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Il volume analizza le disposizioni che regolano l’attività negoziale delle Pubbliche Amministrazioni quali:
la fase di scelta del contraente, l’esecuzione del contratto e i rapporti con soggetti di natura privatistica. Aggiornata con le novità della legge di Stabilità 2015 e con
le nuove direttive comunitarie
in materia di appalti, in vigore da gennaio 2015, la Guida assicura al lettore uno strumento operativo in cui trovare tutte le risposte per lo svolgimento concreto della pratica quotidiana.
Sono utilizzati accorgimenti grafici che facilitano e rendono immediato l’utilizzo del volume e ciascun argomento è trattato in maniera interdisciplinare.
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GUIDE GIURIDICHE IPSOA
Appalti pubblici
a cura di X. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx Xxxxxxxx
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Contratti | BREVI NOTE SU CONTRATTI PUBBLICI E CORRUZIONE | |
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx | 749 | |
Reti di imprese | LA PARTECIPAZIONE DELLE RETI DI IMPRESE AGLI APPALTI PUBBLICI NELLA DISCIPLINA | |
NAZIONALE E COMUNITARIA | ||
di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxxx | 755 | |
GIURISPRUDENZA | ||
Costituzionale | ||
Acquisizione sanante | LA NUOVA DISCIPLINA DELL’ACQUISIZIONE SANANTE, SECONDO LA CORTE COSTITUZIONALE Corte costituzionale, 30 aprile 2015, n. 71 | 767 |
di Xxxxxxxx Xxxxxxx ed Xxxx Xxxxxx` | 773 | |
OSSERVATORIO | ||
a cura di Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx | 785 | |
Civile | ||
Contratti | L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA DELL’OBBLIGO DI CONTRARRE NEL DUALISMO | |
della p.a. | GIURISDIZIONALE |
Urbanistica e appalti
Sommario
Cassazione civile, Sez. Un., 9 marzo 2015, n. 4683 787
il commento di Xxxxxxxx Xxxxx 791
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxx Xxxxxx 797
Amministrativa
Occupazione L’ACQUISIZIONE SANANTE: LA COINCIDENZA CORTE COSTITUZIONALE-CONSIGLIO DI STATO
illegittima Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2126 807
il commento di Xxxxxx Xxxxx 809
Offerta
Avvalimento
Autorizzazione paesaggistica
Gara
IL PRINCIPIO DI SEGRETEZZA DELLE OFFERTE: UN VALORE DAVVERO CONDIVISO?
Consiglio di Stato, Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1549 815
T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 27 marzo 2015, n. 845 816
il commento di Xxxxxxx Xxxxxxxx 818
L’AVVALIMENTO FINANZIARIO: L’OSTACOLO DELLE CORTI AGLI ABUSI
C.G.A. SICILIA, Sez. Giur., 21 gennaio 2015, n. 35 824
il commento di Xxxxxxxx Xxxxxx 831
L’INAMMISSIBILITA` DELL’AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA IN SANATORIA: RIAFFERMAZIONE DEL PRINCIPIO E QUESTIONI SEMPRE APERTE
T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 24 marzo 2015, n. 1718 838
il commento di Xxxxxxxx Xxxxxxx 840
IL CONFRONTO A COPPIE: UNA DIFFICILE COLLOCAZIONE
T.A.R. Toscana, Sez. I, 14 gennaio 2015, n. 71 849
il commento di Xxxxxxx Xxxx 851
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxx 855
Penale
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx 858
INDICI
Urbanistica e appalti
Sommario
COMITATO PER LA VALUTAZIONE
X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxxx, M. M. Cafagno, X. Xxxxxxx, M. P. Xxxxx, X. Cin- tioli, X. Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxx di San Luca, G. D. Comporti, X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Figorilli,
X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, C. E. Xxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx,
X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxx
Indice degli autori, indice cronologico, indice analitico 865
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Xxxxx note su contratti pubblici e corruzione
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx (*)
La legislazione anticorruzione detta soprattutto norme generali, e quindi si occupa solo margi- nalmente della materia dei contratti pubblici. Per intervenire specificamente in proposito sareb- be opportuno adottare misure di semplificazione legislativa e amministrativa, e rafforzare la tu- tela giurisdizionale.
Le disposizioni anticorruzione in tema di contratti pubblici
Dato che la corruzione probabilmente esiste sin da quando esistono strutture sociali che possano defi- nirsi pubbliche istituzioni, potrebbe risultare ozioso avventurarsi “sul rischioso terreno dei paralleli e delle divergenze storiche” (1) per valutare come e quanto essa si sia aggravata negli ultimi tempi.
Pare più utile sottolineare che nel nostro paese l’entità odierna dei fenomeni corruttivi risulta or- mai inaccettabile per una pluralità di fattori: per tacer d’altro perché, da quando la crisi fiscale dello Stato si è aggravata a causa della crisi economica, sicuramente l’economia italiana non può più per- mettersi di sopportare lavori pubblici che costano il doppio o il quadruplo di quanto costano negli al- tri paesi europei (2).
Ma nonostante sia scontato che tali fenomeni tro- vano un terreno particolarmente fertile nei con- tratti pubblici, la legislazione anticorruzione con- tiene solo poche previsioni specificamente dedicate a questo settore dell’attività amministrativa (3).
Negli ottantatré commi del testo dell’art. 1 della L.
n. 190/2012 ci si limita a prevedere (nei commi 15, 16 e 32) un regime di pubblicità su determinati dati inerenti aggiudicazione ed esecuzione dei con- tratti; (nel comma 17) ciò che potremmo definire come la “copertura” legislativa dei patti di integrità
- se si preferisce, dei protocolli di legalità -, (nei commi 18-25) alcune cautele in tema di arbitrato, quali il divieto di nominare come arbitri i magi- strati e gli avvocati dello Stato e la disposizione per cui il deferimento ad arbitri di una controversia dev’essere motivatamente autorizzato da parte del- l’organo di governo della amministrazione interes- sata; (nei commi 52-57) l’obbligatorietà delle co- siddette white list; (nel comma 58) la modifica del- l’art. 135 del Codice dei contratti pubblici nel sen- so dell’ampliamento del novero dei reati che con- ducono alla risoluzione unilaterale del contrat- to (4).
Qualche disposizione in più la si ritrova nel D.L.
n. 90/2014, convertito nella L. n. 144 del 2014: in particolare, nell’art. 19, che prevede la soppressio-
(*) Testo rielaborato e aggiornato dell’intervento al semina- rio Orientati alla sostenibilità: gli acquisti nelle amministrazioni pubbliche, Centro di ricerca per il cambiamento delle ammini- strazioni pubbliche - Cecap, Università Cattolica, 16 gennaio 2015.
(1) X. Xxxxxxxx, Processi ai politici nella Roma antica, Roma- Bari, 1995, 88, ove l’A. polemizza con due saggi storici pubbli- cati all’inizio degli anni novanta che a suo avviso trattavano di episodi di corruzione dell’antica Roma per sminuire la gravità dei fenomeni corruttivi della cosiddetta Prima Repubblica - su questa polemica v. anche X. Xxxxx, Le storie, la storia. Gli eventi nascosti nelle pieghe del passato, II ed., Milano, 2013, 36 ss. Sulla risalente storia della corruzione v. almeno i due volumi di
J.T. Xxxxxx xx., Ungere le ruote. Storia della corruzione politica dal 3000 a.c. alla rivoluzione francese, e Xxxx xxxxxxx. La corru-
zione politica nel mondo moderno, Milano, 1987.
(2) V., per tutti, G.M. Xxxxx, La prevenzione e il contrasto al- la corruzione nei contratti pubblici, in B.G. Mattarella - X. Xxxxxx- sero (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repres- sione della corruzione, Torino, 2013, 125 ss. Per considerazioni sull’entità del fenomeno v. in generale X. Xxxxxxxx, La corru- zione in Italia: cause, dimensioni, effetti, ivi, 25 ss.
(3) Sulla diffusione dei fenomeni corruttivi nel settore v., per tutti, X. Xxxxxxxx, Il lato oscuro della discrezionalità. Appalti, rendite e corruzione, in G.D. Comporti (a cura di), Le gare pub- bliche: il futuro di un modello, Napoli, 2011, 265 ss.
(4) V. in proposito X. Xxx, Le novità della legge anticorruzio- ne, in questa Rivista, 2013, spec. 301 ss., e G.M. Racca, La prevenzione e il contrasto, cit.
ne della Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e il trasferimento dei suoi compiti e delle sue fun- zioni alla Autorità nazionale anticorruzione; nel- l’art. 29, che contempla un ulteriore rafforzamento del sistema delle white list; nell’art. 32, che introdu- ce nel nostro ordinamento una serie di istituti inte- si a rinnovare gli organi sociali delle imprese aggiu- dicatarie di contratti pubblici o concessionarie di lavori pubblici, oppure a gestirne l’attività fino alla completa esecuzione del contratto o della conces- sione, quando l’autorità giudiziaria procede per de- terminati reati nei confronti degli amministratori o in presenza di “condotte illecite o eventi crimina- li”; nell’art. 36, ove si prevede il monitoraggio fi- nanziario dei lavori relativi a infrastrutture strategi- che e insediamenti produttivi; nell’art. 37, che pre- vede la trasmissione all’Autorità anticorruzione delle varianti in corso d’opera degli appalti sopra la soglia comunitaria (5).
L’incidenza delle disposizioni anticorruzione
Lasciando da parte le riserve e le critiche che sono state espresse per altre ragioni (6), per almeno una parte delle misure di cui s’è appena detto si posso- no avanzare dubbi proprio riguardo all’efficacia ai fini della prevenzione della corruzione.
Ad esempio, per quanto riguarda il regime di tra- sparenza.
Ora, è ovvio che ogni ampliamento della traspa- renza amministrativa recato dalla L. n. 190/2012 e dal D.Lgs. n. 33/2013 va salutato con favore, anche perché interviene a sanare la stortura verificatasi un quarto di secolo fa, quando la L. n. 241 del 1990 aveva accolto le proposte della Commissione Xxxxx in tema di accesso ai documenti amministra- tivi solo molto parzialmente, e dunque, invece di riconoscere un diritto di accesso che risultasse fun- zionale al controllo democratico sull’operato della pubblica amministrazione, aveva previsto un dirit-
to utilizzabile solo ed esclusivamente per finalità di garanzia delle posizioni soggettive individuali (7). Nondimeno il regime di trasparenza che è stato previsto in tema di contratti pubblici lascia a desi- derare per diversi aspetti, e, in primo luogo, perché riguarda un novero di atti abbastanza ristretto (8) - né va dimenticato che qui il controllo democratico per certi versi rischia di essere un’arma spuntata, dato che, a differenza di quanto accade in tema di ambiente, non esistono interessi diffusi da azionare in giudizio, né (almeno per ora) esiste un equiva- lente delle associazioni ambientaliste che possa supportare i cittadini nell’affrontare i tecnicismi della materia contrattuale (9).
Perplessità le suscita anche la clausola dell’art. 1 della L. n. 190 per cui “le stazioni appaltanti posso- no prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole conte- nute nei protocolli di legalità o nei patti di integri- tà costituisce causa di esclusione dalla gara”.
E non tanto perché essa interviene per così dire a sanare un orientamento giurisprudenziale opinabi- le.
I patti, o protocolli, sono uno strumento ideato du- rante gli anni novanta da parte di un’organizzazio- ne non governativa, Transparency international, per prevenire la corruzione nel settore che qui interes- sa, che negli ultimi anni è stato impiegato da di- verse stazioni appaltanti, e che consiste nella pre- disposizione di convenzioni che obbligano i con- correnti a una gara ad adempimenti più stringenti rispetto a quelli previsti ex lege, a pena dell’esclu- sione dalla procedura e dell’incameramento della cauzione provvisoria (10).
Mentre all’inizio dello scorso decennio i giudici amministrativi avevano revocato in dubbio la le- gittimità di clausole siffatte, in base alla considera- zione del “carattere sanzionatorio” dei loro conte- xxxx, “per cui il relativo potere non può essere eser- citato al di fuori dei limiti normativamente stabili- ti” (11), già nel 2005 s’era registrato un revirement, dato che il Consiglio di Stato aveva preso a soste-
(5) V., sul punto, F. Di Xxxxxxxx, La nuova vita dell’Anac e gli interventi in materia di appalti pubblici in funzione anticorruzio- ne, in Giorn. dir. amm., 2014, 1023 ss., e - per quanto riguarda il ruolo dell’Anac - gli scritti pubblicati in X. Xxxxxxx - X. Xxxxx- ni (a cura di), La nuova autorità nazionale anticorruzione, Torino, 2015, passim.
(6) Ad esempio, dubbi sull’opportunità se non sulla stessa legittimità costituzionale delle misure ex art. 32 si leggono in
X. Xxxxxx - X. Xxxxxxx, L’art. 32 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90. Un primo commento, in xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx,e in X. Xxxxxxxxxxx, Le misure anticorruzione negli appalti: rime- dio adeguato al male?, in xxxxxxxx.xx.
(7) Sul distinguo tra le due diverse tipologie di accesso ai
documenti, e sull’impostazione originaria dello schema Xxxxx,
v. G. Pastori, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi in Italia, in Amministrare, 1986, 147 ss.
(8) Cfr. X. Xxxxxxx, Intervento al seminario Appalti pubblici: innovazione e razionalizzazione, in xxx-xxxxxxxx.xxx.
(9) Per una valutazione complessiva del regime di xxxxxx- xxxxx ex X.Xxx. n. 33/2013 v. l’attenta analisi di X. Xxxxxxx, L’amministrazione aperta. Regole strumenti limiti dell’open go- vernment, Xxxxxx, 0000.
(10) V. G.M. Racca, La prevenzione e il contrasto, cit., 125
ss.
(11) Cons. Stato, Sez. V, n. 4789/2004, in Riv. giur. edilizia, 2005, I, 320.
nere che le conseguenze della violazione di dette clausole si ricollegano alla “sottoscrizione per ade- sione delle regole contenute nel Patto d’integrità, configurandosi l’accettazione delle regole in questo contenute come condizione imprescindibile per po- ter partecipare alla gara, e contestualmente dei do- veri comportamentali, accompagnati dalla previ- sione di una responsabilità patrimoniale, aggiunti- va alla esclusione della gara, assunti su base pattizia rinvenendosi la loro fonte nel Patto d’integrità ac- cettato dal concorrente con la sottoscrizione” (12). Difficile però liberarsi dall’impressione che questo secondo orientamento in certa misura fosse orien- tato alle conseguenze (con ogni probabilità, in considerazione dell’esigenza di contrastare i feno- meni corruttivi), perché l’argomento è opinabile: in giurisprudenza non ha avuto seguito la vecchia tesi di Xxxxxxxx secondo la quale le procedure di aggiudicazione dei contratti della P.A. sono espres- sione di “diritto privato speciale” (13), ed è invece sempre prevalsa una qualificazione pubblicistica, confermata da ultimo anche dalla clausola di cui al comma 3 dell’art. 2 del Codice dei contratti che afferma l’applicabilità pure in questo contesto delle generali norme pubblicistiche sul procedimento amministrativo ex lege n. 241/1990 (14).
Ai nostri fini interessa però rilevare in particolare che la legificazione dei patti di integrità potrebbe tradursi in un’eterogenesi dei fini, dato che intro- duce una deroga al principio della tassatività delle clausole di esclusione, che, come vedremo fra po- co, è misura di semplificazione che ben può contri- buire alla prevenzione della corruzione - né può escludersi che una qualche stazione appaltante non benintenzionata possa configurare patti e protocolli in modo tale da discriminare surrettiziamente tra i partecipanti alle procedure di aggiudicazione.
Ma soprattutto appare evidente che, anche a pre- scindere dai profili di criticità dell’una o dell’altra di queste misure, esse, prese nel loro complesso, ap- paiono insuscettibili di risolvere il problema della corruzione nel settore che qui interessa - e ciò pro- babilmente perché nella L. n. 190 il legislatore ha voluto fare “una scelta che puntava a introdurre
emendamenti di carattere generale, rinviando ad un secondo tempo l’introduzione di misure più spe- cifiche” (15).
I limiti agli affidamenti extra ordinem e la semplificazione
Vero è che in generale gli strumenti offerti dal di- ritto con tutta probabilità non possono mai essere interamente risolutivi del problema, che a ben ve- dere si riallaccia a una più ampia questione cultu- rale e morale: parafrasando una nota affermazione di un filosofo illuminista, è tutt’altro che scontato che qui tali strumenti possano servire per far sì che “il risultato sia come se (i) cattivi sentimenti non ci fossero affatto” (16).
Nondimeno, gli strumenti giuridici possono avere una loro utilità se vengono emanate quelle che Xxxxxxxx avrebbe definito leggi non paurose ma pre- venitrici dei delitti, e dunque se si va per così dire al- la radice del problema, e si cerca di porre rimedio a quegli aspetti dell’ordinamento vigente che mag- giormente agevolano i fenomeni corruttivi.
Ad esempio, nel settore dei contratti pubblici risul- tati probabilmente si potrebbero ottenere in primo luogo limitando l’impiego degli strumenti emergen- ziali che consentono affidamenti in deroga alle re- gole generali.
Basti solo pensare ai contratti stipulati tramite l’impiego dei poteri di ordinanza di protezione civi- le “in deroga ad ogni disposizione vigente” ex lege n. 225 del 1992, soprattutto dopo che il comma 5 dell’art. 5 bis della L. n. 401 del 2001 di conversio- ne del D.L. n. 343 del 2001 aveva consentito l’im- piego di detti poteri pure per i “grandi eventi” che fossero “diversi da quelli per i quali si rende neces- saria la delibera dello stato d’emergenza”.
Sicché, dopo che per diverso tempo i poteri di or- dinanza erano stati utilizzati anche a fronte di si- tuazioni di urgenza create dall’inerzia o dall’ineffi- cienza della stessa pubblica amministrazione, a par- tire dal 2001 essi potevano venire utilizzati persino a fronte di eventi che non avevano nulla di emer- genziale - e talora neppure nulla di grandioso (17).
(12) Cons. Stato, Sez. V, n. 343/2005, in Servizi pubbl. e app., 2005, 603, con nota di F.A. Cancilla, I “patti di integrità” nelle procedure di evidenza pubblica: autonomia negoziale o po- testà sanzionatoria?
(13) X. Xxxxxxxx, Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, IV, 328.
(14) Cfr. sul punto X. Xxxxxxxxx, Il Codice dei contratti pub- blici e il diritto speciale delle amministrazioni contraenti, in Serv. pubbl. e app., 2006, 543 ss.
(15) X. Xxxxxxx, Intervento, cit.
(16) I. Xxxx, Per la pace perpetua, Milano, 2008, 76.
(17) V. F. Merloni, Intervento, cit. Come esempio delle ten- denze in materia nello scorso decennio si può far riferimento all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3377, del 22 settembre 2004, che aveva impiegato i poteri emergen- ziali ex lege n.225/1992 addirittura per la pre-regata della Cop- pa America, citata da X. Xxxx, Limiti e tendenze dei poteri di urgenza, in AA.VV., Il diritto amministrativo dell’emergenza, Mi- lano, 2006, 213.
Per fortuna però la sentenza della Corte cost. n. 115/2011 sulle ordinanze sindacali sembra avere posto un freno alle tendenze alla “normalizzazione” dell’impiego dei poteri emergenziali che nella pras- si amministrativa parevano ormai inarrestabili - e il D.L. n. 1 del 2012, convertito nella L. n. 27 del 2012, ha abrogato la clausola della L. n. 401 sui “grandi eventi” (18).
Ma forse l’aspetto che più favorisce i fenomeni cor- ruttivi è il disordine normativo: “troppe norme irri- gidiscono il sistema, inducendo i cittadini a violar- le e offrendo ai controllori occasioni di ricatto. Il disordine normativo consente di scegliere la disci- plina da applicare, favorendo la corruzione. Se le norme sono incerte, la loro applicazione è arbitra- ria: le interpretazioni più favorevoli si possono dare per gli amici o per i corruttori, quelle più rigide si oppongono agli altri” (19).
Disordine che ovviamente si aggrava quando le norme cambiano troppo rapidamente: il che spesso ha condotto alla “convinzione che, fatta una legge che disponeva in un modo, bisognava aspettarsi a brevissima scadenza la legge che la revocava. Il fa- moso motto di caserma che non bisogna mai obbe- dire all’ordine in attesa del contrordine è entrato nel campo legislativo” (20).
Ed è quasi inutile sottolineare che disordine e in- stabilità normativa sembrano quasi un connotato della disciplina dei contratti pubblici: quando si è voluto attuare le direttive comunitarie nel Codice dei contratti pubblici “dai complessivi 150 articoli e 38 allegati delle direttive nn. 17 e 18 sono venuti fuori un codice di 257 articoli ed un regolamento di altri 359 articoli, per un totale di 616 articoli e 58 allegati, modificati almeno 44 volte in sette an- ni e derogati con riferimento ad ipotesi speciali 7;
contro i circa 300 di Spagna e Francia, i 49 della Gran Bretagna, i 38 della Germania” (21).
Per cui la via maestra per combattere i fenomeni di malversazione consiste nella semplificazione normativa: anche se non pare immaginabile poter giungere facilmente a testi normativi stringati co- me quelli tedeschi o britannici (e, forse, non è neppure auspicabile, dato che in questo modo si fi- nirebbe per togliere anche parte dei vincoli che in un contesto non particolarmente rispettoso della legalità è invece opportuno mantenere), sarebbe si- curamente possibile sfrondare il Codice e i testi a esso collegati di diverse clausole, e sostituire le for- mule decisamente pletoriche che vi si rinvengono con altre più semplici.
Peraltro in questa direzione da ultimo si è indirizza- to il disegno di legge n. 1678 del 2014, in partico- lare perché, tra i criteri dell’esercizio della delega al Governo per l’adozione di un decreto legislativo inteso ad attuare le direttive europee del 2014 in tema di appalti e concessioni, prevede innanzitutto il “divieto di introduzione o di mantenimento di li- velli di regolazione superiori a quelli minimi xxxxxx- sti dalle direttive, come definiti dall’art.14, comma 24-ter, della legge 28 novembre 2005, n. 246” (22). Laddove poi la semplificazione normativa non sia possibile (o comunque laddove non venga pratica- ta) ben vengano le misure di semplificazione am- ministrativa che possono attenuare le ricadute ne- faste del disordine normativo.
Ad esempio, tramite interventi quale la modifica dell’art. 46 del Codice dei contratti che ha intro- dotto la regola della tassatività delle cause di esclu- sione: oppure la modifica all’art. 38 recata dall’art. 39 del D.L. n. 90/2014, che ha reso possibile la re- golarizzazione anche delle dichiarazioni sostitutive in tema di moralità professionale (23).
(18) In proposito sia permesso rinviare al mio Poteri di ordi- nanza, legalità, “stato governativo”, in Amministrare, 2013, 407 ss. La normalizzazione dell’emergenza peraltro dà il titolo al saggio di X. Xxxxxxx, La “normalizzazione” dell’emergenza. Contributo allo studio del potere extra ordinem del Governo, To- rino, 2011.
(19) B.G. Mattarella, Le regole dell’onestà. Etica, politica, amministrazione, Bologna, 2007, 41. In argomento cfr. anche
X. Xxxxxxx, La corruzione e gli strumenti amministrativi a ca- rattere amministrativo, in X. Xxxxxxxxx - A. Xxxxxx Xxxxxxx -
X. Xxxxxx, Diritto amministrativo e criminalità, Milano, 2014, 97 ss. Sul disordine normativo nel nostro ordinamento v., in gene- rale, B.G. Mattarella, La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011, e X. Xxxxx, La legge oscura. Come e perché non funziona, Xxxx - Xxxx, 0000.
(20) X. Xxxxxxxxxxx, Non c’è libertà senza legalità, Xxxx- Xxxx, 0000, 53: anche se l’a. ovviamente faceva riferimento alla legislazione del ventennio totalitario l’affermazione purtroppo può attagliarsi anche alla produzione normativa odierna.
(21) G.D. Comporti, La sfida delle nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, in Xxxxxxxxxxx.xx, 3 ss. Ma sul punto v. anche G.M. Racca, Intervento al seminario Appalti pubblici, cit.
(22) Ricordiamo che il comma 24 ter dell’art. 1 della L. n. 264 (su cui v. X. Xxxxxxx, Aspetti problematici della legge di semplificazione per il 2005, in xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx) dispone che “costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie: a) l’introdu- zione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l’attuazione delle direttive; b) l’estensione dell’ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove com- porti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l’intro- duzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccani- smi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente ne- cessari per l’attuazione delle direttive”.
(23) Su cui v., per tutti, X. Xxx, Le novità del d.l. 90/2014 in materia di appalti, in questa Rivista, 2014, 1147 ss.
Il controllo giurisdizionale
Un contributo potrebbe poi venire anche da rime- di giurisdizionali nei confronti dell’operato delle stazioni appaltanti più efficaci di quelli che attual- mente vengono forniti dalla giustizia amministrati- va.
Gli strumenti offerti dal G.A. a oggi rischiano di essere inefficaci per diverse ragioni: per tacer d’al- tro, perché i giudici amministrativi continuano a esercitare solo un sindacato “debole” su una gran parte delle decisioni delle stazioni appaltanti lad- dove adottano ancora quell’ottica “pandiscreziona- le” (24) che pretende di assimilare le valutazioni tecniche alla discrezionalità amministrativa vera e propria, e così talora omettono di censurare scelte amministrative arbitrarie (25); oppure perché l’en- tità del contributo unificato necessario per agire in subiecta materia ormai è divenuta tale da assumere una valenza apertamente dissuasiva per chi vuole esercitare il proprio diritto di agire nei confronti delle stazioni appaltanti, e costituisce una vera e propria barriera all’accesso alla giustizia (26).
Peraltro si è osservato che a questa stregua “poiché rivolgersi al T.A.R. è costoso, chiunque voglia la- mentarsi di un atto fa un esposto alla procura pe- nale e alla magistratura contabile. Anche solo l’a- pertura di un procedimento diventa paralizzante: una sorta di copertura legale all’inerzia del burocra- te, ma l’inerzia è anche il modo migliore per con- vincere a pagare le tangenti. Si paga non sempre per ottenere qualcosa di illecito, ma spesso solo per sveltire le pratiche” (27) - senza poi considerare
che per ovvi princìpi di civiltà giuridica nel nostro ordinamento i rimedi penali dovrebbero svolgere solo un ruolo sussidiario, o, se si preferisce, dovreb- bero fungere da “extrema ratio di tutela dei beni giuridici” (28).
In proposito però anche il già citato d.d.l. n. 1678 non contiene nessuna novità, e si limita a prevede- re la “razionalizzazione dei metodi di risoluzione delle controversie alternativi al rimedio giurisdizio- nale, anche in materia di esecuzione del contrat- to”.
Ma anche se il riferimento alle ADR sembra essere divenuta una clausola di stile nella recente produ- zione legislativa, da un lato non vanno dimenticati i delicati problemi di compatibilità costituzionale a cui questi strumenti vanno incontro in un ordina- mento dove la Consulta sin dagli anni settanta del secolo scorso ha chiarito che il diritto di azione ri- conosciuto dagli artt. 24 e 113 Cost. va inteso co- me diritto di accedere alla giustizia statale, e dove afferma che pure la giurisdizione condizionata è ammissibile solo in ipotesi eccezionali (29); e, dal- l’altro lato, che istituti siffatti in altri settori si so- no rivelati scarsamente efficaci (30).
Ma forse qui si scontano le riserve e le critiche sul ruolo del G.A., che negli ultimi tempi sembrano ricorrenti nel dibattito pubblico, ispirate dal timore che gli interventi della giustizia amministrativa possano ritardare o paralizzare l’azione delle pubbli- che amministrazioni (31).
Anche a prescindere dal fatto che critiche di questo genere talora sono determinate da xxxxx-
(24) L’espressione è di X. Xxxxxx, La discrezionalità tecnica sotto la lente del G.A., in questa Rivista, 2001, 874.
(25) Le critiche più lucide all’atteggiamento della giurispru- denza amministrativa da ultimo sono state mosse da X. Xxxxx, in particolare in Il giudice amministrativo e le questioni tecnico - scientifiche: formule nuove e vecchie soluzioni, in Dir. pubbl., 2004, 439 ss., e in Sindacato debole e giudice deferente: una giustizia ‘amministrativa’?, in Giorn. dir. amm., 2006, 304 ss.
(26) V., per tutti, X. Xxxxxxx, Garanzie ed efficienza nella tu- tela giurisdizionale, che può leggersi in associazionedeicostitu- xxxxxxxxxx.xx, spec. 49 ss., e la dottrina ivi citata.
(27) X. Xxxxxxx, Il male italiano. Liberarsi dalla corruzione per cambiare il paese, Milano, 2015, 155.
(28) È un passo di Corte cost. n. 282/1990 (in Giur. cost., 1990, 1755 ss.), ma trattasi di affermazione costante nel- la giurisprudenza costituzionale. Cfr., in proposito, G.D. Com- porti, La sfida delle nuove direttive, cit., che ritiene che in mate- ria di contratti pubblici si vada invece affermando una “pro- spettiva pen-penalistica”.
(29) Il chiarimento di cui si dice nel testo come noto è stato occasionato dalla declaratoria di illegittimità delle norme in te- ma di arbitrato obbligatorio da parte di Corte cost. n. 127/1977
- in Giur. cost., 1977, II, 1143 ss., con nota di X. Xxxxxxxx, L’ar- bitrato obbligatorio e la Costituzione. Sul complessivo indirizzo della Consulta in proposito v. X. Xxxxxxxxx - X. Xxxxxxx, Arbi- trato nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino,
1987, I, 368, e X. Xxxxx, Arbitrato e Costituzione, in E. Caterini -
X. Xxxxxxxxxx (a cura di), L’arbitrato. Fondamenti e tecniche, Napoli, 1995, 35 ss. Sugli snodi problematici dell’odierno di- battito sulle ADR nel diritto amministrativo, v., per tutti, M. Ra- majoli, Strumenti alternativi di risoluzione delle controversie pubblicistiche, in Dir. amm., 2014, 1 ss.
(30) Riguardo alla giustizia civile pare che la tanto discussa mediaconciliazione in concreto conduca alla definizione stra- giudiziale solo di un numero minimo di controversie, ed è pro- babile che neppure la più recente negoziazione assistita possa recare a risultati migliori - v. X. Xxxxxxxxx, Minime riflessioni criti- che su trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 221 ss.
(31) Peraltro queste riserve alla fin fine sembrano riallac- ciarsi a quella che X. Xxxxx, in Giustizia amministrativa, Bolo- gna, 1983, spec. 25 ss., considerava l’ideologia sottostante al- la istituzione dei sistemi di giustizia amministrativa, ossia alla convinzione che questi sistemi possano contemperare la tutela del singolo con il pubblico interesse - benché essa appaia or- mai ampiamente superata, se non altro in considerazione del- l’affermazione del principio della parità delle parti: su cui v., riassuntivamente, X. Xxxxxxxxxxx, La parità delle parti nel giusto processo amministrativo, Xxxx, 0000. Non a caso esse sono di segno diametralmente opposto a quelle che sul ruolo del G.A. vengono avanzate in dottrina, da parte di chi critica le carenti garanzie di indipendenza dei magistrati amministrativi, o da
tendimenti sul concreto operato dei T.A.R. e del Consiglio di Stato (32), v’è però da dire che quando esse vengono dalla classe politica non possono che condividersi le perplessità di chi ri- leva quanto sia “contraddittorio che chi scrive le leggi si lamenti del fatto che esse vengano appli- cate” (33) - e in definitiva pare probabile che una gran parte delle decisioni dei giudici ammi-
nistrativi che sembrano determinate da formali- smi in realtà rappresentino null’altro che appli- cazioni di normative eccessivamente complesse e farraginose (34).
Il che però ci riporta ancora a quell’esigenza di semplificazione legislativa di cui s’è detto poco più sopra, e della quale ovviamente può e deve farsi carico solo il legislatore.
parte di chi auspica l’approdo a un sistema di giurisdizione unica: infatti sia l’introduzione di maggiori garanzie di indipen- denza, sia la devoluzione di tutte le controversie tra privati e amministrazioni all’A.G.O. in definitiva dovrebbero condurre a esiti più garantistici per i privati.
(32) Ad esempio, nel caso dell’alluvione di Genova dello
scorso mese di ottobre, dato che dalla stampa quotidiana pare di comprendere che in realtà l’aggiudicazione dei lavori sul tor- rente Bisagno non fosse stata sospesa da parte del G.A.
(33) X. Xxxxx, La giustizia amministrativa: un ostacolo per l’e- conomia?, dattiloscritto.
(34) Così ancora X. Xxxxx, La giustizia, cit.
La partecipazione delle Reti
di Imprese agli appalti pubblici nella disciplina nazionale
e comunitaria
di Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxxx
Muovendo dalle novità introdotte dalla Dir. 2014/24/UE del 24 febbraio 2014 e, in particolare, dall’art. 19, che sancisce il divieto per le stazioni appaltanti di obbligare i raggruppamenti di operatori economici ad assumere una specifica forma giuridica ai fini della presentazione di un’offerta e/o di una domanda di partecipazione, il presente contributo focalizza la propria atten- zione sulle cd. “Reti di Impresa”, ripercorrendone innanzitutto la genesi sul piano del diritto civi- le e la conseguente evoluzione nella normativa in tema di appalti pubblici.
L’analisi si sofferma in particolar modo sul parere n. 3 del 23 aprile 2013 dell’Autorità di Vigilan- za sui Contratti Pubblici (oggi A.N.A.C.), che inquadra le organizzazioni di reti d’impresa in tre di- stinti moduli, a seconda della struttura che le stesse assumono, ovverosia a fronte della presen- za o meno di un organo comune (provvisto o meno di potere di rappresentanza delle imprese aderenti alle rete) e dalla presenza o meno del requisito della soggettività giuridica, in aderenza al dato normativo di cui all’art. 3, comma 4 quater, del D.L. n. 5/2009.
Introduzione: la rete di imprese fra i soggetti ammessi alla partecipazione alle gare
La nuova Dir. 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, che ha abro- gato e sostituito la precedente Dir. 2004/18/CE su- gli appalti pubblici, destinata ad essere recepita da- gli Stati membri entro il 18 aprile 2016 e quindi, in quanto self executing, applicabile da tale data nelle more dell’adeguamento del nostro ordina- mento interno - all’art. 19 - ha ribadito (e meglio puntualizzato) il disposto dell’art. 4 della previgen- te Direttiva. Quest’ultima, in particolare, già aveva canonizzato il principio dell’impossibilità, per le amministrazioni aggiudicatrici, di obbligare i rag- gruppamenti di operatori economici ad avere una forma giuridica specifica ai fini della presentazione di un’offerta (nelle procedure ristrette o negoziate) e/o di una domanda di partecipazione (nelle proce- dure aperte).
Il nuovo art. 19, quindi, nell’autorizzare tutti i “rag- gruppamenti di operatori economici” a partecipare alle procedure di appalto, reca la precisazione “comprese le associazioni temporanee”, destinata a ridimensio- nare il ruolo attribuito a tale forma di cooperazione tra imprese da molte legislazioni nazionali di Stati membri. E ciò, a cominciare dall’Italia, che all’as- sociazione temporanea di imprese, allo stato, riser- va un’articolata e specifica disciplina, attualmente compendiata nell’art. 37 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici), applicabile - sep- pur con taluni adeguamenti - anche all’ulteriore formula aggregativa del consorzio ordinario di con- correnti.
Ne deriva così una conferma della natura non esaustiva dell’elencazione dei soggetti ammessi alla partecipazione alle pubbliche gare, operata, sempre allo stato, dall’art. 34 del Codice dei Contratti Pubblici, che costituisce un corollario del principio comunitario di favor per la più ampia liberalizzazio- ne della concorrenza, con la conseguente ulteriore implicazione della sostanziale indifferenza per le
qualificazioni formali degli istituti presenti nelle le- gislazioni interne dei diversi Stati membri (1).
Già con l’attuale art. 37 del Codice dei Contratti Pubblici, dunque, il Legislatore nazionale italiano ha recepito e fatto proprie le nozioni particolar- mente ampie, da gran tempo elaborate dalla giuri- sprudenza comunitaria, sia di imprenditore (che ri- comprende ogni soggetto esercente un’attività eco- nomica, indipendentemente dal proprio stato giuri- dico), sia di impresa (da identificarsi in qualsiasi attività economica comportante un’offerta di beni o servizi, senza neppure la necessità di dover obbli- gatoriamente perseguire fini di lucro).
È appena il caso di richiamare in questa sede la fondamentale distinzione tra (i) i soggetti parteci- panti alle gare nella forma c.d. individuale (in quanto singolarmente in possesso dei necessari re- quisiti), di cui all’art. 34, lett. a), b) e c), del Codi- ce dei Contratti Pubblici, ivi compresi i consorzi tra cooperative di produzione e lavoro di cui alla L. n. 422/1909 ed al D.Lgs. C.p.S. n. 1577/1947 e s.m.i., i consorzi tra imprese artigiane di cui alla L.
n. 443/1985, nonché i consorzi stabili di cui all’art. 36 del medesimo Codice dei Contratti Pubblici, da una parte, e dall’altra parte, (ii) i concorrenti che alle gare partecipano invece in forma “aggregata” (potendo usufruire del possesso cumulativo di alcu- ni dei requisiti richiesti), di cui all’art. 34, lett. d), e), f) dell’originario testo dell’art. 34 del Codice, destinatari della particolare disciplina di cui all’art. 37 dello stesso Xxxxxx.
Tale macrocategoria inizialmente ricomprendeva soltanto i raggruppamenti temporanei ed i consorzi ordinari di concorrenti, di cui all’art. 2602 cod. civ., nonché i soggetti sottoscrittori del G.E.I.E., ai sensi del D.Lgs. n. 240/1991.
Alla stessa macrocategoria, peraltro, va ora ricon- dotta anche la (relativamente nuova) figura del- l’aggregazione fra imprese aderenti al contratto di rete, regolata sotto il profilo civilistico dall’art. 3, comma 4 ter, del D.L. n. 5/2009 (2) e ricompresa,
sotto la lettera e-bis), nella nuova elencazione di cui al citato art. 34 del Codice, conseguente alla novellazione operata dall’art. 36, comma 5 bis, lett. a), del D.L. n. 179/2012 (3).
Quest’ultima disposizione ha altresì introdotto, nel corpo del successivo art. 37 del Codice, il comma 15 bis che, con riguardo alla disciplina del nuovo istituto, richiama le disposizioni del medesimo art. 37 del Codice, riferite ai raggruppamenti tempora- nei ed applicabili (con taluni adattamenti) anche ai consorzi ordinari di concorrenti.
Sennonché, ad un più attento esame, tale richia- mo, nella sua formulazione tranchant, non pare del tutto satisfattivo e proficuo, soprattutto in relazio- ne all’articolata e complessa disciplina dell’istituto della rete di imprese nel diritto civile, della quale è il caso di passare subito a trattare.
La rete di imprese nel diritto civile
La nozione di rete d’impresa, inizialmente elabora- ta in sede comunitaria (4), è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dall’art. 6 bis della L. n. 133/2008 (5), che aveva convertito, con modificazioni, il D.L. n. 112/2008 (nel contesto, quindi, di una normativa di emergenza finalizzata, a fronte di una difficile congiuntura economica, a favorire la competitività del nostro sistema produt- tivo).
In tale prospettiva, il Legislatore nazionale italia- no, attraverso la disciplina dell’istituto della rete di imprese, ha sostanzialmente operato la tipizzazione legale di un’attività contrattuale che sino ad allora poteva ritenersi soltanto socialmente tipica, essen- do sorta quale piena espressione dell’autonomia privata, riconosciuta in linea di principio, seppure entro i limiti della “meritevolezza di tutela” (6), agli operatori economici dall’art. 1322 c.c., corollario della più ampia libertà di iniziativa economica pri- vata sancita dall’art. 41 Cost. e della più generale tutela della concorrenza riconosciuta dal diritto co-
(1) Cfr., in dottrina, A.M. Xxxxx, Commento all’art. 34, in Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, a cura di G.F. Fer- rari - X. Xxxxxxxxxx, Milano, 2013, 448.
(2) Convertito, con modificazioni, nella L. n. 33/2009.
(3) Convertito, con modificazioni, nella L. n. 221/2012.
(4) Cfr. la Decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo n. 1639/2006, che ha promosso una azione finalizzata al rafforzamento dell’industria comunitaria ed all’incentivazio- ne della creazione e dello sviluppo di reti transeuropee. Emer- ge, a questo proposito, il ruolo propulsivo delle Istituzioni co- munitarie anche in materia di reti d’imprese (oltre alla Carta Europea per le piccole imprese), attesa la necessità di rafforza- re l’offerta di servizi alle piccole e medie imprese che vogliono cooperare adottando modelli reticolari. L’art. 12 della Decisio-
ne, in particolare, fa riferimento alle azioni tendenti ad incorag- giare e facilitare la cooperazione internazionale e regionale del- le imprese anche mediante la creazione di reti che favoriscono lo sviluppo di attività economiche e industriali.
(5) Articolo successivamente abrogato dall’art. 1, comma 2, L. 23 luglio 2009, n. 99.
(6) Il giudizio di meritevolezza degli interessi si risolve in un giudizio sull’idoneità dell’assetto privato a derogare lo schema tipico legale. La volontà pattizia, invero, può operare soltanto nei limiti in cui sia una volontà giuridica cosicché, nella fase del giudizio di idoneità dello schema, alcuna analisi dei conte- xxxx disciplinari è ancora da farsi (cfr. X. Xxxxxxx, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli inte- ressi, in Riv. dir. civ., 1978, I).
munitario, sia a livello di norme primarie che di fonti secondarie.
Si è dovuto però attendere il D.L. n. 5/2009 (7) per vedere normata in maniera puntuale la rete di imprese, ed in particolare il contratto di rete di im- prese, le cui disposizioni si trovano compendiate nell’art. 3 dello stesso D.L. (8).
Tale prima disciplina è stata quindi modificata, in varie riprese, sino al 2012, mantenendo tuttavia inalterata la “causa” (nel senso tradizionale, elabo- rato nel diritto civile, di funzione economico-so- ciale) del contratto di rete (9), alla stregua di una libera aggregazione (come tale priva di soggettività giuridica) di singoli centri produttivi coesi nello sviluppo unitario di politiche industriali, anche al fine di migliorare la presenza dell’imprenditoria ita- liana nei mercati internazionali.
Nel frattempo, è quindi intervenuta la L. n. 221/2012, che ha condotto ad una radicale modifi- cazione del comma 4 ter dell’art. 3 del D.L. n. 5/2009, consistita, in primo luogo, in una migliore puntualizzazione della definizione normativa dell’i- stituto, identificata nel contratto attraverso il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capa- cità innovativa e la propria competitività sul merca- to: a tal fine obbligandosi, sulla base di un program- ma comune di rete, a collaborare in forme ed in am- biti predeterminati attinenti all’esercizio delle pro- prie imprese, ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tec- nica o tecnologica, ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Ma, soprattutto, la nuova di- sciplina ha introdotto la possibilità per le parti di stabilire, peraltro su base assolutamente facoltativa, l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e/o la nomina di un organo comune chiamato a gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso.
Anche in tali casi, tuttavia, la norma civilistica in
parola esclude l’automatica assunzione del requisito della soggettività giuridica, il cui acquisto viene su-
bordinato al rispetto delle prescrizioni stabilite nei commi 4 ter e 4 quater dello stesso art. 3 del D.L. n. 5/2009.
A questo proposito, è stato correttamente rilevato che la stratificazione dei regimi normativi (oltre- tutto senza alcuna imposizione di adeguamento dei contratti preesistenti allo jus superveniens) ha de- terminato la coesistenza, nel nostro tessuto produt- tivo, di reti di imprese basate su contratti regolati da norme differenti.
In ogni caso, lo strumento della rete di imprese si caratterizza per l’ampio ruolo riconosciuto all’auto- nomia privata, che si contrappone alla tipicità che caratterizza invece il diritto societario e, segnata- mente, il regime normativo proprio delle singole tipologie di società (10).
Dell’esistenza di una tale situazione di eterogenei- tà, già sotto lo stretto profilo civilistico, ha preso atto l’allora Autorità di Xxxxxxxxx sui Contratti Pubblici (oggi Autorità Nazionale Anticorruzione), nel contesto di un parere alla stregua del quale le organizzazioni di reti d’imprese sono state inqua- drate in tre distinti moduli (11):
a) il primo consiste in una rete di imprese regolata da un mero contratto plurilaterale con comunione di scopo, che individua la partecipazione congiunta alle gare come uno degli scopi strategici inclusi nel programma comune, senza peraltro l’individuazione di un organo comune ovvero con la dotazione di un organo comune, ma privo di potere di rappre- sentanza;
b) il secondo consiste invece in una rete di imprese la cui organizzazione prevede un organo comune dotato di potere di rappresentanza, ma che resta sprovvisto del requisito della soggettività giuridica;
c) il terzo, infine, consiste in una rete di imprese, caratterizzata non soltanto da un organo comune dotato di potere di rappresentanza delle imprese aderenti alla rete, ma anche del requisito della sog- gettività giuridica, in aderenza al dato normativo canonizzato nell’art. 3, comma 4 quater, del D.L. n. 5/2009 (12).
(7) Recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi (c.d. decreto incentivi).
(8) Più precisamente nei commi 4 ter, 4 quater e 4 quin- quies.
(9) Sulla nozione di causa del contratto nel diritto civile cfr., ex multis, X. Xxxxx - G. De Nova, Trattato di diritto privato, Torino, 1983, 313 ss.; M. Bianca, Diritto civile, III, Milano, 1981, 419 ss.
(10) Sul principio di tipicità delle forme societarie cfr., in dottrina, fra gli altri, G.F. Campobasso, Diritto commerciale, II, VI ed., Torino, 2007, 50 ss.; X. Xxxxx, La tipicità delle Società, Padova, 1974, 52 ss. e 339 ss.
(11) Tale classificazione invero, trova riscontro nel parere reso con la determinazione dell’allora Autorità di Xxxxxxxxx sui Contratti Pubblici, oggi A.N.A.C., n. 3 del 23 aprile 2013.
(12) Comma aggiunto dalla Legge di conversione 9 aprile 2009, n. 33, sostituito dall’art. 42, comma 2 ter, D.L. 31 mag- gio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122 e, successivamente, così modificato dall’art. 45, comma 2, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con xxxxxx- xxxxxxx, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e dall’art. 36, comma 4 bis, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.
Le conseguenti implicazioni sulla partecipazione alle gare pubbliche d’appalto
La rete di imprese senza attribuzione di mandato e senza personalità giuridica
Nella prima ipotesi presa in considerazione, il rin- vio operato dal comma 15 bis dell’art. 37 del Codi- ce, per la verità, appare pienamente coerente con la disciplina e, prima ancora, con la ratio dell’istitu- to del raggruppamento temporaneo di concorrenti, contraddistinto dall’assenza di qualunque organo comune munito di poteri di rappresentanza esterna e dalla necessaria attribuzione (con il rispetto di determinate forme richieste dall’ordinamento) di un mandato con rappresentanza esterna ad uno de- gli operatori economici aderenti alla compagine per quel che concerne i rapporti con la Stazione Appaltante.
Ne deriva quindi che, così come nel caso del rag- gruppamento temporaneo, l’eventuale previsione, da parte del contratto di rete, di organi di coordi- namento fra le diverse imprese aderenti, chiamati ad assumere le proprie determinazioni in ordine al- la partecipazione alle gare e/o all’esecuzione delle commesse, ma senza il formale ed espresso conferi- mento di un mandato, potrà, al più, assumere rilie- vo esclusivamente nell’ambito dei rapporti inter- privati fra i soggetti aderenti alla compagine: così, ad esempio, un’impresa che abbia disatteso le indi- cazioni assunte dall’organo comune in violazione degli impegni assunti col contratto di rete sicura- mente porrà in essere una violazione dei patti con- trattuali, con il conseguente obbligo di risarcimen- to dei danni eventualmente patiti dalle altre im- prese riunite nella rete, ma senza che la determina- zione dell’organo possa in alcun modo spiegare qualsivoglia effetto nei confronti della Stazione Appaltante.
In tale situazione, si è quindi di fronte a meri profi- li interni all’esecuzione del contratto di rete intera- mente regolati dal diritto privato, che tuttavia me- ritano una particolare attenzione se si tien conto che, diversamente da quel che avviene nel caso di un raggruppamento temporaneo, il contratto di re- te impegna le imprese componenti non soltanto con riguardo alla partecipazione ad una singola ga- ra d’appalto (e - in caso di aggiudicazione - all’ese-
cuzione della pertinente commessa), ma - almeno solitamente - con riguardo ad una pluralità di ap- palti, il cui perimetro può eventualmente essere definito in sede di contratto vuoi con riferimento all’oggetto dell’obbligazione di facere (ad esempio, l’esecuzione di lavori nel settore dell’edilizia ospe- daliera), vuoi in relazione ad una determinata area geografica.
L’assenza di un organo comune, o quantomeno l’assenza in capo a quest’ultimo di poteri di rappre- sentanza esterna, pertanto, determinano, nell’ipo- tesi presa ora in considerazione, la necessità di in- dividuare volta per volta, all’interno della rete, co- me condizione per la partecipazione a ciascuna sin- gola gara d’appalto, un operatore economico man- datario con le forme tassativamente prescritte dal- l’art. 1704 c.c., così come integrato dall’art. 37, comma 15, del Codice dei Contratti Pubblici (atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero at- to firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del D.Lgs. n. 82/2005, Codice dell’Amministrazione Digitale). Ciò, con la conseguente attribuzione, in favore della singola impresa retista individuata quale capogruppo per lo svolgimento di una deter- minata gara, di un mandato caratterizzato dai re- quisiti della gratuità e dell’irrevocabilità, secondo un regime inquadrabile nello schema civilistico del mandato in rem propriam ex art. 1723, comma 2,
c.c. (in particolare, come nel caso del raggruppa- mento temporaneo, l’eventuale revoca, anche per giusta causa, non è in grado di produrre alcun ef- fetto nei confronti della Stazione Appaltante). Sicché, in buona sostanza, nell’ipotesi di una rete priva sia di un organo comune dotato di rappresen- tanza che del requisito della personalità giuridica, il richiamo operato dal comma 15 bis dell’art. 37 del Codice determina l’automatica e diretta appli- cazione della disciplina propria dei raggruppamenti temporanei, senza necessità di particolari adatta- menti, salva l’avvertenza dell’estensione di tale re- gime normativo ad una pluralità di pubbliche gare e di commesse in corso con le Stazioni Appaltanti. A questo proposito, del resto, certamente non è ca- suale che, nel bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014 per l’affidamento di lavori pubblici nei settori ordinari (procedura aperta per appalto di sola ese- cuzione lavori) (13), l’allora Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (oggi Autorità Nazionale
(13) L’art. 64, comma 4 bis, D.Lgs. n. 163/2006, come noto, prevede infatti che “i bandi sono predisposti dalle stazioni ap- paltanti sulla base di modelli (bandi-tipo) approvati dall’Autori- tà, previo parere del Ministero delle infrastrutture e dei traspor- ti e sentite le categorie professionali interessate, con l’indica-
zione delle cause tassative di esclusione di cui all’articolo 46, comma 1-bis. Le stazioni appaltanti nella delibera a contrarre motivano espressamente in ordine alle deroghe al bando-ti- po”.
Anticorruzione) abbia previsto che, se la rete è do- tata di un organo comune privo del potere di rap- presentanza o se la rete è sprovvista di organo co- mune, ovvero se l’organo comune è privo dei re- quisiti di qualificazione richiesti per assumere la veste di mandataria, la domanda di partecipazione deve essere sottoscritta, a pena di esclusione, dal legale rappresentante dell’impresa aderente alla re- te che riveste la qualifica di mandataria ovvero, in caso di partecipazione nelle forme del raggruppa- mento da costituirsi, da ognuna delle imprese ade- renti al contratto di rete che partecipano alla gara.
La rete di imprese con attribuzione di mandato ma senza personalità giuridica
Altro discorso va fatto nel caso in cui invece, co- me s’accennava, la rete, pur non avendo una pro- pria personalità giuridica, abbia quantomeno un organo comune dotato di potere di rappresentanza. In tal caso, infatti, diversamente da quel che avvie- ne per i raggruppamenti temporanei, è l’organo co- mune a svolgere tutte le funzioni proprie del sog- getto mandatario delle imprese retiste.
Al riguardo, l’Autorità ha rilevato che il mandato, contenuto nel contratto di rete, costituisce condi- zione necessaria ma non sufficiente, in quanto la volontà di tutte o di parte delle imprese retiste di avvalersi di una simile possibilità, per una specifica gara, deve essere confermata all’atto della parteci- pazione, mediante la sottoscrizione della domanda o dell’offerta. Ciò, in quanto solo il cumulo di tale atto formale con la produzione di copia autentica del contratto di rete, che già reca il mandato, è idoneo ad integrare un impegno giuridicamente vincolante nei confronti della Stazione Appaltan- te.
Ancora, l’Autorità è intervenuta per richiedere che, “a monte”, il contratto di rete sia stato redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per atto firmato digitalmente a norma del- l’art. 25 del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Ammi- nistrazione Digitale), al fine di fornire adeguate ga- ranzie alla Stazione Appaltante in ordine all’iden- tità delle imprese retiste.
L’Autorità ha quindi posto un’ulteriore condizione perché l’organo comune della rete - ripetesi, in as- senza di una soggettività giuridica della rete - possa svolgere il ruolo di mandatario, richiedendo il pos- sesso, in capo all’aggregazione di rete in quanto ta- le, di adeguati requisiti di qualificazione, eventual- mente ricorrendo anche all’istituto dell’avvalimen- to ex art. 49 del Codice dei Contratti Pubbli- ci (14).
Nello stesso senso, nel citato bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014 per l’affidamento di lavori pubblici nei settori ordinari (procedura aperta per appalto di sola esecuzione lavori), l’Autorità ha statuito che, se la rete è dotata di un organo comune con potere di rappresentanza, ma è priva di soggettività giuridica ai sensi dell’art. 3, comma 4 quater, D.L. 10 febbraio 2009, n. 5, la domanda di partecipazio- ne deve essere sottoscritta, a pena di esclusione, dall’impresa che riveste le funzioni di organo co- mune, nonché da ognuna delle imprese aderenti al contratto di rete che partecipano alla gara.
Si tratta di una precisazione di non lieve momen- to, perché consente alle imprese retiste di affidare in maniera permanente - e non con esclusivo ri- guardo ad una singola gara - ad un singolo operato- re economico (dotato di una propria “azienda”, e quindi nel possesso non soltanto dei generali requi- siti di ordine morale previsti dall’art. 38 del Codice dei Contratti Pubblici ma anche, nel caso di appal- ti pubblici di servizi e/o forniture, di adeguati re- quisiti speciali di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa ovvero, nel caso di appalti pubblici di lavori, di adeguate attestazioni S.O.A.) la rappresentanza dell’intera rete nei confronti del- le Stazioni Appaltanti. E ciò, sia in sede di gara che nel corso dell’esecuzione della commessa.
Diversamente, il rinvio operato dal precitato art. 37, comma 15 bis, del Codice dei Contratti Pubbli- ci, parrebbe doversi leggere alla stregua di un’assi- milazione non tanto all’istituto dei raggruppamenti temporanei fra imprese quanto alla figura dei con- sorzi ordinari di concorrenti, parimenti soggetti al- la disciplina dettata dallo stesso art. 37 e che si di- stinguono sia dalle figure dei consorzi “speciali” fra società cooperative di produzione e lavoro (15) e
(14) Cfr. la determinazione dell’allora Autorità di Xxxxxxxxx sui Contratti Pubblici, oggi A.N.A.C., n. 3 del 23 aprile 2013, che ha avuto modo di stabilire che: “Secondo quanto previsto dall’art. 37, comma 15, del Codice, in ogni caso, la revoca per giusta causa del mandato non ha effetto nei confronti della stazione appaltante. Qualora le suesposte condizioni siano ri- spettate, l’organo comune stipulerà il contratto in nome e per conto dell’aggregazione di imprese retiste. Qualora, invece,
l’organo comune non possa svolgere il ruolo di mandataria (ad esempio, perché privo di adeguati requisiti di qualificazione, neanche ricorrendo all’istituto dell’avvalimento ex art. 49 del Codice) è sempre possibile ricorrere alla soluzione descritta al paragrafo 2.2.”.
(15) Costituiti a norma della L. 25 giugno 1909, n. 422, e del D.Lgs. del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577.
dei consorzi tra imprese artigiane (16), oggetto del- la disciplina dettata dall’art. 35 del Codice dei Contratti Pubblici, sia dall’ulteriore figura dei con- sorzi stabili, regolati dal combinato disposto degli artt. 35 e 36 del Codice dei Contratti Pubblici (che - come noto - possono vantare una qualifica- zione loro propria, distinta e cumulabile, con parti- colari regole, a quelle delle imprese consorziate). Gli stessi consorzi ordinari, riconducibili sul piano civilistico all’istituto delineato in xxx xxxxxxxx xxxxx xxxx. 0000 x xx. x.x., xxxxxxxxx sotto il profilo pubbli- cistico dalla speciale disciplina di cui al citato art. 37 del Codice dei Contratti Pubblici, invero si ca- ratterizzano per l’istituzione di un’organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi del- le rispettive imprese, pur senza la creazione di una vera e propria azienda, distinta rispetto a quella delle imprese partecipanti (17).
In un contesto di tal fatta, già con riguardo ai con- sorzi ordinari di concorrenti, fra l’altro, s’era posta la questione della necessità o meno di una specifica costituzione del soggetto giuridico ai fini della par- tecipazione alla singola gara d’appalto in questio- ne.
È noto infatti che nel passato era stata messa in di- scussione la possibilità che un consorzio ordinario, genericamente costituito ai sensi degli artt. 2602 ss. c.c. per la gestione comune di una “fase” d’im- presa, potesse partecipare direttamente alle gare, sia pure col plenum delle imprese consorziate (rite- nendo che, viceversa, le imprese consorziate fosse- ro tenute a dar sempre luogo ad un raggruppamen- to temporaneo o ad un consorzio ad hoc, avente ad oggetto il singolo appalto, pur se in esecuzione del patto consortile) (18). Mentre successive prese di posizione dell’Autorità hanno invece definitiva- mente ammesso la possibilità della costituzione di
un consorzio ordinario ex art. 34, comma 1, lett. e), del Codice, finalizzato alla partecipazione non ad una ma a più procedure di gara, indette in tem- pi diversi, per l’affidamento di plurimi appalti pub- blici di lavori, servizi e/o forniture.
Il Codice dei Contratti Pubblici, per vero, non pre- vede espressamente tale possibilità, ma nemmeno prescrive in maniera esplicita che la costituzione di un consorzio ordinario di concorrenti debba limi- tarsi alla partecipazione ad una singola e specifica procedura ad evidenza pubblica.
In un siffatto contesto normativo, dunque, le men- zionate pronunce dell’Autorità, ancorché risalenti, devono considerarsi ancora attuali e significative, non avendo fra l’altro trovato smentita da parte di più recenti rescritti della stessa Autorità. In parti- colare, l’Autorità ha infatti ritenuto legittima l’e- ventualità della costituzione di un consorzio ordi- nario per la partecipazione a più gare indette in tempi diversi (19); con la precisazione per cui la partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica deve avvenire sempre per tutte le imprese consor- ziate e sulla base della qualificazione da queste pos- sedute.
Conferma si trae, nel medesimo senso, anche da al- cune recenti prese di posizione della giurisprudenza amministrativa, che hanno attribuito al rinvio ope- rato (in tema di partecipazione alle procedure di affidamento) dall’art. 34, comma 1, lett. e), del Codice al regime delineato dal successivo art. 37, l’effetto precipuo di escludere che i consorzi ordi- nari di concorrenti possano partecipare alle gare solo per alcune delle imprese consorziate, essendo viceversa obbligati a partecipare per tutte le impre- se consorziate (20).
Alla luce di un siffatto inquadramento, le reti do- tate di organo comune titolare di poteri di rappre-
(16) Disciplinati dalla L. 8 agosto 1985, n. 443.
(17) Ai sensi del combinato disposto dell’art. 34, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 163/2006 e dell’art. 37, comma 7, del mede- simo D.Lgs., solo i consorzi di cui alla lett. d) del testo normati- vo in esame (raggruppamenti ordinari di concorrenti) sono ob- bligati ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati con- corrono. Di talché, non può che desumersi che l’omissione di tale previsione per i consorzi ordinari debba essere intesa nel senso di escludere che essi possano partecipare soltanto per alcune consorziate, essendo al contrario obbligati a concorrere per tutte le consorziate. Siffatta interpretazione, secondo
T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 14 febbraio 2011 n. 317, trova d’altronde conferma, oltre che in relazione ad una interpreta- zione letterale della norma, anche sotto il profilo sostanziale: e ciò, in considerazione della diversa natura del consorzio ordi- nario rispetto a quello stabile ed a quello tra cooperative di produzione e lavoro ed imprese artigiane. Infatti, il consorzio ordinario non è dotato di una propria struttura aziendale, in quanto il contratto di consorzio ex art. 2602 c.c. istituisce
un’organizzazione comune per il coordinamento di determina- te fasi dell’impresa e non è soggetto ad una limitazione tem- porale minima nella sua durata; viceversa, il consorzio stabile, ex art. 36, D.Lgs. n. 163/2006, ha una durata minima tempora- le di cinque anni ed una struttura comune di impresa, tanto che anche per questa figura è previsto l’obbligo di indicare per quali consorziate il consorzio medesimo concorre. I consorzi di cooperative di produzione e lavoro, infine, sono regolati da una normativa specifica, che li qualifica come persone giuridi- che e risulta pertanto ancor più chiara la loro diversità rispetto ai consorzi ordinari (cfr. X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxxxx, Codice degli Appalti Pubblici, Torino, 2014, 217).
(18) Cfr. T.A.R. Xxxxxx Xxxxxxx, Bologna, Sez. I, 13 feb- braio 2003, n. 902.
(19) A.N.A.C., determinazione 9 giugno 2004, n. 11 e deli- berazione 13 dicembre 2006, n. 114.
(20) Cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 14 febbraio 2011, n. 317, cit.
sentanza, ma prive di personalità giuridica, per ef- fetto del rinvio operato dall’art. 37, comma 15 bis, del Codice, mancando qualunque “azienda” comu- ne, sembravano destinate a venir anch’esse obbli- gate a partecipare alle gare d’appalto, sempre ed in ogni caso, con l’intera compagine delle imprese re- tiste.
Sennonché l’Autorità, sul punto, s’è orientata in favore di una posizione più flessibile, e cioè nel senso di consentire, volta per volta, l’indicazione delle imprese retiste interessate alla partecipazione alla singola procedura di gara, secondo uno schema a “geometria variabile” (21).
Va da sé peraltro che, nel caso di una rete dotata di un organo comune vero e proprio (distinto dal- le imprese retiste) dotato di potere di rappresen- tanza, così come nel caso di un consorzio ordina- rio di concorrenti ex artt. 2602 ss. c.c. il cui og- getto si estenda alla partecipazione ad una plurali- tà di gare d’appalto, viene a mancare l’individua- zione di un’impresa mandataria stricto sensu (assol- vendo a tale compito l’organo comune della rete), mentre resta indispensabile l’indicazione di un’im- presa capogruppo, peraltro - almeno a parer mio - ai soli fini della suddivisione interna dei requisiti di qualificazione. E ciò, dal momento che occorre- rà comunque segnalare alle Stazioni Appaltanti l’impresa capogruppo che (i) ai sensi dell’art. 37 del Codice e dell’art. 92 del Regolamento, negli appalti di lavori, deve possedere, nell’ipotesi di re- te verticale, i requisiti speciali di cui alla categoria prevalente (per il relativo importo) e che invece, nell’ipotesi di rete orizzontale, deve possedere i re- quisiti speciali nella misura minima del quaranta per cento dell’importo dei lavori, mentre (ii) ai sensi dell’art. 275 del Regolamento, negli appalti di servizi e di forniture, deve possedere i requisiti speciali ed eseguire le prestazioni in misura quan- tomeno maggioritaria (spettando - come noto - al bando di gara l’individuazione dei requisiti specia- li necessari per partecipare alla procedura di affi- damento, nonché le eventuali misure in cui gli stessi requisiti speciali debbono essere posseduti dai singoli concorrenti).
Ne deriva quindi che, nel caso in esame, la pecu- liarità dell’attività, di coordinamento e di rappre- sentanza, svolta dall’organo comune della rete, anche se priva di personalità giuridica, a mio av- viso dovrebbe escludere che la struttura aggregati- va (in quanto tale) debba possedere in proprio
adeguati requisiti di qualificazione di carattere “speciale” (economico-finanziario e tecnico-orga- nizzativo) negli appalti di servizi e di forniture ov- vero di attestazioni S.O.A. negli appalti di lavori, che postulano l’esercizio autonomo di un’“impre- sa” e la titolarità di un’“azienda” distinta rispetto alle aziende dei soggetti aggregati.
A questo proposito, mi permetto pertanto di dis- sentire dal richiamo (formulato originariamente dall’Autorità (22), e da quest’ultima ribadito an- che in sede di approvazione del bando-tipo n. 2 del 2 settembre 2014 per l’affidamento di pubblici lavori nei settori ordinari, con procedura aperta per l’appalto di sola esecuzione lavori) alla neces- sità del ricorso al particolare strumento dell’avva- limento ex art. 49 del Codice, istituto che s’appa- lesa del tutto inidoneo ed inconferente rispetto alla struttura ed alla funzione dell’organo comune, seppure dotato del potere di rappresentanza, di ag- gregazione d’imprese privo di una sottostante azienda, e quindi escluso dalla realizzazione di qualunque diretta prestazione di facere, riservata alla sfera soggettiva delle singole imprese aggrega- te nella rete.
Certo è che, anche nell’ipotesi di rete dotata di or- gano comune titolare di poteri di rappresentanza ma privo di personalità giuridica, così come nel ca- so dei consorzi ordinari di concorrenti, alla luce dell’art. 37, commi 3 e 13, del Codice, non potrà comunque derogarsi all’obbligo di mantenere, sul piano sostanziale, una stretta corrispondenza, al- l’interno dell’aggregazione fra imprese, tra le quote di qualificazione, le quote di partecipazione e le quote di esecuzione dell’appalto di ciascuna impre- sa.
La rete di imprese con attribuzione di mandato e di personalità giuridica
Quanto infine all’ultima configurazione della rete d’imprese, dotata sia di organo comune che di sog- gettività giuridica, è pacifico che il potere ricono- sciuto all’organo comune di agire in rappresentanza della rete (nel cui programma strategico rientri la partecipazione congiunta a una o, più facilmente, a plurime procedure di gara) comporti che il cumulo della presentazione della domanda di partecipazio- ne o dell’offerta da parte dell’organo comune e del- la produzione della copia autentica del contratto di rete costituisca, di per sé, elemento idoneo ad im- pegnare la volontà di tutte le imprese partecipanti
(21) Cfr. la determinazione dell’allora A.V.C.P. n. 3 del 23 aprile 2013, cit.
(22) Cfr. la determinazione dell’allora A.V.C.P. n. 3 del 23 aprile 2013, cit.
allo stesso contratto di rete, salvo diverse indica- zioni in sede di domanda o di offerta (23).
Più complesso è invece stabilire se, ed entro quali limiti, nel nostro caso la locuzione “in quanto com- patibili”, contenuta nell’art. 37, comma 15 bis, del Codice, nell’attuale contesto normativo, consenta unicamente l’applicazione delle disposizioni conte- nute negli altri commi del medesimo art. 37 o, vi- ceversa, permetta l’applicazione della più appro- priata disciplina dettata in linea generale dall’art. 35 del Codice per le forme di aggregazione conti- nuata tra imprese (24), e cioè per i consorzi stabili (salva, in quest’ultimo caso, la prevalenza della di- sciplina, di carattere ulteriormente speciale, stabili- ta dal successivo art. 36 (25)), nonché per i consor- zi di società cooperative di produzione e lavoro e per i consorzi tra imprese artigiane, forme tutte ca- ratterizzate, si badi, dal possesso del requisito della personalità giuridica.
L’Autorità, al riguardo, da un lato ha affermato che, analogamente a quanto previsto dall’art. 37, comma 7, ultimo periodo del Codice, con riferi- mento ai consorzi “speciali” di cui all’art. 34, com- ma 1, lett. b), l’organo comune possa indicare, in sede di offerta, la composizione dell’aggregazione tra le imprese aderenti al contratto di rete che par- tecipa alla specifica gara, così ammettendo - anche nel nostro caso - una partecipazione della rete alle pubbliche gare a “geometria variabile”. Mentre, dall’altro lato, la stessa Autorità ha richiesto che l’organo comune sia esso stesso parte della rete, e quindi debba trovarsi in possesso dei requisiti di qualificazione previsti per il soggetto mandatario.
Tale presa di posizione dell’Autorità, nel senso del- la perentorietà del possesso dei requisiti di qualifi- cazione in capo all’organo comune della rete (salva la possibilità di superare eventuali carenze median- te il ricorso all’istituto dell’avvalimento ex art. 49
del Codice dei Contratti Pubblici), è stata reiterata anche in sede di formulazione del richiamato ban- do-tipo n. 2 del 2 settembre 2014 per l’affidamento di lavori pubblici nei settori ordinari (procedura aperta per appalto di sola esecuzione lavori).
Si tratta di un indirizzo (al quale ovviamente sug- gerirei di attenersi prudenzialmente nella prassi) che, peraltro, francamente non mi pare condivisi- bile, non avendo a parer mio sufficientemente ap- prezzato e valorizzato gli evidenti profili di analogia intercorrenti fra la rete dotata di personalità giuri- dica e le figure di consorzi “speciali” dotati di per- sonalità giuridica, presi in considerazione dall’art. 35 del Codice e, in particolare, l’istituto del con- sorzio stabile.
A questo proposito, è infatti appena il caso di ri- cordare che i consorzi stabili, introdotti nel nostro ordinamento dall’art. 12 della previgente L. n. 109/1994 (c.d. Xxxxx Xxxxxxx), risultano ora disci- plinati compiutamente, oltrecché dalle più generali disposizioni contenute nel citato art. 35 per i re- quisiti di partecipazione, dall’art. 36 del Codice dei Contratti Pubblici. Tale nozione identifica, in par- ticolare, i consorzi formati da non meno di tre con- sorziati, che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, per un periodo di tem- po non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fi- ne una struttura comune di impresa.
Val la pena di evidenziare ulteriormente la caratte- ristica fondamentale del consorzio stabile, che lo pone in un rapporto da species a genus rispetto al consorzio ordinario di concorrenti (ripetesi, disci- plinato dall’art. 37 del Codice quanto ai profili pubblicistici, ma inquadrabile, sul piano civilistico, all’interno della generale figura del consorzio per il coordinamento della produzione e degli scambi ex
(23) Cfr. la determinazione dell’allora Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, oggi A.N.A.C., n. 3 del 23 aprile 2013.
(24) In tema di requisiti di idoneità tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria per la partecipazione alle gare d’appalto dei consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, la norma di riferimento del Codice dei Contratti pubblici (l’art. 35) è del tutto chiara nello statuire come tali consorzi non possano comprovare il possesso dei requisiti attraverso le imprese con- sorziate designate per l’esecuzione del servizio, ma debbano necessariamente possederli e comprovarli in proprio. Unica eccezione attiene ai requisiti relativi alla disponibilità delle at- trezzature, dei mezzi d’opera e all’organico medio annuo, i quali possono invece essere cumulativamente computati in capo al consorzio ancorché posseduti in capo alle singole con- sorziate (cfr., in giurisprudenza, e con precipuo riferimento al requisito del fatturato, T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 26 gennaio 2010, n. 84).
(25) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2563, se-
condo il quale “in materia di qualificazione del consorzio stabi- le nel settore dei servizi e delle forniture, deve ritenersi operati- vo il criterio del c.d. cumulo alla rinfusa, in capo al consorzio stabile, dei requisiti dei consorziati, attesa le peculiarità, strut- turali e funzionali, del consorzio stabile, delineate dalle altre di- sposizioni contenute nell’art. 36 D.Lgs. n. 263 del 2006, ri- spondenti alla ratio normativa di dare maggiori possibilità di sviluppo alle imprese sprovviste di sufficienti requisiti per ac- cedere a determinate gare (rispetto a quanto sia già consentito con lo strumento delle a.t.i.), attraverso l’accrescimento delle facoltà operative, ottenibile non imponendo al consorzio di avere i requisiti in proprio, soprattutto nella fase iniziale dell’at- tività, né prescrivendo quote minime in capo alle consorziate portatrici dei requisiti, anche perché, altrimenti, si riprodurreb- be inutilmente il modulo organizzativo delle a.t.i., già, peraltro, replicato con l’aggregazione cui dà luogo il consorzio ordina- rio”.
artt. 2602 ss. c.c.). Si tratta, più precisamente, del superamento dell’originaria caratterizzazione mu- tualistica della figura consortile (26) attraverso la predisposizione di un’azienda comune, mediante la quale il consorzio (stabile) può eseguire anche di- rettamente - come impresa - le prestazioni oggetto del contratto d’appalto (27), grazie anche alla tito- larità del requisito della personalità giuridica.
Con l’introduzione di tale istituto, dunque, il Legi- slatore ha voluto perseguire l’espressa finalità di consentire (anche) l’acquisizione diretta in proprio di appalti (e non, quindi, necessariamente in nome e per conto delle imprese consorziate), attraverso una stabile organizzazione d’impresa del consorzio, destinata istituzionalmente allo svolgimento di una serie di attività permanenti nel tempo, certamente ultrattive rispetto all’acquisizione ed all’esecuzione del singolo appalto.
Ne deriva fra l’altro che, in un contesto di tal fatta, il consorzio stabile ben può acquisire un ramo d’a- zienda, con la conseguente applicazione della gene- rale disciplina civilistica di cui agli artt. 2558 ss.
c.c. e della speciale disciplina pubblicistica di cui agli artt. 51 e 116 del Codice dei Contratti Pubbli- ci con riguardo al subingresso dell’impresa cessio- naria, rispettivamente, nella fase di gara e nella fa- se di esecuzione della commessa.
Ed è certamente il caso di evidenziare altresì, ai nostri fini, che il D.Lgs. n. 113/2007 (28), nel no- vellare il (testo originale del comma 7 dell’art. 36 del Codice, ha introdotto una disciplina generale del consorzio stabile, applicabile a qualsiasi tipolo- gia di appalto: così estendendo l’applicazione dell’i- stituto del consorzio stabile anche agli appalti di forniture e servizi, sebbene i requisiti richiesti per la partecipazione alle procedure di affidamento ri- sultino diversificati, a seconda che la gara abbia ad oggetto lavori pubblici oppure forniture e/o servizi. Per i soggetti abilitati ad assumere lavori, l’art. 94, comma 2, del Regolamento di cui al d.P.R. n. 207/2010 (da intendersi come norma speciale ri- spetto alla disposizione generale dettata dall’art. 35 del Codice) stabilisce infatti che i consorzi stabili conseguano la qualificazione a seguito di verifica dell’effettiva sussistenza dei corrispondenti requisiti in capo alle singole imprese consorziate e della re- lativa sommatoria (cumulo dei requisiti).
Viceversa, per i settori dei servizi e delle forniture, l’art. 277 dello stesso Regolamento introduce una disciplina più articolata, coerente con l’assenza di un sistema generale di qualificazione.
Più precisamente, l’art. 277, comma 2, del medesi- mo Regolamento cit. stabilisce, in linea astratta, che la sussistenza in capo al consorzio stabile dei requisiti richiesti nel bando venga valutata a segui- to della verifica dell’effettiva sussistenza dei requi- siti in capo alle singole consorziate.
Anche se, in applicazione della regola più generale definita nel precitato art. 35 del Codice per tutti i consorzi “speciali” abilitati ad operare nel settore dei pubblici appalti, quanto ai requisiti di ordine speciale (e cioè a quelli di carattere economico-fi- nanziario e tecnico-organizzativo), nei settori dei servizi e delle forniture, i soli requisiti afferenti alla disponibilità di attrezzature e mezzi d’opera ed al- l’organico medio annuo vengono sommati fra tutte le consorziate; tutti i restanti requisiti speciali sono invece sommati con riferimento alle sole consorzia- te esecutrici. Trova così applicazione il criterio, ri- chiamato dalla giurisprudenza nei termini del c.d. “cumulo alla rinfusa”, finalizzato a riconoscere maggiori possibilità di sviluppo alle imprese sprov- viste di sufficienti requisiti per la partecipazione a determinate gare, attraverso l’accrescimento delle facoltà operative (29).
Resta invece indiscussa, in entrambe le ipotesi so-
pra richiamate, la necessità che il possesso dei re- quisiti di ordine generale, di cui all’art. 38 del Co- dice, sia comprovato non soltanto in capo al con- sorzio stabile ma anche in capo alle singole consor- ziate indicate per l’esecuzione dell’appalto. E ciò, per l’ovvia ragione che, se il possesso dei requisiti di ordine generale andasse accertato solo in capo al consorzio e non anche in capo alla consorziate che eseguono le prestazioni, il consorzio potrebbe agevolmente diventare uno schermo di copertura, consentendo la partecipazione di consorziate prive dei necessari requisiti di carattere morale.
Alla luce delle suesposte considerazioni, ed in con- seguenza dell’affinità che accomuna i due diversi istituti, quello della rete d’imprese dotata sia di or- gano comune che di soggettività giuridica, da un lato, e, dall’altro lato, quello del consorzio “specia- le”, oggetto della disciplina di cui all’art. 35 del
(26) Cfr. X. Xxxxxxxx, I soggetti ammessi alle procedure di affi- damento, in AA.VV., I Contratti di appalto pubblico, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
(27) Cfr. X. Xxxxxxx, Persistenti aspetti problematici della di- sciplina dei consorzi stabili di impresa, dopo il secondo decreto correttivo (X.Xxx. 31 luglio 2007, n. 113) al D.Lgs. 12 aprile
2006, n. 163, in Riv. trim. appalti, 2007, 938. Cfr. altresì Autori- tà di Vigilanza (oggi A.N.A.C.), determinazione 9 giugno 2004, n. 11.
(28) Recante Disposizioni correttive ed integrative del Codi- ce.
(29) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2563, cit.
Xxxxxx, riterrei quindi, anche de jure condito, prefe- ribile optare per un’interpretazione sostanzialista e sistematica (e non formalista ed atomistica) del di- sposto del comma 15 bis dell’art. 34 del Codice. E cioè, in favore di un’interpretazione che consenta di assimilare le due figure e, di conseguenza, di ap- plicare la disciplina normativa vigente per i con- sorzi “speciali” regolati dall’art. 35 del Codice (fer- ma restando l’ulteriore “specialità” della disciplina dei consorzi stabili, delineata dall’art. 36 del Codi- ce e dall’alternativo disposto degli artt. 94 e 277 del Regolamento, questi ultimi specificamente rife- riti, il primo agli appalti di lavori ed il secondo agli appalti di servizi e forniture), di cui ho appena ri- chiamato alcuni tratti essenziali, anche alle reti d’imprese dotate di personalità giuridica oltreché di un organo comune dotato di poteri di rappresen- tanza.
In tal senso, tuttavia, sarebbe auspicabile, de jure condendo, un intervento chiarificatore del nostro Le- gislatore nazionale (che, a tal fine, potrebbe appro- fittare dell’occasione offerta dall’imminente recepi- mento organico della nuova Dir. 2014/24/UE (30)) che, fra l’altro, consentirebbe il superamento dell’in- dirizzo sin qui seguito, al proposito, dall’Autorità, equiparando pertanto expressis verbis le due figure ed uniformandone la disciplina normativa, soprattutto in relazione alle modalità ed ai requisiti per la parte- cipazione alle gare d’appalto. Il che consentirebbe di estendere anche alle reti dotate di organizzazione comune e di personalità giuridica la disciplina di cui all’art. 35 del Codice.
Altra questione è, poi, se la rete, sempreché dotata
di personalità giuridica, possa a propria volta aderi- re ad un consorzio stabile, ovvero ad un consorzio ordinario di concorrenti.
Quanto alla prima ipotesi, va osservato che l’art. 34, comma 1, del Codice - nell’elencare i soggetti cui possono essere affidati i contratti pubblici - menziona espressamente alla lett. c) i consorzi sta- bili e, precisamente, quelli costituiti, anche in for- ma di società consortili ai sensi dell’art. 2615 ter c.c., tra imprenditori individuali, imprenditori arti- giani, società commerciali e società cooperative di produzione e lavoro.
Un’interpretazione letterale, e quindi restrittiva, della norma in commento ha pertanto condotto l’Autorità a ritenere che l’elenco dei soggetti con- sorziati costituenti il consorzio stabile ha carattere tassativo, di talché si ritiene preclusa la possibilità, per un consorzio stabile, di essere a propria volta costituito da altri consorzi, siano essi consorzi sta- bili (31), consorzi fra società cooperative di produ- zione e lavoro (32) o consorzi tra imprese artigia- ne (33). Ne deriva quindi, ed a maggior ragione, l’impossibilità per le reti di impresa, anche se dota- te di personalità giuridica, di aderire a consorzi sta- bili.
Del resto, se alla stregua del rilevato carattere tas- sativo dell’elencazione di cui al citato art. 34, com- ma 1, del Codice, l’Autorità ha espressamente escluso per consorzi stabili, consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e consorzi tra imprese artigiane, la possibilità di assumere la veste di consorziati all’interno della compagine di un consorzio stabile (34), stante l’assoluta identità del- la ratio, non può che giungersi alla medesima con- clusione anche per le reti dotate di personalità giu- ridica.
Nonostante le citate pronunzie dell’Autorità risul- tino piuttosto risalenti nel tempo, invero, sul pun- to non sono sin qui emersi mutamenti di indirizzo da parte della stessa Autorità, né tantomeno prese di posizione difformi da parte della giurisprudenza amministrativa.
Stando così le cose, pare potersi dunque escludere la possibilità di operare una diversa e più estensiva interpretazione dell’art. 34, comma 1, lett. c), del Codice, tale da consentire ai consorzi stabili, così come alle reti dotate di personalità giuridica, l’ade- sione ad un consorzio stabile di “secondo livello”. A diverse conclusioni pare doversi invece perveni- re con riguardo alla seconda ipotesi, e cioè alla par- tecipazione della rete dotata di personalità giuridi- ca alla figura generale del consorzio ordinario di concorrenti, costituito ai sensi degli artt. 2602 ss. c.c.
Tali consorzi ordinari sono anch’essi menzionati dall’art. 34 del Codice nel novero dell’elenco dei possibili soggetti ai quali possono essere affidati
(30) Attualmente, infatti, è in fase di discussione in Parla- mento il disegno di legge n. 1678 che delega al Governo l’at- tuazione della Dir. 2014/24/UE in parola.
(31) Costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile, tra imprenditori indivi- duali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro.
(32) Costituiti a norma della L. 25 giugno 1909, n. 422, e del Decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 di- cembre 1947, n. 1577 e successive modificazioni.
(33) Costituiti e disciplinati dalla L. 8 agosto 1985, n. 443.
(34) Cfr. A.V.C.P., determinazione 14 maggio 2003, n. 93 e determinazione 9 giugno 2004, n. 11.
pubblici contratti e, pertanto, sono legittimati a partecipare alle procedure di gara.
In particolare, l’art. 34, comma 1 lett. e), qualifica i consorzi ordinari di concorrenti come raggruppa- menti costituiti tra i soggetti di cui alle lett. a), b) e c), e cioè tra gli imprenditori individuali, gli arti- giani, le società commerciali, le società cooperati- ve, i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, i consorzi tra imprese artigiane ed i con- sorzi stabili.
In questo caso, è dunque la stessa disposizione legi- slativa a consentire e a prevedere espressamente che i consorzi ordinari di concorrenti possano esse- re costituiti, a loro volta, da consorziati che rive- stano la qualifica di consorzi stabili e/o di consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e/o di consorzi tra imprese artigiane.
Mentre il rinvio operato dal comma 15 bis dell’art. 37 del Codice, superando ogni eventuale vuoto normativo, consente anche alle reti dotate di per- sonalità giuridica di aderire a consorzi ordinari di concorrenti ex artt. 2602 ss. c.c.
Va, in ogni caso, rilevato che la normativa civili- stica prevista dei citati artt. 2602 ss. c.c. relativa- mente ai consorzi ordinari (che si pone in un rap- porto da genus a species rispetto allo specifico regi- me pubblicistico dei consorzi di cui agli artt. 34, comma 1, lett. e), e 37 del Codice dei Contratti Pubblici) nulla dispone circa la composizione dei consorzi ordinari stessi, né tantomeno vieta ai con- sorzi tra imprese artigiane, ai consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro e/o ai consorzi stabili di assumere la veste di consorziato in un consorzio ordinario di concorrenti.
L’art. 2602 c.c. si limita infatti a statuire che, con il contratto di consorzio, più imprenditori istitui- scono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispet- tive imprese.
In un siffatto contesto normativo, dunque, non paiono sussistere ragioni per escludere dal novero dei soggetti “imprenditori” che possono partecipare ad un consorzio, non soltanto altre strutture con- sortili, ma anche le reti dotate di organizzazione comune e di personalità giuridica.
L’aggregazione di imprese retiste, che abbia rile- vanza esterna ed assuma una soggettività giuridica, è infatti di per sé “imprenditore”, rientrando piena- mente nella generale nozione civilistica definita
dell’art. 2082 c.c. Di talché non si intravvede alcu- na ragione ostativa, di carattere generale, a che ta- le aggregazione, come i consorzi ordinari, partecipi, a propria volta, ad una struttura consortile (35).
Xxxxxxxxxxxx, tale possibilità, secondo la rico- struzione della dottrina civilistica, pare soggetta a due limiti di carattere intrinseco, che si riferiscono all’attività svolta dalle imprese retiste. In particola- re, (i) da una parte, la rete, dotata di personalità giuridica, che partecipa ad un altro consorzio non soltanto deve svolgere un’attività imprenditoriale nella quale sia presente la fase che svolge il consor- zio al quale aderisce, affidando al consorzio proprio lo svolgimento di tale fase, mentre (ii) dall’altra parte, quest’ultima fase non deve coincidere inte- gralmente con quella il cui svolgimento costituisca la ragione stessa dell’esistenza della rete. E ciò, in quanto il soggetto “partecipante” non può trasferire al soggetto “partecipato” l’esercizio della sua intera attività imprenditoriale (36).
In tale prospettiva, ed avuto quindi riguardo tanto alle disposizioni speciali previste dal Codice dei Contratti Pubblici quanto alle generali disposizioni civilistiche, a mio modo di vedere, dunque non può che ritenersi legittima la costituzione, finaliz- zata alla partecipazione ad una procedura di gara per l’affidamento di pubblici lavori, servizi e forni- ture, di consorzi ordinari di concorrenti, a loro vol- ta costituiti (anche) da consorziati che abbiano na- tura di reti dotate di personalità giuridica.
Considerazioni sulla fase di esecuzione dei contratti d’appalto
Alcune annotazioni, infine, con riferimento alla fa- se esecutiva dei contratti d’appalto. Al riguardo, va in primo luogo sottolineato che, in relazione al di- sposto dell’art. 37, comma 5, del Codice, l’offerta dell’aggregazione di imprese retiste che partecipa alla gara determina la responsabilità solidale delle stesse società nei confronti della Stazione Appal- tante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. L’impresa che svolge il ruolo di man- dataria quindi rimane solidalmente responsabile con i soggetti assuntori di lavori scorporabili e, nel caso di servizi e forniture, con i soggetti assuntori di prestazioni secondarie, la cui responsabilità è li- mitata invece all’esecuzione delle prestazioni di ri- spettiva competenza.
(35) Cfr., seppur con riguardo ai consorzi ordinari, Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 248-2012/I, “Consorzi, So- cietà consortili e requisiti soggettivi”.
(36) Cfr. G.D. Xxxxx, I consorzi tra imprenditori, Milano, 1988, 144.
L’Autorità ha invece ritenuto che nessuna respon- sabilità sussista in capo ai soggetti che, seppur sot- toscrittori del contratto di rete, non risultino aver partecipato alla specifica procedura di gara tramite l’aggregazione. Tale affermazione, si badi, è stata espressa dall’Autorità in termini generali e quindi, non soltanto con riguardo all’ipotesi di rete dotata di personalità giuridica.
Ancora, merita di essere segnalata l’ulteriore preci- sazione dell’Autorità, secondo la quale il citato art. 37, comma 5, del Codice deve intendersi quale norma speciale, prevalente su pattuizioni contrat- tuali volte a limitare detta responsabilità nei con- fronti della Stazione Appaltante.
“A valle” della stipulazione del contratto di appal- to, deve quindi ritenersi che l’eventuale recesso o
l’estromissione dal contratto di rete, consentiti solo nei limiti di cui al combinato disposto dei commi 9, 18 e 19 dell’art. 37 del Codice, ovverosia nei so- li casi di fallimento, morte, interdizione, inabilita- zione o nei casi tassativamente previsti dalla nor- mativa antimafia (restando diversamente vietata la modificazione alla composizione delle reti di im- prese rispetto a quanto risultante dall’impegno pre- sentato in sede di offerta), in tutte le rimanenti ipotesi, non possano essere opposti alla Stazione Appaltante. Sicché tali eventuali modificazioni soggettive dell’aggregazione nella rete, al più rile- vanti soltanto nell’ambito dei rapporti interprivati, non valgono ad alterare i vincoli formalizzati nei confronti dell’Amministrazione con la sottoscrizio- ne del contratto d’appalto (37).
(37) In termini, cfr. la determinazione dell’allora Autorità di Xxxxxxxxx sui Contratti Pubblici, oggi A.N.A.C., n. 3 del 23 apri- le 2013.
La nuova disciplina dell’acquisizione sanante, secondo la Xxxxx xxxxxxxxxxxxxx
XXXXX XXXXXXXXXXXXXX, 00 aprile 2015, n. 71 – Pres. Xxxxxxxxx – Red. Zanon
Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 bis del
d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropria- zione per pubblica utilità - Testo A), sollevata, in riferimento agli artt. 42, 111, commi 1 e 2, e 117, comma 1, Cost., dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, in ragione delle significative innovazioni dell’art. 42 bis cit. rispetto al precedente art. 43 del medesimo T.U. espropri, che rendono il meccanismo compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di espropriazioni cosiddette indirette, ed anzi rispondente all’esi- genza di trovare una soluzione definitiva ed equilibrata al fenomeno, attraverso l’adozione di un provvedi- mento formale della pubblica Amministrazione. Tali differenze rispetto al precedente meccanismo acquisitivo consistono, in particolare, nella previsione: del carattere non retroattivo dell’acquisto; della necessaria rinno- vazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’acquisizione attraverso uno stringente obbligo motivazionale; del riconoscimento al proprietario non solo del danno patrimoniale ma anche di quello non patrimoniale; della condizione sospensiva per il passaggio della proprietà data dal paga- mento delle somme dovute; dell’applicazione dell’acquisizione non solo quando manchi del tutto l’atto espro- priativo, ma anche laddove sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, la di- chiarazione di pubblica utilità dell’opera o il decreto di esproprio; infine, della comunicazione del provvedi- mento di acquisizione alla Corte dei conti da parte della medesima autorità che acquisisce.
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo sollevata, in riferimento agli
artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite civili; è inammissibile, per difetto di rilevan- za, la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111, commi 1 e 2, 113 e 117, comma 1, Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione seconda.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Corte cost. n. 384/1990 e n. 188/1995. |
Difforme | Corte cost. n. 293/2010. |
(omissis)
Considerato in diritto
6.2.- È utile partire dalla sommaria descrizione del con- testo, anche giurisprudenziale, nel quale sono stati inse-
6.- Le questioni sollevate dalla Corte di cassazione, se- zioni unite civili, con le ordinanze x.x. x. 89 e n. 90 del 2014, non sono fondate, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. Con riferimento agli artt. 42, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., tali que- stioni non sono fondate nei sensi di cui in motivazione. 6.1.- L’art. 42-bis è stato introdotto nel T.U. sulle espro- priazioni dall’art. 34, comma 1, del decreto-legge 6 lu- glio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizza- zione finanziaria), convertito, con modificazioni, dal- l’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, do- po che questa Corte, con sentenza n. 293 del 2010, ave- va dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell’art. 43 del medesimo T.U. sulle espropria- zioni, che disciplinava un istituto affine.
riti, dapprima l’art. 00, x xxx x’xxx. 00-xxx xxx X.X. sulle espropriazioni.
Come è noto, in presenza di una serie di patologie rile- vabili nei procedimenti amministrativi di espropriazio- ne, la giurisprudenza di legittimità aveva elaborato gli istituti dell’occupazione “appropriativa” ed “usurpativa”. In sintesi, la prima era caratterizzata da una anomalia del procedimento espropriativo, a causa della sua man- cata conclusione con un formale atto ablativo, mentre la seconda era collegata alla trasformazione del fondo di proprietà privata, in assenza di dichiarazione di pubblica utilità. Nel primo caso (a partire dalla sentenza della Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, 26 febbraio 1983, n. 1464), l’acquisto della proprietà conseguiva ad un’inversione della fattispecie civilistica dell’accessione
di cui agli artt. 935 e seguenti c.c., in considerazione della trasformazione irreversibile del fondo. Secondo questa ricostruzione, la destinazione irreversibile del suolo privato illegittimamente occupato comportava l’acquisto a titolo originario, da parte dell’ente pubbli- co, della proprietà del suolo e la contestuale estinzione del diritto di proprietà del privato. La successiva senten- za della Xxxxx xx xxxxxxxxxx, xxxxxxx xxxxx xxxxxx, 00 giu- gno 1988, n. 3940, precisò poi la figura della “occupa- zione acquisitiva”, limitandola al caso in cui si riscon- trasse una valida dichiarazione di pubblica utilità che permetteva di far prevalere l’interesse pubblico su quello privato.
L’“occupazione usurpativa”, invece, non accompagnata da dichiarazione di pubblica utilità, ab initio o per effet- to dell’intervenuto annullamento del relativo atto o per scadenza dei relativi termini, in quanto tale non deter- minava l’effetto acquisitivo a favore della pubblica am- ministrazione.
6.3.- Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni per eccesso di delega, questa Xxxxx (xxxxxxxx x. 000 del 2010) ha rilevato che l’intervento della pubblica amministrazione sulle proce- dure ablatorie, come disciplinato dalla norma da ultimo richiamata, eccedeva gli istituti della occupazione ap- propriativa ed usurpativa, così come delineati dalla giu- risprudenza di legittimità, prevedendo un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa amministrazio- ne che aveva commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato che avesse disposto il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato.
Nella medesima pronuncia, questa Corte aveva, inoltre, prospettato in termini dubitativi la compatibilità del meccanismo di “acquisizione sanante”, per come disci- plinato dalla norma allora impugnata, con la giurispru- denza della Corte di Strasburgo. Quest’ultima, infatti, sia pure incidentalmente, ha più volte osservato che l’e- spropriazione cosiddetta indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assi- curare un sufficiente grado di certezza e permette all’am- ministrazione di utilizzare a proprio vantaggio una situa- zione di fatto derivante da “azioni illegali”. Ciò accade sia allorché tale situazione costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge (con espresso riferimento all’art. 43 del
T.U. sulle espropriazioni), in quanto l’espropriazione in- diretta non può comunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione adottata secondo “buona e debita for- ma” (sentenza 12 gennaio 2006, Sciarrotta e altri con- tro Italia).
6.4.- È dunque opportuno che lo scrutinio della norma censurata nel presente giudizio di legittimità costituzio- nale sia preceduto da un suo raffronto con l’art. 43 del
T.U. sulle espropriazioni, dovendosi, dapprima, stabilire se il nuovo meccanismo acquisitivo risulti disciplinato in modo difforme rispetto a quello previsto dal prece- dente art. 43, e successivamente valutare la consistenza delle censure mosse dalle ordinanze di rimessione.
6.5.- L’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni ha certa- mente reintrodotto la possibilità, per l’amministrazione
che utilizza senza titolo un bene privato per scopi di in- teresse pubblico, di evitarne la restituzione al proprieta- rio (e/o la riduzione in pristino stato), attraverso un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indispo- nibile. Tale atto sostituisce il regolare procedimento ablativo prefigurato dal T.U. sulle espropriazioni, e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la di- chiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di espro- prio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell’in- tero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma.
Come evidenziato dalla difesa erariale, tuttavia, il nuo- vo meccanismo acquisitivo presenta significative diffe- renze rispetto all’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni.
La nuova disposizione, risolvendo un contrasto interpre- tativo insorto in giurisprudenza sull’art. 43 appena cita- to, dispone espressamente che l’acquisto della proprietà del bene da parte della pubblica amministrazione av- venga ex nunc, solo al momento dell’emanazione dell’at- to di acquisizione (ciò che impedisce l’utilizzo dell’isti- tuto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato).
Inoltre, la norma censurata impone uno specifico obbli- go motivazionale “rafforzato” in capo alla pubblica am- ministrazione procedente, che deve indicare le circo- stanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio.
La motivazione, in particolare, deve esibire le “attuali ed eccezionali” ragioni di interesse pubblico che giustifi- xxxx l’emanazione dell’atto, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati, e deve, altresì, evi- denziare l’assenza di ragionevoli alternative alla sua ado- zione.
Ancora, nel computo dell’indennizzo viene fatto rien- trare non solo il danno patrimoniale, ma anche quello non patrimoniale, forfetariamente liquidato nella misu- ra del 10 per cento del valore venale del bene. Ciò co- stituisce sicuramente un ristoro supplementare rispetto alla somma che sarebbe spettata nella vigenza della pre- cedente disciplina.
Il passaggio del diritto di proprietà, inoltre, è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute, da effettuare entro 30 giorni dal provvedimento di acquisizione.
La nuova disciplina si applica non solo quando manchi del tutto l’atto espropriativo, ma anche laddove sia sta- to annullato - o impugnato a tal fine, nel qual caso oc- corre il previo ritiro in autotutela da parte della medesi- ma pubblica amministrazione - l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, oppure la dichiarazio- ne di pubblica utilità dell’opera oppure, ancora, il de- creto di esproprio.
Non è stata più riproposta la cosiddetta acquisizione in via giudiziaria, precedentemente prevista dal comma 3 dell’art. 43, ed in virtù della quale l’acquisizione del be- ne in favore della pubblica amministrazione poteva rea- lizzarsi anche per effetto dell’intervento di una pronun-
cia del giudice amministrativo, volta a paralizzare l’azio- ne restitutoria proposta dal privato.
Non secondaria, nell’economia complessiva del nuovo istituto, è infine la previsione (non presente nel prece- dente art. 43) in base alla quale l’autorità che emana il provvedimento di acquisizione ne dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante tra- smissione di copia integrale.
Si è, dunque, in presenza di un istituto diverso da quello disciplinato dall’art. 43 del T.U. sulle espropriazioni.
Occorre ora esaminare partitamente le censure mosse dalle ordinanze di rimessione, con riferimento ai singoli parametri evocati.
6.6.- La prima censura attiene al supposto contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.
Il parametro di cui all’art. 3 Cost. viene invocato dai giudici rimettenti sotto il duplice versante della viola- zione del principio di eguaglianza - con profili involgen- ti anche la violazione dell’art. 24 Cost., sub specie di compressione del diritto di difesa - e dell’intrinseca irra- gionevolezza della norma impugnata.
La questione non è fondata.
6.6.1.- Quanto al primo versante della questione così posta, i giudici rimettenti rilevano che la norma riserve- rebbe un trattamento privilegiato alla pubblica ammini- strazione rispetto a qualsiasi altro soggetto dell’ordina- mento che abbia commesso un fatto illecito, pur in mancanza di un pregresso effettivo esercizio di funzione amministrativa e, dunque, sulla base della sola qualifica soggettiva dell’autore della condotta.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza costituzionale, la violazione del principio di eguaglianza sussiste solo qualora situazioni sostanzialmente identi- che siano disciplinate in modo ingiustificatamente di- verso, ma non quando alla diversità di disciplina corri- spondano situazioni non assimilabili (ex plurimis, sen- tenza n. 155 del 2014; ordinanze n. 41 del 2009 e n. 109 del 2004), sempre con il limite generale dei princi- pi di proporzionalità e ragionevolezza (sentenza n. 85 del 2013).
Nel caso di specie, i giudici rimettenti omettono di con- siderare che, se pure il presupposto di applicazione della norma sia “l’indebita utilizzazione dell’area” - ossia una situazione creata dalla pubblica amministrazione in ca- renza di potere (per la mancanza di una preventiva di- chiarazione di pubblica utilità dell’opera o per l’annulla- mento o la perdita di efficacia di essa) - tuttavia l’ado- zione dell’atto acquisitivo, con effetti non retroattivi, è certamente espressione di un potere attribuito apposita- mente dalla norma impugnata alla stessa pubblica am- ministrazione. Con l’adozione di tale atto, quest’ultima riprende a muoversi nell’alveo della legalità amministra- tiva, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti, sebbene emersi successiva- mente alla consumazione di un illecito ai danni del pri- vato cittadino.
Sotto questo punto di vista, trascurato dai rimettenti, la situazione appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “[…] la P.A. ha una posizione di
preminenza in base alla Costituzione non in quanto soggetto, ma in quanto esercita potestà specificamente ed esclusivamente attribuitele nelle forme tipiche loro proprie. In altre parole, è protetto non il soggetto, ma la funzione, ed è alle singole manifestazioni della P.A. che è assicurata efficacia per il raggiungimento dei vari fini pubblici ad essa assegnati” (così la sentenza n. 138 del 1981).
Di conseguenza, neppure potrebbe dirsi violato l’art. 24 Cost., come sostengono i rimettenti. Tale norma costi- tuzionale è infatti posta a presidio del diritto alla tutela giurisdizionale (ordinanza n. 32 del 2013), assumendo così una valenza processuale (ordinanze n. 244 del 2009 e n. 180 del 2007).
In particolare, l’art. 24, come pure il successivo art. 113 Cost., enunciano il principio dell’effettività del diritto di difesa, il primo in ambito generale, il secondo con ri- guardo alla tutela contro gli atti della pubblica ammini- strazione, ed entrambi tali parametri sono volti a presi- diare l’adeguatezza degli strumenti processuali posti a di- sposizione dall’ordinamento per la tutela in giudizio dei diritti, operando esclusivamente sul piano processuale (in tal senso, ex plurimis, sentenza n. 20 del 2009).
Ne deriva che la violazione di tale parametro costituzio- nale può considerarsi sussistente solo nei casi di “sostan- ziale impedimento all’esercizio del diritto di azione ga- rantito dall’art. 24 della Costituzione” (sentenza n. 237 del 2007) o di imposizione di oneri tali da compromet- tere irreparabilmente la tutela stessa (ordinanza n. 213 del 2005) e non anche nel caso in cui, come nella spe- cie, la norma censurata non elimini affatto la possibilità di usufruire della tutela giurisdizionale (sentenza n. 85 del 2013). Tale tutela viene bensì parzialmente “confor- mata”, in modo da garantire comunque un serio ristoro economico, prevedendosi l’esclusione delle sole azioni restitutorie; ma queste ultime non sarebbero congrua- mente esperibili rispetto ad un comportamento non più qualificato in termini di illecito.
In definitiva, il diritto alla tutela giurisdizionale, a presi- dio del quale la norma costituzionale invocata è posta (sentenza n. 15 del 2012), non risulta violato dalla di- sposizione censurata.
6.6.2.- Sotto altro aspetto, sempre secondo i giudici ri- mettenti, la violazione del principio di eguaglianza risul- terebbe dal fatto che l’indennizzo previsto dalla norma censurata sarebbe ingiustificatamente inferiore nel con- fronto con l’espropriazione in via ordinaria dello stesso immobile.
In realtà, la norma attribuisce al privato proprietario il diritto ad ottenere il ristoro del danno patrimoniale nel- la misura pari al valore venale del bene (così come ac- cade per l’espropriazione condotta nelle forme ordina- rie), oltre ad una somma a titolo di danno non patrimo- niale, quantificata in misura pari al 10 per cento del va- lore venale del bene. Si è perciò in presenza di un im- porto ulteriore, non previsto per l’espropriazione con- dotta nelle forme ordinarie, determinato direttamente dalla legge, in misura certa e prevedibile. E deve sottoli- nearsi che il privato, in deroga alle regole ordinarie, è in tal caso sollevato dall’onere della relativa prova.
Quanto all’indennità dovuta per il periodo di occupa- zione illegittima antecedente al provvedimento di ac- quisizione, è vero che essa viene determinata in base ad un parametro riduttivo rispetto a quello cui è commisu- rato l’analogo indennizzo per la (legittima) occupazione temporanea dell’immobile, ma il terzo comma della nor- ma impugnata contiene una clausola di salvaguardia, in base alla quale viene fatta salva la prova di una diversa entità del danno.
6.6.3.- Sollecitano i giudici rimettenti un ulteriore va- glio di conformità al principio di eguaglianza, in quanto nel sistema delineato dalla norma censurata il bene pri- vato detenuto sine titulo sarebbe sottoposto in perpetuo al sacrificio dell’espropriazione, mentre nel procedimen- to ordinario di espropriazione l’esposizione al pericolo dell’emanazione del provvedimento acquisitivo è tem- poralmente limitata all’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
La norma impugnata, in effetti, non prevede alcun ter- mine per l’esercizio del potere riconosciuto alla pubblica amministrazione. Ma i rimettenti non hanno preso in considerazione le molteplici soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza amministrativa, per reagire all’inerzia della pubblica amministrazione autrice dell’illecito: a se- conda degli orientamenti, infatti, talvolta è stato posto a carico del proprietario l’onere di esperire il procedi- mento di messa in mora, per poi impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto dell’amministrazione; in altri casi, è stato riconosciuto al giudice amministrativo anche il potere di assegnare all’amministrazione un termine per sceglie- re tra l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42-bis e la restituzione dell’immobile.
È dunque possibile scegliere - tra le molteplici elaborate
- un’interpretazione idonea ad evitare il pregiudizio consistente nell’asserita esposizione in perpetuo al pote- re di acquisizione, senza in alcun modo forzare la lettera della disposizione (per tutte, tra le più recenti, sentenza n. 235 del 2014).
6.6.4.- I rimettenti lamentano, infine, l’intrinseca irra- gionevolezza dell’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazio- ni, con presunta violazione dell’art. 3 Cost. anche sotto questo profilo.
Secondo i giudici rimettenti, in primo luogo, la norma avrebbe trasformato il precedente regime risarcitorio in un indennizzo derivante da atto lecito, che di conse- guenza assumerebbe natura di debito di valuta, non automaticamente soggetto alla rivalutazione monetaria. Lamentano, inoltre, i rimettenti che il ristoro economi- co assicurato resterebbe pur sempre inferiore nel con- fronto con l’espropriazione per le vie ordinarie dello stesso immobile, in quanto: a) ove il fondo abbia desti- nazione edificatoria, non è riconosciuto l’aumento del 10 per cento di cui all’art. 37, comma 2, del T.U. sulle espropriazioni, non richiamato dalla norma impugnata;
b) se il terreno è agricolo, non è applicabile il preceden- te art. 40, comma 1, che impone di tener conto delle colture effettivamente praticate sul fondo e “del valore dei manufatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola”.
È noto che lo scrutinio di ragionevolezza, in ambiti con- notati da un’ampia discrezionalità legislativa, impone alla Corte di verificare che il bilanciamento degli inte- ressi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la com- pressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudi- zio deve svolgersi “attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perse- guire, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” (sentenza n. 1130 del 1988). Xxxxxx, alla luce di tali premesse, anche queste censure non sono fondate.
Quanto a quella relativa alla mutata natura del ristoro, la norma prevede bensì la corresponsione di un inden- nizzo, ma determinato in misura corrispondente al valo- re venale del bene e con riferimento al momento del trasferimento della proprietà di esso, sicché non vengo- no in considerazione somme che necessitano di una ri- valutazione.
Quanto alle restanti censure, è appena il caso di sottoli- neare che l’aumento del 10 per cento previsto dal com- ma 2 dell’art. 37 del T.U. sulle espropriazioni non si ap- plica a tutte le procedure, ma solo nei casi in cui sia sta- to concluso l’accordo di cessione (o quando esso non sia stato concluso per fatto non imputabile all’espropria- to, ovvero perché a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva), senza contare che ai destinatari del provvedimento di acquisi- zione spetta sempre un surplus pari proprio al 10 per cento del valore venale del bene, a titolo di ristoro del danno non patrimoniale.
Va, ancora, considerato che l’inapplicabilità del comma 1 dell’art. 37 del T.U. sulle espropriazioni (pure non ri- chiamato dalla norma censurata per i terreni a vocazio- ne edilizia) esclude anche la riduzione del 25 per cento dell’indennizzo - prevista invece per le espropriazioni le- gittime - imposta quando la vicenda è finalizzata ad at- tuare interventi di riforma economico-sociale.
Infine, i giudici rimettenti - basandosi sul solo dato let- terale e trascurando una visione di sistema - non hanno sperimentato la praticabilità di un’interpretazione che, facendo riferimento genericamente al “valore venale del bene”, consenta di ritenere riconducibili ad esso an- che le somme corrispondenti al valore delle colture ef- fettivamente praticate sul fondo e al valore dei manu- fatti edilizi legittimamente realizzati, anche in relazione all’esercizio dell’azienda agricola, previsti dall’art. 40 del
T.U. sulle espropriazioni.
La stessa obiezione può essere mossa alla censura secon- do cui la norma impugnata non contemplerebbe l’ipote- si di espropriazione parziale e non consentirebbe, per questo motivo, di tener conto della diminuzione di va- lore del fondo residuo, invece indennizzata fin dalla leg- ge 25 giugno 1865, n. 2359, recante “Espropriazioni per causa di utilità pubblica” (art. 40, ora trasfuso nell’art. 33 del T.U. sulle espropriazioni).
6.7.- I giudici rimettenti dubitano della compatibilità della norma censurata con l’art. 42 Cost.
In particolare, ritengono che l’art. 42 Cost. - discipli- nando la potestà espropriativa come avente carattere eccezionale, esercitabile solo nei casi in cui sia la legge a prevederla e nella necessaria ricorrenza di “motivi di interesse generale” - imponga che questi ultimi siano predeterminati dall’amministrazione ed emergano da un apposito procedimento, anteriormente al sacrificio del diritto di proprietà. L’emersione del pubblico interesse, culminante nell’adozione della dichiarazione di pubbli- ca utilità, dovrebbe perciò risultare da una fase prelimi- nare, autonoma e strumentale rispetto al successivo pro- cedimento espropriativo in senso stretto, cioè in un mo- mento in cui sia possibile un’effettiva comparazione tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, al fine di evi- denziare la scelta migliore, quando eventuali ipotesi al- ternative all’espropriazione non siano ostacolate da una situazione fattuale ormai irreversibilmente compromes- sa.
La questione, così posta, non è fondata, nei sensi qui di seguito indicati.
Da una parte, la norma censurata delinea pur sempre una procedura espropriativa, che in quanto tale non può non presentare alcune caratteristiche essenziali. Ma non si deve trascurare, dall’altra parte, che si tratta di una procedura “eccezionale”, che ha necessariamente da confrontarsi con la situazione fattuale chiamata a risol- vere, in cui la previa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sarebbe distonica rispetto ad un’opera pubbli- ca già realizzata. La norma censurata presuppone evi- dentemente una già avvenuta modifica dell’immobile, utilizzato per scopi di pubblica utilità: da questo punto di vista, non è congrua la pretesa che l’adozione del provvedimento di acquisizione consegua all’esito di un procedimento scandito in fasi logicamente e temporal- mente distinte, esattamente come nella procedura espropriativa condotta nelle forme ordinarie.
Si è, invece, in presenza di una procedura espropriativa che, sebbene necessariamente “semplificata” nelle for- me, si presenta “complessa” negli esiti, prevedendosi l’a- dozione di un provvedimento “specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di inte- resse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valuta- te comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”.
L’adozione del provvedimento acquisitivo presuppone, appunto, una valutazione comparata degli interessi in conflitto, qualitativamente diversa da quella tipicamen- te effettuata nel normale procedimento espropriativo. E l’assenza di ragionevoli alternative all’adozione del provvedimento acquisitivo va intesa in senso pregnante, in stretta correlazione con le eccezionali ragioni di inte- resse pubblico richiamate dalla disposizione in esame, da considerare in comparazione con gli interessi del pri- vato proprietario. Non si tratta, soltanto, di valutare ge- nericamente una eccessiva difficoltà od onerosità delle alternative a disposizione dell’amministrazione, secondo un principio già previsto in generale dall’art. 2058 c.c.
Per risultare conforme a Costituzione, l’ampiezza della discrezionalità amministrativa va delimitata alla luce dell’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione si- ne titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, la quale ultima non risulta mutata neppure a se- guito di trasformazione irreversibile del fondo. Ne deri- va che l’adozione dell’atto acquisitivo è consentita esclusivamente allorché costituisca l’extrema ratio per la soddisfazione di “attuali ed eccezionali ragioni di inte- resse pubblico”, come recita lo stesso art. 42-bis del
T.U. delle espropriazioni. Dunque, solo quando siano stati escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i contrapposti interessi privati, altre opzioni, compresa la cessione volontaria mediante atto di compravendita, e non sia ragionevolmente possibile la restituzione, to- tale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà. Soltanto sotto questa luce tornano ad essere valorizzati
- pur in assenza di una preventiva dichiarazione di pub- blica utilità o in caso di suo annullamento o perdita di efficacia - i “motivi di interesse generale” presupposti dall’art. 42 Cost., secondo il quale il diritto di proprietà può essere compresso “sol quando lo esiga il limite della “funzione sociale” […]: funzione sociale, la quale espri- me, accanto alla somma dei poteri attribuiti al proprie- tario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla sod- disfazione di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di proprietà come viene mo- dernamente intesa e come è stata recepita dalla nostra Costituzione” (sentenza n. 108 del 1986).
Soltanto adottando questa prospettiva ermeneutica, l’attribuzione del potere ablatorio (in questa forma ecce- zionale) può essere ritenuta legittima, sulla scia della giurisprudenza costituzionale che impone alla legge or- dinaria di indicare “elementi e criteri idonei a delimita- re chiaramente la discrezionalità dell’Amministrazione” (sentenza n. 38 del 1966).
6.8.- Si lamenta, inoltre, dai giudici rimettenti che l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni violerebbe il princi- pio del giusto procedimento, desumibile dall’art. 97 Cost. Ciò perché il provvedimento acquisitivo consen- tirebbe il trasferimento della proprietà in assenza di una sequenza procedimentale partecipata dal privato. Il principio di legalità dell’azione amministrativa sarebbe leso anche sotto il profilo della tutela giurisdizionale ef- fettiva di cui all’art. 113 Cost.
Anche tale questione non è fondata.
Bisogna, innanzitutto, ricordare che il principio del “giusto procedimento” (in virtù del quale i soggetti pri- vati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, e in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti), non può dirsi assistito in asso- luto da garanzia costituzionale (sentenze n. 312, n. 210 e n. 57 del 1995, n. 103 del 1993 e n. 23 del 1978; ordi-
nanza n. 503 del 1987).
Questa constatazione non sminuisce certo la portata che tale principio ha assunto nel nostro ordinamento, specie dopo l’entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti am-
ministrativi), e successive modifiche, in base alla quale “il destinatario dell’atto deve essere informato dell’avvio del procedimento, avere la possibilità di intervenire a propria difesa, ottenere un provvedimento motivato, adire un giudice” (sentenza n. 104 del 2007).
Del resto, proprio in materia espropriativa, questa Corte ha da tempo affermato che i privati interessati devono essere messi “in condizioni di esporre le proprie ragioni sia a tutela del proprio interesse, sia a titolo di collabo- razione nell’interesse pubblico” (sentenza n. 13 del 1962; sentenze n. 344 del 1990, n. 143 del 1989 e n.
151 del 1986).
Per parte sua, il provvedimento disciplinato dalla norma in esame non potrebbe, innanzitutto, sottrarsi all’appli- cazione delle ricordate, generali, regole di partecipazio- ne del privato al procedimento amministrativo, come, infatti, è riconosciuto dalla giurisprudenza amministrati- va, che impone la previa comunicazione di avvio del procedimento.
Ma, soprattutto, in virtù della effettiva comparazione degli interessi contrapposti richiesta dalla norma in questione, il privato sarà ulteriormente sempre posto in grado di accentuare il proprio ruolo partecipativo, even- tualmente facendo valere l’esistenza delle “ragionevoli alternative” all’adozione dell’annunciato provvedimento acquisitivo, prima fra tutte la restituzione del bene.
6.9.- I giudici rimettenti dubitano, ancora, della confor- mità della norma impugnata all’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la norma sarebbe in contrasto con i principi della CEDU, secondo l’interpretazione fornita- ne dalla Corte di Strasburgo, sotto due distinti profili.
In primo luogo, l’art. 42-bis violerebbe la norma inter- posta di cui all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, rispetto al quale il fenomeno delle cosiddet- te “espropriazioni indirette” si porrebbe “in radicale contrasto”.
In secondo luogo, l’art. 42-bis violerebbe la norma in- terposta di cui all’art. 6 CEDU, avendo la Corte EDU ripetutamente considerato lecita l’applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti soltanto in presenza di “ragioni imperative di interesse generale”.
La norma risulterebbe anche in contrasto con l’art. 111, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui, di- sponendo la propria applicabilità ai giudizi in corso, vio- lerebbe i principi del giusto processo, con particolare ri- ferimento alla condizione di parità delle parti davanti al giudice.
6.9.1.- Le doglianze possono essere esaminate congiun- tamente, per concludere nel senso della loro infondatez- za, nei sensi della motivazione che segue, per le ragioni già esposte, sia pur in relazione al diverso parametro di cui all’art. 42 Cost., al precedente punto 6.7.
È vero, infatti, che la norma trova applicazione anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, per i quali siano pendenti processi, ed anche se vi sia già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato. Ma è anche vero che questa previsione ri- sponde alla stessa esigenza primaria sottesa all’introdu- zione del nuovo istituto (così come del precedente art. 43): quella di eliminare definitivamente il fenomeno
delle “espropriazioni indirette”, che aveva fatto emerge- re quella che la Corte EDU (nella sentenza 6 marzo 2007, Scordino contro Italia) aveva definito una “défail- lance structurelle”, in contrasto con l’art. 1 del Primo Protocollo allegato alla CEDU.
Né si deve trascurare che con l’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazioni - come peraltro già accadeva con il pre- cedente art. 43 - l’acquisto della proprietà da parte della pubblica amministrazione non è più legato ad un accer- tamento in sede giudiziale, connotato, come tale, da margini di imprevedibilità criticamente evidenziati dalla Corte EDU. Soprattutto, come già rilevato (supra punto 6.5), rispetto al precedente art. 43, l’art. 42-bis contiene significative innovazioni, che rendono il meccanismo compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di espropriazioni cosiddette indirette, ed anzi ri- spondente all’esigenza di trovare una soluzione definiti- va ed equilibrata al fenomeno, attraverso l’adozione di un provvedimento formale della pubblica amministra- zione.
Le differenze rispetto al precedente meccanismo acquisi-
tivo consistono nel carattere non retroattivo dell’acqui- sto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato), nella necessaria rinnovazione della va- lutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubbli- co a disporre l’acquisizione e, infine, nello stringente obbligo motivazionale che circonda l’adozione del prov- vedimento.
Anche alla luce dell’asserita violazione degli artt. 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., questo obbligo motivazionale, in base alla significativa previsione normativa, che richiede “l’assenza di ragione- voli alternative alla sua adozione”, deve essere interpre- tato, come già chiarito al punto 6.7., nel senso che l’a- dozione dell’atto è consentita - una volta escluse, all’esi- to di una effettiva comparazione con i contrapposti in- teressi privati, altre opzioni, compresa la cessione vo- lontaria mediante atto di compravendita - solo quando non sia ragionevolmente possibile la restituzione, totale o parziale, del bene, previa riduzione in pristino, al pri- vato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà.
Solo se così interpretata la norma consente infatti:
- di riconoscere, per le situazioni prodottesi prima della sua entrata in vigore, l’esistenza di “imperativi motivi di interesse generale” legittimanti l’applicazione dello ius superveniens in cause già pendenti. Tali motivi consisto- no nell’ineludibile esigenza di eliminare una situazione di deficit strutturale, stigmatizzata dalla Corte EDU;
- di prefigurare, per le situazioni successive alla sua en- trata in vigore, l’applicazione della norma come extrema ratio, escludendo che essa possa costituire una semplice alternativa ad una procedura espropriativa condotta “in buona e debita forma”, come imposto, ancora una volta, dalla giurisprudenza della Corte EDU;
- di considerare rispettata la condizione, posta dalla stessa Corte EDU nella citata sentenza Xxxxxxxx del 6 marzo 2007, secondo cui lo Stato italiano avrebbe do- vuto “sopprimere gli ostacoli giuridici che impediscono
la restituzione del terreno sistematicamente e per prin- cipio”;
- di impedire alla pubblica amministrazione - ancora una volta in coerenza con le raccomandazioni della Corte EDU - di trarre vantaggio dalla situazione di fatto da essa stessa determinata;
- di escludere il rischio di arbitrarietà o imprevedibilità delle decisioni amministrative in danno degli interessa- ti.
Va, infine, valorizzata nella giusta misura la previsione del comma 7 dell’art. 42-bis del T.U. sulle espropriazio- ni, in base alla quale “[l]’autorità che emana il provve-
dimento di acquisizione […] ne dà comunicazione, en- tro trenta giorni, alla Corte dei conti”. Questo richiamo alle possibili conseguenze per i funzionari che, nel corso della vicenda espropriativa, si siano discostati dalle re- gole di diligenza previste dall’ordinamento risponde, in- fatti, ad un invito della stessa Corte EDU (sempre sen- tenza 6 marzo 2007, Xxxxxxxx contro Italia), secondo cui “lo Stato convenuto dovrebbe scoraggiare le prati- che non conformi alle norme degli espropri in buona e dovuta forma, adottando misure dissuasive e cercando di individuare le responsabilità degli autori di tali prati- che”.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxxxx ed Xxxx Xxxxxx (*)
La sentenza in commento costituisce un ulteriore arresto nello sforzo di rendere l’ordinamento nazionale conforme ai richiami della Corte di Strasburgo in materia di occupazione senza titolo da parte della P.A. di un bene privato, a cinque anni di distanza dalla decisione n. 293/2010 che, contrariamente a quanto oggi deciso dalla Consulta, aveva lasciato intendere che vi fossero le- gittimi dubbi sulla compatibilità dell’acquisizione sanante con la Cedu. L’analisi si rivolge ai rap- porti con la giurisprudenza europea, in particolare sotto il profilo del principio di legalità e della sussistenza dei motivi di interesse generale a fondamento dell’acquisizione da parte dell’Ammi- nistrazione, nonché, da un punto di vista più pratico, alla valutazione dei riflessi della decisione in commento sulla quantificazione degli importi dovuti al proprietario e sui rapporti con gli altri strumenti di tutela ad esso concessi; per rilevare, infine, che la sentenza offre solo in parte argo- menti utili a far ritenere che nella prassi amministrativa e giurisprudenziale l’art. 42 bis possa ef- fettivamente dirsi conforme alle indicazioni di Strasburgo, sicché rimane l’esigenza che la giuri- sprudenza prosegua nello sforzo di rendere il diritto vivente concretamente idoneo a rispondere ai richiami del giudice sovranazionale.
Una decisione non scontata
Con la sentenza in commento la Corte costitu- zionale ha rigettato le questioni di legittimità costi- tuzionale sull’art. 00 xxx xxx X.X. sull’espropriazione per pubblica utilità (introdotto dall’art. 34, comma 1, D.L. n. 98/2011, conv. con modificazioni dal- l’art. 1, comma 1, L. n. 111/2011), sollevate dalle Sezioni Unite Civile della Corte di cassazione con due ordinanze (nn. 441, 442 del 2014), condivise, ed in pratica replicate, dalla Sez. II del T.A.R. La- zio (ordinanze nn. 4864 e 5979 del 2014).
Il percorso, giurisprudenziale e legislativo, che ha condotto alla norma posta al vaglio della Con-
xxxxx, è già stato molte volte illustrato e studia- to (1); nel presente lavoro, pertanto, non si riper- correranno analiticamente le varie tappe di tale sviluppo, salvo richiamare alcuni passaggi partico- larmente utili ad inquadrare la portata della deci- sione in commento.
Oggi la sentenza in commento concorre, almeno nelle intenzioni, alla stabilizzazione di questa disci- plina, intesa a risolvere l’annosa vicenda delle cd. espropriazioni indirette, in termini che, secondo la Consulta, non solo resistono ai dubbi di costituzio- nalità prospettati, ma consentono altresì di supera- re le critiche poste della Corte Edu al sistema pre-
(*) Il lavoro è frutto della riflessione comune degli autori; il primo e l’ultimo paragrafo sono stati scritti da Xxxx Xxxxxx, gli altri da Xxxxxxxx Xxxxxxx.
(1) V., per una recente sintesi, X. Xxxxxxxx, Dall’incostituzio- nalità dell’art. 43 t.u. espropriazioni alla possibile incostituzionali- tà dell’art. 42 bis t.u. espropriazioni: la storia (infinita?), in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 5-6/2014.
Sul dichiarato fine, con l’introduzione dell’acquisizione sa-
nante, di allineare l’ordinamento alle indicazioni della Corte di Strasburgo v. Cons. Stato, Ad. Plen. n. 2/2005; Cons. Stato sent. n. 5830/2007 che considera l’art. 43 del T.U. espropri co- me “via legale di uscita alle diffuse e risalenti situazioni di ille- galità che si sono stratificate nel corso del tempo”. Cfr., inoltre,
X. Xxxxxxx Xxxxxx, Prime impressioni a margine della sentenza del- la Corte Costituzionale n. 293 del 2010, in tema di espropriazio- ne indiretta, in Xxxxxxxxxxx.xx, n. 19/2010.
vigente, già severamente descritto in termini di “défaillance structurelle” per quanto riguarda il ri- spetto dell’art. 1 del primo protocollo allegato alla Cedu (2).
Prima di entrare nel merito di queste valutazio- ni, va detto subito che la decisione in commento non era scontata, vista l’autorevolezza del giudice remittente e posto che già in precedenza, se un’al- tra giurisdizione superiore quale il Consiglio di Sta- to aveva ritenuto di escludere dubbi di costituzio- nalità (3), la dottrina non aveva mancato di espor- re dubbi sulla legittimità dell’art. 42 bis cit. e più in generale aveva ritenuto di poter rinvenire un precedente in senso opposto nella precedente deci- sione n. 293/2010, con la quale la Corte costituzio- nale aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 43 del
T.U. espropri.
Quest’ultima disposizione era stata dichiarata il- legittima per eccesso di delega rilevante ex art. 76 Cost., ma con un significativo obiter, in quanto la Consulta aveva affermato un “legittimo dubbio quanto alla idoneità della scelta realizzata con la norma di garantire il rispetto dei principi della CE- DU” sul rilievo che la Corte Edu “ha precisato che l’espropriazione indiretta si pone in violazione del principio di legalità, perché non è in grado di assi- curare un sufficiente grado di certezza e permette all’Amministrazione di utilizzare a proprio vantag- gio una situazione di fatto derivante da ‘azioni ille- gali’, e ciò sia allorché essa costituisca conseguenza di un’interpretazione giurisprudenziale, sia allorché derivi da una legge - con espresso riferimento al- l’articolo 43 del t.u. qui censurato -, in quanto tale forma di espropriazione non può comunque costi- tuire un’alternativa ad un’espropriazione adottata secondo ‘buona e debita forma’” sicché “non è af- fatto sicuro che la mera trasposizione in legge di un istituto, in astratto suscettibile di perpetuare le stesse negative conseguenze dell’espropriazione in- diretta, sia sufficiente di per sé a risolvere il grave vulnus al principio di legalità” (4).
Ora, invece, la decisione della Consulta con-
traddice queste previsioni, e peraltro, come meglio si vedrà nel seguito delle presenti note, non sembra soddisfare pienamente le aspettative di quanti ave-
vano scorto nelle ordinanze di rimessione l’occasio- ne per una chiara definizione del rapporto fra Co- stituzione e Cedu nella disciplina della privazione della proprietà mediante l’espropriazione sostanzia- le: questo perché da un lato, non appare approfon- dito in termini adeguati il tema più spinoso per la compatibilità dell’ordinamento italiano con la Ce- du, ovverosia il rispetto del principio di legalità, e dall’altro sul piano più strettamente pratico, la de- cisione offre solo in parte, e con una certa timidez- za, argomenti utili a far ritenere che nella prassi amministrativa e giurisprudenziale l’art. 00 xxx xxx- xx effettivamente operare come disposizione idonea a “scoraggiare le pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona a dovuta forma”, secondo l’esigenza espressa dalla Corte EDU nella sentenza Scordino del 6 marzo 2007 che pure la sentenza in commento richiama al termine della sua motiva- zione.
Di seguito, premesse alcune osservazioni sugli obblighi posti allo Stato italiano dalla Corte EDU (par. 2) e sulla soluzione adottata dalla Consulta (par. 3), si valuterà la decisione in commento in relazione al principio di legalità (par. 4) ed alla sussistenza dei motivi di interesse generale a fonda- mento dell’acquisizione (par. 5); infine, l’ultima parte del lavoro (par. 6) sarà dedicata a valutare quali riflessi possa avere la decisione in commento sulla quantificazione degli importi dovuti al pro- prietario e sui rapporti con gli altri strumenti di tu- tela ad esso concessi.
Gli obiettivi di matrice sovranazionale
Il tema dell’occupazione senza titolo di un bene privato da parte della p.a. è stato oggetto negli ulti- mi 15 anni di numerose pronunce della Corte eu- ropea di Strasburgo (a partire dai noti casi Carbo- nara e Ventura c. Italia, e Belvedere Alberghiera
S.r.l. c. Italia, entrambe del 2000) nonché dell’at- tenzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
È noto che la Corte di Strasburgo, in ragione del principio di effettività che anima l’intera Conven- zione (5), riferisce la tutela approntata dall’art. 1
(2) X. Xxxxx XXX, 0 marzo 2007, Scordino c. Italia, par. 15.
(3) Cons. Stato, Sez. VI, n. 1438/2012.
(4) V. sulla “oggettiva debolezza” della sentenza n. 1438/2012 del Consiglio di Stato, X. Xxxxxxx, L’art. 00 xxx xxx xxx 0 xxxxxx 0000, x. 000: la manifesta infondatezza della que- stione di legittimità costituzionale nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 15 marzo 2012, n. 1438, in Xxx. xxxx. xxxxxxxx, 0, 0000, 000 xx.
Xxxxx xxxxxxxx n. 293/2010 della Corte cost. come chiaro sintomo dell’orientamento della Consulta per l’illegittimità an-
che dal punto di vista sostanziale del meccanismo legislativo dell’acquisizione sanante X. Xxxxxxxxxxx, “Seguito” delle sen- tenze CEDU e opportunismi legislativi, in Forum di Quaderni Co- stituzionali, 25/2/2011, 2; critico nei confronti della riproposizio- ne da parte del legislatore dell’acquisizione sanante dopo la sentenza del 2010 della Consulta anche G.M. Marenghi, La nuova disciplina dell’acquisizione sanante, in Giorn. dir. amm., 12, 2011, spec. 1360.
(5) Cfr. X. Xx Xxxxxx, Alcune riflessioni in tema di interpreta- zione del diritto al rispetto dei beni nella giurisprudenza della
del Prot. n. 1 alla Cedu ad una nozione di proprie- tà autonoma rispetto a quella degli ordinamenti delle Alte Parti contraenti, facendo rientrare nel concetto di “privazione della proprietà” di cui al secondo periodo del comma 1 dell’art. 1 cit., oltre alle misure individuali di espropriazione in senso proprio, anche altre situazioni nelle quali non vi è uno spossessamento o un’espropriazione formale, quale l’occupazione acquisitiva, elaborata dalla giu- risprudenza italiana a partire dalla nota sentenza n. 1464 del 1983 delle S.U. e di cui l’art. 42 bis è di- retto discendente.
In aderenza al citato parametro convenzionale, l’ingerenza che l’acquisto del bene da parte della
p.a. produce sul diritto dell’individuo deve quindi essere non solo giustificata da una “causa di pubbli- ca utilità” e disposta “nelle condizioni previste dal- la legge e dai princìpi generali del diritto interna- zionale”, ma deve altresì garantire il “giusto equili- brio” fra le esigenze dell’interesse generale della co- munità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, che può dirsi assicura- to, secondo quanto insegnato dalla Corte di Stra- sburgo, solo se l’ingerenza rispetti il principio di le- galità e non sia arbitraria, posto che la Convenzio- ne vuole che solo una misura secondo diritto possa altresì essere capace di perseguire la pubblica utili- tà (6).
Proprio il mancato rispetto del principio di lega- lità veicolato dalla Convenzione è stato accertato dalla Corte europea quale motivo di violazione del- la Cedu da parte del meccanismo di espropriazione illegittima posto in essere dalle autorità italiane se- condo il paradigma giurisprudenziale dell’occupa- zione acquisitiva e usurpativa: le sue applicazioni contraddittorie nella giurisprudenza nazionale e la possibilità per il privato di ottenere concreto risto- ro del pregiudizio subito solo agendo giudizialmen- te (ed entro un termine di prescrizione non chiara- mente individuato dalla giurisprudenza), di modo che la sicurezza giuridica per il proprietario si pro- duceva solo con la constatazione di illegalità da parte del giudice e non con un atto formale che di-
chiarasse il trasferimento della proprietà contestual- mente alla trasformazione del bene, conducevano ad un risultato imprevedibile o arbitrario capace di privare gli interessati di una protezione efficace dei loro diritti, risolvendosi, in sintesi, nella assenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibi- li, precise e prevedibili nell’applicazione, la cui esi- stenza dà invece dimensione concreta al principio di legalità (7).
Ma anche l’entrata in vigore del meccanismo dell’acquisizione sanante disegnato dall’art. 43 del
T.U. espropri non è sembrato risolvere la proble- matica del rispetto del principio di legalità conven- zionale (8): benché l’art. 43 sia stato valutato dal Comitato dei ministri come un passo avanti per ri- durre a conformità con la Convenzione il sistema dell’espropriazione indiretta, pur rilevando la ne- cessità di portare a più ampi sviluppi gli sforzi dello Stato italiano per garantire il requisito della legali- tà richiesto dalla Cedu (v. R isoluzione CM/ResDH(2007)3 del 14 febbraio 2007, richia- mata dalla citata decisione del Consiglio di Stato
n. 1438/2012 per sostenere la manifesta infonda- tezza dei dubbi di legittimità dell’art. 42 bis), infat- ti, la Corte EDU ha continuato nella sua disposi- zione fortemente critica nei confronti del meccani- smo in parola.
Dapprima con la decisione Scordino (n. 3) (9) la Corte EDU ha rilevato che l’esistenza in quanto tale di una base legale non è sufficiente a garantire il rispetto del principio di legalità, dovendosi piut- tosto considerare la questione della “qualité de la loi”; per questo, nonostante la trasposizione norma- tiva dell’espropriazione indiretta, la Corte ha espresso preoccupazione per le contraddizioni an- cora vive nella giurisprudenza e nella legislazione nazionale, ritenendo di non poter escludere che permanesse un rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per gli interessati, posto che il mecca- nismo dell’espropriazione indiretta permette in ge- nerale all’Amministrazione di occupare un terreno e trasformarlo irreversibilmente senza che conte- stualmente vi sia un provvedimento formale che di-
Commissione e della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Xxx. xxx. xxx. xxxx, 0000, 000.
(6) X. Xxxxx XXX, 00 marzo 1999, Iatridis c. Grecia, spec. par. 58.
(7) V. per un’ampia illustrazione delle condizioni che il dirit- to nazionale deve osservare per essere rispettoso del principio di legalità Corte EDU, 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito (v. spec. par. 49). Cfr., inoltre, con specifico riguardo al- l’art. 1 del Prot. n. 1, Corte EDU, 8 luglio 1986, Xxxxxxx e altri
c. Regno Unito (par. 110), seguita da numerose decisioni suc- cessive.
(8) Sull’orientamento adottato dalle istituzioni di Strasburgo
nei confronti dell’art. 43 del T.U. sull’espropriazione cfr., am- piamente, X. Xxxxx, Diritto di proprietà e Cedu. Itinerari giuri- sprudenziali europei. Viaggio fra Carte e Xxxxx alla ricerca di un nuovo statuto proprietario, Xxxxxx, Xxxx, 0000, 145 ss.
(9) Corte EDU, 17 maggio 2005, Scordino c. Italia (n. 3); le criticità del cit. art. 43 del T.U. in materia di espropriazione so- no evidenziate, inoltre, nella coeva sentenza 17 maggio 2005, Pasculli c. Italia, nonché nella di poco successiva sentenza 19 maggio 2005, Acciardi e Campagna c. Italia. Cfr., altresì, tra i tanti, i casi Binotti c. Italia del 17 novembre 2005 e De Sciscio
c. Italia del 20 aprile 2006.
chiari il trasferimento della proprietà e così di pas- sare oltre le regole fissate in materia di espropria- zione.
Poi, ha puntualizzato che alla luce del principio di legalità all’Amministrazione non è consentito avvantaggiarsi ex post di una situazione illecita da essa stessa creata (10) e quindi confermato che l’e- spropriazione indiretta “en vertu d’un principe juri- sprudentiel ou d’un texte de loi comme l’article 43 du Répertoire [t.u. espropri]” non può rappresentare “une alternative à une expropriation en bonne et due forme” (11). Peraltro, ad avviso della Corte di Stra- sburgo la legittimità dell’espropriazione indiretta non può ridursi al discorso attorno al ristoro eco- nomico riconosciuto al proprietario: la Corte, in- fatti, “n’estime pas opportun de fonder son raisonne- ment sur le simple constat qu’une réparation intégrale en faveur des requérants n’a pas eu lieu” e così, a contrario, la corresponsione del ristoro integrale al proprietario non sembra potersi considerare di per sé idonea a sorreggere la legittimità della misura, confermando che non solo l’esistenza di una ragio- ne di pubblica utilità ma neppure la previsione di un indennizzo integrale per il proprietario sono di per sé sufficienti a far ritenere la legittimità del meccanismo in parola.
Sempre nel caso Scordino (n. 3), poi, la Corte ha adottato - significativamente - una sentenza c.d. pilota, con la quale la Corte rileva l’esistenza di un problema strutturale suscettibile di dare luogo a ri- corsi analoghi (nella specie la sistematica violazio- ne del principio di legalità e del diritto al rispetto dei beni) e, pur nel formale rispetto della discrezio- nalità degli Stati, indica le misure più appropriate da adottarsi per ricondurre il sistema alla legalità convenzionale (12), tanto al piano della normazio- ne tanto al piano della prassi amministrativa. Ap- plicando l’art. 46 della Cedu, quindi, la Corte ha affermato la necessità di misure generali a livello nazionale che devono includere (ma, come visto, non esaurirsi in) un meccanismo capace di offrire
ai proprietari un adeguato risarcimento per la vio- lazione del loro diritto ed allo Stato italiano è così stato posto l’obbligo di:
a) prendere misure che abbiano l’obiettivo di evitare qualsiasi occupazione non a norma di terre- ni, sia che si tratti di occupazione sine titulo fin dal- l’inizio, ovvero che si tratti di occupazione inizial- mente autorizzata e diventata successivamente sine titulo;
b) autorizzare l’occupazione di un terreno soltan- to quando è accertato che il progetto e le decisioni di esproprio sono stati approvati nel rispetto delle norme fissate e che essi sono dotati di una linea fi- nanziaria che possa garantire un indennizzo rapido e adeguato dell’interessato;
c) scoraggiare le pratiche non conformi alle nor- me degli espropri in buona e dovuta forma, adot- tando misure dissuasive e cercando di individuare le responsabilità degli autori di tali pratiche;
d) infine, per tutti i casi in cui un terreno è già stato oggetto di occupazione sine titulo ed è stato trasformato senza il decreto di esproprio, sopprime- re gli ostacoli giuridici che impediscono la restitu- zione del terreno sistematicamente e per principio; mentre quando la restituzione di un terreno risulta impossibile per motivi plausibili in concreto, lo Stato deve garantire il pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe la restituzio- ne in natura.
Queste indicazioni costituiscono un punto di ri- ferimento ineludibile per valutare i rimedi posti in essere dal legislatore italiano per i casi di occupa- zione senza titolo di un bene da parte dell’autorità pubblica, giacché si trova ivi esposto lo svolgimen- to concreto dell’obbligo di rispettare i diritti del- l’uomo di cui all’art. 1 Cedu e mediato dall’art. 117, comma 1, Cost., che si compone tanto del- l’obbligo di porre fine alle eventuali violazioni già in essere dei diritti, quanto dell’impegno a model- lare un diritto nazionale compatibile con la Con- venzione (13); e tale obbligo di compatibilità si ri-
(10) V., fra le tante, Xxxxx XXX, 00 xxxxxxx 0000, Xxxxxx x. Xxxxxx; 22 dicembre 2009 Guiso-Gallisay c. Italia.
(11) Corte EDU, 8 dicembre 2005, Guiso-Gallisay c. Italia; sulla quale, cfr., diffusamente, X. Xxxxx, op. cit., 117 ss.
(12) Con tale tipo di decisioni la Corte europea impartisce una sorta di direttiva da attuare che determina un “vincolo conformativo” a carico dello Stato secondo C. Xxxxxxxxx, Vincoli di conformazione per gli ordinamenti nazionali nelle pronunce della Corte EDU: i casi italiani della revisione penale e dell’inden- nità di esproprio, in All’incrocio tra Costituzione e CEDU. Il rango delle norme della Convenzione e l’efficacia interna delle senten- ze di Strasburgo, a cura di X. Xxx - X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxx, Torino, 2007, 79-80.
Da ultimo, cfr. X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxx xxxx. x. 00 del 2015, giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, art. 117
Cost., obblighi derivanti dalla ratifica della Convenzione, in Os- servatorio costituzionale, maggio 2015, 6, secondo il quale le cd. sentenze pilota non hanno di per sé una particolare forza vincolante maggiore delle altre decisioni della Corte europea: si noti, tuttavia, che ciò che le distingue dalle altre decisioni non è il grado della loro vincolatività ma il fatto che esse rileva- no l’esistenza di un problema strutturale a fronte del quale la Corte indica allo Stato le misure riparatorie che “deve prendere a livello interno in applicazione del dispositivo della sentenza” (art. 61, par. 3, Regolamento della Corte), svolgendo il dovere degli Stati di evitare violazioni della Convenzione ed in vista del successivo controllo sull’esecuzione ex art. 46 Cedu da parte anche del Comitato dei Ministri.
(13) Ciò che può vedersi in coerenza con la ricostruzione dell’obbligo di rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi inter-
volge allo Stato nelle sue articolazioni, a ciascuna delle quali spetta l’onere di darvi effettiva realizza- zione nell’ambito delle rispettive competenze, compresa, quindi, la Corte costituzionale stes- sa (14).
La diversità dell’art. 42 bis rispetto al precedente art. 43 del T.U. espropri
Si spiega quindi, a fronte di tale pesante pregres- so, perché la sentenza in commento fondi il ragio- namento che conduce al rigetto delle questioni sol- levate sull’art. 42 bis sul presupposto della ritenuta diversità dell’art. 42 bis dal precedente art. 43 del medesimo T.U. espropri, diversità ravvisata dalla Consulta, “nel carattere non retroattivo dell’acqui- sto (ciò che impedisce l’utilizzo dell’istituto in pre- senza di un giudicato che abbia già disposto la re- stituzione del bene al privato) (15), nella necessa- ria rinnovazione della valutazione di attualità e prevalenza dell’interesse pubblico a disporre l’ac- quisizione e, infine, nello stringente obbligo moti- vazionale che circonda l’adozione del provvedi- mento” da intendersi nel senso che “l’adozione del- l’atto è consentita una volta escluse, all’esito di una effettiva comparazione con i contrapposti inte- ressi privati, altre opzioni, compresa la cessione vo- lontaria mediante atto di compravendita solo quando non sia ragionevolmente possibile la resti- tuzione, totale o parziale, del bene, previa riduzio- ne in pristino, al privato illecitamente inciso nel suo diritto di proprietà”. Al medesimo fine la Cor- te costituzionale considera, poi, l’obbligo per l’au- torità che emana il provvedimento di acquisizione di darne comunicazione alla Corte dei conti come risposta coerente al già citato invito Corte EDU (sempre sentenza 6 marzo 2007, Xxxxxxxx (n. 3) contro Italia), secondo cui “lo Stato convenuto do- vrebbe scoraggiare le pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona e dovuta forma,
adottando misure dissuasive e cercando di indivi- duare le responsabilità degli autori di tali prati- che”.
La legalità dell’acquisizione sanante
Si è anticipato che nella sentenza in commento non appare approfondito il tema più spinoso per la compatibilità dell’ordinamento italiano con la Ce- du, ovverosia il rispetto del principio di legalità.
La sentenza in commento in effetti evita di af- frontare ex professo la problematica della legalità del meccanismo acquisitivo istituito dall’art. 42 bis cit., e tuttavia ne afferma un’interpretazione che le consente ad avviso del giudicante di ritenerlo “compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di espropriazioni cosiddette indi- rette” in ragione delle differenze già sopra eviden- ziate rispetto al precedente art. 43 del d.P.R. n. 327/2001.
Più in particolare, la pronuncia in commento ri- tiene non fondata la q.l.c. sollevata dai rimettenti, senza negare che il potere acquisitivo attribuito dall’art. 42 bis alla P.A. costituisca un privilegio, che però deve ritenersi legittimo, ad avviso della Corte, perché espressamente previsto dalla legge e da questa attribuito in ragione della funzione eser- citatae non della natura pubblica in sé della P.A. come soggetto: la funzione così esercitata sarebbe allora meritevole di tutela privilegiata in quanto ri- volta a soddisfare scopi di pubblica utilità, sicché non è possibile comparare tale situazione con quel- la del privato parimenti autore della illecita occu- pazione e trasformazione del bene altrui, in appli- cazione del noto principio secondo cui non vi è violazione del canone costituzionale di eguaglianza se situazioni sostanzialmente differenti vengono di- sciplinate in modo diverso nel rispetto della pro- porzionalità e ragionevolezza (16).
nazionali ex art. 117, comma 1, Cost. nei termini di “condizio- ne sostanziale di validità” delle fonti nazionali, sulla quale sia consentito rinviare a X. Xxxxxxx - X. X’Xxxx, Il principio interna- zionalista nel sistema delle fonti e nei rapporti tra le Carte, in Corti costituzionali e Corti europee dopo il Trattato di Lisbona, a cura di X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Napoli, 2010, 220-221.
(14) Sottolinea, da ultimo, X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxx xxxx. x. 00 del 2015, cit., 6, che sia il legislatore, sia il giudice ordinario, sia la Corte costituzionale devono evitare di esporre lo Stato a responsabilità internazionale con decisioni interne che xxxxxxxx o forzino l’orientamento interpretativo della Corte europea.
(15) Invero tale profilo non risulta ad oggi oggetto di unani- me giurisprudenza, sicché tale incerto presupposto del ragio- namento della Corte pare semmai da leggersi quale indicazio- ne coerente con la natura interpretativa di rigetto della decisio- ne: v., infatti, in un senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 8 giu- gno 2012, n. 1462, ove si legge che l’art. 42 bis cit. “non rego-
la più, invece, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di con- danna del giudice e successiva attività dell’Amministrazione, sicché ove il giudice, in applicazione dei principi generali, con- danni l’Amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato elide irrimediabilmente il potere sanante dell’Am- ministrazione (salva ovviamente l’autonoma volontà transatti- va delle parti) con conseguente frustrazione degli obiettivi per- seguiti dal legislatore”; nell’altro, T.A.R. Molise Campobasso, Sez. I, sentenza 6 maggio 2014, n. 293 secondo cui “diversa- mente argomentando, ritenendo cioè che il giudicato di resti- tuzione valga ad inibire all’Amministrazione anche l’esercizio ex novo dei suoi poteri ablatori, significherebbe conferire al be- ne una sorta di immunità dal potere amministrativo che non può essere riconosciuta”.
(16) Il medesimo principio, peraltro, era apparso invocabile a sostegno della incostituzionalità dell’art. 00 xxx xxx xxxxxxxxxx xxx xxxxxx xx xxxxxxxxxxx di cui all’art. 3 Cost. in ragione della
Se però la funzione che caratterizza una delle due situazioni poste a raffronto (l’occupazione sen- za titolo posta in essere dall’Amministrazione nel- l’esercizio di una funzione attribuitale dalla legge per un obiettivo di pubblica utilità) consente di differenziarla dall’occupazione senza titolo operata dal privato, nondimeno è discutibile che nella fat- tispecie regolata sia rinvenibile quella “ragionevole diseguaglianza” (17) che sola può fondare la legitti- ma diversità di disciplina.
Infatti, se in generale l’ordinamento assicura pre- minenza alle singole manifestazioni della funzione amministrativa in quanto specificamente ed esclu- sivamente attribuite dalla legge per il raggiungi- mento di fini pubblici (sent. 138/1981, citata dalla decisione in commento), tuttavia, con specifico ri- guardo alla proprietà il principio generale di parità tra proprietà pubblica e proprietà privata enunciato dall’art. 42, comma 1, Cost. (18) comporta che non può accordarsi preferenza alla proprietà pub- blica, per sua natura volta al soddisfacimento in un obiettivo di pubblica utilità, per il semplice fatto, appunto, di essere rivolta in funzione di uno scopo di pubblica utilità.
Lo stesso art. 42, comma 3, Cost., consente la prevalenza, nel caso concreto, della proprietà pub- blica non in ragione della sola sussistenza di motivi di interesse generale, ma bensì anche previo inden- nizzo e nei casi preveduti dalla legge; la legge non è tenuta a compiere essa stessa la valutazione in concreto dell’oggetto e della sussistenza dell’inte- resse generale, ben potendo essere rimessa alla Amministrazione nel singolo caso, ma deve prede- terminare i casi in cui ciò può avvenire; sicché non essendo consentito che il bilanciamento delle situazioni giuridiche (che solo consente la deroga al principio di parità fra proprietà privata e pro- prietà pubblica) ripieghi in favore dei soli motivi di interesse generale e quindi della P.A. medesima, a scapito della riserva di legge che sola consente tale prevalenza e del più ampio principio di legalità (che la riserva rinforza ma non sostituisce (19)), è all’elemento del “caso” da predeterminare che oc- corre rivolgere attenzione, senza potersi limitare solo alla constatazione del fine di pubblica utilità
come pare fare la Corte costituzionale laddove ri- tiene che con l’acquisizione l’Amministrazione “ri- prende a muoversi nell’alveo della legalità ammini- strativa, esercitando una funzione amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata, in funzio- ne degli scopi di pubblica utilità perseguiti”, posto peraltro che la giurisprudenza di Strasburgo vede la pubblica utilità come posterius rispetto al necessario prerequisito della legalità, sicché pare difficile an- corare al solo requisito della pubblica utilità in as- senza della legalità dei “casi preveduti dalla legge”, l’elemento di ragionevolezza che consente la disci- plina di favore per l’Amministrazione.
Tutte queste declinazioni del principio di legali- tà non sono approfondite dalla sentenza in com- mento, e lo stesso principio nella motivazione vie- ne testualmente citato solo fuggevolmente al par. 6.6.1, così come il profilo ulteriore di legalità so- stanziale volto a vietare incisioni imprevedibili del- la proprietà privata, desunto da numerose sentenze dalla Corte EDU dall’art. 1 del primo protocollo addizionale alla Cedu, viene solo frettolosamente affrontato nella parte finale della motivazione al par. 6.9.1.
Sotto quest’ultimo profilo, l’art. 42 bis prevede bensì “il caso” in cui può essere accordata preferen- za alla proprietà pubblica, acquisendo al patrimo- nio indisponibile il bene privato, ma:
a) il caso sembra essere l’illecita occupazione e trasformazione del bene privato compiuta dall’Am- ministrazione; ciò che può apparire difficilmente compatibile con il divieto di avvantaggiarsi di una situazione illecita posto a presidio della legalità so- stanziale dalla Corte europea;
b) la valutazione sul ricorrere in concreto del ca- so e della pubblica utilità che lo caratterizza e giu- stifica l’esercizio della funzione è compiuta dal- l’Amministrazione sulla base di una valutazione di- screzionale: ciò che di per sé non urta con il prin- cipio di legalità, posto che anzi la legalità è presi- dio della discrezionalità amministrativa, ma può ri- sultare configgente con il principio di legalità sotto altro profilo, quello cioè della prevedibilità nel ca- so concreto imposta dalla Corte Edu, nel quale si risolve il secondo profilo di possibile violazione del
sottoposizione alla medesima disciplina sia nel caso in cui la procedura espropriativa sia stata violata, sia nel caso in cui es- sa sia stata del tutto omessa; profilo invero solo accennato nelle ordinanze di rimessione alla Consulta (v. ord. 441/2014 par. 5, 13). Considera espressamente tale aspetto come possi- bile profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 42 bis C. Bene- tazzo, L’acquisizione “sanante” tra principio di legalità e nuove frontiere della responsabilità: gli spunti provenienti dall’U.E., in xxxxxxxx.xx, n. 9/2014, 18.
(17) L’espressione è di G.U. Xxxxxxxx, Il principio di egua-
glianza nella Costituzione italiana, in Principio di eguaglianza e principio di legalità nella pluralità degli ordinamenti giuridici. An- nuario A.I.C. 2008, Padova, 1999, 97 ss.
(18) Cfr. G. Salerno, Commento all’art. 42 Cost., in Commen- tario breve alla Costituzione, a cura di X. Xxxxxxxxxx - X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 294-303.
(19) Sulla riserva di legge come “rafforzamento della legali- tà” v. X. Xxxxxxxxxx, Legalità (principio di), in Enc. giur., XVII, 1990, 7.
principio di legalità sollevato dai rimettenti, alla luce della giurisprudenza europea sopra evidenzia- ta.
Il principio di legalità richiede, infatti, che il raf- fronto fra disporre in astratto e provvedere in con- creto in cui esso si sostanzia (20) sia reale ed effet- tivo e ciò è possibile solo se le norme sono precise e prevedibili nell’applicazione, ovvero, in altre pa- role, se alla P.A. è attribuita bensì discrezionalità ma non libertà; e la raffrontabilità è “soddisfatta solo da un ‘disporre’ legislativo strutturato in modo da garantire adeguatamente ed effettivamente il controllo giurisdizionale dei conseguenti provvedi- menti amministrativi ...; la raffrontabilità si ritiene soddisfatta non dal fatto che il legislatore si limiti a disporre bensì solo dal “modo” col quale ‘dispone’ e cioè solo dall’‘adeguatezza del disporre’ rispetto al vincolo che deve derivarne quanto al provvede- re” (21); in altre parole, la previa norma deve defi- nire specificamente le condizioni alle quali l’inte- resse pubblico prevale (22).
Sicché, nel caso di eccezione alla regola della parità fra proprietà pubblica e proprietà privata l’a- deguatezza del disporre richiede, a mente della ri- serva di legge di cui all’art. 42, comma 3, Cost., un particolare onere di precisione da parte della leg- ge (23).
Questo onere solo con difficoltà, nel caso in esa- me, sembra potersi riconoscere soddisfatto grazie alla enfatizzazione dell’onere di motivazione, intesa a sottrarre all’Amministrazione gli spazi di libertà consentiti dal precedente art. 43 lasciando alla
P.A. quel tanto di discrezionalità nel caso concreto che è portato naturale dell’attività amministrativa, pur sempre limitata ma non esclusa dal principio di legalità, nonché soggetta al controllo giurisdizio- nale del provvedimento di acquisizione.
Quanto all’incertezza che l’art. 42 bis lascia a pri- ma vista sussistere sui tempi di emanazione del provvedimento di acquisizione, questa ulteriore problematica (connessa sia al principio di legalità, come declinato dalla Corte EDU, sia a quello di
eguaglianza, in ragione della irragionevole distin- zione rispetto al procedimento espropriativo ordi- nario), viene risolta dalla sentenza in commento alla luce del rilievo per cui l’esposizione in perpe- tuo alla acquisizione sanante non sarebbe l’unica opzione aperta dalla disposizione, viste le “molte- plici soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza am- ministrativa, per reagire all’inerzia della pubblica Amministrazione autrice dell’illecito”, quali l’im- pugnazione dell’eventuale silenzio-rifiuto conse- guente alla messa in mora dell’Amministrazio- ne (24), ovvero la possibilità per il giudice ammini- strativo di assegnare alla P.A. un termine per eser- citare tale potere o restituire l’immobile (25).
Tuttavia, l’affermata possibilità per il privato di stimolare l’attività provvedimentale dell’Ammini- strazione fino a quel momento inerte, pur ammessa in ipotesi la sua efficacia in concreto, costituisce un onere ulteriore in capo al medesimo a fronte dell’inerzia della P.A. che è pur sempre una signifi- cativa differenza rispetto al procedimento espro- priativo ordinario, nel quale vi è un termine certo per la privazione della proprietà senza l’imposizione al privato di alcuna attività per ottenere certezza della propria situazione giuridica.
E di fronte a tale diversità di disciplina pare dif- ficile ritrovarne gli elementi che consentano di in- ferirne la ragionevolezza intrinseca: i princìpi di proporzionalità e di ragionevolezza, pur ammesso che la situazione del proprietario soggetto a valida dichiarazione di pubblica utilità sia a questi fini da tenere distinta da quella del proprietario illegitti- mamente occupato e modificato, ci sembrano diffi- cilmente conciliabili con l’imposizione di un onere di attivazione a carico del proprietario che già ab- bia subito un comportamento illecito da parte della
P.A. al fine di ricondurre a certezza la propria si- tuazione giuridica.
È invece il sistema che in sé deve garantire, in linea di principio, la certezza delle situazioni giuri- diche e ciò non avviene quando, al contrario, il meccanismo disegnato dalla legge determina di per
(20) Secondo la nota distinzione di X. Xxxxxxxxxx, Atto norma- tivo, in Enc. dir., IV, 1959, 255; Id., Fonti del diritto, ivi, XVII, 1968, 926 ss.
(21) S. Fois, Legalità (principio di), in Enc. dir., XXIII, 1973, 680.
(22) Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Lezioni sul principio di legalità, II ed., Torino, 2007, 4.
(23) Non rileva, a questi fini la (non pacifica) natura relativa o assoluta della riserva di cui all’art. 42, comma 3, Cost., posto che anche accedendo alla tesi della riserva relativa l’onere di precisione di cui è parola nel testo è solo diversamente distri- buito fra legislatore e Amministrazione ma pur sempre attratto al solo piano della normazione. Sulla natura relativa della riser- va v., per tutti, per tutti, A.M. Xxxxxxxx, Profili costituzionali della
proprietà privata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, 479; sulla na- tura assoluta della citata riserva di legge v., in particolare, X. X’Xxxx, Note a margine della illegittimità costituzionale, per ec- cesso di delega legislativa, dell’istituto dell’“acquisizione sanan- te”, in Foro amm. CDS, 2011, 1125-1126.
(24) V., da ultimo, sul dovere di provvedere del Comune a cui sia rivolta istanza per l’assunzione delle determinazioni ne- cessarie per definire una volta per tutte la sorte dei terreni oc- cupati e trasformati: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 27 aprile 2015,
n. 2126; T.A.R. Xxxxxx Xxxxxxx-Bologna, Sez. II, sent. 29 maggio 2015, n. 505.
(25) A partire da Cons. Stato, Sez. IV, n. 1514/2012, ora ampiamente seguita in giurisprudenza.
sé l’incertezza ed è il privato a doversi attivare e adire il giudice per ottenere (o cercare di ottenere) la certezza che esso, strutturalmente, non assicura.
In più, la ragionevolezza di una disposizione di legge non vive slegata dalla sua conformità al prin- cipio di legalità, il quale richiede certezza dei pote- ri dell’Amministrazione al fine di garantire, di con- seguenza, la certezza delle situazioni giuridiche di coloro che sono soggetti all’esercizio di tali pote- ri (26): la ratio garantista del principio di legalità richiede che gli amministrati siano posti in grado di conoscere l’ambito di libertà di cui dispongo- no (27) attraverso la prevedibilità, anche sotto il profilo del tempo, dell’applicazione di una disposi- zione di legge.
Del resto, la preferenza per la proprietà pubblica deve svolgersi entro termini compatibili con il di- ritto fondamentale del privato, ciò che secondo la giurisprudenza di Strasburgo comporta che la misu- ra privativa della proprietà privata possa dirsi con- forme alla necessaria proporzionalità rispetto alla finalità di pubblica utilità perseguita non solo in ragione del pagamento dell’indennizzo, ma altresì solo se la vicenda privativa si svolge nel rispetto di tempi ragionevoli che evitino al privato la prolun- gata incertezza sulla sorte del proprio diritto o fi- nanche la prolungata indisponibilità del bene, con- seguenze, queste, che possono integrare un onere eccessivo ed esorbitante, con violazione dell’art. 1 del Prot. n. 1 cit. (28). L’acquisizione del bene im- mobile costituisce già un vantaggio per l’autorità pubblica, la quale non può goderne di ulteriori in danno del proprietario che viene privato del bene immobile (29), come invece avviene se la legge consente alla P.A. di proseguire nell’utilizzo di un bene immobile illecitamente utilizzato e modificato senza limiti di tempo, a meno che sia il proprieta- rio a lamentarsene.
D’altro canto, non pare impossibile, in concreto, rispettare la contestualità del provvedimento di ac- quisizione rispetto al momento di (utilizzo e) modi- fica del bene immobile altrui richiesta dal diritto vivente di Strasburgo, quando la motivazione del
provvedimento acquisitivo, che deve recare “l’indi- cazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio”, dimostra che di regola è ben possibile per l’Amministrazione rico- noscere e individuare (ex post, ma non si vede per- ché non anche prima) quantomeno le circostanze che hanno determinato l’utilizzo indebito se non anche la data del suo inizio, ed appare inoltre an- cor più facilmente identificabile il momento di modifica del bene, che a differenza dell’utilizzo, che si protrae nel tempo, ha contorni temporali più chiaramente definiti ed identificabili: in altre parole, pare ben possibile per la P.A. determinare il momento dell’illiceità della propria condotta, sia quando essa sia posta in essere in assenza di pre- gresso valido procedimento espropriativo, sia quan- do pur essendo avvenuti l’utilizzo e la modifica in pendenza di pubblica utilità (o di decreto di espro- prio non ancora annullato) via sia la decadenza o l’annullamento degli atti pregressi dai quali si pro- duce l’illiceità dell’utilizzo e dell’avvenuta modifi- ca.
La necessaria sussistenza di motivi di interesse generale a fondamento dell’acquisizione
È noto che la proprietà privata può essere sacrifi- cata solo “per motivi di interesse generale” o “per causa di pubblica utilità”, secondo le espressioni, sostanzialmente identiche, di cui all’art. 42, com- ma 3, Cost. e all’art. 1 del Prot. n. 1 alla Ce- du (30), che l’art. 42 bis ha tradotto nella necessità per il provvedimento di acquisizione di essere mo- tivato “in riferimento alle attuali ed eccezionali ra- gioni di interesse pubblico che ne giustificano l’e- manazione, valutate comparativamente con i con- trapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione”.
Le ordinanze di rimessione hanno criticato la di- sposizione in esame sotto il profilo che essa farebbe sì che la privazione della proprietà del privato trovi
(26) Cfr., sulla “certezza del diritto” come espressione che acquista senso “se ed in quanto si traduca in certezza dei dirit- ti costituzionali, vale a dire nella effettività della loro tutela”, X. Xxxxxxx, Il giudicato all’impatto con la CEDU, dopo la svolta di Corte cost. n. 113 del 2011, ovverosia quando la certezza del di- ritto è obbligata a cedere il passo alla certezza dei diritti, in xxx.xxxxxxxxxx.xx, 2/2011, 48.
(27) X. Xxxxxxxxxx, op. cit., 4.
(28) X. Xxxxx XXX, 00 gennaio 2002, Tsirikakis c. Grecia; Corte EDU, 11 aprile 2002, Hatzitakis c. Grecia; ma già cenni relativi alla possibilità che la indisponibilità prolungata del bene aggravi le conseguenze della misura incidente sulla proprietà, fino ad addossare al proprietario un peso speciale ed esorbi-
tante che rompe il giusto equilibrio, sono presenti in Corte EDU, 23 settembre 1982, Xxxxxxxx et Lönnroth x. Xxxxxx.
(29) X. Xxxxx XXX, 0 gennaio 2000, Beyeler c. Italia (spec. par. 120).
(30) L’eguale tenore dei “motivi di interesse generale” e della “causa di pubblica utilità” è riconosciuta dalle ordinanze di rimessione (v., in particolare, ord. n. 441/2014 pag. 11); sul- l’analogia fra i concetti di “pubblica utilità” e di rispetto del- l’“interesse generale” nella giurisprudenza della Corte EDU cfr., inoltre, M.L. Padelletti, Art. 1 Protocollo n. 1, in Commen- tario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei di- ritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a cura di X. Xxxxxxx -
P. De Sena - V. Zagrebelsky, Padova, 2012, 796.
giustificazione “unicamente in base alla situazione di fatto illegittimamente determinatasi” ignorando la necessità che la causa del trasferimento di pro- prietà emerga prima della privazione della stessa, consentendo la partecipazione procedimentale e la tutela giurisdizionale del privato (rilevanti ex artt. 97 e 24 Cost.) che qui invece si troverebbe sogget- to a scelte non partecipate e insindacabili dell’Am- ministrazione; finendo per ridurre il rispetto del procedimento espropriativo ordinario ad una “mera facoltà” per l’Amministrazione.
A fronte di tali rilievi, pragmaticamente la Cor- te costituzionale risponde che la procedura in esa- me è “eccezionale” e che avrebbe poco senso ragio- nare di una previa dichiarazione di pubblica utilità di un’opera che nei fatti risulta già realizzata: tutta- via, la riconosciuta semplificazione del procedi- mento che ne consegue, con l’assenza di predeter- minazione della causa del trasferimento della pro- prietà, non comporta, ad avviso della Corte, l’ac- coglimento dei dubbi di costituzionalità e ciò in ra- gione della possibilità di dare un’interpretazione particolarmente rigorosa al meccanismo in parola, che la sentenza in commento autorevolmente pro- pone secondo il tipo della decisione interpretativa di rigetto, al ritenuto fine di predisporre un model- lo che non possa considerarsi quale “semplice alter- nativa” al procedimento espropriativo ordinario e che non escluda sistematicamente e per principio la restituzione del terreno al privato.
È la diversità qualitativa della valutazione degli interessi operata dall’Amministrazione per l’adozio- ne del provvedimento acquisitivo rispetto alla va- lutazione tipica del procedimento espropriativo or- dinario a costituire l’elemento base di questa inter- pretazione somministrata dalla Corte e che consen- te di superare le censure dei rimettenti: l’adozione dell’atto acquisitivo in questa prospettiva non è il portato di un potere ampiamente discrezionale, ma deve porsi come extrema ratio, quando siano state esplicitamente escluse altre soluzioni, all’esito di
una valutazione “pregnante” dell’assenza di “ragione- voli alternative” in comparazione con i contrapposti interessi privati e che non può ridursi alla eccessiva difficoltà od onerosità delle soluzioni alternative, valutazione che deve risultare dalla parte motiva del provvedimento.
La mancata predeterminazione dei motivi di in- teresse generale a fondamento del trasferimento della proprietà viene così ovviata con l’insistenza sulla particolare pregnanza della motivazione sugli stessi al momento dell’acquisizione: il conferimen- to di quella “qualità giuridica che è condizione es- senziale perché il bene possa diventare oggetto di un provvedimento di espropriazione” (31) che è operato dalla dichiarazione di pubblica utilità nel procedimento ordinario è da legare, secondo la sentenza in commento, alla robusta motivazione del provvedimento acquisitivo (32).
Peraltro, è lecito dubitare che gli ostacoli moti- vazionali alla emanazione del provvedimento ex art. 42 bis possano costituire, da soli, un argine alla generalizzata applicazione della norma in barba alle pretese restitutorie del privato e, prima ancora, al proliferare delle espropriazioni illegittime ed al per- manere indefinito di situazioni di illegalità, tanto più odiose e foriere di sfiducia nelle istituzioni quando è la stessa Pubblica Amministrazione a porle in essere.
Dei possibili rimedi a questo pericolo si tratta nel paragrafo che segue.
La quantificazione degli importi dovuti ex art. 42 bis e gli strumenti di tutela concessi al proprietario, dopo la sentenza in commento
Se l’esecuzione “esplosiva” delle pretese restitu- torie resta improbabile (33), e se l’acquisizione sa- nante dovesse essere rimessa ad una incoercibile scelta della p.a., ovvero costare meno di un’ordina- ria espropriazione, o ancora essere idonea (per la
(31) A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XIV ed., Napoli, 1984, 834.
(32) Del resto, l’art. 42 Cost. non precisa in quali atti devo- no essere esplicitati i “motivi di pubblico interesse” (in questo senso, X. Xxxxx, Acquisizione amministrativa e acquisizione giu- diziaria nel sistema delle espropriazioni per pubblica utilità, in xxx.xxxxxxxx.xx, 47), sicché la predeterminazione dei motivi di interesse generale non sembra essere regola avente piena copertura costituzionale, tanto che la legge può disporre diret- tamente l’espropriazione di un bene determinato: v., inoltre, Corte cost. n. 384/1990 secondo cui “Il terzo comma dell’art. 42 della Costituzione non implica che la potestà espropriativa debba riferirsi ad ipotesi ablative prefigurate in via generale e accompagnate da sequenze procedimentali costanti ed unita- rie. Quella potestà si esplica legittimamente anche quando -
sempre se sorretta da motivi d’interesse generale - si riferisce a concrete fattispecie ablative non usuali, e perfino già realiz- zate”; la legge non è tenuta a indicare le puntuali e specifiche ragioni del caso concreto pur dovendo assicurare che la priva- zione della proprietà sia in dichiarato rapporto immediato con la soddisfazione di “effettive e specifiche esigenze rilevanti per la comunità” (Corte cost. n. 90/1966), rilevate nella singola fat- tispecie dalla P.A.
(33) Cfr., X. Xxxxxx, La nuova disciplina dell’espropriazione so- stanziale, secondo le Sezioni Unite, nota di commento a Cass., SS.UU. n. 735/2015, in questa Rivista, 2015, 413, dove si valu- ta in questi termini, le possibilità di esecuzione con l’esplosivo della rimessione in pristino, indicata da Cons. Stato, Sez. VI, 1° dicembre 2011, n. 6351.
mera esistenza della previsione di legge) ad impedi- re al privato di ottenere direttamente il risarcimen- to per equivalente, secondo tendenze interpretati- ve sin qui avallate da una parte della giurispruden- za, allora l’obbligo di motivazione tanto enfatizzato dalla sentenza in commento, è facile prevederlo, fi- nirà per costituire una semplice foglia di fico dietro la quale continuerà a protrarsi la “défaillance struc- turelle” del nostro ordinamento nazionale severa- mente, quanto ineccepibilmente, denunziata dalla Corte EDU, essendo facilissimo prevedere che gli annullamenti per difetto di motivazione dei prov- vedimenti di acquisizione ex art. 42 bis saranno ra- ri, se non del tutto eccezionali, come già sino ad oggi.
Per converso, un argine realistico alla devianza “extraeuropea” del nostro sistema può essere realiz- zato, a nostro avviso, con la ricostruzione dell’ordi- namento in termini tali per cui il predetto onere motivazionale venga a doversi esercitare in un qua- dro giuridico dove le acquisizioni sananti costino più degli espropri legittimi; mentre al privato deve essere aperta la possibilità di far si che la P.A. deci- da in tempi ragionevoli sull’acquisizione sanante, senza pregiudizio, in ogni caso, del risarcimento per equivalente, che sempre a nostro parere do- vrebbe essere accordato anche in assenza di forma- le acquisizione, in mancanza di effettiva restituzio- ne del bene trasformato.
La sentenza in commento contiene diversi spun- ti significativi, non tutti a prima vista evidenti, che si prestano ad essere valorizzati nella direzione sopra auspicata; accanto ad essi se ne rinviene uno (in tema di risarcimento per la pregressa occupazio- ne illegittima) che va nel senso opposto, ma si tratta di questione che ci sembra da rimeditare.
Sotto il profilo strettamente patrimoniale relati- vo alla definizione degli importi dovuti ex art. 42 bis sono meritevoli di attenzione i rilievi della sen- tenza in commento dove si afferma che l’istituto: assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio (par. 6.5); non prevede un indennizzo inferiore a quello previsto per l’e- spropriazione ordinaria (par. 6.6.2); ed infine, con il generico riferimento al valore venale del bene, non esclude la possibilità di valutare anche il valo- re delle colture effettivamente praticate e dei ma- nufatti presenti sul suolo anche in relazione all’e- sercizio dell’azienda agricola, come pure la perdita
di valore della porzione residua riconosciuta un tempo dall’art. 40, L. n. 2359/1865 ed oggi dall’art. 33 del T.U. sulle espropriazioni.
A partire da questi rilievi, sembra corretto de- durre che all’indennizzo ivi previsto si applicano, se non diversamente previsto dall’art. 42 bis, e pur- ché logicamente non incompatibili, tutte le regole indennitarie del T.U. espropriazione.
Così ad es. il principio che sancisce l’irrilevanza del vincolo preordinato all’esproprio ai fini della valutazione sull’edificabilità del terreno (art. 32
d.P.R. n. 327/2001) sembra dover essere applicato anche qualora alla apposizione non abbia fatto se- guito l’esproprio legittimo, ma l’acquisizione in commento; e lo stesso è a dirsi per l’irrilevanza nel- la valutazione dell’indennizzo spettante dell’opera medio tempore realizzata: qui a dire il vero la solu- zione opposta potrebbe essere alquanto favorevole per il proprietario, ma non vi è motivo per arrivare a ritenere che sia dovuta quella che la stessa Corte Xxx ritiene una sovracompensazione eccessi- va (34).
Sotto questo profilo, la sentenza in commento conferma esplicitamente la possibilità di applicare la regola che prescrive di tenere conto del pregiu- dizio arrecato dall’espropriazione alla porzione resi- dua di un bene economicamente unitario (art. 33,
d.P.R. n. 327/2001); non si occupa, invece, perché non richiesta dalle ordinanze di rimessione, di quella che sembra essere oggi la questione di mag- gior momento rimasta irrisolta in punto di diritti patrimoniali conseguenti all’espropriazione sanan- te, che a nostro avviso, in un’epoca dove gli espro- pri di aree edificabili sono divenuti una rarità, è quella della spettanza o meno al proprietario e al conduttore coltivatore diretto dell’indennità ag- giuntiva prevista dagli artt. 37, comma 9, 40, com- ma 4, e 42 del d.P.R. n. 327/2001.
Nelle espropriazioni legittime dei terreni agricoli la prassi degli esproprianti, per quanto nota a chi scrive, riconosce senza difficoltà questa indennità in via appunto ulteriore, ovvero aggiuntiva, come da tenore letterale della legge, rispetto a quella espropriativa in senso stretto, pur essendo quest’ul- tima da commisurare al valore venale dopo la nota sentenza n. 181/2011 della Consulta (35), e non sembra davvero che la soluzione opposta sia prati- cabile senza dare luogo ad evidente contrasto an- che con la Cedu, ove si consideri, in particolare,
(34) X. Xxxxx XXX, Xxxxxx Xxxxxx 00 dicembre 2009, Gui- so-Gallisay c. Italia, spec. parr. 103-105.
(35) Sulla quale cfr. le note di commento di X. Xxxxxxx, L’in- dennità di espropriazione per i suoli non edificatori dopo la pro- nuncia di incostituzionalità del meccanismo dei VAM, in Giust.
civ., 2011, 1943 ss.; di X. Xxxxxx in Foro it., 2011, 7-8, 1, 1957 ss.; di X. Xxxxx in Corr. giur., 2011, 1242; v. anche X. Xxxxxx, Le indennità di espropriazione per le aree non edificabili al vaglio della Consulta, in questa Rivista, 2011, 1281 ss.
che se l’indennità aggiuntiva dovuta al fittavolo fosse dedotta da quella dovuta al proprietario, que- st’ultimo tornerebbe a percepire un indennizzo chiaramente deteriore (36).
Riteniamo, allora, che l’indennità aggiuntiva in esame sia dovuta anche in caso di acquisizione sa- nante, perché la sua previsione legale in xxx xxxx- xxxx, rispetto all’indennità di espropriazione ne importa la debenza sulla base del semplice rilievo che il provvedimento di acquisizione sanante inte- gra in effetti un decreto di esproprio, senza che il generico riferimento al valore venale posto all’art. 42 bis possa valere ad una soluzione opposta che nella fattispecie sarebbe ancor meno giustificata di quanto ritenuto dalle ordinanze di rimessione per il pregiudizio alla porzione residua, con una lettura ingiustificatamente restrittiva che la sentenza in commento ha agevolmente contraddetto.
Vi è, però, una ragione sistematica ancor più si- gnificativa a conforto della soluzione qui sostenuta, con riferimento alla esigenza, rimarcata dalla sen- tenza in commento (v. par. 6.9.1), che l’art. 42 bis debba eliminare definitivamente il fenomeno delle espropriazioni indirette e con essa la “défaillance structurelle” denunziata dalla Corte EDU, concor- rendo ad evitare che la pubblica Amministrazione tragga vantaggio dalla situazione di fatto da essa stessa determinata e dissuadendo le pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona e do- vuta forma.
Va considerato che al momento presente gran parte delle espropriazioni, più o meno legittime, ri- guardano terreni agricoli coltivati, normalmente da coltivatori diretti o soggetti comunque aventi la qualifica di I.A.P., e che la indennità aggiuntiva in esame corrisponde in genere ad una quota rilevan- te del valore venale del terreno interessato.
Sicché, appare evidente che escludere la debenza di questa indennità in caso di acquisizione sanante significa rendere oggettivamente più conveniente tale provvedimento rispetto alla normale espropria- zione, ovvero far sì che, in senso diametralmente opposto alle esigenze sopra accennate, la pubblica Amministrazione possa trarre vantaggio dal proprio illecito e sia incentivata a pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona e dovuta forma.
In altri termini, la soluzione opposta a quella qui prospettata contrasta con le indicazioni deducibili dalla Cedu non certo perché questa imponga sen- z’altro, in caso di esproprio, esborsi superiori al va- lore venale del bene interessato, ma perché essa ri- chiede che ogni Stato adotti un sistema utile a sco- raggiare gli espropri illegittimi, e quindi fintanto che la indennità aggiuntiva in esame sia prevista le comuni espropriazioni, non è consentito incentiva- re quelle irregolari escludendone la debenza nel ca- so di cui all’art. 42 bis.
Vero è che, da questo punto di vista, appare cri- ticabile la sentenza in commento quando nega l’il- legittimità dell’art. 42 bis, dove esso prevede il ri- sarcimento dell’occupazione illegittima in misura annua pari al 5% del valore venale del bene acqui- sito e non, come previsto per le espropriazioni or- dinarie, in misura pari a 1/12 di tale valore (8,33%).
Sotto questo profilo, la risposta data alle ordi- nanze di rimessione dalla Consulta non è soddisfa- cente, non solo e non tanto perché il rilievo sulla possibilità di provare un danno maggiore non esclude di per sé che in ogni caso la P.A. sia av- vantaggiata ingiustificatamente da questo diverso regime, quanto piuttosto in considerazione dell’as- soluta eccezionalità dei casi in cui un terreno può dare un reddito pari o superiore al 5% o addirittura all’8,33% annuo.
Quanto l’art. 42 bis e la Consulta fanno mostra di non considerare è che la forfettizzazione all’8,33% dell’indennità annua di occupazione d’urgenza non è interamente giustificabile in termi- ni di realistica commisurazione ai redditi media- mente deducibili, ma che essa, nata (con l’art. 20 della L. n. 865/1971) come disposizione correlata alla indennità di espropriazione (pur in un’epoca dove quest’ultima era ancorata ai valori agricoli medi), trova oggi la sua miglior giustificazione nel- la esigenza di compensare il proprietario rispetto al sacrificio che gli viene imposto al suo diritto ad un indennizzo espropriativo non solo congruo, ma an- che rapido; dove invece è noto a tutti gli operatori che di per sé la facoltà riconosciuta agli esproprian- ti di protrarre per molti anni l’occupazione, senza procedere con l’esproprio, determina a favore di
(36) Nel senso della permanenza delle indennità aggiuntiva previste dal d.P.R. n. 327/2011 pur dopo la sentenza n. 181/2011 della Consulta v. in particolare X. Xxxxxxx, L’indenni- tà di espropriazione per i suoli non edificatori, cit., 1960, nonché
X. Xxxxxx, Le indennità di espropriazione per le aree non edifica- bili, cit. spec. pp. 1291-1293. Nella giurisprudenza recente del- la Cassazione, peraltro ancora relativa a vicende non ancora regolate del T.U. sull’espropriazione, cfr. Cass., Sez. I, sent. 24
aprile 2014, n. 9269 dove si statuisce chiaramente nel senso che l’indennità aggiuntiva per coltivazione diretta va determi- nata in via ulteriore rispetto a quella di espropriazione commi- surata al valore venale; e Cass., Sez. I, sent. 30 giugno 2014,
n. 14782 dove invece si afferma che l’indennità aggiuntiva do- vuta al conduttore coltivatore diretto nel caso di esproprio di area edificabile andrebbe detratta da quella dovuta al proprie- tario.
questi ultimi (ed ancor più lo farebbe se l’indennità di occupazione fosse ridotta) una posizione di van- taggio nelle trattive per le cessioni bonarie, tanto più significativa quanto più ad essere incisi sono piccoli proprietari coltivatori che si vedono privati della loro fonte di reddito.
Se però è in questi termini che trova oggi giusti- ficazione la forfettizzazione all’8,33% della misura della indennità di occupazione legittima, appare evidente che la risposta dalla Consulta, sulla possi- bilità di provare un pregiudizio superiore al 5% è eccentrica, ed elude il nocciolo del problema, che dovrebbe perciò essere rimeditato. Non si tratta, in ogni caso di una risposta che si presti ad essere ap- prezzata per rispondere in senso negativo alla que- stione sulla debenza dell’indennità aggiuntiva, do- ve la pur fallace scappatoia predicata in punto di indennità di occupazione non è praticabile.
Passando ora alla valutazione dei riflessi che la sentenza in commento esplica sulla ricostruzione degli strumenti di tutela concessi al proprietario, vengono in considerazione i rilievi per cui il priva- to può reagire all’inerzia della p.a. senza restare esposto in perpetuo al sacrificio dell’espropriazione (par. 6.6.3) (37) mentre il carattere non retroattivo dell’acquisto non consentirebbe che l’istituto sia realizzato in presenza di un giudicato restitutorio (par. 6.9.1); ed ancora il più generale rilievo per cui sono da valorizzare (con riferimento all’intero ordinamento, ci sentiamo di affermare, anche se nella decisone in esame si tratta solo dell’art. 42 bis) le interpretazioni utili ad evitare che la pubbli- ca Amministrazione tragga vantaggio dalla situa- zione di fatto da essa stessa determinata ed a disin- centivare le pratiche non conformi alle norme de- gli espropri in buona e dovuta forma.
Da questi rilievi ci sembra si possa trarre, anzi- tutto, un argomento contrario alle tesi che vorreb- bero la P.A. arbitra esclusiva in ordine alla emana- zione del provvedimento di acquisizione sanante, così come a quelle che negano la possibilità per il privato di ottenere l’integrale risarcimento per
equivalente in mancanza di tale acquisizione: in ef- fetti se si vuole assicurare l’effettività della tutela, riducendo concretamente la devianza extraeuropea del nostro ordinamento, o si procede alla esplosiva distruzione delle opere pubbliche (ipotesi che non ci stancheremo di ritenere irrealistica, almeno su larga scala); oppure si deve consentire al privato di avere il risarcimento integrale per equivalente, il che può avvenire tanto ammettendo che il giudice dell’ottemperanza possa disporre l’acquisizione sa- nante, quanto consentendo al privato di rinunziare abdicativamente alla proprietà a fronte di tale ripa- razione o comunque di ottenere il risarcimento per equivalente specie ove l’amministrazione non sia palesemente disposta, o in grado, di restituire.
Sul primo aspetto, quello cioè dei poteri del giu- dice dell’ottemperanza, si dovrà pronunciare l’Adu- nanza Plenaria del Consiglio di Stato, che aveva rinviato la propria decisione in attesa della senten- za in commento (38); sul secondo si sono recente- mente pronunciate le Sezioni Unite della Cassazio- ne (sentenza n. 735/2015), in termini tanto positi- vi per il privato quanto poco condivisi dalla giuri- sprudenza amministrativa, che però ha manifestato di recente qualche apertura (39).
Mai come oggi, allora, rimane l’esigenza che la giurisprudenza ordinaria e quella amministrativa, chiamate per diversi aspetti ad applicare l’art. 42 bis così come salvato dalla Consulta, proseguano nello sforzo di rendere il diritto vivente concreta- mente idoneo a rispondere ai richiami della Corte EDU, che la stessa sentenza in esame, seppure in termini incompleti e perfettibili, mostra di voler tenere presenti. Tra l’altro, ancora si attende una parola definitiva della Cassazione sulla giurisdizio- ne competente a decidere in ordine all’indennizzo previsto dall’art. 42 bis per la perdita della proprie- tà, mentre la giurisprudenza ordinaria ed ammini- strativa hanno manifestato sul punto le più varie opinioni (40), dando luogo, anche sotto questo profilo, ad una incertezza operativa che richiede di essere al più presto superata.
(37) Cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2126 sulla possibilità di ordinare alla p.a. di procedere con l’ac- quisizione sanante o la restituzione a seguito di ricorso contro il silenzio ex art. 31 D.Lgs. n. 104/2010; la sentenza è com- mentata da D. Ponte, L’acquisizione sanante: la coincidenza Corte costituzionale-Consiglio di Stato, in questo stesso nume- ro, 807.
(38) V. Cons. Stato, Ad. Plen., ord. 15 ottobre 2014, n. 28.
(39) Cfr. per una trattazione più ampia di questa problemati- ca X. Xxxxxx, La nuova disciplina dell’espropriazione sostanziale,
cit., ove si segnalano tra l’altro le recenti aperture fatte da Cons. Stato, Sez. IV, n. 354 e 355 del 27 gennaio 2015, che hanno riconosciuto tout court il risarcimento per equivalente, non condizionandolo alla acquisizione ex art. 42 bis.
(40) Ritengono la giurisdizione ordinaria ad es. Cons. Stato, Sez. VI, sent. 18 maggio 2015, n. 2510; App. Trieste (ord.) n. 283/2014, inedita; ritiene la giurisdizione amministrativa la IV sezione del Consiglio di Stato con indirizzo aperto dalla senten- za n. 993/2014, seguito da diverse altre successive (v. da ulti- mo la sentenza 14 maggio 2015, n. 2454).
Osservatorio in sintesi
Giurisprudenza
a cura di Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx
Atti di promovimento del giudizio della Corte
Strumenti urbanistici e paesaggistici
T.A.R. Campania - Ordinanza 9 gennaio 2015, n. 84
È rilevante e non manifestamente infondata la questio- ne di legittimità costituzionale dell’art. 6 della L. R. Campania n. 15/2000 con riferimento agli artt. 3, 9 e 117, comma 2, lett. s), Cost.
Il Collegio rimettente evidenzia che per la pacifica giuri- sprudenza, anche costituzionale, la disciplina unitaria di tu- tela del bene ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni e dalle Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l’utilizzazione dell’ambiente e, quindi, altri inte- ressi.
In tale contesto è indubbio per il Collegio che le disposizio- ni del Codice del paesaggio (D.Lgs. n. 42/2004), prevedano l’assoluta prevalenza del Piano paesaggistico sugli altri strumenti di regolazione del territorio, avendo il medesimo Piano la funzione conservativa degli ambiti reputati merite- voli di tutela, che non può essere subordinata a scelte di ti- po urbanistico, per loro natura orientate allo sviluppo edili- zio e infrastrutturale.
Pertanto “il Piano Urbanistico Territoriale prevede norme generali d’uso del territorio dell’area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o nell’a- deguamento di quelli vigenti. Il Piano Urbanistico Territoria- le, inoltre, formula indicazioni per la successiva elaborazio- ne, da parte della Regione, di programmi di interventi per lo sviluppo economico dell’area” (art. 3, commi 2 e 3, l.r.C. n. 35/1987).
In considerazione del suo carattere vincolante per i Comuni e della sua specifica valenza di Piano di coordinamento con specifica considerazione dei valori paesaggistici ed ambientali, si spiegano pertanto anche le misure di salva- guardia di cui all’art. 5, comma 1, L. R. n. 35/1987, cit., per cui, fatta eccezione per le deroghe previste dai commi suc- cessivi, “Dalla data di entrata in vigore del Piano Urbanisti- co Territoriale e sino all’approvazione dei Piani Regolatori generali comunali (ivi incluse le obbligatorie varianti gene- rali di adeguamento ai Piani Regolatori Generali eventual- mente vigenti) per tutti i Comuni dell’area è vietato il rila- scio di concessioni ai sensi della Legge 28 gennaio 1977, n. 10”.
Il P.U.T., inoltre, secondo quanto indicato nell’art. 1 della
l.r.C. n. 35/1987, è stato adottato in attuazione della previ- sione dell’art. 1 bis della L. n. 431/1985, di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, secondo cui con riferimento ai beni e alle ore elencati dal comma 5 dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, co- me integrato dal precedente art. 1, le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il relativo territorio mediante la redazione di piani paesistici o di piani urbanistico-territoriali con specifica considerazio-
ne dei valori paesistici ed ambientali, da approvarsi entro il 31 dicembre 1986.
Il P.U.T. pertanto, sebbene approvato con legge regionale, da un punto di vista sostanziale si configura come Piano Territoriale di Coordinamento con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali, assimilabile peraltro, se- condo la previsione di cui all’art. 135, comma 1, D.Lgs. n. 42/2004 - in base al quale “Lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salva- guardato, pianificato e gestito in ragione dei decenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d’uso il terri- torio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanisti- co-territoriali con specifica considerazione dei valori pae- saggistici, entrambi di seguito denominati: “piani paesag- gistici” - ad un piano paesaggistico latu sensu inteso”.
Le previsioni contenute nel medesimo pertanto hanno spe-
cifica valenza paesaggistica.
Le norme di tutela, al fine di salvaguardare la sostanziale integrità di determinati ambiti territoriali, possono anche vietare la realizzazione di qualsiasi volume edilizio (anche interrato) e quindi anche di quei volumi che non sono con- siderati normalmente rilevanti secondo le norme che rego- lano l’attività edilizia.
Ed invero la tutela del paesaggio non si identifica sic et simpliciter con un concetto estetico - visuale ma con un concetto di tutela identitaria del territorio. Da ciò la neces- sità di tutela di quegli interventi, anche di carattere interno, che sono espressione di detto carattere identitario del terri- torio.
Espropriazione per pubblica utilità
Corte d’Appello di Trento - Ordinanza 31 marzo 2015, n. 102
È rilevante e non manifestamente infondata la questio- ne di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, L. prov. Bolzano 15 aprile 1991, n. 10, come sostituito dal- l’art. 38, comma 7 della legge della Provincia Autonoma di Bolzano 10 giugno 2008, n. 4, per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU, secondo l’interpreta- zione della Corte di Strasburgo e con l’art. 42, comma 3, Cost.
La vicenda nasce da un giudizio di opposizione alla stima di un’indennità di esproprio, determinata in sede ammini- strativa l’indennità espropriativa calcolata secondo le mo- dalità previste dal citato art. 8, comma 3, L. prov. Xxxxxxx in relazione ad un’area sottratta che ad avviso del ricorren- te doveva essere considerata edificabile, tenuto conto del contesto urbanistico in cui era inserita, con la conseguente necessità di adeguare in aumento il valore della stessa.
Si rileva che costituisce principio più volte espresso dalla Corte costituzionale che la determinazione dell’indennità espropriativa non può prescindere dal valore effettivo del bene espropriato e che, pur non avendo il legislatore il do- vere di commisurare integralmente l’indennità al valore di
Osservatorio in sintesi
Giurisprudenza
mercato, quest’ultimo parametro rappresenta un importan- te termine di riferimento ai fini della individuazione di una congrua indennità in modo “da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui”. È stato ritenuto, con riferimento alle aree agricole e per quelle insuscettibili di classificazione edificatoria, che la normativa statale che commisurava l’indennità di esproprio al valore agricolo me- dio delle colture in atto o di quella più redditizia nella regio- ne agraria di appartenenza dell’area da espropriare, calco- late annualmente da apposite commissioni, non teneva conto delle caratteristiche specifiche del bene espropriato quali la posizione del suolo, del valore intrinseco del terre- no (che non si limita alle colture in esso praticate ma con- segue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’e- nergia elettrica, l’esposizione) e di quant’altro può incidere sul valore venale di esso. Per tali ragioni è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo il criterio del c.d. valore agri-
colo medio perché sostanzialmente elusivo del legame che l’indennità deve avere con il valore di mercato del bene ablato richiesta dalla giurisprudenza della CEDU e rispon- dente all’esigenza di garantire un serio ristoro più volte espressa dalla giurisprudenza costituzionale.
Essendo il criterio di determinazione dell’indennità espro- priativa per le aree non edificabili previsto dalla normativa provinciale di Bolzano sopra riportata del tutto simile a quello che regolava, ai sensi dell’art. 5 bis, comma 4, del
D.L. n. 333/1992, conv. con L. n. 359/1992, la medesima materia nell’ambito della normativa statale che è stata di- chiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte cost. n. 181/2011, si valuta che sussistano le condi- zioni per ritenere che l’art. 8, comma 3, L. prov. n. 10/1991 della Provincia Autonoma di Bolzano contrasti con gli artt. 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 1 del primo proto- collo addizionale della Convenzione europea dei diritti del- l’uomo e con l’art. 42, comma 3, Cost.
L’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre
nel dualismo giurisdizionale
CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 9 marzo 2015, n. 4683 – Pres. Rovelli – Est. Xxxxxxx – Consorzio La Fonte Meravigliosa fra Cooperative Edilizie c. C.G.
Nell’ambito della giurisdizione esclusiva, è ammissibile dinanzi il Giudice amministrativo l’azione di esecuzio- ne in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, prevista dall’art. 2932 c.c.
In esecuzione del principio di effettività della tutela e del giusto processo, nell’ambito della giurisdizione esclusiva al Giudice amministrativo spettano le medesime azioni riconosciute al Giudice ordinario a tutela dei diritti soggettivi.
Gli accordi e le convenzioni stipulate tra P.A. e privati che prevedono il trasferimento di proprietà di beni inse- riti in un procedimento concessorio o di attuazione di uno strumento urbanistico sono qualificabili come inte- grativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo e rientrano nella giurisdizione del Giudice amministra- tivo.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Cons. Stato, Ad. Plen., 20 luglio 2012, n. 28; Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2013, n. 2316. |
Difforme | Non sono stati rinvenuti precedenti in termini. |
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va dato atto della impugnabilità con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., della sentenza del Consiglio di Stato in adunanza plena- ria che, pronunciando, in sede di appello, sulla sentenza emessa dal Tribunale amministrativo regionale, ha rico- nosciuto esperibile, davanti al giudice amministrativo, il rimedio della esecuzione in forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., in materia di giurisdizione esclusiva.
1.1. Il Tribunale amministrativo regionale, infatti, in primo grado, con sentenza non definitiva, nel ricono- scere la giurisdizione del giudice amministrativo, ha ri- gettato l’eccezione di prescrizione esprimendosi positi- vamente anche in ordine alla fondatezza delle richieste avanzate dal Comune di Roma di cessione delle aree da parte del Consorzio.
Ha, poi, disposto - ai fini di una completa cognizione di merito - incombenti istruttori.
La sentenza di primo grado, quindi, oltre quella sulla giurisdizione, contiene anche pronunce di merito, e, per questa ultima parte, non è stata impugnata.
Si tratta, perciò di una sentenza parziale di merito, an- che immediatamente impugnabile.
Ciò che è avvenuto con l’appello al Consiglio di Stato il quale ha soltanto rigettato l’impugnazione.
Siamo quindi, al di fuori dell’area della non immediata impugnabilità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 3.
2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano difetto di giurisdizione, violazione per errata applicazione degli artt. 24, 113 e 103 Cost. ob relationem agli artt. 7 e 133 comma 1, lett. A n. 2 e art. 133, comma 1 lett. F e G,
c.p.a. approvato con X.Xxx. 2 luglio 2010. n. 104 xx.xx.
II. Violazione per errata applicazione dell’art. 25 Cost. e della riserva di legge in materia di azioni e tipologie di sentenze attribuite a ciascuna giurisdizione.
Con il secondo motivo si denuncia difetto di giurisdi- zione, violazione per errata applicazione degli artt. 24, 113 e 103 Cost. ob relationem agli artt. 7 e 133 comma
1, lett. A n. 2, c.p.a. nonché 133, comma 1 lett. F, ec- cesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nella giurisdizione di merito, difetto di giurisdizione. Violazio- ne per errata applicazione dell’art. 25 Cost.
e della riserva di legge in materia di azioni e tipologie di sentenze attribuite a ciascuna giurisdizione. Violazio- ne del principio costituzionale della successione delle leggi anche processuali con riferimento al tempo in cui sono state emanate e del conseguente riparto di giuri- sdizione.
Con il terzo motivo si denuncia difetto di giurisdizione per violazione degli artt. 24, 25, 103 e 113 Cost. Ineffi- cacia derivata delle ulteriori statuizioni contenute nella sentenza impugnata.
Eccesso di potere giurisdizionale per sconfinamento nel- l’accertamento di merito.
I tre motivi, che denunciano, sotto diversi profili, il di- fetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sono trattati unitariamente. Essi non sono fondati per le ra- gioni e nei termini che seguono.
3. Il ricorso, proposto ai sensi dell’art. 362 c.p.c., com- ma 1, pone all’attenzione delle Sezioni Unite della Cor- te di cassazione il tema della esperibilità, davanti al giu- dice amministrativo, del rimedio dell’esecuzione specifi- ca di un atto d’obbligo assunto dal privato verso la P.A. Nella specie, tale obbligo aveva ad oggetto il trasferi- mento in favore dell’amministrazione municipale roma- na a titolo gratuito di alcune aree, in esecuzione di una convenzione che prevedeva l’assegnazione al Consorzio di terreni per scopi di edificazione e urbanizzazione di aree, in parte di proprietà dello stesso ed in parte da espropriare.
La domanda è quindi Se nella giurisdizione amministra- tiva trovi applicazione l’art. 2932 c.c.
3.1. L’orientamento della giurisprudenza amministrati- va.
Il Consiglio di Stato - (Ad. Plen. 20 luglio 2012 n. 28)
- ha confermato la statuizione del primo giudice che aveva ritenuto sussistere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alla domanda volta ad accertare e dichiarare il diritto del Comune di Roma di ottenere, con sentenza ex art. 2932 c.c., il trasferimento
- esecutivo dell’obbligo assunto dal privato - delle aree. Nel decidere la questione del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e della esperibilità dell’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre innanzi al giudice amministrativo, l’Adunanza Plenaria ha:
1) qualificato l’atto d’obbligo inter partes, non come me- ra obbligazione privatistica, ma quale atto privato acces- sivo all’assegnazione, necessario per la stessa efficacia di quest’ultima, collocato nell’ambito del complesso ed ar- ticolato procedimento amministrativo di attuazione dei programmati interventi di edilizia economica e popola- re;
2) escluso che non possa essere oggetto dell’azione ex art. 2932 c.c., il mancato adempimento, da parte del Consorzio, dell’obbligo assunto di cessione delle aree in questione.
Le ragioni sono da ricercarsi nella compatibilità dell’a- zione di esecuzione in forma specifica - pur trattandosi di azione costitutiva di natura mista, cognitiva ed esecu- tiva - con la struttura dell’attuale processo amministrati- vo.
Convalida l’ammissibilità di tale azione l’espressa previ- sione di un’azione, come quella di ottemperanza, che pure è connotata dalla coesistenza in capo al giudice di poteri di cognizione ed esecuzione, in quanto la tipicità dei suoi contenuti colliderebbe con i fondamentali prin- cipi di pienezza ed effettività della tutela (D.Lgs. 2 lu- glio 2010, n. 104, art. 1).
La conclusione dell’esperibilità, da parte degli enti pub- blici, dell’azione di esecuzione in forma specifica del- l’obbligo di contrarre davanti al giudice amministrativo è acquisita nella giurisprudenza successiva a Consiglio
di Stato Ad. Plen. 20 luglio 2012, n. 28 (ad es. Consi- glio di Stato, sez. 4, 24 aprile 2013, n. 2316, relativa al- l’esecuzione di obblighi nascenti da una convenzione stipulata tra un Comune ed un privato, volta a discipli- nare il contenuto, anche futuro, di concessioni e con- venzioni edilizie;
Consiglio di Stato, Sez. V, 13 febbraio 2013, n. 874, in tema di accordi qualificati come integrativi o sostitutivi del provvedimento amministrativo concessorio, ai sensi del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, lett. a, n. 2, che individua tali controversie tra quelle riservate al giudice amministrativo).
3.2. L’esecuzione forzata in forma specifica nei confronti della P.A. davanti al giudice ordinario.
La facoltà di adire il giudice ordinario, a norma dell’art. 2932 c.c., per ottenere, nei confronti della Pubblica Amministrazione una sentenza che tenga luogo del con- tratto non concluso, è stata costantemente riconosciuta, per l’esistenza di obblighi rilevanti iure privatorum, in ipotesi di inadempimento di contratti preliminari di vendita (fra le varie S.U. 23 dicembre 2004 n. 23827;
v. anche S.U. 20 ottobre 2006 n. 22521; S.U. 7 gennaio 2014 n. 67).
La tutela delle posizioni soggettive dei privati davanti al giudice ordinario, ai sensi dell’art. 2932 c.c., nei con- fronti della Pubblica Amministrazione, è legata all’atti- vità privatistica ed ai comportamenti meramente mate- riali posti essere dalla stessa, e la giurisdizione spetta al giudice ordinario quale giudice dei diritti soggettivi (artt. 24 e 25 Cost.).
Peraltro, merita sottolineare che il rimedio previsto dal- l’art. 2932 c.c., al fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto è applicabile, non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non se- guito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un di- ritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o fatto dai quali tale obbligo possa sorgere ex lege (Cass. n. 20977/ 2012; Cass. n. 5160/2012; Cass. n. 13403/2008; Cass. n. 8568/2004; Cass. n. 7157/2004).
4. La giurisdizione esclusiva ed il codice del processo amministrativo.
L’art. 1 del codice del processo amministrativo prevede che La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo.
Lo stesso principio, peraltro, è già stabilito nell’art. 24 Cost., ancor più con riferimento alla giurisdizione esclu- siva.
Infatti, alla tutela di diritti non può che riconoscersi la stessa intensità di protezione garantita davanti al giudi- ce ordinario; il che vuoi dire, quindi, le medesime azio- ni.
Il tema sta proprio nell’individuare l’ambito della giuri- sdizione esclusiva del giudice amministrativo, quando questi è giudice dei diritti soggettivi, senza collegamen- to con gli interessi legittimi.
Il giudice, in questi casi, oltre a garantire ai diritti la medesima tutela, con l’esercizio delle stesse azioni che sono esperibili davanti al giudice ordinario, conosce di ogni controversia, qualunque sia la posizione delle parti. Il giudice amministrativo munito di giurisdizione esclu- siva è giudice del rapporto, ma sindaca l’esercizio - ai fi- ni specifici della pronuncia costitutiva di esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre - di un potere ammini- strativo.
È, quindi, soltanto con riferimento alle controversie elencate nell’art. 133 c.p.a. che può discutersi dell’am- missibilità dell’azione di cui all’art. 2932 c.c., nell’ambi- to del processo amministrativo.
Il riconoscimento al giudice amministrativo provvisto di giurisdizione esclusiva, dello strumento dell’esecuzio- ne in forma specifica dell’obbligo di contrarre è allora finalizzato alla realizzazione:
a) del principio di effettività della tutela giurisdizionale, (art. 1 c.p.a.);
b) del principio del giusto processo (art. 2 c.p.a.);
c) dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali del- l’Unione Europea. Il quadro che emerge è in sintonia con il sistema che si ricava dalle pronunce della Corte costituzionale (nn. 204/2004, 191/2006 e 35/2010) e da quelle della Corte di legittimità (S.U. nn. 13659 e 13660 del 2006), in base al quale, in tema di giurisdizio- ne esclusiva, il giudice amministrativo è giudice di tutte le condotte amministrative, e non più del solo atto; in un sistema variegato di tutele.
E la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - quale eccezione al generale criterio di riparto di giuri- sdizione ex art. 103 Cost. - trova la sua giustificazione nella stretta connessione tra diritti e potere pubblico, per la peculiarità dei profili tipici di determinate mate- rie, anche in mancanza di provvedimenti amministrati- vi.
L’art. 7, comma 1, prima parte del codice del processo amministrativo, infatti, prevede che “Sono devolute al- la giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti sogget- tivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducigli anche mediata- mente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pub- bliche amministrazioni”.
Ed al secondo comma chiarisce che “Per pubbliche am- ministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono anche i soggetti ad esse equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo”. Il che vuoi dire, da un lato, che la giurisdizione esclusi- va ha un suo raggio ben delineato di operatività: esige, infatti, che sia esercitato, anche se in via mediata, un potere.
Dall’altro, che è definita la nozione di pubblica ammini- strazione alla quale sono applicabili le norme del codice del processo amministrativo con l’inserimento anche dei “soggetti ad esse equiparati”.
Di qui - anche sotto questo profilo - l’utilizzabilità del- l’art. 2932 c.c., con riguardo a tali specie di accordi.
Non senza sottolineare che, a questo punto, la possibili- tà di promuovere l’azione costitutiva di esecuzione del- l’obbligo di contrarre, - nei casi in cui una tale azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente -, non potrebbe trova- re ostacolo neppure nel principio di tipicità delle azio- ni.
La ragione è chiara: l’effettività della garanzia giurisdi- zionale può essere assicurata soltanto con l’atipicità del- le forme di tutela.
Ove le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni dichiarative, di condanna e costitutive, non soddisfano in modo efficiente il bisogno di tutela, deve essere pro- ponibile ogni altra azione che assicuri tale effettività, sulla base dei principi costituzionali e comunitari richia- mati dall’art. 1 c.p.a., oltre che dai criteri di delega di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 44 (Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2012, n. 6002; Cons. Stato, Ad. Plen. del 23 marzo 2011 n. 3; Cons. Stato, Ad. Plen. 29 luglio
2011, n. 15).
5. La soluzione.
La questione dell’esecuzione in forma specifica di obbli- ghi che coinvolgono la P.A. si pone con maggiore xxx- xxxxxx con riguardo agli impegni assunti dall’ammini- strazione ed alle corrispettive promesse di trasferimento di proprietà di beni a vantaggio di questa, che rientrano nelle convenzioni stipulate tra un Comune o altro ente pubblico concedente ed un privato, della L. 7 agosto 1990, n. 241, ex art. 11, finalizzate a disciplinare il con- tenuto di una concessione.
Questi accordi sono qualificabili come integrativi o so- stitutivi del provvedimento amministrativo concessorio, del quale concorrono a determinare il contenuto, e so- no devoluti alla giurisdizione esclusiva del giudice am- ministrativo ai sensi del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, lett. a), n. 2 (S.U. ord. 24 gennaio 2013, n.
1713; Cass. ord. 9 marzo 2012, n. 3689; Cass. ord. 3 ot-
tobre 2011, n. 20143).
Ora, se si parte dal presupposto che da un accordo sorge l’obbligo - per la parte privata o pubblica - di conclude- re un contratto, in ipotesi, traslativo della proprietà di un bene, è innegabile che l’art. 2932 c.c. - che rappre- senta un’ipotesi specifica rispetto alla figura di tutela giurisdizionale prevista dall’art. 2908 c.c. - consenta di azionare la tutela giurisdizionale dello specifico diritto, con la richiesta di una sentenza che produca gli effetti dell’obbligazione rimasta inadempiuta.
L’art. 7, comma 7, c.p.a. stabilisce - come già detto - che “il principio di effettività è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle par- ticolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggetti- vi”. Ed allora, la circostanza che gli artt. 29 e 30 cpa contemplino, in genere, l’azione di annullamento e di condanna, quali forme di tutela esperibili davanti al giudice amministrativo, e non anche specificamente quella di cui agli artt. 2932 e 2908 c.c., non può essere di ostacolo a che sia esperibile -e rientri nella giurisdi- zione del giudice amministrativo - un’azione con la qua-
le cui si chieda al giudice amministrativo di pronuncia- re sentenza con gli effetti previsti da questa norma.
Questa non è altro che la conseguenza del principio di effettività.
Nelle controversie rimesse alla giurisdizione esclusiva, infatti, rientra nei poteri del giudice amministrativo erogare ogni forma di tutela giurisdizionale prevista dal- la legge per i diritti soggettivi, senza necessità di alcuna puntuale ricomprensione od esclusione, quanto alla na- tura della tutela, salvo soltanto eventuali specificazioni quanto a tempi e modalità di esercizio.
Pur nell’assenza di una previsione legislativa espressa, infatti, è proprio una tale azione costitutiva a costituire lo strumento idoneo a garantire una protezione adegua- ta ed immediata del diritto nascente dall’obbligo ina- dempiuto.
E sotto questo profilo, va ricordato che, in un quadro normativo sensibile all’esigenza di una piena protezione delle posizioni sostanziali interessate all’azione ammini- strativa e correlate ad un bene della vita, la mancata previsione, nel testo del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, dell’azione ex art. 2932 c.c., non può rappresentare un argomento preclusivo di una tecnica di tutela che trae il suo fondamento dalle norme immediatamente precet- tive dettate dalla Carta costituzionale al fine di garanti- re la piena tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 111 e 113 Cost.).
6. Il caso in esame.
È stato più volte affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (fra le varie S.U. n. 9360/2007) che le conven- zioni o gli atti d’obbligo, eventualmente stipulati fra Comune ed aspiranti alla concessione edilizia, qualora siano imposti come momento necessario del procedi- mento amministrativo, finalizzato al rilascio di tale provvedimento, non hanno specifica autonomia come fonte negoziale di regolamento dei contrapposti interes- si delle parti stipulanti.
Le controversie ad esse relative, che si risolvono in con- troversie attinenti allo stesso provvedimento concesso- rio, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Nel caso in esame, la convenzione formalmente non c’è perché non era prevista dalla L. n. 167 del 1962, artt. 10 e 11, all’epoca in vigore nel testo anteriormente alle modifiche apportate dalla L. n. 904 del 1965 e L. n. 865 del 1971.
La normativa, infatti, prevedeva una semplice assegna- zione da parte della Pubblica Amministrazione.
Il mezzo era la redazione di un apposito verbale da parte di Commissione a tal fine nominata e presieduta dal Sindaco; a questa seguiva poi la sottoscrizione di un at- to d’obbligo.
Ed è ciò che si è verificato nel caso in esame in cui il verbale della Commissione citata L. 22 aprile 1971, ex art. 11 - anteriore quindi alle modifiche apportate dalla
L. n. 865 dell’ottobre di quello stesso anno -; al quale è seguita la sottoscrizione dell’atto d’obbligo “per l’assun- zione degli oneri di urbanizzazione e della cessione gra- tuita di aree stradali e di servizi”.
Atto d’obbligo ribadito nel verbale del 13 giugno 1990 sottoscritto da entrambe le parti: privato e Pubblica Amministrazione.
È, quindi, di tutta evidenza che gli atti d’obbligo, quali atti inseriti nel procedimento amministrativo, risultano step necessari al suo completamento ed, ai sensi della L.
n. 241 del 1990, art. 11 comma 5, trovano titolo pro- prio negli accordi che sostituiscono od integrano i prov- vedimenti amministrativi; indipendentemente dal ruolo che vi svolge la Pubblica Amministrazione (attrice o convenuta).
Di fronte al mancato spontaneo adempimento dell’ob- bligazione di contrarre, in conclusione, si versa in una controversia in materia di conclusione ed esecuzione di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento am- ministrativo.
Materia, questa, di giurisdizione esclusiva - (art. 7, com- ma 1. e art. 133, comma 1, lett. a), n. 2) c.p.a. ed L. n. 241 del 1990, artt. 11, 3 e 7).
All’affermazione che si tratta di giurisdizione esclusiva, segue quale corollario indefettibile il riconoscimento al suo giudice naturale della tutela di tutte le situazioni giuridiche sottoposte al suo esame al fine di tutelare in concreto l’interesse sostanziale della parte.
6.1. Tuttavia, anche attraverso altro percorso argomen- tativo potrebbe giungersi all’affermazione della esperibi- lità dello strumento della esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto nel giudizio am- ministrativo.
Infatti, una volta appurato che si tratti di controversie in materia di accordi integrativi o sostitutivi del prov- vedimento, ovvero in materia di accordi fra pubbliche amministrazioni (in materia di urbanistica, edilizia ed espropriazione per pubblica utilità), può utilizzarsi il ri- chiamo operato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11, comma 2 e art. 15, comma 2, ove non diversamente previsto, ai “principi del codice civile in materia di ob- bligazioni e contratti in quanto compatibili”, tra i quali, ricomprendere, attraverso le norme degli artt. 1176, 1218, 1337 e 1375 c.c., anche la fattispecie costitutiva di cui all’art. 2932 c.c.
6.2. Le conclusioni cui si è giunti, e le ragioni che le hanno giustificate, rendono manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata dagli attuali ri- correnti con riferimento al “plesso normativo costituito dagli artt. 4, 7, 29, 30, 31, 112 c.p.a. e ss., per violazione degli artt. 25, 76, 103 e 113 Cost., sotto il parametro della violazione del principio di necessità della riserva di legge da un lato ... e dall’altro la violazione dell’art. 76 Cost., per eccesso di delega legislativa”.
Sotto il primo profilo è sufficiente osservare che per ri- serva di legge non si intende riserva testuale della legge, secondo una concezione veteropositivista compendiata nel brocardo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
Invero, la riserva di legge è salvaguardata anche nel ca- so in cui dalla disposizione normativa è possibile estrar- re in via interpretativa - utilizzando tutti i canoni erme- neutici indicati dall’art. 12 preleggi - una norma.
Ed è esattamente quello che è avvenuto nella materia in esame.
Sotto il secondo profilo, poi, vale rilevare che tra le fi- nalità della delega quali riconosciute dalla L. n. 69 del 2009, art. 44, vi è quella di prevedere la concentrazione delle tutele e, tra i principali criteri di delega di ordine generale, emerge l’esigenza di assicurare la snellezza e l’effettività della stessa tutela - e quindi una molteplici-
tà di forme di tutela -, anche in funzione di una durata ragionevole del processo.
Principi questi mutuati proprio dalla Carta Costituzio- nale.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
La complessità delle questioni trattate giustifica la com- pensazione delle spese fra le parti.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxx
La sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione 9 marzo 2015, n. 4683, emessa in sede di impugnazione di una sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per motivi di giurisdizione, ai sensi degli artt. 360 e 362, comma 1, c.p.c., si segnala in quanto conferma l’esperibilità dinanzi il Giudice amministrativo dell’azione di esecuzione in forma speci- fica dell’obbligo di concludere un contratto, prevista dall’art. 2932 c.c. Inoltre, superando il limi- te della “tipicità” delle azioni per come enumerate nel codice del processo, afferma che nelle controversie che rientrano nella sua giurisdizione esclusiva il Giudice amministrativo, per garan- tire il principio di effettività (costituzionalmente garantito), può concedere ogni forma di tutela giurisdizionale prevista dalla legge per i diritti soggettivi, e dunque può esercitare le medesime azioni che spettano al Giudice ordinario. Sotto altro profilo, per le Sezioni Unite gli accordi o convenzioni stipulate tra P.A. e privati che prevedono il trasferimento di proprietà di beni inseriti in un procedimento concessorio o di attuazione di uno strumento urbanistico, non hanno auto- nomia negoziale ma costituiscono una parte del complesso procedimento amministrativo e, dunque, rientrano nella giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.
Effettività della tutela innanzi al Giudice degli interessi
La sentenza in commento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione si segnala per aver chiarito, in via definitiva, che dinanzi il Giu- dice amministrativo si può, nell’ambito della giuri- sdizione esclusiva e per garantire il principio di ef- fettività, proporre qualsiasi azione idonea a tutelare il diritto ritenuto leso, al di là della espressa previ- sione del codice del processo amministrativo. In particolare, l’Organo deputato a regolare la giuri- sdizione ha confermato la coraggiosa apertura com- piuta dal Giudice amministrativo con la decisione dell’Adunanza Plenaria 20 luglio 2012, n. 28 (1), che ha ritenuto proponibile, nel processo ammini- strativo, l’azione di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto, prevista dall’art. 2932 c.c.; ma la pronuncia delle Sezioni Unite, come si vedrà, apre nuovi scenari per il Giudice della legittimità ed è, quindi, di rilevante significato in chiave di “politica” giudiziaria. Par- tendo dalla possibilità di esperire l’azione di esecu-
zione specifica le Sezioni Unite concludono che “… Nelle controversie rimesse alla giurisdizione esclu- siva…rientra nei poteri del giudice amministrativo ero- gare ogni forma di tutela giurisdizionale prevista dalla legge per i diritti soggettivi, senza necessità di alcuna puntuale ricomprensione od esclusione … (n.d.r.: nel c.p.a.)”.
Si spera, adesso, che tale sentenza serva a supe- rare tutte le timidezze del Giudice amministrativo sull’utilizzo dei poteri e degli strumenti riconosciuti al Giudice ordinario e sull’ammissibilità delle azio- ni previste a tutela dei diritti soggettivi, ivi com- presa l’azione costitutiva di cui all’art. 2908 c.c.
I fatti sottesi alla pronuncia
Con la sentenza 9 marzo 2015, n. 4683, emessa su ricorso ex artt. 360 e 362, comma 1, c.p.c. per motivi di giurisdizione, le Sezioni Unite della Cor- te di Cassazione hanno affermato la esperibilità, nel processo amministrativo, dello strumento del- l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di con- cludere un contratto, previsto dall’art. 2932 c.c., e
(1) In Foro amm. CDS, 2012, 7/8, 1806.
delineato in amplius i poteri del G.A. nell’esercizio della giurisdizione esclusiva ad esso attribuita dalla Costituzione e dal codice del processo amministra- tivo (D.Lgs. n. 104/2010).
È utile una sommaria disamina dei presupposti di fatto sottesi alla sentenza della Suprema Corte.
La Società ricorrente aveva avuto in assegnazio- ne, anche a mezzo di esproprio, alcuni suoli per l’e- dificazione e l’urbanizzazione di aree incluse in un piano urbanistico esecutivo (piano di zona, poi og- getto anche di variante) nel Comune di Roma. Con la sottoscrizione dell’atto d’obbligo, ed in cambio dei diritti edificatori, la Società aveva con- venuto la successiva cessione gratuita, in favore dell’Amministrazione, di alcune aree per la realiz- zazione delle opere di urbanizzazione primaria e se- condaria.
Non essendosi completato il trasferimento di tutte le proprietà, come previsto dalla convenzio- ne, l’allora Amministrazione comunale di Roma si è rivolta al T.A.R. per il Lazio chiedendo: l’autoriz- zazione all’immissione nel possesso delle aree og- getto dell’atto d’obbligo; il conseguente accerta- mento dell’inadempimento da parte del Consorzio; e, soprattutto, l’emanazione di una sentenza ex art. 2932 c.c. per il trasferimento a titolo gratuito della proprietà delle aree oggetto dell’attività negoziata.
Il Consorzio resistente, tra l’altro e per quanto qui di interesse, ha eccepito il difetto di giurisdizio- ne del Giudice amministrativo.
Il Giudice di primo grado, con sentenza non de- finitiva 24 novembre 2011, n. 9227 (2), ha accolto il ricorso dichiarando la giurisdizione amministrati- va sul presupposto che, vertendosi sulla realizzazio- ne di un programma edificatorio, l’atto d’obbligo che prevedeva la cessione delle aree in favore del Comune doveva considerarsi parte del procedi- mento di attuazione e realizzazione dello strumento urbanistico e, dunque, rientrante nei casi previsti dall’art. 133 del c.p.a. Il T.A.R., per le medesime ragioni, ha ritenuto di spettanza del G.A. anche l’azione ex art. 2932 c.c., previo accertamento del diritto del ricorrente di acquisire in proprietà le aree in contestazione. Nel merito, pur dichiarando fondate le ragioni dell’Amministrazione, ha dispo-
sto incombenti istruttori per la precisa individua- zione delle aree da trasferire.
Il Consorzio ha tempestivamente impugnato la sentenza parziale del T.A.R. Lazio dinanzi il Consi- glio di Stato ed ha chiesto il deferimento all’Adu- nanza Plenaria sul difetto di giurisdizione e sulla proponibilità dell’azione di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c. innanzi al Giudice amministrativo.
L’Adunanza Plenaria, con sentenza 20 luglio 2012, n. 28 ha rigettato l’appello confermando sia la giurisdizione sia l’esperibilità dell’azione prevista dal codice civile, formulando il seguente principio di diritto:
“Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia concernente l’osser- vanza degli obblighi assunti dal privato nei con- fronti dell’ente locale, in connessione con l’asse- gnazione di aree comprese in un piano di zona, volti alla realizzazione di opere di urbanizzazione ed alla cessione gratuita all’ente delle aree stradali e dei servizi, In tale ambito è esperibile dinanzi a detto giudice l’azione di cui all’art. 2932 c.c.” (3).
In particolare, partendo dall’assunto secondo cui il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. si può propor- re “… anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo possa sorgere” (4), l’Adunanza Plenaria ha condivi- sibilmente concluso che la vicenda ricade “…in una ipotesi di giurisdizione esclusiva la quale, là dove vengano in discussione questioni su diritti, come è per l’appunto nel caso in esame, non può che garantire agli interessati la medesima tutela e, dunque, le medesime specie di azioni riconosciute dinanzi al giudice ordinario”.
Particolarmente interessanti e, dunque, merite- voli di segnalazione, sono anche le argomentazioni utilizzate per superare l’eccezione di specialità del- l’azione ex art. 2932 c.c. Per l’Adunanza Plenaria, infatti, la natura mista, cognitiva ed esecutiva del- l’azione di esecuzione specifica “… derogatoria per- tanto della normale separazione tra azione cognito- ria e azione esecutiva … non la rende incompatibi- le … con la struttura del processo amministrativo
(2) In xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.
(3) Nello stesso senso si veda Cons. Stato, Sez. IV, 24 aprile 2013, n. 2316, in Foro amm. CDS, 2013, 4, 935.
(4) Richiamando Cass., Sez. II, 30 marzo 2012, n. 5160, in Mass. Giust. civ., 2012, 3, 425, che ha ritenuto il rimedio appli- cabile anche per ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto e, dunque, “… non solo nelle ipotesi
di contratto preliminare non seguito da quello definitivo”; così come, per la Suprema Corte, “in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasfe- rimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un ne- gozio unilaterale, sia in relazione ad un atto o fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege” (Xxxx., Sez. I, 27 novem- bre 2012, n. 20977, in Mass. Giust. civ., 2012, 11, 1336).
come delineato dal relativo codice, tanto più che, da un lato, non solo è espressamente prevista un’a- zione (di ottemperanza), anch’essa caratterizzata dalla coesistenza in capo al giudice di poteri di co- gnizione ed esecuzione insieme e, d’altro lato, non può neppure sostenersi la tesi di una eventuale ‘ti- picità’ delle azioni proponibili nel processo ammi- nistrativo, tipicità che sarebbe in stridente ed inammissibile contrasto, oltre che con i fondamen- tali principi di pienezza ed effettività della tutela, ex art. 1 c.p.a., con la stessa previsione dell’art. 24 della Costituzione”.
La sentenza delle Sezioni Unite e primi spunti
Le Sezioni Unite, ripercorrendo gli orientamenti in materia del Giudice amministrativo e di quello ordinario, hanno statuito che nella giurisdizione amministrativa esclusiva trova applicazione il rime- dio previsto dall’art. 2932 c.c. e che, quindi, è am- missibile l’azione di esecuzione specifica di un atto d’obbligo non adempiuto assunto dal privato verso la Pubblica Amministrazione.
La motivazione merita di essere commentata. La Suprema Corte ha:
- dapprima, evidenziato che l’Adunanza Plenaria ha qualificato l’atto d’obbligo stipulato tra il Con- sorzio ed il Comune di Roma non come un atto meramente privatistico, ma come un atto necessa- rio a conferire efficacia all’assegnazione dei suoli, segmento del più complesso procedimento di attua- zione di uno strumento urbanistico esecutivo (5);
- poi, affermato la compatibilità dell’azione ex art. 2932 c.c., mista di esecuzione e cognizione, con la struttura del processo amministrativo; sia per la presenza di tali caratteristiche nell’azione di ottemperanza, sia, soprattutto, perché ritenere tipi- che e nominate le azioni proponibili dinanzi il
G.A. significherebbe violare il principio di effetti- vità e pienezza della tutela previsti dall’art. 24 Cost. e dall’art. 1 c.p.a. (6);
- successivamente, ha evidenziato come l’esecu- zione forzata in forma specifica nei confronti della
P.A. sia azionabile dinanzi il Giudice ordinario so- lo nei casi di “… attività privatistica ed ai compor- tamenti meramente materiali”.
Quanto alla pienezza della tutela nella giurisdi- zione amministrativa esclusiva le Sezioni Unite hanno, con condivisibile argomentazione, eviden- ziato che “alla tutela dei diritti non può che rico- noscersi la stessa intensità di protezione garantita davanti al giudice ordinario; il che vuol dire, quin- di, le medesime azioni”.
Ciò significa che nell’ambito della giurisdizione esclusiva il G.A. conosce di ogni controversia, qualunque sia la posizione delle parti, può esercita- re le stesse azioni esperibili dinanzi il Giudice ordi- nario, è giudice del rapporto e può sindacare il po- tere amministrativo.
In altri termini, con le parole della Suprema Corte: “il riconoscimento al giudice amministrati- vo provvisto di giurisdizione esclusiva, dello stru- mento dell’esecuzione in forma specifica dell’obbli- go di contrarre è allora finalizzato alla realizzazio- ne:
a) del principio di effettività della tutela giuri- sdizionale (art. 1 c.p.a.);
b) del principio del giusto processo (art. 2 c.p.a.);
c) dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamenta- li dell’Unione Europea …”.
Non è di ostacolo, e non è quindi rilevante, la mancata specifica previsione dell’azione costitutiva nel codice del processo amministrativo, non vio- landosi, nella specie, il principio di tipicità delle azioni.
Per le Sezioni Unite, infatti, “l’effettività della garanzia giurisdizionale può essere assicurata sol- tanto con l’atipicità delle forme di tutela” che tro- va il suo fondamento nelle norme costituzionali (gli artt. 24, 103, 111 e 113).
Da qui l’importante corollario che definisce (nell’ambito della giurisdizione esclusiva) tutte le problematiche sorte in merito alla mancata enume- razione, nel codice del processo amministrativo, di alcune azioni esperibili dinanzi il G.A.: “Ove le azioni tipizzate, idonee a conseguire statuizioni di- chiarative, di condanna e costitutive, non soddisfa- no in modo efficiente il bisogno di tutela, deve es- sere proponibile ogni altra azione che assicuri tale effet- tività …”.
Per l’effetto, poiché per l’art. 7 del D.Lgs. n. 104/2010 il principio di effettività è garantito dalla
(5) Peraltro è pacifica la giurisprudenza nel ritenere che le convenzioni o gli atti d’obbligo sottoscritti per il rilascio dei ti- toli edilizi autorizzatori non rivestono carattere di autonoma fonte negoziale ma sono parte del complesso procedimento amministrativo. In merito, SS.UU. civili, 20 aprile 2007, n. 9360, in Guida dir., 2007, 28, 43; Cons. Stato, Sez. IV, 7 no-
vembre 2014, n. 5499, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx;
T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 1° ottobre 2014, n. 1097, in Foro amm., 2014, 10, 2639.
(6) Nello stesso senso, Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15, in
Foro amm. CDS, 2011, 7/8, 2309.
concentrazione in capo al medesimo organo giuri- sdizionale di ogni forma di tutela, nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva vanno proposte al Giu- dice amministrativo le azioni previste dagli artt. 2932 e 2908 c.c.
Pertanto, poiché nella vicenda all’esame della Suprema Corte l’accordo tra P.A. ed il Consorzio (soggetto attuatore di una convenzione urbanisti- ca) prevedeva il trasferimento della proprietà di ce- spiti immobiliari, la specifica azione costitutiva de- ve essere correttamente proposta dinanzi al Giudi- ce amministrativo (e ciò anche in considerazione del fatto che la disciplina degli accordi e delle con- venzioni ex artt. 11 della L. n. 241/1990 e 133, comma 1, lett. a, c.p.a., ricade nella sua giurisdizio- ne esclusiva).
Non altrettanto convincente, invece, è l’ulterio- re argomentazione utilizzata per giustificare a fortio- ri l’esperibilità del giudizio di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere un contratto nel processo amministrativo.
Per le Sezioni Unite, infatti, alle medesime con- clusioni si potrebbe arrivare con il richiamo degli artt. 11, comma 2, e 15, comma 2, L. n. 241/1990 in materia di accordi, ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti.
Xxxxxx, a prescindere dalla circostanza che per le norme richiamate i principi civilistici sono rite- xxxx applicabili “in quanto compatibili”, tali dispo- sizioni hanno natura sostanziale e non processuale; e dunque, non pare autonomamente sostenibile la conclusione raggiunta (la compatibilità, in altri termini, si desume chiaramente come corollario del più condivisibile ragionamento seguito nella motivazione principale della sentenza in commen- to).
L’azione esecutiva nel dualismo giurisdizionale
Con la sentenza n. 4683/2015 le Sezioni Unite aggiungono una ulteriore nota di chiarezza al com- plesso sistema giurisdizionale vigente, assegnando finalmente al Giudice amministrativo, nel silenzio del legislatore, la pienezza dei poteri nella tutela dei diritti soggettivi; garantendo, in tal modo, l’ef- fettività della tutela nella giurisdizione esclusiva.
È principio ormai quieto che nell’attuale sistema duale, delineato con precisione e ritenuto costitu- zionalmente rilevante dal Giudice delle leggi (con la nota sentenza 6 luglio 2004, n. 204 (7)), la giuri- sdizione si determina in relazione al petitum sostan- ziale che non esprime solo la specifica pronuncia oggetto della domanda ma, in particolare e soprat- tutto, la natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuata rispetto ai fatti allegati al rapporto giuridico di cui sono rappresentazione (8). Ed è altrettanto pacifico che il legislatore ha un ampia potestà discrezionale nella disciplina degli istituti processuali e della razionale previsione dei mezzi di tutela.
L’art. 1 del codice del processo amministrativo indica tra i principi generali, l’effettività della tute- la, la parità delle parti, il contraddittorio, il giusto processo e la sua ragionevole durata anche se poi, nel corpo del testo, non illustra compiutamente tutte le azioni necessarie a garantirne la tutela con- creta. L’ordinamento assicura quindi la salvaguar- dia dei diritti e degli interessi legittimi e tocca alle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, comeè avvenuto nel caso in commento, determi- nare nello specifico il giudice munito di giurisdizio- ne e delinearne i poteri. È poi pacifico che anche il processo amministrativo è regolato dal principio della domanda e che la tutela dell’interesse pubbli- co si deve realizzare col minore sacrificio possibile delle situazioni soggettive, il che vuol dire che le stesse sono comprimibili sempre che tanto sia effet- tivamente necessario ed indispensabile per conse- guire il fine programmato. È questo il principio di proporzionalità.
Il soggetto pubblico, in breve, effettua le sue scelte valutando e bilanciando i vari interessi com- presenti nella singola fattispecie e, per non aggra- vare il procedimento, è tenuto a ben misurare la compatibilità tra il fatto in questione e la sua disci- plina normativa ricorrendo, se necessario, al cd. soccorso istruttorio onde disporre di ogni elemento utile per l’adozione del provvedimento tenendo presente che anche il legislatore segue con maggio- re decisione la certezza dei tempi dell’azione ammi- nistrativa, sicché il termine di conclusione è adesso un elemento essenziale del procedimento (9).
(7) In Dir. proc. amm., 2005, 214.
(8) Cass., SS.UU., ord. 30 ottobre 2014 n. 23067, in questa
Rivista, 2015, 273. Per il Giudice delle leggi (23 giugno 2014,
n. 182, in Foro amm., 2014, 10, 2482) la scelta processuale di concentrare presso un unico giudice particolari controversie trova fondamento nel potere del legislatore di disciplinare le
forme di tutela giurisdizionale.
(9) In particolare, si vedano le disposizioni introdotte nella
L. n. 241/1990 dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, conv. in L. 4 apri- le 2012, n. 35. Il tempo è, ormai, un bene della vita e il ritardo nella definizione del procedimento rappresenta sempre un co- sto a carico dell’interessato; così Cons. Stato, Sez. V, 10 feb-
Orbene, dopo le aperture dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, è ius receptum che anche nella giurisdizione amministrativa esclusiva è pro- ponibile l’azione di esecuzione specifica dell’obbli- go di contrarre, ai sensi dell’art. 2932 c.c., appunto, per realizzare i principi costituzionali e comunitari di tutela delle situazioni soggettive, con una sen- tenza che produce gli effetti della obbligazione ina- dempiuta.
Con la detta azione costitutiva si garantisce, per- tanto, la tempestività ed effettività, nonché la con- centrazione degli istituti processuali a tutela degli aventi diritto.
Sotto altro aspetto, la pronuncia in commento delle Sezioni Unite civili merita attenzione anche perché supera la esclusività di tutela delle azioni ti- pizzate riconoscendo utile, a tal fine, ogni altra azione idonea ad assicurare la effettività ai sensi dell’art. 1 c.p.a. e, così, l’azione risarcitoria, di rein- tegra, di esatto adempimento, di condanna all’ado- zione dell’atto amministrativo richiesto, ossia pro- nunce dichiarative, costitutive e di condanna (ov- viamente nell’ambito della giurisdizione esclusiva ed a tutela dei diritti soggettivi).
Sul punto può evidenziarsi come il Giudice am- ministrativo abbia, in parte, già ampliato la propria sfera di azione, interpretando le disposizioni del D.Lgs. n. 104/2010 alla luce dei principi generali, riferendosi sempre più ai mezzi di tutela ed alle re- gole previste per il processo civile. A conferma di tanto, si segnala una pronuncia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia- na (10) per cui, nell’ambito della giurisdizione esclusiva, ed a tutela dei diritti soggettivi, trova piena applicazione il principio probatorio previsto dall’art. 2697 c.c., secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. Dunque, il sistema dispositivo con metodo acquisitivo, tipico del pro- cesso amministrativo (art. 63 c.p.a.) e l’obbligo del “principio di prova”, “… resta necessariamente li- mitato alla giurisdizione generale di legittimità ov-
vero alla giurisdizione esclusiva ove si faccia valere un interesse legittimo”.
Per vero, per il Consiglio di Stato (11) è altresì ammissibile l’azione generale di accertamento qua- le tecnica di tutela che trova fondamento nella Costituzione (artt. 24, 103, 113) a garanzia della piena e completa protezione dell’interesse legittimo e nell’art. 34, comma 2, c.p.a. (12), in base al quale l’azione costitutiva di annullamento, se divenuta non più utile può convertirsi in una azione dichia- rativa di accertamento della illegittimità da far va- lere nel giudizio risarcitorio, tenendo conto che nell’azione di annullamento la causa petendi è l’ille- gittimità e il petitum la caducazione dell’atto impu- gnato, mentre nella domanda di risarcimento la causa petendi è l’illiceità del fatto e il petitum la condanna al risarcimento in forma generica o spe- cifica, disposto su ordine del Giudice.
Un ulteriore passaggio significativo della senten-
za è poi relativo alle convenzioni o atti di obbligo stipulati tra Comune e gli interessati alla conces- sione, atti che se richiesti come articolazioni ne- cessarie del procedimento di rilascio non hanno specifica autonomia come regole dei contrapposti interessi in gioco e sono sindacabili in sede di giu- risdizione esclusiva.
Siffatti atti di obbligo sono ritenuti passi neces- sari al completamento del procedimento e, ai sensi dell’art. 11, comma 5, L. n. 241/1990, conseguono agli accordi integrativi o sostitutivi (13) del prov- vedimento. Si tratta, rispettivamente, di intese en- doprocedimentali che sostanziano il contenuto del- l’atto discrezionale o, viceversa, lo rendono super- fluo il che conferma il rilievo che l’ordinamento attribuisce al soggetto privato.
Per altro verso, la cura dell’interesse pubblico è assicurata dalla preventiva risoluzione dell’autorità competente che ne valuta la convenienza e la fatti- bilità (14).
In ogni caso è pacifico che spetta al Giudice am- ministrativo assicurare una tutela piena ed effettiva e a tanto si perviene, aggiungono le Sezioni Unite
xxxxx 2015, n. 675, in D&G, 2015; 28 febbraio 2011, n. 1271,
in Foro amm. CDS, 2011, 2, 480.
(10) Sez. giur., 4 settembre 2014, n. 517, in Foro amm., 2014, 9, 2341.
(11) Ad. Plen., 29 luglio 2011, n. 15, cit.
(12) Come è ben noto si tratta di posizione sostanziale cor- relata ad un interesse materiale ad un bene della vita toccato dall’esercizio del potere della P.A. Ne segue che la domanda risarcitoria, che prescinde dalla eliminazione degli effetti pro- dotti dall’atto, è autonoma rispetto all’azione impugnatoria. È poi da aggiungere che per il codice del processo amministrati- vo la condotta del danneggiato, contraria al principio di buona fede e diligenza, preclude il risarcimento dei danni, che con
l’impugnazione dell’atto lesivo si sarebbero potuti evitare. Vi è cioè un obbligo cooperativo del creditore.
(13) Quale accordo sostitutivo si può ricordare l’accordo di cessione con gli effetti del decreto di esproprio ex art. 45 del
d.P.R. n. 327/2001. Nell’accordo integrativo il contenuto dispo- sitivo del provvedimento è frutto dell’intesa tra P.A. e soggetto interessato. Come dice X. Xxxxxxx Xxxxxx, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino, 2010, 400, la fattispecie procedimenta- le è definita dal provvedimento ed è questo che produce gli ef- fetti anche se parte del suo contenuto dispositivo deriva da un negozio ed è “coperto” dalla disciplina negoziale.
(14) Gli accordi, a pena di nullità, sono stipulati per atto scritto. L’amministrazione può comunque recedere unilateral-
della Suprema Corte di Cassazione, anche seguen- do un diverso tracciato. Ed infatti una volta accer- tato che si tratta di questioni relative ad accordi tra soggetti pubblici in materia di edilizia, urbani- stica ed espropriazioni per pubblica utilità, può uti- lizzarsi il richiamo che fanno gli artt. 11, comma 2, e 15, comma 2, L. n. 241/1990 ai principi del codi- ce civile in materia di obbligazioni e contratti, tra cui appunto l’art. 2932 che costituisce un’azione specifica rispetto a quella più generale enunciata nell’art. 2908 c.c.
Da ultimo, le Sezioni Unite nel ritenere infon- data l’eccezione di costituzionalità sollevata per va- ri profili avverso alcune disposizioni del codice del processo amministrativo, hanno avuto modo di
chiarire che per riserva di legge non si intende ri- serva testuale della stessa, bensì, che dalla disposi- zione normativa è possibile trarre in via interpreta- tiva una norma, secondo l’art. 12 delle preleggi e che la finalità della delega prevista dall’art. 44 del- la L. n. 69/2009 è quella di assicurare la snellezza e la effettività della tutela e, quindi, una molteplicità di forme anche in funzione della durata ragionevo- le del processo.
È questo in realtà il problema della giustizia nel suo insieme, la tempestività della risposta e la chia- rezza delle regole, ossia la sua diretta ed immediata comprensione, che spesso risulta compromessa pro- prio da norme incomplete o, quantomeno, non im- mediatamente intelligibili.
mente dagli stessi per sopravvenuti motivi di pubblico interes- se corrispondendo peraltro un indennizzo per gli eventuali pre- giudizi patiti dal privato. Nell’ampia letteratura v. F.G. Scoca,
Autorità e consenso, in Dir. proc. amm., 2002, 442; X. Xxxxx- gallo - X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxx (a cura di), Gli accordi fra privati e
P.A. e la disciplina generale del contratto, Napoli, 1995.
a cura di Xxxxxxx Xxxxxx
Appalti e lavori pubblici
Insufficienza dell’approvazione ministeriale del contratto per la determinazione di una responsabilità contrattuale della P.A.
Cassazione civile, Sez. I, 15 maggio 2015, n. 10020 - Pres. Salvago - Rel. Mercolino
L’approvazione ministeriale, alla quale l’art. 19 del R.D.
n. 2440/1923 subordina l’efficacia dei contratti conclusi dalla P.A., non comporta l’insorgere di una responsabili- tà contrattuale per la P.A. e si distingue dal provvedi- mento con cui sia stato preventivamente autorizzato l’impegno di spesa: quest’ultimo, come si evince dal- l’art. 104, comma 2, R.D. n. 827/1924, è indispensabile per l’approvazione ma non ne esaurisce la funzione, ri- guardando esclusivamente lo stanziamento dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera e non esten- dendo i propri effetti né al riscontro della regolarità del procedimento seguito per l’affidamento dei lavori né al- la valutazione della convenienza del programma nego- ziale concordato, che costituiscono oggetto del control- lo successivo: sotto questo profilo, esso può costituire elemento da ponderare ai fini valutativi di una respon- sabilità extracontrattuale dell’Amministrazione stessa.
Un’ATI convenne in giudizio il Ministero dei ll.p. e il Provve- ditorato regionale alle oo. pp. del Lazio, per sentir pronun- ciare la risoluzione per inadempimento del contratto d’ap- palto avente a oggetto la progettazione esecutiva di un sot- topasso, nonché la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, nonché per sentir accertare - in via subordinata - la responsabilità precontrattuale dei convenuti con la loro condanna al risarcimento dei danni.
A sostegno della domanda, espose che il progetto esecuti- vo - nella versione definitiva risultante dalle modifiche in- trodotte a seguito del ritrovamento di reperti archeologici che avevano imposto l’ubicazione dell’opera a quota infe- riore a quella in origine progettata - era stato completato nel termine previsto e integrato secondo le prescrizioni im- partite dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e tra- smesso al Provveditorato regionale. Quest’ultimo, tuttavia, non aveva proceduto all’approvazione, essendo nel frat- tempo intervenuto un provvedimento della Commissione per Roma Capitale con cui era stato disposto il definanzia- mento dell’opera progettata, a seguito del quale il Provve- ditorato aveva manifestato la volontà di non dare esecuzio- ne al contratto, predisponendo la chiusura contabile dei la- vori relativi agli scavi archeologici eseguiti.
Costituitisi in giudizio, Ministero e Provveditorato eccepiro- no, tra l’altro, il loro difetto di legittimazione passiva. Fu autorizzata la chiamata in causa del Comune di Roma, nei confronti del quale l’attrice propose, in xxx xxxxxxxxxxx, xx medesime domande avanzate nei confronti dei convenuti. Il Tribunale di Roma dichiarò il difetto di legittimazione pas- siva del Comune e accolse la domanda proposta verso il Ministero, dichiarando - in accoglimento della domanda
principale - il contratto risolto per inadempimento dello stesso e condannandolo al pagamento del relativo risarci- mento.
La Corte d’Xxxxxxx accolse il gravame interposto dal Mini- stero, ritenendo che il vincolo contrattuale tra le parti non si fosse perfezionato, non essendo stato dedotto né prova- to che all’aggiudicazione della gara d’appalto avesse fatto seguito l’approvazione del relativo verbale da parte del Mi- nistero, secondo il modulo procedimentale dell’art. 19,
R.D. n. 2440/1923: approvazione che opera come condicio juris sospensiva dell’efficacia del contratto, con la conse- guenza che, in mancanza della stessa, esso non è esegui- bile. Tuttavia, la Corte non mancò di osservare che il com- portamento dell’Amministrazione, la quale ebbe ugualmen- te a pretendere l’adempimento della prestazione, avrebbe dato luogo a responsabilità precontrattuale. Tuttavia, aven- do rilevato che nelle conclusioni della comparsa di costitu- zione in appello l’attrice aveva riprodotto la domanda su- bordinata di accertamento della predetta responsabilità, la Corte ha ravvisato nella mera riproposizione di tale doman- da un appello incidentale implicito, ammissibile sotto il pro- filo formale ma tardivo perché proposto mediante il deposi- to della comparsa all’udienza di prima comparizione, anzi- ché nel termine fissato per la costituzione del convenuto dall’art. 166 c.p.c., richiamato dall’art. 343, comma 1, c.p.c.
Contro la predetta sentenza, l’ATI ricorre per Cassazione, con ricorso articolato in tre motivi. Resistono le controparti con controricorsi e ricorsi incidentali condizionati.
La Suprema Corte cassa con rinvio la sentenza, ritenendo insussistente una responsabilità d’indole contrattuale ma viceversa configurando una condotta rilevante a fini di re- sponsabilità extracontrattuale.
Quanto all’assenza di una responsabilità contrattuale a ca- rico della P.A., la Cassazione osserva che l’approvazione ministeriale, alla quale l’art. 19, X.X. x. 0000/0000 xxxxxxx- xx l’efficacia dei contratti conclusi dalla P.A. (nonché, nel caso in cui la stipulazione abbia luogo a mezzo di pubblico incanto o licitazione privata, quella degli atti di aggiudica- zione definitiva, che equivalgono ad ogni effetto al contrat- to), si distingue dal provvedimento con cui sia stato pre- ventivamente autorizzato l’impegno di spesa: quest’ultimo, come si evince dall’art. 104, comma 2, R.D. n. 827/1924, è certo indispensabile per l’approvazione ma non ne esauri- sce la funzione, riguardando esclusivamente lo stanzia- mento dei fondi necessari per la realizzazione dell’opera, e non estendendosi né al riscontro della regolarità del proce- dimento seguito per l’affidamento dei lavori né alla valuta- zione della convenienza del programma negoziale concor- dato, che costituiscono oggetto del controllo successivo (cfr. Cass., Sez. I, 4 marzo 1987, n. 2255; Cons. Stato, Sez. IV, 14 luglio 1978, n. 973): correttamente, quindi, la sen- tenza impugnata ha ritenuto inefficace l’aggiudicazione pronunciata in favore della società ricorrente.
Ritiene viceversa la Suprema Corte potersi affermare, in ri- forma della statuizione resa in appello, la sussistenza di una responsabilità precontrattuale, già dedotta in via su- bordinata in primo grado e ivi ritenuta assorbita e, per l’ef-
fetto, non fatta oggetto di formale riproposizione d’appello, per il che tal domanda era stata ritenuta inammissibile dal- la Corte di merito. A tal proposito, la Suprema Corte ribadi- sce la propria costante giurisprudenza a mente della quale per l’utile coltivazione di tal domanda, dichiarata assorbita in primo grado, non era necessario l’appello incidentale, ri- sultando sufficiente la mera riproposizione della domanda nella comparsa di costituzione, ex art. 346 c.p.c., che non prevede alcun termine di decadenza. Questo, perché non può condividersi l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la domanda di risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale già subordinata- mente avanzata in primo grado e assorbita per l’accogli- mento della principale domanda, fondata sulla responsabi- lità contrattuale della P.A., si sarebbe dovuta riproporre nel rispetto del termine di cui all’art. 166 c.p.c., richiamato dal- l’art. 343, comma 1, c.p.c., perché - essendo fondata su un titolo diverso da quello dedotto a sostegno della domanda accolta dalla sentenza impugnata - la sua riproposizione non si configurava come mera reiterazione di un’eccezione ma come un appello incidentale, la cui formulazione, pur potendo essere effettuata in modo implicito, non poteva aver luogo mediante comparsa depositata all’udienza di prima comparizione delle parti. Qualora infatti, come nella specie, il giudice di primo grado abbia accolto la domanda principale senza esaminare quella subordinata, ritenendola assorbita, la parte vittoriosa, non potendo essere ritenuta soccombente in ordine a tale domanda, non è soggetta al- l’onere di proporre impugnazione incidentale per ottenerne l’esame da parte del giudice di appello, ma può limitarsi a richiamarla espressamente in qualsiasi scritto del giudizio di secondo grado, in modo da evitare la presunzione di ri- nuncia prevista dall’art. 346 c.p.c., purché entro l’udienza di precisazione delle conclusioni (Cass., Sez. III, 19 luglio 2005, n. 15223; 19 novembre 2001, n. 14458; Cass., Sez. II, 30 dicembre 2004, n. 24182). Né può considerarsi perti- nente, in senso contrario, il richiamo al precedente giuri- sprudenziale citato nella sentenza impugnata, il quale, nel- l’escludere la possibilità d’invocare in appello la responsa- bilità precontrattuale, in luogo di quella contrattuale pro- spettata a sostegno della pretesa fatta valere in primo gra- do, si riferisce alla diversa ipotesi in cui la predetta doman- da sia stata proposta per la prima volta nel giudizio di se- condo grado, e comunque non si occupa in alcun modo della forma e dei termini in cui essa dev’essere formulata (Cass., Sez. II, 17 marzo 1994, n. 2544).
Tardiva stipulazione del contratto e conseguenze risarcitorie
Cassazione civile, Sez. I, 30 aprile 2015, n. 8842 - Pres. Salvago, Rel. Mercolino
L’art. 10, d.P.R. n. 1063/1962 - come oggi l’art. 11, com- ma 9, D.Lgs. n. 163/2006 - detta una disciplina deroga- toria di quella comune in materia di appalto e che, pur non escludendo la configurabilità del ritardo nella con- segna come inadempimento di un obbligo posto a cari- co dell’Amministrazione committente, vi ricollega effet- ti diversi rispetto a quelli previsti dal diritto comune, in particolare attribuendo all’appaltatore - in luogo del di- ritto di chiedere la risoluzione del contratto - la facoltà di provocare lo scioglimento del rapporto mediante proposizione di un’istanza di recesso e limitando, in ca- so di accoglimento della stessa, il risarcimento del dan- no al rimborso delle sole somme ivi indicate.
Un’impresa convenne in giudizio il proprio committente Istituto autonomo case popolari per sentirlo condannare al risarcimento dei danni cagionati dal ritardo nella consegna dei lavori. A presupposto della propria domanda si assu- meva che - a fronte di un’aggiudicazione del marzo 1989 e d’una sottoscrizione del contratto del marzo 1990 - la con- segna dei lavori (fissata per il marzo 1990) non aveva potu- to aver luogo a causa della sopravvenuta indisponibilità dell’area prescelta. Per questo, non essendo possibile l’ac- quisizione di un’area alternativa ove eseguire le opere, nel gennaio 1991 l’appaltatore aveva dichiarato di voler rece- dere dal contratto chiedendo il rimborso delle spese soste- nute e il risarcimento dei danni subiti.
Costituitasi in giudizio, l’Amministrazione committente evo- cò in giudizio il Comune, nei confronti del quale propose domanda di rivalsa assumendo essere riconducibili alla condotta di questo i fatti determinanti la domanda attorea. Il Tribunale accolse solo parzialmente la domanda, condan- nando lo IACP di una somma ridotta.
La sentenza fu appellata dall’impresa in via principale e dalla committenza in via incidentale, ma entrambi gli ap- pelli furono reietti dalla Corte di merito. Ritenne la Corte che la fattispecie fosse riconducibile all’allora vigente Capi- tolato generale per le opere pubbliche (d.P.R. n. 1063/1962) il cui art. 10, in questa fattispecie, limitava il rimborso alle sole spese derivanti dal recesso iniziale (art. 9 d.P.R., cit.), non potendosi applicare - nel recesso dell’ap- paltatore - l’art. 41 d.P.R. cit., riferibile alla differente ipotesi di scioglimento del contratto per recesso unilaterale del- l’Amministrazione committente.
Fu parimenti esclusa la sussistenza di una genetica respon- sabilità comunale, per non avere il Comune messo a dispo- sizione dell’Istituto autonomo i sedimi sui quali compiere l’intervento: questo, osserva la Corte d’Appello, perché il procedimento non si sarebbe potuto avviare se non a se- guito dell’acquisizione della disponibilità delle aree interes- sate. Per il che, l’unico responsabile per il danno lamenta- to, a giudizio della Corte territoriale, era individuabile dell’I- stituto, il quale aveva avendo indetto la gara d’appalto sep- pur consapevole dell’indisponibilità dell’area.
Contro questa decisione l’appaltatore propone ricorso per Cassazione, al quale resistono le controparti interponendo- si, da parte del solo IACP (divenuto, nelle more, ATER), ri- corso incidentale. La Suprema Corte respinge il ricorso principale e dichiara l’incidentale inammissibile per ragioni di rito (esorbitanti la materia trattata da questa Rivista).
A fondamento del proprio ricorso, l’appaltatore deduce che la Corte di merito - riduttivamente riconducendo la fattispe- cie all’art. 10 d.P.R. cit. - non ha considerato che nel giudi- zio era stato fatto valere un inadempimento di IACP tale da giustificare, oltre alla pronuncia di risoluzione del contratto, la condanna dell’ente al risarcimento dei danni, la quale è una statuizione indipendente rispetto all’esercizio della fa- coltà di recesso dal contratto e per la quale si sarebbe do- vuta statuire una responsabilità risarcitoria. Questo, nella specie, perché l’art. 10 in parola non escluderebbe l’appli- cabilità della disciplina generale dell’inadempimento, limi- tandosi a subordinare la proposizione della domanda alla presentazione dell’istanza di recesso, che - a dir del ricor- rente - ne rappresenterebbe una mera condizione di propo- nibilità.
La Suprema Corte ritiene infondato il motivo, osservando che sin dall’iniziale domanda di primo grado era stata ri- chiesta la condanna al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dell’appalto e il risarcimento dei danni derivati
dalla mancata consegna dei lavori da parte di IACP, a se- guito della quale era stata proposta una istanza di recesso dal contratto, in conformità all’art. 10 del d.P.R. n. 1063/1962. Tale disposizione, osserva il Giudice di legittimi- tà, detta una disciplina speciale e derogatoria di quella co- mune in materia di appalto e che, pur non escludendo la configurabilità del ritardo nella consegna come inadempi- mento di un obbligo posto a carico dell’Amministrazione committente, vi ricollega effetti diversi da quelli previsti dal codice civile. Questo, in particolare, attribuendo all’appalta- tore - in luogo del diritto di chiedere la risoluzione del con- tratto - la facoltà di provocare lo scioglimento del rapporto mediante la proposizione dell’istanza di recesso e limitan- do, in caso di accoglimento dell’istanza, il risarcimento del danno al rimborso delle spese indicate dall’art. 0, x.X.X. x. 0000/0000, xxxxx a quelle sostenute per la stipulazione del contratto e al pagamento delle relative imposte, nonché al- le spese sostenute per l’esecuzione dell’appalto, in misura non superiore a determinate percentuali dell’importo netto dei lavori (cfr. Cass., Sez. I, 5 marzo 2008, n. 5951; 11 no- vembre 2004, n. 21484; 14 aprile 2004, n. 7069).
Osserva la Cassazione che la portata dell’art. 10, d.P.R. n. 1062/1963 porta a escludere la fondatezza della tesi soste- nuta dal ricorrente, secondo cui la predetta disposizione non inciderebbe sulla disciplina generale dell’appalto (che pone a carico del committente la responsabilità per manca- ta o tardata consegna dei lavori) ma si limita a subordinare la risarcibilità del danno subìto all’avvenuta proposizione dell’istanza di recesso. Se pure è vero che la consegna tempestiva dei lavori da parte della P.A. costituisce, al pari di quella effettuata dal committente privato, espressione di quel dovere di leale cooperazione che discende dall’art. 1374 c.c., è anche vero che l’art. 10 in parola regola in mo- do completo i diritti dell’appaltatore. Da un lato, sottraen- dogli la facoltà di scelta tra richiesta d’adempimento e riso- luzione (in funzione dell’interesse pubblico alla sollecita esecuzione del contratto) e, dall’altro, circoscrivendo con precisione gli effetti economici dello scioglimento del rap- porto, sì da consentire all’appaltatore di avanzare l’istanza di recesso sulla base d’una piena cognizione delle sue con- seguenze e alla P.A. di valutare anticipatamente gli effetti del ritardo e l’opportunità di mantenere in vita il rapporto, ovvero di adottare una diversa determinazione in vista del- l’eventuale superamento degli originari limiti di spesa (Cass., Sez. I, 14 aprile 2004, n. 7069).
È quindi errato pretendere l’applicazione del differente ca- none legislativo (art. 41, d.P.R. n. 1063/1962) che, nel de- terminare le modalità di calcolo della percentuale delle opere non eseguite dovuta all’appaltatore in aggiunta al- l’importo dei lavori eseguiti ed al valore dei materiali utili esistenti in cantiere, si riferisce alla sola ipotesi in cui lo scioglimento del contratto abbia avuto luogo ai sensi della
L. n. 2248/all.F/1865 (oggi si veda l’art. 134, D.Lgs. n. 163/2006, Codice dei contratti pubblici) ossia per volontà della P.A.: sicché non è applicabile al caso di mancata o ri- tardata consegna dei lavori.
La dimidiazione dei termini per i riti accelerati non opera nei ricorsi per Cassazione
Cassazione civile, SS.UU., 28 aprile 2015, n. 8568 - Pres. Xxxxxxxxxx - Rel. Chiarini
Non vi è ragione né storica, né letterale, né logica, né si- stematica per ritenere che l’art. 119, comma 3, o l’art. 120, comma 11, D.Lgs. n. 104/2010 - i quali dispongono
l’abbreviazione dei comuni termini processuali, in ragio- ne dei vincoli comunitari volti a garantire un ricorso ef- ficace e più rapido possibile (art. 1, par. 1, comma 3, Dir. 2007/66/CEE, attuati dal D.Lgs. n. 53/2010) in spe- ciali controversie e che indicano i giudizi (appello, revo- cazione, opposizione di terzo) ai quali tale riduzione si applica - determinino la riduzione anche dei termini per l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso civile ordi- nario per Cassazione per motivi di giurisdizione avverso decisioni del Consiglio di Stato in materia di appalti o nelle altre materie di cui all’art. 119 c.p.a.
La questione riguarda un ricorso contro una pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione sicilia- na le cui decisioni, al pari di quelle del Consiglio di Stato, sono per l’ultimo comma dell’art. 111 Cost. impugnabili avanti la Suprema Corte per sole ragioni inerenti la giurisdi- zione.
Qui riassunta per sommi capi, la questione concerneva una gara per appalto di servizi d’importo annuo di 6.900.000 €, IVA esclusa, da aggiudicarsi con criterio dell’offerta econo- micamente più vantaggiosa. Ne sorse questione, avanti il
T.A.R. Sicilia, in ragione del fatto che la P.A. avesse com- putato nel prezzo offerto (e, conseguentemente, nell’attri- buzione dei punteggi) i prezzi comprensivi di IVA - ritenuta dal ricorrente un fattore esogeno al prezzo - senza distin- guere le differenti aliquote proprie di ciascun concorrente. Questo, in particolare, per un operatore che - in ragione della propria natura di Organizzazione non lucrativa di utili- tà sociale (Onlus) - era esente da IVA (art. 10, D.Lgs. n. 460/1997: art. 10, n. 27 ter, d.P.R. n. 633/1972, che preve- dono rispettivamente: “1.- Sono organizzazioni non lucrati- ve di utilità sociale ... le società cooperative i cui statuti prevedono a) lo svolgimento di attività … in uno dei se- guenti settori: 1) assistenza ... socio - sanitaria”; e ancora: “Sono esenti da imposta le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e di malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei mino- ri anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di de- vianza, rese … da enti aventi finalità di assistenza sociale e da Onlus”).
Il T.A.R. rigettò il ricorso con sentenza gravata avanti il
C.G.A. per la Regione Siciliana, che accolse l’appello osser- vando che le due offerte dovessero esser confrontate al netto dell’IVA e che - pur non disconoscendo un orienta- mento interpretativo contrario - era preferibile quello se- condo cui per “esigenze di immediata percezione” nelle procedure di evidenza pubblica il valore degli appalti, e per- ciò dei prezzi proposti dalle imprese partecipanti alla gara, va considerato al netto dell’IVA, poiché tale imposta è una variabile esogena nella formazione dei prezzi del mercato e sfugge al controllo dell’imprenditore, potendo subire varia- zioni anche nel corso del rapporto, e quindi non interferisce con i fattori determinanti l’efficienza produttiva aziendale. Questo, anche al fine di non incentivare meccanismi collu- sivi tra Amministrazioni e imprese concorrenti al fine di elu- dere la normativa fiscale e senza che ciò possa penalizzare la partecipazione delle cooperative alla gara, potendo que- ste beneficiare d’un regime fiscale ridotto in quanto - estra- nee a scopo lucrativo - possono presentare offerte con un utile più basso.
Né, in senso contrario, può giovare la tesi secondo cui la P.A., consumatore finale, non può scaricare l’IVA che, al definitivo, rappresenta un costo: infatti, osserva il C.G.A.,
non tutte le Amministrazioni aggiudicatrici contemplate dall’art. 3, comma 25, del Codice dei contratti non possono scaricare l’IVA e, se la regola di partecipazione alla gara va- riasse in funzione della possibilità del fruitore della presta- zione di scaricare l’IVA, la convenienza dell’offerta sarebbe aleatoria. Soprattutto, conclude il C.G.A., perché conside- rare l’IVA compresa nel costo dell’appalto avrebbe effetti distorsivi della concorrenza in quanto i soggetti esenti, o che beneficiano di regime agevolato, sarebbero preferiti a quelli che sono soggetti al regime ordinario, senza nessun collegamento con il prezzo (ossia il valore dell’appalto, del bene o del servizio offerto, che invece è l’unico parametro per valutare la concorrenzialità dell’offerta, a prescindere dall’esborso finale della stazione appaltante), tant’è vero che anche il Codice dei contratti ha stabilito espressamen- te il “netto di IVA” per determinare la base d’asta (art. 29, comma 1), questo anche alla luce della normativa comuni- taria (Trattato CE, art. 87) che impone il rispetto dei principi di parità e di concorrenza tra le imprese che, sotto qualsiasi forma, esercitano un’attività economica.
In questo contesto, contro la statuizione del Giudice ammi- nistrativo di appello è proposto ricorso per Cassazione de- ducendosi questione di giurisdizione sotto forma di ecces- so di potere giurisdizionale e sconfinamento nella sfera del merito di amministrazione, avendo il G.A. invaso - con la decisione gravata - la sfera riservata all’agire della P.A., mediante l’annullamento dell’offerta e dell’art. 14 del capi- tolato speciale non già per vizi o errori in essa contenuti, bensì applicando un criterio valutativo diverso e soprattutto modificando il criterio generale della valutazione del prezzo base della gara (XXX xxxxxxx) riparametrando il punteggio e financo affermando che sarebbe stata aggiudicataria un’impresa differente e stabilendo il subentro di quest’ulti- ma nel contratto, così sostituendosi alla P.A. anziché rimet- terle gli atti per procedere al rinnovo di quelli viziati.
La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso, non ravvisando gli estremi di violazione del limite di giurisdizio- ne, per ragioni che esorbitano dalla materia del presente Osservatorio civile.
Per quanto qui rilevi, va evidenziato come il Supremo Colle- gio enuclei un principio relativo ai termini entro i quali deve essere proposto ricorso per Cassazione ex artt. 111 Cost. e 110 c.p.a. nelle materie per le quali l’art. 119 c.p.a. fissa un rito accelerato con termini dimidiati per le fasi di giudizio avanti il T.A.R. ed il Consiglio di Stato. La Suprema Corte motiva il proprio orientamento partendo da una indagine storica dell’istituto della dimidiazione dei termini introdotto
- per effetto della novella di cui all’art. 4, L. n. 205/2000 - dall’art. 23 bis della L. n. 1034/1971 nelle controversie ine- renti le procedure d’affidamento di lavori, servizi e fornitu- re.
Analoga previsione è ora contenuta, a portata oggettiva al- largata, agli artt. 119 e 120 c.p.a. (D.Lgs. n. 104/2010) che è attuativo della delega (L. n. 69/2009) al Governo per il riassetto del processo avanti ai T.A.R. e al Consiglio di Sta- to, coordinando le norme vigenti del processo amministra- tivo con quelle del c.p.c., espressione di principi generali. Come nessuna influenza era stata ravvisata per l’art. 23 bis, L. n. 1034/1971 sulla disciplina del ricorso per Cassa- zione per motivi di giurisdizione contro le sentenze di se- condo grado del G.A. nelle controversie inerenti la materia degli appalti, così non vi è ragione - né storica, né letterale, né logica, né sistematica - per ritenere che l’art. 119, com- ma 3, oppure l’art. 120, comma 11, D.Lgs. n. 104/2010 - che dispongono abbreviazione dei termini per i vincoli co-
munitari volti a garantire un ricorso efficace e quanto più rapido possibile (art. 1, par. 1, comma 3, Dir. 2007/66/CEE, attuati dal D.Lgs. n. 53/2010) in speciali controversie e che indicano nominativamente i giudizi (appello, revocazione, opposizione di terzo) ai quali si applica la riduzione dei ter- mini ordinari, determinino tuttavia la riduzione anche dei termini per l’ammissibilità e la procedibilità del ricorso civi- le ordinario per cassazione per motivi di giurisdizione av- verso decisioni del Consiglio di Stato in materia di appalti o nelle altre materie di cui all’art. 119 c.p.a.
Né, ad avviso della Suprema Corte, vi è giustificazione te- leologica per derogare ai fondamentali principi di ugua- glianza nel processo di cassazione e di garanzia di effettiva difesa dell’intimato - il cui richiamo è opera per effetto al
c.d. “rinvio esterno” di cui all’art. 39, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010 a mente del quale: “per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali” - può rinvenirsi nella celerità del rito stabi- lito per la giurisdizione speciale.
La Cassazione fa il punto sul concetto di
“SUBAPPALTO”
Cassazione civile, Sez. I, 16 aprile 2015, n. 7752 - Pres. Salvago - Rel. Lamorgese
L’art. 21, L. n. 646/1982, nel vietare il subappalto non autorizzato, si riferisce esclusivamente a quella partico- lare forma di contratto derivato o subcontratto configu- rabile quando l’appaltatore affidi a un terzo il compi- mento, in tutto o in parte, di lavori relativi “all’opera stessa” o delle attività inerenti “al servizio stesso” che egli si è impegnato a compiere direttamente nei con- fronti del committente pubblico, in armonia con l’e- spressione “compresi nel contratto di appalto” conte- nuta nell’art. 118, D.Lgs. n. 163/2006: sicché non vi è su- bappalto quando l’oggetto del contratto non coincida, nemmeno in parte, con l’oggetto del contratto di appal- to.
Un privato evocò in giudizio un’impresa - mandataria di un’ATI - chiedendone la condanna al pagamento del corri- spettivo dovutogli per l’attuazione dell’incarico, conferito con regolare contratto, di compiere le procedure d’espro- prio necessarie per la realizzazione di un impianto d’irriga- zione per conto di un Consorzio di Bonifica Integrale.
La domanda - inizialmente accolta dal Tribunale - fu respin- ta dalla Corte d’Appello in accoglimento del motivo, propo- sto dall’ATI, per il quale il rapporto sarebbe invalido perché in contrasto con l’art. 21 della L. n. 646/1982, norma impe- rativa che vieta il subappalto di opere e servizi riguardanti la P.A. se non autorizzato. Tale norma, per quanto relativa agli appalti di lavori è stata dalla Corte territoriale ritenuta applicabile anche agli appalti di servizi, quale era quello in- tercorso, in quanto strumentale al rapporto principale tra il Consorzio e l’ATI, appunto inerente un appalto di lavori.
Il professionista ricorre per la cassazione di tale Sentenza, con un ricorso articolato in due motivi che la Suprema Cor- te accoglie cassando con rinvio la sentenza impugnata.
È anzitutto dedotta la falsa applicazione dell’art. 21 della L.
n. 646/1982 applicabile, per il ricorrente, solo agli appalti di lavori, ossia aventi ad oggetto attività di costruzione, de- molizione, recupero e manutenzione di opere e impianti. A conferma di ciò, osserva il ricorrente, l’art. 18 della L. n. 55/1990 (intrinsecamente collegata all’art. 21, L. n. 646
cit.) nel limitare il subappalto, si riferisce esclusivamente a opere e lavori compresi nel contratto principale e ne subor- dina la possibilità alla condizione che il subappaltatore sia in possesso che non possono essere propri di un libero professionista. Infatti, conclude il ricorrente, il contratto con l’ATI ha ad oggetto un’attività libero professionale per svolgimento di rilievi tecnici necessari per le pratiche am- ministrative di occupazione ed espropriazione delle aree occorrenti per la realizzazione dell’impianto di irrigazione. La Suprema Corte condivide la censura, osservando che - al fine di giudicare dell’esistenza in concreto del diritto azionato in giudizio - si deve verificare se la fonte costituti- va (cioè il contratto) sia valido o, come eccepito dall’ATI, contrario alla norma imperativa. Ove esso sia qualificabile non come subappalto di servizi ma in termini diversi (ad esempio, come contratto di mandato o d’opera professio- nale), va esclusa l’applicabilità della norma assunta dalla Corte territoriale a ragione di nullità del contratto (che, in- fatti, riguarda i soli contratti di subappalto) mentre a diver- sa soluzione si dovrebbe pervenire se si trattasse di subap- palto di servizi, in conformità all’orientamento prevalente nella giurisprudenza penale ( Cass. pen., Sez. V, n. 35057/2009) che ripudia un’interpretazione letterale del- l’art. 21, L. n. 646/1982, volta a restringerne la portata ai soli subappalti di opere (orientamento confortato da dispo- sizioni succedutesi alla L. n. 646/1982, quali l’art. 18, com- ma 3, D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157 e l’art. 118 del Codice del codice dei contratti pubblici).
Il problema può essere quindi risolto solo considerando e confrontando l’oggetto dei due contratti (principale e se- condario o derivato).
L’art. 21 della L. n. 646/1982, nel vietare a chiunque abbia in appalto “opere riguardanti la pubblica amministrazione” di concederle in subappalto a terzi “in tutto o in parte” sen- za l’autorizzazione dell’autorità competente, si riferisce esclusivamente a quella particolare forma di contratto deri- vato o subcontratto che è il subappalto (d’opera o servizi che sia), il quale è configurabile quando l’appaltatore affidi a un terzo il compimento, in tutto o in parte, dei lavori rela- tivi “all’opera stessa”, o delle attività inerenti al servizio stesso, che egli si è impegnato a compiere direttamente nei confronti del committente. A conforto di tale conclusio- ne si può rilevare come, in modo analogo per gli appalti dei privati, sia disposto dall’art. 1656 c.c. che vieta all’ap- paltatore di dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente. Del resto, anche per l’art. 118 del Codice dei contratti pub- blici, sono subappaltabili le opere o i lavori, i servizi, le for- niture “compresi nel contratto di appalto” che l’appaltatore è tenuto “ad eseguire in proprio”. Pertanto, non può confi- gurarsi un subappalto quando il suo oggetto non coincida, nemmeno in parte, con l’oggetto del contratto di appalto. Né può rilevare il fatto che il contratto, stipulato dall’appal- tatore con terzi, preveda prestazioni strumentali o accesso- rie a quelle del contratto di appalto, perché ad esempio ne- cessarie per l’esecuzione dell’opera o del servizio cui l’ap- paltatore si è obbligato nei confronti del committente (nel senso che è subappalto solo quello che ha lo stesso ogget- to del contratto di appalto, di cui fa necessariamente parte, non rilevando l’esistenza di prestazioni di natura accessoria e strumentale al contratto principale, cfr. Cass. n. 6481/1990). In tal caso, il divieto previsto dal citato art. 21 è inapplicabile, posto che esso si riferisce esclusivamente ai subappalti di opere o servizi, non a ogni contratto generi- camente derivato, sebbene avente ad oggetto prestazioni
strumentali o accessorie all’opera o al servizio cui l’appalta- tore si è obbligato in proprio nei confronti del committente. Una diversa interpretazione avrebbe l’effetto di limitare ec- cessivamente e ingiustificatamente l’ambito applicativo del subappalto, in contraddizione con la normativa comunitaria che lo ritiene strumento idoneo a favorire la concorrenza (si vedano, in proposto, i consideranda n. 43, Dir. CE n. 17/2004 e n. 32 della dir. CE n. 18/2004, i quali stabiliscono che “per favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, è necessario prevedere disposizioni in materia di subappalto”).
Erroneamente la sentenza impugnata ha qualificato il con- tratto come subappalto di servizi, sul presupposto che l’at- tuazione delle procedure di esproprio costituisse un servi- zio accessorio o strumentale all’esecuzione dell’opera ap- paltata alla stessa impresa, omettendosi di verificare in concreto se l’attività fosse stata prevista come dovuta dal- l’appaltatrice nei confronti del committente sulla base del contratto di appalto e, soprattutto, senza considerare che normalmente il reperimento dell’area necessaria per l’ese- cuzione dell’opera pubblica rappresenta un onere della
P.A. committente, da compiersi mediante espropriazione per pubblica utilità. Per l’adempimento di detto onere (per il quale, peraltro, l’appaltatore non dispone di pubblici po- xxxx) la P.A. committente può stabilire nel capitolato d’ap- palto che sia quest’ultimo a curare il compimento delle procedure di espropriazione in nome e per conto dell’am- ministrazione, a norma dell’art. 324 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F (nonché dell’art. 350, n. 8, R.D. n. 350/1895): a tal fine stipulando un contratto di mandato che accede a quello di appalto (cfr., T.S.A.P., 27 novembre 1995, n. 96) ma che resta logicamente distinto da questo proprio per l’oggetto, come del resto dimostra la formula per cui, qualunque sia l’ampiezza della delega, il compi- mento degli atti della procedura ablativa non può che avve- nire in nome e per conto dell’Amministrazione delegante (così anche l’art. 16, comma 3, D.M. n. 145/2000).
In tal caso, se l’appaltatore intende affidare a un altro sog- getto il compimento delle procedure di esproprio, vi è una coincidenza oggettiva tra il contenuto del primo e del se- condo contratto che è elemento sufficiente per qualificare il secondo non come subappalto di servizi, ma come sub- mandato o contratto d’opera professionale, che in quanto tale è estraneo all’ambito applicativo del divieto previsto per il subappalto dall’art. 21 della L. n. 646/1982. Del resto, la prestazione di servizi avente come base la legge o un contratto di lavoro (o anche d’opera professionale) già esu- lava dal campo d’applicazione della Dir. CEE n. 92/50 sugli appalti di servizi: è una conclusione coerente con la natura giuridica dell’attività commissionata al terzo (che è il com- pimento di atti giuridici, quali sono quelli espropriativi) e con l’ambito contenutistico della categoria degli appalti di servizi, come definito negli allegati alla Dir. CE n. 18/2004 e al D.Lgs. n. 157 del 1995 (art. 3) e X.Xxx. n. 163 del 2006 (art. 3, comma 10) i quali non contengono riferimenti all’at- tività espropriativa.
Sulla scorta di ciò, in accoglimento del primo motivi e con
assorbimento del secondo, la sentenza è xxxxxxx con xxx- xxx.
Edilizia e urbanistica
Natura di Enti pubblici dei Consorzi per le aree di sviluppo industriale e conseguenze sulla giurisdizione in materia di controversie per i pagamento di oneri di urbanizzazione
Cassazione civile, SS.UU., 29 aprile 2015, n. 8619 - Pres. Rovelli - Rel. Di Iasi
Le controversie aventi a oggetto le pretese di pagamen- to di oneri di urbanizzazione da parte di Consorzi per le aree di sviluppo industriale esulano dalla giurisdizione ordinaria per ricadere in quella, esclusiva, del giudice amministrativo, essendo essi qualificabili come “Ammi- nistrazioni pubbliche” in ragione del fatto che l’art. 36 della L. n. 317/1991 li qualifica come enti pubblici eco- nomici.
Sorge controversia tra un Consorzio per lo sviluppo indu- striale e servizi imprese e una società, avente a oggetto la richiesta - da parte del primo - degli oneri di urbanizzazione posti a carico della seconda.
La Corte di merito, in difformità dal primo giudice, ha decli- nato la giurisdizione in favore del G.A., sul rilevo che il Con- sorzio è ente pubblico economico, dotato di poteri autorita- tivi quanto a determinazione di tariffe e oneri a carico degli assegnatari di aree che hanno presentato un progetto ri- scontrato favorevolmente e che, nella specie, la società non si era doluta dell’adozione di un atto in assenza del re- lativo potere bensì del cattivo esercizio di tale potere da parte del Consorzio medesimo, tanto con riguardo al tem- po della richiesta economica (intervenuta dopo l’approva- zione del progetto e non dopo il rilascio del permesso a co- struire) quanto con riferimento all’entità e all’adeguatezza della somma richiesta. Per la Corte territoriale, nella specie doveva in ogni caso ritenersi la giurisdizione esclusiva del
G.A. in quanto il pagamento richiesto riguardava oneri di urbanizzazione.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre il Consorzio e la società resiste con controricorso e ricorso incidentale.
La Suprema Corte respinge il ricorso principale e accoglie l’incidentale.
A fondamento della reiezione, la Cassazione ritiene pacifico che il contributo riguardi essenzialmente opere di urbaniz- zazione realizzate dal Xxxxxxxxx. Sulla scorta di ciò, eviden- zia che la giurisprudenza di legittimità ha sempre ricono- sciuto che la giurisdizione esclusiva (estesa anche alle la- mentate violazioni di diritti soggettivi) attribuita in materia al G.A. sin dall’art. 16 della L. n. 10/1977, riguarda l’intera area delle concessioni edilizie, nella quale rientrano gli one- ri di urbanizzazione posti a carico del destinatario del prov- vedimento amministrativo, affermando pertanto detta giuri- sdizione anche nelle controversie riguardanti la spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, pur se proposte in via di ripetizione di quanto si assuma in- debitamente pagato per tale titolo ovvero in via di opposi- zione contro ingiunzione emessa dal Comune (Cass., SS.UU., nn. 32/2001; 590 3/2003; 22904/200 5;
12114/2009). La giurisdizione esclusiva del G.A. in punto non è venuta meno, osserva la Suprema Corte, per effetto dell’abrogazione del citato art. 16, poiché le norme soprav- venute hanno sempre confermato la tendenziale onnicom- prensività della materia edilizia nell’ambito della giurisdizio-
ne esclusiva del G.A.: a tal proposito, basti osservare l’art. 34 del D.Lgs. n. 80/1998, che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti del- le amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edili- zia, con la precisazione che “la materia urbanistica concer- ne tutti gli aspetti dell’uso del territorio” e, oggi, l’art. 133 c.p.a., secondo il quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche ammi- nistrazioni in materia urbanistica ed edilizia, concernenti tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.
Per effetto di quanto sopra, non può pertanto esservi dub- bio che anche le norme successive alla L. n. 10/1977, rife- rendosi a tutti gli atti e ai provvedimenti (il citato art. 34, pure ai “comportamenti”) delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica e edilizia, ricomprendano nella giuri- sdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le con- troversie aventi a oggetto gli oneri di urbanizzazione.
Occorre tuttavia precisare che la giurisprudenza delle Se- zioni Unite, ora richiamata, riguarda esclusivamente oneri di urbanizzazione richiesti da enti territoriali (principalmente Comuni) e che il citato art. 34 (come del resto l’art. 133 c.p.a.) fa riferimento ad atti, provvedimenti e comporta- menti delle Amministrazioni pubbliche in generale. È per- tanto necessario chiedersi se la suddetta disposizione sia applicabile nell’ipotesi di richiesta di contributo per opere di urbanizzazione realizzate non dal Comune ma da un Consorzio, e, prima ancora, se quest’ultimo sia qualificabile come “Amministrazione pubblica”, soprattutto in conside- razione del fatto che l’art. 36 della L. n. 317/1991 qualifica i Consorzi per le aree di sviluppo industriale come enti pub- blici economici.
In proposito, la Cassazione osserva che i detti Consorzi so- no stati previsti nell’elenco delle Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato, annualmente pubblicato dall’ISTAT in applicazione di quanto stabilito dall’art. 1, comma 2, L. 31 dicembre 2009, n. 196, utilizzan- do criteri per la classificazione di natura statistico - econo- mica. Né va obliterata la definizione di “amministrazioni pubbliche” ricavabile dal X.Xxx. 30 marzo 2001, n. 165 (T.U. Pubblico impiego) il quale all’art. 1, comma 2, com- prende nel novero di esse tutte le Amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità mon- tane nonché i “loro consorzi e associazioni”.
Per tutto quanto sopra, la Cassazione ritiene sussistere la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di oneri di urba- nizzazione anche in relazione alla normativa successiva al- l’art. 16 della L. n. 10/1977, compreso il caso in cui il con- tributo per la realizzazione delle opere di urbanizzazione sia richiesto da un Consorzio per lo sviluppo industriale e non da un Comune.
Circa il momento di verifica della regolarità urbanistica ed edilizia dell’immobile compravenduto
Cassazione civile, Sez. II, 16 aprile 2015, n. 7819 - Pres. Piccialli - Rel. Migliucci
La verifica circa l’adempimento delle obbligazioni poste a carico del promittente venditore va compiuta con rife- rimento al momento della data di conclusione del con- tratto definitivo, anche in relazione alla regolarità urba- nistica dell’immobile, dovendo in quel momento sussi-
stere le condizioni per la commerciabilità del bene pro- messo.
Due privati convennero in Tribunale un altro privato, espo- nendo che quest’ultimo si era impegnato a vendere loro, a un prezzo predeterminato, un’unità immobiliare ricevendo a titolo di caparra la somma di trenta milioni di lire. Que- st’ultimo, di contro, esponeva di aver notificato una diffida
- pena la risoluzione del contratto - al pagamento della somma di 100 milioni di lire a fronte della quale gli attori avevano chiesto chiarimenti circa la conformità del xxxxxx- cato alla normativa vigente, comunicando la loro dichiara- zione di recesso in ragione di talune irregolarità urbanisti- che a loro emerse. Sulla scorta di ciò, chiesero la condanna al pagamento del doppio della caparra versata al venditore. Instauratosi il contraddittorio, parte convenuta eccepiva l’infondatezza della domanda deducendo, fra l’altro, che erano stati gli attori a rendersi inadempienti per non aver effettuato il richiesto pagamento dell’acconto e pertanto chiedeva che, dichiarata l’avvenuta risoluzione del contrat- to, fosse accertato il proprio diritto a trattenere la caparra. Il Tribunale rigettava la domanda, escludendo in particolare l’inadempimento della promittente venditrice al momento d’invio della diffida, posto che nel contratto preliminare era stata prevista la soluzione taluni aspetti inerenti alla situa- zione del fabbricato (sotto il profilo urbanistico e del regime dell’edilizia popolare) entro la data di stipulazione del con- tratto definitivo.
La Corte di appello, in riforma della decisione impugnata, dichiarava legittimo il recesso dal contratto, rigettando le domande proposte dalla convenuta che condannava al pa- gamento del doppio della caparra.
La questione - su iniziativa dell’originaria parte attrice - ap- proda all’esame della Suprema Corte, che accoglie il ricor- so cassando la sentenza con rinvio.
Osserva il Giudice di legittimità che secondo la ricostruzio- ne compiuta dai Giudici del merito, il contratto preliminare, con cui era fissata la data per la conclusione del definitivo, prevedeva ad un’anteriore scadenza l’obbligo - per i pro- missari acquirenti - del versamento della rata di lire 100.000.000 che non venne versata. Pertanto, la promit- tente venditrice inviò xxxxxxx ad adempiere, al quale seguì richiesta da parte degli acquirenti di chiarimenti sulle con- dizioni dell’immobile e, poi, la dichiarazione di recesso da parte degli stessi. La sentenza d’appello ha ritenuto l’ina- dempimento della parte promittente venditrice che nel con- tratto preliminare si era impegnata: a) a riscattare l’immobi- le dal Comune, assumendo che lo stesso sarebbe stato co- struito in base a diritto di superficie; b) a rendere tutte le di- chiarazioni necessarie comprese quelle relative alla regola- xxxx urbanistiche.
Contrariamente a quanto dichiarato nel contratto prelimi- nare, secondo i Giudici, l’immobile era stato costruito su suolo ceduto in piena proprietà e non con concessione del diritto di superficie, per cui sarebbe stata necessaria l’auto- rizzazione del Comune previo pagamento di una somma di denaro e soprattutto l’assunzione da parte degli acquirenti delle obbligazioni di cui alla convenzione da stipulare con il Comune con l’impegno di rispettare le condizioni e le san- zioni che l’Ente avrebbe deliberato: il che emergeva dalla Delibera comunale n. 131/2000, dall’autorizzazione provvi- xxxxx rilasciata alla convenuta nonché dalle obbligazioni as- sunte dai successivi acquirenti con la compravendita suc- cessivamente conclusa dalla convenuta. Inoltre l’immobile presentava irregolarità urbanistiche che la convenuta chie-
deva di sanare soltanto in seguito, rispondendo - alla ri- chiesta di chiarimenti formulata dagli acquirenti - di essersi immediatamente azionata incaricando un tecnico di fidu- cia.
Ciò posto, occorre innanzitutto considerare che gli art. 31, commi 45 e 46, L. n. 448/1998, consentivano la sostituzio- ne della convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 35 della L. n. 865/1971, art. 35 anche con riferimento degli immobili ce- duti in proprietà, di guisa che era possibile giungere alla convenzione disciplinata dall’art. 8, L. n. 10/1977, da stipu- lare con il Comune, previo pagamento del corrispettivo. Pe- raltro, come si è detto, la condizione giuridica dell’immobi- le era stata dichiarata nel preliminare dalla promittente che aveva edotto gli acquirenti della natura dell’immobile pro- messo in vendita e dei relativi vincoli.
Al fine di stabilire l’adempimento delle obbligazioni poste a carico della promittente, osserva la Cassazione che la veri- fica andava compiuta con riferimento al momento della da- ta di conclusione del contratto definitivo, anche in relazione alla regolarità urbanistica dell’immobile, dovendo in quel momento sussistere le condizioni per la commerciabilità del bene promesso. La promittente aveva assicurato le controparti di svolgere le attività necessarie, rendendo le relative dichiarazioni di conformità in sede di stipula del de- finitivo: pertanto, sarebbe stato allora necessario di verifi- care se, al momento del termine di scadenza fissato per la stipula del definitivo, fosse o meno intervenuta la conces- sione in sanatoria degli abusi, alla quale la ricorrente ha fat- to riferimento: tale verifica non è stata in alcun modo com- piuta dai Giudici che, pur dando atto della sanatoria inter- venuta successivamente al recesso dichiarato dai promis- sari acquirenti, si sono soffermati su presunte dissimulazio- ne dello stato di fatto dell’immobile che, come si è detto erano contraddette da quanto risultava dichiarato nel con- tratto preliminare. Ed evidentemente, soltanto all’esito del- la verifica dell’inadempimento di non scarsa importanza della promittente, si sarebbe dovuto accertare, con valuta- zione comparativa, se fosse stato improntato a buona fede il mancato pagamento della rata del prezzo alla scadenza prevista e il recesso dal contratto dichiarato dagli attori.
Per questo motivo, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.
Espropriazione per P.I.
Annullamento degli atti della procedura espropriativa e responsabilità da occupazione
Cassazione civile, Sez. I, 27 aprile 2015, n. 8466 - Pres. Salvago - Rel. Xxxxx
L’annullamento, da parte del giudice amministrativo, degli atti della procedura espropriativa fa sì che l’occu- pazione, anche parziale, di terreni da parte della P.A. as- suma le connotazioni di un illecito permanente, mentre il privato rimane proprietario dei terreni medesimi, sic- ché di questo illecito deve rispondere la pubblica ammi- nistrazione committente, non l’impresa appaltatrice.
La Corte d’Xxxxxxx, in riforma della sentenza di primo gra- do, rigettò la domanda proposta da alcuni privati volta alla condanna di un Comune al risarcimento dei danni cagiona- ti a un fondo di loro proprietà in occasione dell’esecuzione
di opere pubbliche (una scuola e due strade) realizzate su altra porzione finitima dello stesso fondo, contestualmente occupata e già acquisita in precedenza dallo stesso Xxxx- ne convenuto. Ritenne la Corte di merito che la responsabi- lità dei danni lamentati non potesse essere addebitata al Comune committente delle opere, ma all’appaltatore che nel corso dei lavori aveva depositato sul fondo degli attori il materiale risultante dagli sbancamenti, causando una so- praelevazione del piano di campagna e seppellendo una sorgente e una vasca di raccolta dell’acqua.
Contro la sentenza d’appello i privati ricorrono per Cassa- zione, che cassa con rinvio.
Osserva la Suprema Corte che - come risulta dalla stessa sentenza impugnata - il Comune “in forza di decreti prefet- tizi poi annullati dal giudice amministrativo”, aveva occupa- to l’intera estensione di mq. 7.900 del fondo degli attori. Ne consegue che, come dedotto dai ricorrenti, non può ad- debitarsi all’appaltatore l’occupazione della porzione di fon- do non acquisita al patrimonio comunale, benché dal Co- mune contestualmente occupata. Infatti, l’occupazione del- l’intero fondo avvenne in forza di un decreto prefettizio poi annullato, non per iniziativa dell’impresa appaltatrice, alla quale il Comune consegnò l’intera superficie di mq. 7.900 già occupata e che dunque, in ogni caso può considerarsi soltanto corresponsabile dell’illecita opposizione.
Fondatamente pertanto gli attori hanno chiesto la condan- na del Comune alla restituzione del loro fondo ancor abusi- vamente occupato, oltre al risarcimento dei danni derivanti dall’illecita occupazione.
La Corte richiama la propria, in proposito, la propria giuri- sprudenza secondo la quale l’annullamento, da parte del giudice amministrativo, degli atti della procedura espro- priativa fa sì che l’occupazione, anche parziale, di terreni da parte della P.A. assuma le connotazioni di un illecito permanente, mentre il privato rimane proprietario dei terre- ni medesimi” (Cass., Sez. I, 21 giugno 2010, n. 14940) e di questo illecito deve rispondere la pubblica amministrazio- ne, non l’impresa appaltatrice.
Espropriazioni per P.I.
Presupposti per la riduzione del 25%
DELL’INDENNITÀ D’ESPROPRIO PER INTERVENTI ECONOMICO-SOCIALI
Cassazione civile, Sez. I, 23 aprile 2015, n. 8320 - Pres. Forte - Rel. Di Amato
Per la determinazione dell’indennità d’esproprio con ri- duzione del 25% del valore venale del bene in caso d’in- terventi di rilevanza economico-sociale inseriti in un programma di edilizia convenzionata, occorre che l’in- tervento riguardi l’intera collettività o parti di essa geo- graficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca.
Una Corte d’Xxxxxxx, accogliendo l’opposizione alla stima proposta da alcuni privati, determinava l’indennità dovuta agli opponenti per l’espropriazione di un loro terreno inclu- so nel programma costruttivo di edilizia economica e popo- lare, assegnato in proprietà a una cooperativa beneficiaria dell’espropriazione. Osservava altresì la Corte territoriale che il terreno espropriato aveva natura edificabile, perché
inserito in un P.E.E.P. e che l’indennità di espropriazione doveva essere determinata - dopo la dichiarazione di inco- stituzionalità dell’art. 5 bis, commi 1 e 2, D.L. n. 333/1992, e degli artt. 37, commi 1 e 2, d.P.R. n. 327/2007 ad opera di Corte cost. n. 348/2007 - sulla base del valore venale del bene.
Contro tale sentenza il Comune e la cooperativa concessio- naria dei terreni propongono ricorso per Cassazione, che è respinto affermandosi - secondo un indirizzo ormai tralati- zio - che in tema di espropriazione per pubblica utilità, una volta venuto meno per effetto della sentenza Corte cost. n. 348/ 2007, il criterio riduttivo dell’indennizzo di cui all’art. 5 bis, D.L. n. 333/1992, torna nuovamente applicabile (sia per la determinazione dell’indennità di espropriazione che di quella d’occupazione temporanea) il criterio generale del valore venale del bene (art. 39, L. n. 2359/1865) mentre lo ius superveniens costituito dall’art. 2, commi 89 e 90, L. n. 244/2007 si applica solo ai procedimenti espropriativi e non anche ai giudizi in corso (Cass., Sez. I, 8 maggio 2008, n. 11480; Cass., Sez. I, 21 giugno 2010, n. 14939; Cass., Sez. I, 13 agosto 2014, n. 17906). In disparte ciò, aggiunge la Suprema Corte - relativamente alla censura inerente la mancata riduzione del 25% del valore venale del bene, a fi- ni della determinazione dell’indennità d’esproprio, rivesten- do l’intervento presupposti di riforma economico-sociale- che laddove il procedimento sia adottato per realizzare un programma di edilizia convenzionata, detto presupposto deve riguardare l’intera collettività o parti di essa geografi- camente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal sen- so lo definisca, non già un settore limitato del territorio (Cass. 23 febbraio 2012, n. 2774).
Condizioni per la proroga legale dei termini d’occupazione d’urgenza e delle dichiarazioni di p.u.
Cassazione civile, Sez. I, 23 aprile 2015, n. 8315 - Pres. Salvago - Rel. Di Amato
Costituisce sedimentato principio giurisprudenziale quello per cui - in deroga alla regola dell’indipendenza dei termini della dichiarazione di p.u. da quelli indicati nel decreto di occupazione temporanea - i termini delle occupazioni d’urgenza e delle dichiarazioni di pubblica utilità in corso alla data di entrata in vigore delle LL. 1° marzo 1985, n. 42, 29 febbraio 1988, n. 47, L. 20 maggio 1991, n. 158, sono stati da dette leggi prorogati, con ef- fetto retroattivo, ai sensi dell’art. 4 della L. 1° agosto 2002, n. 166, automaticamente, di cinque anni.
Una Corte di Appello, in riforma della sentenza resa in pri- me cure dal Tribunale, con sentenza parziale condannava un Comune al risarcimento dei danni in favore di alcuni pri- vati per l’occupazione illegittima e l’irreversibile trasforma- zione di un terreno di proprietà degli originari attori, sul quale era stata realizzata un’opera pubblica. In particolare, la Corte di Appello osservava che nella specie era decorso il termine quinquennale per il compimento dell’espropria- zione, con cui la Giunta municipale aveva dichiarato la pub- blica utilità dell’opera: per l’effetto, era divenuta illegittima l’occupazione d’urgenza, indipendentemente dal fatto che i relativi termini fossero ancora in corso, e doveva conside- rarsi emesso in carenza di potere il decreto di esproprio emesso. Pertanto, considerata l’originaria validità della di- chiarazione di pubblica utilità, si era realizzata una fattispe-
cie di accessione invertita e il danno subito dagli attori do- veva essere liquidato secondo i criteri dettati dal D.L. n. 333 del 1992 (art. 5 bis, comma 7 bis, introdotto dalla L. n.
662 del 1996).
Con sentenza definitiva, successivamente intervenuta, la Corte di Appello stabiliva l’ammontare del risarcimento dei danni dovuto agli attori, avendo riguardo all’intero valore venale del terreno. In proposito, la Corte richiamava la sen- tenza Corte cost, n. 349/2007 che aveva dichiarato l’illegit- timità del criterio riduttivo previsto dall’art. 5 bis, comma 7 bis, cit., ed affermava che sul punto si doveva escludere la formazione di un qualsiasi giudicato, la cui portata era limi- tata alla condanna al risarcimento dei danni e non investiva il relativo criterio di determinazione che rispetto a detta condanna rappresentava non un prius, ma un posterius.
Il Comune propone ricorso per Cassazione, che la Corte ac- coglie.
Merita osservarsi come - alla sintesi di tutte le doglianze - la Suprema Corte richiami con fermezza la propria costante giurisprudenza per la quale i termini di cui alla L. n. 2359/1865, previsti per il compimento delle espropriazioni e dei lavori, ed i termini fissati dal decreto di occupazione, ai sensi dell’art. 20 della L. n. 865/1971, assolvono diverse funzioni nell’ambito della procedura espropriativa: i primi segnando il limite per la giuridica esistenza e validità della dichiarazione di pubblica utilità, condizione di validità della potestà espropriativa; i secondi - relativi all’occupazione temporanea - riguardando l’apprensione del bene per l’ini- zio dei lavori ed il completamento delle procedure di espro- priazione e dell’opera pubblica, con la conseguenza che l’i- nutile decorso del termine, non prorogato né modificato, previsto dalla dichiarazione di pubblica utilità comporta la sopravvenuta inefficacia del relativo provvedimento, anche indipendentemente dalla presenza di un più lungo termine
proroghe di esso (Cass., SS.UU., nn. 10024/2007 e 20459/2005). Sennonché il legislatore, in vista dell’emana- zione di una nuova definitiva normativa sulla indennità di espropriazione in conseguenza delle note declaratorie di in- costituzionalità contenute nelle decisioni nn. 233/1983 e 5/1980 della Corte Costituzionale, aveva disposto una serie di proroghe obbligatorie dei termini per il compimento del procedimento espropriativo (a partire dal D.L. n. 901/1984). Di dette proroghe, quella recata dall’art. 4 della L. n. 166/2002, ha ribadito il collegamento necessario per rag- giungere la finalità perseguita in relazione non soltanto alle occupazioni temporanee, ma anche alle dichiarazioni di
p.u. che del provvedimento di occupazione costituiscono il presupposto indefettibile (Cass. n. 4202/2009; Xxxx, SS.UU., n. 3569/2011). Di conseguenza la giurisprudenza di questa Corte e quella amministrativa hanno affermato il principio che - in deroga alla regola della indipendenza dei termini della dichiarazione di p.u. da quelli indicati nel de- creto di occupazione temporanea - i termini delle occupa- zioni d’urgenza e delle dichiarazioni di pubblica utilità in corso alla data di entrata in vigore delle LL. 1° marzo 1985, n. 42; 29 febbraio 1988, n. 47; L. 20 maggio 1991, n. 158; sono stati da dette leggi prorogati, con effetto retroattivo, ai sensi dell’art. 4 della L. 1° agosto 2002, n. 166, automati- camente, di cinque anni (Cass. 21 giugno 0000, x. 00000; Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 2630). Nella specie, il termine quinquennale della dichiarazione di pubblica utilità
- resa con Delibera del 19 luglio 1980 - era ancora in corso alla data di entrata in vigore della citata L. n. 42/1985 e, pertanto, è stato da essa prorogato, con conseguente tem- pestività del decreto di esproprio emesso il 21 novembre 1986, atteso che a tale data era ancora in corso, per essere stato a sua volta prorogato dalle medesime leggi, anche il
previsto per l’occupazione temporanea e dalle successive termine per l’occupazione temporanea dell’immobile.
Processo civile:
le novità del decreto degiurisdizionalizzazione
a cura di
Xxxx Xxxxxxxxxxxx
Pagg. 320 - cod. 00148843
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Il volume fornisce al professionista un primo commento del d.l. 12 set- tembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni in legge 10 novem- bre 2014, n. 162, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile.
Dopo una premessa sulle ragioni che hanno portato all’approvazione della nuova novella, nell’instant book vengono analizzate e descritte le singole misure introdotte dal legislatore, riguardanti:
• l’eliminazione dell’arretrato e il trasferimento in sede arbitrale dei
procedimenti civili pendenti;
• la negoziazione assistita;
• le modifiche in tema di separazione e divorzio;
• le altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione;
• le disposizioni varie per la tutela del credito e per la semplifica- zione ed accelerazione dell’esecuzione forzata e delle procedure concorsuali.
Nel descrivere le singole modifiche introdotte dal legislatore, si è cercato di privilegiare l’aspetto pratico nell’ottica dell’avvocato, senza tralasciare naturalmente il necessario rigore scientifico, evidenziando anche pregi e difetti e, quindi, le possibili criticità.
Y89EN BN
Completano il volume le tavole riepilogative poste alla fine di ciascun capitolo, la tabella di raffronto delle novità introdotte in sede di con- versione in legge del d.l. n. 132/2014 e l’indice analitico.
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L’acquisizione sanante: la coincidenza Corte
costituzionale-Consiglio di Stato
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 2126 - Pres. Virgilio - Est. Potenza - A. ed altri
c. Comune di Fuscaldo
Dinanzi ad una domanda di declaratoria di illegittimità del silenzio serbato, che, se restrittivamente interpre- tata come semplice domanda di annullamento, presenterebbe ben poca utilità, il giudice amministrativo deve esercitare, ai sensi dell’art. 32, comma 2, c.p.a., il potere di qualificare come accertamento l’azione proposta, correttamente inquadrando l’azione nello schema del ricordato art. 31. In proposito, anche in vigenza del pre- cedente sistema processuale è stato affermato il principio per cui il contenuto dell’azione deve essere indivi- duato e qualificato dal giudice sulla base di criteri sostanziali.
In assenza di uno specifico termine nell’art. 42 bis (carenza di grave pregiudizio per gli interessi pubblici, poi- ché esposti ad un lievitare nel tempo dell’onere risarcitorio derivante dall’illecito) ed in applicazione dell’art. 2, L. n. 241/1990, sussiste l’obbligo di provvedere a fronte di una domanda del privato tesa a sollecitare l’ap- plicazione della norma ex art. 42 bis cit., nell’ordinario termine di 90 giorni per la conclusione del procedimen- to di carattere obbligatorio. Infatti nell’attuale quadro normativo, le Amministrazioni hanno l’obbligo giuridi- co di far venir meno - in ogni caso - l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | T.A.R. Lazio, Sez. Staccata Latina, 5 giugno 2014, n. 410. |
Difforme | Giurisprudenza prevalente, ad es. T.A.R. Toscana, Sez. I, 23 dicembre 2013, n. 1756. |
Fatto e Diritto
1. Gli odierni appellanti (proprietari e comproprietari di terreni utilizzati, ma non espropriati, per la realizza- zione di un’opera pubblica costituita da un parcheggio) hanno impugnato la sentenza, in epigrafe specificata, con la quale il T.A.R. Calabria ha dichiarato inammis- sibile il ricorso da essi proposto, contro il Comune di Fuscaldo, avverso il silenzio serbato da detta ammini- strazione sull’istanza presentata ai sensi degli artt. 2 leg- ge n. 241/1990 e 42-bis del d.P.R. n. 327/2001 e volta alla definizione del procedimento d’esproprio mediante o l’acquisizione in base o la restituzione di detti fondi in base alle norme citate.
2.- La sentenza gravata ha respinto il ricorso argomen- tando, in sintesi che:
- sulla questione controversa sussistono orientamenti difformi dei giudici di primo grado;
- sull’istanza degli interessati volta a provocare la deci- sione del Comune se acquisire i beni, ai sensi dell’art. 42 bis, ovvero restituirli ai proprietari, va accolto l’o- rientamento secondo cui non sussiste un obbligo di provvedere del Comune, in quanto:
- “lo stesso tenore della norma di cui all’art. 42 bis esclude, innanzi tutto, che l’emissione di un provvedi- mento di acquisizione possa costituire un obbligo del- l’amministrazione suscettibile di coercizione. Ciò in quanto la norma configura l’emissione di un procedi- mento di acquisizione sanante come punto di approdo di un complesso iter valutativo degli interessi implicati nella vicenda, che, come precisa la stessa norma, sono configurabili come in conflitto fra loro”;
- quanto sopra “ non implica alcuna limitazione della tutela degli interessi del privato, che ben può esperire gli ordinari mezzi per la tutela del proprio diritto di pro- prietà, volti ad ottenere la restituzione del bene, illeci- tamente detenuto dalla pubblica amministrazione, non- ché il risarcimento dei danni derivanti dalla stessa ille- cita occupazione”;
- “non esiste alcuna necessità di attivare la procedura del silenzio al fine di ottenere una pronuncia in ordine alla restituzione da parte della pubblica amministrazio- ne, stante la possibilità di agire direttamente a tutela della propria posizione di diritto soggettivo perfetto”.
3.- A sostegno dell’appello, che, in riforma della deci- xxxxx xxxxxxx, chiede una pronunzia di illegittimità del
silenzio e l’emissione di un ordine al Comune di prov- vedere all’acquisizione dei fondi in questione, i ricorren- ti hanno dedotto l’erroneità della sentenza per i seguen- ti motivi:
a)- mancata considerazione che gli interessati non han- no mai manifestato un interesse alla restituzione dei be- ni occupati, tant’è che nel giudizio civile che ha prece- duto la controversia amministrativa, hanno chiesto di definire la procedura acquisitiva dei fondi, conseguendo l’equivalente in danaro dei fondi illecitamente occupati, interesse garantito dall’art. 42-bis;
b)- esclusione dell’obbligo di provvedere sulla base di un’argomentazione illogica (discrezionalità della scelta tra acquisizione e restituzione) e di una motivazione er- roneamente riferita ad orientamenti giurisprudenziali al- trettanto errati, in quanto l’interesse azionato dai ricor- renti riveste natura non meramente oppositiva ma pre- tensiva;
c)- omessa considerazione che la fattispecie posta in es- sere dall’amministrazione (occupazione senza titolo dei beni) costituisce un illecito permanente, alla cui rimo- zione è preposto l’istituto dell’acquisizione sanante la cui applicazione risponde a canoni costituzionali di le- galità e di buon andamento;
d)- errato e tautologico riferimento all’orientamento giurisprudenziale sulla non azionabilità della procedura del silenzio a tutela di posizioni di diritto soggettivo.
4.- L’appello è fondato e va accolto.
4.1.- Occorre in primo luogo esattamente qualificare l’azione proposta dagli appellanti in base alle norme del c.p.a., in particolare agli artt. 31 e 32, in rapporto alla fattispecie controversa. La domanda amministrati- va rivolta al Comune dai ricorrenti, e sulla quale si è registrato il silenzio dell’amministrazione, era finaliz- zata all’esaurimento di un procedimento amministrati- vo che permaneva senza definizione. Ulteriormente sviluppando il secondo comma dell’art. 2 della legge
n. 241/1990 (che contro il silenzio prevedeva l’appli- cazione dell’art. 21-bis della legge n. 1034/71 (intro- dotto dalla legge n. 205/2000) vale a dire l’ordine di provvedere eventualmente assistito dalla nomina commissariale), l’art. 32 disciplina l’azione contro il silenzio come azione di accertamento dell’obbligo del- l’amministrazione di provvedere, nel caso che occupa a concludere il procedimento. Conseguentemente del tutto inconferente è il richiamo all’orientamento giu- risprudenziale che nega l’esperibilità del silenzio a tu- tela di posizioni di diritto soggettivo (es. cit. dal T.A.R., Cons. Stato, Sez. IV, 10 marzo 2014 n. 1087 e quindi errata risulta, sul piano processuale, la pro- nuncia di inammissibilità del ricorso.
Vero è, nella fattispecie, che gli istanti avevano propo- sto al T.A.R. una domanda la declaratoria di illegittimi- tà del silenzio serbato che, se restrittivamente interpre- tata come semplice domanda di annullamento, presen- tava ben poca utilità, ma il giudice di prime cure avreb- be dovuto esercitare, ai sensi dell’art. 32 c. 2 del c.p.a., il potere di qualificare come accertamento l’azione pro- posta, correttamente inquadrando l’azione nello schema del ricordato art. 31. Peraltro anche in vigenza del pre-
cedente sistema processuale è stato affermato il princi- pio per cui il contenuto dell’azione deve essere indivi- duato e qualificato dal giudice sulla base di criteri so- stanziali (Cons. Stato, Sez. IV, n. 1919/2002 e n. 3730/2004).
4.2.- Nel merito il Collegio deve affermare che sulla do- manda degli interessati il Comune intimato aveva il do- vere di provvedere, con le precisazioni necessarie in or- dine contenuto ed estensione del medesimo in rapporto alle norme che vengono in rilievo.
Tra queste si pone anzitutto il citato art. 2 della legge
n. 241/1990, in base al quale ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza o conse- gua ad un obbligo di legge, l’amministrazione ha l’ob- bligo di concluderlo con un provvedimento espresso ed entro un determinato termine. Con particolare ri- ferimento al procedimento espropriativo ed indipen- dentemente dalla complessità dell’iter (che peraltro nella specie non si riscontra), il termine per l’emana- zione dell’atto che lo conclude (il decreto di espro- prio) è rappresentato e coincide “naturaliter” con quello stabilito per la validità dalla dichiarazione di pubblica utilità, tant’è che il suo inutile decorso de- termina il sorgere dell’occupazione illecita sotto il profilo civilistico.
Nessun termine è invece stabilito dall’art. 42-bis per emettere il provvedimento di acquisizione sanante, che porrebbe termine alla situazione di illiceità ma ciò non indica certamente che l’amministrazione con- servi un potere di dilazionare “sine die” l’applicazione della norma, indebitamente ritardando l’esercizio del- l’opzione da essa prevista, vale a dire o la restituzione dei fondi o l’emanazione del decreto di acquisizione (come richiesto dalla istanza presentata dai ricorren- ti). Al contrario, non solo deve ritenersi che l’ammi- nistrazione abbia il dovere di esercitare detta scelta (anche in applicazione dei principi costituzionali di legalità e buon andamento; cfr. sentenza Corte EDU, 30 maggio 2000, ric. 31524/96; Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010,
n. 1983; Cons. Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011 n. 4970; Cons. Stato, Sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650) ma deve altresì affermarsi che in assenza di uno speci- fico termine nell’art. 42-bis (carenza di grave pregiudi- zio per gli interessi pubblici, poiché esposti ad un lie- vitare nel tempo dell’onere risarcitorio derivante dal- l’illecito) ed in applicazione dell’art. 2 della legge 241/1990, l’opzione (quindi non necessariamente l’ac- quisizione come asserito dal T.A.R.) deve avvenire nell’ordinario termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento di carattere obbligatorio. Infatti nell’attuale quadro normativo, che al momento del deposito della sentenza vede ancora vigente l’art. 42- bis, le Amministrazioni hanno l’obbligo giuridico di far venir meno - in ogni caso - l’occupazione “sine titu- lo” e, quindi, di adeguare comunque la situazione di fatto a quella di diritto” (Cons. Stato, Sez. IV, n. 1713/2013).
5.- Tuttavia, a fronte di una istanza proposta dagli odierni appellanti volta all’assunzione delle determina-
zioni necessarie per definire una volta per tutte la sorte dei terreni, il Comune è rimasto ulteriormente inerte, con ciò aggravando pesantemente la propria responsabi- lità patrimoniale risarcitoria nei confronti dei proprieta- ri dei fondi.
6.- Conclusivamente l’appello, e conseguentemente il ricorso di primo grado, devono essere accolti, disponen- do quanto previsto dall’art. 117 c.p.a.
- Le spese del presente giudizio seguono il principio del- la soccombenza (art. 91 c.p.c.).
IL COMMENTO
di Xxxxxx Xxxxx
La sentenza in commento costituisce un interessante esempio di coincidenza fra giurisprudenza amministrativa e costituzionale, in termini di estensione della tutela in materia espropriativa. In- fatti, la quarta sezione di Palazzo Spada si trova ad anticipare un passaggio fondamentale di una sentenza della Corte costituzionale (n. 71/2015 - oggetto di commento in questo stesso fa- scicolo), di rigetto delle censure sollevate contro il nuovo art. 42 bis T.U. espropri), estendendo il possibile ricorso al rito del silenzio anche in favore dei soggetti passivi di un’occupazione appro- priativa ovvero usurpativa. In definitiva, la P.A. è chiamata a porre fine all’occupazione sine titulo esercitando, anche su istanza del privato inciso, la scelta fra restituzione dei beni o adozione dell’atto di acquisizione sanante.
L’interesse della decisione
Un intervento del Consiglio di Stato in tema di acquisizione sanante nonché di approfondimento della tutela nel rito del silenzio non può che risve- gliare i sensi dei cultori di materie in continuo fer- mento, quali due settori di frequente attualità del diritto amministrativo: l’espropriazione sostanziale e il diritto processuale amministrativo.
A maggior ragione tale effetto si verifica laddove emerge una, invero non usuale, coincidenza di idee fra il giudice amministrativo e quello costituziona- le. Infatti, nelle more del deposito della nota sen- tenza della Consulta (la n. 71 del 2015 (1)) con cui il Collegio posto sul Colle più alto ha salvato in fine (salvo futuri interventi sovranazionali) il tanto vituperato istituto “sanante” l’accessione in- vertita, la quarta sezione di Palazzo Spada si trova ad anticipare un passaggio fondamentale della sen- tenza costituzionale, estendendo il ricorso al rito del silenzio anche in favore dei soggetti passivi di un’occupazione appropriativa ovvero usurpativa o comunque di una fattispecie inquadrabile in uno dei numerosi travestimenti sotto cui, nel corso de- gli anni, si è celata o presentata la creatura della Suprema Corte di Cassazione, nata nel 1983.
Sulla perenne attualità dell’esproprio sostanziale non vi è molto da aggiungere. Basti pensare che neppure una pronuncia quale quella appena richia-
mata della Consulta, si può ritenere effettivamente in grado di mettere la parola fine ad una vicenda esemplificativa dello stato in cui versa la certezza del diritto. Anche qui solo la crisi economica ri- schia di mettere un sostanziale fermo alle procedu- re espropriative, in specie a cagione dei pesanti ta- gli alla finanza pubblica (e quindi ai relativi inve- stimenti).
Sulla nuova vita che potrebbe assumere il tradi- zionale istituto del silenzio della P.A., la decisione in commento costituisce uno dei più lampanti esempi di un fenomeno curioso, tipico di alcuni istituti processuali: nonostante le finalità mera- mente ricognitive del nuovo codice del processo amministrativo, nel nuovo contesto sembrano farsi strada nuove vie di ampliamento della tutela. E quelle in materia di silenzio sembrano in grado di dare nuova linfa ad un istituto che pareva ormai incanalato su binari di ripetitività, quantomeno nelle massime tratte dalle decisioni giurispruden- ziali. Invero, gli accorti giudici di Palazzo Spada si premurano di legare le proprie operazioni ermeneu- tiche delle nuove norme agli orientamenti già evo- luti della giurisprudenza amministrativa; ma, più in generale, si tratta del logico effetto dell’adozione di un corpus unico ed omogeneo di norme processuali
- sempre migliorabili, certo, ma già in grado di dare una risposta ad ambiti di estrema rilevanza. E le
(1) Corte cost. 30 aprile 2015, n. 71, in questo stesso nume- ro, 767, con commento di X. Xxxxxxx - X. Xxxxxx, La nuova disci-
plina dell’acquisizione sanante, secondo la Corte costituzionale; in D&G, 2015, 7 maggio.
frequenti critiche all’invasività del giudice xxxxxx- xxxxxxxx - a volte fondate, ben più frequentemente strumentali e prive di riferimenti a dati concreti - non fanno che confermarne l’efficacia.
Ora, come ribadito dalla Consulta, proprio l’am- pliamento delle ipotesi di ammissibilità della tutela contro l’inerzia della P.A. diviene un presupposto per la piena operatività, e perfino della compatibi- lità costituzionale, della sanatoria legislativa che sta alla base della c.d. acquisizione sanante.
Xxxxxxx come ci è arrivato il giudice del meri- to, per poi confrontarlo con le indicazione di quel- lo costituzionale.
La fattispecie controversa
L’analisi del completo - seppur rapido, trattando- si di rito camerale ed accelerato proprio del silenzio
- percorso argomentativo seguito dalla decisione di Palazzo Spada consiglia, al fine di comprenderne appieno la portata, un breve riassunto della fatti- specie concreta oggetto di esame.
In qualità di proprietari e comproprietari di ter- reni utilizzati, ma non espropriati, per la realizzazio- ne di un’opera pubblica (nella specie si trattava di un parcheggio pubblico), alcuni soggetti formula- vano al Comune autorità espropriante un’istanza, presentata ai sensi degli artt. 2, L. n. 241/1990 e 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 e conseguentemente tesa ad attivare la definizione del procedimento d’esproprio mediante: o l’acquisizione in base alla normativa di cui all’art. 42 bis T.U. espropri (d.P.R. n. 327/2001) o la restituzione di detti fon- di.
A fronte dell’inutile decorso del termine proce- dimentale, tali soggetti impugnavano il silenzio della P.A. espropriante presso il giudice di primo grado che, all’esito del giudizio, respingeva il grava- me, dichiarandolo inammissibile. In particolare il T.A.R., nell’evidenziare il sorgere di orientamenti difformi, si rifaceva a quello tradizionale e preva- lente, a mente del quale il rito del silenzio non è utilizzabile per la tutela di posizioni di diritto sog- gettivo, potendo il titolare di quest’ultima agire con gli ordinari strumenti di tutela, in specie giuri- sdizionale.
Pertanto, sull’istanza degli interessati volta a provocare la decisione del Comune se acquisire i beni, ai sensi dell’art. 42 bis, ovvero restituirli ai proprietari, secondo i giudici di prime cure non sussisteva un obbligo di provvedere del Comune.
Con la sentenza in commento il giudice di ap- pello ribalta di 180 gradi la prua della soluzione da
dare alla fattispecie, e della stessa giurisprudenza, sulla scorta di due connessi ordini di ragionamen- to.
In primo luogo, in base a principi processuali - indicati come già esistenti ante 2010, data di entra- ta in vigore del codice del processo amministrativo
-, qualificando l’originaria domanda in termini di azione di accertamento di un’effettiva inadempien- za della P.A. originaria espropriante.
In secondo luogo, attraverso l’analisi della nor- ma speciale invocata, disciplinante l’acquisizione sanante, anche alla luce del principio generale di cui all’art. 2, L. n. 241/1990 (in sostanza rettamen- te intesa sulla base del principio del minimo garan- tito): se è vero che tale disposizione settoriale non contiene un termine per provvedere, è altresì vero che la situazione di illegittimità - divenuta illecita
- non può trascinarsi sine die, avendo la P.A. l’ob- bligo giuridico di far venir meno una tale situazio- ne. Cosicché, anche l’iniziativa del privato interes- xxxx non può rimanere inevasa.
La versione del C.d.S.: l’esigenza di ampliamento della tutela
La coincidenza di soluzione proposta dalla sen- tenza in esame rispetto a quella seguita dalla Con- sulta merita un approfondimento dei rispettivi ar- gomenti.
Il giudice amministrativo, pur giudicando di una fattispecie concreta, ha avuto modo anche in que- sto caso di applicare le norme di specie sulla scorta di considerazioni sostanziali e di principio. Il giudi- ce costituzionale, pur giudicando di una norma ge- nerale ed astratta in rapporto al principio di egua- glianza (sub specie di mancanza di un termine pro- cedimentale nell’art. 42 bis rispetto all’iter espro- priativo ordinario), ha verificato in concreto la sussistenza di spazi di tutela giurisdizionale per il privato.
La più antica sezione giurisdizionale di Palazzo Spada ha svolto un percorso argomentativo tanto rapido quanto completo e sostanziale.
In primo luogo, in termini preliminari di inqua- dramento processuale, ha provveduto a qualificare ex officio la domanda, alla stregua dei principi ora consolidatisi nell’art. 32 c.p.a. Quindi, in base al- l’attenta considerazione della situazione giuridica azionata e prospettata dalle parti - secondo una evolutiva applicazione del c.d. petitum sostanziale -, l’azione è stata qualificata nei termini più ampi a propria volta enucleabili dalla versione codicistica del rito del silenzio: azione di accertamento del-
l’obbligo dell’amministrazione di provvedere, nel caso di specie a concludere il procedimento.
In secondo luogo, la parte sostanziale del ragio- namento prende le mosse dall ’ art. 2, L. n. 241/1990, quale espressione di un principio genera- le: l’obbligo della P.A. di concludere un procedi- mento avviato entro un dato termine. In tale otti- ca si conferma la qualificazione della fondamentale legge in questione in termini di minimo garantito, in specie relativamente alle norme che precisano gli spazi di garanzia procedimentale per il privato: le discipline settoriali possono dettare ulteriori ap- profondimenti delle garanzie partecipative fissate dalla L. n. 241, non limitarle (2).
Applicando l’indicazione di principio tratta dal- l’art. 2, L. n. 241 cit., il Consiglio di Stato reinter- preta costituzionalmente ed integra l’art. 42 bis - che letteralmente non prevede alcun termine per l’esercizio del relativo potere, escludendo che la
P.A. conservi un potere di dilazione sine die del- l’opzione che, a fronte della situazione illecita ve- nutasi a creare, la stessa norma, oltre che la logica, prevede: restituzione dei beni o adozione del prov- vedimento acquisizione sanante.
Tale soluzione viene altresì rafforzata in base ad un richiamo della giurisprudenza sovranazionale ed amministrativa interna, creando in definitiva un legame fra tali ordini rispetto alla difesa ad oltranza dell’accessione invertita - last version - portata avanti con coerenza dalla Suprema Corte.
In tale ottica si richiama l’indicazione della Ce- du in ordine alla doverosità della scelta, in capo al- la P.A., fra restituzione o atto di acquisizione; a se- guire si integra la mancanza del termine di cui alla normativa speciale con riferimento al termine ge- nerale di 90 giorni; infine si conferma la sussistenza dell’obbligo giuridico, e quindi accertabile e sanzio- nabile in via giurisdizionale con lo strumento azio- nato, di far cessare l’occupazione sine titulo.
Invero, la tesi definitivamente accolta da Palazzo Spada si era già affacciata in alcune pregevoli pro- nunce di primo grado (3).
In tali decisioni era già spiegato che l’obbligo coercibile va individuato non già nell’obbligo della
P.A. di adottare il provvedimento ex art. 42 bis cit., ma in quello di dare una risposta al privato in- teressato, a prescindere dal contenuto della stessa, in aderenza all’oggetto del giudizio sul silenzio ina-
dempimento, che contempla la possibilità, per il giudice, di pronunciare sulla fondatezza della prete- sa (nel caso ora in esame, di ordinare alla P.A. di emanare il provvedimento ex art. 00 xxx xxx x.X.X.
x. 000 cit.) solo ove si tratti di attività vincolata, ovvero qualora non residuino ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano richiesti adempimenti istruttori che debbano essere compiu- ti dalla P.A. (art. 31, comma 3, c.p.a.): possibilità evidentemente da escludere in relazione al provve- dimento di cui all’art. 42 bis cit., caratterizzato da ampi margini di discrezionalità.
In altre parole, nella fattispecie in questione la
P.A. è tenuta a valutare gli interessi in conflitto e, in esito a detta valutazione, a decidere se emanare un provvedimento avente il contenuto (acquisitivo e risarcitorio) indicato dall’art. 42 bis del D.Lgs. n. 327/2001, ovvero un atto di diniego di emissione di un tale provvedimento, a cui non può, poi, che conseguire la concreta restituzione dell’immobile: l’adozione di una tale decisione, quale che ne sia il contenuto, costituisce, ad avviso del Collegio, og- getto di un obbligo coercibile (giustiziabile sulla base degli artt. 31 e 117 c.p.a.), alla luce dell’inse- gnamento giurisprudenziale (4), secondo cui a ca- rico della P.A. si configura un obbligo di provvede- re ogni volta che esigenze di giustizia sostanziale impongano l’emanazione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buo- na amministrazione (cfr. art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un’esplicita pronuncia.
Al fine di dettare un chiaro confine alla apertura
in esame, circa l’ambito di operatività della deci- sione sul silenzio, anche a garanzia del principio tradizionale della separazione dei poteri la giuri- sprudenza ribadisce come resti, invece, incoercibile la potestà della P.A. di optare per l’acquisizione ex art. 42 bis cit., ovvero per il diniego dell’acquisizio- ne stessa e la conseguente necessaria restituzione del bene al privato, quale frutto di una scelta di- screzionale per cui opera la già riferita preclusione ex art. 31, comma 3, c.p.a. In questo senso viene ri- chiamata anche l’espressione contenuta nel comma 1 dell’art. 42 bis, per la quale la P.A. “può” disporre che il bene sia acquisito: espressione che, per le sentenze evolutive richiamate, non sta a significare l’inesistenza di qualunque obbligo coercibile a cari-
(2) Cfr. ad es. Bondi - Xxxxxx, La ripartizione legislativa ex art. 117 Cost. come irrinunciabile chiave di lettura della nuova L. 241/1990, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 5, 2005.
(3) Cfr. ad es. cfr. T.A.R. Lazio, Sezione Staccata di Latina,
n. 410 e 824 del 2014; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, n. 2148 del 2013, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.
(4) Cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 18 novembre 2013, n. 9826, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.
co della P.A. - come ritiene l’opinione restrittiva - ma solo che tale obbligo non si estende alla prede- terminazione del contenuto del provvedimento che l’Amministrazione è, in ogni caso, tenuta ad adottare.
La versione della Consulta: la tutela quale parametro di costituzionalità
Riassunto l’argomentare che si sta ormai impo- nendo in giurisprudenza amministrativa, occorre verificarne gli esiti alla luce dell’espressa presa di posizione della Consulta che, nel salvare la norma speciale in tema di acquisizione sanante, giunge al- la stessa conclusione; ciò avviene sulla scorta di un ragionamento che, seppur di livello costituzionale, appare comunque rapido.
La posizione della Corte emerge al punto 6.6.3 della motivazione.
La censura dei giudici rimettenti (Sezioni unite della Cassazione e T.A.R. Lazio, secondo uno sche- ma ancor più insolito della convergenza Consulta - g.a.) poneva in dubbio la conformità al principio di eguaglianza, in quanto nel sistema delineato dal- la norma ex art. 42 bis il bene privato detenuto sine titulo sarebbe sottoposto in perpetuo al sacrificio dell’espropriazione, mentre nel procedimento ordi- nario di espropriazione l’esposizione al pericolo del- l’emanazione del provvedimento acquisitivo è tem- poralmente limitata all’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
La norma impugnata, in effetti, non prevede al- cun termine per l’esercizio del potere riconosciuto alla pubblica amministrazione. Peraltro, secondo la Consulta i giudici rimettenti non hanno preso in considerazione le molteplici soluzioni, elaborate dalla giurisprudenza amministrativa, per reagire al- l’inerzia della pubblica amministrazione autrice dell’illecito: a seconda degli orientamenti, infatti, talvolta è stato posto a carico del proprietario l’o- nere di esperire il procedimento di messa in mora, per poi impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto del- l’amministrazione; in altri casi, è stato riconosciuto al giudice amministrativo anche il potere di asse- gnare all’amministrazione un termine per scegliere tra l’adozione del provvedimento di cui all’art. 42 bis e la restituzione dell’immobile.
Tale indicazione viene a fondarsi sul tradizionale
- e sempre più utilizzato (5), anche a fronte della
trappola delle materie in cui è caduto il legislatore costituzionale nel 2001 - criterio che impone di ri- cercare ed adottare un’interpretazione idonea ad evitare la possibile censura di costituzionalità: nella specie, di evitare il pregiudizio consistente nell’as- serita esposizione in perpetuo al potere di acquisi- zione, senza in alcun modo forzare la lettera della disposizione.
Le nuove potenzialità del silenzio
Invero, le indicazioni che in ambito giurispru- denziale emergono in tema di obbligo di provvede- re e tutela avverso il silenzio non limitano i relativi effetti nella volontà di salvare un meccanismo co- munque peculiare quale l’acquisizione sanante
Al pari di quella in esame, emergono varie sta- tuizioni giurisdizionali in qualche misura emblema- tiche delle nuove potenzialità del silenzio.
Accanto alla reiterazione di indicazioni apparen- temente preclusive, come in tema di autotutela (6), la giurisprudenza amministrativa cerca di chiarire ed individuare gli ambiti di tutela.
Nella prima direzione, di mera chiarificazione, è stato ancora di recente (7) ribadito che nei giudizi avverso il silenzio il giudice amministrativo non può di regola andare oltre la declaratoria di illegit- timità dell’inerzia e l’ordine di provvedere, restan- dogli precluso il potere di accertare direttamente la fondatezza della pretesa fatta valere dal richieden- te, sostituendosi all’Amministrazione stessa. Tutta- via, il giudice potrà conoscere dell’accoglibilità dell’istanza solamente: a) nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni e fermo restando il li- mite della impossibilità di sostituirsi all’Ammini- strazione; b) nell’ipotesi in cui l’istanza sia manife- stamente infondata, sicché risulti del tutto diseco- nomico obbligare l’Amministrazione a provvedere laddove l’atto espresso non potrebbe che essere di rigetto.
In altri termini generali, si è parimenti ribadito, anche nel nuovo contesto normativo del codice processuale amministrativo, che una volta scaduti i termini per la conclusione del procedimento am- ministrativo, l’istante è legittimato a proporre im- mediatamente ricorso contro il silenzio dell’Ammi-
(5) Oltre che vituperato da una parte della dottrina: cfr. X. Xxxxxxx, Dentro la Xxxxx, Xxxxxxx, 0000.
(6) Cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2015, n. 2237:
“Il potere di autotutela della P.A. è incoercibile dall’esterno at-
traverso l’istituto del silenzio inadempimento ovvero lo stru- mento di tutela offerto dall’art. 117 D.Lgs. n. 104/2010”.
(7) Cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. IV, 29 maggio 2015, n. 2688.
nistrazione, senza dover preventivamente effettuare una diffida o altri adempimenti procedimentali (8). Nella seconda direzione, emblematico di un nuovo approccio in materia, riflesso anche nella decisione in esame, è il seguente principio espresso da altra sezione di Palazzo Spada: “L’azione pro- mossa contro il silenzio inadempimento della p.a. tende all’accertamento dell’illegittimità del com- portamento omissivo della stessa, quale violazione dell’obbligo di pronunciarsi in modo espresso sul- l’accoglibilità o meno di una domanda che ad essa è stata avanzata; l’Amministrazione è, infatti, tenu- ta ad adottare un provvedimento motivato sulle istanze volte ad ottenere l’esercizio di un potere che l’ordinamento le ha attribuito (quando al si- lenzio non è attribuito dalla legge un significato di assenso o di diniego sulla richiesta presentata), e ciò anche quando eventualmente ritenga di dover respingere le domande presentate (fatto salvo il ca- so di domande manifestamente prive di fondamen- to o sulle quali ha già provveduto), anche al fine di consentire agli interessati di poter utilizzare tutti gli strumenti che l’ordinamento ha previsto per la
tutela delle loro ragioni” (9).
In termini applicativi di tale nuova visione, è stata ad esempio accolta la domanda con cui il concessionario di un bene demaniale chiede l’ac- certamento della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, ex art. 31, comma 3, c.p.a. e, in parti- colare, la declaratoria dell’obbligo del Comune di emanare un provvedimento di accertamento costi- tutivo che formalizzi l’acquisizione al patrimonio comunale di una passerella per il passaggio degli impianti (cavi elettrici, allaccio fognario) strumen- tali all’esercizio della concessione demaniale assen- tita dallo stesso Comune, in modo da porre fine agli ostacoli frapposti dal controinteressato che ne rivendichi erroneamente la proprietà privata (10).
Invero, la peculiarità e l’interesse della pronun- cia del Consiglio di Stato in commento emergono in relazione alla natura generale e di principio del- le indicazioni, oltre che dal collegamento fra la nuova visione del silenzio e il potere ufficioso di qualificazione della domanda formulata dalla parte. Nella misura in cui la posizione sostanziale sia chiara, il giudice amministrativo non può fermarsi al profilo formale, alla ricerca di una causa di inammissibilità, dovendo piuttosto verificare la si- tuazione effettiva in ordine al rapporto fra P.A. e privato inciso. L’indicazione e l’approccio sostan-
ziali sono chiari: è auspicabile che non restino iso- lati.
Le prospettive: la consacrazione dell’acquisizione sanante?
Saranno sufficienti gli sforzi combinati fra giudi- ce amministrativo e Corte costituzionale a salvare un istituto nato dalle spoglie dell’accessione inver- tita?
La sentenza in esame, al pari di quella della Consulta, contiene indubbiamente affermazioni in apparenza innovative, che peraltro non possono che essere inquadrate nella natura eccezionale del- l’istituto e nell’ambito dell’origine illecita della fat- tispecie disciplinata dalla norma speciale, applicata in combinato disposto con l’art. 2 della L. n. 241/1990.
Peraltro, proprio tale eccezionalità consente di inquadrare in analoghi termini le stesse indicazioni operative che si possono trarre, sia dalla sentenza in esame sia da quella della Consulta: specie que- st’ultima, non a caso, le accompagna a numerose precisazioni tali da indirizzare la stessa fase applica- tiva. Ciò, ad esempio, sia in termini di contenuto dettagliato dei provvedimenti, sia in relazione agli strumenti di possibile tutela, con espresso riferi- mento al rito del silenzio ovvero alla maggiorazio- ne degli indennizzi spettanti.
Invero, tali peculiarità appaiono comprensibili: dettare una parola fine rispetto ad una lunga ed in- certa vicenda quale quella cui la Cassazione provò a porre fine già nel 1983. E l’art. 00 xxx, xxx xxx al- cuni difetti ed altrettante precisazioni, viene in so- stanza qualificato alla stregua di un accettabile compromesso.
In altra ottica si potrebbe quasi giungere a pen- sare che, fra i tanti effetti dell’occupazione appro- priativa - usurpativa, vi è stato anche quello - posi- tivo - di stimolare l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, la quale invece appare (specie in certe materie a confine con la separazione dei po- xxxx) legata alla reiterazione di massime consolida- te.
Peraltro, nonostante tali sforzi giurisprudenziali, rimane la sensazione che la pronuncia costituziona- le anticipata dal Consiglio di Stato possa non assu- mere i connotati dell’ultimo grado. È infatti presu- mibile l’ennesimo ricorso al livello sovranazionale, come la materia espropriativa ha già più volte inse-
(8) Cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. III, 20 aprile 2015, n. 1989.
(9) Cons. Stato, Sez. III, 3 marzo 2015, n. 1050.
(10) Cfr. ad es. T.A.R. Latina, 26 febbraio 2015, n. 196.
gnato; al riguardo, è noto come la questione del- l’indennizzo da esproprio, più volte salvato dalla Consulta, abbia assunto il definitivo connotato del valore venale solo grazie alla giurisprudenza Cedu, cui la Corte costituzionale interna si è poi dovuta adeguare.
In ogni caso, allo stato merita comunque di es- sere valorizzato lo stimolo che l’istituto in esame,
come costituzionalmente inteso, ha posto a tutela di un bene fondamentale: la certezza del diritto per gli operatori coinvolti da un istituto sino ad oggi così discusso. Infatti, la certezza è anche quella che può ricercare un soggetto passivo di occupazioni sine titulo: avere, in tre mesi, una ri- sposta dalla p.a. espropriante circa la sorte della vicenda.
Il principio di segretezza delle offerte: un valore davvero condiviso?
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1549 – Pres. Pajno – Est. Franconiero – V. c. Comune di Latina
Deve essere confermato il consolidato orientamento secondo cui costituiscono indici di collegamento sostan- ziale tra due imprese partecipanti ad appalti pubblici (e comportano quindi l’esclusione di entrambe le con- correnti, per aver formulato offerte riferibili a un unico centro decisionale) la circostanza per cui le offerte so- no state consegnate nello stesso giorno e alla stessa ora, nonché la circostanza per cui le polizze fideiussorie sono state parimenti rilasciate dalla medesima compagnia assicurativa/agenzia nel medesimo giorno e ora.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Cons. Stato, Sez. V, 8 aprile 2014, n. 1668; T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 28 gennaio 2013, n. 94. |
Difforme | (Parzialmente): Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 844; Id., Sez. VI, 8 giugno 2010, n. 3637. |
(omissis)
Diritto
stono i plurimi elementi di affinità che il Comune di Latina ha poi utilizzato nel provvedimento di annulla-
11. Infondato è infine il secondo motivo d’appello, nel quale il sig. [V] prospetta un possibile accordo collusivo ai suoi danni ed a favore della società controinteressata che si fonda su elementi privi di sufficiente consistenza. Secondo il sig. [V], infatti, l’annullamento in autotutela da lui contestato trarrebbe origine dalla volontà del- l’amministrazione, nella persona del presidente della commissione giudicatrice, di favorire la [FV], infatti ag- giudicataria della gara successivamente indetta per l’affi- damento del medesimo servizio ed alla quale ha potuto partecipare in assenza di competitori, con un aggio tut- tavia inferiorea quello da esso offerto in quella prece- dente.
12. Sennonché, innanzitutto questa ricostruzione dei fatti di causa è nulla più che meramente suggestiva, ma priva di apprezzabili riscontri probatori, anche solo di carattere indiziario.
Sul punto, va sottolineato che lo stesso sig. [V] ammet- te di avere sporto querela alla Procura della Repubblica di Latina, mai sfociata in alcun giudizio, cosicché, in as- senza di qualsiasi accertamento nella naturale sede pe- nale, nel presente giudizio la deduzione rimane affidata in via esclusiva alle affermazioni della parte interessata.
13. In ogni caso, quand’anche tale accordo collusivo ve- nisse dimostrato, lo stesso non inficerebbe la legittimità dell’annullamento in autotutela qui contestato.
Infatti, lo stesso appellante non contesta, ma anzi am- mette che tra la propria offerta e quella della [C] sussi-
mento della gara. Anche il TAR ha dato debitamente conto nel passaggio motivazionale che di seguito si ri- porta per esteso degli elementi valorizzati dal Comune per determinarsi in autotutela, e che secondo la costan- te giurisprudenza di questo Consiglio di Stato costitui- scono indizi di collegamento sostanziale tra le diverse imprese partecipanti ad appalti pubblici: “le offerte sono state consegnate nello stesso giorno e alla medesima ora e le polizze fideiussorie sono state parimenti rilasciate dalla medesima compagnia assicurativa/agenzia e nel medesimo giorno e ora” (per una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio, in cui è stata rite- nuta la sussistenza del collegamento sostanziale, si veda la pronuncia di questa Sezione dell’8 aprile 2014, n. 1668).
14. Nel caso di specie, in aggiunta a questi elementi, già di per sé sintomatici del previo accordo tra le due offerenti, il TAR ha puntualmente sottolineato la circo- stanza che “alla seduta della commissione i due concor- renti indiziati di accordo fossero rappresentati dal mede- simo soggetto e che quest’ultimo abbia proposto l’aggiu- dicazione congiunta con la turnazione immediatamente e senza neppure consultarsi con i suoi rappresentati”.
15. Deve ancora evidenziarsi che il giudice di primo grado ha anche confutato gli argomenti svolti in primo grado, e qui riproposti dal sig. X., xxxxx a spiegare la pro- posta di affidamento congiunto del servizio tra le due migliori offerente in base alla prassi in precedenza segui- ta per lo svolgimento del servizio posto a gara. Su que-
sto punto il T.A.R. ha in modo del tutto ragionevole osservato che questa offerta di assunzione congiunta era stata fatta dall’unico rappresentante delle due imprese “senza consultazione con i rappresentati”, così avendo ritenuto avvalorata l’ipotesi dell’accordo precedente alla gara. Ebbene, questo passaggio motivazionale della sen- tenza di primo grado non è attinto da alcuna specifica censure da parte dell’appellante.
16. Pertanto, quand’anche l’odierna controinteressata F.lli V. s.n.c. avesse ritirato la propria offerta in esecu-
xxxxx del preteso accordo collusivo con il presidente della commissione, l’annullamento in autotutela della gara sarebbe comunque legittimamente fondato sull’in- controvertibile alterazione della segretezza delle offerte conseguente all’accordo - questo invece ampiamente di- mostrato - tra le prime graduate ex aequo impresa indi- viduale V. e la C.S.A.
17. In ragione di tutto quanto sopra, l’appello deve esse- re respinto.
T.A.R. LOMBARDIA, MILANO, Sez. I, 27 marzo 2015, n. 845 - Pres. Mariuzzo - Est. Lombardi - FC&C S.r.l. c. Comune di Milano
Vero è che, in base a un condiviso orientamento, deve essere disposta l’esclusione dalle pubbliche gare dei concorrenti coinvolti in fenomeni di collegamento sostanziale o le cui offerte risultino violative del generale canone della segretezza (oggi: art. 46, comma 1 bis del ‘Codice dei contratti’), ma è anche vero che l’esame in concreto circa la sussistenza degli indici rivelatori di tali condotte deve essere svolto in modo rigoroso sulla base dei pertinenti elementi di fatto, onerando la stazione appaltante di fornire la prova dell’ipotizzato accor- do collusivo.
Ai fini probatori non risulta sufficiente l’allegazione di elementi formali relativi alle sole modalità di confezio- namento dei plichi, dovendo - piuttosto - la stazione appaltante svolgere un’indagine in contraddittorio fra le parti volta a stabilire (anche attraverso lo svolgimento di una sorta di ‘gara virtuale’) l’eventuale esistenza di una combine fra i due concorrenti indiziati.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Non sono stati rinvenuti precedenti in termini. |
Difforme | Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1549; Id., Sez. V, 6 aprile 2009, n. 2141. |
(omissis)
Diritto
Le applicazioni più frequenti degli approdi giurispruden- ziali in materia di obbligo di segretezza sono state, peral-
Nelle gare pubbliche, l’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese concorrenti “discende necessaria- mente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in quanto l’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della se- gretezza delle offerte e della par condicio di tutti i con- correnti, assicurando il rispetto dei principi di buon an- damento ed imparzialità, consacrati dall’articolo 97 del- la Costituzione, ai quali deve uniformarsi l’azione am- ministrativa” (Cons. St., Sez. V, 28 marzo 2012, n. 1862).
L’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici, nella sua nuova formulazione, prevede esplicitamente il principio di segretezza delle offerte, e adotta l’indirizzo giurisprudenziale più rigoroso secondo cui la sussistenza di indici anche solo formali (cd. irregolarità) della vio- lazione di tale principio causa l’esclusione dalla proce- dura della concorrente che ha dato luogo all’irregolari- tà.
tro, quelle relative al diverso caso di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica, con il corollario della necessaria assenza di conoscenza da parte dei com- missari degli elementi della seconda al momento della valutazione della prima.
Nel caso di specie, afferente ad una gara di appalto da aggiudicare con il criterio del maggior ribasso, la stazio- ne appaltante ha tratto la convinzione della violazione dell’obbligo di segretezza da una serie di elementi for- mali che, unitamente a quanto riscontrato nella proce- dura di appalto n. 37, hanno indotto la commissione giudicatrice a ritenere ragionevole l’assunto secondo cui le offerte delle due concorrenti fossero state elaborate di comune accordo.
Fermo restando che gli elementi di natura formale sono tutti riconducibili alla collazione e invio delle offerte da parte della stessa società di servizi, non pare a questo Collegio che la modalità di predisposizione delle offerte utilizzata dalla società ricorrente sia di per sé violativa del principio in discussione. Xxxxxx, l’obbligo generale di segretezza dell’offerta economica ha lo scopo, come visto, di preservare la commissione giudicatrice da con- dizionamenti nella sua decisione, al fine di garantire la
par condicio tra concorrenti e il buon andamento del- l’azione amministrativa. Il fatto che entrambi i raggrup- pamenti abbiano utilizzato la stessa società di servizi (soggetto ad essi estraneo) per la collazione e l’invio dei plichi non attesta di per sé né il pericolo di propalazio- ne delle notizie non divulgabili né un accordo elusivo della trasparenza della procedura da parte delle due con- correnti, in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”. Tali irregolarità nella procedura di appalto per cui è causa non vi sono state (le buste economiche erano correttamente sigillate e non sono state peraltro aperte) e ciò esclude la viola- zione sia formale che sostanziale del principio di segre- tezza, nei termini ipotizzati dalla stazione appaltante.
Ne consegue che la società ricorrente è stata illegittima-
mente esclusa dalla gara di appalto n. 36, i cui profili valutativi avrebbero dovuto, in ogni caso, restare auto- nomi rispetto alle violazioni constatate in altre proce- dure.
Quanto alla violazione del patto d’integrità, esclusa la lesione dei principi di lealtà, trasparenza e correttezza, che afferiscono direttamente a quello di segretezza delle offerte, l’unica disposizione da ritenersi concretamente applicabile al caso di specie è quella relativa alla dichia- rata assenza “di situazioni di controllo o di collegamen- to (formale e/o sostanziale) con altri concorrenti” e alla sussistenza o meno di “accordo” con altri partecipanti alla gara.
Il Collegio osserva che deve escludersi il ricorrere nel caso di specie di un collegamento formale o sostanziale tra le due concorrenti. Non vi è collegamento formale poiché gli assetti societari e di amministrazione delle so- cietà mandanti e mandatarie dei due raggruppamenti in esame erano del tutto diversi, non vi è collegamento so- stanziale poiché ne mancano alcuni tra gli indici più si- gnificativi (tra cui, in via esemplificativa, lo stesso luo- go di ubicazione delle sedi sociali, l’intreccio di parente- le reciproche o l’aver ricevuto l’attestazione SOA dal medesimo organismo). Decisiva, inoltre, è la circostanza che non siano state aperte le buste economiche; ne consegue che all’amministrazione era ex lege inibito di esprimere valutazioni in ordine ad un eventuale collega- mento sostanziale.
Occorre a questo punto verificare se vi siano elementi
di fatto tali da far desumere l’esistenza di un previo ac- cordo tra i due raggruppamenti nel coordinare tra di lo- ro le operazioni di gara, e, prima ancora, quale sia il concetto di “accordo” valorizzato dal patto d’integrità. Ritiene il Collegio che per “accordo” tra partecipanti ad una stessa gara possano essere individuate due diver- se fattispecie, una afferente ad un’intesa volta alla co- mune, materiale predisposizione dei plichi, l’altra con- nessa più direttamente ad una modalità fraudolenta vol- ta ad assicurare ad una delle due partecipanti il conse- guimento dell’appalto.
In entrambi i casi, la stazione appaltante è onerata di fornire la prova, tramite rilievi formali e deduzioni logi- che gravi e concordanti, dell’avvenuto accordo.
Nel caso di specie, come si è già ampiamente detto, la comune predisposizione dei plichi non è desumibile né dall’utilizzo da parte di entrambi i raggruppamenti della stessa agenzia di servizi per la collazione e l’invio dei plichi, né da elementi tratti da diversa e autonoma pro- cedura di appalto, in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” nell’ambi- to della procedura in esame, e in presenza di una busta economica integra e correttamente sigillata.
Analogamente, non è possibile dedurre dagli elementi valorizzati dalla stazione appaltante un accordo fraudo- lento volto ad assicurare ad una delle due partecipanti il conseguimento dell’appalto.
Escluso, infatti, che nella specie fosse emersa un’irrego- larità nella chiusura dei plichi, la verifica della stazione appaltante circa l’accordo fraudolento avrebbe dovuto riguardare il contenuto dell’offerta economica contenu- ta nei plichi medesimi.
In altre parole, l’amministrazione, in contraddittorio con le società concorrenti, una volta proceduto all’e- sclusione, avrebbe dovuto verificare, tramite l’esperi- mento di una gara virtuale, e la conseguente apertura delle offerte economiche anche delle due concorrenti escluse, la sussistenza di ulteriori elementi di fatto, tali da suffragare l’ipotesi una combine tra due o più con- correnti.
Nel caso di specie si sarebbe, ad esempio, potuta riscon- trare una distribuzione dei ribassi caratterizzata dalla presenza nella gara di valori concentrati soltanto in de- terminati intervalli, con assenza, cioè, di ribassi in am- pie fasce di valori, o la sussistenza di valori troppo vicini o troppo distanti per essere credibili sul piano tecnico- finanziario in rapporto alle commesse da affidare, il tut- to in armonia con il tentativo di porre in essere una
c.d. cordata, sintomatica di una concorrenza soltanto fittizia.
La stazione appaltante ha tuttavia ritenuto di dovere procedere all’escussione della cauzione senza chiedere chiarimenti alle imprese coinvolte od operare ulteriori approfondimenti sull’accertamento in concreto della sussistenza di un accordo fraudolento, nonostante lo stesso patto d’integrità postulasse come soltanto “possi- bile” l’inflizione di sanzioni a fronte di condotte lesive del corretto andamento della procedura.
È chiaro al riguardo che la discrezionalità consentita al- l’amministrazione dal patto d’integrità non possa essere intesa come arbitrio nell’applicare le sanzioni ma come garanzia procedimentale per le concorrenti di adeguato coinvolgimento in contraddittorio nell’individuazione della sussistenza degli elementi di fatto da porre a soste- gno della contestazione.
La richiesta di escussione della fideiussione risulta dun- que illegittima per un duplice ordine di motivi tra di lo- ro inscindibili, da un lato afferenti alla mancata corretta individuazione della condotta lesiva del patto d’integri- tà, dall’altro discendenti dalla totale assenza di contrad- dittorio e di istruttoria che ha caratterizzato il sub-pro- cedimento di applicazione della sanzione.
In altre parole, la procedimentalizzazione dell’iter san- zionatorio sarebbe stata nel caso di specie non una inu- tile formalità garantistica ma una modalità di azione re- sa necessaria dal fatto che non erano stati acquisiti nel corso della gara elementi tali da poter sostenere né un’irregolarità formale nella chiusura dei plichi né un collegamento sostanziale, anche nei termini sopra enun- ciati di un accordo, tra le due concorrenti.
Resta d’altra parte non comprensibile la ragione della mancata applicazione anche analogica alla fattispecie in esame della disciplina di cui all’art. 38, comma 2 del D.lgs. 163/2006, che prescrive che “la stazione appal- tante esclude i concorrenti per i quali accerta che le re- lative offerte sono imputabili ad un unico centro deci- sionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l’e-
ventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica”.
Ciò, anche in considerazione della circostanza per cui il “comune accordo” va accertato in concreto, e non sem- plicemente presunto, così come statuito dalla giurispru- denza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel caso, da ritenersi speculare a quello esaminato, della sussistenza di un rapporto di controllo o collegamento tra imprese concorrenti (cfr. Sez. IV, 19 maggio 2009, in C-538/07).
In definitiva, dunque, il ricorso va integralmente accol- to, salva l’inammissibilità della domanda volta ad otte- nere l’annullamento della comunicazione del provvedi- mento di esclusione all’ANAC.
IL COMMENTO
di Xxxxxxx Xxxxxxxx
Il contributo esamina due recenti pronunce del Giudice amministrativo (di primo e di secondo grado) che hanno deciso controversie nel cui ambito si faceva questione dell’esclusione o meno dalla gara di imprese le cui offerte presentavano indici piuttosto concreti di riferibilità a un unico centro decisionale.
Le due sentenze in rassegna prendono le mosse da un obiettivo - almeno in via di principio - condiviso (quello di disporre l’esclusione dalle pubbliche gare di concorrenti che siano fra loro in rapporto di “collegamento sostanziale”), ma pervengono a conclusioni affatto diverse, divari- candosi in modo piuttosto netto in ordine all’individuazione degli ‘indici rivelatori’ di tale collega- mento e alle relative modalità di esame e valutazione.
Le decisioni in questione suscitano alcune riflessioni circa la portata pratica del principio di se- gretezza dell’offerta e circa la rilevantissima difficoltà che incontrano le amministrazioni aggiudi- catrici (pure a fronte di indici rivelatori piuttosto univoci) nel dimostrare l’effettiva sussistenza di un collegamento sostanziale, non potendo esse confidare sulla vicinitas della prova.
Aspetti generali della questione
Con le due decisioni in rassegna, la Quinta Se- zione del Consiglio di Stato e il T.A.R. della Lom- bardia definiscono altrettante vicende nel cui am- bito viene in rilievo la questione dell’esclusione dalle pubbliche gare di concorrenti le cui offerte palesino potenziali profili di collegamento sostan- ziale, risultando - in definitiva - imputabili ad “un unico centro decisionale” (1).
Le decisioni in questione prendono le mosse da alcuni punti in comune (il superamento del solo dato del collegamento formale, la ricerca di ele-
menti e indici rivelatori di carattere ‘intrinseco’ che palesino l’esistenza della combine), ma perven- gono ad esiti di fatto opposti.
L’esame delle decisioni in questione, oltre a con- sentire alcune riflessioni sullo stato dell’arte norma- tivo e giurisprudenziale in materia, permette altresì di svolgere alcune considerazioni sul ruolo centrale che viene rivestito dalla prova della collusione, dai suoi criteri distributivi e dal generale criterio della vicinitas.
(1) Fra i numerosi contributi che si sono occupati della que- stione - che qui rileva - del c.d. ‘collegamento sostanziale’ ai fi- ni della partecipazione alle pubbliche gare, ci si limita qui a ri- chiamare: X. Xxxxxxxxx, Il c.d. collegamento sostanziale tra im- prese nelle gare d’appalto, tra diritto giudiziario e accertamenti indiziari, in questa Rivista, 2005, 253 ss.; V. De Gioia, La rile- vanza del c.d. ‘collegamento sostanziale’ quale causa di esclu-
sione dalla gara, tra conferme e tentativi di innovazione, in que- sta Rivista, 2007, 194 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, Collegamento sostan- ziale: il superamento del divieto assoluto di partecipazione alla gara, in questa Rivista, 2010, 731 ss.; X. Xxxxxxx, Collegamento sostanziale e formale fra imprese partecipanti a gara pubblica, in Giorn. dir. amm., 2010, 1210 ss.
Le fattispecie devolute all’esame dei Giudici amministrativi
La vicenda decisa dalla Quinta Sezione del Con- siglio di Stato può essere così sintetizzata.
Il sig. V. (quale titolare dell’omonima impresa in- dividuale) partecipa alla gara d’appalto indetta dal Comune di Latina per l’affidamento in concessione del servizio di rimozione, soccorso stradale, recupero e custodia di veicoli sottoposti a sequestro o fermo.
All’esito della gara, risulta che l’impresa del sig. V e la società ‘C’ abbiano presentato un’identica per- centuale di ribasso (pari al 40%), mentre il terzo candidato (la ‘FV’ s.n.c.) risulta aver presentato una percentuale di ribasso appena inferiore (pari al 36%). A questo punto della vicenda, tuttavia, il Comu- ne di Latina decide di annullare l’intera procedura di gara ritenendo che alcuni elementi di carattere intrinseco ed estrinseco depongano nel senso che le offerte delle due prime classificate siano riferibili a un unico centro decisionale (in particolare, le of- ferte sono state presentate lo stesso giorno e alla stessa ora; le polizze fideiussorie sono state rilascia- te dalla medesima compagnia assicurativa/agenzia e
nel medesimo giorno e ora).
Ciò avrebbe alterato il principio di segretezza delle offerte e la stessa correttezza ed attendibilità della procedura nel suo complesso.
Il T.A.R. del Lazio - Sezione staccata di Latina respinge il ricorso proposto dal sig. ‘V’ e conferma la correttezza del provvedimento di annullamento in autotutela.
In particolare, i Giudici pontini osservano che l’assoluzione in sede penale del sig. ‘V’ dal reato di turbativa d’asta (art. 353 c.p.) non risulti determi- nante ai fini della definizione della vicenda con- tenziosa in quanto non può operare nel caso in esa- me il regime di (limitata) pregiudiziale penale ex artt. 652 e 654 c.p.p. Ne consegue che il Giudice amministrativo ben possa valutare in modo auto- nomo la valenza, ai fini del giudizio amministrati- vo, dei medesimi fatti e circostanze che hanno condotto all’assoluzione in sede penale.
A questo punto della vicenda, il sig. V. ricorre in appello e chiede al Consiglio di Stato di ribalta- re la posizione negativa assunta dai Giudici laziali.
Qui di seguito, invece, gli aspetti salienti della questione decisa dal T.A.R. della Lombardia.
La società FC & C S.r.l. partecipa ad alcune procedure per appalti di servizi indette dal Comune di Milano.
Nell’ambito di una di tali procedure (contrasse- gnata dal n. 37) la società viene esclusa dalla gara in quanto nel plico dell’offerta viene rinvenuta do- cumentazione riferita ad altro concorrente (la soc. LG S.r.l.).
Ancora, nell’ambito della procedura contrassegna- ta dal n. 36 (si tratta della procedura per cui è cau- sa) il seggio di gara esclude la società FC & C S.r.l. ravvisando che, anche in questo caso, sussistano nu- merosi indici rivelatori di un concordamento di con- dotte con la LG S.r.l. (i plichi delle due concorrenti risultano uguali per colori e dimensioni e sono stati entrambi inviati tramite lo stesso corriere, con dati riferiti all’appalto, al raggruppamento e al destinata- rio stampati su foglio bianco formato A4 incollato con nastro adesivo sui plichi, così come sulle buste contenenti le offerte economiche).
La società interessata tenta di giustificarsi in se- de procedimentale osservando che la similitudine formale fra i plichi delle due imprese concorrenti si giustifichi in quanto entrambe si sono rivolte alla medesima società di servizi per la predisposizione e l’invio dei plichi. Tuttavia, tale circostanza non ri- sulterebbe in alcun modo idonea a testimoniare la contestata condotta collusiva o la violazione del generale principio di segretezza delle offerte.
Nel merito: le diverse soluzioni offerte dai Giudici amministrativi
Il Consiglio di Stato respinge il ricorso proposto dal sig. V. e conferma la correttezza della sua esclu- sione dalla gara.
Per quanto riguarda l’assoluzione del sig. V. in sede penale per il reato di turbativa d’asta ex art. 353 c.p., il Collegio osserva che, nonostante tale assoluzione sia intervenuta all’esito del dibattimen- to, essa non sia idonea a fare stato nel giudizio am- ministrativo ai sensi degli artt. 652 e 654 c.p.p.
Al riguardo i Giudici di Palazzo Spada osserva- no: i) che l’assoluzione è stata pronunciata per in- sufficienza di prove (art. 530, comma 2, c.p.p.) e che, per giurisprudenza consolidata, l’efficacia vin- colante del giudicato penale favorevole sussiste so- lo nelle diverse ipotesi di cui all’art. 530, comma 1, c.p.p. (i.e.: quando all’esito del dibattimento sia stata raggiunta la prova positiva circa l’insussisten- za dei fatti o la loro non attribuibilità all’imputa- to) (2); ii) che, in ogni caso, non sussistono le con- dizioni per fare applicazione dell’art. 652 c.p.p. in quanto il Comune danneggiato non si era costitui-
(2) Sul punto, ex multis: Xxxx., Sez. II, 30 agosto 2004, n. 17401; Id., Sez. III, 9 marzo 2010, n. 5676; Id., Sez. III, 30 otto- bre 2007, n. 22883.
to parte civile nel giudizio penale, né aveva eserci- tato autonoma azione in sede civile (3).
Pertanto, stante l’assenza di qualunque vincolo derivante dalla c.d. ‘pregiudiziale penale’, del tutto correttamente il Comune di Latina (e in seguito il
T.A.R. pontino) hanno ritenuto di poter autono- mamente valutare la gravità delle circostanze im- putate al sig. ‘V’ ai fini della sua esclusione dalla gara.
Nel merito della vicenda, poi, il Giudice di xx- xxxxx ritiene di poter confermare la sussistenza di gravi indizi rivelatori di un effettivo collegamento sostanziale fra le due imprese prime classificate (al riguardo vengono richiamati: l’identità della per- centuale del ribasso offerto, la circostanza per cui le offerte siano state consegnate lo stesso giorno e alla stessa ora, nonché il fatto che le garanzie fi- deiussorie siano state a propria volta rilasciate dello stesso soggetto, nello stesso giorno e alla stessa ora).
Un ulteriore indice rivelatore della condotta collusiva fra le due imprese viene dedotto dai ver- bali di gara, da cui emerge che “alla seduta della commissione i due concorrenti indiziati di accordo [erano] rappresentati dal medesimo soggetto [il quale ha] proposto l’aggiudicazione congiunta con la turnazione immediatamente e senza neppure consultarsi con i suoi rappresentanti”.
Il T.A.R. xxxxxxxxx, invece, valutate le circo- stanze del caso, perviene a conclusioni opposte ed esclude la sussistenza di un accordo collusivo volto ad alterare gli esiti della gara (o, quanto meno, la sussistenza di condotte idonee ad alterare il princi- pio della segretezza delle offerte).
In primo luogo il Tribunale esclude che nel caso di specie risultino violate le disposizioni di legge (si tratta dell’art. 46, comma 1 bis del ‘Codice dei contratti’, peraltro espressamente richiamato dalla lex specialis di gara) che sanzionano con l’esclusione dalla procedura “[la] non integrità del plico conte- nente l’offerta o la domanda di partecipazione o al- tre irregolarità relative alla chiusura dei plichi”.
Ed infatti, quand’anche sussistenti, le irregolarità contestabili alle due società riguarderebbero piutto- sto la violazione del principio di segretezza delle of- ferte.
Ma anche spostando il piano dell’indagine sul ri- spetto di tale principio, il Collegio conclude che
nel caso in esame esso non risulti in concreto vio- lato.
Al riguardo il T.A.R. osserva: i) che non possa- no fare stato, nell’ambito della procedura per cui è causa (la n. 36), le irregolarità che avevano riguar- dato la procedura n. 37 (e ciò, nonostante le pre- sunte irregolarità abbiano riguardato esattamente le medesime due imprese concorrenti); ii) che gli indici rivelatori individuati dal Comune al fine di disporre l’esclusione delle due concorrenti dalla ga- ra non risultano effettivamente indizianti circa la presunta violazione del principio di segretezza delle offerte; iii) che, in particolare, gli elementi di simi- litudine invocati dal Comune (tutti riguardanti le modalità di confezionamento e spedizione delle of- ferte) ben potevano essere giustificati allegando - come ha puntualmente fatto la società appellante - che i plichi erano stati affidati alla medesima socie- tà di servizi, senza che ciò testimoniasse in alcun modo l’esistenza di una combine fra le due concor- renti; iv) che, inoltre, non sussistono nel caso in esame aspetti di collegamento formale (ad es.: un rapporto di controllo o collegamento societario) ovvero i tipici indici rivelatori di un collegamento sostanziale fra le due imprese interessate (ad es.: lo stesso luogo di ubicazione della sede sociale, le pa- rentele reciproche fra i soggetti che rivestono cari- che sociali, etc.).
Il T.A.R. prosegue sul punto osservando che in entrambi i casi sarebbe gravato sull’amministrazio- ne aggiudicatrice l’onere di fornire la prova, trami- te rilievi formali e deduzioni logiche gravi e con- cordanti, dell’avvenuto accordo.
Osserva poi che, difettando qualunque elemento indiziante desumibile dal solo contenuto ‘estrinse- co’ dei plichi, il seggio di gara avrebbe potuto e do- vuto entrare nel merito della questione valutando (nel contraddittorio fra le parti) il contenuto effet- tivo dell’offerta economica e stabilendo - all’esito di una sorta di ‘gara virtuale’ in base al contenuto delle offerte - se sussistessero effettivi indizi rivela- tori di un tentativo di orientare gli esiti della gara stessa attraverso un artificioso concordamento dei relativi contenuti.
Non avendo l’amministrazione comunale agito in tal senso, avrebbe realizzato un’insanabile ille- gittimità attizia, meritevole di annullamento in se- de giurisdizionale.
(3) L’art. 652 c.p.p. (rubricato ‘Efficacia della sentenza pe- nale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di dan- no’) al comma 1 stabilisce infatti che “la sentenza penale irre- vocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fat- to è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’eser-
xxxxx di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrati- vo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato nell’interesse dello stesso, sempre che il danneg- giato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costi- tuirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia eser- citato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75 comma 2”.
Spunti sistematici di interesse: la questione del concordamento delle condotte in sede di gara fra affermazioni di principio e ricadute concrete
Come anticipato in premessa, le due sentenze in rassegna sembrano muovere da un patrimonio so- stanzialmente consolidato e condiviso di principi, ma li declinano in modo estremamente differenzia- to, sino a giungere a conclusioni affatto diverse su un punto di diritto sostanzialmente omogeneo.
Si ritiene quindi di ripercorrere brevemente i principali momenti dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha interessato la questione dell’esclusione delle pubbliche gare per ragioni re- lative al (possibile) concordamento delle offerte.
Come è noto, nella vigenza della c.d. ‘legge Mer- loni’, il comma 1 bis dell’art. 10 (4) stabiliva che “non possono partecipare alla medesima gara im- prese che si trovano fra loro in una delle situazioni di cui all’articolo 2359 del codice civile” (i.e.: nelle situazioni di controllo societario di cui al comma 1, ovvero in quelle di collegamento di cui al suc- cessivo comma 2).
In tal modo, il Legislatore aveva optato per un approccio basato sul divieto di partecipazione per le imprese in regime di ‘collegamento formale’, così fondando la clausola legale di esclusione sulla mera sussistenza di particolari relazioni di tipo societario. Nel corso degli anni, tuttavia, la prevalente giu- risprudenza amministrativa aveva osservato che la previsione del richiamato art. 10, comma 1 bis si fondasse su una presunzione ex lege in ordine alla reciproca conoscenza (e alla mutua influenza) delle offerte formulate dalle imprese avvinte da un rap-
porto societario particolarmente stretto.
Ma se la richiamata disposizione di legge si limi- tava a tradurre i termini di una presunzione legale, non poteva escludersi l’esistenza di forme di rela- zioni fra imprese ulteriori e diverse rispetto a quelle individuate dall’art. 2359 c.c. e parimenti idonee
ad alterare la segretezza delle offerte e - più in ge- nerale - il valore stesso della fair procedure.
In tal modo, quindi, la giurisprudenza xxxxxx- xxxxxxxx aveva superato l’approccio basato sul solo dato del c.d. ‘collegamento formale’ e aveva fonda- to la possibilità di escludere i concorrenti dalle ga- re anche in base al diverso dato del c.d. ‘collega- mento sostanziale’ (5).
Il medesimo filone giurisprudenziale aveva stabi- lito che le amministrazioni aggiudicatrici potessero introdurre in sede di lex specialis di gara clausole volte ad impedire ex ante la partecipazione alle gare da parte di imprese poste in relazione di collega- mento sostanziale, a condizione che tali clausole non travalicassero i consueti limiti della proporzio- nalità, ragionevolezza e logicità rispetto agli obiet- tivi di tutela perseguiti (si tratta, del resto, di un orientamento del tutto compatibile con l’acquis prevalente prima dell’introduzione del principio della tassatività delle cause legali di esclusione di cui al nuovo art. 46, comma 1 bis, D.Lgs. n. 163/2006) (6).
Ma anche a prescindere dall’espressa inclusione di siffatte clausole nell’ambito della lex specialis di gara (e anchea prescindere dal ricorrere delle ipo- tesi di cui all’art. 2359 c.c.), la giurisprudenza am- ministrativa aveva stabilito che, in presenza di in- dizi gravi, precisi e concordanti attestanti la prove- nienza delle offerte da un unico centro decisionale, fosse comunque consentita - rectius: imposta - l’e- sclusione delle imprese dalla gara (in tal modo ve- niva affermata la sussistenza di una sorta di imma- nente clausola legale di esclusione volta a salvaguar- dare il principio di segretezza delle offerte e, più in generale, i canoni di indipendenza, serietà ed affi- dabilità delle offerte) (7).
La giurisprudenza degli anni successivi ha indivi- duato una casistica piuttosto ampia di indici rivela- tori la possibile sussistenza di ipotesi di collega- mento sostanziale, quali (ad esempio):
(4) La disposizione in questione era stata introdotta nel cor- pus della L. n. 109 del 1994 ad opera dell’art. 3 della L. 18 no- vembre 1998, n. 415 (c.d. ‘Merloni-ter’).
(5) È qui appena il caso di richiamare Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6424 (in Riv. giur. edilizia, 2002, I, 482), secondo cui “poiché il divieto normativo contenuto nell’art. 10, comma 1 bis, L. 11 febbraio 1994, n. 109 si basa, attraver- so il richiamo dell’art. 2359 c.c., su di una presunzione, non può escludersi che possano esistere altre ipotesi di collega- mento o controllo societario atti ad alterare una gara di appal- to, il che rende legittimo che l’amministrazione appaltante possa introdurre clausole di esclusioni dalla gara in presenza di tali ulteriori ipotesi di fatto, con il limite della loro ragionevo- lezza e logicità rispetto alla tutela che intende perseguire e cioè la corretta individuazione del ‘giusto’ contraente”.
Con la medesima decisione il Cons. Stato chiarì che l’art. 10, comma 1 bis, cit. “si inquadra nell’ambito dei divieti nor-
mativi sull’ammissione alla gara di offerte provenienti da sog- getti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interes- si caratterizzata da una certa stabilità, non sono ritenuti dal le- gislatore capaci di formulare offerte caratterizzate dalla neces- saria indipendenza, serietà ed affidabilità: si tratta di una chia- ra norma di ordine pubblico volta a tutelare il corretto e traspa- rente svolgimento delle gare per l’appalto dei lavori pubblici, che si applica in ogni caso e indipendentemente da un’espres- sa previsione in tal senso contenuta nel bando di gara” (in ter- mini sostanzialmente analoghi: Cons. Stato, Sez. IV, 19 ottobre 2006, n. 6212).
(6) Come è noto, il principio in questione è stato introdotto nel corpus del ‘Codice dei contratti’ ad opera dell’art. 4 del
D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, n. 106).
(7) In tal senso - ex multis -: Cons. Stato, Sez. VI, 17 feb- braio 2012, n. 844, in Foro amm. CDS, 2012, 2, 408.
- la composizione azionaria omogenea delle im- prese sospettate di comportamenti collusivi, la contestualità nella spedizione delle domande di partecipazione, l’identità di sede legale e xxxxxx- xxxxxxxx e la contestualità nel rilascio della polizza fideiussoria (8);
- la sussistenza di legami di parentela fra i sog- getti che rivestono cariche di rilievo nelle due im- prese concorrenti (9);
- la sussistenza di ipotesi di partecipazione indi- retta o di forme di intrecci societari fra le concor- renti in esame e l’affinità nelle modalità di redazio- ne degli atti di gara (10).
Prendendo atto di tale evoluzione giurispruden- ziale, l’originaria previsione dell’art. 34 del Codice dei contratti (11) codificò in qualche misura l’as- setto al tempo vigente e stabilì:
- che in ogni caso fosse vietata la partecipazione alle gare da parte di soggetti posti fra loro in rela- zione di controllo societario ex art. 2359 c.c.;
- che, in ogni caso, le amministrazioni dovessero escludere dalle pubbliche gare “i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputa- bili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi” (in tal modo era operata una sorta di codificazione normativa della figura del
c.d. ‘collegamento sostanziale’).
Come è noto, tuttavia, la Corte di Giustizia UE, nel maggio del 2009, censurò il sostanziale automa- tismo espulsivo che caratterizza(va) la normativa italiana (12) in danno delle imprese poste fra loro in rapporto di controllo o collegamento societario.
In particolare i Giudici del Kirchberg ritennero che tale automatismo espulsivo, fondandosi su una presunzione assoluta di reciproca influenza nella formulazione delle offerte in gara, risultasse violati- vo del generale principio di proporzionalità.
Secondo la Corte di Giustizia, quindi (il cui in- tervento nomofilattico era stato sollecitato da un’ordinanza di rimessione del T.A.R. della Lom- bardia in data 14 novembre 2007), “il diritto co- munitario osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di
trattamento degli offerenti e di trasparenza nel- l’ambito delle procedure di aggiudicazione degli ap- palti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a cari- co di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di parteci- pare in modo simultaneo e concorrente ad una me- desima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibi- lità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’am- bito di tale gara”.
È altresì noto che, all’indomani della sentenza della Corte di Giustizia, il Legislatore nazionale prese atto del principio di diritto in tal modo espresso e dispose la modifica del ‘Codice dei con- tratti’ per ciò che riguarda la disciplina del c.d. ‘collegamento sostanziale’.
Ne è scaturita l’attuale formulazione dell’art. 38, comma 1, lett. m quater) (13), del ‘Codice’ secondo cui è disposta l’esclusione dalle pubbliche gare del- le imprese “che si trovino, rispetto ad un altro par- tecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la re- lazione comporti che le offerte sono imputabili a un unico centro decisionale” (14).
Ora, all’esito di questo breve excursus normativo e giurisprudenziale è possibile svolgere alcune con- siderazioni sulle ragioni di fondo delle due decisio- ni in rassegna.
Si è già detto che le due sentenze prendono le mosse da un acquis giurisprudenziale comune (quel- lo relativo alle ipotesi di c.d. ‘collegamento sostan- ziale’), ma ne declinano le ricadute applicative se- condo modalità fortemente diversificate.
Sia pure con tutti i rischi connessi a forme di estrema semplificazione, si può affermare che la sentenza del Consiglio di Stato dello scorso 23 marzo affidi la risoluzione della questione ad ele- menti di carattere estrinseco (quali quelli relativi al- la modalità di predisposizione e alla tempistica di invio delle domande di partecipazione), mentre il
T.A.R. della Lombardia tenti la via (invero, più
(8) In tal senso: Cons. Stato, Sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 923, in Foro amm. CDS, 2002, 383.
(9) In tal senso: Cons. Stato, Sez. V, 22 aprile 2004, n. 2317, in Servizi pubblici e appalti, 2004, 600.
(10) In tal senso: Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2004, n. 5464, in Foro amm. CDS, 2004, 2274.
(11) Sul punto: X. Xxxxxxx, Collegamento sostanziale e forma- le fra imprese partecipanti a gara pubblica, in Giorn. dir. amm., 2010, 8, 831.
(12) Si tratta della sentenza della CGCE, IV Sezione, 19 maggio 2009 in causa C-538/07 (in questa Rivista, 2009, 1063 ss., con nota di F. Leggiadro).
La sentenza in questione è stata resa in relazione a una
controversia in cui si faceva questione di appalti di servizi (in via di principio, non disciplinati dalla L. n. 109 del 1994), ma nel cui ambito era stata ritenuta l’applicabilità del richiamato art. 10, comma 1 bis, intesa quale norma di ordine pubblico espressiva di un principio generale applicabile anche al di là del ristretto ambito degli appalti di lavori.
(13) Per come introdotta dall’art. 3, comma 1, D.L. 25 set- tembre 2009, n. 135 (convertito con modificazioni dalla L. 20 novembre 2009, n. 166).
(14) È altresì noto che il comma 2 del medesimo art. 38 in- dica in quali modi il concorrente possa dichiarare, in sede di domanda di partecipazione, di non versare nelle ipotesi di esclusione di cui al comma 1, lett. m quater).
complessa e non necessariamente foriera di risultati più confortanti) dell’individuazione di indici rive- latori di carattere intrinseco e sostanziale (quali quel- li relativi alla prova della violazione della segretez- za o dell’esame in concreto del contenuto delle of- ferte economiche, al fine di verificarne l’effettivo grado di comparabilità).
Ad avviso di chi scrive, pur potendosi condivi- dere in xxx xx xxxxxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxxxxx che sottendono a questa seconda impostazione, il ri- schio è che le relative ricadute applicative finisca- no per privare le amministrazioni di qualunque strumento concreto per individuare e censurare ipotesi in cui il concordamento delle condotte ri- sulta in modo piuttosto evidente secondo l’id quod plerumque accidit.
È già piuttosto evidente che la sentenza della Cor- te di Giustizia del maggio del 2009 (e le successive scelte del Legislatore nazionale) abbiano instaurato un sistema di distribuzione dell’onere della prova cir- ca l’insussistenza di comportamenti collusivi tale da gravare sul punto le amministrazioni di una sorta di probatio diabolica. Al riguardo è vero che i Giudici di Lussemburgo si erano limitati ad auspicare l’instaura- zione di un sistema normativo nel cui ambito fosse consentito al concorrente di dimostrare l’assenza di ipotesi di combine con altri concorrenti, ma è pur ve- ro che la conseguenza normativa di tale indicazione (i.e.: il nuovo art. 38 del ‘Codice dei contratti’) è stata nel senso di consentire all’operatore di liberarsi da qualunque onere sul punto, semplicemente auto- certificando l’insussistenza di accordi collusivi con altri partecipanti (15).
Il che, come è evidente, rende difficile sino al li- mite dell’ineffettualità la possibilità per le ammini- strazioni di fornire la prova in contrario, anche in base a intuibili ragioni di vicinitas dei necessari ele- menti probatori.
Se a ciò si aggiunge un orientamento giurispru- denziale (quale quello di cui la sentenza dello scor- so 27 marzo costituisce rappresentanza eloquente) che prende le mosse da comprensibili esigenze di garanzia ma finisce per rendere di fatto impossibile per la stazione appaltante fornire la prova del col- legamento sostanziale fra i concorrenti, la conse- guenza è che, in questo delicatissimo settore del-
l’ordinamento pubblicistico, le amministrazioni ri- sultino di fatto prive di qualunque strumento ope- rativo per contrastare (e, prima ancora, per indivi- duare in modo efficace) le più insidiose forme di concordamento anticoncorrenziale.
E, ad avviso di chi scrive, l’instaurazione di un modello così fortemente limitativo per le prerogative delle amministrazioni risulta tanto più difficilmente giustificabile se solo si pongano in comparazione gli esiti di tale modello con la giurisprudenza del tutto prevalente che, nella materia antitrust, riconosce che la prova di un’intesa anticoncorrenziale quasi mai può essere fornita in modo diretto, in tal modo con- sentendo all’amministrazione di fornirne la prova at- traverso elementi indiretti e meramente indiziari di carattere endogeno ed esogeno (16).
L’orientamento giurisprudenziale in questione (che, lo si ripete, rischia di essere di fatto posto in radicale discussione nella delicatissima materia dei pubblici appalti) prende le mosse dalla consapevo- lezza per cui, al fine di somministrare di un’adegua- ta tutela proconcorrenziale, occorra ‘anticipare’ la soglia della reazione ordinamentale anche - e so- prattutto - sotto il cruciale versante probatorio.
Si è affermato al riguardo (in un settore distinto da quello che qui viene in rilievo, ma caratterizzato da evidenti profili di identità di ratio sistemica) che “dal momento che in materia di intese anti- concorrenziali vietate è ben rara l’acquisizione di una prova piena (il c.d. ‘smoking gun’: il testo del- l’intesa; documentazione inequivoca della stessa; atteggiamento confessorio dei protagonisti) e dal momento che un atteggiamento di eccessivo rigore finirebbe per vanificare nella pratica le finalità per- seguite dalla normativa antitrust, può reputarsi suf- ficiente (e necessaria) l’individuazione di indizi, purché gravi precisi e concordanti, circa l’interven- to di illecite forme di concertazione e coordina- mento” (17).
È quindi auspicabile che la giurisprudenza riesca ad assumere su tematiche tanto delicate per la cura degli interessi pubblici e privati coinvolti un atteg- giamento idoneo a coniugare in modo adeguato comprensibili (e condivisibili) finalità di garanzia con altrettanto ineludibili esigenze di tutela dei ri- levantissimi interessi generali coinvolti.
(15) L’art. 38, comma 2 del ‘Codice’ stabilisce che il con- corrente, ai fini di cui al comma 1, lett. m quater), alleghi - al- ternativamente -: a) la dichiarazione di non trovarsi in alcuna situazione di controllo ai sensi dell’art. 2359 nei confronti di al- tri soggetti partecipanti alla gara; b) la dichiarazione di non es- sere a conoscenza della partecipazione alla medesima proce- dura di soggetti nei cui confronti sussiste una relazione ai sen- si del medesimo art. 2359; c) la dichiarazione di essere a cono- scenza della partecipazione alla gara di altra impresa control-
lante o controllata, con la contestuale dichiarazione - per tale ipotesi - di avere comunque formulato la propria offerta in mo- do autonomo.
(16) Si tratta di un orientamento sostanzialmente pacifico. Fra le molte decisione del Cons. Stato che confermano tale ap- proccio si citerà: Sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1794 (Servizi ag- giuntivi di trasporto pubblico nel Comune di Roma).
(17) Cons. Stato, Sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3026 (Prezzo del GPL in Sardegna).
L’avvalimento finanziario: l’ostacolo delle Corti agli abusi
C.G.A. SICILIA, Sez. Giur., 21 gennaio 2015, n. 35 – Pres. Lipari – Est. Neri – XX.XX. s.p.a. c. Siciliacque s.p.a. e Saint Gobain Pam Italia s.p.a.
Nel caso in cui il bando di gara richieda un determinato fatturato globale, deve ritenersi inammissibile, per comprovare detto requisito di partecipazione, un contratto di avvalimento generico nel quale non sono stati riportati tutti i contenuti che per legge entrano a far parte della forma del contratto di avvalimento quali, nel caso di specie, l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o privati delle forniture o la illu- strazione degli specifici fattori della produzione e delle specifiche risorse che hanno permesso all’ausiliaria di eseguire le prestazioni analoghe nel periodo richiesto dal bando e che poi fungono da garanzia per la corretta esecuzione del contratto che la stazione appaltante intende aggiudicare.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Cons. Stato, Sez. III, 19 maggio 2015, n. 2539, in Lexitalia, 2015, n. 5; Cons. Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2015, n. 662, in Xxxxxxxxx.xx, 2015, n. 2; Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2014, n. 4595; Id., 27 agosto 2014, n. 4372; 11 luglio 2014, n. 3574; Sez. III, 17 giugno 2014, n. 3057; Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310, tutte in Xxxxxxx amministrativo 2014. |
Difforme | Cons. Stato, Sez. III, 4 dicembre 2014, n. 5978, in Xxxxxxxxx.xx, 2014, n. 12; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 3 dicembre 2014, n. 1483, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx. |
Diritto
A giudizio del Collegio per la decisione della causa gio- va premettere qualche cenno di carattere generale sull’i- stituto dell’avvalimento.
3.1. Con l’entrata in vigore del Codice dei Contratti pubblici il legislatore ha disciplinato l’istituto dell’avva- limento recependo compiutamente nel nostro ordina- mento le indicazioni provenienti dalle Direttive 17 e 18 del 2004. Come è noto, infatti, la Direttiva 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE, nel disciplinare i requisiti di capa- cità economico-finanziaria nonché di capacità tecnico- professionale, prevede che un operatore economico può, se del caso e per un determinato appalto, fare affi- damento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi; per la direttiva, l’operatore in tal caso deve dimostrare all’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mez- zi necessari, ad esempio mediante presentazione dell’im- pegno a tal fine di questi soggetti (art. 47 e, in termini simili, art. 48 dir. cit.).
Nelle intenzioni del legislatore comunitario l’istituto in questione contribuisce concretamente ad ampliare la concorrenza consentendo la partecipazione a operatori che, per le modeste dimensioni o per il loro recente in- gresso nel mercato, non possiedono individualmente considerati tutti i requisiti richiesti dal bando. Le diret- tive valutano positivamente sia l’interesse dell’ammini- strazione a selezionare soggetti che in ragione dei requi-
xxxx xxxxxxxxx (economico finanziari e tecnico professio- nali) possono adempiere correttamente gli impegni con- trattuali sia l’interesse generale a garantire l’ampliamen- to del mercato e della concorrenza. In altri termini lo scopo dell’istituto è quello di permettere “… la massima partecipazione alle gare, consentendo ai concorrenti di utilizzare i requisiti di capacità tecnico-professionale e economico-finanziaria di soggetti terzi, indipendente- mente dalla natura giuridica dei legami con tali sogget- ti…”. Giova infine ricordare che l’articolo 50 Codice Appalti prevede anche l’avvalimento nel caso di opera- tività di sistemi di attestazione o di sistemi di qualifica- zione lasciando al regolamento, nel rispetto di determi- nati principi previsti dalla legge, la disciplina della pos- sibilità di conseguire l’attestazione SOA in osservanza delle disposizioni stabilite dall’art. 49.
L’importanza di questo istituto è ulteriormente confer- mata dalla scelta del legislatore comunitario del 2014. L’articolo 63 dir. 2014/24 /UE reca una disciplina anali- tica dello “Affidamento sulle capacità di altri soggetti” rinviando poi all’allegato XII per l’individuazione di ul- teriore aspetti.
3.2. Per il Codice dei Contratti Pubblici il concorrente, singolo o consorziato o raggruppato ai sensi dell’art. 34, in relazione ad una specifica gara di lavori, servizi, for- niture può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione
SOA avvalendosi dei requisiti o dell’attestazione SOA di altro soggetto.
Nonostante vi fossero già state pronunce della giuri- sprudenza nel senso dell’applicabilità nell’ordinamento interno (Cons. St., V, 28 settembre 2005 n. 5194; Cons. St., VI, 20 dicembre 2004 n. 8145), al momento dell’entrata in vigore del Codice si trattava di previsio- ne innovativa che riscriveva le regole delle procedure di evidenza pubblica superando le ‘tradizionali’ norme di qualificazione conosciute fino ad allora. Parte della dottrina, in sede di primo commento alle direttive, ha manifestato la possibilità che si potessero creare gli “av- valifici” per consentire ad imprese inidonee (per dimen- sioni o per organizzazione imprenditoriale) la partecipa- zione alle gare e così frustrare gli interessi pubblici alla corretta e puntuale esecuzione del contratto. Altri Autori, mossi dalla medesima preoccupazione, hanno messo in evidenza «il rischio che i concorrenti si tra- sformino in scatole vuote» o in «holding dai contorni oscuri». Per tale ragione, il Codice degli Appalti, pur consapevole dell’importanza dell’istituto e della sua di- retta riconducibilità alla tutela della concorrenza, onde evitare pericolosi svuotamenti di responsabilità, stabili- sce che quando si ricorre all’avvalimento il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante in relazione alle pre- stazioni oggetto del contratto; possibilità questa oggi confermata dall’art. 63 dir. 2014/24/UE. Per escludere inoltre l’aggiramento della legge penale si stabilisce che gli obblighi previsti dalla normativa antimafia a carico del concorrente si applicano anche nei confronti del soggetto ausiliario, in ragione dell’importo dell’appalto posto a base di gara; a tale previsione va aggiunto che il concorrente, o impresa ausiliata, deve produrre tra l’al- tro una dichiarazione sottoscritta da parte dell’impresa ausiliaria attestante il possesso da parte di quest’ultima dei requisiti generali di cui all’art. 38.
In altri termini, il legislatore del 2006 ha dimostrato cautela per evitare che l’istituto diventasse strumento di ‘elusione’ delle regole di gara così permettendo la parte- cipazione a imprese che altrimenti non avrebbero potu- to presentare la domanda. Tuttavia va ricordato che al- cune precauzioni usate dai compilatori del Codice sono state eliminate per evitare dubbi di compatibilità comu- nitaria. Il c.d. primo decreto correttivo, infatti, ha can- cellato il divieto di sub-appalto in favore dell’impresa ausiliaria (art. 2, comma 1, lett. d), X.Xxx. 26 gennaio 2007, n. 6) e il terzo correttivo ha soppresso il comma 7 dell’articolo 49 nella parte in cui stabiliva la possibilità per il bando di gara di prevedere che, in relazione alla natura o all’importo dell’appalto, le imprese partecipan- ti potessero avvalersi solo dei requisiti economici o dei requisiti tecnici, ovvero che l’avvalimento potesse inte- grare un preesistente requisito tecnico o economico già posseduto dall’impresa avvalente in misura o percentua- le indicata nel bando stesso.
Di recente la Corte di Giustizia, nel pronunciarsi sulla compatibilità comunitaria del c.d. avvalimento plurimo ha stabilito che “gli articoli 47, paragrafo 2, e 48, para- grafo 3, della direttiva 2004/18/CE … devono essere in-
terpretati nel senso che ostano ad una disposizione na- zionale … la quale vieta, in via generale, agli operatori economici che partecipano ad una procedura di aggiudi- cazione di un appalto pubblico di lavori di avvalersi, per una stessa categoria di qualificazione, delle capacità di più imprese” (Corte di Giustizia UE, V, 10 ottobre 2013 C 94/12).
3.3. La cautela mostrata dal legislatore emerge anche dalla puntuale indicazione della documentazione da produrre per potere utilmente ricorrere all’avvalimento. Vale la pena ricordare che la legge impone di produrre in sede di gara tra l’altro sia una dichiarazione sotto- scritta dall’impresa ausiliaria con la quale quest’ultima si obbliga verso il concorrente e verso la stazione appal- tante a mettere a disposizione per tutta la durata del- l’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concor- rente sia il contratto in virtù del quale l’impresa ausilia- ria si obbliga nei confronti del concorrente a fornire i requisitiea metterea disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto ([art. 49, lett d) e f)]. Si tratta di previsioni che, per parte della dottrina, sono affette da “ridondanza” che dimostra “una certa diffi- denza del legislatore” e che sono state oggetto di non sempre univoche interpretazioni in sede giudiziale. La più recente giurisprudenza del Consiglio ritiene, per un verso, il contratto non sostitutivo della dichiarazione unilaterale (Cons. St., V, 28 luglio 2014 n. 3974) e ri- chiede, per altro verso, che la predetta dichiarazione unilaterale abbia un oggetto determinato al pari del re- lativo contratto (Cons. St., VI, 8 maggio 2014 n. 2365).
4. Prescindendo dalla non facile soluzione in ordine alla
tipicità o atipicità del contratto di avvalimento, è inte- ressante osservare che la legge, oltre a non aver stabilito se è richiesta una certa forma, nulla prevede circa il l’ul- teriore requisito della gratuità o dell’onerosità del con- tratto in esame.
4.1. Per un orientamento, avallato dalla giurisprudenza di primo grado, sarebbero corrette queste considerazio- ni:
a) gli obblighi interni tra avvalente e avvalso sarebbero del tutto irrilevanti ai fini della partecipazione e dell’ag- giudicazione della gara sussistendo “l’irrilevanza per la stazione appaltante dei rapporti sottostanti esistenti fra il concorrente e il soggetto imprenditoriale avvalso … omissis … nella precipua considerazione che la finalità dell’istituto dell’avvalimento è chiaramente quella di consentire la massima partecipazione alle gare ad evi- denza pubblica, permettendo alle imprese non in posses- so dei requisiti tecnici, di sommare, unicamente per la gara in espletamento, le proprie capacità tecniche ed economico-finanziarie a quelle di altre imprese” (T.A.R. Veneto, I, 20 ottobre 2010 n. 5528);
b) il contratto di avvalimento sarebbe negozio atipico assimilabile al mandato (T.A.R. Campania, Salerno, I,
28 marzo 2012 n.607) e quindi potrebbe essere concluso
- non esistendo “alcun vincolo in ordine alla causa ne- goziale” (T.A.R. Toscana, I, 21 marzo 2013 n. 443) - senza la pattuizione di un corrispettivo potendo al più
soccorrere la previsione di cui all’art. 1709 c.c. (ancora
T.A.R. Veneto, I, 20 ottobre 2010 n. 5528);
c) il contratto, in mancanza di esplicita previsione di legge, non sarebbe assoggettato ad alcun onere formale e potrebbe “rivestire qualunque forma, anche non esat- tamente documentale e la sua esistenza può essere pro- vata in qualunque modo idoneo” (T.A.R. Lazio, Roma, I, 3 dicembre 2009 n. 12455);
d) conseguentemente potrebbe essere “configurato quale contratto unilaterale con obbligazioni assunte da una sola delle parti e nel quale la presunzione di onerosità può essere superata da una prova contraria, ovvero dalla prassi” (ancora T.A.R. Lazio, Roma, I, 3 dicembre 2009 n. 12455)
5. A giudizio del Consiglio tali affermazioni non sono del tutto condivisibili.
5.1. In primo luogo il Collegio non condivide la tesi per cui gli obblighi interni, rectius il rapporto interno, tra avvalente e avvalso sarebbero irrilevanti per la sta- zione appaltante. Le considerazioni prima esposte (§ 3.2), al contrario, dimostrano che il legislatore, pur ri- conoscendo l’importanza dell’istituto, lo ha circondato di cautele necessarie proprio per verificare l’effettività e la serietà del rapporto intercorrente tra ausiliaria e ausi- liata scongiurando il rischio di “avvalifici” (attraverso mere finzioni preordinate ad eludere le regole delle gare pubbliche) e, in ultima analisi, tutelando l’interesse pubblico alla corretta esecuzione del contratto da parte dell’aggiudicatario che ha fatto ricorso all’avvalimento. La normativa comunitaria, dunque, nella parte in cui permette l’avvalimento “a prescindere dalla natura giu- ridica” dei legami tra ausiliario e ausiliato vieta discri- minazioni basate sulla differente natura giuridica dei di- versi “legami” ma non depone per l’irrilevanza dei rap- porti tra avvalente e avvalso onerando, tra l’altro, l’im- presa ausiliata di “provare all’amministrazione aggiudi- catrice che per l’esecuzione dell’appalto disporrà delle risorse necessarie ad esempio presentando l’impegno di tale soggetto di mettere a disposizione dell’operatore economico le risorse necessarie”. In via ancora più ge- nerale è l’art. 44 dir. cit. a prevedere che “spetta all’am- ministrazione aggiudicatrice verificare l’idoneità dei candidati o degli offerenti conformemente ai criteri di cui agli articoli da 47 a 52 della menzionata direttiva” (Corte di Giustizia UE, V, 10 ottobre 2013 C 94/12).
5.2. In secondo luogo, giova spendere qualche parola sul contratto di avvalimento. Il Collegio condivide l’af- fermazione sulla sua atipicità sia perché, in assenza di una disciplina dei tratti essenziali del negozio, non è sufficiente il semplice richiamo operato da una norma di legge per renderlo tipico sia perché persegue una fun- zione nuova e diversa rispetto a quella propria dei diver- si contratti tipici.
Tuttavia, a giudizio del Consiglio, deve essere negata la sua piena assimilabilità al contratto di mandato poiché “mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto” è concetto non pienamente sovrap- ponibile all’obbligo del mandatario, ex art. 1703 c.c., di compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte, pur consapevoli che il concetto di “atto giuridi-
co” non è oggetto di univoca interpretazione nel diritto civile. Giova al riguardo ricordare che per la dottrina sono “atti giuridici” «i comportamenti che vengono in considerazione non per le modificazioni che apportano alla realtà naturale, ma solo per le loro conseguenze giu- ridiche» ed in via esemplificativa vengono individuati nella riscossione di crediti, nel compimento di paga- menti, nella stipulazione di contratti o nel rilascio di di- chiarazioni di scienza o di volontà.
Né pare pienamente accoglibile la tesi che assimila il contratto in questione a quello di affitto d’azienda o al contratto di sub-appalto. In relazione all’affitto di azien- da giova qui evidenziare che l’impresa ausiliata non ac- quista la detenzione della azienda o di un suo ramo non scaturendo dalla conclusione del contratto di avvali- mento un obbligo immediato del locatore (ex art. 1617 c.c.) di consegnare la cosa affittata. Più in generale, inoltre, non emerge il tratto tipico dell’affitto di azienda che, come è noto, ha per oggetto “il complesso produt- tivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all’art. 2555 c.c.” (Cass., III, 8 luglio 2010 n. 16138) e non un singolo strumento della pro- duzione o addirittura dei requisiti di carattere economi- co-finanziario. Con riferimento al sub-appalto, a giudi- zio del Xxxxxxxx, non ricorre tale figura sia perché si porrebbero “delicati problemi di coordinamento con la disciplina” in generale del sub-appalto sia perché l’isti- tuto è lontano dallo schema tipico del sub-contratto che essenzialmente consiste nel reimpiego della posizio- ne contrattuale già acquisita con il c.d. “contratto base” (come, ad esempio, nella sub-locazione).
Per il Collegio in questo schema negoziale ricorrono tratti del mandato - nella parte in cui prevede il compi- mento di alcuni atti giuridici da parte dell’ausiliaria (senza tuttavia poterlo a questo assimilare integralmen- te, come già detto) - nonché dell’appalto di servizi e in- teressanti aspetti di garanzia atipica da parte dell’ausilia- rio in favore della stazione appaltante per le prestazioni dovute dall’ausiliato. Sotto tale ultimo profilo si ricordi che, accanto alle figure tipiche dei contratti personali di garanzia, nella pratica sono emersi schemi atipici vol- ti a garantire, con strumenti di carattere indennitario in senso lato, la mancata o l’inesatta esecuzione da parte del debitore principale di un fare (come già affermato da Xxxx., S.U., 18 febbraio 2010 n. 3947: “una garanzia atipica in quanto essa, non potendo garantire l’adempi- mento di detta obbligazione, perché connotata dal ca- rattere dell’insostituibilità, può semplicemente assicura- re la soddisfazione dell’interesse economico del benefi- ciario compromesso dall’inadempimento, risultando, quindi, estranea all’ambito delle garanzie di tipo sati- sfattorio proprie delle prestazioni fungibili, caratterizzate dall’identità della prestazione, dal vincolo della solida- rietà e dall’accessorietà, ed essendo, invece, riconducibi- le alla figura della garanzia di tipo indennitario - cosid- detta “fideiussio indemnitatis” -, in forza della quale il ga- rante è tenuto soltanto ad indennizzare, o a risarcire, il creditore insoddisfatto”).
5.3. Giova ora esaminare il profilo causale del negozio in questione. Il Collegio, pur consapevole che in Euro-
pa soffia “il vento anticausalista” (per un Autore la cau- sa sarebbe la quinta ruota del carro), reputa ad oggi, co- sì come affermato dalla migliore dottrina, “improponibi- le la tesi che vorrebbe cancellarla”. Una volta inquadra- to il contratto di avvalimento nel rapporto tra due ope- ratori economici che potrebbero anche essere concor- renti tra loro, a giudizio del Collegio, il contratto de quo ha tendenzialmente natura onerosa perché, in caso contrario, non si giustificherebbe l’operazione per il tra- mite della quale l’ausiliaria, soggetto economico poten- zialmente in grado di partecipare alla gara, debba gratui- tamente mettere a disposizione dell’ausiliata i requisiti in questione, così procurando a quest’ultima la possibili- tà di partecipare alla gara e, se aggiudicataria, di ‘raffor- zarsi’ in quel mercato. Inoltre, trattandosi di contratti stipulati da operatori economici che tendenzialmente (e legittimamente) perseguono lo scopo di lucro sarebbe scarsamente comprensibile la ragione di tale ‘regalo’ o, sarebbe meglio dire, di questo atto di liberalità per defi- nizione estraneo ai rapporti di impresa. In una accezio- ne ormai superata di causa quale funzione economico sociale del contratto, mancando il corrispettivo, dovreb- be certamente concludersi per la nullità del relativo ne- gozio così come peraltro ha già fatto in passato la Cassa- zione (“Posto che anche i contratti atipici non possono essere privi di causa, ossia di una propria conclamata funzione economico-sociale, la stipulazione contrattuale con la quale taluno trasferisca ad altri un bene, senza specificazione del titolo giustificativo, non è assumibile nella nozione di contratto atipico restando, invece, atto nullo per mancanza di causa”, Cassazione civile sez. I 20 novembre 1992 n. 12401).
Per la dottrina e la giurisprudenza, invece, appare “oggi predicabile una ermeneutica del concetto di causa che, sul presupposto della obsolescenza della matrice ideolo- gica che la configurava come strumento di controllo della sua utilità sociale, affonda le proprie radici in una serrata critica della teoria della predeterminazione cau- sale del negozio (che, a tacer d’altro, non spiega come un contratto tipico possa avere causa illecita), rico- struendo tale elemento in termini di sintesi degli inte- ressi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora oggettivamente iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, fun- zione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, secondo un iter evolutivo del concetto di funzione eco- nomico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristal- lizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno in- teso compiere i contraenti adottando quella determina- ta, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale” (ancora Xxxx., S.U., 18 febbraio 2010 n. 3947 ma prima Cassazione 8 maggio 2006 n. 10490).
Così ricostruito il concetto di causa - e una volta distin- ta la nozione di atto di liberalità rispetto a quella di contratto a titolo gratuito, contratto quest’ultimo carat-
terizzato da un interesse patrimoniale anche mediato o “dalla natura economica dell’interesse” anche in assenza di una specifica controprestazione - per il Collegio o il contratto di avvalimento è a titolo oneroso oppure, in mancanza di corrispettivo in favore dell’ausiliario, deve emergere dal testo contrattuale chiaramente l’interesse, direttamente o indirettamente patrimoniale, che ha gui- dato l’ausiliario nell’assumere senza corrispettivo gli ob- blighi derivanti dal contratto di avvalimento e le relati- ve responsabilità. Tutto questo per realizzare quel con- trollo sulla meritevolezza che il codice espressamente prevede all’articolo 1322, comma 2, c.c., tenendolo ben distinto dal giudizio di liceità, e allo scopo di evitare che, come detto dalla dottrina, “gli interessi perseguiti dalle parti contrast(i)no con gli interessi generali della comunità e dei terzi maggiormente meritevoli di tutela”. Ciò peraltro si pone in continuità con un indirizzo giu- risprudenziale fatto proprio sia dal Consiglio di Stato (Cons. St., IV, 4 dicembre 2001 n. 6073) sia dalla Xxx- xx xx Xxxxxxxxxx (Xxxx., XXX, 00 gennaio 2002 n. 982 che, per i contratti atipici, stabilisce che “non può cer- tamente ritenersi che sia meritevole di tutela solo ciò che è oneroso” purché rimanga ferma la necessità di una verifica della meritevolezza degli interessi perseguiti anche nell’ambito dei contratti gratuiti atipici).
5.4. Occorre ora occuparsi della questione della forma del contratto di avvalimento. Nel caso di specie, la leg- ge stabilisce che il partecipante deve produrre il con- tratto in originale o in copia autentica così presuppo- nendo che il contratto sia stato stipulato in forma scrit- ta. Tuttavia il Codice non fornisce indicazioni chiare in ordine al requisito formale richiesto e cioè se si tratta di forma ad substantiam o ad probationem.
Come è noto la dottrina, da tempo, si occupa del pro- blema.
Per un primo indirizzo, quando il legislatore non chiari- sce se si tratta di forma ad substantiam o ad probationem, il requisito formale deve essere richiesto per la prova del contratto e non come requisito di validità. Tale orientamento, che ha trovato riconoscimento nella giu- risprudenza italiana (Cass., 3 ottobre 1991 n. 10391) e in quella francese, muove dal presupposto che la “forma è un intoppo al traffico” e che conseguentemente nel dubbio è meglio interpretare la legge nel senso che tale requisito sia richiesto unicamente per la prova.
Per altro orientamento, invece, nel dubbio deve preva- lere la qualificazione come requisito di validità anche in considerazione di quanto stabilito per le forme volonta- rie dall’art. 1352 c.c.
Per un terzo orientamento, infine, il dato letterale di per sé è neutro e spetta all’interprete stabilire di volta in volta, e non con soluzione unica per tutte le fattispe- cie, quando il requisito formale sia richiesto a pena di validità (art. 1325 e 1418 c.c.) o solo per la prova (art. 2787 c.c.). Seguendo questa opinione se il requisito di forma è prescritto a tutela di una “parte debole del rap- porto» sarebbe più corretto qualificarlo come forma ad substantiam mentre se «ha di mira rapporti con terzi” potrebbe ritenersi che serva solo per la documentazione del contratto.
Nel caso di specie, per la forma ad probationem milite- rebbero sia l’argomento incentrato sull’assenza di una parte debole da tutelare (trattandosi di rapporti che in- tervengono tra operatori qualificati e pubbliche ammi- nistrazioni) sia la collocazione sistematica della previ- sione di legge che impone la produzione del contratto unitamente agli altri documenti che l’operatore econo- mico deve fornire per partecipare alla gara.
A giudizio del Consiglio la forma (che naturalmente può essere assolta sia con la ‘tradizionale’ scrittura priva- ta sia attraverso l’uso del documento informatico e, a seconda dei casi, della relativa firma elettronica avanza- ta, qualificata o digitale ex art. 21 comma 2 e 2 bis d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82) è richiesta ad substantiam. Depon- gono in tal senso diversi argomenti.
In primo luogo occorre considerare che la differenza tra forma per la validità e forma per la prova essenzialmen- te riguarda l’impossibilità, o la possibilità, di concludere validamente il contratto senza il rispetto della forma scritta. Nel caso di specie il legislatore non ha richiesto genericamente la produzione di un documento dal quale risulta l’accordo tra impresa ausiliaria e ausiliata (così spingendo l’interprete verso la qualificazione in termini di forma ad probationem) ma, al contrario, ha imposto la produzione, al momento della partecipazione, del con- tratto in originale o copia autentica; in tal modo, sep- pur implicitamente, il Codice ha dato per presupposto che l’accordo debba avere la forma scritta. Ragionando diversamente, e optando per la forma ad probationem, dovrebbe poi coerentemente concludersi che il contrat- to di avvalimento possa essere dimostrato anche con documenti scritti diversi dal contratto nel quale è stata consacrata la volontà delle parti ma ciò è in contrasto con il dato legislativo.
In secondo luogo, pur non rinvenendosi nei rapporti in questione la presenza di una parte debole (trattandosi di rapporti che intervengono tra operatori qualificati e pubbliche amministrazioni), vi sono altre ragioni che impongono di orientarsi per la forma quale requisito di validità. La serietà e l’effettività dell’impegno assunto dall’ausiliario meglio possono essere accertati se a mon- te c’è un impegno sorto rispettando il requisito formale. La funzione di responsabilizzazione del consenso e di certezza dell’atto - che per la dottrina giustificano la prescrizione della forma - ricorrono nel caso di specie a giustificare la scelta prima indicata. Con il contratto si responsabilizza l’ausiliario imponendo l’individuazione espressa degli obblighi che assume e contemporanea- mente si dà alla stazione appaltante certezza di quelli che sono gli impegni effettivamente presi tra le parti proprio per evitare quelle elusioni alle regole sulla par- tecipazione alle gare tanto temute dalla dottrina.
In terzo luogo la dottrina attualmente maggioritaria ri- tiene che nel dubbio la forma sia richiesta ad substan- tiam perché in tal senso si è orientato il legislatore nel (diverso) caso in cui le parti, ex art. 1352 c.c., hanno convenuto una certa forma senza specificare se per la validità o per la prova.
In quarto luogo, a giudizio del Collegio, solo in questo modo possono meglio essere garantite le esigenze pro-
prie della c.d. forma-contenuto di cui si dirà più avanti (§ 5.5.5).
5.5. Particolarmente complessa è la tematica relativa al- l’oggetto del contratto di avvalimento.
5.5.1. Occorre in primo luogo comprendere se oggetto di avvalimento possano essere, oltre ai “requisiti di ca- rattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA”, espres- samente indicati dall’articolo 49 Codice Contratti, an- che quelli di idoneità professionale di cui all’articolo 39 Xxxxxx Xxxxxxxxx. A tale riguardo va ricordato che nes- sun dubbio vi è nell’ordinamento circa la necessità che sia l’impresa ausiliaria sia quella ausiliata posseggano i requisiti di ordine generale stabiliti dall’articolo 38 Co- dice; più complessa invece è la tematica relativa ai re- quisiti di idoneità professionale che, come è noto, sono individuati dalla legge con riferimento alla “iscrizione nel registro della camera di commercio, industria, arti- gianato e agricoltura o nel registro delle commissioni provinciali per l’artigianato, o presso i competenti ordi- ni professionali” (articolo 39 Codice Contratti) trovan- do esplicito riferimento nell’articolo 46 direttiva 2004/18/CE.
Per il Consiglio, de iure condito e in attesa del recepi- mento delle direttive varate nel 2014, deve essere esclu- sa la possibilità di utilizzare l’istituto dell’avvalimento per dimostrare i requisiti di idoneità professionale per- ché:
a) il Codice dei Contratti espressamente limita il ricor- so all’avvalimento ai soli requisiti “di carattere econo- mico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di atte- stazione della certificazione SOA”;
b) tale scelta è conforme alle indicazioni che ci proven- gono dalla direttiva 2004/18/CE che ammette l’avvali- mento per la capacità economica e finanziaria (art. 47, comma 2) e per quelle tecniche e professionali (art. 48, comma 3) ma non anche per l’abilitazione all’esercizio di attività professionale di cui al precedente articolo 46;
c) ragionando diversamente si creerebbe confusione tra i requisiti attinenti alla solidità e capacità dell’operatore economico e quelli relativi all’iscrizione nei registri o presso o presso i competenti ordini professionali;
d) una conferma, seppure limitata ad uno specifico caso, la ritroviamo oggi all’articolo 49, comma 1 bis, Codice Contratti (introdotto dall’art. 34, comma 2, del decreto legge n. 133 del 2014) che vieta il ricorso all’avvali- mento per dimostrare l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali;
e) anche l’articolo 63, parag. 1, direttiva 2014/24/UE ri- tiene possibile il ricorso all’avvalimento con riferimento ai requisiti di capacità economico-finanziaria di cui al- l’art. 58, parag. 3, e tecnico-professionale ex art. 58, pa- rag. 4, intenzionalmente non includendo i requisiti di abilitazione all’esercizio di attività professionale di cui all’articolo 58, parag. 2, dir. cit.
5.5.2. In secondo luogo occorre comprendere quando è sufficientemente determinato l’oggetto del contratto di avvalimento. In via generale, ai sensi dell’articolo 1346 c.c., l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile. Ai sensi dell’articolo 88
d.P.R. 207/2010 il contratto di cui all’articolo 49, com- ma 2, lettera f), del D.Lgs. 163/2006 deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente, tra l’altro, l’og- getto del contratto indicando le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico. Dal confronto tra l’ar- ticolo 1346 x.x. x x’xxxxxxxx 00 x.X.X. 000/0000 xxxxxx che il regolamento al Codice dei Contratti, a differenza del codice civile, ha richiesto che l’oggetto del contrat- to di avvalimento sia determinato, e non anche solo de- terminabile, e individuato potendosi al riguardo trarre convincimento dall’aggettivo “specifico” utilizzato dal- l’articolo 88 d.P.R. cit. Tale diversità di disciplina tra il codice civile e la normativa in materia di appalti si giu- stifica in ragione della necessità di evitare l’elusione dei requisiti prescritti dalla legge di gara ricorrendo a di- chiarazioni e contratti di avvalimento generici non ri- spondenti a quelle esigenze di serietà ed effettività pri- ma indicate.
5.5.3. A giudizio del Collegio occorre prioritariamente valutare se la disciplina dell’avvalimento è unica per tutte le tipologie di contratto di appalto oppure se deb- ba essere differenziata a seconda del tipo di appalto. Per un verso, non v’è dubbio che l’art. 49 si riferisca in ge- nerale - fatte salve alcune previsioni specifiche come quella dettata al comma 6 oggetto peraltro di interven- to da parte della Corte di Giustizia UE - a tutte le tipo- logie di appalto, laddove il successivo articolo 50 chia- ramente è destinato esclusivamente agli appalti di lavo- ri.
Più complessa è invece la questione con riferimento al già citato articolo 88 perché questo, per la sua colloca- zione (parte II, titolo III), sembrerebbe esclusivamente destinato agli appalti di lavori. Per il Consiglio, tutta- via, l’art. 88, comma 1, d.P.R. cit. (e non anche i com- mi 2 e segg. che sono certamente riferiti agli appalti di lavori) deve essere riferito anche agli appalti di servizi e forniture perché, in caso contrario, verrebbe tradita l’i- dea ispiratrice del Codice di individuare, per quanto possibile, una disciplina unitaria per lavori, servizi e for- niture (la c.d. “merlonizzazione” degli appalti di servizi e forniture). Inoltre, sempre ragionando diversamente, paradossalmente si richiederebbe maggiore specificità nell’individuazione dell’oggetto del contratto di avvali- mento relativo ai lavori e non nel caso di servizi e for- niture ove la qualificazione, come è noto, avviene “in bando” (applicando gli artt. 41 e 42 Cod.) e deve essere dimostrata di volta in volta.
5.5.4. Tutto ciò premesso, occorre ricordare che nella giurisprudenza di questo Consiglio, a fronte di un orien- tamento particolarmente rigoroso nell’accertamento dell’oggetto del contratto, si è delineato un altro indiriz- zo per cui sarebbe possibile distinguere il c.d. avvali- mento di garanzia da quello tecnico-operativo. Il primo, ossia l’avvalimento di garanzia, sarebbe “figura nella quale l’ausiliaria mette in campo la propria solidità eco- nomica e finanziaria a servizio dell’aggiudicataria ausi- liata, ampliando così lo spettro della responsabilità per la corretta esecuzione dell’appalto” (Cons. St., III, 22 gennaio 2014 n. 594) e, per tale ragione, il relativo contratto non richiederebbe la specificazione delle risor-
se materiali, immateriali e gestionali concretamente messe a disposizione. Nell’avvalimento operativo, inve- ce, il contratto dovrebbe indicare specificamente tutte le risorse, ex art. 42 Codice Contratti, dell’impresa ausi- liaria che vengono messe a disposizione dell’ausiliata.
Per questo Consiglio, e con riferimento alla determina- zione dell’oggetto, la distinzione tra avvalimento di ga- ranzia e avvalimento operativo può utilmente descrivere delle circostanze in fatto ma non ha appiglio giuridico. Se sotto un profilo squisitamente descrittivo è certa- mente possibile rintracciare una diversità tra l’avvalersi dei requisiti di cui all’art. 41 Cod. e l’avvalersi dei re- quisiti tecnico-professionali di cui all’art. 42 Codice Contratti, non v’è dubbio che, almeno allo stato, tutto ciò non può tradursi in un differente regime giuridico mancando disposizioni che differenziano la specificità dell’oggetto a seconda dell’una o dell’altra categoria.
In secondo luogo, ‘allentando’ il requisito della specifi- cità e determinatezza dell’oggetto nel caso di avvali- mento dei requisiti economico-finanziari, oltre che compiere un’interpretazione non prevista dalla legge, si rischia di compromettere quei requisiti di serietà ed ef- fettività che sono stati certamente considerati dal legi- slatore nel momento in cui ha recepito le direttive co- munitarie.
In terzo luogo va detto che la direttiva 2004/18/CE non ha posto differenza alcuna. Molto più complessa è inve- ro la disciplina introdotta dalla direttiva 2014/24/UE che, come è noto, è in attesa di recepimento. L’articolo 63, paragrafo 1, dopo aver ammesso il ricorso all’avvali- mento, si preoccupa di tutelare, oltre che gli interessi connessi alla concorrenza, anche quelli relativi alla se- rietà ed effettività dell’offerta stabilendo che se l’avvali- mento riguarda una specifica tipologia di requisiti tecni- co-professionali, quali i titoli di studio e professionali, gli operatori possono fare affidamento sulle capacità di altri soggetti solo se questi ultimi eseguono i lavori o i servizi per cui tali capacità sono richieste. Sempre l’arti- colo 63, parag. 1, si preoccupa poi di subordinare il ri- corso all’avvalimento alla dimostrazione all’amministra- zione aggiudicatrice che si disporrà dei mezzi necessari; il successivo parag. 3, con riferimento ai requisiti eco- nomico-finanziari, dà la possibilità all’amministrazione di esigere che ausiliato e ausiliario siano solidalmente responsabili dell’esecuzione del contratto. Più interes- sante, ma non rilevante per la decisione della presente controversia, è invece la possibilità di imporre all’opera- tore economico la sostituzione dei soggetti che non sod- disfano i requisiti o per il quale sussista un motivo ob- bligatorio di esclusione.
5.5.5. In definitiva, come di recente già affermato, il
c.d. avvalimento di garanzia “non deve rimanere astrat- to, cioè svincolato da qualsivoglia collegamento con ri- sorse materiali o immateriali, che snaturerebbe l’istituto, in elusione dei requisiti stabiliti nel bando di gara, esibi- ti solo in modo formale, finendo col frustare anche la funzione di garanzia” (Cons. St., III, 22 gennaio 2014
n. 294; in termini analoghi Cons. St., III, 17 giugno 2014 n. 3057). Ciò si traduce nella necessità che nel contratto siano adeguatamente indicati, a seconda dei
casi, il fatturato globale e l’importo relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara nonché, come specificato dalla dottrina (che non può essere citata ex art. 118, comma 3, disp.att. c.p.c.) gli specifici “fattori della produzione e tutte le risorse che hanno permesso all’ausiliaria di eseguire le prestazioni analoghe nel pe- riodo richiesto dal bando”.
Tale conclusione peraltro risulta coerente con la funzio- ne che assolve la forma del contratto di avvalimento ri- chiesta dall’articolo 49 Codice dei Contratti. Come è noto di recente nella dottrina civilistica è stata elabora- ta la nozione di forma-contenuto. Accedendo ad una nozione lata di forma del contratto, ed una volta richia- mata la distinzione tra contenuto formale e contenuto sostanziale, per la dottrina esistono casi di nuovo forma- lismo che impongono nel documento contrattuale, “ri- chiesto per lo più a fini di validità”, “una serie di ele- menti predeterminati dal legislatore”. In altri termini la forma non è solo il mezzo di manifestazione della volon- tà contrattuale ma anche “l’incorporazione di un conte- nuto minimo …. di informazioni che attraverso il con- tratto devono essere fornite”, evitando sovrapposizioni con la tematica della determinatezza o della determina- bilità dell’oggetto. In altri termini, e venendo al caso che ci occupa, la necessità di indicare in modo compiu- to, esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico (art. 88 d.P.R. 207/2010), per un verso, attiene alla determinatezza dell’oggetto del contratto e, per altro verso, si riferisce al requisito di forma-contenuto che deve esserci per le ragioni sino a qui esposte a pena di validità del negozio stesso.
6. Passando ora all’esame dell’appello, va prioritaria- mente individuata la natura del requisito per cui v’è sta- to avvalimento. Al riguardo il collegio ritiene corretta la decisione del giudice di primo grado sia per le ragioni (che si condividono) indicate nella sentenza impugnata sia per queste ulteriori considerazioni.
L’articolo 41 nell’indicare il c.d. fatturato specifico fa ri- ferimento all’importo “relativo ai servizi o forniture nel settore oggetto della gara realizzati negli ultimi tre eser- cizi” mentre il successivo articolo 42, tra i requisiti tec- nico-professionali, indica alla lettera a) la “presentazio- ne dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o pri- vati, dei servizi o forniture stessi”.
Nel caso di specie il bando, dopo aver indicato un certo fatturato globale, alla lettera b) richiede il requisito consistente nello “avere effettuato nel triennio antece- dente la data di pubblicazione del bando forniture di tu- bazioni per un importo complessivo non inferiore ad E 7.489.050,00 al netto di IVA”. Pur rilevando che la let- tera del bando non è chiara, reputa il Collegio che il ri- ferimento al fatturato nella lettera a) e alle “forniture” nella lettera b), nonché la differente terminologia utiliz- zata, debba portare ad intendere il requisito di cui alla predetta lettera b) nel senso di richiedere la “presenta- zione dell’elenco dei principali servizi o delle principali forniture prestati negli ultimi tre anni con l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o pri-
vati, dei servizi o forniture stessi” ex art. 42 e, dunque, come requisito tecnico-professionale.
Così qualificato il requisito - anche ad ammettere una differenza tra avvalimento di garanzia e avvalimento operativo, differenza che il Collegio, come detto, esclu- de - l’appello risulta infondato dovendo valutare come corretta la decisione del giudice di primo grado in ordi- ne alla genericità del contratto. Dagli atti emerge infatti che con il negozio ex art. 49 sono stati forniti “…tutti i requisiti - ed in particolare il proprio requisito relativo alla capacità tecnico-organizzativi relativamente alla fatturazione nel triennio antecedente la data di pubbli- cazione del bando di forniture di tubazioni per un im- porto complessivo non inferiore ad € 7.489.050,00 al netto dell’IVA, necessario per la partecipazione di que- sta alla gara di cui al punto 1 della premesse del presen- te contratto nonché a mettere a disposizione della AC.- MO. SPA tutte le risorse necessarie alla esecuzione del- le prestazioni oggetto di appalto per tutta la durata dello stesso, assumendo, nei confronti della stazione appaltan- te, tutti i relativi e conseguenti obblighi…”.
Come già affermato dal TAR l’oggetto risulta non suffi-
cientemente determinato. Ancor prima, a giudizio del Collegio, non risulta rispettata la previsione di legge sulla forma-contenuto che il contratto di avvalimento deve possedere. Ed invero nel mettere a disposizione ta- le requisito non sono stati riportati tutti i contenuti che per legge entrano a far parte della forma del contratto di avvalimento quali, nel caso di specie, l’indicazione degli importi, delle date e dei destinatari, pubblici o pri- vati delle forniture o la illustrazione degli specifici fatto- ri della produzione e delle specifiche risorse che hanno permesso all’ausiliaria di eseguire le prestazioni analoghe nel periodo richiesto dal bando e che poi fungono da garanzia per la corretta esecuzione del contratto che la stazione appaltante intende aggiudicare.
Le considerazioni sino a qui esposte, unitamente alla
constatata nullità per mancanza di forma-contenuto e indeterminatezza dell’oggetto del contratto di avvali- mento intercorso tra l’appellantee l’ausiliaria, portano al rigetto dell’appello. Giova in ultimo precisare che va respinta la difesa di parte appellante incentrata sulla circostanza che si sarebbe fatta confusione tra il “con- corrente, mero fornitore di tubi, con il fabbricante dei tubi da fornire” (pagina 8 dell’appello) perché non v’è dubbio che si trattava di appalto per la fornitura di tubi e che per tale fornitura erano richiesti dal bando alcuni requisiti di cui l’operatore partecipante non era in pos- sesso. Pertanto l’unico modo per partecipare era di ri- correre ad un valido contratto di avvalimento rispettoso di tutte le prescrizioni di legge, circostanza questa che nel caso di specie non si è realizzata.
Conseguentemente vanno assorbite tutte le questioni in
xxxx e in merito proposte anche da parte appellata.
7. La complessità delle questioni trattate, la difficoltà delle soluzioni interpretative e l’esistenza di orienta- menti giurisprudenziali non uniformi costituiscono giu- ste ragioni per compensare tra le parti costituite le spese di questo grado di giudizio.
ni dei consorzi stabili, per cui se, inizialmente poteva esservi qualche dubbio in ordine al possesso dei requisiti da parte del soggetto consorziato, incaricato di eseguire le prestazioni, successivamente la tesi della necessità del possesso dei requisiti solo in capo ai consorzi stabili sembra al Collegio la più coerente con la stessa indivi- duazione di tali figure soggettive.
Queste, infatti, hanno una loro qualificazione, che con- sente ai medesimi di partecipare alle gare pubbliche, e pertanto sono gli stessi che assumono su di sé,e con le qualificazioni possedute, l’onere della esecuzione delle prestazioni contrattuali, a nulla rilevando che abbiano designato una consorziata non in possesso delle qualifi- cazioni necessarie, essendo la prestazione “in toto” rica- dente sul medesimo consorzio stabile, che potrà provve-
dervi o direttamente o per il tramite di un’altra impresa consorziata (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 ottobre 2000, n. 1534).
Solo così ha un senso la qualificazione da parte della so- cietà organismo di attestazione/SOA) in capo diretta- mente al consorzio stabile; questo, in quanto titolare della necessaria qualificazione, è il contraente del con- tratto e solo alla sua qualificazione occorre fare riferi- mento.
L’appello è, pertanto, infondato e va, conseguentemen- te, respinto.
Tuttavia, in considerazione dell’andamento complessivo della vicenda contenziosa, le spese di giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti costituite nel presente giudizio di appello.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxxx (*)
Il C.G.A. siciliano, dopo ampia disamina degli aspetti dogmatici dell’istituto dell’avvalimento, giunge alla condivisa conclusione secondo cui, anche nell’avvalimento cd. di garanzia, stante il concreto rischio di assistere alla creazione di cd. “avvalifici” finalizzati a consentire a imprese inidonee (per dimensioni e organizzazione imprenditoriale) la partecipazione alle gare pubbliche, occorre in ogni caso verificare in maniera estremamente rigida i requisiti contenutistici del con- tratto di avvalimento, essendo onere del concorrente dimostrare che l’impresa ausiliaria non s’impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore cartola- re e astratto, ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata le pro- prie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che hanno giustificato il consegui- mento del requisito e, quindi, a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti in relazione all’oggetto dell’appalto.
La pronuncia in commento, per la dovizia e la profondità delle soluzioni argomentative addotte, è assai significativa del fervente dibattito tutt’oggi in corso sugli aspetti più problematici, e perciò più af- fascinanti, dell’istituto dell’avvalimento nei con- tratti pubblici: a conferma della persistente ritrosia dell’ordinamento nazionale, e della sua struttura a carattere essenzialmente “formale”, ad adeguarsi al- le categorie di tipo “sostanziale” portate ormai ab antiquo tempore dal diritto europeo, soprattutto nel settore strategico delle commesse pubbliche.
A siffatto proposito si consideri che la questione sottoposta al vaglio del Supremo Consesso della giustizia amministrativa in terra siciliana era rap- presentata dal dubbio se il contratto di avvalimen- to presentato in gara dall’aggiudicataria di un ap- palto di fornitura (nella specie, “fornitura di tuba- zioni in ghisa per il trasporto di acque potabili”),
finalizzato alla dimostrazione del possesso del requi- sito relativo al fatturato specifico imposto dal ban- do, dovesse (o meno) riportare la compiuta indica- zione dei mezzi, del personale e delle risorse mate- riali messe concretamente a disposizione dall’im- presa ausiliaria.
Xxxxxx, mentre il Giudice di prime cure aveva “sbrigativamente” superato la questione richiaman- do la notoria (ma, come oltre si osserverà, alquanto flebile) distinzione pretoria tra avvalimento cd. “tecnico-operativo” e avvalimento cd. “di garan- zia”, riconducendo, in ispecie, il fatturato specifico imposto dalla lex specialis nell’alveo del primo tipo, con conseguente obbligo di specificità dell’oggetto del contratto di avvalimento (id est: mezzi, perso- nale e risorse), il Giudice d’appello, evidentemente non persuaso da tale argomentare, ha ritenuto ne- cessaria una ricostruzione analitica dell’istituto, a
(*) N.d.R.: il presente contributo è stato sottoposto, in for- ma anonima, al vaglio del Comitato di Valutazione.
tal uopo riguardato sotto quei profili ancor oggi in- certi, quali (in sintesi):
1) la tipicità o atipicità del contratto di avvali- mento;
2) il profilo causale del negozio in questione (ca- rattere oneroso o gratuito);
3) la forma del contratto (ad substantiam o ad probationem);
4) l’oggetto del contratto, se necessariamente determinato o anche solo determinabile.
Anticipandosi gli esiti della presente nota di commento, ad avviso di chi scrive, decisivo appare soltanto l’ultimo elemento relativo all’oggetto spe- cifico e determinato imposto ex lege al contratto di avvalimento; tanto ai fini di un inquadramento dell’istituto in grado di armonizzare, da un lato, l’interesse dell’Unione alla massima partecipazione alla gara e alla libera concorrenza nel mercato, dal- l’altro, l’interesse pubblico della stazione appaltan- te alla scelta di un contraente serio e affidabile sul piano tecnico ed economico-finanziario.
Le origini (europee) dell’istituto dell’avvalimento
La conclusione testé annunciata non può pre- scindere, e anzi riceve fondamento, da un salutare, mai superfluo “ritorno alle origini” dell’istituto del- l’avvalimento.
È circostanza nota che la possibilità per i parte- cipanti a gare per l’aggiudicazione di appalti pub- blici di servirsi dei requisiti - speciali, giammai ge- nerali - di soggetti terzi estranei alla selezione, è stata riconosciuta dalla Corte di Giustizia, assai prima della positivizzazione dell’istituto dell’avvali- mento ricevuta dal legislatore unionista, prima, e nazionale, dopo.
Con una prima pronuncia risalente ormai a un ventennio (1), i Giudici di Lussemburgo riconosce- vano in favore di una holding la possibilità di servir- si dei requisiti posseduti da una società controllata, con una soluzione ispirata al principio della massi- ma partecipazione delle imprese al mercato degli appalti pubblici.
È questa l’espressione primordiale e immediata- mente intuibile dell’utilità dell’avvalimento come
strumento per ampliare la platea dei concorren- ti (2).
Da qui il passo è stato brevissimo verso il pieno riconoscimento anche della valenza dei “rapporti esterni” tra imprese non collegate: v’è, infatti, so- stanziale equiparazione, sul piano degli effetti giuri- dici, tra la situazione di controllo tipica di una hol- ding e qualsivoglia, specifico vincolo negoziale che impegni due imprese in relazione alla singola gara, l’una a fornire i requisiti di partecipazione di cui è già in possesso, l’altra ad avvalersene in quanto ne sia priva.
Ed è proprio a seguito di tale significativa aper- tura che la Corte di Giustizia, quale contrappeso al deficit di garanzia riveniente dalla deroga al princi- pio generale della personalità dei requisiti di parte- cipazione in capo a ciascun concorrente, ha avver- tito la necessità di puntualizzare che, in tutti gli al- tri casi di avvalimento (al di fuori dei “rapporti in- terni” a un gruppo d’imprese), s’impone al concor- rente l’obbligo di dimostrare alla stazione appaltan- te di poter “disporre effettivamente di mezzi e ca- pacità” del soggetto terzo ausiliario (3).
I principi della giurisprudenza transanzionale so- no, così, confluiti, prima, negli artt. 47 e 48 della direttiva CE 2004/18, nonché 54 della direttiva 2004/17, per cui un operatore economico può, per un determinato appalto, fare affidamento sulle ca- pacità di altri soggetti, ma in tal caso è tenuto a “provare all’amministrazione aggiudicatrice che per l’e- secuzione dell’appalto disporrà delle risorse necessa- rie” (art. 47 cit.).
Indi, nell’art. 49, D.Lgs. n. 163/2006 (nell’eco- nomia del presente commento si tralascia l’art. 50 sull’avvalimento nei sistemi di attestazione e quali- ficazione), secondo cui il concorrente (in tutte le forme previste all’art. 34), in relazione a una speci- fica gara di lavori, servizi, forniture, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di ca- rattere economico-finanziario e tecnico-organizza- tivo (esclusi, dunque, i requisiti generali), avvalen- dosi dei requisiti di un altro soggetto (o dell’atte- stazione SOA di altro soggetto).
L’importanza dell’istituto è odiernamente confer- mata dalla scelta del legislatore unionista del 2014,
(1) Xxxxx Xxxxxxxxx XX, 00 aprile 1994, causa C-389/92, Bal- last Nedam Groep, in Foro Amm., 1994, 2051.
(2) Non a caso quello cd. “infragruppo”, proprio per la con- naturale stabilità dei “rapporti interni” che sottende, ha dipoi ricevuto un espresso riconoscimento positivo nell’art. 49, com- ma 2, lett. g) del Codice dei contratti pubblici che, finanche in deroga alle cautele formali imposte per la generalità dei casi di avvalimento, ha previsto la facoltà per l’impresa concorrente
di presentare, in luogo del contratto di avvalimento, una di- chiarazione sostitutiva attestante il legame giuridico ed econo- mico esistente nel gruppo. Cfr., per una sua disamina puntua- le, Cons. Stato, Sez. VI, 2 luglio 2014, n. 3336, in Foro Amm. CDS, 2014, 2019.
(3) Cfr. Xxxxx Xxxxxxxxx XX, 0 dicembre 1999, causa C- 176/98, Soc. Xxxxx Italia, in Foro Amm., 2001, 1089.
che all’art. 63 della direttiva UE 2014/24 ribadisce come: “Per quanto riguarda i criteri relativi alla capa- cità economica e finanziaria … e i criteri relativi alle capacità tecniche e professionali … un operatore eco- nomico può .. fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi le- gami con questi ultimi”; in tal caso: “… dimostra al- l’amministrazione aggiudicatrice che disporrà dei mezzi necessari”.
Le alterne vicende dell’art. 49 del Codice
L’assimilazione dell’istituto sul versante interno non è, tuttavia, avvenuta in maniera piana e in- condizionata.
Il legislatore nazionale, infatti, pur non potendo negare la portata generale del (nuovo) istituto del- l’avvalimento (trasversalmente applicabile a tutti gli appalti), in quanto direttamente preordinato al- la tutela della concorrenza a livello europeo attra- verso soprattutto l’apertura del mercato degli ap- palti pubblici alle imprese minori, ha nondimeno mostrato sin da subito evidenti resistenze, preoccu- pato del rischio di elusione delle regole di gara da parte di concorrenti inadeguati sul piano tecnico ed economico-finanziario.
In tal senso, la pronuncia in esame puntualmen- te ricorda alcune “cautele” a corredo dell’istituto apprestate dal Codice dei contratti pubblici, quali:
1) l’obbligo, in ogni caso, per l’impresa ausiliaria del possesso dei requisiti generali di moralità pro- fessionale ex art. 38, D.Lgs. n. 163/2006 [art. 49, comma 2, lett. c)];
2) la responsabilità solidale del concorrente e dell’impresa ausiliaria [art. 49, comma 2, lett. d)];
3) una puntuale indicazione dei numerosi obbli- ghi di rilievo formale imposti sia al concorrente che all’impresa ausiliaria, compendiati in quattro dichiarazioni da allegare all’offerta, unitamente al- l’“originale o copia autentica” del contratto di av- valimento.
Altre “precauzioni” interne, come il divieto di subappalto in favore dell’impresa ausiliaria (comma 10) o la possibilità per il bando di gara di limitare l’avvalimento, alternativamente, ai soli requisiti economici o tecnici (comma 7), sono state repen- tinamente rimosse a opera, rispettivamente, del cd.
primo decreto correttivo (art. 2, comma 1, lett. d), X.Xxx. n. 6/2007) e cd. terzo correttivo (art. 1, comma 1, lett. n), n. 2, D.Lgs. n. 152/2008).
E’ storia recente, inoltre, l’intervento dei Giudi- ci di Lussemburgo sul comma 6 dell’art. 49 (4), mercé il quale è stata sancita l’ammissibilità del- l’avvalimento cd. “plurimo o frazionato”, con il quale l’aspirante all’aggiudicazione di un contratto d’appalto può avvalersi dei requisiti speciali cumu- lando quelli appartenenti a più soggetti (plurimo) e anche eventualmente in aggiunta ai propri requi- siti (frazionato): intervento dapprima condiviso dal Consiglio di Stato (5), indi recepito sul diritto po- sitivo dall’art. 21, comma 1, Legge n. 161/2014.
Epperò, a fronte delle ridette “cautele”, pur con- trassegnate da alterne fortune, su un punto assolu- tamente imprescindibile l’art. 49, da solo conside- rato, è apparso deficitario: ossia nella assai generica previsione, identicamente riprodotta nelle lettere
d) ed f), che impone all’impresa ausiliaria di di- chiarare di: “… mettere a disposizione le risorse neces- sarie”.
La tangibile indeterminatezza della prescrizione non poteva che generare di per sé le condizioni per la sua agevole elusione.
E, infatti, è sin dal principio invalsa negli opera- tori economici la comoda prassi di riprodurre tau- tologicamente nei contratti di avvalimento l’obbli- go generico di “mettere a disposizione le risorse ne- cessarie” di cui è carente il concorrente: tanto sen- za alcuna specificazione in ordine a mezzi, persona- le e altri elementi aziendali qualificanti.
Fino a quando s’è avuta piena consapevolezza della portata delle disposizioni attuative dell’art. 49 del Codice introdotte (quattro anni dopo) dall’art. 88 del Regolamento (d.P.R. n. 207/2010) ove, co- me si sa, è stato previsto che, ai fini della qualifica- zione in gara, il contratto di cui all’articolo 49, comma 2, lettera f), del Codice: “… deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente: a) oggetto: le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e spe- cifico; b) la durata; c) ogni altro utile elemento ai fini dell’avvalimento”.
Il combinato disposto dell’art. 49, comma 2, lett. d) ed f), D.Lgs. n. 163/2006, e dell’art. 88, d.P.R.
n. 207/2010, conferisce oggidì piena attuazione a quel precetto della giurisprudenza europea - ancor
(4) Xxxxx xx Xxxxxxxxx XX, 00 ottobre 2013, causa C-94/12, in
Guida al diritto, 2013, 43, 94.
(5) Cons. Stato, Sez. V, 9 dicembre 2013, n. 5874 in Foro Amm. CDS, 2013, 3447; cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 277, secondo cui l’avvalimento frazionato de- ve intendersi non limitato agli appalti di lavoro, ma esteso an-
che a quelli di servii e forniture; sull’estensione dell’avvalimen- to cd. “frazionato” anche agli appalti di servizi si segnala, altre- sì, l’ordinanza del Consiglio di Giustizia Amministrativa, 15 gennaio 2015, n. 1, che ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia UE, in D&G 2015, 16 febbraio.
oggi perentoriamente confermato dal citato art. 63 della direttiva UE 2014/24 - che ab origine eviden- ziava la necessità per cui, al di fuori dell’avvali- mento cd. “infragruppo”, il concorrente dovesse dare prova di disporre “effettivamente” delle risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto (6).
Nel descritto, compiuto approdo può, così, tro- vare adeguata soluzione la quaestio iniziale sottopo- sta al Giudice d’appello siciliano, se il contratto di avvalimento relativo al requisito del fatturato spe- cifico imposto dal bando per un appalto di fornitu- ra, debba riportare la specificazione dei mezzi, del personale e delle risorse materiali messe concreta- mente a disposizione dall’impresa ausiliaria.
L’ineludibile esigenza di determinazione dell’oggetto del contratto di avvalimento
La controversia oggetto della pronuncia in esa- me investe, in via mediata, il rischio, dai primordi evidenziato, che un uso distorto dell’istituto in pa- rola trascenda nella creazione di cd. “avvalifici” per aggirare le regole dell’evidenza pubblica e con- sentire la partecipazione alle gare di concorrenti che, in realtà, si rivelano “vuoti simulacri”, del tut- to inidonei ad assicurare la corretta e puntuale ese- cuzione del contratto (7).
In vista di tanto, la decisione profonde un’anali- tica disamina dei profili dogmatici, e problematici, del contratto di avvalimento: tra cui, come antici- pato, soltanto quello relativo all’oggetto del con- tratto pare assumere portata dirimente ai fini del decisum
E xxxxxx non convince in primis la digressione in ordine alla tipicità o atipicità del contratto di av-
valimento; sul punto, il Collegio siciliano sottoli- nea di non condividere la tesi circa l’irrilevanza per la stazione appaltante dei rapporti interni tra avvalente e avvalso.
Tuttavia, tale affermazione collide con la stessa lettera delle citate direttive nn. 18 e 17 del 2004 che, si rammenta, hanno generalizzato la possibilità per il concorrente di avvalersi delle capacità di al- tri soggetti, “a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi”; puntualizzazione ora pienamente confermata dal ridetto art. 63 della di- rettiva 2014/24.
Di tal ché, il dibattito sul punto deve ritenersi ormai superato nel senso dell’atipicità del contratto di avvalimento, come, del resto, ampiamente divi- sato dai Giudici amministrativi nazionali sin dalle prime pronunce sull’istituto, ove è stato rimarcato come la fattispecie in parola dev’essere rimessa al- l’autonomia contrattuale e quindi ricompresa nel- l’alveo dell’art. 1322 c.c., fermo restando il conte- nuto minimo prescritto dalla norma in difetto del quale il contratto non è idoneo alla funzione che gli è propria (id est: l’obbligo giuridico di “fornire i requisiti e di mettere a disposizione le risorse necessarie per tutta la durata dell’appalto”) (8).
Le prefate considerazioni riverberano, altresì, sull’ulteriore aspetto trattato, relativo al profilo causale del negozio in questione, con particolare ri- guardo alla sua natura onerosa o gratuita: anche su quest’ultimo profilo, il Collegio non rinuncia a puntualizzare che, o il contratto è a titolo oneroso, oppure in mancanza di corrispettivo deve comun- que emergere un interesse “patrimoniale” (v. art. 1174 c.c.), per realizzare il controllo di meritevo-
(6) Sull’evoluzione dell’istituto dell’avvalimento si veda
M.A. Xxxxxxxx, X. Xx Xxxxxxxx, X Xxxxxxxx, (a cura di), Trattato sui contratti pubblici, Milano 2008, vol. II, 1498 M. M. Xxxxxx- xxxx, L’avvalimento: questioni pregiudiziali e giudicato (dopo il X.Xxx. n. 6/07), Relazione tenuta al Convegno di Studi sul Co- dice dei contratti pubblici, organizzato da AIGA Modena e Confindustria Xxxxxx - Xxxxxx 00 marzo 2007, in fracanza- xx.xx; X. Xxxxxxxxxxxx, L’avvalimento, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), I contratti di appalto pubblico, in X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx (dirr.), Trattato dei contratti, Torino, 2010, X. Xxxxxxxxxx, La ca- pacità economica e finanziaria, in X. Xxxxxxxx e M.A. Xxxxxxxx (a cura di), Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria n. 62/2005, Milano, 2005, 623; F. Mazzonetto, L’avvalimento (o “possesso indiretto dei requisiti”), in X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxx e X. Xxxx (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, Padova, 2014, 431; X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxx in G.F. Ferrari e
X. Xxxxxxxxxx (diretto da), Commentario al codice dei contratti pubblici, Milano, 2013, 741; X. Xxxxxxx, I contratti pubblici, To- rino, II ed., 2012, 355; S. Luce, Requisiti oggettivi degli operato- ri economici affidatari degli appalti pubblici di lavori, in X. Xxxxx- gella e X. Xxxxxx (dir.), L’appalto pubblico e gli altri contratti del-
la P.A., Bologna, 2012, 452; X. Xxxxxxxxx - X. Xxxxxxxxxx, L’ap- palto di opere pubbliche, Milano, 2012, XII ed., Tomo I, 540; X. Xxxxxxx in X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx (a cura di), Codice dell’appalto pubblico, Milano, 2011, 594; 521; X. Xxxxx, Requi- siti di partecipazione, accesso alle gare pubbliche e riflessi sulla tutela della concorrenza tra imprese, in X. Xxxxxxx (a cura di), Commentario al Codice dei contratti pubblici, Torino, 2010; X. Xxxxxxx, I requisiti di partecipazione alle gare e l’avvalimento, Milano, 2008.
(7) Si veda, X. Xxxxxx, L’idoneità degli operatori economici alla esecuzione di lavori pubblici: un filo conduttore che lega gli istituti vecchi e nuovi del “Codice” unificato degli appalti, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx; M.C. Xxxxxx, Avvalimento: am- missibile anche se non previsto dalla lex specialis, in questa Ri- vista, 2008, 496; X. Xxxxxxxxxx, L’avvalimento negli appalti pub- blici: i punti fermi e i nodi ancora irrisolti, in Il Nuovo Dir. Amm., 2013, 58.
(8) Cons. Stato, Sez. V, 17 marzo 2009, n. 1589, in www.le- xxxxxxx.xx, 3, 2009; T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 10 ottobre 2007, n. 2486, in Foro Amm. TAR, 2007, 10, 3215; da ultimo, Cons. Sta- to, Sez. III, 4 dicembre 2014, n. 5978, in Foro Amm. CDS, 2014, 12.
lezza espressamente previsto per l’autonomia nego- ziale dall’art. 1322 c.c.
Tuttavia, anche in questo caso l’indagine appare superflua in quanto, già sul piano generale, l’atipi- cità del contratto di avvalimento non dovrebbe de- terminare alcun vincolo in ordine alla causa nego- ziale e alla necessità di previsione del corrispettivo, dimostrandosi irrilevante la natura gratuita o one- rosa della prestazione dell’impresa ausiliaria (9).
Quanto all’ulteriore rilievo del G.A. adito circa la forma che deve avere il contratto di avvalimen- to, la decisione in esame predilige quella ad sub- stantiam, come requisito di validità stessa del con- tratto; tanto nonostante l’ormai risalente (e preva- lente) convincimento esegetico che afferma la for- ma ad probationem in ragione del principio della li- bertà delle forme immanente all’avvalimento (10).
In definitiva, l’ampia latitudine e l’irriducibilità dei contrasti esegetici che ancor oggi è dato regi- strare sui profili passati rapidamente in rassegna, è la prova più evidente, a parere di chi scrive, della non risolutezza, se non fallacia, della prospettiva sin qui ostinatamente perseguita nella laboriosa opera di inquadramento dell’istituto.
E che, una volta di più, deve indurre a far rite- nere che, evidentemente, occorre spogliarsi delle coriacee categorie interpretative di tipo solo “for- male” sin qui adoperate, proprie dell’ordinamento interno, a favore di quell’approccio sostanziale tipi- co del livello europeo: e l’attuale praticabilità del- l’avvalimento cd. “plurimo o frazionato”, con tutte le implicazioni pratiche, tuttora sconosciute e non facilmente pronosticabili, che potrà determinare nelle dinamiche dei rapporti tra le imprese, finisce per rafforzare tale convincimento.
Segue
In siffatto scenario, non resta che focalizzare l’at- tenzione dell’interprete sull’unico elemento certo riveniente sin dalle “origini” dell’istituto: la previ- sione dell’obbligo per l’impresa concorrente di di- mostrare alla stazione appaltante di “disporre effet- tivamente di mezzi e capacità” del soggetto terzo ausiliario.
L’avvalimento, al di là della forma negoziale pre- scelta e d’ogni considerazione sulla natura del rela- tivo contratto, non deve mai trasformarsi in una sorta di "scatola vuota", non essendo per vero con-
sentito ai concorrenti, privi di taluni requisiti di qualificazione, di ottenerli in prestito al fine di par- tecipare alle gare d’appalto senza che sussistano adeguate garanzie circa gli effettivi impiego e di- sponibilità, in fase di esecuzione contrattuale, delle risorse necessarie.
L’esaltazione di tale profilo passa, così, attraverso l’indefettibile requisito della specificità e determi- natezza dell’oggetto del contratto di avvalimento, che trova un inequivocabile fondamento giuridico nella disposizione di cui all’art. 88, d.P.R. n. 207/2010, secondo cui il negozio in questione deve riportare in modo compiuto, esplicito ed esauriente le risorse e i mezzi prestati in modo determinato e specifico.
Come condivisibilmente osservato dal C.G.A. siciliano, la norma regolamentare, oltreché dare concreta attuazione al generico e scarno precetto dell’art. 49, comma 2, lett. f) del Codice (che ri- chiede di “mettere a disposizione le risorse necessa- rie”), si pone in rapporto di specialità anche con la disciplina generale dei contratti di cui all’art. 1346 c.c., in quanto a differenza di quest’ultima, impone, peraltro con formula volutamente ridondante, che l’oggetto del contratto sia “determinato e specifi- co”, non anche solo determinabile.
E all’obiezione di carattere solo formale secondo cui l’art. 88 si applicherebbe esclusivamente agli appalti di lavori per la sua collocazione nella parte II, titolo III del Regolamento, è sufficiente opporre considerazioni di carattere sostanziale e sistematico per cui:
- in mancanza del presidio assicurato dalla citata norma regolamentare, rimarrebbe del tutto “sco- perto” il precetto generale di cui all’art. 49 del Co- dice con riguardo agli appalti di servizi e forniture (con la conseguenza di agevolare troppo agevoli ef- fetti discorsivi di aggiramento delle regole di gara attraverso la creazione di cd. “avvalifici”);
- l’esigenza del rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 88, D.P.R. n. 207/2010 s’impone a fortio- ri proprio negli appalti di servizi e forniture in cui, com’è noto, non esiste un sistema di qualificazione unico e obbligatorio, come per i lavori, e i requisiti richiesti vengono di volta in volta calibrati dalla legge di gara in relazione allo specifico oggetto del- l’appalto (11).
(9) Nella prassi l’A.N.A.C. stima nell’ordine di appena il 14% circa il numero di contratti di avvalimento a titolo oneroso (cfr. documento di consultazione, “L’avvalimento nelle proce- dure di gara”).
(10) Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2012, n. 101, in Foro
Amm. CDS, 2012, 1, 135; più risalente, idem, Sez. V, 10 feb-
braio 2009, n. 743.
(11) In senso contrario, si veda T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 3 dicembre 2014, n. 1483, in xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx.
Le prefate considerazioni hanno finito, così, per guadagnare un ampio consenso in giurisprudenza sul convincimento per cui i requisiti contenutistici del contratto di avvalimento devono essere appli- cati “in maniera estremamente rigida”, essendo onere del concorrente dimostrare che l’impresa au- siliaria non s’impegna semplicemente a prestare il requisito soggettivo richiesto, quale mero valore cartolare e astratto, ma assume l’obbligazione di mettere a disposizione dell’impresa ausiliata, in re- lazione all’esecuzione dell’appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che hanno giustificato il conseguimento del requi- sito e, quindi, a seconda dei casi, mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualifican- ti, in relazione all’oggetto dell’appalto (12).
Quello della compiuta, esplicita ed esauriente determinazione e specificazione dell’oggetto del contratto di avvalimento si atteggia, così, come unico limite, positivo e negativo, alla portata gene- rale e all’espansività dell’istituto, a fronte del quale le su esposte (pur pregevoli) dispute di carattere dogmatico perdono di attitudine pratica.
Il focus sull’oggetto determinato e specifico del contratto, al fine di consentire la verifica da parte della stazione appaltante del concreto ed effettivo avvalimento del requisito speciale richiesto, divie- ne, altresì, la chiave di volta per dirimere numero- se fattispecie ancor oggi ammantate da incertezza.
In primo luogo, se così osservato l’istituto, assu- me valore meramente descrittivo e non precettivo la convenzionale distinzione tra avvalimento cd. “operativo” (avente a oggetto requisiti definiti ma- teriali, quali ad es. mezzi e attrezzature tecniche, personale e processi produttivi) e avvalimento cd. “di garanzia” (relativo a requisiti ritenuti immate- riali, come il fatturato globale d’impresa), quest’ul- timo caratterizzato da un’attenuazione dell’onere probatorio in ordine alla effettiva sua disponibilità. Xxxxxx, al di là dell’agevole obiezione di rilievo formale secondo cui tale distinzione “non ha appi- glio giuridico” neppure nelle direttive (anche nel- l’ultima 2014/24/UE), è evidente che, valorizzan- dosi il profilo cruciale per cui l’oggetto del contrat- to d’appalto dev’essere determinato, l’impresa ausi-
liaria non potrà limitarsi a dichiarare (apodittica- mente) di fornire, a titolo esemplificativo, il requi- sito del fatturato specifico per prestazioni analoghe all’oggetto dell’appalto, ma dovrà specificare anche quali siano i fattori della produzione e gli altri ele- menti qualificanti che hanno consentito all’ausilia- ria di conseguire quel determinato requisito (ad es. attraverso il rinvio alla pregressa esperienza matu- rata, con specifica indicazione e allegazione anche dei contratti relativi alle maggiori commesse pub- bliche eseguite, analoghe all’oggetto della ga- ra (13)).
È stato, altresì, chiarito, con riguardo ad es. al requisito del fatturato globale d’impresa, che l’av- valimento di garanzia può spiegare la sua funzione di assicurare alla stazione appaltante un partner commerciale con solidità patrimoniale proporzio- nata ai rischi di inadempimento contrattuale, solo se rende palese la concreta e attuale disponibilità di risorse e dotazioni aziendali adeguate all’oggetto dell’appalto, ovvero in ogni caso chiarisca in quale modo e con quali tempi, col prestito del requisito, intenda concretare l’estensione della base patrimo- niale della responsabilità da esecuzione dell’appal- to; tanto affinché il prestito del requisito non ri- manga un valore solo cartolare e astratto, del tutto disancorato dalla concreta messa a disposizione di risorse materiali, economiche o gestionali (14).
Le medesime considerazioni valgono, altresì, per la fattispecie, assai dibattuta e tuttora foriera di un contrasto curiale, dell’avvalimento del requisito della certificazione di qualità.
Anche in questo caso, la soluzione del busillis non può passare attraverso rilievi meramente “formali” (quali ad es. quelli relativi all’assenza nelle diretti- ve di un appiglio testuale alla possibilità di avvali- mento anche delle certificazioni di qualità) che condurrebbero a un’aprioristica esclusione di tale tipo di avvalimento.
Invero, non può revocarsi in dubbio che la certi- ficazione di qualità aziendale rientri fra i requisiti soggettivi di carattere tecnico, essendo finalizzata ad assicurare l’espletamento dell’attività da parte dell’impresa secondo un livello qualitativo mini- mo, accertato da un organismo qualificato sulla ba-
(12) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2015, n. 662, in Le- xxxxxxx.xx, 2015, n. 2, che, si badi, ha riguardato una procedura evidenziale per l’affidamento della concessione del servizio di gestione di una piscina comunale; in senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 10 settembre 2014, n. 4595; idem, 27 agosto 2014, n. 4372; 11 luglio 2014, n. 3574; Sez. III, 17 giugno 2014, n. 3057; Sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3310, tutte in Xxxxxxx amministrativo 2014.
(13) Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 4 dicembre 2014, n. 5978, in
Lexitalia, 2014, n. 12.
(14) Cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, 19 maggio 2015,
n. 2539, in Lexitalia, 2015, n. 5, che in tema di affidamento di un servizio di pulizia ha affermato come: “… benché il c.d. av- valimento "di garanzia" debba essere distinto da quello "operati- vo", non per ciò solo i relativi atti possono risolversi in formule più semplici e meno impegnative svincolate da qualunque colle- gamento con risorse materiali o immateriali”.
se di parametri rigorosi delineati a livello interna- zionale che valorizzano l’organizzazione complessi- va aziendale e l’intero svolgimento delle diverse fa- si di lavoro (15).
Ne discende che tale tipologia di avvalimento deve ritenersi sempre ammissibile stante la portata generale dell’istituto per i requisiti di natura tecni- ca e organizzativa, fermo restando l’onere del con- corrente di dimostrare che l’impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a prestare la certificazio- ne richiesta, ma mette a disposizione l’apparato or- ganizzativo-aziendale, in tutte quelle parti di eccel- lenza dell’attività d’impresa che hanno giustificato l’attribuzione del requisito di qualità (16).
Ancora, quanto all’avvalimento del requisito dell’iscrizione agli albi professionali ex artt. 39 del Codice, non è solo un’astratta e preconcetta pre- clusione di rilievo formale a impedirne l’ammissibi- lità ma una considerazione di rilievo eminente- mente pragmatico.
Trattandosi, invero, di requisito soggettivo di ca- rattere personale, spesso conseguente a verifiche o prove d’esame, che attiene, così, allo status dell’im- prenditore (cd. requisito professionale e non tecni- co-economico), come tale legato alla specifica ido- neità professionale di quest’ultimo (e non dell’im- presa), tale da connotarlo a livello soggettivo, rie- sce davvero arduo ipotizzarne uno scambio, un pre- stito, che non finisca per rivelarsi come mero valo- re cartolare e astratto.
Di tal ché, la non ammissibilità di tale categoria di avvalimento riviene direttamente dalla infungi- bilità del requisito in parola, in quanto intrinseca- mente legato all’imprenditore quale titolo abilitati- vo autorizzatorio di natura personale (17).
Tale approdo riceve, del resto, oggidì piena con- ferma anche dalla nuova direttiva 2014/24/UE ove, come osservato, l’istituto dell’avvalimento viene circoscritto ai requisiti di capacità economi- ca e finanziaria stabiliti a norma dell’art. 58, para- grafo 3, nonché a quelli di capacità tecniche e pro- fessionali stabiliti a norma dell’art. 58, paragrafo 4, con significativa esclusione, dunque, dei requisiti
di abilitazione all’esercizio dell’attività professiona- le che pure l’art. 58, ai paragrafi 1, lett. a) e 2, con- templa tra i criteri di selezione del miglior con- traente (18); a tal uopo rinviando all’Allegato XI che, per l’Italia, individua: il “Registro della Came- ra di commercio, industria, agricoltura e artigiana- to”, il “Consiglio nazionale degli ordini professio- nali”, l’ “Albo nazionale dei gestori ambientali” (quest’ultimo già richiamato nel divieto di avvali- mento di cui all’art. 49, comma 1 bis del Codice dei contratti pubblici, introdotto dall’art. 34, com- ma 2 del D.L. n. 133/2014, convertito in Legge n. 164/2014).
Conclusioni
La sentenza in esame ha fornito un autorevole e stimolante spunto per una riflessione più generale sull’amplissima portata operativa dell’istituto del- l’avvalimento (oggi pure amplificata dopo la rite- nuta ammissibilità dell’avvalimento cd. plurimo o frazionato) e sull’atteggiamento che l’operatore del diritto è chiamato a tenere nei confronti di uno strumento dalle finalità sicuramente apprezzabili, in quanto rivolte all’apertura del mercato delle commesse pubbliche anche alle imprese minori, ma dalle possibilità espansive tuttora non comple- tamente scandagliate, in uno con l’ovvia tensione verso la salvaguardia dell’interesse pubblico alla le- galità, moralità e affidabilità dell’esecutore di ap- palti pubblici.
Tanto in una cornice che, per dirla con le prege- voli e ancora attuali parole di un autorevole auto- re (19), appare caratterizzata dalla necessità: “… di progressivo livellamento tra principi comunitari di mas- simizzazione della concorrenza, ispirati ad un marcato approccio sostanziale, e principi nazionali di massimiz- zazione dell’interesse pubblico alla corretta esecuzione del contratto, caratterizzati da un approccio formalisti- co, che sin dalla nascita del mercato comune dei con- tratti pubblici caratterizza i rapporti tra ordinamento dell’unione europea e ordinamento nazionale”.
(15) Per una recente disamina, fra gli altri, Rotigliano, L’av- valimento, cit.; Volpe, La Corte di Giustizia, cit.; X. Xxxxxxxx, Procedure di gara e avvalimento dei requisiti: l’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali, in Ambiente e sviluppo, 2012, 215; Xxxxxxxxx, L’avvalimento, cit., 1580.
(16) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 0000, x. 000, xx Xxxxxxx, 0000; idem, Sez. IV, 3 ottobre 2014, n. 4958, in Foro Amm. CDS, 2014, 10, 2530.
(17) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2015, n. 2191, in Le- xitalia, 2015, n. 5; idem, Sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5805, Lexitalia, 2014, n. 11.
(18) Art. 58, comma 2: “Per quanto riguarda l’abilitazione all’esercizio dell’attività professionale, le amministrazioni ag- giudicatrici possono esigere che gli operatori economici siano iscritti in un registro professionale o commerciale, tenuto nel loro Stato membro di stabilimento, come descritto nell’allega- to XI, o soddisfino qualsiasi altro requisito previsto in tale alle- gato”.
(19) Cons. Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in un commento alla sentenza del Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2011, n. 3565, in questa Rivista, 2012, 2.
L’inammissibilità dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria: riaffermazione del principio e questioni sempre aperte
T.A.R. CAMPANIA, NAPOLI, Sez. III, 24 marzo 2015, n. 1718 – Pres. Guadagno – Est. Palliggia- no – Neapolisanit s.r.l. c. Ministero per i beni e le attività culturali ed altro e Comune di Ottavia- no
Le possibilità di regolarizzazione di interventi eseguiti in carenza di previa autorizzazione paesaggistica in zo- na vincolata si circoscrivono ai casi tassativamente previsti dall’art. 167, comma 4, D.Lgs. n. 42/2004. Le limi- tazioni previste da tale norma (in particolare l’insussistenza di volumi e superfici utili incrementali) hanno una specifica finalità selettiva, tesa all’innalzamento del livello di salvaguardia del bene-paesaggio e di effetti- vità della normativa paesaggistica. In tal senso è manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costitu- zionale degli artt. 146, comma 12 e 167, commi 4 e 5 del D.Lgs. n. 42/2004 per violazione degli artt. 3, 9, 32, 41, 42 e 97 Cost., atteso che il legislatore italiano ha intenzionalmente voluto differenziare la disciplina in ma- teria di accertamento postumo di conformità degli interventi effettuati in carenza di titolo o in difformità dal- l’atto abilitativo in relazione alla diversità del bene tutelato nella disciplina edilizia e in quella di tutela del paesaggio.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VII, 4 giugno 2014, n. 3066; Cons. Stato, Sez. V, 5 gennaio 2015, n. 12. |
Difforme | T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 10 aprile 0000, x. 000, xxx. |
Fatto e Diritto
1.- Il C.N. presentava, in data 22 marzo 1999, istanza di conformità urbanistica-paesaggistica, ai sensi dell’art. 13
L. n. 47 del 1985 (ora art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), per la realizzazione di alcuni terranei da adibire ad attività sanitaria di riabilitazione, siti in Ottaviano alla via Vecchia Sarno (fondo distinto in catasto al F. 8 particella 217, in zona esterna al P.T.P. dei Comuni Vesuviani).
La Commissione edilizia integrata, (ente sub-delegato ai sensi delle L.R. n. 54 del 1980 e L.R. n. 65 del 1981 in materia di rilascio di autorizzazioni paesaggistiche), esprimeva parere favorevole al rilascio della concessione in sanatoria.
Il Comune di Ottaviano emetteva il decreto n. 10 del 10 luglio 2007 col quale riconosceva al centro ricorren- te, ai sensi dell’art. 151, comma 3, D.Lgs. n. 490 del 1999 e dell’art. 146 D.Lgs. n. 42 del 2004, la prescritta autorizzazione paesaggistica.
Il predetto decreto autorizzatorio era quindi inviato alla Soprintendenza, ai sensi dell’art. 159 menzionato X.Xxx. n. 42 del 2004.
In data 19 settembre 2007, la Soprintendenza comuni- cava al ricorrente il decreto di annullamento dell’auto- rizzazione paesaggistica.
2.- Avverso il diniego della Soprintendenza, N. ha pre- sentato l’odierno ricorso, notificato il 14 e 15 novembre 2007 e depositato il successivo 28.
Resiste in giudizio l’Avvocatura dello Stato per conto della Soprintendenza.
Il Comune di Ottaviano, ritualmente evocato in giudi- zio, non si è costituito.
Alla pubblica udienza del 20 novembre 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.
3.- Il ricorso non merita accoglimento.
4.- Col primo motivo di ricorso, la società ricorrente censura la violazione degli artt. 7 e 10 L. n. 241 del
1990 per omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento.
4.1.- Il motivo non è fondato, posto che la Soprinten- denza non è tenuta a fornire tale comunicazione
Ed invero, la documentazione relativa all’intervento in questione è pervenuta, con nota prot. n. 360 del 10 lu- glio 2007, dal comune di Ottaviano alla Soprintendenza in data 12 luglio 2007. Il comune ha, contestualmente, inviato la predetta nota anche alla società ricorrente. In tal modo è stato pienamente assolto l’onere dell’avviso agli interessati circa l’inizio del procedimento di verifica dell’autorizzazione paesaggistica (in questo senso,
T.A.R. Campania, Napoli, 4 giugno 2014, n. 3070) Peraltro, a seguito dell’entrata in vigore del regolamen- to approvato col D.M. 19 giugno 2002 n. 165 (il quale ha aggiunto il comma 1 bis dell’art. 4 del regolamento approvato con D.M. 13 giugno 1994 n. 495), il provve- dimento ministeriale che annulla il nulla osta paesaggi- stico per la realizzazione di una costruzione edilizia in zona protetta non deve essere preceduto dalla comuni- cazione di avvio del procedimento. Questa scelta nor- mativa, dapprima operata in via regolamentare e succes- sivamente - con l’art. 159 D.Lgs. n. 42 del 2004 - con- fermata anche in via primaria, si giustifica in ragione del fatto che, una volta rilasciato il nulla osta da parte della Regione (o dell’Ente locale subdelegato), la suc- cessiva fase di riesame del nulla osta da parte del MI- BAC si configura come una fase necessariae non auto- noma di un unitario e complesso procedimento - volto al riscontro della possibilità giuridica di mutare lo stato dei luoghi - avviato ad istanza di parte con la richiesta di autorizzazione paesaggistica.
4.2.- È chiaro sul punto, l’art. 159, comma 2, D.Lgs. n. 42 del 2004 secondo cui “L’amministrazione competen- te al rilascio dell’autorizzazione dà immediata comunica- zione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessa- to nonché le risultanze degli accertamenti eventual- mente esperiti. La comunicazione è inviata contestual- mente agli interessati, per i quali costituisce avviso di inizio di procedimento, ai sensi e per gli effetti della L. 7 agosto 1990, n. 241”.
5.- Con le altre articolate censure formulate con il se- condo, terzo e quarto motivo di ricorso, parte ricorrente si duole sotto diversi profili, in sintesi, del fatto che la Soprintendenza avrebbe esercitato un potere di control- lo su atti di competenza delle Regioni, o degli enti loca- li dalle stesse Regioni sub-delegati, tale da travalicare il limite ed il contenuto che alla stessa è attribuito dalla normativa di riferimento. Rileva peraltro che l’inter- vento edilizio è stato effettuato su area sita in zona esterna al Piano Territoriale Paesistico dei Comuni ve- suviani.
5.1.- L’autorizzazione paesaggistica è altresì motivata dal comune, sotto il profilo della sua sanabilità in linea con l’impianto normativo previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004 e dall’art. 1, commi 37 e 39, L. n. 308 del 2004 (delega in materia ambientale), norma, quest’ultima, di diretta applicazione per le opere realizzate prima del 30 settem- bre 2004 (l’intervento di cui si discute è stato realizzato
ed ultimato nell’anno 1998), dato confermato anche dall’amministrazione comunale.
5.2.- Sostiene altresì la ricorrente che l’accertamento postumo di conformità paesaggistica delle opere realizza- te, nel contesto di una norma eccezionale qual è quella dell’art. 1, comma 37, L. n. 308 del 2004, sarebbe suffi- ciente a rimuovere l’ostacolo costituito dal divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, di cui all’art. 146, comma 10, lett. e) X.Xxx. n. 42 del 2004 con possi- bilità di un accertamento di conformità sul piano urba- xxxxxxx-edilizio ai sensi degli artt. 36 e 37 del TU xxxxx- xxx, ex art. 13 L. n. 47 del 1985, nel caso di opere realiz- zate su area vincolata, in assenza di autorizzazione pae- saggistica, valutate poi conformi alle esigenze di tutela del bene protetto, siano anche coerenti con le previsio- ni urbanistiche vigenti sia al tempo della realizzazione sia a quello della domanda.
5.3.- Le censure non sono fondate.
Va chiarito in via preliminare che la circostanza per la quale l’intervento è stato effettuato su area sita in zona esterna al Piano Territoriale Paesistico dei Comuni ve- suviani, circostanza peraltro confermata dalla stessa So- printendenza, è, nel caso specifico priva di concreta ri- levanza, assumendo rilievo comunque la presenza del vincolo paesaggistico.
Con l’intervento edilizio oggetto di contestazione, parte ricorrente ha realizzato diversi corpi di fabbrica ad uni- co livello, con utilizzo di pannelli coibentati prefabbri- cati. Non può negarsi, quindi, che l’intervento abbia prodotto aumenti di superficie e di volumi. Ciò rende di per sé inammissibile l’autorizzazione paesaggistica po- stuma.
5.4.- Sul punto è chiaro l’art. 167, comma 4, D.Lgs. n. 42 del 2004 per il quale: “L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, se- condo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’au- torizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
6.- Il Collegio, infine, considera infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata in via subordi- nata dalla ricorrente, degli artt. 146, comma 12 e 167, commi 4 e 5 del D.Lgs. n. 42 del 2004 per violazione
degli artt. 3, 9, 32, 41, 42 e 97 Cost.
6.1.- In tema di autorizzazione paesaggistica postuma, il fondamento delle menzionate norme è di consentire, in deroga al già indicato divieto generale, l’autorizzazione paesaggistica postuma esclusivamente per i c.d. abusi minori, ossia quelli che non producano aumento di “su- perfici utili”, “volumi” ovvero “aumento di quelli legit- timamente realizzati”.
La previsione di cui al menzionato art. 167, comma 4, assume un indubbio carattere restrittivo e di rigore san- zionatorio. Tale carattere, ancorché vada a scapito delle facoltà edificatorie connesse al diritto di proprietà, vie- ne decisamente in ossequio all’esigenza di elevare e po- tenziare il livello effettivo di salvaguardia del bene pae- saggio, assistito da protezione di rango costituzionale.
In altri termini, il legislatore italiano ha intenzional- mente differenziato la disciplina in materia di accerta- mento postumo di conformità degli interventi effettuati in assenza o in difformità dal titolo, a seconda che il be- ne da tutelare sia l’ordinato assetto del territorio per i profili urbanistici ed edilizi ovvero per i profili attinenti la tutela del paesaggio.
(Omissis)
Ed invero, la conformità postuma è sempre possibile nel primo caso, anche qualora sia presente un incremento dei volumi o delle superfici (art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001); risulta al contrario inammissibile nel secondo ca- so, qualora vi sia da presidiare il paesaggio.
Questa scelta del legislatore non appare censurabile per contrasto ai principi costituzionali della ragionevolezza e della parità di trattamento nonché per quelli dell’ordi- namento comunitario, perché si muove su un piano di coerenza con l’accentuato profilo costituzionale dell’in- teresse pubblico alla preservazione del paesaggio. La ne- cessità di difendere al massimo livello il paesaggio im- pone una soluzione legislativa che, nei confronti degli interventi edilizi sine titulo, abbia carattere fortemente dissuasivo se non punitivo-sanzionatorio.
6.2.- Il diverso approccio del legislatore, più pragmatico e disponibile nel caso di attività edilizia senza titolo od
in difformità da questo, rispetto ai casi di attività edili- zia prive di nulla osta paesaggistico trova, peraltro, una chiara spiegazione anche sotto il profilo logico/giuridi- co. Ed invero, per quanto riguarda l’attività edilizia sen- za titolo o in difformità da questo, l’amministrazione lo- cale non ha che da svolgere un controllo di conformità tra la singola costruzione abusivae le previsioni conte- nute nei piani di programmazione e nella regolamenta- zione edilizia comunale (regolamento edilizio e norme tecniche di attuazione). Simile riscontro postumo è in- vece inimmaginabile in tema di paesaggio, per il quale l’amministrazione competente deve svolgere un giudizio che non si riduce ad un riscontro deduttivo di confor- mità ma implica una valutazione di merito, sugli aspetti anche estetici, valutazione che potrebbe essere irrime- diabilmente compromessa nel momento in cui il nuovo volume è già venuto ad esistenza (sul punto, cfr. T.a.r. Salerno, Sez. I, 25 giugno 2013 n. 1429).
7.- Per quanto sopra il ricorso va respinto.
Riguardo al regime delle spese di giudizio, le stesse, de- terminate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della Soprintendenza; nulla si dispone, invece, nei confronti del comune di Xxxxxxxxx in assenza di costituzione di quest’ultimo.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxx Xxxxxxx
Con la sentenza in commento i giudici amministrativi tornano a ribadire le ragioni che giustifica- no i limiti tipologici che circoscrivono l’accertamento di compatibilità paesaggistico a un novero limitato di fattispecie e ribadiscono la costituzionalità di tale modello in vista di una maggiore ef- fettività della disciplina sul paesaggio. Il commento offre lo spunto per tornare a riflette sulla struttura dell’art. 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio e sull’interpretazione che ne è stata offerta in sede giurisprudenziale.
La vicenda napoletana e la risposta giurisdizionale
Con la sentenza in commento il T.A.R. della Campania torna a ribadire, in termini ricercata- mente didascalici, le ragioni che giustificano la preclusione al rilascio dell’autorizzazione paesaggi- stica in una fase successiva rispetto all’esecuzione di lavori e trasformazioni in zona sottoposta a disci- plina vincolistica.
I fatti da cui ha tratto origine la pronuncia sono facilmente riassumibili. Una clinica privata aveva realizzato in carenza di previa autorizzazione pae-
saggistica diversi corpi di fabbrica adibiti ad attivi- tà riabilitative (con conseguente formazione di si- gnificativi volumi e superfici utili incrementali). Il Comune di Ottaviano, su istanza della parte priva- ta, aveva emanato una autorizzazione ex post, suc- cessivamente colpita da annullamento tutorio da parte della locale Soprintendenza (1). La società proprietaria della clinica aveva quindi impugnato il decreto soprintendentizio di annullamento. La ricorrente sosteneva la piena legittimità del nulla- osta comunale, rilasciato - a suo dire - in linea con l’impianto normativo delineato dal D.Lgs. 22 gen- naio 2004, n. 42 e dall’art. 1, commi 37, 38 e 39,
(1) L’annullamento era stato disposto ai sensi dell’art. 159 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42: l’intera vicenda si era infatti consumata nel periodo transitorio che ha preceduto la messa
a regime dell’attuale modello autorizzatorio. Sul punto X. Xxxxx, Il controllo statale sulle autorizzazioni paesaggistiche nel (quasi concluso) regime transitorio, in Riv. giur. amb., 2010, 785.
della L. 15 dicembre 2004, n. 308 (introduttivi - come noto - di una episodica possibilità di condo- no paesaggistico) (2): la ricorrente (sulla scia di quanto indicato in motivazione dall’amministrazio- ne comunale) sosteneva che tale norma fosse estensibile a tutte le opere realizzate prima del 30 settembre 2004 (l’intervento di cui si discuteva era stato realizzato ed ultimato nell’anno 1998 ma non era stata presentata alcuna istanza di ‘condono pae- saggistico’ (3)) e che un accertamento postumo della sostanziale compatibilità con le linee di tutela del paesaggio locale fosse comunque idoneo a con- sentire il superamento dell’ostacolo costituito dal divieto di autorizzazione paesaggistica postuma o in sanatoria, espressamente sancito dall’art. 146, com- ma 10, lett. e), D.Lgs. n. 42/2004 (4). L’Avvocatu- ra dello Stato, per contro, eccepiva in giudizio l’i- nammissibilità di una autorizzazione paesaggistica emanata a posteriori in funzione sanante relativa- mente a modificazioni costruttive già intervenute e riaffermava di conseguenza la piena legittimità del provvedimento statale di annullamento.
Le tesi prospettate a sostegno del provvedimento
comunale non hanno trovato accoglimento, sulla base di una corretta lettura degli artt. 146 e 167 del codice dei beni culturali e del paesaggio. I giu- dici amministrativi napoletani, ai quali si deve l’e- laborazione in anni recenti di una giurisprudenza di merito opportunamente assai rigorosa sul tema specifico, hanno infatti rimarcato che le uniche possibilità di regolarizzazione di illeciti costruttivi in zone vincolate sono quelle tassativamente defi- nite per gli abusi ‘minori’ dall’art. 167, comma 4, del codice, non praticabili in caso di realizzazione
sine titulo di volumi e superfici utili. Nel dichiarare manifestamente infondata e quindi inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 167 del codice sollevata dalla parte ricorrente per asserita violazione degli artt. 3, 9, 32, 41, 42 e 97 Cost., i giudici napoletani hanno colto l’opportuni- tà di riaffermare la piena ragionevolezza delle scelte legislative e le motivazioni costituzionali che pre- cludono ogni assimilazione tra il trattamento san- zionatorio-repressivo degli abusi commessi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e quello degli abusi sottoposti unicamente al regime dettato dalla normativa edilizia espressa dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (caratterizzato da un netto favore per la regolarizzazione degli abusi formali, ossia per le attività non contrastanti con lo strumento urbani- stico pur avviate in carenza del necessario titolo abilitativo). Le ragioni di questo diverso assetto or- dinamentale sono state correttamente rinvenute nell’esigenza di garantire massima effettività alla disciplina sul paesaggio: la previsione espressa dal- l’art. 167, comma 4, del codice assume - secondo la sentenza - “un indubbio carattere restrittivo e di rigore sanzionatorio”. Il Collegio ha riconosciuto che “tale carattere, ancorché vada a scapito delle facoltà edificatorie connesse al diritto di proprietà, viene decisamente in ossequio all’esigenza di eleva- re e potenziare il livello effettivo di salvaguardia del bene paesaggio, assistito da protezione di rango costituzionale”. Non è sfuggito infatti ai giudici amministrativi napoletani che il legislatore italiano “ha intenzionalmente differenziato la disciplina in materia di accertamento postumo di conformità degli interventi effettuati in assenza o in difformità
(2) 37. Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazio- ne o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità pae- saggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto al- l’autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle se- guenti condizioni:
a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianifi- cazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudica- ti compatibili con il contesto paesaggistico;
b) che i trasgressori abbiano previamente pagato:
1) la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 del D.Lgs. n. 42 del 2004, maggiorata da un terzo alla metà;
2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall’au- torità amministrativa competente all’applicazione della sanzio- ne di cui al precedente numero 1), tra un minimo di tremila eu- ro ed un massimo di cinquantamila euro. (omissis)
39. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati all’intervento, presenta la domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica al- l’autorità preposta alla gestione del vincolo entro il termine pe-
rentorio del 31 gennaio 2005. L’autorità competente si pronun- cia sulla domanda, previo parere della soprintendenza.
(3) Comunque il c.d. condono paesaggistico, introdotto dal- le norme richiamate nel testo e nella nota precedente, aveva peraltro una efficacia unicamente estintiva dei reati penali (sensibilmente inaspriti dalla stessa L. n. 308/2004): tra i primi commenti, X. Xxxxxxxx, L’autorizzazione paesaggistica in sana- toria tra “condono ambientale” (legge n. 308/2004) e la discipli- na del nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 146, comma 10, lett. c) del D.Lgs. 421/2004), in xxx.xxxxxxxxx.xx e
M.C. Xxxxxxx, Legge Delega sull’ambiente e “condono am- bientale”. Prime note sull’art. 1, commi 36 ss., L. 15 dicembre 2004, n. 308, in Riv. giur. amb., 2005, 373; X. Xxxxxxxxxxx, Il condono paesaggistico, in questa Rivista, 2005, 259; X. Xxxxx- xxx, Condono ambientale e autorizzazioni in sanatoria, in Urba- nistica e paesaggio, a cura di Cugurra - Ferrari - Xxxxxxxx, Napo- li, 2006, 315.
(4) Va sottolineato che l’Ufficio legislativo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, con nota indirizzata alla Direzione regionale per la Toscana del 29 maggio 2012 aveva precisato che il divieto di autorizzazione paesaggistica postuma doveva applicarsi solo agli interventi realizzati successivamente al D.Lgs. n. 157/2006.
dal titolo, a seconda che il bene da tutelare sia l’or- dinato assetto del territorio per i profili urbanistici ed edilizi ovvero per i profili attinenti la tutela del paesaggio”. La scelta del legislatore, contrariamen- te a quanto sostenuto dalla ricorrente, non appare quindi affatto censurabile per contrasto con i prin- cipi costituzionali della ragionevolezza e della pari- tà di trattamento nonché con quelli deducibili del- l’ordinamento comunitario (5): al contrario, lo schema legislativo “si muove su un piano di coe- renza con l’accentuato profilo costituzionale del- l’interesse pubblico alla preservazione del paesag- gio”: ciò in quanto - ha concluso in termini condi- visibili la sentenza - “la necessità di difendere al massimo livello il paesaggio impone una soluzione legislativa che, nei confronti degli interventi edilizi sine titulo in ambiti vincolati, abbia carattere forte- mente dissuasivo se non punitivo-sanzionato- rio” (6).
Echi dell’originaria alternatività: demolizione-sanzione
Le affermazioni pienamente convincenti che co- stituiscono la dorsale logica della sentenza in com- mento consentono di ritornare sulla non sopita questione dei limiti alla regolarizzabilità degli abusi su beni vincolati. Si tratta di un topos ricorrente nella giurisprudenza amministrativa, come dimo- strano eloquentemente sentenze quali quella in commento, dietro le quali si intravvedono i tenta- tivi, a volte spregiudicatamente assecondati anche dai comuni, di forzare il perimetro delle possibilità di accertamento di conformità delineate in termini
fortemente selettivi dall’art. 167 del codice dei be- ni culturali e del paesaggio, nel rispetto di un leggi- bile criterio di minima attitudine modificativa del paesaggio.
Entro questo dibattito risuonano ancora echi di un paradigma normativo ormai superato, con la conseguenza che l’idea della non emanabilità del- l’autorizzazione paesaggistica in un tempo successi- vo rispetto all’esecuzione dei lavori fatica ancora ad essere compresa e accettata (7). I termini di confronto sono costituiti dall’assetto previgente della normativa paesaggistica e - come si è detto nel caso napoletano - dalla normativa edilizia: si tratta di riferimenti e comparazioni profondamente fuorvianti. Effettivamente la cesura con il passato è stata radicale e riflette in primo luogo una revisio- ne dell’ordine assiologico. Come noto, il regime previgente, dettato dall’art. 15 della L. 29 giugno 1939, n. 1497, era imperniato su una alternativa tra la demolizione delle opere abusive e la loro conservazione con consentanea corresponsione da parte del proprietario di una somma (gergalmente definita indennità paesaggistica, sulla cui natura ri- paratoria o sanzionatoria sièa lungo discusso (8)) commisurata al maggior valore tra il danno inferto al paesaggio e il profitto derivato dalla trasgressio- ne. La scelta tra le due opzioni era demandata al- l’amministrazione, la quale esprimeva in via unila- terale un giudizio a carattere eminentemente di- screzionale finalizzato alla massima tutela dei valori paesaggistici (“secondo che il Ministro … ritenga più opportuno, nell’interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche”) (9). Questa stessa impostazione è rimasta ferma nel testo unico in cui
(5) È il caso di ricordare che Il T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 10 aprile 2013, n. 802 (ord.), aveva sollevato dinanzi alla Corte di Giustizia UE la questione della compatibilità della disciplina sull’accertamento di compatibilità paesaggistico con i principi comunitari (in particolare, si dubitava che fossero violati l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sul diritto di pro- prietà e il principio di proporzionalità: ciò in ragione dell’esclu- sione dalla possibilità di rilascio dell’autorizzazione paesaggi- stica in sanatoria per tutti gli interventi comportanti incremen- to di volume o di superficie, indipendentemente dall’accerta- mento concreto della compatibilità di tali interventi con i valori di tutela paesaggistica indicati dal vincolo specifico che grava sull’area). La Corte di Giustizia (Sez. X, 6 marzo 2014, n. 206, in Riv. giur. amb., 2014, 339) ha ritenuto la propria incompe- tenza, affermando la netta distinzione tra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente. Né le disposizioni dei trattati UE e FUE richiamati dal giudice del rinvio, né la normativa introdotta dal- la Convenzione di Aarhus, né le Dir. 2003/4 e 2011/92 impon- gono agli Stati membri obblighi specifici di tutela del paesag- gio. Da ciò la Corte ha tratto la conseguenza che non vi sono elementi che consentano di ritenere le disposizioni del decreto legislativo n. 42/2004 rilevanti nella controversia principale rientrino nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, poi- ché esse non costituiscono attuazione di norme del diritto del-
l’Unione.
(6) X. Xxxxxx, Sanzione, in Noviss. Dig. it., XVI, Torino, 1969, 537.
(7) T.A.R. Lombardia, Sez. Brescia, 6 marzo 2008, n. 317 aveva ad esempio sostenuto la sanabilità di opere realizzate da un privato per garantire una maggiore sostenibilità ambientale di un opificio: in tal caso “se il privato è disposto ad assumere oneri specifici per migliorare la situazione ambientale, e se è accertato che dalle opere abusive non può derivare alcun dan- no collaterale all’ambiente, l’ordine di demolire quale condizio- ne necessaria per poi ottenere l’autorizzazione di opere identi- che appare fondata su un’interpretazione irragionevole del quadro normativo e impone al privato un sacrificio non confor- me al principio di proporzionalità”. Si trattava, in sostanza, di un trapianto sul versante paesaggistico della contestata teoria della cd. sanatoria giurisprudenziale.
(8) M.A. Sandulli, La tutela coercitiva dell’ambiente: sanzioni pecuniarie e ripristino, in Ambiente, attività amministrativa e co- dificazione, a cura di De Carolis - Ferrari - Police, Milano, 2006, 465.
(9) Una sintesi delle acquisizioni consolidatesi in quella lun- ga stagione si può leggere in Xxxxxxxxx - Ferri, I beni culturali e ambientali, III ed., Milano, 1995, 662.
sono state in un primo tempo riunificate la legisla- zione sui beni culturali e quella sul paesaggio: l’art. 164 del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 ricalcava infatti tale modello. Neppure in occasione della successiva codificazione delle norme sui beni cultu- rali e sul paesaggio questo impianto è stato rimesso in discussione: la prima versione dell’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 si manteneva infatti sostanzial- mente aderente allo schema tralatizio (10). Nella vigenza di tale assetto ordinamentale, pur a fronte della affermata ‘irrinunciabilità’ della misura pecu- niaria prevista dal citato art. 15 in tutti i casi di trasformazioni non previamente assentite (11), non era mancata la ricerca di spazi per una autorizzazio- ne paesaggistica postuma e di soluzioni volte a una possibile regolarizzazione di interventi sostanzial- mente non pregiudizievoli per il paesaggio (abusi paesaggistici formali) (12). In tale prospettiva si erano anche messi a punto, con l’apporto della le- gislazione regionale, strumenti come la certificazio- ne di insussistenza del danno ambientale.
Il divieto di autorizzazione postuma
Questa impostazione è stata definitivamente ab- bandonata dopo la radicale riforma introdotta dal- l’art. 27 del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157: lo sche- ma tradizionale a cui si è fatto cenno è stato consa- pevolmente rovesciato sulla scorta del richiamo ad una gerarchizzazione tra il valore costituzionale del paesaggio (art. 9 Cost.) e i diversi interessi di ma- trice economica che traspaiono dietro i tentativi di
mantenimento delle opere non previamente auto- rizzate. L’art. 146, comma 10, lett. c), del codice, abbandonando ogni logica di bilanciamento tra in- teressi che non sono affatto equiordinati (13), pre- vilegia una ricostruzione gerarchica tesa a prefigu- rare la primazia dell’interesse paesaggistico e preve- de un divieto espresso di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria “successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi” (14). Conseguentemente, il riscritto art. 167 del codi- ce (15) prevede ora quale unica soluzione in caso di trasformazioni non previamente autorizzate (me- diante l’autorizzazione prevista dall’art. 146 del co- dice ovvero mediante la figura di autorizzazione in forma semplificata rilasciata nei casi previsti dal
d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (16)) la repressione dell’abuso, ossia l’emanazione di un ordine di re- missione in pristino (17), misura che l’amministra- zione dispone - in netta discontinuità rispetto al passato (18) - in esercizio di un potere doveroso e (ora) interamente e rigidamente vincolato, dal quale esulano valutazioni di opportunità o conside- razioni di ordine soggettivo (19). In altri termini, sulla base della considerazione rafforzata che la Co- stituzione riserva al paesaggio, il legislatore ha coe- rentemente previsto che non siano configurabili interventi modificativi dell’assetto morfologico ge- neratore di senso estetico-formale (20) avviati in carenza di una previa ponderazione da parte del- l’autorità amministrativa e, nel contempo, ha volu- to evitare ogni tentazione alla monetizzazione del danno al paesaggio (21).
(10) X. Xxxxxx, Danni al paesaggio e diritto al risarcimento, in
Riv. giur. amb., 2011, 579.
(11) X. Xxxxxxx, La nuova disciplina del paesaggio. Tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici dopo il D.Lgs. 63/2008, Mi- lano, 245.
(12) X. Xxxxxxxxxxx, L’autorizzazione paesaggistica in sanato- ria, in questa Rivista, 2004, 384; X. Xxxxxxxx, Commento all’art. 146, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di X. Xxxxxxxx, Milano, 2005, 683.
(13) Di “abbandono della logica del contemperamento” in relazione all’art. 146 del codice ha parlato G.D. Comporti, Viaggio nella terra di nessuno: dalla sanzione alla gestione degli abusi paesaggistici, in Riv. giur. edil., 2013, 464.
(14) Tale scelta è stata peraltro ritenuta non necessitata, e dunque a fortiori espressione di una specifica e impegnativa intenzionalità legislativa, dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato, secondo cui “con riferimento all’autorizzazione paesi- stica, la possibilità di una verifica ex post di compatibilità pae- sistica dell’intervento non è contraddetta né dalla peculiarità della fattispecie né dal sistema normativo”: Cons. Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 2340.
(15) In termini riassuntivi, M.A. Xxxxxxxx, Commento all’art. 167, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Xxxxxxxx, II ed., Milano, 2012, 1229.
(16) X. Xxxxxxxxx, Il regolamento di semplificazione delle autorizzazioni paesaggistiche per gli interventi di lieve entità, in questa Rivista, 2010, 1381; X. Xxxxxxx, L’autorizzazione pae-
saggistica semplificata nella disciplina del d.P.R. 9 luglio 2010,
n. 139, in Riv. giur. urban., 2011, 19.
(17) Sintagma sicuramente più pregnante rispetto al termi- ne ‘demolizione’ impiegato nel precedente assetto normativo.
(18) Come sottolineato da X. Xxxxx, Premessa articoli 160- 168, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di Xxxxxxxx, Bologna, 2004, 651, “nella disciplina precedente il Codice la misura pecuniaria derivava da una valutazione effet- tuata d’ufficio dall’amministrazione, nel corso dell’esercizio del potere repressivo. Invece il potere repressivo oggi non ammet- te più alternative; l’accertamento di compatibilità paesaggisti- ca (cui consegue la misura pecuniaria) è il risultato di un pro- cedimento particolare, limitato e strutturalmente diverso”.
(19) Il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali aveva im- mediatamente chiarito che tale divieto doveva ritenersi piena- mente operativo anche nel periodo transitorio disciplinato dal- l’art. 159 del codice (ossia nel periodo a cui si riferisce la sen- tenza in commento).
(20) In altra occasione si sono definiti beni paesaggistici del primo strato quelli contemplati dall’art. 134 del codice, per di- stinguerli dai paesaggi della vita quotidiana e dai beni e pae- saggi degradati, ascritti, rispettivamente, al secondo e al terzo strato: X. Xxxxxxx, Appunti sulla nozione giuridica di paesaggio identitario, in questa Rivista, 2008, 79.
(21) Come è tornata a ricordare la Corte costituzionale in re- lazione ad una legge della Valle d’Aosta che aveva reintrodotto un sistema di alternatività tra ripristino e sanzione pecuniaria