UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE GIURIDICHE PROGRAMMA DI DIRITTO PRIVATO
SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE IUS/01 DIRITTO PRIVATO
L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO ASIMMETRICO, NEL CALEIDOSCOPIO DELLA TRASPARENZA
Di:
Dott.ssa Xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx
Relatore e Tutor:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Anno 2014
INDICE
INDICE 2
PARTE I
LA TRASPARENZA DEL CONTRATTO ASIMMETRICO. RIFLESSIONI SULL’ERMENEUSI DEL CONTRATTO ASIMMETRICO
CAPITOLO I
L’ERMENEUSI DEL CONTRATTO ASIMMETRICO: UN INIZIO
I.A) Ermeneusi del contratto asimmetrico: un approccio. 9
I.B) La ricostruzione gerarchica tradizionale dei rapporti tra i canoni ermeneutici codicistici. 9
I.C) Emersione dell’influenza del tipo contrattuale nell’interpretazione del contratto. 15
I.D)L’ampiezza e la qualità del materiale ermeneutico a disposizione dell’interprete, con un accenno di comparazione con il common law
inglese. 19
I.E) Ermeneutica contrattuale, poteri officiosi del giudice e principio dispositivo. 26
CAPITOLO II
RAPPORTI TRA I CANONI ERMENEUTICI CODICISTICI E LE DISCIPLINE SPECIALI
II.A) Rapporti tra canoni ermeneutici codicistici e canoni contenuti nel Codice del Consumo. 35
CAPITOLO III
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE
III.A) Ermeneusi del contratto tra professionista e consumatore. L’art. 35 cod. cons. 46
III.B) L’art. 35, comma 1 cod. cons. 46
III.B).1 “Chiarezza” e
“comprensibilità”. 46
III.B).2 Parametro di riferimento per la chiarezza e la comprensibilità. 51
…Consumatore medio 51
…Consumatore debole. 52
…Consumatore
“confiant”. 53
III.C) La portata applicativa dell’art. 35, comma 1 cod. cons. 56
III.D) Trasparenza e vessatorietà. 66
III.E) L’art. 35, comma 2 cod. cons. Interpretatio contra
proferentem 69
III.F) In particolare: l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1367 c.c.
….............................................................................................................................70
III.G) In particolare: l’art. 35, comma 2 cod. cons e l’art. 1370 c.c. 76
III.H) In particolare: l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1368, comma 2 c.c.
……………………………………………………………………………..…..…….83
III.I) In particolare: l’art. 35 cod. cons. e l’art. 1366 c.c.
.............................................................................................................…................85
III.L) Rapporto tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons. 86
III.M) Xxxxxxxx ambigue e giudizio di vessatorietà. 88
…una prima tesi: il difetto di trasparenza come un mero indice. 93
…una seconda tesi: il difetto di trasparenza come un’autonoma ipotesi di vessatorietà. 93
III.N) L’art. 34 cod. cons. 98
III.O)Notazioni sparse sul tema. 108
III.P) Un’ipotesi pratica di sconfinamento: art. 33, comma 2, lett. i) cod. cons. 124
PARTE II
LA TRASPARENZA IN AMBITO BANCARIO
CAPITOLO IV
LA TRASPARENZA NEI RAPPORTI BANCARI
IV)Cosa intendere per “trasparenza” nel mondo bancario e finanziario. 129
IV.A)Sulla nozione di
“trasparenza”. 129
IV.B)Informazione qualificata e trasparenza. 139
IV.C)Iter legislativo della trasparenza. 142
IV.D)La trasparenza informativa: il sistema. 170
IV.E)Trasparenza in corso di rapporto. 183
IV.F)La trasparenza nei provvedimenti della Banca d'Italia. 187
IV.G)Una peculiare declinazione del principio di trasparenza in ambito bancario e finanziario:la nuova direttiva sui contratti di credito relativi a immobili
residenziali. 202
IV.G).1 Cenni generali sulla nuova direttiva, sotto la lente della
trasparenza. 202
IV.G).2 Campo d'applicazione. 205
IV.G).3 Il contesto in cui la recente direttiva si inserisce 207
IV.G).4 I principi cardine della direttiva: l'educazione finanziaria del consumatore. 213
IV.G).5 I principi cardine della direttiva:gli obblighi informativi. 214
IV.G).6 I principi cardine della direttiva: oltre gli obblighi informativi, la valutazione del merito creditizio. 227
IV.G).7 I principi cardine della direttiva: la prestazione di servizi di consulenza. 231
IV.G).8 La trasparenza gestionale. 232
IV.G).9 Qualche considerazione sulle tendenze emergenti dalla direttiva. 239
IV.H)Spunti critici in tema di trasparenza bancaria. 241
IV.H).1 Art. 125-bis TUB 241
IV.H).2 Art. 125-bis TUB. Carenza di chiarezza e di concisione delle informazioni. 242
IV.H).3 Mancata consegna copia al xxxxxxx.Xxx. 125-bis TUB 243
IV.H).4 Art. 125-bis TUB.Omissione del TAEG 244
IV. I)Una cartina tornasole:la sentenza RWE Vetrieb. Il momento dell'informazione. 270
IV.L)Questioni irrisolte in tema di trasparenza. 273
IV.M)Le linee evolutive più recenti in tema di trasparenza nella giurisprudenza comunitaria… 278
IV.M).1 Uno sguardo di insieme sul
tema… 278
IV.M).2 Il caso Xxxxx Xxxxxx e Hajnalka Káslerné Rábai c. OTP Jelzálogbank Zrt… 279
IV.M).3 La sentenza Xxxxxx e il problema della sorte del contratto privato della clausola abusiva 300
IV.M).4 Le tendenze efficientistiche nella recente giurisprudenza
comunitaria… 305
BIBLIOGRAFIA 352
PARTE I
LA TRASPARENZA DEL CONTRATTO ASIMMETRICO.
RIFLESSIONI SULL’ERMENEUSI DEL CONTRATTO ASIMMETRICO
CAPITOLO I
L’ERMENEUSI DEL CONTRATTO ASIMMETRICO: UN INIZIO
I.A) Ermeneusi del contratto asimmetrico: un approccio
Una riflessione sull’ermeneutica contrattuale riferita ai rapporti asimmetrici deve necessariamente muovere dalla constatazione delle crescenti difficoltà frapposte all’attività interpretativa dalla introduzione nel nostro ordinamento di normative “speciali”, spesso di origine comunitaria, e dei codici di settore, fattori che hanno reso peraltro ardua la riduzione delle varie figure ad un’unitaria fisionomia contrattuale, facendo presagire la proliferazione di micro-sistemi potenzialmente incomunicabili e la frammentazione dell’ordinamento, in difformità altresì rispetto ai valori costituzionali1.
Per intraprendere un discorso sull’ermeneutica dei contratti asimmetrici è necessario muovere dal più completo corpus extracodicistico, ossia dal Codice del Consumo, il quale predispone una disciplina dell’interpretazione, seppur problematica nella sua stessa delineazione e nei rapporti con i canoni previsti dal codice civile in relazione all’ermeneutica dei contratti in generale.
I.B) La ricostruzione gerarchica tradizionale dei rapporti tra i canoni ermeneutici codicistici
Invero, rispetto all’accennato problema di individuare l’assetto più opportuno da dare ai rapporti tra gli artt. 1362 ss. c.c.2 e la disciplina consumeristica, è comunque preliminare una
1 XXXXXXXXX E., Status delle parti e disciplina del contratto, in AA.VV., Diritto privato comunitario, I, a cura di Perlingieri P.-Xxxxxxx L., Napoli, 2008, 435 ss., in part. 444.
2 Gli artt. 1362 ss. c.c. sono ormai concordemente considerati delle vere e proprie norme giuridiche. Ad es., vedi MESSINEO F., voce Contratto (dir. priv.), in Enc. Dir., IX, Milano, 1961, 935 ss., in part. 947.
disamina delle più accreditate soluzioni emerse in dottrina in materia di sistemazione gerarchica dei canoni interpretativi codicistici.3
Tradizionalmente, si usa effettuare una rigida distinzione gerarchica all’interno delle norme ermeneutiche codicistiche, sebbene sia stato più volte fatto notare come, invero, una simile schematicità non si armonizzi pienamente con la relatività che sembra caratterizzare il modus operandi delle regole ermeneutiche e, perciò, appaia poco convincente4 .
Il criterio di gerarchia sulla cui base sono state tradizionalmente distribuite le norme sull’interpretazione del contratto5 prevede generalmente la suddivisione di queste ultime in un primo (artt. 1363-1365 c.c.) ed in un secondo gruppo (artt. 1366-1371 c.c.), ma le
3 D’altronde, l’interrogativo sul rapporto con i canoni ermeneutici codicistici si era posto già in passato riguardo ad una regola per certi versi vicina a quella contenuta nell’art. 35 cod. cons., ossia l’art. 1370 c.c.. Detto articolo, difatti, con riferimento alle clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari, prescrive un criterio di interpretazione volto a favorire il contraente non predisponente, ed è stato inquadrato tra le regole di interpretazione oggettiva. In realtà, seguendo rigorosamente il principio di gerarchia delle regole ermeneutiche, la norma appena menzionata avrebbe dovuto avere un ruolo sussidiario rispetto all’art. 1362 c.c., con la conseguenza che la comune intenzione delle parti – trattata da quest’ultimo articolo – sarebbe stata oggetto di ricerca primaria e obbligata pure in contratti in cui palesemente manca un’elaborazione consensuale del regolamento negoziale.
Per quanto una parte della dottrina si fosse espressa da tempo nel senso di superare la gerarchia dei canoni in funzione della specialità nei negozi unilateralmente predisposti, si è fatto tuttavia notare, in senso contrario, che anche nei contratti per adesione esiste un momento consensuale in riferimento agli elementi essenziali, rispetto ai quali non si attua un’unilaterale predisposizione, per cui, per tale parte del regolamento contrattuale, non sarebbe illogico aver riguardo ad una comune intenzione.
4 DI XXXXX A., L'interpretazione del contratto di impresa, Napoli, 1999, in part. 199 s.
5 L’introduzione del principio di gerarchia in tale ambito viene generalmente ricondotta a GRASSETTI C., Intorno al principio di gerarchia delle norme di interpretazione, in Foro it., 1941, I, 512 ss.
Vedasi a proposito IRTI N., Xxxxxxxx e problemi di interpretazione contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1999, 1139 ss., in part. 1157.
combinazioni di detti raggruppamenti possono anche variare nel loro contenuto, a seconda delle differenti ricostruzioni.6
In particolare, in una parte della dottrina si nota l’esclusione, da ambo i predetti raggruppamenti, dell’art. 1366 c.c., sul presupposto che la norma sul canone ermeneutico di buona fede dominerebbe ambo i suddetti insiemi7.
Assai frequente, peraltro, appare l’uso di definire i canoni di cui agli artt. 1363, 1364 e 1365
c.c. come norme di interpretazione soggettiva8, come tali in contrapposizione agli artt. da 1366 a 1371 c.c., definiti norme di interpretazione oggettiva.
6 Cfr. XXXXX X., Commento agli artt. 1362-1371 c.c., in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Perlingieri G., Napoli, 1991, IV, 1484 ss..
Ad esempio, SACCO R., DE NOVA G., Obbligazioni e contratti, in Trattato Xxxxxxxx, Torino, 1982, in part. 432, racchiude gli artt. 1364 e 1365 c.c. tra i criteri di interpretazione oggettiva, sul presupposto che dette norme non sempre conducono a rinvenire un significato aderente a quanto i dichiaranti hanno inteso, poichè il valore delle espressioni generali e delle elencazioni esemplificative potrebbero assumere nelle intenzioni dei dichiaranti una portata diversa da quella che invece attribuiscono loro, rispettivamente, il principio di congruità con l’oggetto del contratto ed il principio della mera indicatività.
Critica verso la suddivisione rigida tra i due gruppi di norme è, ad esempio, COSTANZA M., voce Interpretazione dei negozi di diritto privato, in Dig. disc. priv, Sez. civ., X, 27 ss., ritenendo che soltanto l’art. 1362 c.c. si riferisca ad una ricerca dell’intenzione del dichiarante, mentre le altre regole esprimono criteri interpretativi la cui applicazione non comporta necessariamente una coincidenza tra ciò che è stato inteso e quanto viene significato.
7 La Relazione al Re di accompagnamento al codice civile ha qualificato la regola della buona fede come il punto di sutura tra il momento soggettivo e quello oggettivo dell’interpretazione e ne ha parlato come di una norma “che li domina entrambi”.
Così anche SCARONGELLA F., Interpretazione del contratto in sede di legittimità e principio del gradualismo, in I contratti, 2010, 6, 562 ss., in part. 564.
8 MAIORCA S., Il contratto. Profili della disciplina generale. Lezioni di diritto privato, Torino, 1996, 238 ss..
Si tratta di definizioni talmente radicate nella dottrina italiana da mostrarsi quasi ineludibili, anche se, almeno in una certa misura, potrebbero risultare fuorvianti.
Invero, sarebbe forse più opportuno parlare per il primo gruppo di “norme prioritarie” e per il secondo di “norme sussidiarie”, con ciò sottolineando che anche quest’ultimo insieme di canoni – seppur caratterizzati dal fatto che l’interprete vi può far ricorso solo quando, anche dopo l’applicazione delle norme di interpretazione soggettiva, il contratto sia rimasto oscuro – è pur sempre finalizzato alla ricerca della comune intenzione delle parti9. Certo è che la gerarchia di cui si parla non attiene, comunque, al maggiore o minore valore dei canoni (peraltro, tutti finalizzati al superamento della pluralità di significati a favore del raggiungimento di una decisione), bensì semplicemente alla successione temporale tra i due gruppi di regole, di modo che, una volta accertata l’inutilità del primo insieme alla determinazione di un unico significato, e persistendo invece il dubbio, si passa al secondo insieme di canoni e, quando neanche il secondo insieme di criteri riesce a debellare ambiguità e dubbio, soccorrono dunque le regole finali.
Questo procedimento viene generalmente identificato con il cd. “principio del gradualismo”, spiegandolo come una progressione in cui si deve ricorrere ai canoni sussidiari solo quando i canoni principali siano insufficienti alla ricognizione della comune intenzione delle parti10.
9 CARRESI F., Dell’interpretazione del contratto. Art. 1362-1371, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca a cura di Xxxxxxx F., Libro Quarto – Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1992, 1 ss., in part. 61.
Vedasi anche Xxxx., 19 ottobre 2009, n. 22124, la quale definisce “canoni principali di interpretazione” i canoni relativi al significato letterale delle parole ed al collegamento tra le clausole del contratto.
10 SCARONGELLA F., Interpretazione del contratto in sede di legittimità e principio del gradualismo, in I contratti, cit., in part. 565.
Così Xxxx., 1 agosto 2001, n. 10493.
Il principio del gradualismo cumula in sé la funzione di vincolare il giudice di merito ad una precisa metodologia ermeneutica, fornendo così uno strumento di valutazione del suo operato, nonchè la funzione di onerare il ricorrente della contestazione di precise violazioni di legge in ordine al procedimento ermeneutico seguito dal giudice di merito.
A ben vedere, non è opportuno inferire dalla menzionata classificazione dualistica l’esistenza, accanto a due diversi metodi, di due diversi problemi; in realtà, si tratta del medesimo e unico problema cioè quello di comprendere il testo e di scioglierne polisemie ed oscurità attraverso le tecniche legali.
Per quanto il dubbio sembri costituire sempre occasione dell’attività interpretativa, si è osservato che non altrettanto certo è che il dubbio, e dunque il suo superamento, costituisca anche la ratio di tutte le norme ermeneutiche e quindi, in definitiva, dell’interpretazione11. In particolare, potrebbe non esserlo rispetto agli artt. 1362-1365 c.c., per i quali l’incertezza sarebbe soltanto occasione di intervento12, e per l’art. 1366 c.c. Riguardo a quest’ultima norma, segnatamente, si può dire che il dubbio è pretesto di intervento, ma solo nel senso che non si può interpretare il contratto secondo buona fede se le parti (o il giudice) non siano state indotte (o chiamato) a ricorrere agli artt. 1362-1365
c.c. o 1367-1371 c.c. al fine di superare una questione, rimasta a livello di contrasto di
11 XXXXXXXXX XXXX X., L'interpretazione del contratto, in Xxxxxxxxxxx P. (diretto da),
Commentario Cod. Civ., Milano, 1991, 340 ss., in part. 340 s.
12 Non sembra a XXXXXXXXX XXXX X., L’interpretazione del contratto, Milano, 1991, 2013, in part. 34, opportuno distinguere tra il 1° comma dell’art 1362 ed il 2° comma dell’art 1362 e l’art. 1363 c.c., essendo tutti orientati alla ricostruzione della comune intenzione dei contraenti.
Di contrario avviso è parte della giurisprudenza di legittimità, ad esempio Xxxx., 27 giugno 1985, n. 3853.
Lo stesso dicasi per gli artt. 1364 c.c., da ritenersi non tanto una norma sull’interpretazione quanto un criterio di selezione presupponente – e non attuativo della – la ricostruzione della comune intenzione delle parti, e 1365 c.c., di incerta collocazione a causa della accentuata sfumatura oggettiva.
opinioni (o invece tradottasi in controversia), così da aprire la via all’inevitabile – a quel punto – giudizio conclusivo di buona fede.
Quanto invece agli artt. 1367-1371 c.c., la ratio di questi sembra stare proprio nella necessità di superare uno stato di incertezza tale da sospendere, sebbene non da rendere impossibile, il giudizio circa il significato dell’atto. Difatti, le norme di quello che si può definire il secondo blocco (artt. 1367-1371 c.c., cui non appartiene il canone di interpretazione secondo buona fede, seppur oggettivo), a differenza di quelle del primo blocco, appaiono contenere i mezzi per superare una situazione di stallo che paralizzerebbe l’effettività dell’iniziativa negoziale.
Di conseguenza, non si tratterebbe tanto di cogliere prima la volontà soggettiva e in concreto dei contraenti per poi attribuire un significato al contratto ambiguo o oscuro tramite la ricerca di una presumibile volontà in astratto, quanto invece di cogliere prima nella sua portata obiettiva il senso soggettivo del regolamento di interessi realizzato, per poi identificare, prescindendo da riferimenti alla volontà ipotetica o in astratto, una regola, dato che il legame tra regola contrattuale e parti che l’hanno formulata tende a sfumare ed è necessario conservare la volontà alla base del momento decisionale ossia di dar vita ad un regolamento di interessi risultato peraltro totalmente o parzialmente oscuro o ambiguo.
Tale affermazione sembra poter trovare conforto nell’art. 1367 c.c., che nello spingere, nel dubbio, a scegliere il senso che conferisca alle clausole qualche effetto, prescinde da qualsivoglia riferimento ad una volontà – vera o presunta – e allo scopo specifico perseguito dalle parti con la stipulazione.
Prendendo in esame l’orientamento tradizionale che, come anticipato, tende a distinguere all’interno delle norme interpretative codicistiche e ad ordinarle sulla base di schemi precisi, ci si avvede tuttavia che non è possibile seguire un criterio gerarchico basato sulla distinzione tra “volontà in concreto” e “volontà in astratto”, non foss’altro per la difficoltà
di inquadrare alcuni dei canoni codicistici in un gruppo o nell’altro e, non ultimo, per l’incerta validità degli schemi gerarchici e sussidiari tradizionalmente adoperati13.
Peraltro, non pare giustificabile il discrimine gerarchico che viene talvolta instaurato tra norme appartenenti allo stesso gruppo ovvero tra commi del medesimo articolo (per quest’ultimo caso si pensi, ad esempio, alla distinzione che talvolta si riscontra tra 1° e 2° comma dell’art. 1362 c.c.), dal momento che ciò appare in contraddizione con la considerazione che tutte le norme ermeneutiche codicistiche sarebbero finalizzate all’indagine circa la comune intenzione dei contraenti e, dunque, andrebbero applicate in maniera sistematica.
Senza dimenticare poi l’ulteriore e complesso nodo problematico rappresentato dall’art. 1366 c.c., il quale sembra rifiutare una definitiva collocazione all’interno di un qualsiasi ordine gerarchico; del resto, la disposizione in parola appare come una sorta di norma di chiusura, destinata ad applicarsi a prescindere dal dubbio/incertezza/ambiguità ma, anzi, proprio quando il dubbio/incertezza/ambiguità, che caratterizzano il ricorso alle regole ermeneutiche o comunque che giustificano il ricorso ad alcune tra queste, sono stati superati.
I.C) Emersione dell’influenza del tipo contrattuale nell’interpretazione del contratto Altra importante questione riguarda la possibilità di ritenere che ciascun tipo contrattuale, con la sua specifica disciplina, possa influenzare l’attività ermeneutica.
In tal senso sembrerebbe indirizzare l’art. 1369 c.c. in tema di espressioni polisense, che fa riferimento alla scelta del significato più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto; tuttavia, proprio da tale considerazione potrebbe restare ancor più indebolita la classica distinzione tra norme di interpretazione oggettiva e di interpretazione soggettiva.
13 XXXXXXXXX XXXX L., op. cit., in part. 41.
Affermare una neutralità dell’interpretazione, in quanto operazione destinata a volgersi verso valori di soggettività o di oggettività a seconda della disciplina di ciascun contratto, implica peraltro dare per presupposto che, quando si affronti la determinazione del significato e della portata di un contratto, si conosca sempre, già in partenza, con quale tipologia di contratto ci si sta fronteggiando.
In realtà, il più delle volte, all’interprete sfugge l’identificazione del tipo contrattuale e della sua disciplina14.
Desta, invero, più di una perplessità un rigido assoggettamento dell’attività ermeneutica al tipo contrattuale.
Anzitutto, tale metodo appare aprioristico, in quanto ricondurre un regolamento di interessi ad un tipo – o escludere la riconducibilità di esso ad un tipo – inerisce al momento della qualificazione e, dunque, presuppone o una percezione immediata dello schema di riferimento oppure un’attività ermeneutica nel corso della quale il riferimento ad un possibile schema tipico di confronto riveste soltanto uno dei passaggi caratterizzanti l’intero procedimento.
D’altronde, soltanto successivamente alla riconduzione del regolamento di interessi ad un tipo si pone il problema circa l’identificazione dell’eventuale norma speciale applicabile.15
14 XXXXXXXXX XXXX L., op. cit., in part. 43. In senso contrario, cfr. CASELLA M., voce
Negozio giuridico (interpretazione), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 16 ss, in part. 26.
15 Non sembra mutare la conclusione ove, invece che a un tipo specifico (ad esempio, compravendita), ci si riferisca ad un tipo generico (ad esempio, contratto di scambio, contratto oneroso, ecc…) in quanto anche in questa ipotesi il ricorso alle stesse regole generali riferite al tipo presuppone una rilevabilità evidente di detto tipo che, invero, non sempre è possibile. In questo senso XXXXXXXXX XXXX L., op. cit., in part., 45, che trova detta osservazione esatta alla luce dell’applicazione dell’art. 1371 c.c. La medesima Autrice afferma che, anche qualora il tipo dovesse essere immediatamente e certamente evidente, non si giungerebbe a significative varianti ermeneutiche, almeno ove ci si basi sulla giurisprudenza. Se si pensa al contratto collettivo di lavoro, per cui è immediata la riconducibilità dell’assetto di interessi al tipo, questo è sottoposto costantemente alle regole
Tuttavia, si tende, da parte di molti, ad enfatizzare le varianti ermeneutiche prodotte dalla natura di un singolo contratto ed indotte, da un lato, dalla presenza di regole speciali concernenti il tipo in questione e, dall’altro, dall’esistenza di una pluralità di criteri interpretativi di elaborazione giurisprudenziale in riferimento a singoli tipi contrattuali.
Nel detto ultimo significato, i criteri ermeneutici generali formulati in astratto verrebbero adattati dalla giurisprudenza alle peculiarità del caso concreto così da giungere, a seconda dell’atto, ad una diversa ricostruzione della volontà delle parti; così facendo, la natura dell’atto servirebbe non solo a qualificare l’atto stesso tramite l’individuazione del tipo e dei contenuti ma si rifletterebbe anche sull’interpretazione del significato complessivo e sull’interpretazione delle singole clausole16.
In effetti, ben presto si è posto il problema derivante dalla constatazione che le regole di ermeneutica negoziale non si esauriscono all’interno del codice civile, in quanto a fianco di tali canoni generali si pongono altri canoni speciali e/o diversi e/o particolari17, i quali parrebbero in linea di massima inidonei ad esser applicati al di là degli istituti per la disciplina dei quali sono stati previsti.
generali sull’interpretazione dei contratti, e rispetto ad esso si osserva non un’applicazione dei criteri ermeneutici generali piegata ad esigenze concrete, e dunque la creazione per via giurisprudenziale di regole particolari, bensì una selezione all’interno di detti criteri ed una più accentuata considerazione di alcuni di essi rispetto a quanto accade per altri tipi; è il caso, per esempio, dell’art. 1366 c.c., spesso applicato in quanto gli interessi della persona che il contratto di lavoro è inteso a soddisfare coinvolgono principi quali la libertà, la parità di trattamento e la tutela del contraente debole, strettamente attinenti alla buona fede.
16 Così XXXXXX A., sub art. 1362, in Cendon P. (a cura di), Commentario al codice civile, Torino, 1991, n. 223 ss., per il quale il tipo di accordo concluso è il criterio di riferimento predominante, in quanto le regole generali si devono adeguare al tipo considerato. Vedasi ALPA G., Il contratto in generale, Torino, 1999, in part. 472 e XXXXXXX M., voce Negozio giuridico (interpretazione), cit., in part. 19.
17 GRASSETTI C., L’interpretazione del negozio giuridico, Padova, 1938, 47 ss., 223 ss.
Prima ancora che la disciplina consumeristica ponesse simili problemi, dunque, detti interrogativi già erano stati sollevati.
Tali disposizioni speciali, secondo l’opinione maggioritaria, dovrebbero essere collocate in un rapporto di sussidiarietà rispetto alle norme generali; la loro applicazione, infatti, suppone la pre-identificazione del tipo cui le medesime si riferiscono.
Il fatto stesso che, di frequente, detti insiemi di norme siano stati studiati all’interno del menzionato rapporto di sussidiarietà e non indipendentemente da esso, pare rafforzare l’idea che essi non possano prescindere da un legame con i criteri interpretativi codicistici; pertanto, si è spesso ritenuto che la ricerca di norme interpretative speciali sia giustificata solo ove la stessa conduca ad identificare norme che siano veramente idonee ad esprimere strumenti ermeneutici autonomi e diversi da quelli codificati, perché altrimenti si tratterebbe di un’operazione piuttosto ininfluente, la quale si esaurirebbe nel raffronto tra norma speciale e norma generale e nella riconduzione della norma speciale ad una o all’altra delle norme generali, in quanto specificazione e/o applicazione di esse nelle diverse materie18.
Si potrebbe al limite affermare, sulla scia di parte della dottrina, che il principio di gerarchia possa essere utile esclusivamente al fine di escludere la simultanea applicazione dei canoni ermeneutici19.
18 XXXXXXXXX XXXX L., op. cit., in part. 53. Questa Autrice considera che le norme speciali non sono in realtà numerose, in quanto la maggior parte di quelle che vengono incluse in detta categoria non possiedono una forza ermeneutica certa, essendo o dirette a integrare il contenuto del negozio e del conseguente rapporto (ad esempio, l’art. 1560, commi 1 e 3 c.c.) o mirate ad offrire il riferimento su cui misurare la validità di un atto (ad esempio, gli artt. 624, comma 2 e 647, comma 3 c.c.).
19 Xxxxxx a proposito IRTI N., Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., in part. 1158.
I.D)L’ampiezza e la qualità del materiale ermeneutico a disposizione dell’interprete, con un accenno di comparazione con il common law inglese Un’interessante questione è rappresentata dall’interrogativo su quale, e quanto ampio, debba considerarsi il materiale ermeneutico utilizzabile nella formazione del convincimento dell’interprete sul significato da attribuire al contratto tra professionista e consumatore, nonché su quali connessioni presenti tale problema con il ruolo dell’affidamento nell’ambito del procedimento ermeneutico.
In materia di interpretazione del contratto in generale, parte della dottrina20 ritiene che non si debba enfatizzare la formulazione letterale dell’art 1362 c.c., che invita alla ricerca della comune intenzione delle parti attraverso una valutazione del comportamento complessivo. A sostegno di detto convincimento si porta usualmente quell’orientamento giurisprudenziale che, discostandosi dalla menzionata formulazione normativa, diversifica l’operazione interpretativa a seconda che ci si trovi in presenza di un contratto formale o di un contratto non formale, conferendo conseguentemente rilevanza solo per questi ultimi al comportamento complessivo delle parti; invece, l’interpretazione dei contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam non ammetterebbe la considerazione del comportamento complessivo dei contraenti con riferimento agli elementi essenziali del negozio. Alla base di tale orientamento si nota una certa preoccupazione che un’interpretazione extratestuale sia in grado di attribuire un rilievo a impegni non espressamente pattuiti dalle parti, mettendo a rischio le ragioni di certezza dei traffici, particolarmente evidenti in presenza di contratti con forma scritta ad substantiam 21.
Altra parte della dottrina, tuttavia, evidenzia che la formalità dell’atto non dovrebbe ostacolare in alcun modo la valutazione di elementi extratestuali, il cui utilizzo, peraltro,
20 XXXXXXXX F., Xxxxxx e modelli di interpretazione del contratto. Prospettive di un dialogo tra common law e civil law, Torino, 2011, in part. 204.
21 Cfr. Cass., 22 giugno 2006, n. 14444, Cass., 5 febbraio 2004, n. 2216, Cass., 21 giugno 1999, n. 6214.
dovrebbe consentire di chiarire il senso del testo scritto, anche ove si volesse escludere che da essi sia lecito desumere la formazione del consenso sugli elementi essenziali del contratto22.
E’ in tale contesto che si può inquadrare una recente ed interessante tendenza, sviluppatasi nella prassi contrattuale internazionale, ad inserire nei negozi una clausola standard che impone di limitare l’analisi ermeneutica al documento contrattuale23.
E’ notorio che gli operatori del commercio tendono a prediligere la minor ingerenza possibile sul contenuto del negozio, così come è stato tradotto nel testo scritto. Tale atteggiamento è chiaramente giustificato dall’esigenza di prevedibilità dell’esito interpretativo e da una certa diffidenza dinanzi ad operazioni ermeneutiche che possano surrettiziamente correggere il contenuto del contratto.
Il riferimento è alle cd. entire agreement clauses, che, come anticipato, sono ormai decisamente frequenti se non costanti all’interno dei contratti internazionali, tanto da aver attirato l’attenzione, in tempi piuttosto recenti, anche della dottrina e della giurisprudenza, ed in particolar modo di quelle anglosassoni.
22 CIAN G., Forma solenne e interpretazione del negozio, Padova, 1969, in part. 177 ss.; IRTI N., Xxxxx e contesto. Una lettura dell’art. 1362 codice civile, Padova, 1996, in part. 38 s.; XXXXX X., Il contratto, Milano, 2001, in part. 472; MONATERI P.G., L’interpretazione del contratto, in Il nuovo contratto diretto da Monasteri P.G. ed altri, Bologna 2007, 426 ss.426 ss.
In senso contrario vedasi DISTASO N., I contratti in generale, in Giurisprudenza Bigiavi, 1981, III, 1594 ss., in part. 1594.
Vedasi anche CERQUETTI P., Le regole dell’interpretazione tra forma e contenuto del contratto., Perugia, 2008, in part. 1 ss.
23 DE NOVA G., The law which governs this agreement is the law of the Republic of Italy: il contratto alieno, in Dir. Comm.. int., 2007, 1 ss., in part. 6, anche in DE NOVA G., Il contratto alieno, Torino, 2010, in part. 52; XXXXXXX XXXX G., L’uso di clausole contrattuali sviluppate in tradizioni giuridiche diverse in Xxxxxxx S., a cura di, Falsi amici e trappole linguistiche, Torino, 2010, 134 ss., in part. 134.
Si mette spesso in evidenza la specificità intrinseca ed ineludibile dell’ermeneutica contrattuale con riguardo al suo stesso oggetto, in quanto appare necessario considerare la relazionalità delle dichiarazioni e la conseguente impossibilità di circoscrivere l’indagine interpretativa al mero accertamento del fatto, al dato testuale ed alla ricerca dei soli elementi riconducibili ad una manifestazione estrinsecata di volontà delle parti del contratto24.
Diviene, pertanto, opportuno conferire rilievo al complesso e dinamico quadro offerto dalla realtà negoziale, al complessivo assetto degli interessi perseguiti dai contraenti.25 Spesso in una lettura di questo tipo si tende ad inserire una valorizzazione del ruolo delle clausole generali, sulla scia dell’enfatizzazione, in atto nel diritto europeo dei contratti, del valore rappresentato dalla giustizia contrattuale. Di tale tendenza appare espressivo il tramite della concessione al giudice di un potere correttivo o riequilibrativo già nel momento in cui egli svolge l’attività ermeneutica e, dunque, comprende e simultaneamente applica26 le espressioni linguistiche che sono state usate dalle parti.
All’interno di un simile orientamento si annida, dunque, la possibilità di introdurre, mediante l’interpretazione, l’idea che un ruolo selettivo nei confronti della polisemia delle parole utilizzate non sia attribuibile soltanto al contesto in cui il linguaggio è adoperato ma
24 XXXXXXXX F., Xxxxxx e modelli di interpretazione del contratto. Prospettive di un dialogo tra common law e civil law, cit., in part. 2.
25 Una simile impostazione può portare anche a quelle letture tendenti ad annullare la distinzione tra interpretazione e valutazione, facendone un procedimento unitario arricchito da una considerazione degli effetti concreti che l’atto in esame è destinato a produrre, il quale dovrebbe tendere a correggere quanto risulti non in sintonia con il giudizio di valore dell’interprete. Ne conseguirebbe una potenziale variabilità dell’esito ermeneutico, e ciò sia nelle ipotesi in cui la volontà dei contraenti venisse valutata con riguardo alla società ed ai suoi valori (similmente a quanto accade nell’interpretazione evolutiva della legge), sia nelle ipotesi in cui si considerasse il contesto fattuale concreto in cui viene posto in essere l’atto da interpretare.
26 XXXXXXX H.G., Verità e metodo, Tubinga, 1960, trad. it a cura Xxxxxxx X., Milano, 2000, in part. 679.
anche e soprattutto al giudizio di valore sull’autoregolamento degli interessi, che potrebbe anche tradursi in una potenziale e simultanea correzione dello stesso.
Xxxxxx prospettive, ove portate avanti in un’ottica di costruzione di una rinnovata ermeneutica contrattuale, incentiverebbero un’inclusione, all’interno del diritto dei contratti, di strumenti di riequilibrio di situazioni sostanziali squilibrate, e della possibilità per l’interprete di assumere un ruolo non neutrale ma anzi ben consapevole del modo in cui, grazie ai suoi presupposti culturali e giuridici, egli percepisce i rapporti sociali e gli interessi in gioco.
In questa direzione, si deve valutare se si sia effettivamente verificato o se sia auspicabile che si verifichi, un passaggio dal letteralismo al contestualismo, e se debba riservarsi un ruolo preminente, nell’operazione ermeneutica, alla tutela dell’affidamento e ad un’interpretazione ragionevole delle dichiarazioni negoziali.
A questo riguardo, come poc’anzi anticipato, vengono alla mente quei recenti processi effettivamente in atto nell’ambito dell’interpretazione del contratto di common law, in particolare inglese.
Il riferimento da cui muovere in proposito è certamente il restatement sui principi ermeneutici, che si rinviene nel noto caso Investors Compensation Scheme Ltd. v West Bromwich Building Society27.
Tale decisione viene, infatti, reputata un leading case di quella tendenza sviluppatasi nell’interpretazione contrattuale inglese spesso riassunto nel termine “contextualism”28.
A destare interesse è segnatamente l’opinione ivi espressa da Xxxx Xxxxxxxx, la quale contiene una precisa indicazione delle regole di interpretazione del contratto, che appaiono improntate allo scopo di uniformarne l’esegesi a principi che potrebbero essere definiti di buon senso. Si tratta di un’opinione tuttavia che non ha pregio solo per la sua schematicità
27 Caso Investors Compensation Scheme Ltd. v West Bromwich Building Society [1998] 1 All E.R. 98.
28 XXXXXXXX F., op. cit., in part. 60.
ma anche per la sostanza contenuta nelle cinque regole fondamentali esposte, le quali sono intese come una guida per l’interprete che ricerchi il significato di un contratto.
Si parte, dunque, dall’affermazione che l’interpretazione consiste nell’accertamento del significato che il documento trasmette ad una reasonable person dotata delle conoscenze di base che avrebbero dovuto essere state ragionevolmente disponibili alle parti al momento della conclusione del contratto. Difatti, nel common law l’ermeneusi non si indirizza alla ricerca dell’intenzione soggettiva dei contraenti ma alla ricerca di un senso, oggettivo, da attribuire alle parole delle parti e ricavato in base all’impressione che dette parole trasmettono ad una persona ragionevole. In questa prospettiva, che valuta le dichiarazioni alla stregua del criterio di ragionevolezza, viene attribuito fondamentale rilievo all’affidamento dei destinatari delle singole dichiarazioni che compongono il contratto, affidamento che deve venir protetto proprio nei limiti della ragionevolezza che si presume sia posseduta da ogni persona.
La ragionevolezza, invero, entra nel procedimento ermeneutico anche sotto un altro profilo, in quanto la cd. matrice fattuale, sintagma che sta ad indicare il materiale utilizzabile da parte del giudice per conoscere il background, comprende qualsiasi elemento che possa risultare idoneo a condizionare la comprensione del testo contrattuale da parte di una persona ragionevole; tale materiale è quello che verosimilmente era a disposizione dei contraenti al momento della conclusione del negozio. Ovviamente, tale ampiezza data al materiale extratestuale ammissibile è stata da molti29 – in particolare da coloro che sono più legati al tradizionale valore dell’oggettività tutelata dal criterio letterale – giudicata eccessiva e potenzialmente aperta a qualsiasi tipo di materiale.
Per circoscrivere il materiale fattuale, evitando le accennate critiche e adoperando ancora una volta il criterio di ragionevolezza, si potrebbe pensare che la matrice fattuale è, in linea
29 Scottish Power plc x Xxxxxxx (Exploration) Ltd. [1997] EWCA Civ 2752, opinione espresso da Xxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx.
di massima, fatta coincidere con quegli elementi che una persona ragionevole avrebbe considerato rilevanti30.
A ben vedere, l’orientamento in parola ritiene che non possano entrare31 nell’interpretazione contestuale le trattative né le dichiarazioni delle parti relative ai loro intenti soggettivi. Per quanto concerne quest’ultimo aspetto, nel sancire l’inammissibilità delle dichiarazioni di intenti soggettivi da parte dei contraenti non ci si discosta invero dall’ottica dell’interpretazione oggettiva tradizionalmente propria del common law, e del resto l’esclusione della fase precontrattuale non si contrappone certo alla tradizione.
Quel che il menzionato orientamento tende a propugnare è piuttosto la convinzione che la ricognizione del significato che un documento trasmette ad una persona ragionevole non può essere ricercato nella coincidenza con il significato delle parole delle dichiarazioni, in quanto per comprendere il senso di quest’ultime si deve considerare anche il background in cui le stesse si inseriscono.
Il contesto non è utile, pertanto, al solo fine di scegliere tra più interpretazioni possibili in caso di espressioni ambigue ma può concorrere, altresì, a favorire la comprensione di eventuali errori di lessico o di sintassi commessi dai contraenti e che abbiano alterato il significato espresso dalle parole.
Se, invece, si volesse eliminare a priori l’indagine sul contesto, anche in quei casi in cui il contratto presenti un possibile significato ordinario e naturale, si rischierebbe di attribuire alle espressioni delle parti un significato che essi non avevano affatto inteso al momento della stipula.
30 Bank of Credit and Commerce Intenational v Ali, [2004] UKHL 8.
31 Esse sono ammesse solo nel giudizio volto alla “rectification”. Per quanto concerne l’esclusione delle trattative, oltre che nel caso appena menzionato essa viene meno quando la controversia riguardi un contratto stipulato oralmente e quando uno dei contraenti invochi un collateral contract per assegnare alla controparte obblighi aggiuntivi rispetto a quanto previsto nel contratto principale.
In altri termini, l’orientamento in oggetto ritiene inopportuno sacrificare alla certezza degli effetti del contratto – senza dubbio maggiormente assicurata dall’interpretazione letterale – la necessità di garantire il rispetto dell’effettivo comune volere delle parti32.
Dunque, l’interpretazione letterale del contratto non sarebbe altro che una parte del processo ermeneutico, e il riferimento alla persona ragionevole spiega che il criterio di normalità della comprensione delle dichiarazioni presuppone che la persona ragionevole sia in condizioni di conoscere il contesto in cui è destinato ad operare il contratto33.
Certamente sussiste il rischio che un simile criterio ermeneutico finisca per pregiudicare la certezza e l’affidamento insite nell’interpretazione ordinaria delle parole.
Peraltro, sotto altro punto di vista, conferire rilievo ad alcuni dati extratestuali, in contrasto con la lettera delle espressioni usate dalle parti e a prima vista chiare e dotate di un significato ordinario e naturale, si traduce potenzialmente in un aumento delle prove ammissibili in giudizio nonchè dei tempi e dei costi del giudizio stesso, ed in una pretermissione degli interessi dei terzi; questi ultimi, difatti, si trovano ordinariamente all’oscuro del background che circondava la stipulazione del negozio. A tal proposito ci si potrebbe domandare se sia realmente possibile omettere la considerazione dell’affidamento riposto dai terzi sul significato letterale delle espressioni adoperate dai contraenti.
In effetti, valorizzare l’interpretazione contestuale offre un’ottima possibilità di protezione dell’affidamento contrattuale, non più semplice base di un’interpretazione correttiva della dichiarazione viziata da errore, ma strumento necessario di valutazione della correttezza del comportamento complessivo di ciascun contraente e di garanzia delle aspettative della controparte.
Xxxxxx, si pone il problema di quale significato dare alla considerazione della matrice fattuale, ovvero se essa possa essere ritenuta: un comodo espediente con cui i contraenti
32 Vedasi anche il caso Breadner x Xxxxxxxxx-Xxxxxxxx [2001] Ch. 523.
33 Vedasi Mannai Investment Co Ltd. v Eagle Star Life Assurance Co Ltd. [1997] 2 W.L.R. 945.
possono proporre interpretazioni del contratto più favorevoli ai loro interessi emersi successivamente alla conclusione del negozio stesso; un ausilio che sia tale da affiancare l’interpretazione letterale34; un modo per dare spazio alla creatività dei giudici, che così sarebbero in grado di fornire giustificazioni logiche a scelte interpretative in realtà guidate da considerazioni di giustizia sostanziale del caso concreto, prive di riscontro nelle espressioni manifestate dai contraenti35, a meno che, dato che il significato del contratto viene identificato con ciò che un contraente ragionevole nelle stesse condizioni delle parti avrebbe inteso, non si ritenga che anche il giudice quando ricostruisce la volontà dei contraenti, debba conoscere quelle circostanze estranee al testo contrattuale ma note ai contraenti ed idonee a incidere sulla comprensione dell’elemento letterale.
Inoltre, ci si può interrogare su quale rilievo ai fini ermeneutici possano rivestire le circostanze successive alla conclusione del contratto.36
I.E) Ermeneutica contrattuale, poteri officiosi del giudice e principio dispositivo Pare opportuno dedicare qualche riflessione al ruolo da riconoscere al giudice qualora egli si trovi dinanzi ad un contratto da interpretare.
Tra i molteplici spunti al riguardo, ci si può soffermare sulla problematica concernente l’eventuale possibilità, per il giudice, di decidere la controversia con un’interpretazione del contratto prodotto in giudizio che sia difforme da quanto sostenuto dalle parti.
34 Vedasi il caso Total Gas Marketing v Arco British [1998] 2 Lloyd’s Rep. 209.
Vedasi anche i principi Unidroit e la Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili.
35 Del resto, radicare l’ermeneusi del contratto all’affidamento apre la via a prospettive dinamiche e indefinite, come il fair dealing e la giustizia sostanziale dello scambio.
36 Si esprime a favore dell’ammissibilità delle circostanze successive ai fini interpretativi la sentenza neozelandese Xxxxxxx Holdings Ltd. v Wholesale Distributors Ltd. [2008] 1 NZLR 277.
Si tratta di un interrogativo che può definirsi classico per la dottrina italiana37, ma che suscita ancora oggi molte perplessità; in definitiva, viene in gioco la portata dei limiti posti dal principio dispositivo all’attività ermeneutica del giudice.
Non è certo un caso che tale interrogativo sia tornato prepotentemente alla ribalta nel momento in cui la giurisprudenza della Corte di Giustizia38 ha mostrato di tendere verso un’espansione dei poteri istruttori del giudice.
Le fattispecie rilevanti a questi fini possono essere di diverso tipo, e in appresso si farà cenno a qualcuna tra di esse.
In primo luogo, si ipotizzi il caso in cui il professionista in giudizio invochi contro un consumatore l’adempimento di un contratto. In detta ipotesi, ci si può chiedere se sia possibile per il giudice interpretare la clausola del contratto risultata controversa nella fattispecie in un modo che nessuna parte ha addotto, dichiarandone la vessatorietà.
In secondo luogo, sempre nell’ipotesi che in giudizio professionista e consumatore diano della clausola controversa due significati diversi, ci si deve domandare se il giudice possa stabilire che detta clausola, ambigua, vada intesa in un terzo modo, ancor più favorevole al consumatore di quanto non lo sia il significato addotto dal consumatore stesso, in ottemperanza dell’art. 35, c. 2 cod. cons.39.
37 Almeno a partire da XXXXXXXXXXX P., Interpretazione del contratto e principio dispositivo, in Temi, 1963, I, 1135 ss., in part. 1135 s. Cfr. anche DE NOVA G., voce Contratti di impresa, in Enc. Dir., Xxxxxx XX, Milano, 2011, 247 ss., in part. 247 s..
Vedasi anche CARRESI F., Dell’interpretazione del contratto, cit., in part. 26 ss.; XXXXXX
G., Interpretazione del contratto e comportamento complessivo delle parti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, I, 1008 ss., in part. 1008 s.; CAPODANNO M., L’interpretazione del contratto, Padova, 2006, in part.12 ss.
38 Corte Giust., 9.11.2010, causa C-137/08, VB Penzugyi Lizing Zrt. C. Xxxxxx Xxxxxxxxx.
39 Si deve considerare, infatti, che l’art. 35, comma 2 sebbene incorpori una regola interpretativa funziona sostanzialmente come previsione sull’onere della prova, nel senso che, come l’art. 2697 x.x. xxxxx xx xxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxxxx della prova, così l’art. 35, comma 2 orienta soggettivamente il rischio derivante da un’ambiguità del testo contrattuale.
In altri termini, ci si può chiedere se il giudice possa indicare una “terza via” ermeneutica giustificandola con la necessità, desunta dalla normativa consumeristica, di far prevalere l’interesse del contraente più debole.
Inoltre, c si può domandare se il giudice possa ritenere rilevante, ad esempio al fine di accertare la vessatorietà della clausola in contestazione, un fatto di cui però non è stata data prova. In particolare, si deve riflettere se il giudice abbia ricevuto, tramite l’art. 34, comma 1 cod. cons., uno spazio valutativo tale da consentire al medesimo di disporre l’assunzione di un dato mezzo di prova proprio in quanto utile o necessario ad accertare la verità del fatto. Del resto, se si restringesse il potere del giudice alla pronuncia ex art. 2697 c.c., anche se dagli atti allegati egli abbia conosciuto l’esistenza di circostanze materiali di prova idonee a raggiungere la conoscenza effettiva dei fatti controversi, si potrebbe potenzialmente interferire sulla verità dei fatti stessi.
Soprattutto in quest’ultimo caso, dunque, viene in particolare e problematico rilievo la potenziale collisione del principio dispositivo con il potere giudiziale.
Tant’è che, ad avviso di alcuni, si dovrebbe prendere atto della circostanza che, quanto meno nella materia consumeristica, i poteri istruttori del giudice siano stati resi “comunitariamente prossimi o comunque assai vicini a quelli che si leggono, per il rito del lavoro, nell’art. 421, comma 2° c.p.c.”40.
Tale considerazione sta, peraltro, alla base di quella che viene definita la “dottrina dell’intervento positivo”41, che consente un’ammissione d’ufficio ed in qualunque momento
Xxxxxx XXXXXXXXXXX S, L’interpretazione più favorevole per il consumatore ed i poteri del giudice, in Riv. dir. civ., 2012, 3, 291 ss., in part. 293. Vedasi anche VENOSTA X., Profili del neoformalismo negoziale, con particolare riguardo alle forme telematiche ed al precetto di trasparenza, in Dir. priv. comunitario, a cura di Perlingieri e Xxxxxxx, Napoli, 2008, I, 499 ss., in part. 499 ss..
40 XXXXXXXXXXX S, L’interpretazione più favorevole per il consumatore ed i poteri del giudice, cit., in part. 295; XXXXXXXXX S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, in part. 252.
41 Dottrina scaturente da numerose sentenze comunitarie, tra cui Oceano Grupo Editorial, Cofidis, Mostaza Claro, Asturcom Telecomunicaciones.
di tutte le fonti materiali di prova rilevanti per la decisione, nell’ottica di un giudicante che, onde assicurare l’effettività della tutela, supplisce alla subalternità di una parte, assunta come più debole, o comunque si rende garante di interessi ovvero di diritti “indisponibili o semindisponibili”42.
Del resto, l’art. 143 cod cons43 afferma chiaramente che i diritti attribuiti al consumatore sono irrinunciabili, proprio al fine di assicurare un’autodeterminazione negoziale effettiva, garantita dall’art. 41, comma 2 Cost.
Vi è tuttavia chi44 ha fatto osservare come una simile enfasi posta su un intervento d’ufficio motivato da un interesse presupposto come oggettivamente preminente rischi di portare all’affermazione dell’esistenza di una speciale tutela processuale, che potrebbe apparire come una sorta di “ultima frontiera [in] espansione…del diritto dei consumi”45, dando così un’immagine del potere giudiziale come schiacciato su un “presidio di legalità destinato a travolgere l’impulso di parte”46.
Peraltro, non si può dimenticare che il canone normativo dell’interpretazione più favorevole al consumatore, tramite l’uso spesso indistinto fattone dalla dottrina, ha finito spesso per convertire l’art. 35, comma 2 cod. cons. in una “secret weapon al servizio di un “shift of power” da legislatore alle Corti”47.
42 PROTO PISANI A., Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2010, in part. 413;
DI MAJO A., Le tutele contrattuali, Torino, 2009, in part. 29.
43 Pure nella prospettiva di una disponibilità condizionata successiva, chiosa PAGLIANTINI S. op ult.cit., in part. 295.
44 PAGLIANTINI S. op ult. cit., in part. 295.
45 ZENO ZENCOVICH V., XXXXXXXXX M.C., Globalizzazione, delocalizzazione, europeizzazione. I riflessi sul processo dei consumatori, in xxx.xxxxxxxx.xx, 2011, §§1 e 2; TROCKER N., Il diritto processuale europeo e le tecniche della sua formazione: l’opera della Corte di Giustizia, in Eur. Dir. Priv, 2010, 398 ss, in part. 398.
46 MAZZAMUTO S., Il contratto di diritto europeo, cit., in part. 254.
47 Di secret weapon parla Lord Xxxxxxx nel caso Xxxxxx Xxxxxxxx (Chesterhall) Ltd x. Xxxxxx Lock Seeds Ltd, 1983, con riferimento all’uso in termini correttivi dell’interpretazione contro
Appare opportuno, pertanto, muoversi con cautela in un simile campo e valutare con attenzione la possibilità di rimettere alla discrezionalità giudiziale una funzione avente natura regolativa verso contingenti bisogni sociali; del resto, pari cautela va usata anche con la visione alternativa di un processo radicalmente visto come strumento delle parti, come tale rigidamente contrapposto ad un processo inteso come strumento sociale, e fortemente critica nei confronti di quella normativa enfatizzante, in tema di rapporto di consumo, presunzioni di vessatorietà per la clausole contemplanti, in deroga alla legge, una ripartizione pattizia dell’onere della prova oppure un’utilizzabilità limitata, se non un’esclusione, di certi mezzi di prova (art. 33, c. 2 lett. t cod. cons.).
La Corte di Giustizia, peraltro, in una recente sentenza48 ha mostrato di ritenere che il diritto comunitario non obblighi il giudice nazionale a rilevare officiosamente l’infrazione di una direttiva consumeristica nel caso in cui ciò possa comportare un travalicamento dei limiti della lite così come le parti li hanno definiti, oltretutto basato su fatti e circostanze diversi da quelli posti a fondamento delle domande. Tuttavia, viene affermata, quale eccezione a detto principio, l’ipotesi in cui il pubblico interesse ciò esige; con tutta evidenza, una simile formula rimanda proprio alle norme di ordine pubblico come cornice per lo svolgimento di un agire officioso del giudice a correzione delle disuguaglianze presenti tra le parti.
Pertanto, appare lecito mettere in discussione la tenuta del tradizionale assunto per cui l’accertamento giudiziale della verità dei fatti sarebbe il risultato dell’apporto informativo proveniente dalle contrapposte parti, per abbracciare la diversa visione di un giudice che
l’autore della clausola. Vedasi XXXXXXXX F., Xxxxxx e modelli di interpretazione del contratto, cit., in part. 181 ss.
Di shift of power parla XXXXXXXXX S., The general Clause or Standard in EC Contract Law Directives, in Xxxxxxxxx-Mazeaud (a cura di), The general clauses and Standards in European Contract Lw, Kluwer, 2005, 154 ss., in part. 154.
48 Xxxxx Xxxxx 00 dicembre 2009, causa X-000/00 , Xxxxxx Xxxxxx, §§00-00.
interviene, concorrendo a definire “l’ordine rimediale”49 più confacente alla natura degli interessi coinvolti50.
Una riflessione che abbia come base l’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in merito deve partire dalla sentenza Pannon GSM Zrt c. Sustikné Gyorfi51, e in particolare dall’affermazione in essa contenuta che il giudice ha l’obbligo di rilevare d’ufficio la vessatorietà di una clausola ma a partire “dal momento in cui dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari a tal fine”.
Rimane però da capire, visto che detta formula nulla dice, se questi elementi vadano intesi come condizione preliminare della rilevabilità officiosa ovvero se ne costituiscano l’oggetto; in quest’ultimo caso resterebbero legittimati autonomi poteri officiosi di iniziativa istruttoria ad integrazione delle prove non dedotte dalle parti, ove il giudice non disponga di elementi sufficienti per vagliare la potenziale vessatorietà di una clausola.
49 L’espressione è di DI MAJO A., Le tutele contrattuali, cit., in part. 229.
50 Infatti, se da un lato il rilievo tardivo di una questione da parte del giudice riapre i poteri consequenziali di allegazione e prova delle parti, dall’altro lato quando il giudice nel rispetto dell’art 101, comma 2 mostra di volersi pronunciare per una vessatorietà indotta da un fatto ricavabile dagli atti di causa o già dibattuto (seppur non esaustivamente) amplia il materiale impiegato ai fini della decisione. Pensiamo al caso in cui il consumatore contesti la validità della clausola ma per una causa diversa da quella che il giudice ritiene ricorra. Se si ragiona sulla base del principio di autodeterminatezza della domanda, si deve ammettere che il giudice cui sia stata fatta istanza di nullità può accertare l’esistenza di tutte le possibili cause di nullità e non solo di quella denunziata dall’attore giacchè se la domanda di nullità implica l’accertamento negativo della non validità della clausola evidentemente questa non potrà mutare in relazione alle singole cause che l’attore possa dedurre (CONSOLO C., Poteri processuali e contratto invalido, Eur dir priv, 2010, 941 ss., in part. 941 ss.)
Vi è, dunque, uno stretto legame tra i poteri istruttori del giudice – connessi a fatti che potenzialmente appartengono al processo – ed il suo decidere in modo divergente dalle deduzioni delle parti.
51 Xxxxx Xxxxx., 0 giugno 2009, causa C-243/08, in part. § 3.
Se si partisse dal presupposto per cui il giudice debba essere strettamente vincolato al principio dispositivo in tema di prova ex art 115 c.p.c., e dunque a decidere solo sulla scorta delle prove dedotte dalle parti, e si osservasse al contempo che la legislazione consumeristica pare non prevedere casi espressi contemplanti poteri istruttori officiosi, se ne potrebbe ricavare che non c’è motivo di ipotizzare un’eccezione non espressamente prevista dalla normativa.
Tuttavia, la conclusione muta se si legge l’art 115 c.p.c. come una disposizione che vieta sì al giudice di ricorrere alla propria scienza privata ma che invece è ben lungi dallo statuire anche un dovere dello stesso di decidere esclusivamente sulla scorta di quanto provato dalle parti; in altre parole, se lo si legge quale disposizione non preclusiva, per il giudice, della possibilità di utilizzare altre prove52.
Come sopra accennato, ci si è chiesti se la dilatazione delle misure istruttorie officiose possa fungere da sostegno processuale per un’interpretazione contrattuale finalizzata al conseguimento di una tutela preferenziale per il consumatore.
Si può prendere in considerazione, a questo proposito, la sentenza Penzugy Lizing Zrt53 ove si connota come obbligatoria in ragione del diritto europeo l’adozione officiosa di misure istruttorie54; peraltro, è stato significativamente notato come i poteri del giudice sembrino espandersi ad ogni nuova pronuncia della Corte di Giustizia.
52 Il che, peraltro, non compromette automaticamente il diritto alla prova delle parti né mina la terzietà del giudice, poiché anzi il giudice è tanto più imparziale quanto meno si lascia limitare nella sua attività da elementi estranei all’accertamento della verità dei fatti.
53 Xxxxx Xxxxx., 0 novembre 2010, causa C-137/08.
54 Si tratta, però, nella fattispecie, di un obbligo spurio o perlomeno foriero di equivoci, proprio perché ha ad oggetto una clausola attributiva di competenza territoriale esclusiva ad un giudice diverso da quello di residenza o domicilio del consumatore. Nel nostro ordinamento sussiste a riguardo la presunzione di vessatorietà di cui all’art. 33, comma 2 lett. u (e dunque il giudice al fine di dichiarare la propria incompetenza non dovrebbe disporre un’autonoma istruttoria, potendo decidere la questione già sulla base di ciò che
Invero, anche ove si ritenesse opportuna la figura di un giudice teso alla tutela del consumatore, per il tramite di un diritto processuale dei consumatori visto come regime speciale, si dovrebbe comunque contemperare la medesima con il canone di ragionevolezza della tutela consumeristica, quale limite invalicabile posto alla disapplicazione delle norme nazionali risultanti in conflitto con il diritto comunitario.
Del resto, è lo stesso art. 35 cod. cons. che mira ad improntare a ragionevolezza l’apparato rimediale che offre, ovvero ad un giusto equilibrio tra gli interessi del consumatore e del professionista55; d’altronde, il consumatore potrebbe aver interesse, giudicandola nel caso di specie utile o conveniente, alla conservazione, nel senso meno sfavorevole, della clausola ambigua; in questa eventualità, laddove si manifestasse da parte del giudice una propensione indistinta verso il significato più ostile, come in una parte della dottrina tedesca, si finirebbe per applicare un modello di tutela coattiva, il quale tra l’altro sembra
risulta dagli atti ovvero mediante l’assunzione di sommarie informazioni) e lett. t (LUISO, Diritto processuale civile, 118).
Tuttavia, il giudice italiano potrebbe trovarsi a decidere su fattispecie ove, anzichè clausole attributive di competenza o di deroga alla giurisdizione ordinaria, vengano in rilievo pattuizioni relative a obblighi contrattuali di carattere sostanziale. Il sindacato giudiziale cui l’art 34, comma 1 cod. cons. dà corpo implica una serie di valutazioni sostanziali, concrete ed attente del singolo caso. Se poi consideriamo che i criteri legali di accertamento della significatività di uno squilibrio vanno calati nelle concrete circostanze in cui quel contratto specifico si colloca, risulta agevole comprendere come il tramite di un convincimento del giudice che sia stato occasionato da non contestazioni o ammissioni delle parti diventi decisivo per far entrare nel processo quei fatti che sovvertono o mutano rispetto all’abituale la configurazione del contesto tipico di ogni rapporto di consumo. Del resto è in questa direzione che spinge il nuovo comma 2 dell’art. 101 c.p.c.
Per il rilievo che l’art 6 n. 1 dir. 93/13, quanto alla non vincolatività delle clausole vessatorie, è norma imperativa di ordine pubblico, con la conseguenza che il giudice ha il dovere di acquisire la prova funzionale al compiersi di questo accertamento, vedasi le Conclusioni di Trstenjak nella causa C-618/10 Banco Espanol de Credito x. Xxxxxxxx Xxxxxx, 00.
55 Conclusioni Xxxxx GmbH e Putz.
ormai disatteso dalla giurisprudenza comunitaria, portata a temperare la rilevabilità officiosa con il diritto di interpello al consumatore56, e dalla Cassazione, la quale ha parlato di una nullità di protezione che in nessun caso può ritorcersi a scapito del consumatore57, ossia una nullità convalidabile endoprocessualmente58.
Ci si può chiedere, peraltro, se il modello che propugna l’interpretazione più ostile possa eventualmente costituire una modalità di aggiramento dei limiti posti dall’art 115 c.p.c.59.
56 Vedasi, ad esempio, X. Xxxxx., x. 000/00
57 Vedasi Cass. 8.02.12, n. 1875.
58 Del resto non si vede perché, in caso di penale manifestamente eccessiva, il consumatore, anziché verso una declaratoria di vessatorietà, non si dovrebbe orientare verso una riduzione giudiziale, se la risarcibilità del danno ulteriore non è stata convenuta, dato che così può evitare di dover risarcire l’ntero danno causato al professionista. Pagliantini, 316. Cfr causa pendente Asbeek c-488/11.
59 Ciò, peraltro, sembra leggersi in una sentenza della Cassazione, dove, invece di propendere per un’interpretazione restrittiva del concetto di infermità mentale quale condizione di non assi curabilità, si è preferito concludere per un’espunzione della clausola dal contratto rimarcandone la contrarietà a buona fede e il contrasto con la causa concreta (Cass., 23 maggio 2011, n. 11295)
CAPITOLO II
RAPPORTI TRA I CANONI ERMENEUTICI CODICISTICI E LE DISCIPLINE SPECIALI
II.A) Rapporti tra canoni ermeneutici codicistici e canoni contenuti nel Codice del Consumo
In dottrina si è focalizzata l’attenzione sui rapporti tra i canoni codicistici generali ed i criteri interpretativi di cui al Codice del Consumo.
Difatti, per quest’ultima tipologia di contratti si applicano i principi generali e la normativa codicistica per quanto non diversamente disposto dal codice del consumo (artt. 38 cod. cons. e 1469 bis c.c.).
A questo proposito, l’esito ricostruttivo maggioritario rinviene una prevalenza della normativa consumeristica rispetto ai criteri generali di interpretazione oggettiva.
Da parte di alcuni si è poi osservato come, per effetto delle menzionate disposizioni, l’intero sistema delle norme relative all’interpretazione sia mutato, cosicchè, per i contratti del consumatore, le regole di interpretazione oggettiva prevarranno sui criteri soggettivi60.
Muovendo dall’analisi degli artt. 34 e 35 cod. cons. si tratta, in definitiva, di verificare se il sistema tradizionale costituito dalle disposizioni sull’ermeneutica inserite nel codice civile si presti ad essere applicato al contratto stipulato con il consumatore, e in caso positivo con quali limiti e con quali modalità.
60 Così, COSTANZA M., Note introduttive. Coordinamento tra vecchia e nuova disciplina, in Bianca C.M., Xxxxxxxx F.D. (a cura di), Commentario al capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore (artt. 1469-bis – 1469.sexies), in Nuove leggi civ., 1997, 4-5, 792 ss., in part. 792 ss..
Tra le varie letture del problema se ne possono passare in rassegna alcune, suddividendole anzitutto in grandi insiemi.
Nel primo di tali gruppi di teorie si potrebbero far confluire quelle tesi secondo le quali anche il contratto tra consumatore e professionista (in tutto o in parte non negoziato) andrebbe interpretato secondo tutti i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss c.c.; ne consegue che si dovrebbe procedere prima all’interpretazione c.d. xxxxxxxxxx (tesa a ricostruire la comune intenzione delle parti) e dopo – nel caso in cui permanga una polisemia – all’interpretazione c.d. oggettiva.
Da tale tronco comune si dipartono tuttavia opinioni divergenti sotto diversi profili.
Difatti, per alcuni Autori61, l’art. 35 cod. cons., lungi dall’assorbire tutte le tecniche ermeneutiche, prenderebbe invece il posto dell’art. 1370 c.c. situandosi, da un punto di vista cronologico, dopo i canoni di cui agli artt. 1362-1369 c.c. e prima dell’eventuale applicazione dell’art. 1371 c.c.
Secondo altri62, l’art. 35 cod. cons. sarebbe una norma di interpretazione speciale avente carattere sussidiario rispetto alla norma generale di interpretazione oggettiva dell’art. 1370 c.c., al pari delle norme contenute negli artt. 1925 e 1932 c.c. sul contratto di assicurazione. L’art. 35 cod. cons. avrebbe la funzione di far prevalere, da un punto di vista cronologico, il principio di cui all’art. 1370 c.c. sugli altri canoni di interpretazione oggettiva; dunque, dopo aver applicato il metodo della comune intenzione si dovrebbe dare spazio al criterio dell’interpretazione più favorevole al consumatore e solo se quest’ultimo non dovesse portare ad un significato univoco si potrebbero applicare le altre regole di interpretazione oggettiva.
In particolare, vi è anche una parte della dottrina che sostiene come l’art. 35 cod. cons. assuma il significato di chiarire l’operatività del principio dell’interpretazione contro l’autore
61 IRTI N., Principi e problemi di interpretazione contrattuale, cit., in part. 1154, nt. 20.
62 MARTUCCELLI S., L’interpretazione dei contratti del consumatore, Milano, 2004, in part. 58; XXXXXXXX F., Le norme interpretative speciali, Milano, 1972, in part. 195-215.
della clausola, di cui all’art. 1370 c.c., anche per i contratti individuali e di far prevalere il criterio in questione sugli altri criteri di interpretazione oggettiva del contratto63. Viene evidenziato a tal riguardo che la scelta del significato più favorevole al consumatore deve avvenire successivamente alla valutazione della vessatorietà della clausola in quanto è una scelta tra possibili significati tutti suscettibili di assumere efficacia64 .
Il criterio della interpretatio contra stipulatorem non rende inapplicabili al contratto non negoziato stipulato tra professionista e consumatore i criteri soggettivi – come si evince dall’incipit “in caso di dubbio” – bensì esclude il ricorso agli altri criteri oggettivi che presuppongono il dubbio (artt. 1367 e 1369 c.c.) e l’ambiguità (art. 1368 c.c.), mentre si applicheranno ancora le regole finali dell’art. 1371 c.c., le quali non presuppongono il dubbio ma l’oscurità, che non può esser vinta da tutti i criteri ermeneutici ma solo da un criterio legale (“in oscuri non fit interpretatio”). In altre parole, l’art 35 cod. cons. non introdurrebbe un nuovo criterio ermeneutico o una disciplina speciale sull’interpretazione del contratto con il consumatore in sé conclusa ma, da un lato, renderebbe applicabile al contratto con il consumatore una sola disposizione sull’interpretazione oggettiva, contenente il canone dell’interpretatio contra stipulatorem, dall’altro lato altresì amplierebbe il campo applicativo oggettivo di quest’ultimo principio.
Un altro orientamento65 ritiene, invece, che l’art. 35 cod. cons. sostituisca tutte le altre norme codicistiche di interpretazione oggettiva, rendendole inapplicabili; l’interpretazione dei contratti non negoziati stipulati tra professionista e consumatore sarebbe disciplinata,
63 CIAN G., Forma solenne e interpretazione del negozio, cit.
64 XXXXXXXX A., sub art. 1469-bis, in Barenghi A. (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996, in part. 48; XXXXXXXXX XXXX X., L’interpretazione del contratto, cit., in part. 19.
65 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, in riv. dir. comm., 1997, I, 947 ss., in part. 947 s.; SCOGNAMIGLIO C., Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, in part. 918.
quindi, dagli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1366 c.c., con l’aggiunta, quale unica regola di interpretazione oggettiva, dell’art. 35, comma 2 cod. cons.
Potrebbero essere raggruppate in un secondo insieme quelle teorie che escludono – a seconda dei casi, in tutto o in parte – l’applicabilità, al contratto non negoziato stipulato tra professionista e consumatore, dei criteri ermeneutici di interpretazione soggettiva66.
All’interno di tale orientamento alcuno67 distingue il contratto costituito, in tutto o in parte, da condizioni generali e il contratto il cui contenuto è stato predisposto da una delle parti per il singolo caso. Nella prima ipotesi non sarebbe rinvenibile una comune intenzione delle parti – non essendo il contenuto del contratto frutto di una libera determinazione dell’aderente – e, pertanto, si dovrebbe dare a tale tipo di contratto non negoziato stipulato tra professionista e consumatore il significato che esso assume in base a parametri oggettivi di valutazione delle espressioni o dei contegni posti in essere dalle parti.
Nell’ipotesi del contratto non negoziato, ma predisposto da una delle parti per il singolo caso concreto, invece, troverebbero applicazione le regole di interpretazione soggettiva (soprattutto quando tutto il contratto o la singola clausola da interpretare siano stati oggetto di una trattativa specifica), e troverebbe comunque applicazione l’art. 35 cod. cons.
– in forza del principio di specialità – quale unico criterio di interpretazione oggettiva. Questa distinzione è, tuttavia, assente in altra dottrina68, la quale esclude, per tutti i contratti non negoziati tra professionista e consumatore, l’applicabilità dei criteri ermeneutici soggettivi, in ragione della mancanza di una comune determinazione programmatica;
66 Ad esempio, XXXXXX XXXXXXX X., L’interpretazione dei contratti dei consumatori, in riv. trim. dir. proc. Civ., 1997, 4, 1027 ss., in part. 1027 ss.; DI XXXXX X., L’interpretazione del contratto di impresa, cit, in part. 183; XXXXXX A.M., I contratti “non negoziati”, Napoli, 2000; PENNASILICO M., L’interpretazione dei contratti del consumatore, in Il diritto dei consumi, I, a cura di Perlingieri P. e Xxxxxxxx E., Napoli, 2004, 145 ss., in part. 145; GENOVESE A., Contratto standard e interpretazione oggettiva, Milano, 2004.
67 XXXXXX XXXXXXX G., op. cit., in part. 1027.
68 AZZARO A.M., I contratti “non negoziati”, cit., in part. 264 s.
pertanto, l’interpretazione dovrebbe riguardare esclusivamente il tenore letterale del testo predisposto e l’eventuale polisemia andrebbe sciolta secondo il principio dell’interpretatio contra proferentem quale unico criterio di interpretazione oggettiva applicabile.
In ambo le riferite tesi, aderenti al medesimo gruppo, l’introduzione dell’art. 35 cod. cons. avrebbe immesso nel sistema una disciplina speciale sull’interpretazione del contratto con i consumatori, così creando un sistema interpretativo a doppio binario in cui gli artt. 1362 ss.
c.c. sarebbero la base dell’interpretazione dei contratti tra soggetti di pari forza contrattuale mentre l’art. 35 cod. cons. sarebbe il riferimento per l’interpretazione dei contratti tra professionista e consumatore.
Una terza ricostruzione69 mira piuttosto a recuperare una prospettiva di tutela della persona dinanzi all’oggettivizzazione dello scambio od alla spersonalizzazione dell’accordo. Essa, pur valorizzando i criteri oggettivi, attribuisce una posizione centrale al canone della buona fede, attraverso il quale valori e principi generali dell’ordinamento potrebbero entrare nella trama dell’accordo e svolgere un controllo sostanziale sul contratto e sulla meritevolezza in concreto del potere normativo dell’imprenditore70.
Secondo una quarta dottrina71, che accorda un ruolo centrale al criterio letterale ed al contesto verbale, sarebbero inapplicabili, tra i criteri soggettivi codicistici, solo il canone della comune intenzione delle parti nonché quello dell’interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c., restando invece applicabili gli artt. 1363, 1364 e 1365 c.c. Solo se l’esame letterale delle parole analizzate nella loro totalità non si mostrerà in grado di sciogliere la
69 DI XXXXX X., L’interpretazione del contratto di impresa, cit., 158 ss.; e PENNASILICO M., L’interpretazione dei contratti del consumatore, cit., in part. 166.
70 Detta teoria tende a far prevalere, nel dubbio, l’interpretazione idonea a conservare il contratto, in ragione della necessità di un contemperamento del canone della interpretatio contra proferentem con il principio della conservazione.
71 GENOVESE A., Contratto standard e interpretazione oggettiva, cit., in part.26 ss.
polisemia, l’interprete potrà applicare, quale unico criterio oggettivo, l’interpretatio contra proferentem.
Peraltro, il consumatore potrebbe, ad avviso di chi segue detto orientamento, far valere la sua eventuale preferenza per l’eliminazione della clausola non trasparente ed il risarcimento del danno rispetto alla sua conservazione tramite l’applicazione del criterio interpretativo di favore, e ciò considerato lo stretto legame tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons. Xxxxxx, sarebbe lasciato alla scelta del consumatore chiedere che la clausola non trasparente sia espunta dal contratto oppure, rinunziando alla relativa nullità, chiedere che essa sia interpretata nel senso ad esso maggiormente favorevole.
Una terza possibile strada, alternativa ai due insiemi di teorie appena accennati, prende le mosse dall’enfatizzazione dell’art. 34, comma 1 cod. cons., norma che tra l’altro consentirebbe, ampliando l’oggetto di indagine dell’interprete, di adeguare i criteri soggettivi delineati dagli artt. 1362-1366 c.c. alle peculiarità del contratto non negoziato stipulato tra professionista e consumatore.
L’art, 34, comma 1 cod. cons., che secondo la teoria in parola deve considerarsi cronologicamente anteriore all’art. 35, comma 2 cod. cons.72, farebbe applicazione del canone della totalità. In particolare, onde accertare la vessatorietà della clausola, si dovrebbe far riferimento non solo alle altre clausole del contratto (sulla base dell’art. 1363 c.c.) ma anche alle clausole di un altro contratto collegato o dipendente nonché alle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto.
Ovviamente si parte dal presupposto che, sebbene il termine “interpretazione” sia contenuto nella rubrica dell’art. 35 cod. cons., in realtà è nell’art. 34 cod. cons. che sono contenuti i criteri ermeneutici preordinati all’accertamento della vessatorietà.
72 XXXXXXXXXXX X.,Interpretazione del contratto non negoziato con il consumatore, in Rass.dir.civ, 2006, 3, 718 ss., in part. 734ss.
Se è pur vero che gli artt. 34 e 35 cod. cons. sono dettati ai fini dell’accertamento della vessatorietà di una clausola e, quindi, dell’efficacia di un contratto – che costituisce una delle funzioni dell’interpretazione – è vero anche che gli stessi criteri possono essere utilizzati, altresì, per le altre funzioni svolte dall’interpretazione, ossia la determinazione del contenuto del contratto ed il controllo di liceità dello stesso.
Si potrebbe obiettare che, per accertare la vessatorietà di una clausola, occorre prima interpretarla, e dunque l’art. 34, comma 1 cod. cons. non inciderebbe sul sistema dell’interpretazione del contratto ma si porrebbe in un momento cronologicamente e logicamente successivo rispetto all’attività ermeneutica; pertanto, continuerebbero ad applicarsi al contratto non negoziato gli artt. 1362 c.c. ss. per determinare il significato delle clausole e, una volta finita l’operazione interpretativa, si ricorrerebbe all’art. 34, comma 1 cod. cons. per accertare la vessatorietà.
Tuttavia, si potrebbe replicare che l’interpretazione della clausola e l’accertamento della sua vessatorietà costituiscono due attività che si svolgono contemporaneamente, essendo espressioni del medesimo procedimento conoscitivo e non momenti ontologicamente diversi ed aventi oggetti differenti.
Essendo la vessatorietà uno dei possibili significati attribuibili alla clausola medesima, si può ritenere che il legislatore, onde accertare la vessatorietà di una clausola, abbia indicato i criteri ermeneutici da adoperare per interpretarla e quindi per qualificarla come vessatoria; in questa prospettiva, l’art. 34, comma 1 cod. cons. incide sull’interpretazione del contratto non negoziato e, del resto, indici normativi a supporto dello stretto collegamento tra interpretazione e qualificazione possono essere rinvenuti negli artt. 1369, 1371 e 1364 c.c.. L’art. 34, comma 1 cod. cons. individua un materiale ermeneutico più ampio di quello di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., i quali non fanno riferimento alle clausole contenute in
contratti collegati73 o da cui xxxxxxx00 quello in esame nè alle circostanze75 esistenti al momento della conclusione, e ciò nonostante l’art. 1363 c.c. preveda l’interpretazione complessiva delle clausole.
Grazie a tale più ampio materiale ermeneutico, che estende l’oggetto dell’indagine, l’art. 34 cod. cons. potrebbe consentire un adeguamento dei criteri soggettivi codicistici di cui agli artt. da 1362 a 1366 c.c. alle peculiarità del contratto non negoziato tra professionista e consumatore.
L’articolo in parola, infatti, non ha introdotto un diverso criterio ermeneutico ma ha, invece, ampliato il contesto verbale a clausole contenute in contratti diversi da quello sottoposto ad interpretazione, seppur collegati o da cui esso è dipendente, e d’altro lato ha introdotto un differente elemento, rappresentato dalle circostanze esistenti al momento
73 L’art. 34 (previgente art. 1469 ter c.c.) è il primo riconoscimento normativo della nozione di collegamento (MONTICELLI S., art. 1469 ter, in Clausole vessatorie e contratto del consumatore, a cura di Xxxxxx E, Padova, 1996, 526 ss., in part. 526; XXXXXXXXXXX X., Interpretazione del contratto non negoziato, cit., in part. 737 ss. Pur nella consapevolezza che non pare esistere una nozione univoca di collegamento, solitamente con esso termine si fa riferimento, per quanto concerne l’art. 34, comma 1, :al collegamento bilaterale volontario funzionale; fattispecie individuabile a partire dal criterio ermeneutico volto a comprendere l’intenzione dei contraenti di realizzare un unitario regolamento di interessi perseguito da tutti i partecipanti alla complessiva operazione economica; prospettiva unitaria atta a risolvere qualsiasi problema interpretativo.
74 La nozione di “contratto dipendente” cui fa riferimento l’art. 34 non si trova né nella normativa né in dottrina. Potrebbe intendersi per “contratto dipendente dal contratto non negoziato” qualsiasi contratto cui quest’ultimo sia legato unilateralmente (ad esempio, il contratto stipulato dal professionista con il fornitore o le intese anticoncorrenziali, XXXXXXXXXXX B., Interpretazione del contratto non negoziato, cit., in part. 740).
75 Ci si è interrogati sul significato del termine “circostanza”, partendo dall’etimologia latina circumstantia, letteralmente “luogo vicino”, per poi osservare che, nel linguaggio comune, esso indica da una parte la condizione particolare che accompagna un fatto e ne determina la natura e l’importanza (significato oggettivo) e dall’altra lo stato particolare in cui si trova una persona in un determinato momento (significato soggettivo).
della conclusione del contratto, da cui si deve evincere la comune intenzione delle parti nei contratti non negoziati stipulati tra professionista e consumatore; detto elemento tiene luogo delle trattative (cioè i comportamenti anteriori) nonché i comportamenti posteriori.
In questo senso si potrebbe sostenere che in relazione ai contratti del consumatore il testo perda centralità, divenendo un tassello da inserire in un contesto che lo travalica, investendo i fattori esterni che lo circondano, e dovendo essere esaminato quale frammento di un’attività di impresa e non come un negozio isolato.
In virtù dell’art. 34 cod. cons., si permette dunque all’interprete di volgersi verso una prospettiva improntata alla totalità e di scendere negli affari o nelle operazioni che rimangono celati dietro le clausole. Peraltro, ove si concludesse per la vessatorietà di una clausola, essa non sarebbe utilizzabile nell’interpretazione basata sull’art. 1363 c.c., poiché essa viene espunta dal testo contrattuale (cd. contesto verbale) per confluire nei comportamenti (cd. contesto situazionale).
Nell’art. 34 cod. cons., pertanto, il termine “circostanze” rimanda sia al tempo e al luogo di stipulazione del contratto sia allo stato soggettivo dei contraenti al momento della stipulazione medesima.
Si ipotizza, dunque, che possano rientrare nella nozione di “circostanze”: la forza contrattuale delle parti ossia la loro condizione economica; la presenza di sollecitazioni commerciali; la richiesta di beni o servizi su ordinazione dell’acquirente; l’opportunità di concludere il contratto alle stesse condizioni con altri senza dover accettare una data clausola; la ragionevole conoscenza da parte dell’acquirente dell’esistenza della clausola, tenuto conto degli usi di commercio e/o dei precedenti rapporti tra le parti; i comportamenti tenuti da terzi; le condizioni di mercato.
Il termine “circostanze” usato nell’art. 34 non è sovrapponibile all’espressione “comportamenti precedenti, contemporanei e successivi” di cui all’art. 1362, comma 2 c.c. Infatti, nelle circostanze sono certamente inclusi i comportamenti delle parti ma questi
ultimi non le esauriscono. In altre parole, i comportamenti sono delle circostanze ma non tutte le circostanze sono comportamenti delle parti.
E’ pur vero che l’art. 1362 c.c. prevede che la comune intenzione delle parti si tragga da elementi esterni all’accordo, che rappresentano la situazione esterna al testo contrattuale (cd. contesto situazionale) ma questo materiale è definito soggettivamente dalla qualità degli autori cioè le parti del contratto. Dunque, nell’interpretazione del contratto in generale possono esser valutati dall’interprete i soli comportamenti delle parti e non ciò che è estraneo a queste ultime. Invece, l’art. 34 cod. cons. introduce, tra gli indici da prendere in considerazione, anche elementi estranei alle parti del contratto oggetto di interpretazione.
L’art. 34 cod. cons., peraltro, fa riferimento non semplicemente alle circostanze ma più precisamente alle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto. Se, da un lato, tutti i comportamenti sono circostanze, alla nozione di circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto non sono riconducibili tutti i comportamenti, restando esclusi i comportamenti anteriori e posteriori alla conclusione del contratto. In altri termini, non tutti i comportamenti sono circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto e non tutte le circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto sono comportamenti.
Prevedendo le circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto, il contesto situazionale assume, nell’interpretazione del contratto non negoziato, una configurazione diversa rispetto a quanto statuito dall’art. 1362, comma 2 c.c. Infatti, il materiale ermeneutico di cui avvalersi non è né costituito dai comportamenti anteriori e posteriori alla conclusione del contratto, né esclusivamente da elementi (comportamenti) circoscritti alle parti del contratto, ma si estende ad elementi non riferibili alle parti, non solo esterni all’accordo bensì anche estranei alle parti (cioè le circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto).
Quindi, le circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto ed i comportamenti contestuali alla conclusione del contratto ma non esauriti in essi (cd. contesto situazionale) contribuiscono a ricostruire la comune intenzione delle parti, in altri termini il fine pratico comune.
Neppure nei contratti non negoziati stipulati tra consumatore e professionista, difatti, lo si ripete, si prescinde dalla dimensione concreta dello specifico rapporto contrattuale. Ma in detti contratti tale concretezza, che non può inferirsi dai comportamenti anteriori delle parti data l’assenza di trattative o dai comportamenti posteriori, viene tratta dalle circostanze, oggettive e soggettive, esistenti al momento della conclusione del contratto.
Avere previsto la considerazione delle circostanze consente proprio di adeguare le disposizioni sull’interpretazione soggettiva ai contratti non negoziati stipulati tra consumatore e professionista. Peraltro, la previsione delle circostanze come parte del materiale ermeneutico da cui trarre, nei contratti non negoziati tra professionista e consumatore, la comune intenzione delle parti, pare discendere dalla considerazione che la verifica dello squilibrio dei diritti e degli obblighi, presupposto assieme alla mancanza di trattative del giudizio di vessatorietà, implica una valutazione globale del complessivo assetto di interessi; del resto sembra confermato dall’art. 34 cod. cons. che l’interpretazione conferisce un significato all’economia dell’affare come stabilito dai contraenti. Infatti, una clausola che, isolatamente presa, potrebbe esser fonte di squilibrio tra le parti, potrebbe risultare invece giustificata alla luce di altre clausole del contratto oggetto di interpretazione o collegato o da cui esso è dipendente (cd. contesto verbale) ma anche alla luce delle circostanze esistenti al momento della conclusione del negozio stesso (cd. contesto situazionale), che potrebbero riportare ad equità la situazione complessiva.
Così, se la considerazione isolata di una clausola potrebbe condurre ad escluderne la vessatorietà, un’analisi estesa al contesto verbale e situazionale potrebbe risolversi nell’accertamento della vessatorietà.
CAPITOLO III
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO CON IL CONSUMATORE
III.A) Ermeneusi del contratto tra professionista e consumatore. L’art. 35 cod. cons. L’articolo 35 del Codice del Consumo, rubricato significativamente “Forma e interpretazione”, si compone di tre commi, dei quali, in estrema sintesi, il primo enuncia un imperativo di chiarezza e comprensibilità da osservarsi nella redazione di clausole proposte per iscritto al consumatore, il secondo stabilisce il canone ermeneutico che in caso di dubbio fa prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore, il terzo esclude il canone ermeneutico appena menzionato nell’ipotesi di azione inibitoria ex art. 37 del medesimo testo.
La norma appare, invero, essere una precisa attuazione76 della direttiva 93/13/CEE.
III.B) L’art. 35, comma 1 cod. cons.
III.B).1 “Chiarezza” e “comprensibilità”
Il primo comma dell’art. 35 cod. cons. pone a carico del professionista una prescrizione di chiarezza e comprensibilità delle clausole del contratto, frequentemente compendiata nel cd. obbligo di trasparenza, che dovrebbe esser tale da consentire al consumatore di prestare
76 L’art. 5 della menzionata direttiva dispone che “nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore. Questa regola di interpretazione non è applicabile nell’ambito delle procedure previste all’articolo 7, § 2”.
un’adesione consapevole e informata, e da evitare così che il soggetto forte del negozio, mediante formule vaghe o tecniche, possa falsare le conseguenze derivanti dalla stipulazione77.
Peraltro, opportunamente il criterio della trasparenza è richiamato anche dall’art. 2, comma 2 cod. cons. e collocato, dunque, tra i diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti.
Dalla lettera della norma da ultimo menzionata si percepisce subito che intercorrono delle differenze tra obbligo di informazione e obbligo di trasparenza, le quali si manifestano anzitutto nell’osservazione che l’obbligo di trasparenza sussiste nella sola area del contratto unilateralmente predisposto e delle condizioni di contratto, grava sul predisponente a tutela della controparte e ha ad oggetto elementi del contratto, mentre invece gli obblighi informativi prescindono dalle modalità di conclusione del negozio, hanno carattere reciproco e riguardano circostanze esterne al contratto stesso78 .
Il menzionato obbligo di trasparenza, sulla base dell’art. 35, comma 1 cod. cons., sembra poter essere tradotto nell’obbligo gravante sul professionista di predisporre la clausola in modo che essa sia leggibile tipograficamente, che ne sia comprensibile il significato senza necessità di sforzi particolari, competenze specifiche, aiuti esterni qualificati, e, dunque, in altri termini, che abbia un significato inequivocabile, non ingannevole ed esauriente.
Tuttavia, la definizione dei concetti di chiarezza e comprensibilità è un’operazione tutt’altro che semplice e definitiva, ed infatti ha dato origine ad accesi dibattiti.
A titolo di esempio, si può ricordare che vi è chi esclude che l’art. 35 cod. cons. possa configurare un obbligo di non utilizzare termini tecnici e giuridici, data la rilevanza proprio
77 XXXXXXXXXXX X., Interpretazione del contratto non negoziato, cit., in part. 757.
78 XXXXXXX X., sub art. 2, in Vettori G. (a cura di), Commentario Codice del Consumo
Padova, 2007, 32 ss., in part. 32 s.
di detti termini per identificare correttamente le operazioni ed apparendo, peraltro, ragionevole pensare che, in questi casi, al contratto si accompagnino materiali esplicativi 79 . Invero, occorre osservare come “chiarezza” e “comprensibilità” (riunite di frequente, come anticipato, nell’espressione “obbligo di trasparenza”) non sono concetti sovrapponibili e fungibili, seppure tra loro connessi e spesso ritenuti endiadi. Infatti, esemplificando, dalla prescrizione in termini di chiarezza emerge la necessità dell’utilizzo, da parte del professionista, di meccanismi redazionali semplici e leggibili nella presentazione del contratto (con riferimento, per fare un esempio, alla dimensione dei caratteri tipografici, rimanendo, dunque, escluse le grafie microscopiche in quanto ostative alla formazione di una volontà conforme del consumatore) mentre dal requisito della comprensibilità discende l’imperativo di accessibilità della lingua e della terminologia utilizzate; quest’ultima, in particolare, deve risultare intelligibile secondo parametri di ordinaria diligenza e corrispondere ad un livello di tecnicità ragionevole, non eccessivamente complesso e che comunque consenta, anche mediante spiegazioni o rinvii ad elementi extratestuali, un’effettiva comprensione80 .
Resta fermo che ciascuno dei citati attributi dell’informazione ha natura fortemente indeterminata e pertanto rimessa in definitiva all’interprete, che dovrà analizzarne la
79 XXXXXXX S.T., sub art. 1469-quater, in Barenghi A. (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996, 138 ss. , in part. 150; XXXXX X., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), Napoli, 1997, in part. 1191.
80 Vi è dunque, da un lato, l’onere del professionista di evitare una terminologia criptica, mentre dall’altro è richiesto al consumatore di attivarsi, nei limiti della diligenza media, per comprendere il significato delle singole clausole. Si precisa che, in caso di relatio, l’obbligo di trasparenza gravante sul professionista si amplia: esso, infatti, comprende la clausola negoziale di rinvio, nonchè il documento relato. La recente giurisprudenza di merito (vedasi Trib. Ravenna, 22 febbraio 2012, in Contratti, 2012, 4, 283) ha ritenuto di estendere l’esigenza di chiarezza e trasparenza ex art. 35 cod. cons. anche agli articoli 1341 e 1342 c.c.
presenza per capire se ricorra o meno un’informazione adeguata alla concreta fattispecie e, dunque, soddisfacente le esigenze di trasparenza.
La ragione giustificatrice della prescrizione di trasparenza può essere, dunque, individuata nell’esigenza di garantire al consumatore un effettivo accesso al contenuto del contratto: la chiarezza nella redazione e la comprensibilità della terminologia utilizzata sono funzionali alla comprensione effettiva del rapporto contrattuale cui lo stesso consumatore va a vincolarsi81.
In particolare, si può notare come il legislatore ricorra di frequente alla prescrizione della trasparenza proprio in funzione di tutela della parte contrattuale debole, di riduzione dell’asimmetria e dello squilibrio di informazioni, conoscenze e mezzi in generale che fatalmente vanno ai danni di quest’ultimo.
Una parte della dottrina riconduce l’obbligo di chiarezza e comprensibilità di cui all’art. 35 cod. cons. al generale dovere di buona fede gravante sui contraenti, creando un collegamento da cui fa derivare un’integrazione del citato obbligo di chiarezza e comprensibilità, rendendolo tale da ricomprendere anche un dovere di sintesi e di considerazione dei fattori soggettivi di ciascun consumatore idonei a rendere più difficile la comprensione del contratto82. Quanto al menzionato dovere di sintesi, si può notare che esso, peraltro, è stato già previsto nella legislazione bancaria e nella delibera CICR del 4 marzo 2003, mentre, per ciò che concerne il secondo degli obblighi appena citati, questo si tradurrebbe nel dovere per il predisponente di attivarsi al fine di rendere il contratto
81 In questo senso è assai indicativo il Considerando n. 20 della direttiva 93/13/CEE: “considerando che i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, che il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole e che, in caso di dubbio, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore”.
82 In tal senso, v. MORELATO E., Nuovi requisiti di forma nel contratto: trasparenza contrattuale e neoformalismo, Padova, 2006, in part. 164.
comprensibile al singolo consumatore, tenendo in considerazione svariati elementi quali, ad esempio, l’età oppure gli impedimenti fisici o psichici.
La chiarezza e la comprensibilità costituiscono, quindi, attribuiti da riconoscere alla trasparenza, ossia a quella informazione utile alla formazione di un consenso responsabile del consumatore83, esaustiva (o completa), chiara e comprensibile, leale ed accessibile.
Evidentemente, una volta identificati i caratteri della trasparenza, il problema diviene capire quando un’informazione soddisfa e, dunque, merita dette qualifiche.
Peraltro, non vi è una sola nozione di trasparenza ma tante diverse nozioni di trasparenza dipendenti dal contesto interessato. Difatti, l’art. 5, comma 3 cod. cons. prescrive la chiarezza e la comprensibilità delle informazioni, costituendo così una norma di chiusura riassuntiva degli obblighi specifici di cui alla normativa consumeristica e impositiva di uno standard informativo adeguato per le ipotesi in cui invece la legge tace. Invero, manca un coordinamento adeguato tra l’enunciazione di principio di cui all’art. 5 cod. cons. e le singole ipotesi relative ai vari settori in cui l’obbligo in parola è operante (ad esempio, cfr. artt. 47 ss. e 52 ss. cod. cons.).
Tuttavia, l’interprete è comunque tenuto a vagliare se il diritto del consumatore ad essere informato è stato soddisfatto nei modi e con i contenuti previsti dalla normativa.
In ogni caso, si è evidenziato che la legislazione consumeristica non ha del tutto azzerato il dovere di autoinformazione emergente dall’art. 1341, comma 1 c.c., per sostituirlo con un incondizionato diritto del consumatore a venire informato. Difatti, dovendosi il canone della diligenza pur sempre iscriversi nell’ambito della correttezza, attraverso l’art 1337 c.c. potrà esser sanzionato il consumatore che deliberatamente si sia mostrato negligente e che ciononostante abbia chiesto la declaratoria di nullità causata da una sua ignoranza colpevole.
83 PAGLIANTINI X., voce Trasparenza contrattuale, in Enc. dir., Xxxxxx X, Milano, 2012, 1280 ss., in part. 1287.
Peraltro, a giudizio di alcuni va sottolineato che, quando un contratto tra professionista e consumatore è concluso con modalità tali da far maturare in chiunque la consapevolezza che il futuro rapporto sarà regolato da condizioni generali, la legge si limita tendenzialmente a fissare i presupposti necessari affinché un qualsiasi aderente possa trovarsi nelle condizioni di informarsi. Si pensi, a quest’ultimo proposito, alle fattispecie di conclusione del contratto a mezzo di distributori automatici o di impianti meccanici di lavaggio, ovvero ai quotidiani rapporti di massa84.
III.B).2 Parametro di riferimento per la chiarezza e la comprensibilità
Peraltro, si può notare come i due elementi rappresentati dalla chiarezza e dalla comprensibilità mutano di senso a seconda del parametro di consumatore che si assume come riferimento.
…Consumatore medio
Generalmente, la trasparenza delle clausole viene valutata in relazione al parametro del “consumatore medio”; si tratta di una nozione aperta e dai confini variabili, soprattutto con riferimento al bene che forma oggetto del contratto, al settore in cui lo stesso viene stipulato, alle peculiarità del consumatore, ecc…85 .
Assumendo come parametro la figura del “consumatore medio” – quale soggetto critico e responsabile in quanto normalmente informato e normalmente immune da condotte decettive, come del resto sembra confermato dalla giurisprudenza comunitaria in materia di
84 XXXXX XXXXXX X., sub. art. 5, in Xxxx X., Xxxxx Xxxxxx X. (a cura di), Codice del Consumo. Commentario, Napoli, 2005, 131 ss., in part. 131 s.; XXXXX XXXXXX X., Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo, in riv. dir. priv., 2004, 366 ss., in part. 366 s.; XXXXXXXXXX E., sub 1469-quinquies, in Bianca C.M., Xxxxxxxx F.D. (a cura di), Commentario al cap XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore (artt. 1469-bis - 1469-sexies), in Nuove leggi civ., 1997, 768 ss., in part. 1245.
85 PONCIBÒ C., Il consumatore medio, in Contratto e impresa/Europa, 2007, 734 ss., in part.734.
marchi d’impresa e pubblicità ingannevole o comparativa86 – la valenza prescrittiva della trasparenza subisce una drastica riduzione ai minimi termini, a tutto vantaggio del professionista, il quale, sapendo di poter contare su di un consumatore ragionevolmente attento ed avveduto, non si sentirà affatto tenuto ad adoperare un linguaggio didascalico, esplicativo di eventuali sigle ed abbreviazioni, comunque deviante dalle consuetudini lessicali del settore. Se è vero che sembra supportare questo indirizzo l’esame del considerando n. 18 della dir. 2005/29/CE87 e se è vero anche che il riferimento del menzionato considerando n. 18 ai fattori sociali, linguistici e culturali contribuisce in parte a relativizzare dei parametri naturalmente mutevoli e vaghi quali sono “normalmente” (riferito al grado di informazione del consumatore) e “ragionevolmente” (riferito al grado di spirito critico del consumatore), si deve riconoscere quanto comunque questi avverbi ammantano di indeterminatezza “il bagaglio cognitivo ed esperienzale del cosiddetto consumatore medio”88.
…Consumatore debole
Si potrebbe, invece, pensare di assumere come parametro la figura del “consumatore debole”, intendendo questo come un soggetto vulnerabile e presuntivamente incapace di apprezzare il significato complessivo del regolamento contrattuale, un soggetto che si assume negozi per lo più senza attentamente vagliare quanto poi firma, un soggetto, dunque, che, in ragione di ciò, è ritenuto meritevole di una tutela officiosa da parte del
86 Corte Giust., 12.02.2004, causa X-000/00, Xxxxxx XxxX; Corte Giust., 6.05.2003, causa C-104/01, Libertel Groep BV; Corte Giust., 19.04.2007, causa X-000/00, Xx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx; Corte Giust., 19.09.2006, causa C-356/04, Lidl Belgium.
Ma possono vedersi anche, per la commercializzazione di categorie specifiche di prodotti,
X. Xxxxx. XX, 00 ottobre 2002, causa C-99/01, Xxxxxxx, e X. Xxxxx. XX, 00 gennaio 2000, causa C-220/98, Xxxxx Xxxxxx Cosmetics.
87 La quale ha sostituito la definizione inizialmente presente nella proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel 2003 (COM (2003) 356 def. del 18.06.2003, art. 2 lett. b).
88 PAGLIANTINI X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1290.
giudice. In tal caso, la prospettiva inevitabilmente cambia ed il grado di trasparenza richiesto al professionista viene ad essere incrementato.89 Solo per fare un esempio, dovrebbe essere evitato l’utilizzo di clausole articolate in commi separati o collegate tra loro.
Detta prospettiva appena esposte si rivela, dunque, antitetica rispetto a quella che si è illustrata in precedenza90. A questo proposito è stato peraltro segnalato più volte come una chiarezza calibrata su un’alfabetizzazione minima, doverosamente arricchita da accorgimenti quali legende esplicative, possa essere considerata (specie nel settore bancario e finanziario)91 un valido strumento di composizione degli interessi.92
89 Vedsasi X. Xxxxx. CE, 4 giugno 2009, causa C-243/08, Pannon GSM Zrt. c. E.S. Gyorfi,
X. Xxxxx. UE 17 dicembrre 2009, causa C-227/08, Xxx Xxxxxx Xxxxxx x. EDP Editores SL, X. Xxxxx. CE 15 aprile 2010, causa X-000/00 Xxxxx Xxxx x. Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxx- Xxxxxxxxx eV.
Cfr. XXXXX XXXXXXX N., Il consumatore medio ed il consumatore vulnerabile nel diritto comunitario, in Contr. Impr., 2010, 549 ss., in part. 549 ss.
90 L’una del “consumatore imprenditore di se stesso” e l’altra del “soggetto intrinsecamente vulnerabile”, secondo la bipartizione proposta da DENOZZA F., Aggregazioni arbitrarie v. “tipi” protetti: la nozione di benessere del consumatore decostruita, in Giur. Comm., 2009, I, 1057 ss., in part. 1057 s. e in xxx.xxxx.xx.
91 Vedasi le Istruzioni della Banca d’Italia, che parlano di elevati livelli di leggibilità e di allegati riportanti una guida con le principali indicazioni redazionali che gli intermediari possono applicare per assicurare il rispetto dei criteri di chiarezza e comprensibilità. Ma a dar l’idea della complessità del quadro normativo e della sua ambiguità, basta ricordare che il testo originario della proposta di direttiva sui diritti dei consumatori, COM(2008) 614 def. del 8.10.2008, faceva espresso divieto agli Stati membri di imporre prescrizioni in materia di presentazione per il modo in cui le clausole contrattuali sono state espresse o messe a disposizione del consumatore (art. 31 § 4).
Vedasi FERRO XXXXX P., Lezioni di diritto bancario, Torino, 2004, in part.188, nt. 10.
92 GORGONI M., Spigolature su luci (poche) e ombre (molte) della nuova disciplina dei contratti di credito ai consumatori, in Resp. civ. e prev., 2011, 4, 755 ss., in part. 755 s. In parte della letteratura giuridica più recente si è avvertito circa il plausibile fallimento delle regole di
…Consumatore “confiant”
Può essere considerata una soluzione intermedia rispetto alle due accennate opzioni93 quella di assumere a parametro la figura del cosiddetto “consumatore confiant”, con tale
disclosure dalla prospettiva dei «consumatori» perché l'intensificazione degli obblighi di informazione, che dovrebbe offrire l'opportunità di fare scelte razionali (XXXX XXXXXXXXX V., SANDICCHI G.B., L'economia della conoscenza e i suoi riflessi giuridici, in Dir. infor., 2002, 971 ss., in part. 971), non è in grado di fornire protezione a tutti i consumatori, ma solo a quelli già in grado di autotutelarsi (cd. “well-educated middle-class consumers”). Non beneficerebbero, in sostanza, della tutela proprio le fasce più vulnerabili, già socialmente escluse (XXXXXXXXXXX X., Consumer Law and Social Justice, in XXXXXX, I (Ed), Consumer Law in the Global Economy, 1997, 224) , le quali non sono in grado di trarre profitto dalle informazioni ricevute (per XXXXXXX, The Potential and Limits of Consumer Empowerment by Information, in Journal of Law and Society, 2005, 32, 357, «information is only useful if it can be acted upon. The poor may rationally decide not to make use of information, if they feel no alternatives will be available to them».Sul contraente debole, che popola il mercato senza assumervi un ruolo da protagonista, per definizione inconsapevole, insorabilmente miope e dalla razionalità ineludibilmente limitata, cfr. X. XXXXXXXXX, Conclusioni, in GITTI-VILLA (a cura di), Il terzo contratto, Bologna, 2008, 331 ss.). La loro debolezza deriva, infatti, da una mancanza di bargaining power piuttosto che dall'ignoranza di ciò che viene loro proposto e delle condizioni dell'offerta. Semplicemente, essi non hanno possibilità di scegliere. A questo dato si aggiungono gli effetti perversi del fenomeno dell'information overload che, soprattutto in un contesto così contrassegnato da tecnicismo, può tradursi in «un deficit di conoscenza sino ad integrare una specifica tipologia di vizio» (GRECO F., Informazione pre- contrattuale e rimedi nella disciplina dell'intermediazione finanziaria, Milano, 2010, in part. 56; XXXXXXX A., Obblighi di informazione, suitability e conflitti di interesse: un'analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali e un confronto con la nuova disciplina MifiD, in XXXXXXX A.(a cura di), I soldi degli altri. Servizi di investimento e regole di comportamento degli intermediari, Milano, 2008, in part. 20; XXXX X., La giurisprudenza sugli intermediari finanziari, in Corr. giur., 2008, 123 ss., in part.140; RORDORF R., La tutela del risparmiatore: norme nuove, problemi vecchi, in Società, 2008, 272 ss., in part. 272; ANNUNZIATA F., Regole di comportamento degli intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, in part. 321).
93 DENOZZA F., Aggregazioni arbitrarie v. “tipi” protetti: la nozione di benessere del consumatore decostruita, cit.
definizione alludendo al soggetto portato a riporre un ragionevole affidamento sulle qualità e sulle prestazioni abituali di un prodotto di un determinato tipo, secondo il modello di cui fa applicazione l’art. 129, comma 2, lett. c) cod. cons.
Parlare di una ragionevole aspettativa sottende, in definitiva, un riferimento a ciò che, secondo regole di comune esperienza, una persona di media avvedutezza può esser indotta ad aspettarsi da un certo tipo di contratto.
Conseguentemente, non dovrà esser vagliato in via preventiva se una determinata categoria di consumatori sia da ritenersi debole, dovendosi invece appurare se un certo tipo di struttura del testo contrattuale si presti a sviare concretamente l’attenzione del consumatore medio di uno specifico settore94.
Peraltro, si è fatto notare che aggravare l’obbligo di chiarezza a vantaggio dei consumatori più sprovveduti verosimilmente significherebbe incrementare i costi di produzione e di allocazione per tutti i consumatori e, quindi, anche per quelli tra essi che siano provvisti di una capacità cognitiva maggiore di quella presa come riferimento.
La decisione circa come declinare il modello di consumatore, sulla cui base verificare il rispetto dell’imperativo di chiarezza e di comprensibilità, fa quindi mutare, insieme al grado di protezione riservato al consumatore stesso, anche l’ammontare dei costi imputati all’impresa.
Non solo. E’ stata anche avanzata l’idea per la quale optare per un parametro di elementare chiarezza e comprensibilità esteso a tutti i consumatori, oltre a comportare la menzionata possibile conseguenza negativa dell’aumento dei costi, potrebbe rivelarsi anche poco in armonia con quel principio di proporzionalità che sembra ispirare l’azione dell’Unione e che riverbera nell’art. 5 del Trattato UE (ex art. 5 Trattato CE).
94 XXXX X., “Diligenza professionale”, “consumatore medio” e regola di “de minimis” nella prassi dell’AGCM e nella giurisprudenza amministrativa, 2011, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
Vero è che il riferimento al consumatore medio compare di frequente, come si nota negli artt. 20, comma 2, 21, 22, commi 1 e 2 e 24 cod. cons.
Tuttavia, la normativa di origine comunitaria sembra effettivamente tendere verso una suddivisione dei consumatori per categorie, adattando la stessa nozione di consumatore medio a seconda che la pratica in oggetto si mostri rivolta a un gruppo determinato di soggetti (art. 20, comma 2 cod. cons.) oppure dando risalto, segnatamente nei contratti conclusi a distanza, alle specifiche esigenze di protezione riconosciute a certe categorie di consumatori particolarmente vulnerabili (art. 52, comma 2 cod. cons.).
Si tratta, in definitiva, di una commisurazione casistica degli elementi della chiarezza e della comprensibilità che riprende un orientamento piuttosto presente in Germania, seppur non senza contestazioni95.
Tuttavia, non si può omettere di considerare quanto una parcellizzazione del criterio valutativo possa rendere la questione della trasparenza ancor più complessa.
Se da una parte, del resto, diversificare fa risaltare, in modo anche opportuno, le differenze esistenti e contingenti tra gli interessi protetti, può celare, d’altra parte, il limite di comportare nei riguardi di determinati gruppi di soggetti oneri supplementari di diligenza, che potrebbero risultare non sempre giustificati dalla complessità dell’operazione economica di cui essi sono parte.96
III.C) La portata applicativa dell’art. 35, comma 1 cod. cons.
95 Cfr. XXXXXXXXXXX X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1291.
00 XX XXXXXXXXXX X., Xx divieto di pratiche commerciali sleali. La nozione generale di pratica commerciale “sleale” e i parametri di valutazione della “slealtà”, in Le “pratiche commerciali sleali” tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/CE e il diritto italiano, a cura di Xx Xxxxxxxxxx G., Torino, 2007, 135 ss., in part. 135 ss.; XXXXXXXXX M., Xxxxxxxx generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contr. Impr., 2009, 105 ss., in part. 105.
L’art. 35 cod. cons. ha una portata applicativa generale, che si estende a tutti i contratti conclusi dal consumatore, compresi, ad esempio, quelli bancari e di credito al consumo97.
Resta ovviamente salvo l’affiancamento, alla generale prescrizione contenuta nella norma in parola, di una disciplina specifica per alcune tipologie di contratti, come ad esempio quelli turistici, bancari e finanziari.
In secondo luogo, la disposizione riguarda tutte le clausole del contratto, e, dunque, sia quelle relative agli elementi essenziali sia quelle relative agli elementi accessori98.
Non di rado, peraltro, si è posto come un nodo problematico il tema dell’estensione dell’obbligo di trasparenza alla generalità delle clausole.
Non sembra esservi, invero, alcun appiglio né letterale né sostanziale di cui munire un’interpretazione restrittiva al riguardo, stante, altresì, la difficoltà di distinguere, all’interno del negozio, tra clausole essenziali o meno e di limitare conseguentemente solo alle prime l’obbligo di chiarezza e di comprensibilità, quando invece l’unica condizione è che si tratti di clausole predisposte unilateralmente dal professionista99.
Appare, anzi, potenzialmente foriero di effetti distorsivi un atteggiamento che sia volto a limitare, nei contratti stipulati per iscritto, l’obbligo di chiarezza e comprensibilità alle sole clausole essenziali.
Si può pensare a quanti – e quanto rilevanti – disagi interpretativi potrebbero crearsi nel caso in cui una clausola oscura, pur se secondaria, risulti necessaria o utile ai fini dell’interpretazione complessiva del contratto.
97 Si tratta dell’opinione maggioritaria.
98 XXXXXXX S.T., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996.
99 Cfr. XXXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, in Xxxx X., Xxxxx X. (a cura di), Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, in Il codice civile. Commentario fondato da Xxxxxxxxxxx P., diretto da Xxxxxxxx F.D., Artt. 1469-bis – 1469-sexies, Milano, 1997, 1015 ss., in part. 1015 s., 1019.
Limitare l’applicazione della norma alle sole clausole essenziali rischierebbe, in altre parole, di rendere impossibile un intervento su asimmetrie informative derivanti dall’oscurità di clausole accessorie; ciò si porrebbe in contrasto, oltre che con la lettera e lo spirito della disciplina consumeristica, con le regole ermeneutiche codicistiche, ed in particolare con l’art. 1363 c.c., il quale, come è noto, impone di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.
Altro problema è se l’art. 35 cod. cons. vada considerato applicabile anche alle clausole non vessatorie, dal momento che una clausola non vessatoria può contribuire, se formulata male, ad un fraintendimento da parte del consumatore della portata reale dei diritti ed obblighi derivanti dal negozio.
Vasto ed acceso dibattito è poi sorto con riferimento alla presenza, all’interno della norma in esame, di un accenno alla predisposizione per iscritto delle clausole.
Sebbene una parte della dottrina100 abbia sottolineato l’opportunità di non forzare il tenore letterale della disposizione101, appare comunque necessario soffermarsi sul valore da
100 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 954 s. Pertanto, al di fuori dell’ipotesi di clausole proposte per iscritto, la sanzione dell’obbligo di trasparenza e la conseguente tutela della posizione del consumatore dovrà essere cercata su altri piani, come nella concretizzazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative di cui all’art. 1337 c.c. e nell’applicazione del canone interpretativo contenuto nell’art. 1370 c.c. in presenza dei relativi presupposti. Questo orientamento ritiene che anche un’interpretazione condotta secondo un criterio di massima conformità alle previsioni della direttiva (criterio applicato, ad esempio, da Xxxxx Xxxxxxxxx, 00 luglio 1994) non sarebbe in grado di accreditare un esito ermeneutico diverso.
101 XXXXXXXXX E., Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 1999, in part.
101. Argomentando a contrario, dato che il precetto di "xxxxx xxxxx" si sostanzia nell'imperativo, singolarmente ma testualmente riferito soltanto all'ipotesi in cui le clausole contrattuali vengano proposte al consumatore per iscritto, di formulare le clausole stesse "in modo chiaro e comprensibile", ne risulta la possibilità del professionista di esimersi dal rispetto di tale esigenza di chiarezza e comprensibilità ove dette clausole vengano invece prospettate verbalmente. Difficile appare ipotizzare il caso in cui, de visu, e cioè di presenza,
ricondurre al menzionato riferimento alla “scrittura” delle clausole proposte al consumatore, e chiedersi se da esso discenda veramente l’esclusione dei contratti verbali dall’obbligo di trasparenza così sancito.
Anzitutto, va premesso che il riferimento contenuto nell’art. 35, comma 1 cod. cons. ai contratti conclusi per iscritto, nonchè la dizione della rubrica che contiene il termine “forma”, non prescrivono alcun formalismo (né per la validità né per la prova) per i
o, quanto meno, de auditu, e cioè per telefono, il professionista possa proporre al consumatore una qualche clausola ambigua, della quale cioè quest'ultimo non chieda immediatamente l'esatto significato da attribuirle, evitando così ogni possibile polisemia e con la conseguenza che non potrà trovare applicazione la norma intesa proprio a rivolgere a sfavore del professionista le conseguenze di tale ambiguità. Con l'ulteriore corollario che in tale ipotesi di contratto verbale andranno applicate nella loro interezza le regole di interpretazione soggettiva contenute nell'apposito capo del codice civile. Ad ulteriore conferma di tale applicabilità sta, infine, la considerazione che, trattandosi di contratto individuale, vi è anche l'effettiva esistenza di una comune intenzione delle parti, quanto meno ove questa si intenda quale risultato dell'operata composizione tra le parti del conflitto di interessi sui diversi termini del regolamento contrattuale.
X. XXXXXX XXXXXXX X., L'interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 1027 ss.
In senso contrario: DI GIOVINE G., sub art. 1469-quater, in Clausole vessatorie e contratto del consumatore (art. 1469-bis e ss.), 3 ed., a cura di Cesaro, II, Padova, 2001,.452 ss., in part. 572 ss., a mente del quale, invece, il più delle volte è proprio il contratto non scritto che, non essendo assistito dal rigore formale, offre le maggiori possibilità di incomprensioni o malintesi; PATRONI GRIFFI X., Le clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori (direttiva Cee 93/13), in Rass. dir. civ., 1995, 368 ss., in part. 368; XXXXXX G., La direttiva del Consiglio Cee del 5 aprile 1993 sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori, in Resp. civ. e prev., 1993, p. 435 ss., in part. 436; XXXXXXXX A., I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria, prime note, in Riv. crit. dir. priv., 1992, 492 ss., in part. 495; XXXXXX A.,Clausole vessatorie e contratti del consumatore, a cura di Cesàro, I, Padova, 1996, 471 ss.,in part. 471 s., secondo il quale l'onere di trasparenza si riferisce all'intera area dei contratti dei consumatori e quindi anche a quelli conclusi in forma verbale, dovendosi a tal fine ammettere una interpretazione antiletterale dell'allora vigente art. 1469-quater c.c.; XXXXXXX S.T., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, cit., in part. 140.
contratti con i consumatori102, dovendo, dunque, l’art. 35 cod. cons. essere considerato come una disposizione sul linguaggio – più che sulla forma – delle clausole predisposte per iscritto dal professionista, rafforzata, peraltro, dall’interpretatio contra stipulatorem di cui al secondo comma della medesima norma.
Del resto, quanto precede pare essere confermato dalla direttiva 93/13/CEE, la quale ha imposto agli Stati membri, con il Considerando n. 12 bis, di prescrivere l’obbligo di redazione dei contratti in un linguaggio chiaro e comprensibile.
L’art. 35, comma 1 cod. cons. parla, pertanto, di una forma declinata in un’accezione peculiare, da non intendersi nel tradizionale senso di veste giuridica attribuita al contratto, ma piuttosto come enunciazione del principio di trasparenza e, di conseguenza, come obbligo per il professionista di predisporre le singole clausole contenute nel contratto in modo trasparente.
Si tratta di una sorta di “neoformalismo”, dunque, strumentale all’informazione del consumatore circa i propri diritti ed obblighi contrattuali ed alla protezione del medesimo. Non a caso, nei lavori preparatori della legge n. 52 del 1996 si parlava di “trasparenza ed interpretazione”103.
102 Così XXXXX V., sub art. 1469-quater, in Xxxxxx X.X., Xxxxxxxx F.D. (a cura di), Commentario al Capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore (artt. 1469-bis - 1469- sexies), in Nuove leggi civ., 1997, 783 ss., in part. 798 s.
Cfr. anche XXXXXXXXXXX X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1296, che parla di una fuorviante identificazione della trasparenza lessicale con un requisito di forma.
103 La dottrina ha rilevato l’ambiguità della rubrica dell’art. 35, dal momento che detta norma e, prima, l’art. 1469 quater c.c., non sancisce alcun requisito di forma. Al riguardo, v. DI XXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, in Xxxxxxxxx X., Xxxxxxxxx E. (a cura di), I contratti dei consumatori, in Trattato dei contratti, dir. da Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx, Torino, 2005, I, 375 ss., 347 ss., in part. 375 ss. Quanto alla genesi della norma in esame e della corrispondente previsione comunitaria e ai risultati dell’esperienza tedesca nella applicazione della AGB Gesetz del 1976 (c.d. Transparenzgebot), cfr. XXXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, cit., in part. 1015 ss.
Invero, la norma in oggetto non deve essere letta ed interpretata con rigore eccessivo e con eccessivo uso di argumenta a contrario, potenzialmente in grado di snaturarne la ratio. La disposizione, in realtà, intende porsi in termini esemplificativi e far riferimento a quelle ipotesi che più frequentemente si verificano nella prassi dei contratti con i consumatori, i quali, infatti, normalmente rivestono la forma scritta; proprio tale forma, del resto, rende meno agevolmente concretizzabili i chiarimenti e le negoziazioni che, in linea di massima, caratterizzano una contrattazione orale104 .
Il riferimento letterale, all’interno della norma, alla proposizione per iscritto pare, dunque, esclusivamente indice del fatto che la gran parte dei contratti con il consumatore viene conclusa con detta modalità, senza che ciò sia un limite all’applicazione di tale articolo anche ai casi in cui il contratto è concluso oralmente o con altre tecniche comunque diverse dalla scrittura105.
Pertanto, si può affermare che l’esigenza di chiarezza e comprensibilità non è limitata ai soli contratti aventi forma scritta, sussistendo il relativo obbligo per il professionista anche nella formulazione della proposta verbale.
Del resto, tale lettura pare suggerita dal Considerando n. 20 (“…i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili…” ) e dal Considerando n. 11 della dir. 93/13/CEE (“…il consumatore deve godere della medesima protezione nell’ambito di un contratto orale o di un contratto scritto…”), in combinata lettura.
Nel Considerando n. 20, infatti, non è prevista alcuna limitazione del principio di trasparenza allo scritto, bensì si considerano i contratti tout court e, in ogni caso, il
104 Così CIAN G., op. cit., in part. 419; XXXXXX S., sub art. 35, in AA.VV., Codice del consumo, a cura di Vettori G., Padova, 2007, 366 ss., in part. 367.
105 PAGLIANTINI X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1296, che evidenzia come la tecnica di predisposizione documentale inneschi l’esigenza di un sovrappiù di chiarezza e comprensibilità, in ragione, ad esempio, di una lunghezza sproporzionata rispetto al tipo di operazione o di rinvii frequenti ad altre clausole.
Considerando n. 11 chiarisce che la medesima protezione deve essere garantita nell’ambito di un contratto orale106.
Xxxxxx, è stato sostenuto che, con riguardo all’ipotesi del contratto non avente forma scritta, l’obbligo in parola potrebbe esser fatto rientrare nel più generale imperativo di buona fede nelle trattative da osservare ai sensi dell’art. 1337 c.c., laddove invece, in caso di proposta scritta, si sarebbe ritenuto necessario compiere una specificazione, legando detto obbligo ai concetti di chiarezza e di comprensibilità nella formulazione delle clausole107 .
L’art. 35 cod. cons., inoltre, pare doversi applicare anche ai contratti conclusi mediante le più moderne tecniche di comunicazione; la questione è stata sollevata, in particolare, con riferimento a clausole comparse in sovraimpressione nell’ambito di televendite o contenute all’interno di messaggi SMS o di pagine web108.
Dal momento che l’art. 35, comma 1 cod. cons. fa riferimento alla proposizione delle clausole, si è acceso un dibattito in merito alla rilevanza delle modalità con cui detta proposizione avviene. Si ritiene generalmente che non debba distinguersi tra i possibili strumenti con cui dette clausole possano venire proposte, potendosi ammettere, dunque, i più vari mezzi adoperati per rendere noto il contratto: dal depliant informativo al prospetto pubblicitario, dai moduli prestampati alle clausole richiamate tramite un rinvio, ecc...
Dello stesso termine “proposte” presente nella disposizione in parola, del resto, sembra doversi dare un’interpretazione non troppo rigorosa, in quanto con esso si è intenso
106 XXXXX V., Art. 1469 quate x.x., xxx., xx xxxx. 000.
000 XXXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, cit., in part. 1018. Così pure XXXXX V., Art. 1469 quate c.c., cit., in part. 800, che tuttavia sottolinea come innegabile la difficoltà di prova che si può incontrare, nell’ambito di un contratto orale, sul piano della formulazione non trasparente. Vedasi anche CASOLA M., sub 1469 ter, in Barenghi A. (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996, 133 ss., in part. 133.
108 Così XXXXXXX S.T. sub art. 1469-quater, cit., in part 140; MORELATO E., Nuovi requisiti di forma nel contratto: trasparenza contrattuale e neoformalismo, cit., in part.163.
probabilmente ricomprendere qualunque clausola redatta e predisposta dal professionista, rivolta sia ad una pluralità di soggetti indeterminati sia ad uno specifico destinatario109.
Potrebbe, invero, ipotizzarsi che nella proposta formulata dal professionista sia contenuto un rinvio, ad esempio alle condizioni da esso normalmente praticate, le quali possono essere contenute in avvisi o prospetti pubblicitari.
In questo caso, il sindacato di chiarezza e comprensibilità dovrebbe estendersi anche alle clausole che, attraverso il rinvio, si troveranno incluse nel contratto.
Tale soluzione sottende, evidentemente, la considerazione del rinvio quale mero strumento di accelerazione dei tempi di conclusione del negozio, non altrimenti incidente sulla predisposizione delle clausole da parte del professionista110.
Il discrimine applicativo autentico della norma in esame va, in definitiva, individuato nella circostanza che la clausola sia stata o meno predisposta dal professionista111.
Ove un contratto sia interamente predisposto dal professionista, attraverso moduli o formulari ovvero anche attraverso scritture individuali, tutte le sue clausole sono soggette al giudizio di chiarezza e comprensibilità.
Invece, se in un contratto solo alcune clausole, essenziali e/o non essenziali sono state predisposte per iscritto dal professionista, ad esempio perché il modulo o formulario è stato integrato o modificato attraverso la negoziazione individuale, solo le predette clausole possono esser sottoposte alla valutazione di chiarezza e comprensibilità, mentre per le clausole negoziate individualmente, resta fermo l’obbligo, gravante su entrambe le parti, di comportarsi secondo buona fede ex art. 1337 c.c.
109 MEUCCI S., sub art. 35, cit., i part. 366 ss., in part. 367. Così XXXXX V., Art. 1469 quater x.x., xxx., xx xxxx. 000.
000 XXXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, cit., in part. 1020.
111 XXXXXXXXX P., sub art. 1469 quater, cit., in part. cit., 1019 ss.
In entrambe le ipotesi menzionate, come accennato, è irrilevante che la scrittura sia stata predisposta in vista della conclusione di un numero indeterminato di contratti, cioè tramite moduli e formulari, ovvero con riferimento ad uno specifico rapporto contrattuale112.
Peraltro, se, invece, in un contratto la totalità delle clausole fosse stata negoziata individualmente, non potrebbe applicarsi l’art. 35 cod. cons., venendo a mancare quella condizione cui la norma stessa subordina il giudizio di trasparenza.
Come sopra accennato, esulano dal campo applicativo della disposizione in esame le clausole oggetto di trattativa individuale, dato che in tal caso il consumatore dovrebbe poterle ponderare bene 113.
Per la dottrina prevalente l’art 35 cod. cons., in ottemperanza dell’art. 5 dir. n. 93/13/CEE, ha coniato un canone valutativo operante alla stregua di un filtro selettivo relativo all’inclusione delle clausole non negoziate nel contenuto del contratto predisposto con il consumatore114.
112 XXXXXXXXX P., sub art. 1469 quater, cit., in part. 1020, ricorda che la proposta, ad esempio, può consistere in una dichiarazione volta a una pluralità indeterminate di consumatori (depliant, affissioni in stazione/aeroporto o sul retro del biglietto inerenti le condizioni di impiego dei biglietti stessi), in una dichiarazione rivolta a una pluralità determinata di consumatori (condizioni bancarie o assicurative praticate a una certa categoria di clienti, proposta di rinnovo di un abbonamento a chi è già abbonato), in una proposta vera e propria (vendita porta a porta, abbonamento).
113 XXXXXXX S.T. sub art. 1469-quater, cit., in part 136; XXXXX V., Art. 1469 quater c.c, cit., in part. 1185.
114 PARDOLESI R., Clausole abusive, pardon vessatorie:verso l’attuazione di una direttiva abusata, in riv. crit. dir. priv., 1995, 540 s.;XXXXXXX S.T., sub art. 1469-quater, cit., in part. 138 s.; XXXXXXXX F., Tradizione e attualità nel diritto privato, Napoli, 2009, in part. 203 s.; XXXXXXXXX S., Il diritto contrattuale di fonte comunitaria, in XXXXXXXXXX C., MAZZAMUTO S. (a cura di) Manuale di diritto privato europeo, Milano, 2007, 278 ss., in part. 278 s.
Per l’art. 35 cod. cons., in altri termini, la preformulazione unilaterale e l’assenza di negoziazione rappresentano i presupposti che ne definiscono l’ambito applicativo115.
A una diversa soluzione arriva chi, dopo aver ravvisato nella trattativa individuale (art 34, comma 4 cod. cons.) non un presupposto di operatività degli art. 33 ss. del medesimo testo, bensì una “qualità redimente” della vessatorietà116, legge poi l’art. 35 stesso come una disposizione riferibile a tutte le clausole di un contratto tra professionista e consumatore, anche a quelle che siano state oggetto di trattativa individuale117.
Invero, l’art. 36, comma 2 n. 3) cod. cons. sembra supportare tale tesi, prescrivendo la nullità della clausola a sorpresa quantunque essa abbia costituito oggetto di trattativa individuale.
Tuttavia, esistono svariati dati normativi interni (ad esempio, l’art. 166 cod. ass.) e comunitari (art. 2:104 Principi diritto europeo dei contratti) che affidano alla trattativa la qualità di fattore costitutivo escludente l’applicazione della disciplina di cui agli artt. 33-37 cod. cons., facendone questione non di un fattore impeditivo della vessatorietà ma di un presupposto applicativo negativo; ne discende che appare maggiormente opportuno abbinare l’onere della trasparenza alla precondizione di una formulazione unilaterale delle clausole, come pare del resto facciano le Istruzioni della Banca d’Italia del febbraio 2011,
115 Diversamente il modello tedesco, ove lka trasparenza è un canone letteralmente riferito alle sole condizioni generali di contratto (vedasi § 305 BGB).
116 L’espressione tra virgolette è di PARDOLESI R., Clausole abusive, pardon vessatorie:verso l’attuazione di una direttiva abusata, cit., in part. 529 s. Così XXXXXXXX A., I contratti con i consumatori e le clausole abusive nella direttiva comunitaria: prime note, cit., in part.496; ROPPO V., Il contratto, cit., in part. 917.
117 XXXXXXXXXX C., Profili della disciplina nuova delle clausole cd. vessatorie cioè abusive, in Eur. dir. priv., 1998, in part. 14; XXXXXXXXX X., XXXXXXXX A., Contratti del consumatore, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Agg., I, 2000, 235 ss., in part. 254.
ove escludono che le disposizioni sulla trasparenza bancaria si applichino a contratti che siano stati preceduti da una trattativa individuale.118
Se chiarezza e comprensibilità attengono solo alla presentazione o proposizione delle clausole, allora sembra che l’imperativo della trasparenza valga soltanto quale condizione per ritenere che una clausola preformulata, vessatoria o non, abbia formato oggetto di un consenso libero da parte del consumatore119. Una trasparenza, dunque, vista come fattore governante l’inserimento di una clausola, principale o accessoria, nell’accordo, e quindi come regola circoscritta al momento della conclusione, escludente il dolo e l’errore, strumentale alla formazione di un consenso libero da vizi.
III.D) Trasparenza e vessatorietà
Nella prospettiva accennata al precedente paragrafo, pertanto, la trasparenza non potrebbe esser considerata come un autonomo parametro di controllo sull’abusività di una clausola120.
Peraltro, anche sulla base della direttiva n. 93/13/CEE, non vi è una correlazione diretta tra trasparenza e giudizio di vessatorietà; difatti, l’intrinseca non opacità delle clausole,
118 Non sono da considerare casi di trattativa individuale le ipotesi in cui il professionista abbia confezionato lo schema contrattuale e a negoziazione individuale sono state assoggettate soltanto specifiche clausole.
119 Vedasi DOLMETTA A.A., Dal testo unico in materia bancaria e creditizia alla normativa sulle clausole abusive, in Diritto della banca e del mercato finanziario, 1994, 458 ss., in part. 458 s.; SCIARRONE XXXXXXXXX A., Prime riflessioni sulla direttiva comunitaria n. 93/13 (clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori), in Banca borsa tit. cred., 1993, I, 727 ss., in part. 727 s.
120 XXXXXXXXX E., Dei contratti del consumatore in generale, 2 ed., Torino, 2011, in part. 78 s.
presupposto affinchè sia possibile imputarle negozialmente al consumatore, non implica un’automatica ricorrenza di un loro contenuto equilibrato121.
Inoltre, si deve aggiungere che la mancanza di trasparenza delle clausole relative alla determinazione dell’oggetto e all’adeguatezza del corrispettivo importa sì un’eccezione alla regola dell’esclusione di cui all’art. 34, comma 2 prima parte cod. cons., ma senza che venga ad integrarsi, per ciò stesso, un’ipotesi separata di vessatorietà, visto che comunque dovrà valutarsi l’abusività secondo il consueto parametro dello squilibrio contrario a buona fede di cui all’art. 33, comma 1 cod. cons..122
Tra gli argomenti portati a sostegno di detta opinione c’è anche la circostanza che l’art. 34, comma 2 cod. cons. è una regola strettamente pertinente alla clausole essenziali, cosicchè la mancata trasparenza delle altre clausole – eccettuato il ricorso all’interpretazione più favorevole al consumatore – è priva di sanzioni specifiche123.
121 BUSNELLI F.D., Una possibile traccia per una analisi sistematica della disciplina delle clausole abusive, in Bianca C.M., Xxxxxxxx F.D. (a cura di), Commentario al capo XIV-bis del codice civile: dei contratti del consumatore (artt. 1469-bis – 1469.sexies), in Nuove leggi civ., 1997, 4-5, 768 ss., in part. 768 ss.
122 PODDIGHE E., I contratti con i consumatori. La disciplina delle clausole vessatorie, Milano,
2000, in part. 317 s.; XXXXX X., Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. Dir. Priv., 2001, 769 ss. Sembra avvalorare detta riflessione X. Xxxxx. CE 21 novembre 2002 causa X- 000/00 Xxxxxxx XX c. Fredout. Relativa a un’apertura di credito utilizzabile in modo frazionato e munita di carta di credito, di cui si contestava l’equivocità lessicale. Nello specifico si trattava di un modulo stampato su ambo le facciate con la facciata anteriore che riportava a grandi caratteri una formula che lasciava presagire la gratuità dell’operazione e quella posteriore che ospitava invece in caratteri piccoli la menzione sia del tasso di interesse convenzionale che una penale. Da qui l’equivocità fonte di abusività ad avviso del Tribunale di Vienne, che aveva sollevato la questione pregiudiziale, mentre la Corte di Giustizia mostra molti più dubbi.
123 Come evidenziato da XXXXXXXXX E., Dei contratti del consumatore in generale, cit., in part. 80.
Alcune volte, poi, si trova utilizzato l’argomento – invero piuttosto equivoco124 – per cui sarebbe prospettabile una nullità delle clausole intrasparenti per contrarietà rispetto all’art. 143, comma 1 cod. cons., ove esso prevede che questa sia la sanzione comminata per ogni pattuizione contrastante con le previsioni del Codice del Consumo125.
Difatti, se è vero che l’art. 2, comma 2 lett. e) cod. cons. riconosce il diritto alla trasparenza tra i diritti fondamentali del consumatore e l’art. 5, comma 3 del medesimo corpus garantisce che le informazioni siano espresse in modo chiaro e comprensibile, e anche se si dovesse ammettere che l’art. 143 cod. cons. sia una norma imperativa di carattere generale, permarrebbe comunque il dubbio che ad un valore così assorbente della trasparenza osti la circostanza che una nullità conseguente alla violazione di una regola di comportamento del professionista contrasti con il divieto di nullità senza fattispecie126.
E non cambia di molto il quadro127 affermare che l’oscurità è in sé pregiudizievole al consumatore128, o che le prescrizioni di trasparenza sono norme imperative cosicchè il contratto non trasparente sarebbe nullo ex art. 1418, comma 1 c.c.129; infatti, i rimedi alla mancanza di trasparenza non possono venire declinati secondo il modello di una nullità innominata ope iudicis.
Inoltre, se la nullità di cui all’art. 143 cod. cons. dovesse intendersi come assoluta130, si avrebbe un contesto normativo in cui la vessatorietà per significativo squilibrio, sebbene
124 PAGLIANTINI X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1299.
125 XXXXXXXX M., Le nullità di protezione nel sistema delle invalidità negoziali, Padova, 2008, in part. 382.
126 D’AMICO X., Nullità virtiuale – Nullità di protezione. Variazioni sulla nullità, in PAGLIANTINI S.(a cura di), Le forme della nullità, Torino, 2009, 1 ss., in part. 9.
127 PAGLIANTINI X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1299
128 Così VALLE L., L’inefficacia delle clausole vessatorie, Padova, 2004, in part. 137 e nt. 22
129 XXXXX X., Il contratto, cit., in part. 84; XXXXXXX V., Diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Remedies in contract a cura VETTORI G., Padova, 2008, 241 ss.
000 XX XXXXXXXXXX X., Xx “Codice del Consumo”, in Nuove leggi civ. , 2006, 815 s.
manifestazione di un abuso, causerebbe una mera nullità di protezione ex art. 36, comma 3 cod. cons., esito che appare francamente paradossale.
Per di più, l’idea di una forte scissione esistente tra trasparenza e giudizio di vessatorietà si rafforza131 se si pensa a quante perplessità reca con sè l’accostamento, da taluno effettuato132, tra trasparenza e correttezza. In altri termini, si allude qui al riferimento ad una culpa in contrahendo del professionista per aver fornito informazioni oscure e/o carenti; anche a voler ritenere responsabile il contraente forte, difatti, l’art. 1337 c.c. al limite comporta un rimedio risarcitorio, e non un rimedio invalidante rispetto ad una determinata clausola.
III.E) L’art. 35, comma 2 cod. cons. Interpretatio contra proferentem
Particolarmente interessante e complesso si rivela il secondo comma dell’art 35 cod. cons., che come è noto prescrive, in caso di dubbio sul senso di una clausola, di far prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore.
In linea di principio, l’onere di xxxxx xxxxx si riscontra su ambo i contraenti, nel senso che colui il quale non si cura di emettere una dichiarazione contrattuale chiaramente intelligibile per la percezione di un contraente medio corre il rischio di subire un’interpretazione di essa non conforme al significato che invece avrebbe voluto esprimere.
Tuttavia, tale onere per il predisponente si pone in modo peculiare e porta con sè una precisa conseguenza in caso di inosservanza, ossia l’interpretazione contro l’autore del testo, ispirata da una particolare esigenza di tutelare l’aderente, assunto a parte debole del negozio.
131 PAGLIANTINI X., voce Trasparenza contrattuale, cit., in part. 1299
132 Sono di questo avviso LENER G., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratto dei consumatori, in Foro it., 1996, V, 154 ss.; MORELLO U., Clausole vessatorie, clausole abusive: le linee di fondo di una nuova disciplina, in Notariato, 1996, 295 ss.; DI GIOVINE G., sub art. 1469-quater, cit., in part. 572 ss.
III.F) In particolare: l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1367 c.c.
Ponendo in rapporto l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1367 c.c., si deve riconoscere nella prima norma il criterio fondamentale per l’interpretazione oggettiva dei contratti del consumatore, con la precisazione che la regola interpretativa opera con riferimento alla singola clausola dubbia, selezionandone il significato più favorevole al consumatore, mentre pare estraneo al criterio ermeneutico in parola l’obiettivo di realizzare – attraverso il giudizio di invalidità ex art 36 cod. cons. – un risultato pratico complessivo più vantaggioso per il consumatore133.
La regola codicistica dell’art 1367 c.c. spinge l’interprete a prediligere, in caso di dubbio, il senso idoneo a dare al contratto o alle singole clausole qualche effetto anziché il senso secondo cui non ne avrebbero, e pertanto viene indicato come il principio della conservazione, dato che oltre a chiarire il significato di un enunciato ambiguo mira anche a assicurarne l’efficacia. La regola, dunque, concerne sia il piano ermeneutico sia quello sostanziale. Ciò appare confermato dall’art 5:106 PECL ove è stabilito che le clausole contrattuali devono esser interpretate nel senso in cui esse sono lecite ed efficaci. Quest’ultima disposizione però, a differenza dell’art 1367 c.c., non fa espressi riferimenti al “dubbio”, scelta confermata anche, ad esempio, dall’art 4.5 Principi Unidroit e dall’art II.8:106 DCFR; tale scelta potrebbe spiegarsi considerando come implicito il dubbio interpretativo oppure considerando non essenziale detto richiamo in ragione dell’intrinseca vaghezza o ambiguità di qualsiasi testo da interpretare.
L’essere la sussistenza di un dubbio un presupposto di operatività del principio di conservazione a livello ermeneutico, implica che esso non possa essere sciolto mediante il
133 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 962. Di contrario avviso SCIARRONE XXXXXXXXX A, Prime riflessioni sulla direttiva comunitaria 93/13 (Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori), cit., in part. 728, nota 50.
ricorso alla comune intenzione delle parti, poiché essa, difatti, ancora non è stata determinata, o quantomeno non lo è stata nella sua interezza, né attraverso il richiamo di elementi presuntivi e probabilistici, quali la volontà in astratto o la volontà ipotetica134. Dal rifiuto di una ricostruzione in chiave volontaristica, incentivato dalla sussistenza del dubbio, peraltro, deriva la collocazione dell’art 1367 c.c., da parte di una dottrina, tra le disposizioni di interpretazione oggettiva ed in funzione sussidiaria rispetto a quelle di interpretazione soggettiva135.
Si ritiene che il principio di conservazione abbia portata generale, applicandosi a tutti gli atti giuridici – dai legislativi ai negoziali, dagli amministrativi ai processuali – altrimenti destinati all’inefficacia, la cui formulazione sia, in grado maggiore o minore, sempre ambigua o vaga, e il cui significato si chiarisce solo alla fine del procedimento ermeneutico. Quanto appena detto parrebbe confermare la ragione dell’omissione di riferimenti espliciti al dubbio136.
Invero, si è osservato che il principio di conservazione non sembra influenzato dai principi della gerarchia o del gradualismo, che secondo l’orientamento classico, come detto, governerebbero il rapporto tra le varie regole interpretative, soggettive ed oggettive, codicistiche; anzi, detto canone sembra confermare la circolarità dell’interpretazione e la tendenziale contestualità nell’impiego dei criteri ermeneutici idonei alla ricostruzione del senso, produttivo di effetti, del regolamento contrattuale137.
Ci si deve domandare, però, se l’applicazione del criterio conservativo sia finalizzata a perseguire un qualche effetto oppure il massimo effetto utile.
134 XXXXX V., Interpretazione dei contratti e relatività delle sue regole, Napoli, 1985, in part. 347.
135 XXXXXXXXX XXXX X., L’interpretazione del contratto , cit., in part. 287.
136 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale,
Torino, 2012, in part. 25.
137 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, cit., in part 25 s.
Secondo un primo orientamento, ogni atto giuridico, nel dubbio, deve esser inteso nel suo massimo significato utile, poiché l’ordinamento tende a conservare per quanto possibile lo scopo perseguito dalle parti.
Secondo un altro orientamento, invece, la dichiarazione ambigua o plurivoca andrebbe intesa nel senso che le consenta di avere un effetto, e non invece il massimo effetto utile.
Tuttavia la norma codicistica in parola non fornisce indicazioni precise circa l’estensione dell’ambito applicativo del principio in essa contenuto. Invero, il legislatore si mostra consapevole della portata, potenzialmente molto ampia, dell’articolo in oggetto, come si evince dalla Relazione del Guardasigilli al progetto preliminare del libro delle obbligazioni (n. 215) ove si afferma che al principio conservativo è stata data una formulazione che riesce a farlo intendere nel suo massimo contenuto utile.
Peraltro detto principio deve essere considerato oggi anche in relazione all’attuale contesto normativo, caratterizzato dalla centralità della disciplina di derivazione comunitaria sulla protezione del contraente debole, la quale si può pensare che necessiti della massima realizzazione possibile del principio di conservazione del regolamento negoziale, proprio in funzione di tutela del soggetto svantaggiato138.
Pertanto, secondo parte della dottrina, il principio di conservazione impone di scegliere, tra più effetti possibili, l’effetto che può dirsi migliore, nel senso di più conveniente alla soluzione pratica del problema ermeneutico; in altri termini, si tratta di selezionare il miglior effetto possibile in relazione al caso concreto, con una risposta che risulta relativizzata rispetto alle differenti concrete situazioni. In quest’ottica, il migliore effetto utile può esser anche talvolta quello minore perché meno gravoso per il soggetto interessato, se si considera l’ipotesi di un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente. In
138 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, cit., in part 26.
definitiva, pare non potersi neppure escludere che il principio di conservazione possa essere attuato in modi differenti sulla base delle diverse figure e discipline contrattuali.
L’effetto migliore, in relazione al caso concreto, potrà essere colto attraverso un giudizio di meritevolezza, che dunque pare assumere la funzione di limite del principio di conservazione; del resto, se gli interessi non appaiono meritevoli di tutela, non ci potrà essere conservazione del contratto o di singole clausole. L’art 1367 x.x. xxxxxxxxxx, difatti, la serietà degli intenti negoziali, e non opera affatto se tali intenti si rivelino illeciti, futili o irrilevanti o comunque non conformi ai valori normativi dell’ordinamento.
Del resto, se si pensa che il principio di conservazione deve esser riferito al complessivo regolamento contrattuale il quale ovviamente è aperto all’integrazione anche da parte di fonti esterne, il limite all’operatività del principio di conservazione costituito dal controllo di meritevolezza va ricondotto non tanto alla volontà o all’intento pratico delle parti, quanto piuttosto ai valori di fondo cui si ispira l’ordinamento.139
Si è osservato, già in relazione al rapporto tra 1367 e 1370 c.c., che la possibilità di arrivare a un risultato più favorevole al consumatore attraverso una ricostruzione della clausola che sia idonea a portare all’eliminazione della stessa dal contratto, perché ad esempio qualificata vessatoria e non specificamente approvata, costituirebbe applicazione del criterio ex art 1370 c.c., che dovrebbe, dunque, prevalere rispetto al principio di conservazione del contratto. Mutatis mutandis, si potrebbe riportare detto interrogativo e detto ragionamento alla normativa attuale, concludendo per la prevalenza dell’art 35, comma 2 cod. cons. sull’art 1367 c.c.; in tale ordine di idee, l’esigenza di mantenimento degli effetti giuridici dei contratti dei consumatori potrebbe venire in considerazione solo all’esito dell’eliminazione dal contratto delle clausole abusive, per assicurare il bene o il servizio avvertito dal consumatore come necessario per il soddisfacimento dei propri bisogni.
139 PENNASILICO M., Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, cit., in part. 26 s.
Invero, in alcune ipotesi gli interessi dei consumatori potrebbero essere meglio tutelati dalla qualificazione della clausola come abusiva con conseguente sanzione di nullità piuttosto che da una sua interpretazione secondo il significato più favorevole al consumatore e dunque tale da espungerne i profili di vessatorietà140. Del resto sembra essere questo il motivo (per assicurare l’eliminazione dai contratti del consumatore delle clausole abusive) che l’art 5 della direttiva esclude la possibilità di una simile interpretazione nelle procedure ex art 72 della direttiva e cioè nelle azioni di inibitoria141. Il paradosso di un’interpretazione favorevole al consumatore che si risolve in un pregiudizio agli interessi dello stesso non sembra poter condurre a contestare radicalmente l’adeguatezza dello strumento ermeneutico dell’art 35 comma 2 alla tutela del consumatore, e in quest’ottica142 sembra essere un mero fraintendimento addebitare alla direttiva e alla disciplina di attuazione di essersi limitate a prevedere, come conseguenza della violazione del dovere di chiarezza, non una regola sostitutiva della volontà delle parti in via di integrazione eteronoma ma solo un’interpretazione contra proferentem143. Seguendo questo orientamento si finirebbe per accreditare la possibilità che una regola di comportamento (l’obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile) si trasformi in una regola di validità e dia luogo, in caso di violazione, ad un’eterointegrazione della regola privata da parte dell’ordinamento144.
140 XXXXX X., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori, in Riv. Dir. Civ., 1994, I, in part. 106 s.
141 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 963; XXXXX V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 99.
142 SCOGNAMIGLIO C. Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 963
143 SCIARRONE XXXXXXXXX A, Prime riflessioni sulla direttiva comunitaria 93/13 (Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori), cit., in part. 727 s.
144 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 963s.
Alcuni autori sostengono che l’aver fatto dell’interpretatio contra proferentem di cui all’art. 35, comma 2 cod. cons. il criterio ermeneutico principale per i contratti dei consumatori, consente di affermare che in questa materia la gerarchia delle norme ermeneutiche sarebbe stata profondamente mutata: per alcuno nel senso di una supremazia di detto criterio nell’ambito delle regole di interpretazione oggettiva, ferma restando la priorità delle regole di interpretazione soggettiva; per altri, rovesciando la tradizionale gerarchia, nel senso di anteporre le regole oggettive rispetto a quelle soggettive e, nell’ambito del gruppo delle regole oggettive, di anteporre alle altre la norma di cui all’art. 35, comma 2 cod. cons.145.
In tema di contratti dei consumatori può apparire arduo ragionare in termini di comune intenzione determinabile concretamente, ma non pare – almeno per parte della dottrina146 – condivisibile la soluzione consistente nell’escludere in detto campo le norme di interpretazione soggettiva. Xxxxxxxxx, potrebbe sostenersi che l’interpretazione dei contratti
145 Così, COSTANZA M., Note introduttive. Coordinamento tra vecchia e nuova disciplina, cit., in part. 792. C’è da chiedersi, in effetti, se la disciplina di matrice europea più che novità effettive abbia comportato un’inversione dell’ordine tradizionale dei criteri ermeneutici. Gli artt. 4 e 5 della citata direttiva suggeriscono di compiere il procedimento interpretativo all’interno del contratto, affidando alla valutazione degli interessi di una parte una funzione di regola di chiusura, da intendersi come strumento di riordino degli interessi, in alternativa più che in applicazione, rispetto al canone di buona fede. Nei contratti dei consumatori quell’affidamento, che nei contratti tra eguali rappresenta il mezzo per stabilire l’equilibrio tra contraenti, viene superato per definire degli equilibri che vanno oltre ciò che la stessa buona fede consentirebbe. Il giudizio interpretativo accentua la sua funzione integrativa e pone in ulteriore secondo piano i profili soggettivi.
Se ne ricava che la disciplina di origine comunitaria in argomento pone un incentivo alla rimeditazione dell’ermeneutica contrattuale, anteponendo alla volontà inespressa la volontà espressa, sollevando tendenzialmente il giudice dalla ricerca degli intendimenti dei contraenti non desumibili dal regolamento convenzionale ma rimettendogli una funzione correttiva.
146 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 964 s.
dei consumatori apre la strada alla rimeditazione di questioni classiche in materia, quali il rapporto tra tenore letterale e comune intenzione, la rilevanza dei comportamenti dei contraenti e del complesso delle circostanza nel cui ambito si inserisce l’operazione contrattuale.
III.G) In particolare: l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1370 c.c.
Può essere interessante portare l’attenzione, in questa sede, sul collegamento tra il secondo comma della norma consumeristica in parola e l’art. 1370 c.c.147, relativo alla disciplina generale del contratto148 .
A differenza del citato art. 1370 c.c., però, la norma in esame non limita la propria applicazione ai contratti conclusi sulla base di condizioni generali, moduli o formulari, ma si estende a tutte le ipotesi di contratti con i consumatori ove le clausole siano predisposte dal professionista e vi sia ambiguità di significato (e non semplicemente il difetto di chiarezza e comprensibilità di cui al primo comma del medesimo art. 35)149.
147 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 947 ss. e XXXXXX XXXXXXX X., L’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 1027 s..
148 OPPO G., Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943, 104; XXXXXXXXX XXXX X., L’interpretazione del contratto, cit., in part. 340 ss., secondo la quale, in particolare, l’interpretazione contro l’autore prevale sul principio di conservazione del contratto di cui all’art. 1367 c.c.
149 In dottrina si è altresì sottolineato come la norma in esame individui quale criterio interpretativo principale uno di carattere oggettivo, così operando un rovesciamento di quella che tradizionalmente è ritenuta la gerarchia delle regole interpretative fornite dal nostro codice e che vede al primo posto i criteri soggettivi e, successivamente ed in via sussidiaria, quelli oggettivi. Sul punto, CIAN G., op. cit., in part. 419; CAPPUCCIO R., L’interpretazione dei contratti dei consumatori, in Il nuovo dir., 2002, II, 563 ss. in part. 565 s.; DI XXXXX X., L’interpretazione del contratto di impresa, cit., in part. 196 s.
Parte della dottrina limita, del resto, l’applicabilità dell’art. 35, comma 2 cod. cons. alle clausole non negoziate, escludendola invece nel caso di xxxxxxxx negoziate o addirittura predisposte dallo stesso consumatore.
Altra parte della dottrina150, però, si trova in disaccordo con detta tesi, ritenendo invece che la ratio, ed ancor prima la lettera, della disposizione in parola ne suggeriscano un’applicazione generalizzata, dato che – diversamente dall’art. 1370 c.c. – detta disposizione impone che, nel dubbio, la clausola vada interpretata nel senso più favorevole al consumatore, senza condizionare una simile interpretazione alla predisposizione o meno della clausola da parte del professionista. Se ne fa derivare che si dovrebbe parlare in ogni caso, più che di interpretatio contra proferentem sulla scia dell’art. 1370 c.c., di una interpretatio pro consumatorem. Detta tesi viene, inoltre, supportata dal riferimento ad un’interpretazione teleologica della norma, la quale sembra informata alla soddisfazione dell’esigenza di tutelare il consumatore, ai sensi del Considerando n. 9 dir. 93/13/CEE, ed all’impiego del canone di buona fede quale strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa, ai sensi del Considerando n. 16 dir. 93/13/CEE.
L’articolo 1370 c.c. è scaturito da una sorta di divisione del previgente art. 1137 del codice civile del 1865, il quale stabiliva che in caso di dubbio il contratto deve essere interpretato contro xxxxx che ha stipulato ed in favore di quello che ha contratto l’obbligazione, e dunque stabiliva contemporaneamente sia la regola dell’interpretazione contro lo stipulatore sia quella dell’interpretazione a favore dell’obbligato.
Di tutt’altro tenore appare dunque il testo dell’art. 1370 vigente il quale peraltro, seppur implicitamente, ha escluso l’applicabilità della regola dell’interpretatio contra stipulatorem al di fuori delle contrattazioni di massa; pertanto, è impossibile applicare detta regola contro chiunque abbia predisposto il testo di un contratto, e per ciò solo.
150 DI XXXXX X., L’interpretazione del contratto di impresa, cit., in part. 197.
Parte della dottrina, invero, riflettendo sulle ragioni per cui la regola dell’interpretatio contra stipulatorem sia stata accolta dal nostro legislatore in relazione ai soli contratti di massa, ha concluso che, se il legislatore ha ritenuto di dover tutelare nel contratto di massa il contraente non predisponente, stabilendo che nel dubbio debbano interpretarsi a suo favore le clausole contenute nelle condizioni generali di contratto e nei moduli o formulari che integrano il testo, a fortiori dovrebbe essere imposta l’osservanza dell’onere del clare loqui anche al rappresentante che concluda il contratto con se stesso nonchè a colui che ponga in essere un atto unilaterale recettizio. Difatti, nel contratto di massa la volontà dell’aderente, seppur esclusa dalla formazione del testo, appare comunque essenziale affinchè il contratto venga in essere, mentre nel contratto concluso dal rappresentante con se stesso, invece, la volontà del rappresentato non concorre alla formazione del negozio ma solo a precostituire le condizioni di validità del contratto che il rappresentante potrà concludere e di cui comunque il rappresentato verrà a conoscenza solo dopo la conclusione dello stesso. A maggior ragione potrebbe dirsi lo stesso per l’atto unilaterale recettizio, il quale esprime un’autonoma volontà del suo autore, anche se, per avere effetto, detta volontà dovrà estrinsecarsi nei rigorosi limiti del potere che ad egli è stato attribuito. Ciò premesso, detto orientamento dottrinale ritiene non tanto che la norma di cui all’art 1370
c.c. sarebbe una regola dettata per i contratti di massa, da estendere a fortiori ai negozi formati per la manifestazione di volontà di una sola parte, quanto che in questo articolo si dovrebbe ravvisare una regola propria dei negozi formati per la manifestazione di volontà di una sola parte e che il legislatore ha esteso eccezionalmente ai contratti di massa151.
Il fatto che l’art. 35 cod. cons. – e prima ancora l’art 1469 quater c.c. – abbia indicato come regola principale in tema di ermeneutica dei contratti del consumatore l’interpretatio contra proferentem, spingerebbe a concludere che, in materia, la gerarchia delle norme sull’interpretazione è “sostanzialmente rovesciata: dalla prevalenza delle regole di
151 CARRESI F., Dell’interpretazione del contratto. Art. 1362-1371, cit., in part. 136-141.
interpretazione soggettiva si passa alla prevalenza delle regole di interpretazione oggettiva, ed in particolare dell’interpretatio contra proferentem”152. Dunque, quando l’interprete si trova dinanzi ad un contratto le cui clausole siano state proposte da un professionista a un consumatore deve innanzitutto procedere usando il criterio in parola, ritenuto dal legislatore il più favorevole per la tutela del consumatore stesso.
Invero, l’apparente identità tra l’interpretatio contra proferentem prevista nel dubbio sul significato della clausola in condizioni generali di contratto o in moduli e formulari dall’art. 1370 c.c. e l’interpretazione più favorevole al consumatore della clausola dubbia proposta per iscritto ex art 35 cod. cons. – in precedenza l’art. 1469 quater, comma 2 c.c. – spinge ad una ulteriore riflessione sul problema, suggerito dalla legislazione attuativa della direttiva del 1993, del rapporto tra principi generali del diritto dei contratti e disciplina speciale dei contratti del consumatore.
A ben vedere, trattasi di un problema non esattamente coincidente con la questione se le regole di cui al codice del consumo – prima l’art. 1469 bis ss. c.c. – siano destinate a trovare applicazione concorrente rispetto a quelle degli artt. 1341, 1342, 1370 c.c., ove sussistano i referenti fattuali dell’uno e dell’altro corpo di disposizioni, ossia quando ci si trova dinanzi a contratti dei consumatori, configurati come contratti standard, poichè in tal caso si pone, in particolare, il problema se le distinte tecniche di protezione, quella procedimentale di cui all’art 1341 c.c. e quella sostanziale cui si ispirano la direttiva e la sua attuazione, si giustappongano o meno153.
Difatti, l’attuazione della direttiva, in prima istanza tramite inserimento di articoli nel tessuto del codice civile e poi mediante elaborazione di un separato corpus, pone un’ulteriore rilevante questione, vale a dire la sostituzione a una disciplina generale, efficace
152 XXXXXXXXX P., sub art. 1469 quater, cit., in part. 1027.
153 SCOGNAMIGLIO C., Xxxxxxxx generali e disciplina speciaLE nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 949 s.
per tutte le classi di soggetti, di una regolamentazione per status di soggetti o per categorie di atti e di rapporti.
Ciò porta con sé tutte le perplessità sollevate dalla questione della tendenza, osservata nel nostro ordinamento, al passaggio dal contratto allo status, da alcuni apprezzata come segno di attenzione maggiore del diritto alla diversa situazione sostanziale dei soggetti destinatari delle regole di comportamento da esso poste, da altri vista come preoccupante involuzione verso un passato irrispettoso della libertà dei singoli da vincoli che ne comprimano l’attività154.
Al di là del fatto che la formazione di una porzione di normativa che individua il proprio ambito applicativo sulla base di qualità soggettive o di caratteristiche degli atti posti in essere da determinati soggetti, se è apparso come un elemento di tensione con il sistema codicistico, è comunque presente in altri ordinamenti, si tratta essenzialmente di verificare la compatibilità e la resistenza dei modelli e delle categorie tradizionali rispetto alle nuove discipline, verificando le modalità di adattamento del nostro sistema contrattuale all’evoluzione normativa.
All’interno di questa linea di riflessione, si colloca la questione se le regole di cui agli artt. 1362-1371 c.c. siano suscettibili di disciplinare comunque il procedimento ermeneutico del contratto o se esse siano invece destinate a frantumarsi dinanzi alle particolarità delle singole tipologie contrattuali. A questo proposito si parla spesso di un problema di relatività dei criteri ermeneutici, legata alle specificità delle tipologie contrattuali, che può tuttavia esser posto nei differenti termini di delineazione di un possibile statuto dell’ermeneutica dei contratti dei consumatori non necessariamente coincidente, almeno sotto l’aspetto dell’ordine di applicazione delle regole ermeneutiche, con la disciplina degli artt. 1362 ss155. In quest’ultimo ipotetico modello potrebbero avere un rinnovato ruolo le tecniche
154 Vedasi ALPA G., Status e capacità, Bari-Roma, 1993, in part. 3 ss.
155 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciaLE nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 952.
interpretative del contratto a protezione del consumatore, ritenendo, in tal senso, significativo che la direttiva abbia attribuito alla regola dell’interpretazione contro l’autore della clausola un ruolo qualificante dell’intera disciplina dei contratti con i consumatori156.
Secondo un orientamento, la regola dell’art 35 cod. cons., precedentemente contenuta nell’art. 1469 quater c.c., sarebbe reiterativa di quella contenuta nell’art. 1370 c.c.
Chi157 è di diverso avviso fa osservare anzitutto che l’ambito applicativo delle due norme è diverso, poiché non sono coincidenti le categorie dei contratti dei consumatori e dei contratti conclusi per condizioni generali o a mezzo di moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti.
La disciplina introdotta dalla direttiva non riguarda, invero, le condizioni generali di contratto ma i contratti con il consumatore, sia quelli predisposti dal professionista per un singolo contratto con il consumatore sia quelli conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali158. E’ pur vero che la categoria delle condizioni generali non è estranea alla disciplina della direttiva e della normativa di attuazione di essa, foss’anche soltanto per l’incidenza statistica di tale tecnica di formazione del contratto quando parte di esso è un professionista. Per quanto la realtà mostri aree di intersezione tra i due ambiti di cui sopra, non vi è coincidenza concettuale tra contratti dei consumatori e contratti conclusi per condizioni generali di contratto.
156 Parte della dottrina era invece scettica rispetto all’art 1370 cc reputato spesso come uno strumento inadeguato di tutela dell’aderente. Vedasi in tal senso SCIARRONE XXXXXXXXX A., Prime riflessioni sulla direttiva comunitaria 93/13 (Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori), cit., in part.727.
157 SCOGNAMIGLIO C., Xxxxxxxx generali e disciplina speciaLE nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part 952 s.
158 DE NOVA G., Considerazioni introduttive, in Bianca C.M., Xxxx X. (a cura di), Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori , Padova, 1996, 305 ss., in part. 305 s.; DE NOVA G., Le clausole vessatorie: art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, Ipsoa, 1996, in part. 34.
A riguardo, si consideri che la circostanza che la contrattazione con il consumatore si sia avvalsa di condizioni generali di contratto assume rilievo al fine di applicare un’ulteriore porzione di disciplina rispetto a quello generale delle clausole abusive; infatti solo qualora le clausole abusive fossero contenute in condizioni generali di contratto può essere attivata la tutela inibitoria.
Invece, l’art 35 cod. cons. si applica alle clausole dei contratti dei consumatori a prescindere dalla circostanza che esse siano state oggetto di predisposizione per una serie indeterminata di rapporti, con unico presupposto applicativo la circostanza che il contratto o la singola clausola siano stati proposti dal professionista al consumatore per iscritto.
Parte della dottrina ritiene che il rapporto tra disciplina codicistica (segnatamente gli artt. 1341, 1342 e 1370 c.c.) e disciplina consumeristica possa esser ricostruito come una relazione tra legge anteriore generale e legge sopravvenuta speciale, facendone discendere una simultanea applicazione delle due normative159.
Viene ritenuto che le disposizioni consumeristiche siano compatibili con quelle codicistiche di cui agli artt. 1341, 1342 e 1370 c.c., come induce a ritenere la differente tecnica di protezione prevista da ambo le normative, da un lato formale-procedimentale e dall’altro sostanziale160.
Per fare un esempio di un’applicazione pratica del problema appena accennato, possiamo pensare ai contratti dei consumatori disciplinati da condizioni generali di contratto predisposte dal professionista e sulle quali non sia stata sollecitata la specifica approvazione per iscritto da parte del consumatore: in questo caso, la clausola vessatoria non approvata con le modalità previste dall’art. 1341 cpv. c.c. neppure entrerà nel regolamento contrattuale in quanto inefficace, così che resta inconfigurabile, prima ancora che inutile, l’accertamento di vessatorietà alla stregua della disciplina consumeristica.
000 XX XXXX X., Xx clausole vessatorie: art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, cit., in part. 8 s.
160 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciaLE nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 959.
D’altronde l’art 1341, comma 1 c.c. costituisce un livello di tutela del consumatore-aderente più effettivo rispetto a quello che direttiva e relativa attuazione hanno introdotto con la previsione mera di un obbligo di redazione in modo chiaro e comprensibile. Da questa considerazione si fa talvolta discendere che forzare il tenore letterale dell’art. 35 cod. cons. per ricollegare al difetto di trasparenza l’inefficacia delle clausole intrasparenti – poiché non si inserirebbero nel contratto ovvero in quanto per ciò stesso vessatorie – non sarebbe necessario né auspicabile, quantomeno nei casi che rientrino contemporaneamente nell’ambito della disciplina dell’art 35 menzionato e dell’art 1341 c.c.161
La regolamentazione codicistica dei contratti in generale concorre potenzialmente con quella consumeristica, dunque, purchè si verifichi di volta in volta se su singoli settori di disciplina la normativa speciale non sostituisca integralmente quella generale.
Ciò vale chiaramente anche per le regole interpretative.
Ed è per questo che almeno una parte della dottrina ritiene che il principio in base al quale, in caso di dubbio circa le clausole proposte per iscritto al consumatore, debba prevalere il senso più favorevole allo stesso, impedisce l’applicazione degli ulteriori criteri di interpretazione oggettiva previsti dal codice civile, e che secondo la classica impostazione vengono in considerazione ove sia impossibile accertare in concreto la comune intenzione dei contraenti. A sostegno di ciò sta il fatto che l’art 35, comma 2 cod. cons. sia collocato come unico criterio, connotato da specialità rispetto alle disposizioni codicistiche, di interpretazione delle clausole proposte per iscritto al consumatore.
III.H) In particolare: l’art. 35, comma 2 cod. cons. e l’art. 1368, comma 2 c.c.
Parrebbe sostenibile, ad esempio, riguardo alla possibilità di un’interferenza tra l’art 35, comma 2 cod. cons. ed il criterio racchiuso nell’art 1368, comma 2 c.c., che il campo
161 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciaLE nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 959 s.
applicativo delle due menzionate regole potrebbe anche coincidere. Pertanto, si potrebbe affermare la prevalenza del significato della clausola che risulti più favorevole al consumatore rispetto a quello desumibile dall’applicazione di soluzioni ricostruttive socialmente tipiche e modellate sulla pratica del luogo in cui ha sede l’impresa.162
La formulazione dell’art. 1368 c.c., invero, è stata spesso considerata non soddisfacente; è evidenziato, difatti, che nell’attuale contesto globale non sempre è ragionevole riferirsi alle pratiche del luogo di conclusione del contratto, potendo risultare lo stesso difficilmente determinabile, almeno in quelle ipotesi in cui vengano adoperate particolari tecniche di contrattazione – come quelle telematiche – in cui vi sia un certo distacco dalla dimensione territoriale.
Del resto, anche ove fosse possibile definire con sicurezza il luogo di riferimento, potrebbe apparire come meramente accidentale la connessione con la pratica locale; difatti, quest’ultima potrebbe dipendere occasionalmente dalla presenza sul posto di contraenti semplicemente di passaggio ovvero dallo scambio di proposte e controproposte, il quale può ben modificare il luogo di conclusione del contratto.
Sostanzialmente, viene frequentemente fatto notare quanto oggi sia difficile ipotizzare un ancoramento certo e saldo ad un determinato contesto territoriale.
Potrebbe ipotizzarsi, invero, che la norma dell’art 1368 c.c. possa essere interpretata evolutivamente, riferendo le pratiche generali non tanto al luogo geografico quanto invece al settore di attività in cui si sono diffuse e consolidate le pratiche stesse, e ciò quantomeno in relazione alle suddette particolari tecniche contrattuali.
162 PENNASILICO M., CONTRATTO E INTERPRETAZIONE. LINEAMENTI DI
ERMENEUTICA CONTRATTUALE, TORINO, 2012, IN PART. 27, ritiene che il ricorso alla prassi degli affari sia giustificato dalla capacità del contratto di adeguarsi normalmente al significato che in un determinato contesto economico-sociale è riconosciuto al medesimo.
Un altro problema può sorgere se si consideri che la tendenza, imperante nell’attuale contesto normativo, verso una tutela effettiva del contraente debole, dovrebbe163 condurre ad affermare la prevalenza del canone dell’interpretazione contro l’autore della clausola ex artt. 1370 c.c. e 35, comma 2 cod. cons. rispetto al criterio di cui all’art. 1368, comma 2 c.c., il quale, invero, sembra privilegiare l’impresa.
Appare, peraltro, interessante – anche nell’ottica di un superamento della rigida dicotomia tra criteri soggettivi e oggettivi – la considerazione che il ruolo svolto dalle pratiche generali interpretative di cui all’art 1368, comma 1 c.c. non è necessariamente sussidiario bensì dipendente dal linguaggio usato dalle parti: se queste, infatti, desiderano usare un linguaggio specialistico, diverso da quello corrente nel luogo inteso in senso territoriale o quale settore di attività, l’interprete dovrà usare quel linguaggio nella medesima accezione specialistica. Non avrebbe senso, in tal caso, applicare la gerarchia tradizionale dei canoni ermeneutici, non potendo la ricerca della comune intenzione delle parti o comunque del significato del regolamento negoziale prescindere dalla natura del linguaggio adoperato, dovendosi conseguentemente fare un’applicazione congiunta degli artt. 1362 e 1368 c.c.164.
III.I) In particolare: l’art. 35 cod. cons. e l’art. 1366 c.c.
Possiamo considerare anche il nodo di problemi che, con particolare riguardo all’area consumeristica, ruota attorno all’art 1366 c.c., considerata la rilevanza che il principio di buona fede assume nella disciplina introdotta dalla direttiva.
Nell’ambito consumeristico, infatti, la buona fede interpretativa assume una posizione di rilievo per la tutela del contraente-comsumatore, intervenendo a selezionare, tra i differenti significati ascrivibili alla regola contrattuale, quello corrispondente alle aspettative o
163 PENNASILICO, CONTRATTO E INTERPRETAZIONE. LINEAMENTI DI ERMENEUTICA
CONTRATTUALE, TORINO, 2012, IN PART. 29
164 PENNASILICO, CONTRATTO E INTERPRETAZIONE. LINEAMENTI DI ERMENEUTICA
CONTRATTUALE, TORINO, 2012, IN PART. 29.
all’affidamento del consumatore, preso in un dato contesto socio-economico di riferimento. In altri termini, la buona fede interpretativa assicurerebbe la funzione di controllo della congruità, rispetto a tipologie comportamentali socialmente riconosciute, del risultato ermeneutico raggiunto sulla base dell’utilizzo dei criteri di interpretazione soggettiva.
D’altronde, sembra che, anche nella prospettiva dei contratti dei consumatori, il criterio della buona fede sia riconducibile all’esigenza di portare a compimento, da un punto di vista consequenziale, quanto implicitamente contenuto nel regolamento negoziale, sulla base di un criterio di regolarità sociale e sempre tenendo presente che in questa particolare categoria di contratti possono presentarsi atteggiati in modo divergente dall’usuale i tipi normali di comportamento socialmente riconosciuti, i quali costituiscono il parametro di riferimento dell’interpretazione alla stregua della buona fede.
Se ne potrebbe derivare, peraltro, che come il professionista è assoggettato all’onere di chiarezza e comprensibilità quando propone per iscritto clausole al consumatore – il che rappresenta una concretizzazione del generale obbligo di buona fede nelle trattative – così il consumatore può fare legittimamente affidamento sul significato delle clausole che allo stesso vengano proposte e che sia conforme al canone di chiarezza e comprensibilità165.
III.L) Rapporto tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons.
I canoni di cui agli artt. 34 e 35 cod. cons. sono dettati per accertare la vessatorietà di una clausola e quindi controllare l’efficacia del contratto, che costituisce solo una delle funzioni dell’interpretazione. Tuttavia, lo si ribadisce, detti criteri possono essere applicati anche per le altre funzioni svolte dall’interpretazione, come la determinazione del contenuto del contratto e il controllo di liceità, considerato il nesso sostanziale sussistente tra le differenti
165 SCOGNAMIGLIO C. Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, in riv. dir. comm , cit., in part. 969-970.
clausole che concorrono a formare un unico tessuto di precetti. Difatti, ogni clausola propaga il proprio significato oltre la sua sfera di contenuto incidendo sugli effetti che il contratto nel suo complesso è destinato a realizzare. Ne risulta che i criteri ermeneutici dettati per l’accertamento della vessatorietà di una o più clausole e quindi per il controllo di efficacia del contratto hanno inevitabili ripercussioni sulla determinazione dell’intero contenuto contrattuale e dunque sul controllo di liceità di quest’ultimo, compiuto proprio alla luce del significato attribuito al contratto nel suo complesso.
Enunciando la prescrizione relativa alla chiarezza e comprensibilità delle clausole proposte per iscritto al consumatore, il comma 1 dell’art. 35 cod. cons. sembra porsi con riferimento ad un momento anteriore, sia cronologicamente che logicamente, rispetto a quella valutazione di ambiguità delle stesse, presupposta dal comma 2 della medesima disposizione nello stabilirne l’interpretatio contra stipulatorem.
Invero, il rapporto tra i primi due commi dell’articolo in esame è piuttosto problematico, anche perché sembra che la stessa dir. 93/13/CEE dia maggiore rilevanza all’obbligo di chiarezza e comprensibilità rispetto alla prescrizione dell’interpretazione più favorevole al consumatore, in quanto il primo tenderebbe ad assicurare al soggetto debole “la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole”166 .
Tuttavia, per quanto il comma 1 abbia una portata applicativa più ampia rispetto al comma 2, le due regole si riferiscono a tipologie di clausole non necessariamente coincidenti.
Almeno in astratto, dunque, la fattispecie di cui al comma 1 concerne e sanziona l’inaccessibilità al testo da parte del consumatore per difetto di chiarezza e comprensibilità, mentre il comma 2 della stessa norma presuppone che tale accesso vi sia stato e che ciononostante una o più clausole siano rimaste di dubbia interpretazione.
166 Considerando n. 20 della dir. 93/13/CEE. Cfr. XXXXXXXXX X., sub 1469 quater, cit., in part. 1026.
L’art. 35, comma 1 cod. cons., segnatamente, sembra occuparsi di una clausola né totalmente incomprensibile né soggetta a più interpretazioni, bensì di un testo che ha un solo e preciso significato sebbene oscuro alla percezione di un consumatore medio.
Il secondo comma dell’art. 35 cod. cons., che, come anticipato, stabilisce la prevalenza, in caso di dubbio sul senso della clausola, dell’interpretazione più favorevole al consumatore, costituisce una fattispecie non tanto diversa quanto ulteriore rispetto a quella di cui al primo comma; in altri termini, se il primo comma si riferisce al caso in cui la mancanza di chiarezza e comprensibilità del testo impedisce al consumatore di accedervi, il secondo si riferisce al caso in cui una clausola è non oscura ma ambigua ossia non pacificamente interpretabile167 .
Ovviamente, se non si ravvisa un dubbio l’interprete dovrà valutare se la clausola sia affetta o meno da abusività.
III.M) Xxxxxxxx ambigue e giudizio di vessatorietà
Una problematica certo molto interessante e complessa, come sopra accennato, è quella relativa al criterio da ritenere prevalente nel caso in cui una clausola ambigua possa dar luogo ad un giudizio di vessatorietà.
In dottrina, pur nella varietà delle ricostruzioni prospettate168, si è sottolineato come la soluzione alla problematica così posta possa desumersi dal terzo ed ultimo comma dell’art. 35 cod. cons.169, a mente del quale il principio della interpretatio contra proferentem non si applica nei procedimenti inibitori instaurati ai sensi dell’articolo 37 cod. cons.
167 XXXXXXXXX P., sub 1469 quater, cit., in part.1026.
168 Sul punto, DI XXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, cit., in part. 375 ss., il quale sottolinea la necessità di distinguere da un lato la questione della validità della clausola e dall’altro quella della sua interpretazione.
169 Tale norma è stata introdotta nel 1999, e precisamente dall’art. 25 della legge 21 dicembre 1999, n. 526, a seguito delle indicazioni espresse dalla Commissione CE in
A fondamento di tale ultima norma vi è chiaramente l’esigenza di evitare che i professionisti, in sede di ricorso avverso clausole dagli stessi predisposte, possano evitarne la declaratoria di vessatorietà sostenendo l’applicazione del criterio dell’interpretazione più favorevole al consumatore, e garantendosi in tal modo la sopravvivenza della clausola medesima e della situazione in concreto ad essi più vantaggiosa.
Il legislatore sembra, così, aver rafforzato l’efficacia rimediale dell’inibitoria, prendendo posizione per la rimozione della clausola di dubbia interpretazione e non per il suo mantenimento.
Pertanto, pare che il comma 3 dell’art. 35 cod. cons. debba essere interpretato come se dicesse che in caso di dubbio sul senso di una clausola debba prevalere l’interpretazione più sfavorevole al consumatore, ma solo ove ci si trovi nei casi di cui all’art. 37 cod. cons.: in tal modo, si escluderebbe l’applicazione della regola dell’interpretazione contro l’autore della clausola, oltre al principio di conservazione di cui all’art. 1367 c.c. – che condurrebbero ai medesimi risultati – e si garantirebbe l’esperibilità dell’inibitoria170.
In considerazione della menzionata previsione in tema di azione inibitoria, volta ad evitare usi pretestuosi della stessa, si è osservato come, in caso di possibile duplice interpretazione delle clausole ambigue, il criterio da seguire sia quello volto ad effettuare una valutazione comparativa fra i diritti e gli obblighi che ciascuna interpretazione può far sorgere in capo al consumatore. Sulla base di tale comparazione si dovrebbe verificare quale interpretazione conduce all’esito concretamente più favorevole per il consumatore stesso, il che può anche tradursi nella declaratoria di vessatorietà.
occasione di un procedimento di infrazione avviato contro lo Stato italiano per imperfezioni nel recepimento della Direttiva 93/13.
170 DE XXXXXXXXXX X., Le modifiche apportate dalla legge comunitaria 1999 al capo XIV-bis del titolo II del libro IV del codice civile: ultimo capitolo della tormentata vicenda dell’attuazione della direttiva 93/13/CEE?, in Studium iuris, 2000, 4, 398 ss., in part. 398 ss..
Tuttavia, si è fatto notare che la finalità perseguita dal legislatore europeo, attraverso la direttiva 93/13/CEE, consiste nel ripristinare l’equilibrio tra le parti, salvaguardando al contempo, in linea di principio, la validità del contratto nel suo complesso, e non nell’annullamento di qualsiasi contratto contenente clausole abusive. Difatti, occorre rilevare che sia il tenore letterale dell’articolo 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE sia le esigenze di certezza giuridica delle attività economiche depongono a favore di un approccio obiettivo in sede di interpretazione di detta disposizione, e conseguentemente la peculiare posizione di una delle parti del contratto, ossia il consumatore, non può essere presa in considerazione quale criterio determinante per disciplinare la sorte futura del contratto. Dunque, l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE non può essere interpretato nel senso che, nel valutare se un contratto contenente una o diverse clausole abusive possa essere mantenuto in vigore in assenza di dette clausole, il giudice adito può basarsi unicamente sull’eventuale vantaggio, per il consumatore, derivante dall’annullamento di detto contratto nel suo complesso171.
E’ innegabile che vi possano essere dei casi in cui, in concreto, gli interessi dei consumatori potrebbero concretamente essere meglio tutelati dalla qualificazione della clausola come
171 Ciò posto, occorre nondimeno rilevare che la direttiva 93/13/CEE ha effettuato solo un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali relativamente alle clausole abusive, riconoscendo al contempo agli Stati membri la possibilità di garantire un livello di tutela per i consumatori più elevato di quello previsto dalla direttiva stessa, potendo essi (art. 8) «adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla (…) direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il Trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore» (Corte di Giustizia, 3 giugno 0000, Xxxx xx Xxxxxxx x Xxxxx xx Xxxxxx xx Xxxxxx, C-484/08, Racc. pag. I-4785, punti 28 e 29). Di conseguenza, niente osta a che uno Stato preveda una normativa che, nel rispetto del diritto dell’Unione, permetta di dichiarare la nullità complessiva di un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore e contenente una o più clausole abusive, qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore (Corte di Giustizia Xxxx Xxxxxxxxxx,Xxxxxxxxx Xxxxxxx contro SOS financ, spol. s r.o.. Corte Giust., I sez., 15 marzo 2012, causa C-453/10).
abusiva, con conseguente sanzione di nullità, piuttosto che da una sua interpretazione secondo il significato in astratto più favorevole al consumatore e dunque tale da espungerne i profili di vessatorietà172.
Del resto sembra essere questo il motivo, ossia assicurare l’eliminazione dai contratti del consumatore delle clausole abusive, per cui l’art 5 della direttiva esclude la possibilità di una simile interpretazione nelle procedure ex art 72 della medesima direttiva, e cioè nelle azioni di inibitoria173.
Il paradosso di un’interpretazione favorevole al consumatore che si risolve in un pregiudizio concreto agli interessi dello stesso non sembra comunque poter condurre a contestare radicalmente l’adeguatezza dello strumento ermeneutico di cui all’art. 35, comma
2 cod. cons. alla tutela del consumatore, e in quest’ottica174 sembrerebbe un mero fraintendimento addebitare alla direttiva e alla disciplina di attuazione di essersi limitate a prevedere, come conseguenza della violazione del dovere di chiarezza, non una regola sostitutiva della volontà delle parti in via di integrazione eteronoma ma solo un’interpretazione contra proferentem175. Seguendo questo orientamento si finirebbe per accreditare la possibilità che una regola di comportamento – l’obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile – si trasformi in una regola di validità e dia luogo, in caso di violazione, ad un’eterointegrazione della regola privata da parte dell’ordinamento176. Xxxxxxx che, dinanzi alla clausola oscura, si pongano come alternative due interpretazioni: la prima che circoscrive il vantaggio del professionista senza compromettere la validità della
172 XXXXX X., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori, cit., in part. 106 s.
173 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 963; XXXXX V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 99.
174 SCOGNAMIGLIO C.,op. cit., in part. 963
175 SCIARRONE XXXXXXXXX A, op. cit., in part. 727s.
176 SCOGNAMIGLIO C., op. cit., in part., 963s.
xxxxxxxx; la seconda, almeno all’apparenza la meno favorevole, che giudica abusiva la clausola stessa.
A parere di alcuni177 è paradossale considerare la seconda interpretazione, che conduce alla declaratoria di vessatorietà e dunque di nullità, quella con effetti in concreto più vantaggiosi per il consumatore, in quanto sarebbe come ammettere che l’art. 36, comma 3 cod. cons. possa assorbire l’ambito di operatività dell’art. 35, comma 2 cod. cons. Difatti, perlomeno rari, se non residuali, sarebbero i casi in cui la conservazione della clausola opaca, nella sua accezione più favorevole al consumatore, verrebbe a prevalere sulla sua elisione178.
Ovviamente, il quadro muterebbe se si ritenesse che quando una clausola preformulata opaca si presti a due interpretazioni debba prevalere sempre quella che esclude l’abusività. Detta soluzione, però, sembrerebbe sottendere che si continui a riservare un ruolo di rilievo all’art. 1367 c.c. nell’area dei rapporti tra consumatore e professionista.
Tuttavia, gli ambiti applicativi dell’abusività e dell’intrasparenza, ed in altri termini quelli della disciplina della vessatorietà e dell’interpretazione più favorevole al consumatore, pur nominalmente distinti appaiono toccarsi ed anzi fatalmente impingere l’uno nell’altro, tant’è che spesso l’intrasparenza viene ritenuta sinonimo o sintomo di abusività.
Ci si è chiesti in dottrina, invero, se la differenziazione tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons. si rifletta sulla diversa sanzione da collegare alle due ipotesi ivi previste in caso di loro violazione179, tenendo comunque presente che, effettivamente, l’art. 35 cod. cons. non si esprime riguardo ad una sanzione diretta per la violazione dell’obbligo di predisporre
177 Così, XXXXX X., La nuova disciplina delle clausole abusive nei contratti tra imprese e consumatori,cit., in part. 295.
178 Elisione che comporta una lacuna del regolamento contrattuale colmabile, a parere dei più, mediante quel diritto dispositivo più utile al consumatore.
179 Nella vigenza del 1469 quater c.c., XXXXXXXXX P., sub 1469 quater, cit., in part.1026, riteneva che fosse inefficace la clausola non trasparente o non chiara ed efficace, ma con il limite dell’interpretazione sfavorevole al professionista la clausola conoscibile ma di dubbia interpretazione.
clausole chiare e comprensibili, e che del resto l’art. 36, comma 1 cod. cons. dichiara vessatorie soltanto le clausole di cui agli artt. 33 e 34 cod. cons.
In dottrina sono state formulate diverse teorie circa le conseguenze della violazione del generale precetto di cui al primo comma della norma e dunque dell’obbligo di trasparenza. Ci si è chiesti, in particolare, se l’obbligo di “parlare chiaro” individui un requisito a sé stante che possa autonomamente fondare il giudizio di vessatorietà, o se, piuttosto, sia da qualificare in termini di presupposto o di elemento indicativo della vessatorietà medesima.
…una prima tesi: il difetto di trasparenza come un mero indice
Una prima tesi considera il difetto di trasparenza un mero indice da affiancare ad altri parametri al fine di far scattare una sanzione. Detta tesi viene usualmente supportata con il mancato richiamo tra l’articolo in esame ed il successivo art. 36, o con la considerazione che lo squilibrio determinante la vessatorietà di una clausola è tutto da dimostrare dinanzi ad una clausola incomprensibile o non chiara, dovendo l’interprete, prima di dichiarare la vessatorietà, fare una verifica ulteriore sulla presenza dello squilibrio a vantaggio del predisponente180.
…una seconda tesi: il difetto di trasparenza come un’autonoma ipotesi di vessatorietà
Da alcuni si argomenta che leggere il difetto di trasparenza quale indice di vessatorietà condurrebbe ad uno svuotamento sostanziale della norma in parola: la non trasparenza individuerebbe, infatti, un ambito più ampio ed esteso della vessatorietà e non la presupporrebbe; pertanto, introdurre la distinzione tra clausole non trasparenti vessatorie e non vessatorie apparirebbe scarsamente rilevante da un punto di vista operativo.
A tale premessa conseguirebbe l’idoneità della violazione dell’obbligo di trasparenza a fondare autonomamente la declaratoria di nullità della clausola, essendo tale da impedire la
180 LENER G., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, cit., in part. 152 ss.; DI XXXXXXXX X., sub art. 1469 quater, cit., in part. 375 ss.
valida formazione dell’accordo, a prescindere da ogni altra valutazione in termini di vessatorietà181.
Questa tesi, dunque, fa discendere immediatamente e direttamente dalla violazione del precetto una sanzione, affermando che la clausola intrasparente integra un’autonoma ipotesi di vessatorietà, da sanzionarsi con un’autonoma pronuncia di inefficacia182.
Xxxxxx, l’opinione appena riferita non pare trovare supporto nel dato positivo, in quanto l’art 35, comma 1 cod. cons. non fa riferimento al termine vessatorietà e nell’art. 33 cod. cons., del resto, non viene menzionata la trasparenza183.
Tuttavia, sembra orientata in quest’ultimo senso quella giurisprudenza per la quale, se per applicare la sanzione il giudice dovesse fare un accertamento ulteriore sulla concreta esistenza del pregiudizio, rimarrebbe privo di significato l’obbligo di trasparenza, e che conseguentemente ritiene la non trasparenza un’ipotesi di vessatorietà della clausola in quanto detto requisito è uno strumento per il raggiungimento dell’equilibrio contrattuale184 . Premesso che dalla lettura dell’art. 34, comma 2 cod. cons. emerge come la mancanza di trasparenza delle clausole relative all’oggetto del contratto e all’adeguatezza del corrispettivo estenda la valutazione di vessatorietà anche a suddette previsioni, una parte della dottrina individua nella non trasparenza della formulazione delle clausole negoziali un elemento idoneo a fondare il giudizio di vessatorietà, ma in quanto manifestazione di contrarietà a buona fede, seppure da valutarsi nel più ampio ambito di detto sindacato. In tal modo, si evidenzia un nesso tra la valutazione della vessatorietà e l’indagine sulla
181 XXXXXXXXX P., sub 1469 quater, cit., in part. 1023-1025.
182 XXXXXXX S.T., Art. 1469 quater, cit., in part. 155; XXXXXXXXX P., sub art. 1469 quater, cit., XXXXXXXX E., Nuovi requisiti di forma nel contratto: trasparenza contrattuale e neoformalismo, cit., Trib. Roma 7.07.1999.
183 XXXXXXXXXXX X., Interpretazione del contratto non negoziato con il consumatore, cit., in part. 758; DI GIOVINE G., sub art 1469 quater, cit., in part. 595.
184 App. Roma, 24.09.2002; Trib. Roma, 21.01.2000; Trib. Bergamo, 10.05.2005; Trib.
Roma, 3.03.2005.
mancanza di trasparenza, nesso che, nelle varie ricostruzioni, può manifestarsi più o meno stretto185.
Nell’ambito di detta teoria, è da segnalare quell’orientamento che intende l’obbligo in parola quale estrinsecazione del più generale obbligo di comportamento secondo buona fede e correttezza rilevante nella fase precontrattuale e, pertanto, quale criterio di valutazione del comportamento del contraente-professionista186 .
Per altri, in virtù di un collegamento sistematico tra 35, comma 1 e 36, comma 1 cod. cons. e tra i principi di trasparenza e di prevenzione dello squilibrio, la sanzione diretta rispetto al difetto di trasparenza sarebbe un’ipotesi di vessatorietà della clausola ex art. 36, comma 1 cod. cons .187
185 XXXXX V., Xxxxxxxxxxx e contratti del consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 59 ss.; XXXXXXXX A., sub art. 1469-bis, cit., in part. 44. Per le questioni relative, in particolare, al rapporto tra validità e regole di correttezza, vedasi. D’AMICO X., “Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996.
In giurisprudenza, Trib. Roma, 21 gennaio 2000.
186 Cfr. XXXXXX X., sub art. 1469 quinquies, in (a cura di) X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx(a cura di), I contratti dei consumatori., Torino, 2005, in part. 152.
187 XXXXX X., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), Napoli, cit., in part. 59 ss., per il quale la violazione dell’obbligo di trasparenza farebbe sorgere in capo al consumatore il diritto di azionare, anche in via cumulativa, il rimedio risarcitorio (secondo la disciplina della responsabilità precontrattuale), l’interpretazione più favorevole nonchè quello invalidatorio poiché l’assenza di trasparenza potrebbe configurarsi come una forma di vessatorietà. Così anche XXXXXXXXXXX X., op. cit., in part. 759, purchè la scelta tra i rimedi sia data al solo consumatore e purchè il difetto di trasparenza sia da considerare non elemento sintomatico della vessatorietà bensì, in base al combinato disposto tra 35, comma 1 e 34 comma 2, un presupposto per assoggettare al giudizio di vessatorietà clausole che ne sarebbero altrimenti sottratte e cioè le clausole che individuano oggetto e corrispettivo; XXXXXXXX A., sub art. 1469-bis, cit., in part. 44. Per le questioni relative, in particolare, al rapporto tra validità e regole di correttezza,X. X’XXXXX, “Regole di validità” e principio di correttezza nella formazione del contratto, cit.
Tra le varie opinioni, inoltre, ve ne è una che fa discendere dalla violazione della prescrizione di trasparenza la mera applicazione dell’interpretatio contra stipulatorem188, con ciò creando una sovrapposizione tra i primi due commi dell’art. 35 cod. cons., che tuttavia non è affatto scontata: difatti, da una parte, il dubbio potrebbe non derivare dalla mancanza di chiarezza e, d’altra parte, un testo non comprensibile non comporta dubbio ma soltanto oscurità.
Da ciò discende, per alcuni Autori, che il secondo comma della norma in parola sarebbe soltanto una delle sanzioni riconducibili alla violazione dell’obbligo di trasparenza189, mentre per altri190 il medesimo sarebbe non un canone ermeneutico della mancanza di trasparenza prevista dal comma precedente bensì un criterio indipendente, non concernendo le ipotesi di mancanza di chiarezza e comprensibilità di cui al comma 1 (ossia ipotesi di oscurità) ma ipotesi di ambiguità (e dunque ipotesi di pluralità di possibili significati di una clausola).
Ancora, per alcuni l’art. 35, comma 1 cod. cons. costituirebbe un’ipotesi speciale di responsabilità precontrattuale che potrebbe definirsi oggettiva, in quanto si realizzerebbe per il solo fatto che il professionista abbia usato un testo non chiaro ovvero non comprensibile.
Il consumatore, dato lo stretto collegamento tra tale comma e quello successivo, in presenza di una clausola non trasparente avrebbe la facoltà di scegliere tra l’attribuzione alla clausola del significato più favorevole e l’invalidità191.
Se è vero che detta tesi ha il pregio di collegare i commi 1 e 2 della norma in parola evitandone la sovrapposizione, tuttavia essa da un lato non prende in considerazione il
188 SALANITRO N., La direttiva comunitaria sulle clausole abusive e la disciplina dei contratti bancari, in Banca borsa tit. cred., 1993, I, 550 ss.
189 XXXXXXXXXXX X., op. cit., in part. 757.
190 XXXXXX XXXXXXX G., op. cit., in part. 1027 ss.
191 GENOVESE A., Contratto standard e interpretazione oggettiva , cit., in part.147.
rapporto esistente tra gli artt. 35, comma 1 e 34, comma 2 cod. cons. e dall’altro, considerando l’assenza di trasparenza una causa di inefficacia di una o più clausole, esula dal dato positivo, visto che non sembra rinvenibile nel sistema alcuna disposizione che colleghi all’obbligo di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile la sanzione dell’inefficacia.
Riconnette all’inadempimento dell’obbligo di chiarezza e comprensibilità il rimedio risarcitorio altra Dottrina192, escludendo che il dovere incombente sul professionista possa configurarsi quale mero onere di parlare chiaro, il mancato assolvimento del quale semplicemente gli precluderebbe la possibilità di far prevalere il significato a lui più favorevole193.
Altra ipotesi194 ricostruttiva ritiene che la violazione dell’obbligo di trasparenza faccia sorgere in capo al consumatore il diritto di esperire diversi rimedi, i quali, laddove compatibili, potrebbero operare cumulativamente. Sarebbero configurabili, quindi: il risarcimento del danno secondo la disciplina della responsabilità precontrattuale; l’applicazione dell’interpretazione più favorevole; la sanzione della nullità, in quanto l’assenza di trasparenza potrebbe configurarsi quale forma di vessatorietà. Peraltro la mancanza di chiarezza e comprensibilità non comporterebbe necessariamente e automaticamente la presenza della vessatorietà, che andrebbe invece verificata caso per caso, ma potrebbe comunque costituire uno degli elementi sintomatici di quest’ultima.
Tra i seguaci di detta tesi c’è, altresì, chi195 precisa, in primo luogo, che la scelta tra i possibili rimedi andrebbe rimessa solo al consumatore e, in secondo luogo, che il difetto di
192 SCOGNAMIGLIO C., Principi generali e disciplina speciale nell’interpretazione dei contratti dei consumatori, cit., in part. 947 ss.
193 XXXXXXXXXXX X., op. cit., in part. 758.
194 XXXXX V., Art. 1469 quater c.c., cit., in part., 788; XXXXX V., Trasparenza e contratti del consumatore (la novella al codice civile), cit., in part. 54;
000 XXXXXXXXXXX X., op. cit., in part., 758-759.
trasparenza non potrebbe atteggiarsi a elemento sintomatico della vessatorietà di una clausola, in quanto tale conclusione non sarebbe coerente col dato positivo, bensì potrebbe soltanto costituire, in base al combinato disposto degli artt. 35, comma 1 e 34, comma 2 cod. cons., un presupposto per assoggettare al giudizio di vessatorietà clausole che altrimenti ne sarebbero sottratte. Difatti, per l’art. 34, comma 2 cod. cons. le clausole relative al contenuto delle prestazioni, e in particolare quelle che fissano il corrispettivo di beni e servizi, sono sottratte al giudizio di vessatorietà purchè individuino detti elementi in modo chiaro e comprensibile; in questo caso il difetto di trasparenza svolgerebbe la funzione di estendere il campo di applicazione del giudizio di vessatorietà dallo squilibrio normativo a quello economico196.
III.N) L’art. 34 cod. cons.
Secondo alcuni, dunque, il legislatore all’art. 34 cod. cons. ha fatto applicazione del criterio della trasparenza di cui all’art. 35, comma 1 del medesimo testo; conseguentemente, il mancato rispetto della chiarezza e comprensibilità nell’individuazione dell’oggetto del contratto e dell’adeguatezza del corrispettivo aprirebbe la strada al giudizio di vessatorietà, sebbene ciò possa apparire in contrasto con la logica del menzionato art. 35, comma 1, che sembra invece ispirata ad un principio di separazione tra i concetti di intrasparenza e di vessatorietà197.
Dunque, come accennato, vi è chi ritiene che, seppur con formulazione equivoca, il legislatore abbia inteso applicare nell’art. 34 cod. cons. il criterio di trasparenza di cui all’art. 35198.
196 XXXXXXXXX F., Diritto dei contratti e sensibilità dell’interprete, Napoli, 2003, in part. 74;
XXXXXXXXX E., Tutela del consumatore e clausole vessatorie, cit., in part. 135
197 XXXXXXXXX P., op. cit., in part.1019-1020.
198 Così XXXXXXX S.T., sub art. 1469-quater, cit., in part. 163 e XXXXXXXXX P., sub art. 1469 quater , cit., in part. 1020.
Difatti, costituisce un’espressione di quell’obbligo di trasparenza nella redazione delle clausole contrattuali e nella loro prospettazione al consumatore – sancito in via generale dall’articolo 35 cod. cons. – anche l’art. 34 del medesimo testo, norma che, peraltro, fornisce un ulteriore esempio di come inesorabilmente si tocchino i campi applicativi della trasparenza e della vessatorietà. Può dirsi che il menzionato art. 34, in caso di violazione dell’obbligo di trasparenza, estende il campo del giudizio di vessatorietà. L’articolo in questione, difatti, sottrae al sindacato giudiziale di vessatorietà le clausole relative alla determinazione dell’oggetto del contratto ed all’adeguatezza del corrispettivo, ove le stesse siano formulate in modo chiaro e comprensibile. L’ambiguità e l’assenza di chiarezza legittimano pertanto, in applicazione del principio di buona fede, un ampliamento del potere conoscitivo dell’interprete alla congruità economica del contratto ed a quelle previsioni che sono direttamente espressione dell’autonomia negoziale delle parti.
Quanto precede si inscrive in un’ottica di tutela sostanziale della parte debole, proprio attraverso l’espansione del controllo e della valutazione giudiziale al cuore del negozio nel caso in cui vi sia il sospetto di un comportamento contrario a buona fede che si traduca nell’ambiguità della formulazione e nella difficoltà per il consumatore di comprendere il preciso significato del rapporto cui si vincola199 .
Xxxxxxxx approfondimento due questioni a riguardo: in primo luogo, i presupposti per la declaratoria di vessatorietà della clausola di determinazione dell’oggetto del contratto formulata in termini ambigui200; in secondo luogo, il problema delle conseguenze per il caso in cui, legittimato il sindacato di vessatorietà sulle clausole, questo abbia esito positivo, implicando in tal modo la nullità della pattuizione determinativa dell’oggetto e, pertanto,
199 cfr Trib. Firenze 19 agosto 2004; Trib. Firenze 4 febbraio 2003.
200 La problematica in oggetto si propone in termini analoghi anche per le ipotesi di violazione dell’obbligo di trasparenza di cui all’art. 35: si tratta cioè di stabilire se a tale violazione consegua automaticamente la dichiarazione di nullità, ovvero se essa rilevi quale criterio a sé stante di valutazione della vessatorietà.