra questione: quella concernente la clausola relativa alla determinazione del prezzo da praticare alla pompa. Il giudice ha ritenuto di poter
3 Trib. Xxxxx Xxxxxxx, 00 marzo 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2015, con nota di X. XXXXXXXX, La clausola squilibrata è nulla per abuso di dipendenza economica e il prezzo lo fa il giudice: note a margine di un caso pilota, 218 ss.
4 Il quale recita testualmente: «I comportamenti posti in essere dai titolari degli impianti ovvero dai fornitori allo scopo di ostacolare, impedire o limitare, in via di fatto o tramite previsioni contrattuali, le facoltà attribuite dal presente articolo al gestore integrano abuso di dipendenza economica, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192»
rideterminare tale prezzo, facendo riferimento al prezzo imposto dal somministrante ad altro gestore affiliato alla propria rete commerciale e operante nel medesimo mercato. In quest’ottica, ad avviso del giudice, non sarebbe stata violata l’autonomia negoziale del somministrante, perché il prezzo considerato era stato determinato da costui, ancorché nell’ambito di un rapporto con un soggetto diverso.
Per addivenire a sì fatta soluzione, il Tribunale si è chiesto se fosse possibile applicare l’art. 1339 c.c. In verità, la risposta sembrerebbe negativa: la norma richiede che si tratti di clausole, prezzi di beni o di servizi imposti dalla legge. In questo caso però non vi erano clausole o prezzi imposti dalla legge, quindi la norma non avrebbe potuto trovare applicazione. Tuttavia, il giudice ha ritenuto di poter procedere a una sostituzione della clausola pattizia con una previsione diversa, sulla base di un non precisato «divieto di pratiche discriminatorie». Segnatamente, il giudicante ha ritenuto di dover esaminare la questione nell’ottica della tutela del contraente debole e della dissuasione di condotte discriminatorie: l’intervento integrativo giudiziale sarebbe consentito nei casi come quello di specie, perché diversamente opinando la parte debole non riceverebbe tutela. Se infatti fosse dichiarato nullo l’intero contratto, il gestore sarebbe costretto a trovare un nuovo somministrante, e questo piuttosto che tutelarlo lo danneggerebbe ulteriormente. Il divieto di discriminazione consentirebbe di individuare la regola del caso concreto per relationem e cioè con riferimento al regolamento contrattuale previsto nelle situazioni analoghe, che fungono da termine comparativo, per cui l’intervento del giudice non sarebbe in questi casi «creativo». D’altra parte, secondo quanto si legge nella pronuncia in commento, l’autonomia negoziale del somministrante non sarebbe stata meritevole di essere tutelata, quindi l’interesse del gestore sarebbe risultato prevalente.
3. La portata dell’art. 9 l. subfornitura (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2011, n. 24906). Come anticipato in premessa, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla portata dell’art. 9 l. subfornitura, domandosi se lo stesso potesse trovare applicazione anche al di fuori del contratto di subfornitura5. Dirimente è stato sul punto un intervento della Corte di cassazione6.
5 In questa direzione, già X.XXXXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica fra legge speciale e disciplina generale del contratto, in X.XXXXXXX (a cura di), Xxxxxxxxxx e usura nei contratti, cit., 499; X.XXXXX, X.XX NOVA, Il Contratto, I, in Tratt. dir. civ., diretto da X. XXXXX, Utet, Torino 2004, 611; X.XXXXXXX, Abuso diautonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese, cit., 684. Sulla possibilità di estendere il principio ai contratti in generale si interroga X.XXXXXXXX, Abuso di dipendenza economica ed obbligo a contrarre, Napoli, 2008, 14. In giurisprudenza, di recente, Trib. Roma, 1marzo 2017, nega tale prospettiva,
La controversia che ha dato origine alla decisione muoveva da un’ipotesi di recesso. Nei rapporti di durata, tale diritto consente di porre un termine al contratto. Per tale ragione, l’ordinamento non osta all’inserimento di una clausola contrattuale che attribuisca un diritto di recesso ad nutum. Tuttavia, l’esercizio di tale diritto, soprattutto nell’ambito di taluni rapporti, come quelli di distribuzione, può comportare un pregiudizio alle ragioni della parte che si trova in una situazione di dipendenza economica.
Nel caso di specie, la Società Alfa e la Società Beta avevano stipulato un contratto di distribuzione di veicoli. La società Beta aveva posto in essere comportamenti soltanto in parte apparentemente consentiti dal contratto di concessione di vendita delle macchine, con obbligo di esclusiva. Tali comportamenti, ad avviso della società Alfa, integravano delle vere e proprie ipotesi di abuso di dipendenza economica, determinando dapprima un indebolimento e in seguito crisi una crisi della Società Alfa; la quale era stata addirittura costretta a chiedere l’ammissione al concordato preventivo. La Alfa era stata spinta dalla società Beta a investire in settori poco profittevoli, in quanto quest’ultima: aveva modificato i termini di pagamento previsti nel contratto; aveva escluso la Alfa dal servizio fornito dalla Finanziaria Beta; si era avvalsa della facoltà concessagli dal contratto per negare l'ingresso nella compagine azionaria dell'ing. T.; soprattutto, aveva esercitato il recesso dal contratto, come pure pattiziamente previsto, ma senza negoziare le condizioni in termini di parità.
La Corte di cassazione a S.U., ancorché in linea di obiter dictum, ha affermato che l’art. 9 l. subfornitura configura una fattispecie di applicazione generale, che può prescindere
escludendo l’applicabilità dell’art. 9 ai contratti bancari. Ad avviso del Tribunale, il legislatore non si riferisce a tutte le situazioni di dipendenza economica tra imprese, ma solo a quelle che, come la subfornitura, si collocano in un contesto incui diversi operatori si coordinano per la realizzazione di un unico processo economico, dando luogo ad una integrazione «verticale» delle rispettive attività. Di conseguenza, il Tribunale ritiene non condivisibile estrapolare il precetto da quel contesto normativo per farlo assurgere a norma di generale applicazione a rapporti caratterizzati da squilibrio tra le posizioni contrattuali.
6 Cass., Sez. Un., 25 novembre 2011, n.24906, in Nuova giur. civ. comm., 1/2012, 298, con nota di X.X.XXXXXX, La natura della responsabilità da abuso di dipendenzaeconomica tra contratto, illecito xxxxxxxxx e culpa in contrahendo. La fattispecie che ha portato alla pronuncia in commento era particolarmente complessa. Tant’è che, sebbene in via di principio la Cassazione abbia ammesso l’operatività dell’art. 9 l. subfornitura al di fuori del predetto contratto, nel caso oggetto di decisione la norma non ha potuto trovare applicazione, in quanto nell’accordo era contemplata una clausola che deferiva a un giudice straniero le controversie in materia di responsabilità contrattuale. A tal proposito, la Corte ha richiamato l’abuso del diritto come delineato a partire dal 2009, per affermare la natura contrattuale della responsabilità discendente dalla condotta abusiva della convenuta, riconoscendo la giurisdizione del giudice straniero. Sulle statuizioni della Corte in ordine alla natura di siffatta responsabilità si sofferma X.X.XXXXXX, op. cit., 302 ss.
dall’esistenza di uno specifico rapporto di subfornitura, la quale presuppone, in primo luogo, la situazione di dipendenza economica di un’impresa cliente nei confronti di una sua fornitrice, in secondo luogo, l’abuso che di tale situazione venga fatto, determinandosi un significativo squilibrio di diritti e di obblighi.
A sostegno di tale conclusione la Cassazione ha valorizzato il dato letterale della disposizione. L’art. 9 l. subfornitura parla infatti di «imprese clienti o fornitrici». Il termine
«cliente» non è presente altrove nel testo della l. subfornitura, pertanto sembra che la Suprema corte abbia così ragionato: se il legislatore avesse voluto riferirsi solo al contratto di subfornitura avrebbe parlato di impresa «committente»; discorrendo di impresa
«cliente» il legislatore avrebbe invece inteso riferirsi a qualsiasi contratto.
4. Divieto di abuso di dipedendenza economica e abuso del diritto (commento a Trib. Bergamo 4 gennaio 2017).
Occorre domandarsi, in quest’ultimo tratto d’indagine, se sia ammissibile un sindacato del giudice sulle singole previsioni contrattuali, anche là dove l’art. 9 non possa trovare applicazione. È sorto al riguardo un dibattito che vede schierati, da un lato, coloro che danno una risposta negativa all’interrogativo testè prospettato; dall’altro, coloro che ritengono invece possibile un sindacato giudiziario sull’atto di autonomia negoziale.
Quest’ultimo orientamento sembra essere alla base di una interessante ordinanza del Tribunale di Bergamo7, pronunciata nell’ambito di una controversia in materia di concessione di vendita. Nel caso di specie il contratto conteneva una clausola che attribuiva al produttore la facoltà di recedere ad nutum. Costui si era avvalso di tale facoltà, dando un preavviso di tre mesi, conformemente alle previsioni contrattuali.
La concessionaria aveva agito in via cautelare, lamentando un abuso di dipendenza economica e chiedendo l’applicazione dell’art. 9 l. 18 giugno 1998, n. 192. La concessionaria si doleva, inoltre, dell’imposizione, ad opera della controparte, di una serie di clausole vessatorie.
Il Tribunale si è dapprima soffermato sulla portata del citato art. 9, riferendolo a tutti i rapporti contrattuali tra imprese, secondo l’indirizzo consacrato dalla Sezioni unite della Corte di cassazione. Ha focalizzato, poi, la dipendenza economica, analizzando il criterio dell’impossibilità di reperire alternative.
Esaminando la fattispecie concreta, il giudice non ha riscontrato una situazione siffatta, pertanto ha ritenuto di dover escludere la dipendenza economica, in virtù di due rilievi. In
7 Tribunale di Bergamo, 4 gennaio 2017.
primo luogo, la ricorrente non aveva fatto alcun investimento specifico; inoltre, la stessa non aveva fornito alcuna prova in ordine all’impossibilità di reperire alternative soddisfacenti sul mercato. In particolare, era emerso che la concessionaria si era limitata a concludere un contratto di locazione; tale investimento difettava peraltro del requisito della specificità, in quanto nella nuova sede la società commercializzava non soltanto trattori provenienti dall’impresa recedente, ma anche escavatori riferibili ad altre aziende. L’unico investimento specifico che avrebbe dovuto essere fatto, in esecuzione del contratto, consisteva nell’allestimento di un’officina interna; la quale non era stata, però, mai realizzata. Rispetto all’impossibilità di reperire alternative, ad avviso del Tribunale, il concessionario avrebbe dovuto provare di aver tentato d’intraprendere, senza successo, una trattativa con un’altra impresa; la quale si poneva agli stessi livelli di mercato della recedente e si trovava ad operare, proprio in quel periodo, sul medesimo territorio.
Ciononostante, il Tribunale ha accolto il ricorso presentato in via cautelare, seguendo il seguente ragionamento: «In presenza di un partner forte, il comportamento della casa madre assume rilievo «alla luce della teorica della buona fede e dell’abuso del diritto in generale. A far tempo dal leading case di Xxxx., 18 settembre 2009, n. 20106/2009, la giurisprudenza di legittimità afferma la possibilità di un sindacato giudiziario dell’atto di autonomia privata, nell’ottica di pervenire a un bilanciamento o equilibrio dei contrapposti interessi. Con peculiare riferimento all’ipotesi del recesso, si evidenzia la necessità di una “procedimentalizzazione” dell’atto, che si sostanzia nella previsione di trattative, nel riconoscimento di indennità, etc. Non è in discussione la libertà del concedente di svincolarsi dal contratto, per ridisegnare la propria rete di vendita, optando per un altro concessionario, ma si tratta anche di garantire la controparte, consentendole a sua volta di riorganizzarsi, entro un congruo periodo di tempo. Da questo punto di vista il recesso intimato entro il termine di soli tre mesi, pur in conformità alle previsioni contrattuali e a fronte di un rapporto di lunga durata, presenta sicuramente dei profili di “abusività”».
Sulla scorta di queste premesse il giudice è giunto alla seguente conclusione: «Equo e pertinente alla fattispecie concreta pare piuttosto il termine di un anno a far tempo dalla comunicazione del recesso».
Una sì fatta argomentazione sembra lasciare spazio a non poche perplessità. In primo luogo, merita di essere osservato che non viene esplicitato il fondamento del sindacato del giudice sull’atto di autonomia; né viene giustificata l’affermazione relativa alla procedimentalizzazione del recesso (probabilmente, il giudice si è implicitamente richiamato alla funzione integrativa della buona fede). Inoltre, il passaggio dall’ultima premessa alla conclusione non è scontato, anzi, sembra esserci un salto nel ragionamento
del Tribunale, perché una cosa è dire che il recesso debba essere in concreto esercitato in modo da non ledere l’interesse della controparte, altra cosa è sindacare le modalità di recesso (preavviso di tre mesi) pattuite dalle parti. In definitiva, il giudice sembra aver legato l’esercizio abusivo del diritto di recesso all’abuso di potere contrattuale, nella specie consistente nell’imposizione di una clausola sul recesso che potrebbe essere considerata vessatoria.
Detto rilievo impone di soffermarsi più diffusamente sul tema dell’abuso di potere contrattuale, il quale ricorre allorquando una parte si serva della propria forza contrattuale per imporre all’altra parte condizioni svantaggiose, così da determinare uno squilibrio rilevante («significativo» o «eccessivo») tra i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto stesso. L’abuso del potere contrattuale non presuppone – a differenza dell’abuso del diritto
– una deviazione dell’atto di esercizio dalla situazione sottostante, ma si configura nell’ipotesi in cui si approfitti di una situazione contingente la quale attribuisce a una parte una maggiore forza contrattuale, consentendo ad essa d’imporre condizioni gravose8.
Siffatto paradigma non sarebbe estraneo ad alcune previsioni codicistiche, quali gli artt. 1341, 1447 e 1448, ma gran parte delle disposizioni ad esso riconducibili si rintracciano nella legislazione speciale: in primo luogo, lo stesso art. 9, l. n. 192 del 1998; inoltre, l’art. 3, l. n. 287 del 1990, in materia di abuso di posizione dominante; l’art. 7, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, riguardante la clausola di dilazione dei termini di pagamento; l’art. 52, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. codice del consumo, relativamente ai contratti stipulati telefonicamente; l’art. 34 del citato codice, in tema di clausole vessatorie. In tutte le fattispecie richiamate, l’imposizione di determinate clausole ad opera della parte forte e a detrimento della parte debole apre la via a una pluralità di rimedi, tra i quali spicca anche l’invalidità.
Tali disposizioni consentirebbero di configurare una categoria autonoma, in grado di trovare applicazione ogni qual volta una parte forte si trovi in grado di imporre alla controparte condizioni inique. Sul fondamento di tale categoria, tuttavia, si registrano
8 Già X. XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., p. 235 rilevava che l’approfittamento della minore forza negoziale dell’altro contraente non integrasse propriamente un abuso del diritto. Sul punto si è soffermato ulteriormente X. XXXXXXX, Abuso del diritto e autonomia privata, in X. XXXXXXXXXXX (a cura di), Abuso del diritto e buona fede nei contratti, cit., p. 138 ss., il quale ha efficacemente evidenziato che nelle ipotesi riconducibili allo schema dell’abuso di potere contrattuale il limite alla libertà negoziale del soggetto (diretto a impedire che costui commetta l’abuso) non è posto per assicurare l’aderenza dell’esercizio di tale libertà alla razionalità ad essa sottesa, bensí a tutela dell’altra parte, la cui libertà negoziale risulta minacciata dalle proprie condizioni di debolezza.
incertezze. Soprattutto in giurisprudenza si rinvengono riferimenti al principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost, il quale unificherebbe le disposizioni richiamate e troverebbe ingresso nel rapporto contrattuale per il tramite della clausola generale di buona fede e correttezza, la quale verrebbe così trascinata sul terreno delle regole di validità. Sennonché, la Cassazione a Sezioni unite si è mostrata scettica verso una sì fatta ricostruzione, ritenendo tali previsioni insufficienti a scardinare la consolidata partizione tra regole di validità e regole di comportamento9, così ricollocando la clausola di buona fede e correttezza sul terreno che le è proprio, ossia quello delle regole di comportamento, la violazione delle quali non autorizza il ricorso al rimedio demolitorio, lasciando spazio invece alla tutela risarcitoria.
Nelle fattispecie non riconducibili ad alcuna delle riferite previsioni, per difetto di presupposti in astratto ovvero in concreto, la condotta del contraente dotato di maggiore forza contrattuale appare in definitiva risolversi in una condotta contraria alla clausola generale di buona fede e correttezza, alla quale non pare riconducibile altro rimedio se non quello risarcitorio.
La riscontrata non conformità del contegno rispetto alla clausola generale di buona fede e correttezza non è dunque sufficiente ad autorizzare un sindacato del giudice sul contenuto del negozio in termini di validità; controllo che possa sfociare, di séguito, in un intervento sulla determinazione convenzionale imposta dal contraente x.x. xxxxx a scapito di quello debole.
9 Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Danno resp., 2008, p. 525 ss., con nota di X. XXXXX, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf; in Dir. fall., 2008, p. 1 ss., con nota di X. XXXXXXX, Xx (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione (S.U.) 19 dicembre 2007, n. 26725. Sulla pronuncia, altresí: X. XXXXXXX, Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in Contratti, 2008, p. 393 ss.; X. XXXXXXX, Discipline preventive nei servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, ibidem, p. 403 ss. Nell’ordinanza della prima sezione, che ha rimesso la questione alle Sez. un. (Cass., 16 febbraio 2007, n. 3684), la Suprema corte ha riconosciuto che il tradizionale principio di non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validità del negozio è stato incrinato da molteplici interventi del legislatore: essi assegnerebbero rilievo al comportamento contrattuale delle parti anche ai fini della validità del contratto. Le stesse Sez. un. hanno preso atto di questo dato; hanno tuttavia ribadito l’opportunità di mantenere la separazione, reputando la tendenza riscontrata non ancora sufficiente a giustificare una diversa soluzione (Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, cit.). In senso contrario, X. XXXXXXXXXXX, L'inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Napoli, 2013, p. 9 ss., il quale ritiene che l’allargamento dell’orizzonte all’integrazione europea abbia eroso in maniera sostanziosa la valenza delle categorie tradizionali, incapaci di adeguarsi, nella loro rigidità, agli interessi di nuova emersione e alla duttilità dello strumentario rimediale dettato dalla legislazione di derivazione comunitaria.
Adottando questa prospettiva, in presenza di una disparità «qualificata», tale cioè da integrare una dipendenza economica, l’impresa debole può attivare, in caso di abuso, i rimedi previsti dalla l. n. 192 del 1998, ossia: nullità della clausola, inibitoria, risarcimento del danno. Laddove la disparità di forza non presenti i caratteri della dipendenza economica – ed è questo il caso deciso dall’ordinanza in esame – sembra prospettarsi per la parte «debole», al piú, una tutela risarcitoria10, rimanendo invece valida la pattuizione11. In conclusione, è molto probabile che un’influenza nel senso di orientare il Tribunale all’opinabile decisione in esame sia stata esercitata proprio dalla riscontrata posizione di forza o di supremazia dell’una impresa nei riguardi dell’altra. Tale dato rappresenta la chiave di volta dell’intera argomentazione del giudicante; ad avviso del quale, «in presenza di un partner forte», se non in virtú dell’art. 9, l. subfornitura, il contegno consistente nel recesso sarebbe «rilevante alla luce della teorica della buona fede e dell’abuso del diritto in generale». Dopo aver constatato l’impossibilità di offrire tutela all’impresa debole mediante l’applicazione della norma sul divieto di abuso di dipendenza economica, il giudice ha fatto riferimento alla buona fede e all’abuso del diritto. Non potendo tale argomentazione consentire, del pari, una soluzione favorevole alla concessionaria, l’estensore si è spinto oltre, ammettendo un sindacato sull’atto di autonomia privata, passando dal piano dei comportamenti a quello concernente la valutazione delle determinazioni convenzionali e intervenendo sulle medesime, modificando l’estensione del termine di preavviso e così adottando una soluzione che desta seri dubbi sul piano sistematico.
Un’argomentazione differente era possibile. Volendo cercare una soluzione nella clausola generale di buona fede e correttezza, il giudice avrebbe potuto ritenere contraria ad essa non la previsione attributiva del diritto bensí la condotta dell’impresa, ponendo eventualmente l’accento sul contegno tenuto dalla recedente negli incontri precedenti,
10 Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Contr. impr., 2005, p. 892 ss., con commento di X. XXXXX, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), confermata da Xxxx., Sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.; Xxxx., Sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26725 (e 26724), in Obbl. contr., II, 2008, p. 104 ss., con commento di X. XXXXXXX, Regole di validità e responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio. La Cassazione ha precisato in quell’occasione che le regole di validità non esauriscono ogni altra valutazione dei contegni relativi alla fase formativa, sicché la responsabilità precontrattuale o contrattuale può essere affermata anche in presenza di un contratto già concluso e valido.
11 Tale soluzione sembra riferibile pur sempre al tema della giustizia contrattuale, ma si distacca dalla c.d. substantive justice, mantenendosi nei limiti di quella procedural justice da cui non pare discostarsi X. X’XXXXXX, o.c., p. 176 ss., cui si rinvia per un approfondimento della cennata distinzione.
richiamandosi al divieto di venire contra factum proprium e verificando se tale comportamento fosse idoneo a far sorgere un affidamento circa il mancato o comunque non imminente esercizio del recesso. In alternativa, spostandosi su un piano diverso, il Tribunale avrebbe potuto rilevare una condotta contraria a buona fede nella fase della conclusione del contratto, consistente nell’imposizione di condizioni gravose. Ad ogni modo, ciò non avrebbe autorizzato il giudice a modificare – come invece ha fatto – il termine contemplato nella previsione attributiva del recesso, perché ritenuto non «equo e pertinente».
Una soluzione avrebbe potuto essere rintracciata, ancora, scegliendo una diversa opzione, ossia considerando le norme in materia di recesso nell’àmbito del contratto di agenzia.
La pronuncia in commento reca allora con sé un equivoco di fondo: il contemperamento tra gli interessi delle parti, pur riferibile alla clausola di buona fede e correttezza, non consente al giudice di intervenire in senso contrario alle determinazioni convenzionali. Il decidente si è servito – in maniera discutibile – della categoria dell’abuso del diritto. Quest’ultimo presuppone una possibilità di scelta tra diverse modalità di esercizio, ma proprio per tale ragione esso, cosí configurato, non risulta pertinente al caso in esame, in cui questa possibilità non era data.