RINUNCE E
RINUNCE E
TRANSAZIONI
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
Nozioni
• RINUNCIA (richiamo nell’art. 1324 c.c.)
atto di dismissione di un diritto soggettivo da parte del titolare
• TRANSAZIONE (art. 1965 c.c.)
contratto con cui le parti, con reciproche concessioni, ricompongono una lite esistente o prevengono una lite eventuale
Conciliazioni in forma privata
Art. 2113 c.c.
Rinunzie e transazioni
Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’art. 409 del codice di procedura civile non sono valide.
L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.
Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi
degli artt. 185, 410 e 411 del codice di procedura civile.
Rinunzie e transazioni (art. 2113)
REQUISITI
• L’impugnazione deve essere proposta a pena di decadenza entro 6 mesi dalla data di cessazione del rapporto ovvero dalla data della rinunzia, se successiva alla cessazione del rapporto;
• non occorre denunciare specificamente un vizio della volontà (cfr. 1427 c.c.);
• occorre un atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del
lavoratore
• la rinuncia (e quindi anche l’impugnazione della medesima) può avvenire solo per
diritti già acquisiti dal lavoratore
ECCEZIONI
conciliazioni sottoscritte avanti al giudice del lavoro o in sede sindacale (restano salve le azioni di annullamento previste dal c.c.), c.d. «sedi protette»
Sedi protette (art. 2113)
Sedi protette:
• Conciliazione ex art.410 cpc (c/o ITL)
• Conciliazione sindacale
• Conciliazione davanti al Giudice (art.220 cpc)
• Conciliazione davanti al conciliazione moniocratico (art.11/124)
• Conciliazione davanti le Commissioni di certificazione
Decadenza dell’esercizio dei diritti
Art. 2964 ss c.c.
Opera la decadenza dall’esercizio del diritto quando il titolare non lo esercita entro il termine previsto dalla legge o dal contratto
impugnazione delle rinunzie/transazioni entro sei mesi (art. 2113 c.c.)
impugnazione del licenziamento entro i 60 gg. (art. 6 L. 604/66)
“L'art. 2113 c.c. non ha l'effetto di rendere annullabili tutte le rinunce e le transazioni del lavoratore indipendentemente dalla natura dei diritti che ne costituiscono oggetto, ma si riferisce specificamente ai diritti di natura retributiva e risarcitoria derivanti al lavoratore dalla lesione di fondamentali diritti alla persona.
Soltanto per tali diritti patrimoniali - i quali, secondo la disciplina comune, sarebbero pienamente dismissibili - opera la speciale disciplina dettata dall'art. 2113 cit. che, da un lato, rende invalidi i negozi di rinunzia e transazione solo se tempestivamente impugnati nel termine semestrale e, dall'altro, considera estranee al regime di invalidità e di impugnativa da essa introdotto le conciliazioni riconducibili alla previsione del suo ultimo comma” (Cass. 3 aprile 1999, n. 3233).
“Non soggiacciono alla decadenza di cui all'art. 2113 c.c. quelle rinunce o transazioni che tali non sono poiché, avendo un oggetto indefinito e esprimendosi in formule generiche, in riferimento ad un preesistente rapporto di lavoro, altro valore non possono avere se non quello di clausole di stile (…).
Costituisce clausola di stile quella redatta con generico riferimento non ad uno specifico diritto, ma ad uno qualsiasi dei diritti
scaturenti dal rapporto di lavoro” (Xxxx. 20 novembre 1997, n.
11581).
LA GIURISPRUDENZA COSTANTE RICHIEDE PER AVERSI RINUNCIA
UNA MANIFESTAZIONE DI VOLONTA’ CHIARA E CONSAPEVOLE DI PRIVARSI DI SPECIFICI E DETERMINATI O DETERMINABILI DIRITTI.
Quietanza di pagamento
La quietanza liberatoria non può integrare rinuncia se il lavoratore non abbia avuto l’esatta rappresentazione dei diritti che intendeva dismettere in favore del proprio datore.
Al più, tale atto può risolversi in una mera dichiarazione di scienza, fondata sul convincimento soggettivo del lavoratore di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti, ma priva di qualsiasi effetto negoziale e, quindi, inidonea a dismettere dei diritti e a precludere la loro difesa giudiziaria (Cass. 14 ottobre 2003, n. 15371).
Quietanza a saldo
documento che il lavoratore firma – di regola alla cessazione del rapporto – dichiarando di aver ricevuto una certa somma, di ritenersi soddisfatto di ogni suo credito o di non aver più nulla a pretendere, senza però rinunciare a compensi che, in un secondo momento, potrebbe accorgersi di non avere percepito.
Quietanza a saldo
La quietanza liberatoria a saldo, rilasciata dal lavoratore nel riscuotere la liquidazione di fine rapporto, con la formula di rinuncia ad ogni altro diritto, atteso il suo normale contenuto di dichiarazione di scienza, priva di qualsiasi effetto negoziale, non può da sola significare tacita acquiescenza al licenziamento e rinunzia ad impugnarlo, se ritenuto illegittimo, ove non concorrano circostanze idonee a dimostrare la sicura volontà del lavoratore di accettare l'atto risolutivo del rapporto di lavoro; nè tale dichiarazione è soggetta all'impugnazione da parte del lavoratore nel termine di decadenza previsto dall'art. 2113 c.c. (Cass., 13 dicembre 1999, n. 13975, Cass. 1 giugno 2004, n. 10537).
Acquiescenza
Comportamento di un soggetto da cui può desumersi
l’accettazione di un atto giuridico a lui pregiudizievole.
Incompatibilità con la volontà di esercitare un diritto
Preclusione della possibilità di avvalersi dei rimedi previsti dal diritto
per la rimozione dell’ atto e del pregiudizio da esso derivante.
Categorie di diritti
• Tre livelli di diritti:
• Indisponibili: rinunce/transazioni nulle (non c’è «sede
protetta» che tenga)
• Inderogabili derivante da legge o da CC: rinunce/transazioni invalide, a meno che non intervengano in sede protetta
• Disponibili: rinunce/transazioni libere, senza particolari vincoli
3 livelli
DIRITTI INDISPONIBILI
DIRITTI DERIVANTI DA NORME INDEROGABILI
DIRITTI PIENAMENTE DISPONIBILI
Operatività dell’art. 2113 c.c.
Rinuncia a diritti futuri
La rinuncia del lavoratore subordinato a diritti futuri ed eventuali è radicalmente nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c. e non annullabile, previa impugnazione da proporsi nel termine di cui all’art. 2113 c.c., riferendosi tale ultima norma ad atti dispositivi di diritti già acquisiti e non ad una rinuncia preventiva, come tale incidente sul momento genetico dei suddetti diritti (Cass. 14 dicembre 1998, n. 12548)
Operatività dell’art. 2113 c.c.
1) Diritti indisponibili
• Ferie e riposi (godimento)
• Diritto all’igiene e sicurezza sul lavoro
• Diritto alla qualifica e a non essere adibiti a mansioni inferiori
• Diritto a non essere trasferiti in mancanza dei requisiti previsti dall’art. 2103 c.c.
• Diritto di non subire discriminazioni
• Diritto di non essere licenziati a causa di matrimonio e in periodo di maternità
• Diritto di non essere “controllati” in violazione degli artt. 2, 4, e 6 L. n. 300/1970
2) Diritti derivanti da norme inderogabili
• Retribuzione
• Trattamento di fine rapporto
• Ferie e riposi (retribuzione relativa)
3) Diritti disponibili
• A non impugnare il licenziamento
• A rassegnare le dimissioni
• Alla risoluzione consensuale rapporto di lavoro
• Ai crediti derivanti da sentenza passata in giudicato
• Diritti derivanti da contratto individuale se migliorativi rispetto alla contrattazione collettiva
“La rinuncia o la transazione conclusa tra dipendente e datore di lavoro, avente ad oggetto la risoluzione del rapporto di lavoro, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2113 c.c. in quanto, anche quando è garantita la stabilità del posto di lavoro, tale garanzia dipende da leggi o disposizioni collettive, mentre l’ordinamento riconosce al lavoratore il diritto potestativo di disporre negozialmente e definitivamente del posto di lavoro stesso, in base all’art. 2118 c.c.” (Cass. 28 marzo 2003, n. 4780).
“Le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto la cessazione del rapporto di lavoro, anche se convenute in conciliazione raggiunta in sede sindacale, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 2113 c.c., e pertanto rimangono irrilevanti, attesa la non impugnabilità della risoluzione consensuale del rapporto ex art. 2113 c.c., gli eventuali vizi formali del procedimento di formazione della conciliazione sindacale” (Cass. 24 marzo 2004, n. 5940).
Rinunce e dimissioni
“Nell’ipotesi in cui la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, o le dimissioni (riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore e quindi sottratte alla disciplina dell’art. 2113 c.c.) siano poste in essere nell’ambito di un contesto negoziale complesso, il cui contenuto investa anche altri diritti del prestatore derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dall’autonomia collettiva, il precetto posto dall’art. 2113 c.c. trova applicazione in relazione all’intero contenuto dell’atto (che è quindi soggetto ad impugnazione) sempre che la clausola relativa alle dimissioni non sia autonoma ma strettamente interdipendente con le altre e che i diritti inderogabili transatti siano noti e specificati, non potendosi desumere da una formula generica contenuta in una clausola di stile” (Cass. 21 agosto 2003, n. 12301).
PROFILI FISCALI DELLE TRANSAZIONI DELLE CONTROVERSIE DI LAVORO
In materia di trattamento fiscale delle somme erogate al lavoratore subordinato nell’ambito di transazioni relative a controversie di lavoro, il quadro normativo di riferimento è costituito dagli artt. 6, 17, 19, comma 4bis, e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (“TUIR”) approvato con il DPR 22 dicembre 1986, n. 917, così come modificato dagli artt. 1 e 2 del D.lvo 12/12/2003 n. 344.
L’art. 51 TUIR contiene un’ampia nozione di reddito di lavoro dipendente, stabilendo che tale reddito è “costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.
L’art. 17 TUIR disciplina le modalità della tassazione delle somme percepite dal lavoratore, distinguendo tra transazione “relativa alla risoluzione del rapporto di lavoro” e transazione intervenuta nel corso di tale rapporto, prevedendo solo nel primo caso l’assoggettamento a tassazione separata.
L’art. 17 lett. a) TUIR stabilisce, infatti, che sono assoggettate a tassazione separata solo “le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro”.
Questa è la più comune tipologia di redditi per cui si applica la tassazione separata:
• Trattamento di fine rapporto;
• Prestazioni pensionistiche erogate in forma di capitale;
• Emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti;
• Indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
• L'indennità di mobilità;
• Indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche e delle società di persone;
• Indennità percepite per la cessazione da funzioni notarili Indennità percepite da sportivi professionisti, al termine dell'attività sportiva;
• Plusvalenze, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni;
• Plusvalenze realizzate a titolo di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici;
• Somme conseguite a titolo di rimborso di imposte o di oneri dedotti dal reddito complessivo o per i quali si é fruito della detrazione in periodi di imposta precedenti.
Dall’art. 17 lett. b) discende la regola dell’assoggettamento a tassazione ordinaria delle somme (aventi natura retributiva) corrisposte al lavoratore a seguito di transazioni stipulate nel corso del rapporto di lavoro laddove la norma stabilisce che sono soggetti a tassazione separata solo “gli emolumenti arretrati corrisposti per effetto di legge, contratti collettivi, sentenze o atti amministrativi sopravvenuti o di altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti”.
In entrambi i casi, trattandosi di redditi di lavoro dipendente, il datore di lavoro dovrà effettuare la ritenuta d’acconto ai sensi di quanto previsto dall’art. 23 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Tale trattamento non è tuttavia applicabile nel caso di transazioni aventi ad oggetto l’erogazione di somme dirette a risarcire un danno emergente sofferto dal lavoratore.
L’art. 6 TUIR, dopo aver individuato le varie categorie di reddito (primo comma), stabilisce, infatti, che solo “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi (…) a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti” (secondo comma).
Tale norma, dunque, esclude in via generale dalla nozione di reddito “il risarcimento del danno per la parte destinata a reintegrare il patrimonio del percettore per le perdite subite e per le spese sostenute (danno emergente)” mentre “assoggetta ad imposta sul reddito delle persone fisiche” (facendoli rientrare nella stessa categoria dei redditi perduti) “gli indennizzi risarcitori del lucro cessante in quanto emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell’evento lesivo” (lucro cessante) con l’unica eccezione dei danni dipendenti da invalidità permanente o morte.
Alla luce dell’art. 6, secondo comma TUIR, non possono dunque considerarsi reddito imponibile in capo al lavoratore le somme a questi corrisposte dal datore di lavoro, ad esempio, a titolo di risarcimento dei danni alla salute e dei danni esistenziali sofferti a causa di infortuni sul lavoro o demansionamento, trattandosi di somme che vanno a risarcire un danno emergente e non la perdita di un reddito.
Per le stesse ragioni, non possono farsi rientrare nella nozione di reddito di lavoro dipendente le erogazioni del datore di lavoro dirette ad integrare perdite patrimoniali del lavoratore derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa, così come potrebbe accadere, ad esempio, nel caso di somme corrisposte al dirigente per mantenerlo indenne dalla responsabilità nei confronti dei terzi per atti o fatti compiuti (nell’interesse del datore di lavoro) nello svolgimento delle mansioni affidategli.
L’art. 6, secondo xxxxx, TUIR detta un principio di carattere generale allorché distingue tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente, escludendo quest’ultimo dall’imponibile conformemente al precetto costituzionale di cui all’art. 53 Cost. secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in base al criterio di progressività, “in ragione della loro capacità contributiva”.
E’ ricorrente l’affermazione che la transazione con la quale il datore di lavoro ed il lavoratore abbiano concordato l’erogazione di determinate somme a titolo di risarcimento del danno emergente non è opponibile all’amministrazione finanziaria ai fini dell’accertamento del corretto adempimento delle obbligazioni tributarie delle parti e che, quindi, in caso di contestazioni dell’ufficio tributario, grava sulle parti l’onere di fornire la prova dell’effettiva esistenza di tale danno, non potendo considerarsi sufficiente a riguardo il mero contenuto dell’accordo transattivo ancorché contenuto in un verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al giudice del lavoro o in una delle sedi indicate dagli artt. 410 e 411 c.p.c..
Considerati i rischi (pagamento dell’imposta, sovrattasse e sanzioni) connessi a tali contestazioni e l’estrema diffidenza nutrita dagli uffici tributari nei confronti di simili transazioni, è consigliabile operare con la massima prudenza, astenendosi dall’effettuare la ritenuta d’acconto prevista dall’art. 23 del DPR 600/73 soltanto in presenza di solidi elementi probatori (certificazione medica, meglio se proveniente da strutture sanitarie pubbliche; ricevute comprovanti l’acquisto dei farmaci prescritti al lavoratore; documentazione attestante il demansionamento o la diffusione di notizie lesive dell’immagine professionale del lavoratore, etc.) idonei a dimostrare l’esistenza di un danno emergente nel senso sopra indicato.
Le conseguenze negative derivanti da una ripresa a reddito da parte dell’amministrazione finanziaria non gravano solo sul datore di lavoro ma anche sul lavoratore quale sostituito di imposta.
Infatti, nonostante il ruolo assegnato dall’art. 23 DPR 600/73 al datore di lavoro quale sostituto d’imposta e le responsabilità derivanti su quest’ultimo per l’omessa effettuazione della ritenuta, l’obbligo tributario grava in ultima analisi sul “sostituito” e, cioè, sul lavoratore, il quale è comunque tenuto ad adempiervi presentando una dichiarazione fedele.
Se il datore di lavoro omette di effettuare la ritenuta, il lavoratore rimane dunque responsabile verso il fisco per il pagamento dell’imposta degli interessi e delle relative sanzioni.
Inoltre, ai sensi dell’art. 23, primo comma, DPR 600/73, il sostituto d’imposta ha un obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito e, pertanto, anche qualora l’amministrazione finanziaria si limitasse ad agire nei confronti del solo datore di lavoro per ottenere il pagamento dell’imposta omessa, questi potrebbe (anzi dovrebbe) sempre agire nei confronti del lavoratore per recuperare la stessa.
Eccezion fatta per le somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, le somme erogate a seguito di transazioni di controversie di lavoro costituiscono dunque reddito imponibile.
Transazioni stipulate durante il rapporto lavorativo ovvero alla cessazione
Posto che le somme corrisposte a seguito di transazione costituiscono, in via generale, reddito di lavoro dipendente, per individuare il corretto trattamento fiscale è necessario verificare il momento della stipulazione dell’accordo transattivo.
Una distinzione di massima, infatti, deve essere fatta tra transazioni poste in essere durante il rapporto lavorativo e transazioni perfezionate alla conclusione dello stesso.
Il disposto dell’art. 17, c. 1 lett. a) del T.U.I.R. accorda il regime della tassazione separata alle somme e ai valori comunque percepiti al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro.
La norma, quindi, ha come ambito di applicazione unicamente le transazioni poste in essere al momento della cessazione del rapporto lavorativo o comunque afferenti alla stessa.
Le transazioni stipulate in corso di rapporto, pertanto, saranno soggette a
tassazione ordinaria secondo i criteri fissati dall’art. 51 del T.U.I.R..
Tale principio è ribadito anche dalla C.M. n. 326/97 la quale ha affermato che le somme e i valori percepiti a seguito di transazioni, diverse da quelle relative alla cessazione del rapporto di lavoro, allorquando non è rinvenibile alcuna delle condizioni richieste dall'articolo 17, comma 1, lettera b) (arretrati), saranno soggetti a tassazione ordinaria.
Ai fini dell’individuazione del regime impositivo non assumono rilevanza le modalità di stipula dell’accordo. Pertanto il regime della tassazione separata sarà applicabile alle transazioni perfezionate:
• in ambito sindacale,
• in sede giudiziale,
• tramite accordi individuali.
Per espressa disposizione normativa non sono imponibili le somme corrisposte a titolo di spese legali.
Le voci rientranti nella transazione
Il dipendente può accettare determinate somme a titolo di:
• rinuncia all’azione giudiziaria (ad esempio richiesta di riconoscimento di un
rapporto di lavoro diverso da quello dedotto nel contratto),
• risarcimento danni materiali ovvero immateriali,
• rinuncia alla richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro,
• istituti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva ovvero individuale.
A tal riguardo, al fine di individuare il corretto regime fiscale applicabile assume primaria rilevanza la verifica dell’oggetto dell’accordo transattivo.
Modalità di tassazione
Art. 17, c. 1 lett c) T.U.I.R.: sono assoggettati a tassazione separata
….“le somme e i valori comunque percepiti al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”.
• art. 24, D.P.R. 600/73
….“Sulla parte imponibile dei redditi di cui all' articolo 16 (leggi 17), comma 1, lettera c), del medesimo testo unico la ritenuta è operata a titolo di acconto nella misura del 20 per cento .
• art. 21 T.U.I.R.
“Per gli altri redditi tassati separatamente, … , l'imposta e' determinata applicando all'ammontare percepito, l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui e' sorto il diritto alla loro percezione …).
Transazioni novative
In alcune sentenze la Cassazione ha ritenuto che, ai fini dell’assoggettabilità a contribuzione delle somme corrisposte a seguito di transazione, dovesse essere fatta una distinzione tra:
i. transazioni novative;
ii. transazioni non novative.
i. Solo le prime non sono soggette a contributi;
ii. le seconde devono essere sottoposte a prelievo previdenziale.
La giurisprudenza ha chiarito che non è assoggettabile a contribuzione solo ciò che, in sede formalmente transattiva, venga corrisposto al solo scopo di porre fine alla lite senza alcun nesso con le pretese inerenti al rapporto di lavoro.
“Nell'ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi rientra tutto ciò che, in denaro o in natura, il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro talché per escludere la computabilità di un istituto non è sufficiente il riscontro della mancanza di uno stretto nesso di corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione” (Cass. 6663/02).
Alla luce dell’armonizzazione delle basi imponibili e visto il diretto rimando alla nozione onnicomprensiva di retribuzione è possibile sostenere che in tutti i casi in cui il compenso percepito a fronte della transazione sia assoggettato a tassazione saranno dovuti i contributi previdenziali (salvo specifiche eccezioni).
Incentivo all’esodo
L’incentivo all’esodo rappresenta l’accordo di volontà tra datore di lavoro e lavoratore per la risoluzione consensuale del rapporto lavorativo a fronte di una determinata erogazione di denaro
Dal punto di vista fiscale, le somme corrisposte a titolo di incentivo all’esodo costituiscono reddito di lavoro dipendente e sono assoggettate a tassazione separata.
art. 12, comma 4, L. 153/69
Sono escluse dalla base imponibile “le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori, nonché quelle la cui erogazione trae origine dalla predetta cessazione, fatta salva l'imponibilità dell'indennità sostitutiva del preavviso”.
La disposizione estende l’esenzione contributiva alle somme la cui erogazione trae origine dalla cessazione del rapporto di lavoro
Sono ricomprese nella fattispecie
• le somme corrisposte nei casi di prepensionamento;
• quelle erogate in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro a tempo indeterminato laddove la disciplina contrattuale o legale ponga al datore di lavoro limitazioni al potere di recesso individuale del rapporto di lavoro;
• le somme erogate per cessazione del rapporto di lavoro a
termine prima della scadenza di questo;
• le somme corrisposte allo scopo di attuare riduzioni di personale attraverso licenziamenti collettivi.
circolare INPS n. 263/97
Sono ricomprese in detta norma le somme erogate in occasione della cessazione del rapporto di lavoro in eccedenza alle normali competenze comunque spettanti ed aventi lo scopo di indurre il lavoratore ad anticipare la risoluzione del rapporto di lavoro, rispetto alla sua naturale scadenza.
L'esclusione non si estende a premi o gratifiche contrattualmente previsti rispetto ai quali la risoluzione del rapporto si pone solo come momento temporale dell'erogazione e non come fatto generatore di essa
Profili sanzionatori
Le sanzioni in materia contributiva sono state rivisitate dall’art. 116, c. 8 e ss della L.
388/00
In particolare, detta disposizione prevede due distinte ipotesi di illecito alle quali sono ricollegate differenti sanzioni
• omissione contributiva
• evasione contributiva
Sono poi dettate alcune previsioni volte a regolare il regime sanzionatorio in ipotesi particolari (ad esempio adempimento spontaneo)
Omissioni contributive rilevabili dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie regolarmente effettuate.
Si versa in tale fattispecie nelle ipotesi di mancato o ritardato pagamento (entro il termine stabilito dalla legge) dei contributi il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o dalle registrazioni obbligatorie.
In tale ipotesi viene applicata una sanzione civile, determinata in ragione d’anno, in misura pari al tasso ufficiale di riferimento (T.U.R.) maggiorato di 5,5 punti percentuali. La sanzione civile non può in ogni caso essere superiore al 40% dell’importo dei
Evasione contributiva accertata d’ufficio o consolidatasi oltre un anno dalla scadenza di legge.
L’ipotesi dell’evasione si configura nel caso in cui l’inadempienza nel versamento dei contributi sia connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, cioè nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate.
In tale ipotesi viene applicata una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al 30% dei contributi evasi. La sanzione civile non può essere in ogni caso superiore al 60% dell’importo dei
Conciliazione
Art. 6 D.Lgs 23/2015 – Offerta di conciliazione
1. In caso di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a tre e non superiore a ventisette mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.
• Entro i 60 gg previsti per l’impugnativa il DDL può offrire un importo pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio (Min. 3 – Max 27 mensilità) (*)
• Pagamento : Assegno circolare (?)
• Importo esente da contributi ed Irpef
• Se il lavoratore accetta l’assegno
circolare si determina :
- l’estinzione del rapporto
- la rinuncia all’impugnazione del licenziamento (a prescindere che sia stata già proposta)
• Somme extra = regime ordinario
(*) modificato dal Decreto Dignità
Segue: Art. 6
2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1 pari a 2 milioni di euro per l’anno 2015, 7,9 milioni di euro per l’anno 2016, 13,8 milioni di euro per l’anno 2017, 17,5 milioni di euro per l’anno 2018, 21,2 milioni di euro per l’anno 2019, 24,4 milioni di euro per l’anno 2020, 27,6 milioni di euro per l’anno 2021, 30,8 milioni di euro per l’anno 2022, 34,0 milioni di euro per l’anno 2023 e 37,2 milioni di euro a decorrere dall’anno 2024 si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all’articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n.190.
3. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull’attuazione della presente disposizione. A tal fine la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di cui all’articolo 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, è integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1 e la cui omissione è assoggettata alla medesima sanzione prevista per l’omissione della comunicazione di cui al predetto articolo 4-bis. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria è conseguentemente riformulato. Alle attività di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Nuovo obbligo di comunicazione entro 65 gg. dalla cessazione per informare se c’è stata o meno la conciliazione.
Sanzione in caso di inadempimento: da 100 a 500 euro
ADEMPIMENTO ULTERIORE CHE SI POTEVA EVITARE
1. Ferma l'applicabilità, per il licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all'articolo 3, seconda parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e trasmessa per conoscenza al lavoratore.
2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro deve
dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato.
3. La Direzione territoriale del lavoro trasmette la convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta: l'incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di conciliazione di cui all'articolo 410 del codice di procedura civile.
4. La comunicazione contenente l'invito si considera validamente
effettuata quando è recapitata al domicilio del lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive copia per ricevuta.
5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di
rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure da un componente della rappresentanza sindacale dei lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
6. La procedura di cui al presente articolo non trova applicazione in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto di cui all'articolo 2110 del codice civile, nonché per i licenziamenti e le interruzioni del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui all'articolo 2, comma 34, della legge 28 giugno 2012, n. 92. La stessa procedura, durante la quale le parti, con la partecipazione attiva della commissione di cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro, fatta salva l'ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e, comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore. La mancata presentazione di una o entrambe le parti al tentativo di conciliazione è valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 116 del codice di procedura civile.
7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, l'affidamento del lavoratore ad un'agenzia di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), c) ed e), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di senziare all'incontro di cui al comma 3, la procedura può essere sospesa per un massimo di quindici giorni.
Art.11 D.Lgs 124/2004
1. Nelle ipotesi di richieste di intervento ispettivo alla direzione provinciale del lavoro dalle quali emergano elementi per una soluzione conciliativa della controversia, la Direzione provinciale del lavoro territorialmente competente può, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva, avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate .
2. Le parti convocate possono farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato.
3. In caso di accordo, al verbale sottoscritto dalle parti non trovano applicazione le disposizioni di cui all' articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.
3-bis. Il verbale di cui al comma 3 è dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza della parte interessata (15).
4. I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi, da determinarsi secondo le norme in vigore, riferiti alle somme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento ispettivo. Al fine di verificare l'avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli enti previdenziali interessati la relativa documentazione .
5. Nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito verbale, la direzione provinciale del lavoro dà seguito agli accertamenti ispettivi .
6. Analoga procedura conciliativa può aver luogo nel corso della attività di vigilanza qualora l'ispettore ritenga che ricorrano i presupposti per una soluzione conciliativa di cui al comma 1. In tale caso, acquisito il consenso delle parti interessate, l'ispettore informa con apposita relazione la Direzione provinciale del lavoro ai fini dell'attivazione della procedura di cui ai commi 2, 3, 4 e 5. La convocazione delle parti interrompe i termini di cui all'articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, fino alla conclusione del procedimento conciliativo .
• Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa la comparizione delle medesime al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione. Il giudice istruttore ha altresì facoltà di fissare la predetta udienza di comparizione personale a norma dell'articolo 117. Quando è disposta la comparizione personale, le parti hanno facoltà di farsi rappresentare da un procuratore generale o speciale il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia. Se la procura è conferita con scrittura privata, questa può essere autenticata anche dal difensore della parte. La mancata conoscenza, senza giustificato motivo, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata ai sensi del secondo comma dell'articolo 116.
• Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento
dell'istruzione.
• Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della convenzione conclusa [disp. att. c.p.c. 88]. Il processo verbale costituisce titolo esecutivo [c.p.c. 92, 474]
Art. 185-bis c.p.c.
Proposta di conciliazione del giudice
Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.
Art. 7 Legge 300/70 (Sanzioni disciplinari)
1 – 6. Omissis……………………
6. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del Collegio.
7. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l'autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro
applicazione.
«Art. 410. – (Tentativo di conciliazione).
Ferma restando l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 80, comma 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 del presente codice e dall’articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413 del presente codice.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Le commissioni di conciliazione sono istituite presso la Direzione provinciale del lavoro. La commissione è composta dal direttore dell’ufficio stesso o da un suo delegato o da un magistrato collocato a riposo, in qualità di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessità, affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore della Direzione provinciale del lavoro o da un suo delegato, che rispecchino la composizione prevista dal terzo comma. In ogni caso per la validità della riunione è necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e almeno un rappresentante dei lavoratori.
La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dall’istante, è consegnata o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta del tentativo di conciliazione deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte.
La richiesta deve precisare:
1) nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede;
2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il
lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto;
3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
4) l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
Entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, la controparte deposita presso la commissione di conciliazione una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni. Dinanzi alla commissione il lavoratore può farsi rappresentare o assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato.
La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, anche in sede giudiziale ai sensi dell’articolo 420, commi primo, secondo e terzo, non può dar luogo a responsabilità, salvi i casi di dolo e colpa grave».
Il tentativo di conciliazione di cui all’art.80, comma 4, del
D.Lgs 276/2003
resta obbligatorio.
Trattasi dei contratti certificati
«Art. 411. – (Processo verbale di conciliazione).
Se la conciliazione esperita ai sensi dell’articolo 410 riesce, anche limitatamente ad una parte della domanda, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.
Se non si raggiunge l’accordo tra le parti, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice tiene conto in sede di giudizio.
Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell’articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, ad esso non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 410. Il processo verbale di avvenuta conciliazione è depositato presso la Direzione provinciale del lavoro a cura di una delle parti o per il tramite di un’associazione sindacale. Il direttore, o un suo delegato, accertatane l’autenticità, provvede a depositarlo nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato redatto. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del verbale di conciliazione, lo dichiara esecutivo con decreto».
‘‘Nuova’’ Conciliazione
LA NUOVA PROCEDURA DI CONCILIAZIONE C/O ITL IN PILLOLE
→ NON PIU’ OBBLIGATORIA
→ SI PUO’ ESPERIRE ANCHE PRESSO LE COMMISSIONI DI CERTIFICAZIONE
→ SONO PREVISTE MEMORIE DIFENSIVE (ECCEZIONI DI FATTO, DI DIRITTO ED EVENTUALI RICONVENZIONALI)
→ SE NON C’E’ ACCORDO (ANCHE PARZIALE) LA COMMISSIONE PROMUOVE UN (ULTIMO) TENTATIVO DI COMPOSIZIONE BONARIA DELLA CONTROVERSIA
→ IL GIUDICE TIENE CONTO DEL RIFIUTO AD ACCETTARE LA PROPOSTA BONARIA SENZA MOTIVAZIONE
→ SE NON RIESCE IL TENTATIVO IL RICORSO AL GIUDICE DEVE CONTENERE IN ALLEGATO ANCHE IL VERBALE DI MANCATO ACCORDO E LE MEMORIE
→ SI PUO’, IN CORSO DI SVOLGIMENTO, RICORRERE ALL’ARBITRATO (ARBITRO E’ LA STESSA COMMISSIONE DPL: ART.412
CPC) (*)
VEDI SLIDE SUCCESSIVA
(*) E’ però possibile anche il passaggio “inverso”:
cioè da arbitrato c/o collegio di conciliazione e arbitrato irrituale a conciliazione