Contract
Il contratto preliminare di vendita immobiliare
a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxx
Il contratto preliminare costituisce uno strumento negoziale assai duttile e sempre attualissimo, diffusa- mente utilizzato per far fronte a svariate esigenze presenti nella realtà economica e sociale. Lo studio si prefigge la finalità di rappresentare i principali passaggi segnati dalla giurisprudenza in ordine alle que- stioni più nodose in materia di contratto preliminare di vendita immobiliare, con particolare riferimento al- le specifiche ipotesi di preliminare di vendita con effetti anticipati e di preliminare di vendita di beni altrui.
Funzione giuridica
tradizionale
Il contratto preliminare è tradizionalmente definito come un contratto con il quale le parti contraenti si obbligano alla conclusione, in un tempo successivo, di un altro contratto, denominato definitivo, del quale deve contenere gli elementi di carattere essenziale (pac- tum de contrahendo).
Accade sovente nella prassi negoziale che le parti intraprendano un percorso di progres- sivo avvicinamento, giungendo per tappe intermedie ad un condiviso ed unitario assetto degli interessi coinvolti nella relativa operazione economica; in tale caso le parti talvolta possono anche convenire sul reciproco interesse ad obbligarsi a vicenda alla stipulazione successiva del contratto con il quale produrre gli effetti giuridici programmati, dovendo nel frattempo provvedere a varie incombenze e necessità come, a titolo meramente esemplificativo, il reperimento delle risorse finanziarie alle migliori condizioni economi- che presenti sul mercato ovvero la verifica in concreto della sussistenza dei requisiti e delle condizioni ritenute di volta in volta rilevanti ai fini della definitiva conclusione dell'af- fare.
Anche se il modello del contratto preliminare sia di per sé applicabile a qualsiasi tipo di fattispecie contrattuale, è altrettanto indubitabile che il suo campo elettivo di applicazio- ne sia di fatto quello della compravendita avente ad oggetto beni immobili.
In tale ambito infatti le parti contraenti nella effervescente dinamica del mercato immobi- liare hanno spesso trovato di spiccata utilità la sottoscrizione di un contratto preliminare al fine di bloccare l'affare in attesa di procedere alle verifiche (per esempio accertamenti ipocatastali) ed adempimenti (accensione di contratti di mutuo e/o liquidazione di risorse finanziarie investite in titoli) necessari alla conclusione del negozio definitivo e traslativo del diritto dominicale sul bene compravenduto.
Non è quindi casuale che proprio in ordine al preliminare di vendita immobiliare si siano sviluppati i più interessanti orientamenti giurisprudenziali in materia; orientamenti che, nella stringente laconicità del dato positivo, hanno efficacemente contribuito alla delinea- zione giuridica delle relative peculiarità sia sul piano strutturale che funzionale, scioglien- do e superando alcuni dei principali nodi ermeneutici che ne impedivano una più larga e sicura diffusione nella prassi negoziale.
Preliminare di vendita
immobiliare
In tema di preliminare di vendita la giurisprudenza si è resa protagonista di un percorso interpretativo di rilevante portata, giungendo ad estendere in modo significativo al con- tratto preliminare le forme di tutela e le regole normative dettate per il contratto traslati- vo di vendita.
In base a risalente giurisprudenza, in caso di vizi del bene promesso in vendita, la do- manda del promissario acquirente tendente ad ottenere non la risoluzione per inadempi- mento contrattuale ma l'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare, con contestuale richiesta di riduzione del prezzo ovvero di condanna alla eliminazione dei vizi riscontrati, non poteva trovare accoglimento in quanto si riteneva che la sentenza costi- tutiva emanata ex art. 2932 del codice civile non potesse modificare le pattuizioni conte- nute nel contratto preliminare e che l'azione di garanzia per i vizi del bene presuppones- se non un mero contratto preliminare ma la conclusione di un contratto traslativo di compravendita (per il c.d. principio di equiparazione tra preliminare e definitivo, ex pluri- mis, Cass. n. 167/1976).
Il tradizionale orientamento giurisprudenziale era infatti graniticamente arroccato sulla necessaria identità di contenuto tra contratto preliminare e sentenza costitutiva, quale
necessario corollario del principio consensualistico e del dogma della volontà da sempre riconosciuti in materia negoziale (Cass. n. 4081/1968; Cass. n. 222/1973).
Tale orientamento alla fine degli anni settanta veniva messo in discussione da alcune sentenze della Suprema Corte che riconoscevano finalmente al promissario acquirente la possibilità di chiedere ed ottenere, contestualmente all'emissione della sentenza costitu- tiva ex art. 2932 c.c., la riduzione del prezzo di acquisto in presenza di vizi del bene pro- messo in vendita, estendendo così al contratto preliminare un rimedio generalmente ap- plicabile alla categoria dei contratti sinallagmatici funzionalmente analoga all'azione quanti minoris accordata nell'ambito di un contratto traslativo di compravendita (Cass. n. 2679/1980; Cass. sez. un. 27 febbraio 1985, n. 1720); un passaggio giurisprudenziale im- portante, che consolidava i progressi raggiunti per la prima volta con la sentenza n. 4478/1976 con la quale la Suprema Corte aveva innovativamente riconosciuto al promis- sario acquirente il diritto di sperimentare, contestualmente all'azione costitutiva ex art. 2932 c.c., quale alternativa alla domanda di risoluzione del contratto preliminare, l'azione di condanna all'eliminazione dei vizi del bene promesso in vendita, in ragione della insus- sistenza di preclusioni giuridiche alla tutela ordinaria esercitabile con l'azione di esatto adempimento.
La svolta di Cass. sez. un. n. 1720/1985
Intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale tra il risalente orientamento giuri- sprudenziale e il nuovo approccio ermeneutico inaugurato con la sentenza n. 4478/1976, le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza 27 febbraio 1985 n. 1720 ( in questa Rivista, 1985 6, 627) cristallizzavano un importante momento di svolta, consentendo la diretta applicabilità di norme di tutela prima considerate di esclusiva pertinenza del con- tratto di compravendita.
Tale sentenza, infatti, aderendo al nuovo indirizzo giurisprudenziale che consentiva una più ampia tutela della posizione del promissario acquirente, affermava alcuni principi di diritto che costituiranno importanti riferimenti per l'evoluzione successiva della giurispru- denza in materia fino ai giorni nostri.
La prima questione affrontata riguardava la necessaria identità del bene indicato nel pre- liminare con quello oggetto di azione costitutiva.
L'indirizzo tradizionale escludeva l'esperibilità dell'esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. in caso di non perfetta coincidenza del bene promesso in vendita con quello oggetto di esecuzione specifica a causa di difformità o vizi, non potendosi sostituire o surrogare la volontà espressa dai contraenti in sede di contratto preliminare.
Premessa la piena condivisione della mancanza di condizioni allorquando il bene si pre- sentava come essenzialmente diverso rispetto a quanto pattuito e previsto nel prelimina- re, la Suprema Corte introduceva un temperamento, distinguendo a tale fine le difformità e i vizi incidenti sulla struttura e sulla funzione del bene e le difformità e vizi non sostan- ziali e di carattere secondario, tali da permettere comunque la destinazione del bene al- l'uso convenuto dalle parti e da incidere esclusivamente sul valore o su non rilevanti mo- dalità di godimento, con la conseguenza di escludere soltanto nel primo caso l'azione co- stitutiva ex art. 2932 c.c.
Nella seconda ipotesi delineata la Suprema Corte affermava invece che negare l'esperibi- lità dell'azione ex art. 2932 c.c. non soltanto non avrebbe avuto alcuna seria giustificazio- ne giuridica ma avrebbe paradossalmente consentito al promittente venditore di potersi sottrarre agevolmente dal puntuale rispetto degli obblighi assunti con il preliminare sem- plicemente apportando al bene modifiche anche di trascurabile rilevanza.
Esigenze sistematiche di tutela sostanziale degli interessi delle parti contraenti induceva- no invece certamente ad una opzione ermeneutica diversa soprattutto allorquando il pro- missario acquirente era disposto ad accettare il bene nonostante la presenza di vizi o dif- formità.
In tale ultimo caso, infatti, ragionando diversamente, si giungerebbe a negare tutela sul piano giuridico proprio al contraente meritevole, consentendo invece al promittente ven- ditore inadempiente di portare a termine il proprio eventuale scopo di sottrarre illecita- mente il bene promesso in vendita all'azione esecutiva specifica intentata dal promissa- rio acquirente.
Le Sezioni Unite concludevano quindi esprimendo il principio di diritto secondo il quale « inesattezze e difformità della cosa non ostano all'applicazione dell'art. 2932 c.c., tranne che, per incensurabile apprezzamento del giudice del merito, detti vizi e difformità siano tali da rendere radicalmente diverso il bene rispetto a quello pattuito».
Una "radicale diversità" da valutare necessariamente caso per caso, sia sul piano struttu- rale che su quello funzionale della destinazione d'uso del bene promesso in vendita, sag- giando la rilevanza in concreto dei vizi e difformità all'uopo effettivamente riscontrati.
Una volta giunte a tale preliminare conclusione le Sezioni Unite passavano a trattare del- la questione giuridica della compatibilità di domande giudiziarie aventi diverso contenuto nell'ambito di un giudizio introdotto ai sensi dell'art. 2932 c.c.
Premessa la facile constatazione dell'insufficienza del rimedio ex art. 2932 c.c., la senten- za scandagliava tutte le altre possibili forme di tutela integrative e tali da esaurire la tute- la contro l'inadempimento dell'obbligo di concludere il contratto definitivo.
In tale analitica operazione ermeneutica la Suprema Corte, dopo aver dichiarato la pacifi- ca esperibilità della domanda di risarcimento del danno ex art. 1218 c.c. conseguente- mente al rifiuto di contrarre opposto dal promittente venditore, giungeva innovativamen- te ad ammettere anche l'azione di riduzione del prezzo.
La Corte, infatti, riconosceva che, in assenza di tale possibilità, il contraente interessato ad ottenere il bene in proprietà sarebbe stato costretto a versare lo stesso prezzo pattuito nel preliminare nonostante la presenza di vizi e difformità che ne diminuivano il valore; conseguenza inaccettabile in quanto realizzativa di un regolamento definitivo degli inte- ressi sostanziali diverso da quello pattuito nel preliminare, in piena contraddizione non soltanto con il contenuto precettivo del contratto preliminare ma anche con il contenuto sostanziale dello stesso; contenuto sostanziale espressione dell'assetto degli interessi delle parti e dell'equilibrio sinallagmatico evincibili dal contratto preliminare.
In conclusione la riduzione del prezzo, riportando in equilibrio le contrapposte prestazioni delle parti contraenti, consentiva di recuperare in sede giudiziaria e in chiave conservati- va l'assetto negoziale degli interessi coinvolti nel preliminare.
In prospettiva sistematica la Corte Suprema rilevava che opinando diversamente ci sa- rebbe stato un vulnus nel sistema di tutela giuridica del promissario acquirente in caso di difformità non gravi del bene promesso in vendita; quest'ultimo infatti non avrebbe potu- to ottenere la riduzione del prezzo esperendo l'azione costitutiva e neppure avrebbe po- tuto ottenere la risoluzione del contratto in presenza di scarsa importanza dell'inadempi- mento ex art. 1455 c.c. .
In conclusione la Suprema Corte, premessa l'inerenza della garanzia della vendita al te- ma generale dell'inadempimento contrattuale, ammetteva contestualmente all'azione co- stitutiva ex art. 2932 c.c. l'esperibilità dell'azione di riduzione del prezzo in quanto rime- dio avente natura conservativa (quindi assolutamente preferibile al mero effetto caduca- torio della risoluzione) e di carattere generale, come tale estensibile a tutti i contratti si- nallagmatici con prestazioni corrispettive.
La Suprema Corte, quindi, ammettendo l'esperibilità di rimedi conservativi e riequilibrati- vi degli assetti contrattuali programmati con il contratto preliminare, poneva le basi per una rilevante diffusione di questo duttile strumento contrattuale in grado di adattarsi ela- sticamente alle svariate esigenze avvertite nella prassi negoziale.
Preliminare di vendita ad effetti anticipati
La giurisprudenza culminata nella sentenza delle Sezioni Unite della cassazione n. 1720/1985 trovava la propria genesi nell'affermarsi nella prassi negoziale di forme atipi- che di contratto preliminare in cui i contraenti non si limitavano all'assunzione dell'obbli- go di concludere in un momento successivo il contratto definitivo ma ne arricchivano il contenuto, prevedendo molto spesso l'esecuzione anticipata totale o parziale delle pre- stazioni tipiche.
Secondo una risalente giurisprudenza riconducibile proprio alla richiamata innovativa sentenza n. 4478/1976, l'anticipazione degli effetti veniva ricondotta ad un'obbligazione aggiuntiva ed accessoria rispetto a quella propria del contratto preliminare.
Se inizialmente si presumeva dall'anticipazione degli effetti una effettiva volontà negozia- le finalizzata alla realizzazione immediata di un contratto definitivo con efficacia traslati- va, con progresso di tempo incominciava a delinearsi la figura del contratto preliminare ad effetti anticipati quale fattispecie distinta avente specifiche peculiarità sia rispetto al contratto preliminare c.d. puro sia rispetto al contratto definitivo.
Tale netta distinzione tra preliminare ad effetti anticipati e contratto definitivo di compra- vendita comportava l'emergere sul piano giurisprudenziale delle specificità e peculiarità di questa nuova figura contrattuale; una nuova fattispecie che la giurisprudenza più re- cente riconduceva al fenomeno giuridico del c.d. collegamento negoziale.
Cass., sez. un. n.
7930/2008
In questa prospettiva un intervento di decisa chiarificazione veniva realizzato dalle Sezio- ni Unite della Cassazione con la sentenza del 27 marzo 2008 n. 7930.
Con tale sentenza le Sezioni Unite chiarivano infatti definitivamente che il contratto preli- minare di compravendita, con pattuizione della consegna anticipata della res e del paga- mento anticipato del prezzo, non era da qualificare come contratto atipico con autonoma e distinta funzione economico-sociale, dovendosi ravvisare la convergenza in un'unica convenzione degli elementi costitutivi di più contratti tipici, come avviene comunemente
nella fenomenologia giuridica dei contratti misti o complessi ovvero dei contratti collega- ti.
Secondo le Sezioni Unite il contratto preliminare con effetti anticipati era da inquadrare in particolare nella categoria dei contratti collegati in presenza sia del requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi evincibile dalla oggettiva convergenza verso un assetto degli interessi negoziali globale ed unitario, sia del requisito soggettivo, inte- grato dal comune intento pratico dei contraenti di realizzazione di un fine ulteriore quale sintesi degli effetti tipici dei singoli negozi collegati.
In caso di preliminare con effetti anticipati infatti i contraenti, accanto all'assunzione del- l'obbligo di concludere il contratto definitivo quale effetto tipico del contratto stesso, concludevano anche dei contratti accessori, strutturalmente autonomi ma funzionalmen- te connessi al primo, per la realizzazione di finalità ulteriori e diverse rispetto a quelle conseguibili con il solo contratto preliminare.
In tale contesto la consegna anticipata della res veniva dai giudici di legittimità interpre- tata come effetto di un contratto accessorio di comodato.
Corollario di questa conclusione era la qualificazione giuridica in termini di detenzione qualificata e non di possesso del rapporto di fatto esistente tra il promissario acquirente e il bene, con la conseguenza, densa di effetti pratici, della esclusione di qualsiasi possi- bilità di far valere tale condizione di fatto quale presupposto per l'usucapione del bene, salvo atti di interversione del possesso (c..d. interversio possessionis) consistenti non in semplici atti interiori ma in manifestazioni esteriori rivolte al promittente venditore, dalle quali fosse possibile evincere in modo inequivocabile l'intenzione di sostituire all'animus detinendi un nuovo animus rem sibi habendi.
Un orientamento giurisprudenziale che può dirsi ormai consolidato in quanto pienamen- te confermato dalle sentenze successive della Corte di legittimità.
Cass. n. 16629/2013
In base infatti anche ad una recente decisione della Corte Suprema nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un'anticipazione degli effetti traslativi bensì un rapporto tra il contratto preliminare e un contratto di comodato in collegamento negoziale tra loro, in cui un ruolo principale viene svolto dal contratto preliminare (Cass. 3 luglio 2013 n. 16629).
Trattandosi quindi di contratto con effetti meramente obbligatori la relazione con la cosa deve essere qualificata come di detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapire il bene, salvi atti di interversione del possesso ex art. 1141 c.c.
In caso anche di pagamento anticipato del prezzo da parte del promissario acquirente, la corte di legittimità ritiene integrato un contratto accessorio in collegamento negoziale sia con il preliminare che con il contratto di comodato giuridicamente qualificabile alla stregua di un mutuo gratuito.
La ricostruzione dei rapporti intercorrenti tra contratto preliminare da una parte e con- tratti di comodato e di mutuo gratuito dall'altra come rapporto tra contratti collegati rien- tranti nello schema generale contratto principale-contratti accessori, comporta la conse- guenza che, pur rispondendo questi ultimi ad autonome cause, essendo funzionalmente collegati con il contratto principale in caso di perdita di efficacia e/o di invalidità del con- tratto preliminare perdono efficacia anche i contratti accessori in quanto privi di causa in concreto.
In tale ultima ipotesi dovrà darsi luogo alle relative restituzioni ai sensi dell'art. 2033 c.c. (conditio indebiti ab causam finitam), dovendo il promissario acquirente restituire la res ot- tenuta anticipatamente in uno agli eventuali frutti e il promittente venditore restituire la somma ricevuta anticipatamente in pagamento totale o parziale del prezzo di vendita.
Preliminare di vendita
di beni altrui
Un'altra figura contrattuale che ha suscitato in giurisprudenza particolare interesse è quella del contratto preliminare avente ad oggetto beni totalmente o parzialmente altrui, ossia beni non nella piena disponibilità del promittente venditore al momento della sua conclusione.
L'altruità della res promessa in vendita costituisce infatti all'evidenza una condizione og- gettiva facilmente generatrice di contenziosi giudiziari tra i contraenti, in proporzionale correlazione con il diverso alternarsi delle relative vicende contrattuali.
Mentre in passato veniva messa in discussione la stessa ammissibilità di un siffatto tipo di preliminare, in tempi recenti tale figura ha invece acquisito unanime riconoscimento sia in dottrina che in giurisprudenza.
In giurisprudenza è stata oggetto di eterogenee chiavi di lettura la questione inerente alle modalità di adempimento da parte del promittente alienante, discutendosi se, nell'igno- ranza dell'altruità della cosa da parte del promissario acquirente, il primo, nell'adempi- mento dell'obbligo di procurare l'acquisto al secondo, dovesse necessariamente proce-
dere all'acquisto da parte sua del bene dal legittimo proprietario per poi eseguire il suc- cessivo ritrasferimento in favore del secondo ovvero se fosse all'uopo possibile il trasferi- mento diretto del bene dal legittimo proprietario della res al promissario acquirente xxx- xxxxxsi così il doppio passaggio dei due atti traslativi del diritto di proprietà sul bene pro- messo in vendita.
Premessa infatti la facile soluzione positiva alla suddetta domanda in caso di conoscenza del promissario acquirente al momento della conclusione del contratto preliminare della non appartenenza del bene promesso in vendita al promittente alienante, ci si chiedeva se il promittente alienante, nella diversa ipotesi di ignoranza dell'altruità del bene da par- te del promissario, potesse legittimamente pretendere dal promissario l'adesione all'ac- quisto offerto direttamente dal terzo proprietario in adempimento dell'obbligo assunto dal promittente
A tale questione la giurisprudenza dava inizialmente soluzione negativa sul presupposto della non esigibilità della prestazione del consenso in caso di ignoranza dell'altruità del bene promesso in vendita da parte del promissario acquirente, con la conseguenza di rendere necessario per il promittente procurarsi preventivamente l'acquisto del bene dal terzo al fine di poter adempiere l'obbligazione assunta con il preliminare (Cass. n. 7054/1990; Cass. n. 2091/1999).
Tale soluzione trovava il proprio fondamento nella norma ex art. 1479 c.c. che abilita in tal caso l'acquirente (ovvero il promissario acquirente per analogia) a chiedere la risolu- zione del contratto a meno che il venditore (ovvero il promittente venditore) non abbia nel frattempo acquistato la proprietà della cosa facendolo diventare così automatica- mente proprietario (ovvero mettendosi nelle condizioni di poterla trasferire al promissario con il contratto definitivo); soluzione anche di evidente opportunità per la piena tutela della posizione del promissario acquirente esposto al rischio di evizione e della presenza di vizi sulla res, non essendo certamente indifferente in questa prospettiva la persona del venditore. In caso infatti di ignoranza dell'altruità della cosa la Suprema Corte riteneva che non fosse applicabile il precedente orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 3058/73; Cass. n. 3963/84) che prevedeva il mantenimento della qualità di parte con- traente del contratto traslativo alle stesse parti del contratto preliminare.
Cass. n. 15035/2001
Da tale orientamento sembrava però discostarsi Xxxx., sez. III, 27 novembre 2001, n. 15035 che, nell'esaminare la posizione del terzo proprietario della res rispetto al promit- tente venditore e al promissario acquirente, ribadiva la tesi sostenuta dalla giurispruden- za anteriore (emblematicamente espressa da Xxxx. 6 luglio 1984 n. 3963) secondo la quale, in caso di preliminare su beni altrui, il contratto traslativo concluso con il terzo in- tercorreva tra le parti originarie del contratto preliminare, ricadendo sul promittente ven- ditore tutte le obbligazioni connesse a tale sua qualità come quelle relative alla consegna della cosa, alla garanzia per l'evizione e alla garanzia per i vizi.
Cass. n. 11624/2006
Intervenute per dirimere il contrasto esistente in giurisprudenza le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza 18 maggio 2006 n. 11624 affermavano che in caso di prelimi- nare di cosa altrui il promittente alienante poteva adempiere le proprie obbligazioni pro- curando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario, anche qualora al momento della conclusione del preliminare la controparte contrattuale ignorasse in buona fede la non appartenenza del bene al promittente.
L'orientamento maggioritario in giurisprudenza riteneva infatti che la prestazione potesse essere in ogni caso eseguita indifferentemente acquistando il bene per poi ritrasmetterlo al promissario ovvero procurando l'acquisto di quest'ultimo con la vendita diretta del be- ne da parte del terzo proprietario, in quanto l'art. 1478 c.c. (relativo ala vendita di bene altrui ed applicabile per analogia) prevedeva soltanto l'obbligo di procurare l'acquisto al compratore, quale obbligo di risultato che veniva alternativamente e parimenti raggiunto anche con la vendita diretta (in tal senso Cass. n. 21179/2004; Cass. n. 24782/2005) Secondo invece giurisprudenza minoritaria (Cass. n. 7054/1990) nel caso in cui il pro- missario acquirente ignorava l'altruità della cosa, l'obbligazione poteva essere adempiuta dal promittente esclusivamente acquistando il bene e ritrasferendolo al promissario.
Le Sezioni Unite confermavano quindi l'indirizzo maggioritario escludendo la necessità di un doppio passaggio del diritto di proprietà sul bene, affermando il principio di diritto se- condo cui il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche in caso di buona fede della controparte contrattuale, poteva adempiere la propria obbligazione pro- curando l'acquisto del promissario con la vendita diretta del bene da parte dell'effettivo proprietario.
Secondo il ragionamento sostenuto dalla Suprema Corte tale soluzione non trovava osta- coli nella norma di cui all'art. 1479 e neppure nella necessità di piena tutela del promis- sario acquirente che potrebbe veder venir meno la possibilità di agire nei confronti del
promittente in caso di evizione o di vizi sul bene, essendo il contratto traslativo concluso direttamente con il terzo.
Quanto al primo aspetto le Sezioni Unite affermavano che tale soluzione interpretativa doveva essere prescelta anche in caso di ignoranza dell'altruità del bene promesso in vendita da parte del promissario; in tal caso infatti dall'art. 1479 c.c. non può desumersi il diritto del promissario acquirente di opporre l'eccezione di inadempimento e di chiede- re la risoluzione del contratto se il promittente riesce comunque nel termine stabilito a fargli ottenere l'acquisto anche direttamente dal terzo proprietario, essendo tale norma strettamente legata alla logica di operatività della vendita di cosa altrui il cui immediato effetto traslativo viene precluso dall'altruità della cosa venduta. In tale ultimo caso, infat- ti, diversamente da quanto accade nel preliminare di vendita, si verifica in termini imme- diati l'inadempimento del venditore al quale il compratore può reagire chiedendo la riso- luzione del contratto.
Infine il promissario acquirente in buona fede, pur concludendo il contratto definitivo di compravendita direttamente con il terzo proprietario, non perdeva la garanzia rappresen- tata dal patrimonio del promittente alienante, in particolare per l'evizione e i vizi eventual- mente presenti sulla res, in quanto secondo la Suprema Corte la conclusione del definiti- vo per tali aspetti non assorbiva né esauriva gli effetti del preliminare che continuava a regolare i rapporti tra le parti sicché il promittente venditore restava responsabile per le garanzie di cui si tratta nei confronti del promissario.
L'orientamento giurisprudenziale segnato dalla sentenza in commento veniva poi confer- mato dalle sentenza emesse dalle sezioni semplici della Suprema Corte negli anni suc- cessivi, con ulteriori specificazioni quanto ai temi residui dell'esperibilità dell'esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.. e delle concrete modalità di realizzazione del contrat- to con il terzo proprietario.
Quanto al primo profilo, in base alla sentenza della Cassazione 29 dicembre 2010 n. 26367, al contratto preliminare di vendita di cosa parzialmente altrui (nel caso di specie un fondo indiviso) si adattava la disciplina prevista dagli artt. 1478 e 1480 c.c. con la conseguenza che il promittente venditore restava obbligato oltre che alla stipula del con- tratto definitivo per la parte di sua spettanza, a procurare il trasferimento al promissario acquirente anche di quella rimanente, o acquistandola e ritrasferendola al promissario acquirente oppure facendo in modo che il comproprietario addivenisse alla stipulazione definitiva; un contratto preliminare che benché valido non era però suscettibile di esecu- zione in forma specifica ex art. 2932 c.c., rimanendo assoggettato all'ordinario regime ri- solutorio in caso di inadempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore. Quanto al secondo tema, una recente sentenza della Corte di legittimità, in caso di con- tratto preliminare di vendita di bene altrui, ha affermato che l'obbligo del promittente venditore poteva essere adempiuto anche con la vendita diretta dal terzo proprietario in favore del promissario acquirente; in tal caso tuttavia ai fini della valutazione dell'adempi- mento dell'obbligo, la Corte precisava che era pur sempre necessario che la vendita di- retta avesse avuto luogo in conseguenza di un'attività svolta dal venditore nell'ambito dei suoi rapporti con il terzo proprietario e che quest'ultimo avesse manifestato in forma chiara ed inequivoca la propria volontà di vendere in ragione dell'adempimento degli ob- blighi assunti dal promittente venditore nei confronti del promissario (Xxxx. xxx. II 12 no- vembre 2012, n. 19612).
Funzione giuridica del preliminare dopo il
percorso giurisprudenziale
Al termine del percorso giurisprudenziale oggetto della presente disamina le Sezioni Uni- te della cassazione prendono atto di un profondo mutamento della stessa funzione del contratto preliminare rispetto a quella tradizionalmente riconducibile a tale figura con- trattuale.
La Corte di legittimità infatti giunge in ultima analisi ad affermare che il contatto prelimi- nare non può più essere considerato un semplice pactum de contrahendo, bensì come un negozio più complesso destinato già a realizzare un assetto degli interessi delle parti contraenti prodromico a quello che sarà compiutamente attuato con il contratto definiti- vo, tanto che il suo oggetto specifico è non solo e non tanto un facere, consistente nel manifestare successivamente una volontà concludente rigidamente predeterminata quanto alle parti e al contenuto, ma anche e soprattutto un sia pure futuro dare, che si sostanzia nella trasmissione della proprietà quale risultato pratico avuto di mira dai con- traenti; quando il bene promesso in vendita è già di proprietà del promittente i sue aspet- ti coincidono pur senza confondersi, altrimenti rimangono distinti perché lo scopo può essere raggiunto anche mediante il trasferimento diretto della cosa dal terzo proprietario al promissario che così ottiene ciò che gli era dovuto indipendentemente dall'essere sta- to o meno a conoscenza della non appartenenza della res a chi si era obbligato ad xxxx- xxxxxxxxx.