COLLEGIO DI ROMA
COLLEGIO DI ROMA
composto dai signori:
(RM) MASSERA Presidente
(RM) DE CAROLIS Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) SIRENA Membro designato dalla Banca d'Italia
(RM) NERVI Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(RM) MARINARO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXX
Nella seduta del 5 dicembre 2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
I ricorrenti hanno affermato che:
-sarebbero la coniuge e la figlia (e pertanto le eredi) di un cliente della banca resistente, deceduto nel maggio del 2013; -insieme alla coniuge, in particolare, egli sarebbe stato presso tale banca cointestatario di un conto corrente, al quale sarebbe stato collegato un deposito titoli in amministrazione; -alla sua morte, tale conto corrente sarebbe stato bloccato, ma la banca resistente avrebbe ciononostante continuato ad addebitare su di esso fino al 31 gennaio 2014 le spese di tenuta e altri oneri, tra i quali il costo del servizio Telepass di cui il de cuius era stato titolare; -la documentazione richiesta per la successione sarebbe stata tuttavia fornita alla banca resistente già il 25 novembre 2013 e il dispositivo Telepass sarebbe stato riconsegnato il 16 dicembre 2013; -il saldo residuo sarebbe stato accreditato dalla banca resistente su un conto corrente di cui le ricorrenti sono cointestatarie; -senza la loro autorizzazione, la banca resistente avrebbe altresì “scaricato” i titoli che erano depositati nel dossier cointestato al de cuius e li avrebbe “caricati” su quello cointestato alle ricorrenti; -tale operazione
avrebbe cagionato loro un danno patrimoniale, costituito dall’addebito di alcune spese, dalla perdita di valore di tali titoli pari a € 50,00 e dal mancato conseguimento di un c.d. bonus fedeltà.
Ciò posto, le ricorrenti hanno chiesto che:
-la banca resistente sia condannata a restituire loro le spese di tenuta del conto cointestato al de cuius, perché indebite; -sia ordinato alla banca resistente di ripristinare il titolo depositato sul dossier cointestato al de cuius e sia condannata al pagamento di € 50,00 a titolo di rimborso della perdita di valore da esso subita.
La banca ha resistito al ricorso, affermando che:
-il 26 giugno 2013, avrebbe appreso che il congiunto delle ricorrenti era deceduto, in quanto le era stato richiesto dall’ente previdenziale competente di restituire quanto nel frattempo erogato a titolo di pensione del de cuius; -il 27 novembre 2013, le ricorrenti avrebbero consegnato alla filiale competente la dichiarazione di successione; -l’8 gennaio 2014, avrebbero chiesto per iscritto che fosse estinto il conto corrente cointestato al de cuius; -tale estinzione sarebbe avvenuta il 29 gennaio 2014; -la documentazione inerente alla restituzione del dispositivo Telepass sarebbe stata consegnata alla filiale competente il 24 dicembre 2013; -l’importo di € 3,42, che il 31 dicembre 2013 era stato addebitato per tale servizio sul conto corrente di una delle ricorrente, le sarebbe stato pertanto rimborsato dalla banca resistente; -il BTP di € 35.000,00, che era depositato nel dossier titoli cointestato al de cuius, sarebbe stato suddiviso in un BTP di € 26.000,00, depositato sul dossier intestato alla prima ricorrente, e in un BTP di € 9.000,00, depositato sul dossier intestato all’altra; -quest’ultima avrebbe trasferito alla prima il titolo che era stato depositato sul suo dossier, sostenendo così alcune spese e perdendo il premio fedeltà.
Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che il ricorso sia rigettato, perché infondato in fatto e in diritto.
DIRITTO
La tesi secondo cui la morte del titolare di un conto corrente bancario determinerebbe lo scioglimento di tale rapporto contrattuale è stata più volte seguita da questo Arbitro (da ultimo, v. la decisione ABF, Collegio di Milano, n. 1931 del 31 marzo 2014, ampiamente motivata sul punto).
In realtà, la dottrina commercialistica più autorevole ha potuto senz’altro affermare che «il conto corrente di corrispondenza non si scioglie invece per la morte del correntista. In questo caso, al correntista si sostituiscono invece gli eredi che peraltro debbono operare congiuntamente».
A proposito del contratto tipico di conto corrente, infatti, l’art. 1833, 2° comma, c.c. statuisce che «in caso di interdizione, d’inabilitazione, d’insolvenza o di morte delle parti, ciascuna di queste o i suoi eredi hanno diritto di recedere dal contratto» tipico di conto corrente. Com’è noto, si dubita tuttavia dell’applicabilità di tale disposizione codicistica al contratto atipico di conto corrente bancario, da un lato perché quest’ultimo è caratterizzato da una componente gestoria ulteriore, che è propria del mandato, e dall’altro perché l’art. 1833 c.c. non è stato
espressamente richiamata dall’art. 1857 c.c. a proposito delle operazioni bancarie regolate in conto corrente (e ubi lex noluit, tacuit).
Tenuto conto della componente gestoria del contratto di conto corrente bancario, è stato piuttosto ritenuto che sia a esso applicabile (per analogia ovvero direttamente) l’art. 1722, n. 4, c.c., il quale statuisce che la morte del mandante estingua il contratto di mandato.
Per quanto qui rileva, si deve tuttavia rilevare che tale disposizione codicistica è fin dall’inizio inapplicabile all’oggetto del presente giudizio, in quanto essa prende in considerazione l’ipotesi in cui il mandato sia stato conferito da un unico mandante. Nel caso di specie, si tratta invece di un mandato collettivo, poiché il conto corrente in questione era cointestato al de cuius e a una delle ricorrenti (sua coniuge).
Da prendere in considerazione è pertanto (non già il suddetto art. 1722, n. 4, c.c., ma semmai) l’art. 1726 c.c., il quale statuisce che la revoca del mandato
«non ha effetto qualora non sia stata fatta da tutti i mandanti, salvo che ricorra una giusta causa». In tal senso si è peraltro pronunciata la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2404 del 23 settembre 1964, secondo la quale «il mandato a compiere un opus perfectum non viene meno per morte di uno dei mandanti che si sono reciprocamente vincolati, o di uno dei mandatari, ma solo per il compimento dell’affare. Al mandante morto succedono nelle obbligazioni i suoi coeredi, il mandatario defunto va semplicemente sostituito».
Nel caso di specie, il cointestatario del conto corrente di cui si tratta è deceduto nel maggio 2013, ma le sue eredi (e attuali ricorrenti) non hanno manifestato la volontà di recedere da tale rapporto contrattuale con la banca resistente se non mediante la dichiarazione dell’8 gennaio 2014 (allegata come doc. 5 alle controdeduzioni): anteriormente a tale data, le spese di tenuta e gli altri oneri economici del medesimo conto corrente sono pertanto dovuti senz’altro.
Per altro verso, la banca resistente ha dato atto (a p. 1 delle controdeduzioni) che, a seguito della suddetta dichiarazione di recesso delle ricorrenti, il conto corrente cointestato al de cuius si è effettivamente estinto soltanto il 29 gennaio 2014.
In realtà, tuttavia, già dal giorno successivo a quello della dichiarazione di recesso da parte delle ricorrenti non è più giustificato l’addebito delle spese di tenuta e degli altri costi del conto corrente di cui si tratta, fermo restando il tempo occorrente per il compimento delle conseguenti operazioni di liquidazione, e in particolare per il pagamento del suo eventuale saldo positivo da parte della banca resistente. In ogni caso, qualsiasi ragione di credito della banca resistente che si sia perfezionata posteriormente al recesso da un conto corrente non è più suscettibile di esservi annotata come operazione, fermo restando che, per quanto di ragione, il cliente deve provvedere al suo pagamento.
Ciò posto, la banca è tenuta alla restituzione dei seguenti importi, perché addebitati sul conto corrente di cui si è detto posteriormente alla dichiarazione di recesso da parte delle ricorrenti:
-€ 17,00 addebitati il 14 gennaio 2014, a titolo di spese gestione/amminis;
-€ 3,00, addebitati il 24 gennaio 2014, a titolo di spese mensili di tenuta conto;
-€ 93,20, addebitati il 28 gennaio 2014, a titolo di bolli su deposito titoli;
-€ 1,50, addebitati il 29 gennaio 2014, a titolo di canone Inbank famiglie.
Per quanto riguarda invece l’importo di € 3,42, addebitato sul conto corrente di una delle ricorrenti il 31 gennaio 2014, a titolo di canone mensile Telepass, la banca resistente ha affermato (a p. 2 delle controdeduzioni) e adeguatamente documentato (all. 7 alle controdeduzioni) di aver già provveduto al suo rimborso.
***
Per quanto riguarda lo “scarico” del BTP dal dossier cointestato al de cuius e il suo “carico” frazionato sui dossier rispettivamente intestati alle ricorrenti, si deve premettere che il deposito di titoli in amministrazione è disciplinato dall’art. 1838
c.c. come un contratto bancario, per quanto la sua esecuzione possa altresì richiedere l’esecuzione di veri e propri servizi e attività di investimento da parte della banca.
A ciò consegue che la competenza di questo Arbitro a decidere i ricorsi che abbiano a oggetto il suddetto contratto deve essere stabilita sulla base della doglianza fatta concretamente valere dal ricorrente, e in particolare deve essere affermata qualora si tratti della diligenza alla quale la banca depositaria si è attenuta nella custodia degli strumenti finanziari di cui si tratta. Tale competenza deve essere invece negata quando si tratti della prestazione di servizi e attività di investimento da parte della banca depositaria, anche per quanto riguarda l’adempimento dei connessi obblighi informativi nei confronti del cliente depositante (v. le decisioni del Collegio di coordinamento di questo Arbitro n. 898 del 14 febbraio 2014 e n. 6673 del 10 ottobre 2014).
Nel caso di specie, le ricorrenti hanno lamentato di non aver autorizzato la banca depositaria a effettuare le movimentazioni degli strumenti finanziari di cui si è detto: esse hanno pertanto contestato la diligenza di tale banca nell’esecuzione del servizio di deposito che è disciplinato dall’art. 1938 c.c., e non già nella prestazione di servizi e attività di investimento. L’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente deve essere dunque respinta, perché infondata in diritto, e il ricorso può essere deciso da questo Arbitro.
Nel merito, si deve rilevare che, a fronte della contestazione da parte delle ricorrenti, la banca resistente non ha provato che a essa fosse stata effettivamente impartita alcuna istruzione di effettuare le movimentazioni dei titoli di cui si tratta.
Questo Arbitro accerta pertanto che la banca resistente non ha adempiuto le proprie obbligazioni contrattuali con la diligenza che è richiesta dall’art. 1176, 2° comma, c.c. e che comunque non si è comportata secondo correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).
A proposito della domanda risarcitoria delle ricorrenti, si deve premettere che questo Arbitro (ad es., nella decisione del Collegio di Roma n. 1027 del 2013 e ancor prima in quella del Collegio di coordinamento n. 3500 del 2012) ha fatto dichiaratamente proprio l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive restando estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta ma in relazione
all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso» (Cass., 8 febbraio 2012, n. 1781; Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183).
Secondo la regola generale che è dettata dall’art. 2697, 1° comma, c.c., grava pertanto sul ricorrente l’onere di dare la prova dell’esistenza (an debeatur) e della consistenza (quantum debeatur) del danno del quale ha domandato risarcimento. Resta peraltro ovviamente fermo che, laddove sia stata dimostrata dal ricorrente l’esistenza del danno risarcibile, ma sia impossibile o comunque eccessivamente difficile quantificarlo esattamente, esso potrà essere liquidato da questo Arbitro in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Nel caso di specie, le ricorrenti non hanno dato prova alcuna che il comportamento illegittimo della banca abbia loro cagionato un danno patrimoniale, non sussistendo pertanto neppure i presupposti perché esso sia liquidato equitativamente.
In particolare, è pacifico tra le parti del presente giudizio che una delle ricorrenti abbia volontariamente deciso di trasferire all’altra il titolo “caricato” sul proprio dossier dalla banca resistente e che la perdita del c.d. premio fedeltà e i costi lamentati dalle ricorrenti abbiano costituito la conseguenza di tale trasferimento, la quale non può essere pertanto qualificata come immediata e diretta rispetto al comportamento illegittimo della banca resistente. Non sussistono pertanto i requisiti di risarcibilità del danno che sono posti dall’art. 1223 c.c.
La domanda è dunque respinta, perché infondata in fatto e in diritto.
P.Q.M.
Il Collegio dispone che l’intermediario corrisponda alle ricorrenti l’importo di euro 114,70 con interessi dalla data del reclamo al saldo.
Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1