Rassegna di Diritto dei Contratti Pubblici
Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica
Rassegna di Diritto dei Contratti Pubblici
A CURA DI
Xxxxxxx Xxxxxxx Ilaria Del Vecchio Xxxxxxx Xxxxxxxx
Coordinatrice
Xxxxxxx Xxxxxxxx
Le modifiche contrattuali previste nei documenti di gara
di Xxxxxxx Xxxxxxx
1. LE MODIFICHE DEI CONTRATTI PUBBLICI E IL DIVIETO DI RINEGOZIAZIONE 2
2. LE MODIFICHE PREVISTE NEI DOCUMENTI DI GARA 4
3. LA CLAUSOLA DI REVISIONE DEI PREZZI 6
4. IL RINNOVO E LA PROROGA DEL CONTRATTO 10
5. IL C.D. QUINTO D’OBBLIGO 14
1. Le modifiche dei contratti pubblici e il divieto di rinegoziazione
Uno degli aspetti più controversi nell’esecuzione dei contratti pubblici attiene alla possibilità di prevedere modifiche rispetto a quanto previsto nei documenti di gara e nelle offerte tecniche ed economiche degli aggiudicatari.
Mentre nei contratti di appalto tra privati l’art. 1661 c.c. prevede un generale ius variandi del committente, purché contenuto entro un sesto del corrispettivo pattuito, negli appalti pubblici il potere di variare le prestazioni contrattuali originariamente previste nei documenti di gara è soggetto a una pluralità di limitazioni.
Per un verso, sussiste l’esigenza di assicurare la piena concorrenza tra i partecipanti alla gara: se le prestazioni contrattuali mutano nella sostanza rispetto a quanto inizialmente indicato, almeno potenzialmente altri concorrenti avrebbero potuto erogarle in maniera diversa e forse anche migliore rispetto a quanto indicato nelle rispettive offerte. Inoltre, ogni variazione si traduce in un sostanziale affidamento diretto senza espletamento di gara, ragion per cui deve essere oggetto di un attento vaglio da parte della stazione appaltante. Proprio queste osservazioni hanno indotto il legislatore europeo a disciplinare
in maniera puntuale le variazioni contrattuali, che altrimenti, attenendo alla fase dell’esecuzione del contratto, non rileverebbero agli specifici fini della normativa europea in materia1.
Per altro verso, una disciplina più rigorosa in materia di variazioni contrattuali mira a contenere i costi della realizzazione della commessa. La stessa normativa interna precedente l’adozione delle direttive europee è stata dettata con il principale fine di impedire la lievitazione della spesa pubblica nella fase successiva alla stipula dei contratti e di responsabilizzare le amministrazioni già nella fase di predisposizione degli atti di gara.
Dalla combinazione di queste due esigenze convergenti è derivata l’affermazione del principio di tendenziale immodificabilità delle prestazioni previste nei documenti di gara e, dunque, il divieto di rinegoziazione del contratto, espresso in più occasioni dalla giurisprudenza amministrativa2.
1 Come noto, la disciplina europea in materia di appalti mira a consentire la più ampia partecipazione alle gare pubbliche bandite dalle amministrazioni degli Stati membri da parte delle imprese stabilite su tutto il territorio dell’Unione. Per questa ragione, le direttive europee disciplinano precipuamente la fase della scelta del contraente e, dunque, la procedura di gara, ma non anche la diversa fase dell’esecuzione del contratto, se non per quegli aspetti che possono determinare un’alterazione della concorrenza o incidere sulla scelta del contraente. Alcuni di tali aspetti sono il subappalto o, appunto, la variazione delle prestazioni dedotte in contratto.
2 V. ad esempio Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281, che ha optato addirittura per la nullità del contratto rinegoziato, in quanto contrario a norme imperative, e 18 gennaio 2006, n.
126. In dottrina, cfr. X. XXXX, Le modifiche al contenuto dei contratti pubblici: varianti in corso di esecuzione e rinegoziazione, in X. XXXXXXX - X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXXXX - X. XXXX (a cura di), I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, vol. 1, Padova, 2014, pp. 465-
474. Tema contiguo a quello affrontato nel testo è la dibattuta possibilità per le imprese di apportare, in sede di offerta, modifiche a quanto definito nel capitolato speciale e negli atti di gara. Il problema si pone non tanto per le varianti espressamente consentite dalla stazione appaltante nei documenti di gara ai sensi dell’art. 95, comma 14, del codice, quanto per quelle autonomamente apportate dalle imprese nelle proprie offerte in assenza di esplicite indicazioni dell’amministrazione. La giurisprudenza prevalente ammette soluzioni che siano migliorative, ma non tali da stravolgere le prestazioni dedotte nel capitolato speciale. Più in particolare, «le soluzioni migliorative si differenziano dalle varianti perché le prime possono liberamente esplicarsi in tutti gli aspetti tecnici lasciati aperti a diverse soluzioni sulla base del progetto posto a base di gara ed oggetto di valutazione dal punto di vista tecnico, rimanendo comunque preclusa la modificabilità delle caratteristiche progettuali già stabilite dall'Amministrazione; le seconde, invece, si sostanziano in modifiche del progetto dal punto di vista tipologico, strutturale e funzionale, per la cui ammissibilità è necessaria una previa manifestazione di volontà della stazione appaltante, mediante preventiva previsione contenuta nel bando di gara e l'individuazione dei relativi requisiti minimi che segnano i limiti entro i quali l'opera proposta dal concorrente costituisce un aliud rispetto a quella prefigurata dalla pubblica amministrazione: ne deriva che possono quindi essere considerate proposte migliorative tutte quelle precisazioni, integrazioni e migliorie che sono finalizzate a rendere il progetto prescelto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle
Tale divieto, peraltro, non è assoluto. È nella natura dei rapporti contrattuali, infatti, che mutino le condizioni a partire dalle quali si è proceduto alla gara per l’affidamento della commessa e alla successiva stipula del contratto. Diverse, tuttavia, sono le modalità con le quali è possibile procedere alla modifica del contratto. Nei rapporti tra privati, come si è osservato, le possibilità di modifica sono pressoché illimitate, purché conformi alla natura dell’opera e contenute entro il limite quantitativo prima indicato. Nei contratti pubblici, invece, le ipotesi nelle quali si può procedere a una modifica del rapporto contrattuale sono tipizzate dall’art. 106 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (di seguito, “codice”), in modo da rispondere alle già menzionate esigenze.
Il codice, riproducendo in maniera quasi integrale l’art. 72 della direttiva UE 2014/24, individua una pluralità di ipotesi di modifiche in corso di esecuzione. In questa sede, ci si soffermerà in particolare sulle modifiche oggettive espressamente previste dalla stazione appaltante nei documenti di gara e su una delle modifiche maggiormente richieste dalle stazioni appaltanti, consistente nel c.d. quinto d’obbligo.
2. Le modifiche previste nei documenti di gara
Il codice ammette la possibilità, all’art. 106, comma 1, lett. a), che la stazione appaltante preveda negli atti di gara l’assoggettamento del contratto a modifiche nel corso dell’esecuzione. In tal caso, la previsione della modifica deve essere contenuta in clausole chiare, precise e inequivocabili, che ne fissino, la portata, la natura e le condizioni alle quali essa può essere impiegata ‒ facendo riferimento anche alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti.
Ove espressamente previste nei documenti di gara, le modifiche possono essere di qualsiasi importo e non sono soggette ai limiti quantitativi previsti dall’art. 106 per le ulteriori ipotesi di modifiche oggettive. È significativo, a tale proposito, che secondo il considerando n. 111 della direttiva 2014/24 «le amministrazioni aggiudicatrici
prestazioni richieste»: così Cons. Stato, sez. V, sent. 16 aprile 2014, n. 1923, ribadita da Cons. Stato, sez. V, sentt. 10 gennaio 2017, n. 42 e 17 gennaio 2018, n. 270. In dottrina, v. X. XXXXXXXXX, Ammissibilità delle varianti e differenza con le soluzioni migliorative, in Urb. app., 1/2018, pp. 109 e ss., che evidenzia le difficoltà applicative della distinzione tra varianti e migliorie, e A. DI CAGNO, Soluzioni migliorative proponibili e varianti escluse in sede di offerta, in Urb. app., 5/2019, pp. 663 ss.
dovrebbero avere la possibilità di prevedere modifiche mediante clausole di revisione e opzione, senza che tali clausole conferiscano loro discrezionalità illimitata». La determinazione negli atti di gara di tutti i requisiti prescritti dalla norma consente, dunque, di limitare la discrezionalità dell’amministrazione a garanzia delle imprese. Di qui deriva anche che clausole di modifica eccessivamente generiche potrebbero essere contestate per indeterminabilità dell’oggetto. Ad esempio, ove si preveda la possibilità di richiedere ulteriori beni nell’ambito di un appalto di forniture senza specificarne la quantità, si potrebbe contestare la nullità della clausola in oggetto o, quanto meno, ricondurla nell’alveo della misura del quinto del contratto per il principio di conservazione degli atti giuridici.
Nonostante non sia espressamente stabilito dalla norma, può ritenersi che le modifiche di cui alla presente ipotesi costituiscano a tutti gli effetti un’opzione che la stazione appaltante può scegliere di esercitare nel corso dell’esecuzione del contratto. Si noti che nel testo dell’art. 72 della direttiva 2014/24 si precisa che le modifiche possono consistere anche in opzioni, oltre che in clausole di revisione dei prezzi. Il legislatore del 2016, nel trasporre tale previsione, ha mantenuto il riferimento alla revisione dei prezzi, ma ha tralasciato di menzionare le opzioni. Ci si può chiedere, pertanto, se l’intento sia stato quello di escludere le opzioni dal novero delle modifiche contrattuali o se, al contrario, si sia omesso il riferimento espresso in quanto la possibilità di modificare il contratto costituisce essa stessa un’opzione. Per rispondere a tale interrogativo, si può osservare che l’opzione consiste nel diritto dell’opzionario di ottenere una determinata prestazione, da parte del concedente, sulla base di una sua semplice dichiarazione di volontà, cui il concedente deve sottostare. Nel caso delle modifiche già previste dagli atti di gara, l’aggiudicatario è già consapevole, fin dal momento della presentazione dell’offerta, della possibilità che il contratto sia assoggettato a modifiche, proprio perché queste ultime sono specificate negli atti di gara. Di conseguenza, lo stesso aggiudicatario dovrà sottostare alle determinazioni della stazione appaltante e acconsentire alla modifica, qualora richiesta3. La modifica si atteggia a tutti gli effetti, dunque, alla stregua di un’opzione cui l’affidatario è assoggettato, sicché può concludersi che l’assenza del riferimento alle opzioni nella norma italiana sia giustificato dalla natura stessa delle modifiche. Accedendo a tale impostazione, le prestazioni oggetto di modifica devono essere
3 Giova precisare che l’esercizio di tale diritto rientra nell’ambito dei poteri privatistici dell’amministrazione e non già tra quelli autoritativi: pertanto, sussiste giurisdizione del giudice ordinario nel caso di contestazioni da parte dell’impresa affidataria.
precisamente individuate, e il relativo valore economico deve essere puntualmente specificato negli atti di gara4: ai sensi dell’art. 35 del codice, infatti, il valore stimato massimo di un appalto deve ricomprendere anche il valore di tutte le opzioni previste dai documenti di gara, tra cui rientrano anche le ipotesi di modifica fin qui descritte.
3. La clausola di revisione dei prezzi
Tra le modifiche espressamente previste dai documenti di gara rientrano la clausola di revisione dei prezzi e l’opzione di proroga della durata del contratto.
La clausola di revisione dei prezzi mira a garantire l’adeguamento del corrispettivo nel caso di contratti di durata. Come osservato dal Consiglio di Stato, «la finalità dell’istituto è da un lato quella di salvaguardare l'interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle pubbliche amministrazioni non siano esposte col tempo al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell'eccessiva onerosità sopravvenuta delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015 n. 2295; Consiglio di Stato, Sez. V, 20 agosto 2008 n. 3994), dall’altro di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052; Sez. III 4 marzo 2015 n. 1074; Sez. V 19 giugno 2009 n. 4079)»5.
La clausola è stata variamente configurata nel corso degli anni6. Per limitarsi alla sola storia più recente, il precedente codice dei contratti pubblici prevedeva l’obbligatorietà della revisione dei prezzi nei contratti di durata relativi a servizi e forniture (art. 115 d.lgs. 163/2006)7, e l’applicazione del c.d. “prezzo chiuso” nei contratti relativi a lavori (art.
4 A tale prescrizione fa eccezione il caso dell’opzione di xxxxxxx, per le ragioni di cui si darà conto più avanti.
5 Così da ultimo Cons. Stato, sez. III, sent. 19 giugno 2018, n. 3768.
6 Sull’evoluzione della disciplina normativa e della giurisprudenza in materia, si rinvia a X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, vol. 2, XIII ed, Milano, 2018, pp. 2057 ss.
7 La revisione avrebbe dovuto essere adottata a seguito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi sulla base di costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura, in relazione a specifiche aree territoriali, individuati dall'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture avvalendosi dei dati forniti dall'ISTAT e tenendo conto dei parametri qualità prezzo di cui alle convenzioni stipulate dalla CONSIP. Peraltro, tali
133, commi 3 e 4, d.lgs. 163/2006)8. Sulla base delle citate disposizioni, si è affermato in giurisprudenza che la revisione dei prezzi avesse carattere obbligatorio e che, in particolare, l’art. 115 del previgente codice costituisse norma imperativa: in quanto tale, essa avrebbe integrato i contratti che nulla avessero previsto al riguardo, in conformità all’art. 1339 e all’art. 1419, comma 2, cod. civ. Si specificava, inoltre, che l’esistenza di una clausola di revisione all’interno dei contratti non costituisse, di per sé, garanzia della effettiva revisione del prezzo, perché la stazione appaltante avrebbe dovuto attivare un apposito procedimento per verificare la sussistenza dell’an e del quantum della revisione9. In caso di contestazione sulle determinazioni dell’amministrazione, la giurisdizione sarebbe spettata al giudice amministrativo in caso di mancato riconoscimento della revisione, al giudice ordinario in caso di erronea quantificazione della revisione. Tale orientamento, peraltro, è parzialmente mutato con l’introduzione dell’art. 133, comma 2, lett. e), n. 2 del d.lgs. 16 settembre 2010, n. 104, che ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di revisione dei prezzi, senza distinzioni tra fase di determinazione e fase di quantificazione del diritto. La giurisprudenza più recente, dunque, si è evoluta nel senso di riconoscere la giurisdizione del giudice amministrativo anche per la seconda fase10.
Con l’adozione del nuovo codice, la clausola di revisione dei prezzi è diventata sempre e comunque facoltativa, dipendendo esclusivamente dalla scelta della stazione appaltante il suo inserimento nei documenti di gara e, specificamente, nel contratto. Di conseguenza, nessuna pretesa può sorgere in capo all’impresa in caso di variazione dei prezzi del mercato quando tale clausola non sia stata inserita. La Corte di giustizia dell’Unione
costi standard non sono stati mai individuati nella pratica: ciononostante, la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato ha optato per l’applicabilità della revisione dei prezzi pur in assenza di tale quantificazione, ritenendo l’interesse delle imprese alla revisione dei prezzi prevalente rispetto all’inerzia della pubblica amministrazione e considerando come parametro rilevante l’indice FOI predisposto periodicamente dall’ISTAT. Per un esame completo della questione, si rinvia a Cons. Stato, sez. V, sent. 23 aprile 2014, n. 2052.
8 In virtù del meccanismo del prezzo chiuso, il corrispettivo dei lavori pubblici consisteva nel prezzo al netto del ribasso d’asta e aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell’anno precedente fosse stato superiore al 2 per cento, all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori stessi. Tale percentuale sarebbe stata fissata, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da emanare entro il 31 marzo di ogni anno, nella misura eccedente la detta percentuale del 2 per cento.
9 V. ad esempio Cass., SS.UU., 29 maggio 2014, n. 12063.
10 In termini, v. Cons. Stato, sez. III, sent. 9 gennaio 2017, n. 25.
europea, inoltre, ha da ultimo rilevato che la mancata previsione dell’obbligatorietà della revisione dei prezzi non è in sé contraria al diritto dell’Unione11.
La revisione dei prezzi va effettuata tenendo conto della variazione dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Tali costi devono essere quantificati dall’Anac, ai sensi dell’art. 213, comma 3, lett. h-bis, del codice, mediante apposite linee guida relative ai costi standard dei lavori e ai prezzi di riferimento di beni e servizi. Al momento, tuttavia, tali linee guida non sono state ancora adottate: resta quindi applicabile, come parametro di riferimento, l’indice FOI predisposto dall’ISTAT, come affermato dalla giurisprudenza già richiamata. Sono previsti inoltre prezzari regionali soggetti ad aggiornamento annuale relativamente ai costi dei prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni per quanto riguarda i contratti di lavori (art. 23, commi 7 e 16, del codice).
Considerata la facoltatività della revisione dei prezzi e la variazione dei presupposti rispetto al regime previgente, può sorgere il dubbio se la valutazione della sussistenza dei presupposti per la revisione continui ad essere espressione di un potere autoritativo della stazione appaltante o, piuttosto, sia sempre e comunque manifestazione del potere negoziale dell’amministrazione. In dottrina si è osservato, infatti, che il “fondamento strettamente convenzionale” della revisione dei prezzi e la puntualità delle ipotesi previste dall’art. 133, co. 2, lett. e), n. 2 d.lgs. 104/2010 costituiscano ragione sufficiente per ritenere superata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e per ritenere le controversie in materia devolute al giudice ordinario12. Peraltro, non può non rilevarsi che, qualora la revisione dei prezzi sia inserita nel contratto, il meccanismo previsto per il suo riconoscimento da parte della stazione appaltante non si discosta da quello preesistente alla modifica del codice e, in particolare, non viene meno la valutazione dell’amministrazione in ordine alla sussistenza dei suoi presupposti. Sotto questo profilo, allora, sembra più condivisibile la tesi secondo la quale la giurisdizione rimane in capo al giudice amministrativo13.
11 Cfr. CGUE, sent. del 19 aprile 2018 in causa C-152/17.
12 Così X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit.,
p. 2103, che cita, con riferimento alle clausole di revisione dei prezzi autonomamente previste all’interno di contratti pubblici sotto il regime previgente, Xxxx. 13 luglio 2015, n. 14559, e Cons. Stato, sez. V, sent. 12 febbraio 2016, n. 621.
13 In tal senso v. R. DE NICTOLIS, I nuovi appalti pubblici. Appalti e concessioni dopo il d.lgs. 00/0000, Xxxxxxx-Xxxxxx, 2017, p. 1638.
La revisione dei prezzi si applica alle prestazioni dedotte nel contratto originario. Ne deriva che ulteriori atti negoziali successivi alla stipula del contratto e modificativi delle prestazioni inizialmente pattuite, quali ad esempio gli atti aggiuntivi, non sono soggetti all’applicazione della clausola di revisione dei prezzi inserita nel contratto originario, in quanto contengono essi stessi la determinazione del relativo corrispettivo14. La revisione dei prezzi potrà essere applicata, invece, agli atti che si innestano sul sistema preordinato dal contratto originario, quali il quinto d’obbligo, per il quale la richiesta dell’amministrazione viene effettuata in piena conformità a tutte le pattuizioni iniziali.
Giova precisare, ad ogni modo, che l’art. 106, comma 2, lett. a) del codice circoscrive, in alcuni casi, la portata della revisione dei prezzi. In particolare, per i contratti relativi ai soli lavori le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari regionali15, solo per l’eccedenza rispetto al 10 per cento del prezzo originario e comunque in misura pari alla metà della medesima eccedenza. Pertanto, ad esempio, ove il prezzo originario sia 100 e il prezzo attuale sia 108, nulla sarà dovuto; ove invece il prezzo attuale sia 116, la variazione sarà pari a 6 e il prezzo aggiuntivo spettante all’impresa sarà pari a 3 (ossia, la metà dell’eccedenza). È possibile, inoltre, che si verifichi una variazione dei prezzi in diminuzione, che, dunque, andrebbe a vantaggio della stazione appaltante. In questo caso - comunque, più difficilmente riscontrabile nella pratica - l’amministrazione può conseguire, pertanto, un risparmio su quanto originariamente pattuito16.
14 Come osserva X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit., p. 2104, peraltro, “a tale principio può farsi eccezione là dove i nuovi atti risultino fedelmente ripetitivi del quadro economico fissato dal contratto, sì da manifestarsi implicita la conferma della previsione ivi contemplata del suo progressivo adeguamento. A simile conclusione è, però, possibile pervenire solo in presenza di elementi ermeneutici di assoluta certezza, affinché non ci si ponga in contraddizione con [i]l carattere di chiarezza, precisione ed inequivocabilità delle clausole iniziali”.
00 X. XX XXXXXXXX, I nuovi appalti pubblici, cit., p. 1636, dubita se debba impiegarsi il prezzario del luogo di esecuzione del contratto o quello del luogo in cui si acquistano i materiali. La questione si pone, ovviamente, nel solo caso in cui la stazione appaltante non abbia determinato a monte, nei documenti di gara e nel contratto, quale sia il prezzario di riferimento. In assenza di ulteriori indicazioni all’interno del contratto, può ritenersi applicabile l’art. 1368 cod. civ., a mente del quale in caso di clausole ambigue si fa riferimento a ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso o, se una delle parti è un imprenditore, nel luogo in cui ha sede l’impresa. Sulla base di tale norma, pertanto, in assenza di un’espressa previsione contrattuale dovrebbe applicarsi il prezzario del luogo in cui ha sede l’impresa o, comunque, del luogo di acquisto dei materiali.
00 X. XX XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 1636, evidenzia che in tal caso non è chiaro come debba operare il procedimento di autorizzazione della revisione e che, anzi, si dovrebbe giungere a un accordo con l’esecutore o, quanto meno, ottenere la sua accettazione. Anche in questa ipotesi,
Ulteriore ipotesi nella quale la norma opera un contenimento della revisione dei prezzi attiene ai contratti di servizi e forniture stipulati dai soggetti aggregatori, quale Consip Spa, e cui abbiano aderito singoli contraenti: in tal caso, restano ferme le disposizioni di cui all’art. 1, comma 511, L. 28 dicembre 2015, n. 208. Più specificamente, la revisione dei prezzi può essere richiesta se la relativa clausola è collegata o indicizzata al valore di beni indifferenziati e se, allo stesso tempo, la variazione nel valore dei predetti beni determina un aumento o una diminuzione del prezzo complessivo in misura non inferiore al 10 per cento ed è tale da alterare significativamente l'originario equilibrio contrattuale
- come accertato dall'autorità indipendente preposta alla regolazione del settore relativo allo specifico contratto ovvero, in mancanza, dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. La medesima disposizione prevede poi un preciso iter per l’accertamento e la quantificazione della revisione17.
4. Il rinnovo e la proroga del contratto
Ulteriore ipotesi di modifica che deve essere necessariamente prevista nei documenti contrattuali attiene alla protrazione del rapporto contrattuale oltre il termine inizialmente stabilito nei documenti di gara. La questione, che si pone essenzialmente per i contratti di durata, quali possono essere quelli relativi all’erogazione di servizi o forniture, è stata oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale nel corso degli anni e ha riguardato essenzialmente la distinzione tra rinnovo del contratto e proroga del termine di durata, l’ammissibilità di entrambi gli istituti e la relativa disciplina.
peraltro, una specifica previsione contrattuale che regoli tale evenienza sarebbe in grado di risolvere alla radice il dubbio interpretativo.
17 L'appaltatore o il soggetto aggregatore hanno facoltà di richiedere, con decorrenza dalla data dell'istanza, una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo. In caso di raggiungimento dell'accordo, i soggetti contraenti possono, nei trenta giorni successivi a tale accordo, esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 1373 del codice civile. Nel caso di mancato raggiungimento dell'accordo le parti possono consensualmente risolvere il contratto senza che sia dovuto alcun indennizzo, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1467 del codice civile. Le parti possono chiedere all'autorità che provvede all'accertamento di fornire, entro trenta giorni dalla richiesta, le indicazioni utili per il ripristino dell'equilibrio contrattuale ovvero, in caso di mancato accordo, per la definizione di modalità attuative della risoluzione contrattuale finalizzate a evitare disservizi.
In linea di massima, la giurisprudenza costante18 ha affermato che rinnovo e proroga, pur intervenendo entrambi sulla durata del contratto, operano in maniera differente sul rapporto contrattuale, a prescindere dal nomen iuris assegnato dalle parti. Il rinnovo, infatti, comporta una rinegoziazione dei termini dell’accordo e, dunque, anche del corrispettivo dovuto per le prestazioni effettuate. La proroga, invece, comporta un mero “spostamento in avanti” della scadenza del contratto, senza che siano intaccate le condizioni pregresse di esecuzione, che dovranno, pertanto, restare le stesse inizialmente pattuite.
Nel momento in cui si dispone o si concorda l’ulteriore corso del rapporto contrattuale, implicitamente si sottrae l’erogazione del servizio o della fornitura oggetto del contratto dallo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica per la selezione di un contraente che potrebbe offrire condizioni più favorevoli, in considerazione dell’evoluzione tecnologica o delle mutate condizioni del mercato. A partire da questo assunto, l’ordinamento europeo si è orientato nel senso di considerare il rinnovo e la proroga del contratto come evento di carattere eccezionale in quanto sostanzialmente configurabile come un affidamento diretto senza gara e tale da dover essere evitato o, quanto meno, adeguatamente giustificato19. L’ordinamento italiano, nel quale invece l’estensione del termine contrattuale o la rinegoziazione delle condizioni originarie del contratto era situazione comune, anche mediante semplice prosecuzione del rapporto e senza ulteriori atti integrativi, ha dovuto progressivamente adeguarsi alla diversa impostazione europea. In considerazione di ciò, l’art. 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, sancì
18 Cfr ad esempio Cons. Stato, sez. III, sent. 22 gennaio 2016, n. 209 e, più di recente, 18 ottobre 2019, n. 7077. La giurisprudenza in esame si è formata per lo più con riferimento all’applicazione della revisione dei prezzi. Ove, infatti, vi sia una mera proroga, la revisione dei prezzi assume lo specifico significato di riequilibrare le prestazioni contrattuali, restando ferma tutta la restante disciplina del rapporto contrattuale. Nel caso del rinnovo, la rinegoziazione del rapporto comporta, invece, una specifica considerazione anche dell’equilibrio tra le prestazioni di entrambe le parti, sicché, ove nulla si sia convenuto in ordine al prezzo, lo si deve ritenere pienamente remunerativo per l’impresa e non si deve applicare la revisione dei prezzi: in tal senso,
v. Cons. Stato, sent. n. 7077/2019, citata, nonché Cons. Stato, sez. VI, 28 maggio 2019, n. 3478.
19 Oltre a quanto si dirà nel seguito con riferimento alla procedura di infrazione avviata e non conclusa nei confronti dell’Italia con riguardo al divieto di rinnovo tacito, si consideri anche la giurisprudenza secondo la quale rinnovo e proroga possono costituire modifiche sostanziali del contratto, tali da rappresentare un affidamento diretto senza gara e da violare il principio di parità di trattamento e gli obblighi di trasparenza che ne derivano. In tal senso si veda da ultimo la sentenza CGUE, 18 settembre 2019, in causa C-526/17, Commissione c. Italia, relativa alla proroga di una concessione autostradale dal 31 ottobre 2028 al 31 dicembre 2046, ritenuta illegittima dalla Corte di giustizia; più in generale sulle modifiche contrattuali sostanziali, si rinvia alle sentenze 7 settembre 2016 in causa C-549/14, Xxxx Xxxxxx A/S, e 19 giugno 2008 in causa C-454/06, Pressetext Xxxxxxxxxxxxxxxxxx.
per la prima volta il divieto di rinnovo tacito del contratto e rimise alle stazioni appaltanti la facoltà di scegliere, almeno tre mesi prima della scadenza del contratto, se rinnovarlo o meno. La disciplina del rinnovo, così strutturata, fu ritenuta contrastante con il diritto comunitario dalla Commissione europea, che avviò una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per violazione delle direttive 92/50/CEE, in materia di appalti pubblici di servizi, e 93/36/CEE, in materia di appalti pubblici di forniture20. Per evitare la conclusione sfavorevole della procedura d’infrazione, il legislatore italiano dapprima abrogò, con l’art. 23 l. 18 aprile 2005, n. 62, la previsione censurata, e in seconda battuta ribadì espressamente il divieto di rinnovo tacito dei contratti all’art. 58, comma 7, d.lgs. 163/2006. Al momento attuale, il vigente codice non riproduce la disposizione nei medesimi termini: l’art. 35, comma 4, tuttavia, stabilisce che il calcolo del valore stimato del contratto debba tener conto anche di qualsiasi forma di eventuali opzioni o rinnovi del contratto “esplicitamente stabiliti nei documenti di gara”21, con ciò lasciando intendere che le opzioni di rinnovo debbano essere necessariamente previste negli atti di gara, a tutela della parità dei concorrenti e della trasparenza amministrativa.
Con riguardo alla proroga, invece, il codice dei contratti contempla adesso esclusivamente, all’art. 106, comma 11, l’ipotesi della c.d. proroga tecnica, ossia di quella proroga che si sia resa necessaria per portare a termine la procedura di gara per la selezione del nuovo contraente22. Perché la stazione appaltante possa avvalersi di tale modifica contrattuale, è anzitutto necessario che sia stata prevista una specifica opzione nel bando e nei documenti di gara. Trattandosi di opzione, può sorgere il dubbio se il relativo valore debba essere necessariamente inserito nei documenti di gara ai fini del
20 Cfr. sul punto il parere di precontenzioso n. 2110/2003 del 16 dicembre 2003.
21 Nonostante l’assenza di una disposizione analoga a quella del previgente codice, non può comunque ritenersi insussistente il divieto di rinnovo tacito. Se da un’interpretazione meramente letterale dell’art. 35, comma 4, citato potrebbe pure arguirsi che le stazioni appaltanti siano abilitate a non prevedere espressamente il rinnovo negli atti di gara e successivamente optare per il rinnovo, a tale conclusione non è possibile pervenire alla luce sia delle pregresse vicende e dei princìpi ad esse sottesi, sia dell’art. 5 della direttiva 2014/24/UE, che sul punto stabilisce: “Il calcolo del valore stimato di un appalto è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’IVA, valutato dall’amministrazione aggiudicatrice, compresa qualsiasi forma di eventuali opzioni e rinnovi eventuali dei contratti come esplicitamente stabilito nei documenti di gara”. In altri termini, la disposizione non sembra lasciare spazi per la possibilità di rinnovi che non siano previsti nei documenti di gara.
22 Ai sensi della citata disposizione, la durata del contratto può essere modificata esclusivamente per i contratti in corso di esecuzione se è prevista nel bando e nei documenti di gara una opzione di proroga. Quest’ultima è limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione delle procedure per l’individuazione di un nuovo contraente. In tal caso il contraente è tenuto all’esecuzione delle prestazioni previste nel contratto agli stessi prezzi, patti e condizioni o più favorevoli per la stazione appaltante.
calcolo dell’importo massimo stimato dell’appalto ai sensi dell’art. 35 del codice. Per quanto sia opportuno fornire una stima, si è dell’avviso che in questo caso non sussista un vero e proprio obbligo in capo alla stazione appaltante, dal momento che quest’ultima non può essere in grado di stimare a priori il tempo necessario all’espletamento della futura procedura di gara per la selezione del nuovo contraente23. In secondo luogo, la medesima proroga deve essere limitata al tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura di gara per la selezione del nuovo contraente: il che lascia intendere che la medesima procedura debba essere stata già avviata al momento della manifestazione di volontà di xxxxxsi dell’opzione di proroga. Infine, conformemente a quanto fin qui sostenuto, la proroga deve essere svolta alle medesime condizioni contrattuali originarie, dal momento che comporta la semplice protrazione del termine e non anche una rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
La disposizione risulta essere molto chiara nel circoscrivere l’impiego della proroga nei soli casi in essa previsti e nel non rimettere alla stazione appaltante la scelta di utilizzarla anche in altre situazioni analoghe. Del resto, la medesima norma va letta in coordinamento con l’art. 63, comma 2, lett. c) del codice, a mente della quale, in caso di ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall’amministrazione aggiudicatrice, può impiegarsi una procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara quando i termini per le procedure aperte, per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati.
A tali indicazioni di massima fanno eccezione, peraltro, alcune ipotesi eccezionalmente previste dall’ordinamento. A titolo esemplificativo, può richiamarsi il Regolamento CE
n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007, in materia di servizi di trasporto pubblico: l’art. 5 ammette esplicitamente che, in caso di interruzione del servizio o di pericolo imminente di interruzione, la stazione appaltante può adottare provvedimenti di emergenza, tra cui rientra anche la proroga del contratto per un massimo di due anni.
Dalle disposizioni fin qui esaminate può concludersi che vi è l’obbligo, per la stazione appaltante, di programmare adeguatamente la propria attività al fine di evitare situazioni patologiche di proroga dei contratti in essere senza che ricorrano i presupposti di legge;
23 Si veda a tal proposito la Relazione AIR per il bando-tipo n. 1/2017 dell’Anac, secondo cui «la proroga tecnica è un’opzione la cui durata e il cui importo non sono né prevedibili, né quantificabili alla data di pubblicazione del bando. […] Nondimeno, ove le stazioni appaltanti lo ritengano possibile, esse possono procedere a una stima di massima ai fini del computo sulla base d’asta».
in caso contrario, non è escluso che, nelle ipotesi più gravi, si possa incorrere in responsabilità amministrativa per i danni eventualmente subiti dall’amministrazione.
Considerata la ricorrenza del suo impiego nella prassi amministrativa, giova esaminare un’ulteriore ipotesi di modifica contrattuale, che può intersecarsi con le modifiche espressamente previste dai documenti di gara e che consiste nella variazione delle prestazioni contrattuali originariamente previste dalla stazione appaltante, entro i limiti del quinto dell’importo del contratto (c.d. quinto d’obbligo).
L’art. 106, comma 12, del codice24 assicura alla stazione appaltante la facoltà di imporre all’appaltatore l’esecuzione delle prestazioni alle stesse condizioni previste nel contratto originario e senza che il medesimo appaltatore possa far valere il diritto alla rinegoziazione delle clausole contrattuali o alla risoluzione del contratto, fermo restando il diritto al maggior corrispettivo.
La norma, pertanto, attribuisce all’amministrazione il diritto potestativo di richiedere l’aumento o, eventualmente, la diminuzione delle prestazioni contrattuali entro un limite determinato (il quinto dell’importo del contratto), senza che l’appaltatore nulla possa opporre al riguardo: si ritiene a priori che, presumibilmente, la variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni non arrechi pregiudizio all’appaltatore, ove contenuta entro il limite anzidetto25.
Ai sensi dell’art. 22, comma 5, d.m. 7 marzo 2018, n. 49, l’importo dell’appalto a partire dal quale calcolare il quinto è formato dalla somma risultante dal contratto originario, aumentato dell’importo degli atti di sottomissione e degli atti aggiuntivi per varianti già intervenute, nonché dell’ammontare degli importi, diversi da quelli a titolo risarcitorio,
24 Si tratta, peraltro, di un potere previsto dall’ordinamento già con l’art. 344 del r.d. L. 24 marzo 1865, n. 2248, all. F, con l’art. 11 r.d. 2440/1923 e con l’art. 120 r.d. 827/1924. La medesima norma è stata poi riproposta dall’art. 14 d.P.R. 1032/1962 e dall’art. 10, commi 2 e 3, d.m. 145/2000, nonché, infine, dall’art. 132 d.lgs. 163/2006 e dagli artt. 161, comma 12, e 311 del
d.P.R. 207/2010.
25 Così X. XXXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit.,
p. 1901.
eventualmente riconosciuti all’esecutore ai sensi degli articoli 205, 206 e 208 del codice a seguito di accordi bonari o di transazioni con l’appaltatore26.
In dottrina ci si è talora chiesti quali siano i limiti entro i quali l’amministrazione può valersi di tale facoltà. In effetti, la norma prevede un limite quantitativo (il quinto dell’importo), ma non anche un limite qualitativo relativo alla tipologia delle prestazioni o della richiesta dell’amministrazione.
In realtà, già l’art. 106, comma 12, del codice contiene in sé alcuni elementi che potrebbero costituire un limite al diritto potestativo della stazione appaltante. In particolare, la circostanza che le necessità emergano “in corso di esecuzione” lascia ritenere che la variazione non debba essere prevedibile al momento della predisposizione dei documenti di gara e dello svolgimento della procedura. In questo modo si assicura, tra l’altro, il rispetto del criterio direttivo stabilito dall’art. 1, comma 1, lett. ee) della legge 11/2016, secondo il quale ogni variazione in corso d’opera deve essere giustificata unicamente da condizioni impreviste e imprevedibili27. Inoltre, il riferimento a un aumento o a una diminuzione delle prestazioni che avvenga nel corso dell’esecuzione comporta anche che il riferimento sia alle prestazioni dedotte in contratto, e non ad altre totalmente eterogenee rispetto a quanto originariamente previsto. A tale conclusione soccorre anche l’art. 1661, comma 2, cod. civ. - applicabile in virtù del rinvio al codice civile operato dall’art. 30, comma 8, del codice - a mente del quale le modifiche ordinate unilateralmente dal committente non devono essere necessariamente eseguite dall’appaltatore qualora comportino notevoli modificazioni della natura dell'opera o dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previste nel contratto per l'esecuzione dell'opera28. Ne consegue che le prestazioni oggetto del quinto d’obbligo devono pur
26 La norma riprende quanto già stabilito in passato dall’art. 161, comma 14, d.P.R. 207/2010. È dubbio se il valore del quinto debba essere ricompreso nell’importo massimo stimato del contratto ai sensi dell’art. 35 del codice. La circostanza che si tratti di un’opzione prevista in via generale dalla legge e che non è necessario inserire nei documenti di gara lascia ritenere che il relativo valore non debba essere computato: in caso contrario, il valore massimo di ciascun contratto dovrebbe essere automaticamente aumentato di un quinto, il che condurrebbe a un’interpretazione eccessivamente formalistica della norma e a difficoltà in sede di programmazione e gestione delle risorse. Peraltro, in giurisprudenza sono emerse anche posizioni di segno opposto: cfr. in particolare TAR Campania-Napoli, sez. V, 5 settembre 2018, n. 5380.
27 Paventa il rischio di una interpretazione contraria a tale criterio direttivo X. XX XXXXXXXX, I nuovi contratti pubblici…, cit., p. 1621.
28 Sull’applicabilità di tale norma al caso che qui interessa cfr. X. XXXXXXXX, Le modifiche oggettive nei contratti pubblici e il diritto potestativo nel quinto d’obbligo, in Riv. giur. edilizia, 1/2019, pp. 17 ss.
sempre essere compatibili e, si potrebbe sostenere, supplementari rispetto a quanto già dedotto in contratto, e non già eterogenee e avulse dall’assetto pregresso.
Si può dunque concordare con la tesi secondo la quale la modifica dell’importo contrattuale deve essere o la conseguenza di una modifica già prevista nel contratto o una prestazione supplementare o deve derivare da eventi imprevisti o imprevedibili29. In caso contrario, infatti, si determinerebbe una violazione della normativa europea e la stessa legge di delega. Solo riconducendo il quinto d’obbligo alle ipotesi di modifica codificate dall’art. 106 sarebbe possibile arginare la discrezionalità dell’amministrazione che, altrimenti, sarebbe piena e difficilmente controllabile.
00 Xxx. X. XX XXXXXXXX, I nuovi appalti pubblici…, cit., pp. 1621-1622.
I contratti esclusi dall’ambito di applicazione del D.lgs. n. 50 del 2016
di Xxxxxxx Xxxxxxxx
Sommario: 1. Premessa. 2. Contratti esclusi: esenti e estranei. 3. I principi applicabili nell’affidamento dei contratti esenti. 3.1 L’applicazione dei principi di cui all’art. 4 nell’affidamento dei servizi legali. 4. Contratti a titolo gratuito: sono estranei? 5. Conclusioni
1. Premessa
Al fine di raggiungere l’obiettivo della realizzazione di un mercato interno all’Unione Europea, il legislatore comunitario da sempre rivolge grande attenzione alla normativa sui contratti pubblici30. Le direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE coordinano le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni al fine di garantire il rispetto dei principi di concorrenza, libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento e libera circolazione dei servizi.
Le citate direttive stabiliscono le norme che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono tenuti a seguire per l’aggiudicazione di appalti e concessioni di lavori, servizi e forniture. Tuttavia, le medesime direttive prevedono espressamente molteplici specifiche esclusioni dall’ambito di applicazione delle stesse. Si pensi, a titolo esemplificativo, agli appalti e concessioni di importo stimato inferiore alla soglia euro- unitaria, agli appalti aventi ad oggetto l’acquisto o la locazione di terreni, fabbricati o altri beni immobili o ai servizi di arbitrato e conciliazione.
È di immediata evidenza che tali deroghe alle procedure ad evidenza pubblica non sono accomunate da una ratio unitaria. Nei considerando delle predette direttive, infatti, si
30 L’art. 26 TFUE dispone che «1. L'Unione adotta le misure destinate all'instaurazione o al funzionamento del mercato interno, conformemente alle disposizioni pertinenti dei trattati. 2. Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati. 3. Il Consiglio, su proposta della Commissione, definisce gli orientamenti e le condizioni necessari per garantire un progresso equilibrato nell'insieme dei settori considerati».
trovano citate alcune delle ragioni che motivano siffatta scelta del legislatore europeo. Si faccia l’esempio degli appalti pubblici aventi per oggetto la rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un procedimento giudiziario, espressamente esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2014/24/UE. Il considerando n. 25 prevede che
«tali servizi legali sono di solito prestati da organismi o persone selezionate o designate secondo modalità che non possono essere disciplinate da norme di aggiudicazione degli appalti». In altre parole, la direttiva individua nell’intuitus personae che informa il rapporto tra avvocato e cliente la ragione che rende inopportuna in tale ipotesi l’applicazione delle disposizioni in materia di appalti pubblici31. L’art. 10 della medesima direttiva esclude gli appalti aventi per oggetto l’acquisto, lo sviluppo, la produzione o coproduzione di programmi destinati ai servizi di media audiovisivi o radiofonici aggiudicati ai fornitori dei citati servizi. Il considerando n. 23 precisa che il rilievo culturale e sociale di tali servizi rende inappropriata l’applicazione delle norme di aggiudicazione degli appalti, perché ciascuno di essi è infungibile rispetto ad altri.
Dalle esclusioni citate risulta percepibile la diversità delle ragioni che hanno indotto il legislatore a introdurre deroghe all’evidenza pubblica. In ciascun caso di esclusione dall’ambito di applicazione delle direttive, tuttavia, appare chiaro che la tutela della concorrenza, della libertà di stabilimento e della libera circolazione di merci e servizi è considerata un principio recessivo rispetto ad altri, ritenuti di maggiore interesse.
Nell’attività di recepimento delle direttive, il legislatore nazionale si è conformato alla normativa europea, sulla scia di quanto già previsto dall’abrogato D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
L’art. 1, comma 1, lett. n.) della l. 28 gennaio 2016, n. 11, recante Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, individuava tra i
31 Sul punto si veda Corte di Giustizia UE, 6 giugno 2019, n. C-264/2018 che – affermando la validità dell’articolo 10, lettera c) e lettera d), i), ii) e v), della direttiva 2014/24 alla luce dei principi di parità di trattamento e di sussidiarietà, nonché degli articoli 49 e 56 TFUE – ha ritenuto che «da un lato, un siffatto rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla libera scelta del suo difensore e dalla fiducia che unisce il cliente al suo avvocato, rende difficile la descrizione oggettiva della qualità che si attende dai servizi da prestare. Dall’altro, la riservatezza del rapporto tra avvocato e cliente, il cui oggetto consiste, in particolare nelle circostanze descritte al punto 35 della presente sentenza, tanto nel salvaguardare il pieno esercizio dei diritti della difesa dei singoli quanto nel tutelare il requisito secondo il quale ogni singolo deve avere la possibilità di rivolgersi con piena libertà al proprio avvocato (v., in tal senso, sentenza del 18 maggio 1982, AM & S Europe/Commissione, 155/79, EU:C:1982:157, punto 18), potrebbe essere minacciata dall’obbligo, incombente sull’amministrazione aggiudicatrice, di precisare le condizioni di attribuzione di un siffatto appalto nonché la pubblicità che deve essere data a tali condizioni».
principi e criteri direttivi della delega l’individuazione dei contratti esclusi dall'ambito di applicazione del decreto di recepimento delle direttive e del decreto di riordino, in coerenza con quanto previsto dalle predette direttive.
Con l’adozione del Codice dei contratti pubblici, il legislatore del 2016, infatti, ha ben definito il proprio ambito di applicazione e ne ha individuato le esclusioni32. Nella parte I, titolo II, del Codice, sono disciplinati i “Contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione”.
2. Contratti esclusi: esenti e estranei
La parte I, titolo II, del Codice dei contratti pubblici si apre con l’art. 4 ai sensi del quale
«l'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica».
Ad una prima lettura della disposizione, sembrerebbe che tutti i contratti non attratti nell’ambito di applicazione del Codice, sebbene non soggetti alle singole disposizioni dello stesso, debbano rispettare i principi enunciati dall’articolo 4. Occorre, dunque, fare chiarezza sulla nozione di contratti esclusi, al fine di comprendere quali siano assoggettati ai suddetti principi e quali, invece, siano disciplinati esclusivamente dalle regole di diritto privato. Proverebbe troppo, infatti, la tesi secondo cui qualsiasi contratto che non ricada nell’ambito di applicazione delle disposizioni di cui al d.lgs. 50 del 2016 sia comunque soggetto ai principi dal medesimo stabiliti.
La giurisprudenza è intervenuta per interpretare la nozione di contratti esclusi di cui alle direttive euro-unitarie e al Codice dei contratti pubblici. Con la sentenza n. 16 del 201133, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito che nel genus “esclusioni” possono individuarsi almeno due tipologie aventi una diversa ratio: gli appalti “esenti” e gli appalti “estranei”. I primi sono quelli in astratto rientranti nei settori di intervento delle direttive, ma che ne vengono esclusi per ragioni latu sensu di politica comunitaria. Si tratta di
32 Per una descrizione più dettagliata delle tipologie di esclusioni oggettive si veda X. XXXXXX, Contratti esclusi, in www.l’xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx e A. MEALE, I contratti esclusi dall’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici, in Urb. e App., 2016, 8-9, 919. Si tratta di una elencazione tassativa e di stretta interpretazione in quanto derogatoria rispetto ai principi generali concorrenziali. Sul punto v. TAR Lazio, Roma, sez. II, 8 luglio 2009, n. 6677, in Foro amm. TAR, 2009, 7-8 , p. 2139.
00 Xxxx. Xx., Xx. Xxxx, 0 agosto 2011, n. 16, in Foro amm. CDS, 2011, 7-8, p. 2326.
contratti che vengono “nominati” dal Codice, ancorché al solo scopo di escluderli dal proprio ambito. A titolo esemplificativo, rientrano in tale categoria gli appalti segretati, i servizi di arbitrato e conciliazione, l’acquisto o la locazione di terreni e fabbricati e gli appalti di importo inferiore alla soglia euro-unitaria. I secondi, invece, sono quelli esclusi perché del tutto al di fuori dei settori di intervento delle direttive o dello stesso ordinamento comunitario, quali ad esempio gli appalti da eseguirsi al di fuori del territorio dell’Unione, quelli aggiudicati dalle imprese pubbliche per fini diversi dall’esercizio delle attività nei settori speciali e i contratti attivi.
A quanto premesso consegue che i principi dell’evidenza pubblica richiamati all’art. 4 si applicano, da un lato, solo ai soggetti che ricadono nell’ambito di applicazione del Codice appalti e delle direttive comunitarie; dall’altro lato, ai contratti “nominati ma esenti”, e non anche ai contratti del tutto “estranei”.
Come si accennava, sono estranei i contratti conclusi dalle imprese pubbliche per fini diversi dall’esercizio delle attività nei settori speciali34. Le imprese pubbliche sono soggetti di diritto privato sui quali le amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante o perché ne sono proprietarie o perché vi hanno una partecipazione finanziaria in virtù delle norme che disciplinano dette imprese (art. 3, comma 1, lett. t) del Codice). Le imprese pubbliche nell’affidamento di contratti attinenti a uno dei settori speciali sono tenute al rispetto delle disposizioni di cui al titolo VI Regimi particolari di appalto, Capo I Appalti nei settori speciali35. Diversamente, nell’affidamento di contratti che non rientrano nel core business dell’attività di impresa, le imprese pubbliche agiscono secondo le regole del diritto privato, giacché i contratti sono del tutto estranei all’ambito di applicazione del Codice36.
34 In merito si veda X. XXXXXXXX, Esenzione dal rispetto della normativa in materia di evidenza pubblica nei settori speciali e interpretazione dell'art. 121 del codice dei contratti pubblici, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2018, 3, p. 655.
35 Si tratta di quei settori che in passato erano sottratti alla concorrenza e al diritto comunitario in materia di appalti pubblici (cd. settori esclusi) e che hanno successivamente formato oggetto dell’intervento europeo volto ad assoggettarli alle regole dell’evidenza pubblica. In relazione ad essi, comunque, sono stati mantenuti connotati di specialità mediante una disciplina più flessibile che lascia maggiore libertà alle stazioni appaltanti e soprattutto meno rigorosa quanto all’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione. Sul punto si veda X. XXXXXXXXXXX, Gli appalti estranei alla luce delle recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxxxx.xx
36 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 aprile 2008, causa C-393/06, Aigner c. Fernwärme Wien GmbH, afferma che non trova applicazione in tali casi la c.d. teoria del contagio elaborata in ambito comunitario con riferimento agli organismi di diritto pubblico, per effetto della quale il regime dell'evidenza pubblica opera per tutti gli appalti indetti da tali organismi senza che rilevi la natura imprenditoriale o meno dell'attività cui l'affidamento si riferisce. A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ha specificato che l’affidamento del servizio di vigilanza da parte di un’impresa
All’applicazione di regole di diritto pubblico o privato consegue, sul piano processuale, la giurisdizione del giudice amministrativo o di quello civile. Ai sensi dell’art. 133, co. 1, lett. e), n. 1) c.p.a., l’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo sulle procedure di affidamento di contratti relativi a lavori, servizi, e forniture, è individuato sulla scorta di nozioni oggettive e soggettive, occorrendo che vi sia una procedura di affidamento di pubblici lavori, servizi o forniture, svolta da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. Se l’affidante non è tenuto al rispetto del Codice appalti – come l’impresa pubblica che affidi un appalto in un settore diverso dal core business – la giurisdizione è quindi propria del giudice ordinario. Peraltro, la giurisprudenza considera irrilevante la circostanza che nei documenti di gara il soggetto affidante si sia auto-vincolato al Codice dei contratti pubblici. Sulla scorta del tenore del citato art. 133 c.p.a., il c.d. auto-vincolo della stazione appaltante, seppur idoneo a rendere applicabili le regole sostanziali richiamate, è inidoneo a determinare spostamenti della giurisdizione37.
3. I principi applicabili nell’affidamento dei contratti esenti
Come si accennava, i contratti esenti sono sottratti dall’applicazione delle disposizioni del Codice dei Contratti Pubblici. Tuttavia, l’affidamento dei medesimi contratti soggiace a una serie di principi quali l’economicità, l’efficacia, l’imparzialità, la parità di trattamento, la trasparenza, la proporzionalità, la pubblicità, la tutela dell'ambiente e l’efficienza energetica.
Rispetto al Codice previgente, l’art. 4 ha introdotto alcune novità38.
In primo luogo, ha aggiunto il necessario rispetto dei principi di pubblicità, tutela dell’ambiente e efficienza energetica. Il riferimento alla pubblicità – principio non
pubblica operante nel settore dell’estrazione e commercializzazione di petrolio non rientra nei settori speciali, nemmeno come appalto strumentale al raggiungimento degli scopi propri dell’attività speciale (Cons. St., Ad. Plen., 1 agosto 2011, n. 16, cit.).
37In questi termini, Cons. St., Ad. Plen., 1 agosto 2011, n. 16, cit.; TAR Campania, Salerno, sez. I, 1 dicembre 2017, n. 1690.
38Sui principi applicabili nell’affidamento dei contratti esclusi, si veda M.P. CHITI, L'ambito di applicazione dell'art. 2. I principi per i contratti esclusi (art. 27 del Codice), in M. A. SANDULLI,
X. XX XXXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Trattato sui Contratti Pubblici, Milano, Xxxxxxx, 2008, I, pp. 155 ss. Per una più ampia trattazione delle differenze tra la nuova e la vecchia disciplina v.
X. XXXXXXX – L- PONZONE, I contratti esclusi, in X. XXXXXXXX E X. XXXXXXX, La nuova disciplina degli appalti pubblici, Roma, 2016, p. 9.
completamente “nuovo” alla disciplina degli appalti pubblici39 – persegue gli obiettivi dettati dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE circa l’apertura alla concorrenza e la lotta alla corruzione. L’inserimento della tutela ambientale e dell’efficienza energetica si colloca nell’ottica di perseguire lo sviluppo sostenibile attraverso il “green public procurement”40.
In secondo luogo, il Codice del 2016 ha eliminato l’obbligo in capo alle stazioni appaltanti di invitare ad offrire almeno cinque operatori economici anche nei casi di esclusione. In merito, il Consiglio di Stato in sede consultiva ha osservato che la rimozione di tale obbligo comporta «il concreto rischio di una perdita di trasparenza, concorrenza e, alla lunga, efficienza e competitività»41.
Pare opportuno sottolineare, inoltre, che la disposizione è stata modificata dal primo decreto correttivo (d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56). L’applicazione dei principi è stata estesa anche ai contratti attivi, ossia quei contratti che comportano un’entrata per la pubblica amministrazione, tuttora regolati dal X.X. 00 maggio 1924, n. 827 (Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato)42,in accoglimento dei suggerimenti della Commissione speciale del Consiglio di Stato. Nel parere del 1° aprile 2016, n. 855, infatti, la citata Commissione si era espressa nel senso che il Codice degli appalti avrebbe potuto diventare il codice dei contratti pubblici tout court, compresi quelli attivi.
Le modalità con cui è stata operata la modifica hanno destato qualche perplessità da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione che, con relazione del 21 febbraio 2018 ha
39 X. XXXXX, I contratti esclusi dall’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici, cit., afferma che il principio di pubblicità, sebbene non espressamente indicato dal D.Lgs. n. 163/2006, non si può ritenere "nuovo" nel sistema degli appalti, in quanto si poteva ritenere già vigente in virtù di quanto previsto sia dall'art. 37 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 sia dall'art. 1, comma 32, L. 6 novembre 2012, n. 190; e, in particolare, per i contratti esclusi, dal richiamo indiretto alla L. n. 241/1990 (ex art. 27, comma 2, e 2, comma 3, D.Lgs. n. 163/2006). 40L’obiettivo del legislatore europeo appare quello di fare un uso strategico degli appalti pubblici al fine di perseguire l’obiettivo della crescita sostenibile e la tutela dell’ambiente. In merito si veda la Comunicazione della Commissione, Europa 2020, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva COM 2020 del 3 marzo 2010. Sulla legittimità della legge di gara che utilizzi non solo criteri economici, ma anche ambientali per l’attribuzione di punteggio si veda Corte giust., Concordia bus Finland, 17 settembre 2002, C-513/99. In dottrina, S. BIANCAREDDU – X. XXXXX, Gli appalti verdi: la soddisfazione degli interessi ambientali attraverso le procedure di aggiudicazione dei contratti pubblici – Qualche riflessione alla luce dei recenti interventi normativi, in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
41Cons. St., comm. spec., 1 aprile 2016, n. 855.
42 Il citato regolamento disciplina la procedura per la conclusione di un contratto attivo (si pensi a un’alienazione, una concessione di beni o una locazione) che, seppur meno rigorosa di quella di cui al d.lgs. 50/2016, è volta a tutelare la concorrenza e realizzare il miglior interesse per l’erario.
richiesto un parere al Consiglio di Stato circa la portata interpretativa della disposizione. Secondo il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, il testo vigente dell’art. 4 del Codice avrebbe individuato due categorie di contratti esclusi: quella dei contratti aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture e quelli attivi. Ne conseguirebbe che i contratti passivi che non abbiano ad oggetto lavori, servizi e forniture – si faccia l’esempio del contratto con cui l’amministrazione acquisisce la disponibilità di un bene, escluso ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a) del Codice – sarebbero esenti anche dall’applicazione dei principi generali di cui all’art. 4. Con il parere del 10 maggio 2018, n. 1241 il Consiglio di Stato ha chiarito che la ratio che ha guidato il legislatore nell’inserimento dei contratti attivi nella disposizione di cui all’art. 4 non è stata certo quella di ridurre la portata applicativa del medesimo, quanto piuttosto di ampliarla. In altri termini, la citata disposizione deve intendersi nel senso che sia i contratti esclusi, rectius esenti, che quelli attivi siano soggetti ai principi ivi indicati.
Xxxxxxx soffermarsi brevemente sulle conseguenze della necessaria osservanza dei citati principi da parte delle stazioni appaltanti che affidino contratti esenti e attivi. Sul punto, sono state fornite fondamentali indicazioni, anche operative, dalla Commissione europea nella Comunicazione interpretativa 2006/C 179/0243.
In primo luogo, il principio di trasparenza comporta l’obbligo di fornire adeguata pubblicità all’appalto da aggiudicare in maniera tale che le imprese siano in grado di manifestare il proprio interesse. La Commissione specifica che la prassi di prendere contatto con un numero di potenziali offerenti non è sufficiente perché discriminatorio nei confronti di terzi. In secondo luogo, dal principio di imparzialità deriva l’obbligo di descrivere l’oggetto dell’appalto senza discriminazioni – dunque senza riferimenti a marchi o brevetti – nonché l’obbligo di prevedere termini adeguati per presentare una manifestazione di interesse o un’offerta in modo tale da poter procedere a una idonea valutazione.
Sotto la vigenza dell’abrogato d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la giurisprudenza ha avuto modo di specificare che, in applicazione del principio di imparzialità e par condicio, i documenti di gara devono specificare i criteri e sub-criteri con i relativi punteggi, in caso di aggiudicazione di un contratto escluso con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Infatti, seppur non risulta applicabile a tali contratti l’art. 83, comma 4, del
43La Comunicazione è stata commentata da X. XXXXXX, Il diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive, in Xxx. x xxx., 0000, x. 000.
Xxxxxx xxxxxxxx (xxx art. 95), la necessaria limitazione della discrezionalità della Commissione trova fondamento nell’art. 12 della l. 7 agosto 1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”, ai sensi del quale la sovvenzione di concessioni di qualunque genere è subordinata alla predeterminazione e pubblicazione da parte dell’amministrazione di criteri e modalità cui la stessa deve attenersi.
Con riguardo ai requisiti che i concorrenti alla gara volta ad affidare un contratto escluso devono possedere, la costante giurisprudenza afferma che tutti coloro che prendono parte all’esecuzione di pubblici appalti devono essere in possesso dei necessari requisiti morali. La regola costituisce attuazione dei principi di ordine pubblico economico, par condicio, imparzialità e efficacia dell’azione amministrativa. Si noti che un filone giurisprudenziale formatosi sotto la vigenza del Codice abrogato riteneva che nei pubblici contratti esclusi non sussistesse il medesimo rigore formale circa gli obblighi dichiarativi di cui all’art. 80 del D.lgs 50 del 2016, restando fermo che sostanzialmente gli operatori economici debbano essere in possesso dei requisiti di moralità44. Altra giurisprudenza, facendo salva la tesi sopra citata, ha specificato che se la stazione appaltante nei documenti di gara richiama espressamente l’obbligo di dichiarare l’insussistenza dei motivi di esclusione, allora deve esigersi anche il medesimo rigore procedurale previsto per i contratti che ricadono nell’applicazione del Codice dei contratti pubblici45.
3.1. L’applicazione dei principi di cui all’art. 4 nell’affidamento dei servizi legali I servizi legali sono genericamente compresi tra gli appalti di cui all’allegato IX del Codice dei contratti pubblici, cui si applica il regime alleggerito delle regole dell’evidenza pubblica di cui agli artt. 140 e ss.
Alcuni specifici servizi legali, invece, sono elencati all’art 17 del Codice, tra le esclusioni specifiche dall’applicazione delle disposizioni del Codice46. Si tratta, in particolare, di (i) rappresentanza legale di un cliente da parte di un avvocato in un arbitrato, in una conciliazione e in procedimenti giudiziari dinanzi a organi giurisdizionali o autorità pubbliche di uno Stato membro o Paese terzo o organi giurisdizionali o istituzioni internazionali; (ii) consulenza legale prestata in preparazione di uno dei procedimenti di
44In questo senso si vedano Autorità Nazionale Anticorruzione, delibera 9 novembre 2016, n. 1158; Cons. St., sez. V, 17 maggio 2012, n. 2825, in Foro amm. CDS, 2012, 5, p. 1254; Cons. St.,
sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3759, in Guida al diritto 2010, 29 , 97.
45 TAR Molise, sez. I, 11 aprile 2014, n. 242.
46L’art. 17 costituisce una trasposizione dell’art. 10 della direttiva 2014/24/UE.
cui al primo punto o qualora ci siauna probabilità elevata e concreta che la questione divenga oggetto del procedimento; (iii) servizi di certificazione e autenticazione di documenti che devono essere prestati da notai; (iv) servizi legali prestati da fiduciari o tutori designati o altri servizi legali i cui fornitori sono stati designati da un organo giurisdizionale dello Stato o per legge per svolgere specifici compiti sotto la vigilanza di detti organi giurisdizionali; (v) altri servizi legali connessi, anche occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.
Con linee guida n. 12 del 24 ottobre 2018, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha fornito indicazioni circa l’individuazione delle tipologie di servizi legali rientranti nell’allegato IX e quelle rientranti nell’elenco di cui all’art. 17, nonché ha suggerito le modalità di affidamento di detti servizi.
Le linee guida hanno ripreso la costante giurisprudenza secondo la quale l’affidamento di servizi legali costituisce appalto, con conseguente applicazione dell’allegato IX e degli artt. 140 e ss., qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico; diversamente, il conferimento dell’incarico ad hoc, dunque per un’esigenza puntuale ed episodica, costituisce contratto d’opera professionale (art. 2229 c.c.) e rientra tra le esclusioni di cui all’art. 1747.
Con riguardo alle modalità di affidamento dei servizi legali di cui all’art. 17 del Codice, l’ANAC prevede che rientra tra le migliori pratiche da parte delle stazioni appaltanti la costituzione di elenchi di professionisti mediante procedure aperte e trasparenti. L’elenco
47Sul punto la Corte di Giustizia UE, 6 giugno 2019, nella causa n. C-264/2018 ha chiarito che l’articolo 10, lettera d), i) e ii), della direttiva 2014/24 non esclude dall’ambito di applicazione di detta direttiva tutti i servizi che possono essere forniti da un avvocato a un’amministrazione aggiudicatrice, ma unicamente la rappresentanza legale del suo cliente nell’ambito di un procedimento dinanzi a un organo internazionale di arbitrato o di conciliazione, dinanzi ai giudici o alle autorità pubbliche di uno Stato membro o di un paese terzo e dinanzi ai giudici o alle istituzioni internazionali, nonché la consulenza legale fornita nell’ambito della preparazione o dell’eventualità di un siffatto procedimento. Si veda anche Cons. St., 3 agosto 2018, n. 2017 secondo cui nel contratto di opera professionale «la prevalenza del lavoro personale sull’organizzazione dei mezzi è ragione dell’intuitus personae che connota il contratto d’opera professionale: il cliente decide di affidarsi a quel professionista perché ne riconosce le capacità nell’esecuzione della prestazione». Tuttavia «i servizi legali, avendo riguardo alla funzione concreta perseguita dalle parti, possono essere resi anche in questo diverso contesto negoziale. Ciò si verifica quando il cliente richiede una prestazione continuativa che viene resa da uno o più professionisti organizzati che si impegnano a trattare l’intero contenzioso del cliente stesso» ed in tal caso si configura un appalto di servizi. In questo caso si tratta di un vero e proprio “servizio”, vale a dire la messa a disposizione di una struttura imprenditorialmente organizzata destinata a soddisfare i bisogni del committente di volta in volta che essi si presentano. L’oggetto della prestazione, quindi, è predeterminato quanto alla sua natura giuridica (attività legale) ma il suo contenuto non è predeterminato al momento dell’affidamento del servizio, bensì si definisce al bisogno.
dovrebbe favorire un confronto concorrenziale, essere pubblicato sul sito istituzionale e ammettere la possibilità di modifiche, integrazioni e nuove iscrizioni. Ancora, l’iscrizione dovrebbe essere consentita senza limiti temporali. La valutazione comparativa dovrebbe avvenire sulla base di criteri che tengano conto dell’esperienza maturata, della competenza e del costo del servizio. In questo modo sarebbero osservati i principi di economicità, efficacia, trasparenza, pubblicità e imparzialità di cui all’art. 4.
Riguardo all’applicazione concreta, si noti che la stessa Autorità già aveva avuto modo di osservare che, nella formazione dell’elenco, la previsione di un numero massimo di iscrizioni, insieme a un termine estremamente limitato per iscriversi (sessanta giorni) e alla durata triennale dell’iscrizione hanno un indubbio effetto restrittivo della concorrenza, giacché comprimono la contendibilità del servizio da parte dei soggetti potenzialmente interessati48.
Anche in giurisprudenza, già prima delle citate linee guida ANAC si riteneva che la selezione dell’affidatario di un servizio legale di cui all’art. 17 dovesse avvenire tramite una selezione da un elenco cui attingere i soggetti da invitare sulla base della specifica competenza in maniera tale da salvaguardare i principi della rotazione e della pubblicità49. Da ultimo, è stato ritenuto50 che nell’ipotesi in cui la stazione appaltante decida di operare un unico affidamento sia per il contenzioso sia per l’attività stragiudiziale, deve rispettare le disposizioni del Codice dei contratti pubblici. In tali ipotesi, infatti, non è necessario valutare se risulti prevalente l’attività giudiziale o quella stragiudiziale, perché la libera scelta della stazione appaltante attrae l’intera procedura all’osservanza delle disposizioni del Codice. Ne consegue che è illegittima l’applicazione del criterio del minor prezzo, atteso che non è compatibile con le disposizioni di cui all’art. 95 del Codice, non essendo l’attività legale riconducibile a prestazioni ripetitive ovvero standardizzate.
48Nella delibera dell’Autorità Nazionale Anticorruzione n. 1158 del 9 novembre 2016 si osserva che «l’iscrizione dei soggetti interessati provvisti dei requisiti richiesti dovrebbe essere consentita senza limitazioni temporali (…). Qualora le difficoltà gestionali paventate dall’istante legate al rilevante numero di domande che verosimilmente potrebbero essere ricevute si rivelassero non superabili attraverso l’adozione di opportune misure organizzative, l’effetto restrittivo derivante dalla limitazione temporale della presentazione delle istanze dovrebbe essere contemperato dalla riduzione del termine di validità dell’iscrizione (…). Quanto alla limitazione del numero dei soggetti che possono iscriversi a ciascuna sezione dell’Elenco, si tratta di una misura tendenzialmente contraria all’interesse dell’amministrazione che dovrebbe, in linea di principio, tendere a poter disporre della platea più ampia possibile di soggetti qualificati tra cui selezionare, in questo caso sulla base del criterio di rotazione, gli affidatari del servizio».
49Si veda Corte dei Conti, sez. reg. per l’Xxxxxx Xxxxxxx, 26 aprile 2017, n. 75.
50 Sul punto TAR Puglia, Lecce, sez. II, 31 maggio 2017, n. 875, in Guida al diritto, 2017, 8 , p. 28.
4. Contratti a titolo gratuito: sono estranei?
Il Codice dei contratti pubblici non fa espressa menzione dei contratti a titolo gratuito, né per assoggettarli alle disposizioni ivi contenute, né per prevederne una specifica esenzione.
Ci si è chiesti, dunque, se nell’affidamento di un contratto a titolo gratuito le stazioni appaltanti siano o meno soggette alle regole dell’evidenza pubblica.
È opportuno partire dalla definizione che l’art. 3, lett. ii) del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, reca circa gli appalti pubblici: si tratta di contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi51.
Com’è noto, la nozione pubblicistica di appalto è ben più ampia di quella privatistica, tuttavia in entrambi i casi l’appalto si caratterizza per la sua onerosità. L’art. 1655 c.c. specifica che il corrispettivo all’esecuzione dell’opera o del servizio deve essere in denaro. L’art. 3 del Codice dei contratti pubblici, invece, non detta indicazioni circa la natura del corrispettivo.
La giurisprudenza ha abbracciato una nozione ampia dell’espressione “a titolo oneroso” di cui all’art. 3, alla luce delle regole e degli obiettivi euro-unitari: la caratterizzazione di “onerosità” sembra muovere dal presupposto che il prezzo, corrispettivo dell’appalto, costituisca un elemento strumentale e indefettibile per la serietà dell’offerta e l’inerente affidabilità dell’offerente nell’esecuzione della prestazione contrattuale. Al fondamento pare esservi il concetto che un potenziale contraente che si proponga a titolo gratuito, dunque senza curare il proprio interesse economico nell’affare, celi inevitabilmente un cattivo e sospettabile contraente per una pubblica Amministrazione. L’onerosità quindi promuove la formazione di un mercato concorrenziale e garantisce l’efficienza del mercato. In una tale prospettiva, deve ritenersi che la necessaria garanzia di serietà dell’offerta e di affidabilità dell’offerente possa essere ragionevolmente assicurata da altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari, potenzialmente derivanti dal contratto. La conseguenza di una tale considerazione è la preferenza, nell’ordinamento dei contratti pubblici, per un’accezione ampia e particolare (rispetto al diritto comune) dell’espressione “contratti a titolo oneroso”, tale da dare spazio all’ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente
51 Nello stesso senso la direttiva 2014/24/UE all’art. 2 (definizioni), comma 1, n. 5.
possa figurare di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante52. Resta dunque anche per i contratti a titolo gratuito in senso finanziario (ma non economico) l’esigenza di garantire la par condicio dei potenziali contraenti, che va assicurata osservando le regole di cui al d.lgs. n. 50 del 2016.
Questa interpretazione della nozione di onerosità ha portato ad affermare la legittimità di un bando di gara per l’affidamento, a titolo gratuito, dell’incarico per la redazione di un piano strutturale e relativo regolamento urbanistico. Nella sentenza del 3 ottobre 2017, n. 4614, la quinta sezione del Consiglio di Stato ha rilevato che «l’effetto, indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore, come conseguenza della comunicazione al pubblico dell’esecuzione della prestazione professionale, appare costituire, nella struttura e nella funzione concreta del contratto pubblico, di cui qui si verte, una controprestazione contrattuale (…). Non vi è dunque estraneità sostanziale alla logica concorrenziale che presidia, per la ricordata matrice eurounitaria, il Codice degli appalti pubblici quando si bandisce una gara in cui l’utilità economica del potenziale contraente non è finanziaria ma è insita tutta nel fatto stesso di poter eseguire la prestazione contrattuale»53.
Sulla stessa scia, è d’interesse una recente pronuncia del TAR Calabria54 circa la previsione di un prezzo a base d’asta irrisorio e del tutto fuori mercato, tale da non consentire la presentazione di offerte congrue (prezzo a base d’asta per la fornitura triennale di 6000 litri di latte pari a € 120,00, ossia 0,02 centesimi al litro). Il Collegio ha annullato il bando giacché l’abnorme base d’asta fissata violava il principio della concorrenza effettiva fissato dall’art. 95, comma 1, del Codice degli appalti, incoraggiando il singolo partecipante a formulare non l’offerta migliore ma quella meno seria. Riguardo alla categoria degli appalti a titolo gratuito, il TAR ha riaffermato la legittimità dei bandi laddove alla previsione di un prezzo “simbolico” o addirittura
52 In merito la Corte di Giustizia nella sentenza 12 luglio 2001, C-399/98, Racc., 2001, I, 5409 ha ritenuto riconducibili alla disciplina dei contratti pubblici il rapporto tra un’amministrazione e un soggetto che svolge opere di urbanizzazione senza percepire un corrispettivo, ma beneficiando da parte dell’amministrazione di un provvedimento di esenzione o riduzione degli oneri di urbanizzazione.
53 Cons. St., sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614, in Foro Amministrativo (Il), 2017, 10, p. 2001, commentata da X. XXXXXXXX, Prestazioni gratuite e compensi virtuali. Criticità fiscali a margine di una sentenza del Consiglio di Stato, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, 1, 2018, p. 9.
54Tar Calabria, Reggio Calabria, 16 luglio 0000, x. 000, xx Xxxx Xxxxxxxxxxxxxx (Xx), 0000, 7-8,
p. 1366.
“nullo” possa effettivamente corrispondere un’utilità economica (ad esempio il ritorno di immagine) diversa da quella meramente finanziaria; per quanto concerne gli appalti di forniture il Collegio ha specificato che l’eventuale gratuità della causa può essere ugualmente dedotta e valorizzata dalle Amministrazioni aggiudicatrici solo qualora venga ricondotta ai “tipi” contrattuali espressamente previsti dall’ordinamento (es. contratto di sponsorizzazione ex art.19 D.lgs. n. 50 del 201655) e ciò proprio al fine di scongiurare scelte non del tutto trasparenti che finiscano per tramutare affidamenti formalmente onerosi in affidamenti sostanzialmente gratuiti e quindi sine causa56.
In forza dell’autonomia negoziale generalmente riconosciuta alla pubblica amministrazione57, gli enti pubblici hanno la facoltà di stipulare contratti a titolo gratuito diversi dagli appalti e dalle concessioni di lavori, servizi e forniture. A titolo esemplificativo, le persone giuridiche pubbliche possono concludere contratti di donazione e comodato. È evidente si tratti di tipi contrattuali diversi e, pertanto, estranei all’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici. La conclusione e l’esecuzione di tali contratti è soggetta alle disposizioni del codice civile, fermo restando che l’attività anche privatistica dell’ente pubblico risulta sempre vincolata al rispetto dei fini pubblici e, dunque, funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico58. Quanto differenzia la donazione e il comodato dall’appalto pubblico è la presenza dello spirito di liberalità. In altri termini, la causa di tali negozi è costituita dal compimento di un’attribuzione patrimoniale gratuita (arricchimento del donatario/comodatario) qualificata soggettivamente dalla consapevolezza dal donante/comodante che la medesima è operata in assenza di qualsiasi dovere giuridico59. A differenza dell’appalto in cui il corrispettivo
55Sulla sponsorizzazione si veda R. CAVALLO PERIN - X. XXXXX, Caratteri ed elementi essenziali nelle sponsorizzazioni con le pubbliche amministrazioni, in Diritto Amministrativo, fasc.4, 2013,
p. 583; X. XXXX ZENCOVICH – X. XXXXXXX, Pubblicità e sponsorizzazione, Padova, 1991. 56 Xxxxx non riconducibilità dell’appalto pubblico di servizi gratuito ad uno dei tipi contrattuali si era già espresso il medesimo TAR con la sentenza della sez. I, 13 dicembre 2016, n. 2435. Nella pronuncia si afferma che l’appalto di servizi gratuito non può essere configurato facendo leva sulla generale capacità dell’amministrazione di stipulare contratti atipici ex art. 1322 c.c., la quale deve essere comunque esercitata compatibilmente con la realizzazione degli interessi pubblici, ostandovi, da un lato, la natura speciale e vincolante della disciplina pubblicistica dei contratti di appalto; dall’altro, la considerazione che – proprio alla luce dei principi di imparzialità, tutela della concorrenza ed economicità dell’azione amministrativa cui risponde il requisito della onerosità del contratto di appalto di servizi – il contratto di appalto pubblico di servizi atipico perché gratuito non supererebbe comunque il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 comma 2 c.c. 57L’art. 1, comma 1-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto con l. 15 del 2005, dispone che
«La pubblica amministrazione, nell’adozione degli atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».
58F.CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2016, p. 1581.
59 X. XXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, Manuale di diritto civile, Roma, 2016, p. 537.
è pari a zero, nella donazione e nel comodato a favore della pubblica amministrazione non solo manca un interesse finanziario in capo al donante/comodante, ma manca altresì un qualsiasi interesse di natura economica (come il ritorno di immagine)60.
5. Conclusioni
Da quanto premesso è emerso che il legislatore euro-unitario nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE e il legislatore nazionale nel d.lgs.18 aprile 2016, n. 50 hanno dettato disposizioni in materia di affidamento dei contratti pubblici al fine di garantire il rispetto dei principi di concorrenza, libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento e libera circolazione dei servizi. Gli stessi hanno altresì definito specifiche e tassative esenzioni, laddove il principio di tutela della concorrenza è recessivo rispetto ad altri di maggiore interesse.
Appare tuttavia che, laddove possibile, la giurisprudenza nell’attività interpretativa tenda ad estendere le maglie dell’evidenza pubblica.
Per un verso, il legislatore prevede che nell’affidamento dei contratti cd. esenti e attivi, le pubbliche amministrazioni, pur non dovendo osservare le disposizioni del Codice, siano soggette ai principi dello stesso e, dunque, a un’evidenza pubblica cd. attenuata. Come si è visto, nell’applicazione pratica, la giurisprudenza concretizza l’osservanza dei principi in regole specifiche quali l’obbligo di fornire adeguata pubblicità all’intenzione di contrarre, l’obbligo di prevedere e esplicitare a monte i criteri e sub-criteri di valutazione delle offerte, la necessaria presenza in capo al contraente privato dei requisiti di moralità etc.
Per altro verso, la giurisprudenza interpreta in senso ampio la nozione di appalto come contratto a titolo oneroso, in maniera tale da ricomprendervi anche i casi in cui il lavoro, il servizio o la fornitura siano resi in assenza di corrispettivo pecuniario, purché sussista un interesse economico in capo al soggetto privato.
In definitiva, il fine del legislatore, che guida l’attività ermeneutica della giurisprudenza, è quello di garantire l’efficienza di mercato attraverso la tutela della concorrenza e la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. Per tale ragione, le regole – o
60 Si noti che lo spirito di liberalità è compatibile con la previsione di una prestazione a carico del donatario/comodatario a titolo di onere o modus (v. specificamente l’art. 793 c.c. sulla donazione modale). Sulla necessità che l’onere sia modesto e tale da non snaturare il rapporto tra le parti si veda MORA, Il comodato modale, Milano, 2001, p. 107. In tali casi, può apparire più complessa la qualificazione giuridica del negozio e la conseguente decisione sulla necessità di applicare le regole dell’evidenza pubblica, ove una delle parti sia una pubblica amministrazione.
quantomeno i principi dell’evidenza pubblica – si applicano ogniqualvolta sia presente il rischio di alterare gli equilibri concorrenziali tra gli operatori economici.
Le decisioni della Corte di Giustizia sulle soglie-limite al subappalto (cause C-63/18 e C-402/18): quali effetti sulle stazioni appaltanti?
di Xxxxxx Xxx Xxxxxxx
Sommario: 1. Premessa. 2. La normativa italiana sul subappalto. 3. La normativa europea e la messa in mora complementare (proc. 2018_2273). 4. La sentenza CGUE Vitali sul nuovo Codice 5. La sentenza CGUE Xxxxxxxx sul vecchio Codice 6. Gli effetti delle sentenze pregiudiziali della CGUE. 7. Il futuro del subappalto in Italia: la segnalazione ANAC e l’(assenza di) proposte di legge.
1. Premessa
Il 26 settembre 2019 la Corte di Giustizia dell’Unione europea (d’ora in poi CGUE) ha deciso sul rinvio pregiudiziale (interpretativo) proposto dal Tar Lombardia nella causa Vitali S.p.A. c. Autostrade per l’Italia S.p.A. (C-63/18). Poco più di due mesi dopo si è espressa di nuovo sul sistema del subappalto in Italia, pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato nella controversia Tedeschi Srl e Consorzio Stabile Istant Service c. C.M. Service Srl e Università degli Studi di Roma La Sapienza (C-402/18) con riferimento allo stesso istituto del subappalto contenuto nel Codice previgente (d.lgs. 163/2006).
Entrambe le pronunce colpiscono la regolamentazione interna del subappalto, appuntandosi tanto sul “nuovo” Codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 50/2016) quanto
sulla normativa precedente (d. lgs. n. 163 del 2006) e dichiarando non compatibile con il diritto europeo la soglia-limite generale al subappalto ivi contenuta.
Si tratta di decisioni destinate ad avere un forte impatto sulla materia degli appalti in Italia (specialmente quelli che superino la soglia di rilevanza europea), per questo meritano un esame approfondito anche al fine di delinearne gli effetti sulle procedure di gara in corso di indizione, nell’attesa di un auspicato intervento normativo.
2. La normativa italiana sul subappalto
Nell’ordinamento italiano la limitazione quantitativa al subappalto è presente sin dagli anni ’90 ed è stata confermata (con qualche piccola variazione percentuale) fino ai più recenti interventi legislativi in materia di appalti (D.L. n. 32 del 2019 convertito con modificazioni dalla L. n. 55 del 2019, c.d. sblocca-cantieri)61.
I limiti al subappalto, infatti, sono per la prima volta introdotti con l’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55 recante “Disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”, così lasciando trasparire – sin da allora – la stretta correlazione tra limitazioni del subappalto e lotta alle infiltrazioni criminali62. Tale norma è confluita successivamente nell’art. 34 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, poi nell’art. 118 del previgente codice dei contratti pubblici
61 Per un approfondimento sul tema del subappalto e sulla evoluzione normativa in Italia si v. X. XXXXXXX, La riforma del subappalto e principio di concorrenza, in Urbanistica e appalti, 2017, 5, pp. 621 ss.; G.A. XXXXXXX, Il subappalto dei contratti pubblici tra autonomia imprenditoriale e limiti di interesse pubblico, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, fasc.1, 1 febbraio 2018, pp. 85 ss.; G. A. XXXXXXX e X. XXXXXXXXXX (a cura di), Contratti pubblici: cosa cambia?: il subappalto, i gravi illeciti professionali, gli affidamenti sottosoglia, la progettazione, l'anomalia delle offerte e gli oneri di sicurezza, il rito speciale e l'abrogazione del rito "super-speciale", l'abrogazione delle linee guida ANAC e il nuovo regolamento, Milano, 2019.
62 Come sottolineato dalla Corte costituzionale, infatti, «le finalità che con la citata legge si sono intese perseguire sono la salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche: ciò allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza, che coinvolge interessi ed esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo, con la conseguenza dell'esistenza nella specie dei requisiti che legittimano l’intervento legislativo dello Stato anche quando incida su materie in linea di principio di competenza regionale o provinciale». (Corte cost. 5 maggio 1993, n. 218, § 2).
(decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) e, infine, nell’art. 105 del vigente Codice (d. lgs. n. 50/2016).
L’art. 118, comma 2, del Codice previgente recitava «(…) Tutte le prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi categoria appartengano, sono subappaltabili e affidabili in cottimo. Per i lavori, per quanto riguarda la categoria prevalente, con il regolamento, è definita la quota parte subappaltabile, in misura eventualmente diversificata a seconda delle categorie medesime, ma in ogni caso non superiore al trenta per cento. Per i servizi e le forniture, tale quota è riferita all’importo complessivo del contratto».
Similmente, il comma 2 dell’art. 105 del Codice vigente prevede che «Il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. (…) Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture».
Il limite quantitativo del 30% è stato innalzato al 40% dal decreto legge 18 aprile 2019,
n. 32 (c.d. sblocca-cantieri), in sede di conversione con la legge 14 giugno 2019, n. 55.
Lo stesso decreto “sblocca-cantieri” ha poi inciso su un’altra previsione dell’art. 105, ovvero il comma 6, disponendo la sospensione fino al 31 dicembre 2020 dell’obbligo di indicare la terna dei subappaltatori per gli appalti di importo superiore alle soglie di cui all’art. 3563.
63 Con riferimento a questi interventi normativi l’Anac si è espressa sottolineando che “L’innalzamento della quota di affidamento subappaltabile (dal 30% al 50%) e la completa eliminazione della verifica dei requisiti del subappaltatore in gara non rispondono alle osservazioni avanzate in sede di procedura di infrazione. L’assenza di limite al subappalto viene a livello europeo strettamente correlata alla necessità che i documenti dell’appalto impongano ai concorrenti di indicare nelle offerte l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti, di modo che l’amministrazione sia posta in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario. Per contro, le modifiche introdotte dal d.l. 32/2019 in esame tendono parallelamente sia a ridurre i limiti per il subappalto sia a posticipare ad una fase successiva all’aggiudicazione e direttamente afferente all’esecuzione ogni verifica che possa riguardare i subappaltatori ed anche l’individuazione degli stessi. Ciò potrebbe altresì aggravare talune criticità esistenti (infiltrazioni criminali, violazione delle norme a tutela del lavoro, scarso controllo sull’effettivo esecutore dell’affidamento) che le disposizioni modificate dal d.l. 32/2019 miravano a contenere, tenuto anche conto che il limite del 50% risulta essere virtuale per i lavori, in relazione al combinato disposto con l’art. 1, comma 2, D.M. n. 248 del 10.11.2016 (ancora in vigore anche ai sensi del nuovo art. 216 comma 27 octies del Codice)” (cfr. ANAC, L’Autorità, nella prospettiva di un’eventuale Segnalazione a Governo e Parlamento sulle possibili criticità contenute nel D.L. 32/19, ha istituito un Gruppo di Lavoro formato da dirigenti e funzionari, a cui ha richiesto di effettuare un primo approfondimento sulle principali
Entrambi i Codici, poi, hanno previsto che «L’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento (…)»64.
3. La normativa europea e la messa in mora complementare (proc. 2018_2273)
L’art. 71 della direttiva 2014/24 non prevede, invece, alcuna soglia-limite per il subappalto. Al contrario, il Considerando 78 della direttiva e la giurisprudenza costante della CGUE affermano che è interesse dell’UE al bando sia assicurata la concorrenza più ampia possibile.
Allo stesso tempo, però, il Considerando 41 della medesima direttiva stabilisce che «(…) Nessuna disposizione della presente direttiva dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie alla tutela dell’ordine, della moralità e della sicurezza pubblici, della salute, della vita umana e animale o alla preservazione dei vegetali o altre misure ambientali in particolare nell’ottica dello sviluppo sostenibile, a condizione che dette misure siano conformi al TFUE».
È sulla scorta di questi principi, che il Consiglio di Stato in sede consultiva espresse parere favorevole sulla possibilità per il legislatore nazionale di porre, in tema di subappalto, norme di maggior rigore rispetto alle direttive europee, se motivate da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro, e pertanto non tali da rappresentare un ingiustificato goldplating (all’art. 36 TFUE) 65.
Ancor prima delle sentenze della CGUE che si analizzeranno a breve, per la verità, una prima critica al sistema di limitazioni del subappalto in Italia era emersa dalla messa in mora della Commissione europea.
novità introdotte dal già citato decreto. Il documento è pubblicato a meri fini conoscitivi, 17 maggio 2019, p. 19).
64 Così art. 118, comma 4 d. lgs. 163/2006 e art. 105, comma 14, d.lgs. 50/2016.
65 Consiglio di Stato, Parere n. 855/2016 reso sullo schema di Codice dei contratti pubblici (poi d.lgs. n. 50/2016).
Nella lettera di messa in mora ex art. 258 TFUE pubblicata il 24 gennaio 201966, infatti, la Commissione appuntava i maggiori rilievi critici proprio sulla disciplina italiana del subappalto67. In particolare, si affermava che: «nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un (…) limite obbligatorio all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto. Conformemente a tale approccio, l’articolo 63, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE consente alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il diritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere. La stessa impostazione si ritrova nell’articolo 79, paragrafo 3, della direttiva 2014/25/UE (e nel considerando 87 di tale direttiva)»68.
Nel novembre 2019, a seguito degli interventi normativi che hanno inciso su alcuni profili rilevati dalla Commissione (si v. ad esempio le norme riguardanti il calcolo del valore stimato degli appalti contenute nell’articolo 35, comma 9, lettera a), e comma 10, lettera
a) CCP modificato dal c.d. sblocca cantieri) e delle sentenze pregiudiziali della CGUE di cui si dirà appresso, la Commissione ha proposto una c.d. messa in mora complementare (MMC) ai sensi dell’art. 258 TFUE – il cui testo è ancora riservato – così evitando di procedere con parere motivato (il quale costituisce lo step successivo e obbliga lo Stato membro ad adeguarsi entro un certo termine al fine di scongiurare l’attivazione della fase contenziosa).
Presumibilmente nella MMC la Commissione avrà espunto le contestazioni che possono considerarsi risolte alla luce dei recenti interventi normativi e precisato le questioni riguardanti il subappalto in vista (o alla luce) delle pronunce della CGUE.
66 Cfr. Lettera di costituzione in mora disponibile su xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xx/xx- content/uploads/2019/02/mora.pdf. Per approfondimenti si v. anche la scheda informativa della Commissione pubblicata il 24 gennaio 2019, disponibile su xxxx://xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxx- release_MEMO-19-462_it.htm. Sulla stessa si v. il contributo di I. DEL VECCHIO, Il codice degli appalti non è conforme alla normativa europea in materia di appalti: la Commissione mette in mora l’Italia, in Osservatorio normativo e giurisprudenziale del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica - Rassegna di diritto dei contratti pubblici, 1, 2019, p. 228 ss.
67 X. XXXXXX, Codice dei Contratti Pubblici: la lettera di messa in mora della Commissione UE e la replica del Legislatore, in Urbanistica e appalti, 2019, 4, 471 ss.
68 COMMISSIONE EUROPEA, Lettera di costituzione in mora – Infrazione n. 2018/2273, C(2019) 452 final, p. 12.
4. La sentenza CGUE Vitali sul nuovo Codice (C-63/18)
La prima sentenza prende le mosse dal rinvio pregiudiziale proposto dal Tar Lombardia (ord. 19 gennaio 2018, n. 148)69. La controversia pendente dinnanzi al giudice amministrativo traeva origine da una gara di appalto di lavori bandita da Autostrade per l’Italia dalla quale l’operatore economico Vitali S.p.A. era stato escluso in quanto nella sua offerta era previsto il ricorso al subappalto in misura superiore al 30%, previsto dall’art. 105, comma 2, Codice dei contratti pubblici (CCP).
La ditta esclusa proponeva ricorso avverso il provvedimento di esclusione e il giudice adito si rivolgeva alla CGUE per valutare la compatibilità del limite quantitativo previsto dalla normativa nazionale con la normativa europea.
In particolare, si chiedeva alla CGUE di valutare la compatibilità dell’art. 105, comma 2, CCP con gli artt. 49 e 56 TFUE, con l’art. 71 della direttiva 2014/24 e con il principio di proporzionalità.
La CGUE, nella sentenza resa all’esito del giudizio, formula il seguente principio di diritto: «la direttiva 2014/24 dev’essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi»70.
Secondo la CGUE, infatti, l’art. 71 della Direttiva prevede la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di chiedere o di essere obbligata dallo Stato membro a chiedere all’offerente di informarla sulle intenzioni di quest’ultimo in materia di subappalto e a verificare se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori a norma dell’art. 57 della Direttiva stessa che fa riferimento, in particolare, alla partecipazione a un’organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode. Questo – insieme con la valutazione casistica dell’opportunità di limitare il subappalto – costituirebbe una misura
69 Sul rinvio pregiudiziale del Tar Lombardia e su quello del Consiglio di Stato (su cui v. infra par. 5) si v. F. LAUS, Il ricorso al subappalto, in Giornale Dir. Amm., 2018, 6, pp. 716 ss.
70 Cfr. CGUE, sentenza 26 settembre 2019, Autostrade per l’Italia S.p.A. x. Xxxxxx S.p.A., C-63/18,
§ 45.
idonea e proporzionata per salvaguardare ad un sol tempo la concorrenza da un lato e le contrapposte ragioni di sostenibilità sociale e di ordine e sicurezza pubblici.
5. La sentenza CGUE Xxxxxxxx sul vecchio Codice (C-402/18)
In maniera del tutto simile la CGUE si è espressa sul rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato (sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3553).
La controversia ineriva alla gara indetta dell'Università di Roma La Sapienza per l'affidamento di un appalto pubblico di servizi di pulizia. All’esito della procedura concorsuale risultava aggiudicatario un raggruppamento di imprese la cui offerta comprendeva l’affidamento in subappalto di prestazioni per una quota superiore al 30% dell’importo complessivo e la remunerazione corrisposta alle imprese subappaltatrici presentava un ribasso superiore al 20% rispetto ai prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione. L’impresa classificatasi seconda in graduatoria chiedeva l’annullamento dell’aggiudicazione proponendo ricorso al TAR Lazio e il Tribunale accoglieva il ricorso.
L’impresa aggiudicataria proponeva, poi, appello al Consiglio di Stato a cui si aggiungeva l’'appello incidentale proposto dalla seconda classificata. In particolare l’aggiudicataria osservava che i limiti quantitativi previsti dal diritto interno in materia di subappalto si pongono in contrasto con la direttiva 2004/18 e con l’obiettivo di apertura alla concorrenza.
Così il Consiglio di Stato disponeva un rinvio pregiudiziale ponendo alla CGUE il seguente quesito: «Se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 [TFUE], gli [articoli] 25 della [direttiva 2004/18] e 71 della [direttiva 2014/24], che non contemplano limitazioni per quanto concerne la quota subappaltatrice ed il ribasso da applicare ai subappaltatori, nonché il principio [di diritto dell'Unione europea] di proporzionalità, ostino all'applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell'art.118 commi 2 e 4 del decreto legislativo [n. 163/2006], secondo la quale il subappalto non può superare la quota del [30%] dell'importo complessivo del contratto e l'affidatario deve
praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con un ribasso non superiore al [20%]”.
Il giudice del rinvio specificava, però, che – come si è visto – in occasione dei pareri consultivi resi per la promulgazione del nuovo Codice, che l'obiettivo di assicurare l’integrità degli appalti pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità poteva giustificare l’istituzione di una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
Nella sentenza del 27 novembre 2019 (C-402/18) la CGUE afferma che la direttiva 2004/18 deve essere interpretata nel senso che essa: osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi e osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall'aggiudicazione.
Sotto il primo profilo la CGUE rileva che «la portata di una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che impone un limite al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità degli eventuali subappaltatori e il carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe (…) risulta incompatibile con la direttiva 2004/18”71.
Con riferimento alla seconda questione, ovvero al limite imposto al ribasso effettuato all’aggiudicatari dalla ditta subappaltatrice, la Corte ritiene che «la mera circostanza che un offerente sia in grado di limitare i propri costi in ragione dei prezzi che egli negozia con i subappaltatori non è di per sé tale da violare il principio della parità di trattamento, ma contribuisce piuttosto a una concorrenza rafforzata e quindi all’obiettivo perseguito dalle direttive adottate in materia di appalti pubblici”72.
Tale tendenza della giurisprudenza della CGUE trova avallo anche in pronunce che si riferiscono ad altri ordinamenti nazionali. Nella sentenza Wtoclaw-Miasto 14 luglio 2016, punto 35: incompatibile con direttiva 2004/18 una norma di un capitolato che imponga
71 Cfr. CGUE, sentenza 27 novembre 2019, C-402/18, §38.
72 Cfr. CGUE, sentenza 27 novembre 2019, C-402/18, §74.
limitazioni al ricorso ai subappaltatori per una percentuale astrattamente fissata dell’appalto senza menzionare alcun carattere essenziale degli incarichi di cui si tratta e a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità degli appaltatori.
6. Gli effetti delle sentenze pregiudiziali della CGUE
Ora, è chiaro che le due pronunce pregiudiziali appena esaminate, sebbene non siano mancate letture critiche73, pongono le stazioni appaltanti italiana dinnanzi al difficile compito di gestire una normativa interna ormai dichiarata non compatibile con la normativa europea (perlomeno con riferimento alle procedure di gara europea). Per questo si deve cercare di dare risposta al quesito su quale siano gli effetti da riconoscere alle sentenze pregiudiziali interpretative della CGUE.
Secondo una lettura ormai diffusa in dottrina «non si potrebbe propriamente parlare di efficacia erga omnes delle sentenze interpretative della Corte di giustizia”, ma «in via di fatto esse producono effetti analoghi a quelli erga omnes: nel senso che, in relazione diretta rispetto al grado di consolidamento della giurisprudenza, il giudice nazionale finisc[e] con l’essere vincolato dagli orientamenti della Corte di giustizia, a meno di non voler proporre un rinvio e causare, quindi, un mutamento di giurisprudenza”74.
Nel caso di proposizione alla CGUE di una questione “manifestamente identica” o non vi siano “dubbi ragionevoli” la Corte in base all’art. 104, par. 3, reg. proc., può procedere con un procedimento semplificato75.
73 Cfr. D. PONTE, Illegittimo il limite del 30% nei subappalti pubblici: per i giudici UE c’è contrasto con il principio della concorrenza, in Guida al diritto, 49, 19 ottobre 2019, pp. 100-105 il quale parla di “nettezza della chiusura”.
74 X. XXXXXXXXXX, Il diritto dell’integrazione europea. L’ordinamento dell’Unione, Torino, 2017, pp. 224-228.
75 La CGUE, previo contraddittorio, e dopo aver informato il giudice del rinvio, potrà infatti “statuire con ordinanza motivata contenente riferimento alla precedente sentenza o alla giurisprudenza pertinente”. Sul punto v. X. XXXXXXX, Diritto processuale dell’Unione Europea, Milano 2015, p. 431.
La giurisprudenza costituzionale76 e di legittimità77, poi, hanno riconosciuto una sostanziale efficacia erga omnes alle sentenze pregiudiziali, consentendone la prevalenza (in termini di disapplicazione) sul diritto nazionale incompatibile. In passato, per la verità, anche la c.d. legge europea riconosceva espressamente valore vincolante alle sentenze della CGUE78, la l. n. 234 del 2012, però, ha deciso di non riproporre la stessa norma istituendo, d’altra parte, un meccanismo di adeguamento più flessibile e un sistema di informazione costante del Parlamento79.
Le sentenze interpretative, dunque, contengono un principio di diritto efficace non solo nei confronti del giudice rimettente (effetti endoprocessuali) ma anche al di fuori del processo a quo (effetti extraprocessuali).
Dal punto di vista temporale, le sentenze interpretative della CGUE dispiegano la loro efficacia ex tunc. La CGUE, infatti, chiarisce il significato della norma per come doveva essere intesa anche prima della questione e della sentenza cosicché la norma dell’UE oggetto della questione pregiudiziale dovrà essere letta secondo l’interpretazione offerta dalla CGUE sin dal momento della sua entrata in vigore80.
76 Cfr. Corte cost. pronunce nn. 113 del 1985 e 389 del 1989, § 3 dove si afferma: “Poiché ai sensi dell’art. 164 del Trattato spetta alla Corte di giustizia assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del medesimo Trattato, se ne deve dedurre che qualsiasi sentenza che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritaria mente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative. Quando questo principio viene riferito a una norma comunitaria avente effetti diretti -vale a dire a una norma dalla quale i soggetti operanti all’interno degli ordinamenti degli Stati membri possono trarre situazioni giuridiche direttamente tutelabili in giudizio- non v’é dubbio che la precisazione o l’integrazione del significato normativo compiute attraverso una sentenza dichiarativa della Corte di giustizia abbiano la stessa immediata efficacia delle disposizioni interpretate”. La stessa impostazione, anche con riferimento a controversi rese tra cittadini stranieri, è confermata dalla sent. n. 255 del 1999.
77 Corte di Cassazione, sentt. 28.3.1997, n. 2787 e 3.10.1997, n. 9653.
78 Cfr. l’art. 1, comma 2, lett. b) della legge 4 febbraio 2005, n. 11, oggi abrogata, includeva tra gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea “l’accertamento giurisdizionale, con sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell’ordinamento giuridico nazionale con le disposizioni dell’ordinamento comunitario”. Sul punto v. X. XXXXXX, Il problema dell’effettività del diritto comunitario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 3, 2009, p. 887
79 Cfr. art. 14 L. n. 234 del 2012 rubricato “Informazione al Parlamento su procedure giurisdizionali e di pre-contenzioso riguardanti l’Italia”.
80 Cfr. CGUE, sentenza Denkavit, 27 marzo 1980, causa 61/79, § 16 dove si afferma che l’interpretazione di una norma UE data dalla CGUE ex art. 267 TFUE opera ex tunc, in quanto “chiarisce a precisa, quando ve ne sia bisogno, il significato e la portata della norma, quale deve, o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne risulta
Posta tale regola, che non subisce eccezioni con riferimento agli effetti endoprocessuali, la giurisprudenza della CGUE ha sviluppato, attraverso un’applicazione analogica dell’art. 264 TUE, la possibilità di modulare l’efficacia nel tempo e di temperare la regola dell’efficacia retroattiva al sussistere di determinate condizioni tra le quali il principio del legittimo affidamento, la portata “innovativa” della sentenza pregiudiziale, le ripercussioni finanziarie interne e la tutela dei rapporti giuridici costituiti in buona fede. In questi casi, «l’interpretazione della Corte potrebbe esplicare i suoi effetti relativamente a quanti avessero già azionato la propria pretesa in giudizio anteriormente alla pronuncia pregiudiziale”81.
Infine, con particolare riferimento agli effetti extraprocessuali si deve considerare che da una sentenza della CGUE deriva un obbligo per lo Stato membro di prendere tutte le misure necessarie a conformare il proprio ordinamento alla norma enucleata dalla Corte82 dal momento che la funzione dello strumento previsto dall’art. 267 TFUE è proprio quella di assicurare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione.
Il primo destinatario è senz’altro il legislatore, chiamato a intervenire per modificare la normativa nazionale non conforme, poi vi sono i giudici ma anche tutte gli apparati dello Stato devono porre in essere comportamenti “conformativi”. Sul punto è celebre il passaggio della sentenza Xxxxxxxx Xxxxxxxx, in cui si afferma che «[i]l motivo per cui i singoli possono far valere le disposizioni di una direttiva dinanzi ai giudici nazionali … è che gli obblighi derivanti da tali disposizioni valgono per tutte le autorità degli Stati membri … Sarebbe peraltro contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva aventi i requisiti sopramenzionati, allo scopo di far censurare l’operato dell’amministrazione, e al contempo ritenere che l’amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi. Ne segue che, qualora sussistano i presupposti necessari, secondo la giurisprudenza della Corte, affinché le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti
che la norma così interpretata può, e deve, essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa”.
81 Così D.P. DOMENICUCCI, Il ruolo del giudice nazionale e la presentazione delle questioni pregiudiziali, in ERA – Accademia di diritto europeo, Seminario su “Le direttive contro la discriminazione 2000/43 e 2000/78 nella pratica” Trier, 9-10 maggio 2011 il quale richiama CGUE., sent. 4.5.1999, Sürül, C-262/96.
82 X. XXXX e X. XXXXXXX, Manuale di diritto dell’Unione europea, Torino 2017, pp. 338-339.
gli organi dell’amministrazione, compresi quelli degli enti territoriali, come i comuni, sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni”83.
7. Il futuro del subappalto in Italia: la segnalazione ANAC e l’(assenza di) proposte di legge
Come si è visto le sentenze interpretative della CGUE vincolano i giudici a quibus che sono «tenut[i] a fare applicazione della norma dell’Unione così come interpretat[e] dalla Corte, all’occorrenza lasciando inapplicata la normativa nazionale contrastante»84. Nella controversia pendente dinnanzi al TAR Lombardia, dunque, il giudice sarà tenuto a disapplicare l’art. 105 CCP e, con una certa approssimazione, a riammettere l’operatore escluso dalla gara e a rimettere alla stazione appaltante l’apprezzamento circa l’offerta comprensiva del tasso di subappalto oltre la soglia. Nel caso pendente dinnanzi al Consiglio di Stato, invece, il giudice a quo dovrà accogliere il ricorso, e – plausibilmente
– confermare l’aggiudicazione operata nel 2015. Analoghe prospettive per il ricorso pendente dinnanzi al Consiglio di Stato (vedi supra § 5).
Parimenti, però, «tal[i] sentenz[e] dev[ono] essere considerat[e] anche al di fuori del contesto processuale che l[e] ha provocat[e], proprio perché si pronuncia[no] su punti di diritto» e, dunque, gli altri giudici e le amministrazioni nazionali «saranno tenuti a fare applicazione delle norme così come interpretate dalla Corte»85.
Inoltre, lo Stato membro in ossequio al principio di leale collaborazione deve adottare tutte le misure idonee ad adeguare il proprio ordinamento alla norma di diritto dell’Unione così come interpretata dalla CGUE. In questi casi, infatti, «lo Stato membro interessato ha gli stessi obblighi risultanti a seguito di una sentenza che ne accerti l’inadempimento, e quindi deve prendere tutte le misure necessarie a conformare il proprio ordinamento alla decisione, nonché all’occorrenza a risarcire gli eventuali danni»86.
83 CGUE, sentenza del 22 giugno 1989, Xxxxxxxx Xxxxxxxx x. Comune di Milano, causa 108/88, §§ 30 e 31.
84 Cfr. X. XXXXXXX, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Napoli 2018, p. 389.
85 Cfr. X. XXXXXXX, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Napoli 2018, p. 389.
86 Cfr. X. XXXX – X. XXXXXXX, Manuale di diritto dell’Unione Europea, cit., p. 338
Ora, alla stregua di questo onere, occorre considerare se sia necessario attendere un intervento legislativo che “sani” la situazione di incompatibilità o se le Pubbliche Amministrazioni non debbano fin da subito disapplicare la normativa nazionale contrastante con il diritto europeo.
A questo interrogativo da risposta la sentenza Xxxxx nella quale la CGUE, seppur con riferimento al giudice comune e non alle Amministrazioni nazionali, ha chiarito che
«[l’]incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto comunitario, ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale»87.
Il Dipartimento per le Politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri nella riunione di coordinamento sul contenzioso europeo del 23 ottobre 2019 ha riferito della sentenza Xxxxxx non si ha, ha invece, traccia di riunioni di coordinamento successive in cui si sia dato atto della sentenza Tedesco. Non risultano oltretutto al momento intraprese da parte del Governo iniziative legislative volte a dare esecuzione alla sentenza della CGUE.
Come si accennava, la legge n. 234 del 2012 (legge madre che istituisce il doppio strumento della legge europea e della legge di delegazione europea88), prevede – all’art. 30, comma 3 – che la legge annuale europea si adoperi, tra le altre cose, per apportare le modifiche alle norme statali che siano state oggetto di sentenze della Corte di giustizia europea.
Per tale legge, al contrario delle leggi di delegazione europea per le quali è prevista una certa scansione temporale (28 febbraio ex art. 29, comma 4, e 31 luglio, ex art. 29, ult. co.), l’art. 29, comma 5 della l. n. 234 del 2012 non impone un termine di presentazione né impone la cadenza annuale89. Il Governo nel Consiglio dei Ministri del 23 gennaio 2020 ha deliberato il disegno di legge di delegazione europea, presentato al Senato il 14
87 CGUE, sentenza Debus del 4 giugno 1992, C-13/91 e C-113/91, § 32 dove si richiama anche la nota sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978, causa 106/77.
88 Per una visione complessiva dei meccanismi istituiti dalla legge si v. X. XXXXXXX XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX (a cura di), Attuare il Diritto dell’Unione Europea in Italia. Un bilancio a 5 anni dall’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, Bari 2018.
89 Non sono mancati casi, infatti, di più leggi europee riferite allo stesso anno: legge europea 2013 (l. n. 97 del 2013) e legge europea 2013-bis (l. n. 161 del 2014).
febbraio 2020 e attualmente in corso di esame in Commissione90, ma per la legge europea non risultano esserci progetti di legge all’esame delle Camere.
Nel febbraio 2020, per la verità, era circolata una prima bozza di disegno di legge di approvazione della legge europea 2019-2020 che conteneva un qualche riferimento alle modifiche volte a sanare “tre dei punti della procedura d’infrazione 2018/2273 (punti 1.2.A, 1.3.B e 2.1), allo stadio di messa in mora complementare ex art. 258 TFUE” e si riferiva anche ai limiti al subappalto sebbene con un intervento non sull’art. 105, comma 2, CCP ma sulla norma del Regolamento del Ministero degli affari esteri che dispone un limite del trenta percento per il subappalto in contratti aggiudicati e eseguiti all’esterno ai sensi dell’art. 1, comma 7, CCP91.
Per ragioni molto probabilmente dettate dall’emergenza sanitaria, però, il Consiglio dei ministri non ha mai deliberato il Disegno di legge che non è stato presentato alle Camere92. Nei lavori parlamentari, infatti, risulta incardinato un unico progetto di legge riferibile al Codice dei contratti pubblici, AC 1684, presentato il 16 marzo 2019 – dunque non riferibile alle esigenze di modifica sorte con le sentenze della CGUE – e non ancora assegnato.
L’ANAC, dal canto suo, ha esercitato il potere attribuitegli dall’art. 213, comma 3, lettera d), del CCP, ovvero quello di formulare al Governo le modifiche occorrenti sulla normativa di settore, suggerendo delle proposte di modifica della normativa nazionale
90 Cfr. A.S. 1721, Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019.
91 Con riferimento a tale particolare ipotesi la bozza di relazione illustrativa affermava che “Il comma 3 dispone l’abrogazione dell’articolo 14, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale n. 192/2017, il quale prevede un limite massimo del trenta per cento per i subappalti dei contratti aggiudicati e da eseguire all'estero di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 50/2016. La disposizione, oltre ad essere più restrittiva rispetto alla disposizione legislativa sopravvenuta per il territorio nazionale, è in diretto contrasto con la recente pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea in materia di subappalto. Poiché il suddetto regolamento - applicabile solo a contratti di limitato impatto economico da eseguirsi in mercati diversi da quello italiano - si ispira ai principi della massima semplificazione e della minima regolazione, è sufficiente la mera abrogazione della norma regolamentare incompatibile con la disciplina europea e non è né necessaria né opportuna un'ulteriore regolazione di dettaglio, rimettendo invece ai singoli documenti di gara la valutazione in concreto di eventuali limiti al subappalto”.
92 Nonostante alcune fonti parlassero di iter parlamentare avviato, cfr. xxxxx://xxx.xxxx.xx/000000/xxxxxxxxxx-xxxxx-xxxxxxxxx-xx-xxxxxx-xxxxxxx-xx-xxxx-00-x-000- eliminata-a-regime-la-terna-dei-subappaltatori
che contemperino da un lato le ragioni nazionali di disciplina dell’istituto del subappalto allo stesso tempo assicurando il rispetto della normativa europea.
In particolare, nell’atto di segnalazione ANAC n. 8 del 13 novembre 2013, l’Autorità ha individuato alcuni punti chiave anche al fine di «fornire alle stazioni appaltanti indicazioni normative chiare»93.
Prima di tutto, si afferma che la Corte di Giustizia, pur stabilendo la non conformità al diritto UE del limite quantitativo al subappalto, non sembra aver sancito la possibilità per gli offerenti di ricorrere illimitatamente al subappalto. Infatti, l’art. 71 della Direttiva 2014/24, prevede che la stazione appaltante, nei documenti di gara, possa chiedere all’offerente di indicare nell’offerta «le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi». Attraverso la scelta del termine “parti”, secondo l’ANAC, ne deriverebbe una indiretta esclusione a livello europeo del subappalto al 100%.
Esclusa l’ipotesi di subappalto “totale”, l’indicazione della CGUE è quella di eliminare qualsiasi soglia quantitativa imposta per legge e, posta la regola generale dell’ammissibilità del subappalto, rimettere alle stazioni appaltanti la valutazione circa le possibili limitazioni da imporre con riferimento alla singola procedura di gara gravandole, alla stregua di fattispecie con finalità similari, come la mancata suddivisione in lotti dell’appalto di cui all’art. 51, comma 1, CCP, dell’onere di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto.
L’ANAC, propone in via esemplificativa, alcuni criteri alla stregua dei quali giustificare le limitazioni al subappalto.
Tra questi vi sono:
a. il settore economico o merceologico di riferimento, dal quale si potrebbe far derivare, ad esempio – in ragione del limitato numero di operatori economici qualificati
– una limitazione al subappalto atteso che la presenza di uno o più subappaltatori potrebbe favorire accordi spartitori in fase di gara;
b. la natura (ad esempio principale/prevalente o accessoria) della prestazione;
c. le esigenze di non parcellizzazione dell’appalto, con finalità di carattere preventivo rispetto a fenomeni di corruzione, spartizioni o di rischio di infiltrazioni criminali e mafiose;
93 Così ANAC, Atto di segnalazione n. 8 del 13 novembre 2019, p. 5.
d. le esigenze di carattere organizzativo, quali la efficiente e veloce esecuzione delle prestazioni. Così, ad esempio, nell’affidamento dei lavori pubblici, far valere eventuali ragioni di sicurezza alla luce delle specificità del cantiere, laddove la presenza di molteplici addetti appartenenti a più operatori potrebbe aumentare i rischi di scarso coordinamento e attuazione delle misure di tutela del lavoro;
e. il valore e la complessità del contratto, al fine di consentire maggiore libertà per appalti di particolare rilevanza che suggeriscono di accordare più flessibilità nella fase realizzativa.
Si auspica, inoltre, un intervento legislativo che bilanci «la maggiore libertà di subappalto con le esigenze di trasparenza e di garanzia di affidabilità», e che stabilisca «al superamento di determinate soglie (…) l’obbligo di indicare i subappaltatori già in fase di gara al fine di consentire alla stazione appaltante di conoscere preventivamente i soggetti incaricati e di effettuare le opportune verifiche che, naturalmente, non si sostituirebbero a quelle ulteriori in fase esecutiva propedeutiche all’autorizzazione al subappalto di cui all’art. 105, comma 4, del Codice»94.
Il meccanismo rimarrebbe, dunque, quello dell’indicazione dell’intenzione di subappaltare in fase di gara e della verifica del subappaltatore in fase di autorizzazione ai sensi dell’art. 105 CCP, salva la facoltà per la stazione appaltante di compiere le verifiche già in uno stadio preliminare.
Nel caso di subappalto superiore ai 150.000 €, poi, rimane fermo l’obbligo di verifica antimafia. L’ANAC, con specifico riferimento alla normativa antimafia, mette in guardia sul possibile ricorso al subappalto a fini elusivi: dal momento che l’art. 91, comma 1, lett.
c) del D. Lgs. n. 159/2011 impone l’informazione antimafia per i subcontratti, cessioni o cottimi di importo superiore a 150.000 euro, si potrebbe presentare l’ipotesi di molteplici subappaltatori con quote di attività inferiori a tale soglia al solo fine di evitare i controlli antimafia. Tali pratiche elusive della normativa antimafia sono, in ogni caso, vietate dall’art. 91, comma 2 del D. Lgs. n. 159/2011.
94 Così ANAC, Atto di segnalazione n. 8 del 13 novembre 2019, p. 8. Di diverso avviso X. XXXXXX, Subappalto, la Corte di giustizia europea riapre i giochi, in Real Estate Information Network, 15 gennaio 2020, il quale ritiene che in un quadro ben congegnato «quello che sembra mancare è un sufficiente livello di fiducia nella capacità della stazioni appaltanti e dei meccanismi di controllo di intercettare e respingere i rischi di infiltrazioni … va considerato che fissare una percentuale più o meno alta di subappalto non risolve certo di per sé il problema … di imprese criminali nel mercato degli appalti».
Il subappalto non autorizzato, infine, costituisce un reato (subappalto illecito ex art. 21 L.
n. 646 del 1982) per il quale il Decreto c.d. sicurezza (D.L. n. 113/2015 convertito, con modificazioni, in L. n. 132/2018) ha irrigidito ulteriormente le pene (oltre a trasformarlo da contravvenzione in delitto). Il monitoraggio di tale pratica illecita spetta, nell’esecuzione del contratto, in primis al Direttore dei lavori o dell’esecuzione, chiamato a verificare il rispetto degli obblighi contrattuali e di legge.
Per concludere, quid iuris per i contratti c.d. sotto soglia?
Come è noto, le direttive europee in materia di appalti e concessioni si riferiscono ai contratti che superino la c.d. soglia di rilevanza europea e, al pari, le sentenze pregiudiziali qui esaminate hanno ad oggetto controversie scaturenti da procedure di gara europee.
D’altra parte, la norma del CCP, che disciplina il subappalto e che deve essere riletta alla luce della recente giurisprudenza europea, non opera distinzioni tra le due tipologie di gara. Non sembrano esservi, da ultimo, ragioni tali da giustificare un trattamento differenziato per i contratti sotto la soglia di rilevanza europea. Anche qualora il legislatore decidesse, nella sua sfera di discrezionalità, di stabilire una disciplina diversa e di prevedere un limite generale al subappalto (come quello attualmente contenuto nell’art. 105 CCP), con riferimento ai contratti di appalto inferiori alla soglia europea. Tale limitazione, però, potrebbe non essere sostenibile con riferimento agli appalti che, dal punto di vista quantitativo, rientrino nei limiti di cui all’art. 35 CCP ma che, dal punto di vista qualitativo, incidano su un settore di interesse transfrontaliero.
Prospetto delle Adunanze plenarie e delle rimessioni all’Adunanza plenaria, alla Corte costituzionale e alla Corte di giustizia
dell’Unione europea
(aggiornato al 15 maggio 2020)
A CURA DI
Xxxxxxx Xxxxxxx Ilaria Del Vecchio Xxxxxxx Xxxxxxxx
ARGOMENTO | DECISIONE | CONTENUTO |
Xxxxxx pregiudiziale per appalti sotto soglia | CGUE, sent. 14 febbraio 2019, C- 710/17, CCC – Consorzio Cooperative Costruzioni Soc. | La Corte di giustizia UE dichiara irricevibile un rinvio pregiudiziale (concernente l’ammissibilità dell’avvalimento da parte del progettista incaricato nei contratti pubblici di lavori) ricordando che, affinché una controversia in materia di appalti c.d. sotto soglia possa risultare rilevante per il diritto europeo, è necessaria la dimostrazione del c.d. interesse transfrontaliero certo. |
Quote di qualificazione e quote di esecuzione degli RTI | Cons. St., ad. plen., sent. 27 marzo 2019, n. 6 | In applicazione dell’art. 92, comma 2, d.P.R. 5 ottobre 2010 n. 207, la mancanza del requisito di qualificazione in misura corrispondente alla quota dei lavori, cui si è impegnata una delle imprese costituenti il raggruppamento temporaneo in sede di presentazione dell’offerta, è causa di esclusione dell’intero raggruppamento, anche se lo scostamento sia minimo ed anche nel caso in cui il raggruppamento nel suo insieme (ovvero un’altra delle imprese del medesimo) sia in possesso del requisito di qualificazione sufficiente all’esecuzione dell’intera quota di lavori. |
Partecipazione di imprese che abbiano domandato di accedere al concordato preventivo con riserva di presentare il piano di concordato | L’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso al fine di essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell’attività. NB: con lo Sblocca-cantieri si è ammessa espressamente la possibilità che le imprese in concordato in bianco partecipino alle gare pubbliche. | |
Mancata indicazione dei costi della manodopera nell’offerta economica e soccorso istruttorio | I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di |
una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice. NB: nel caso di specie, il bando nulla prevedeva in ordine all’esplicitazione dei costi della manodopera, ma rinviava alle norme del codice dei contratti pubblici, che la Corte ritiene sufficientemente chiare e conoscibili da parte di un operatore economico medio e diligente. Nei moduli per la formulazione dell’offerta economica, peraltro, non c’era alcuno spazio per l’indicazione separata dei costi della manodopera, sicché gli offerenti avrebbero potuto essere indotti in errore. Per questo, la Corte rimette ogni valutazione al giudice del rinvio. | ||
Offerta economicamente più vantaggiosa e servizi ad alta intensità di manodopera | Cons. Stato, ad. plen., sent. 21 maggio 2019, n. | Gli appalti di servizi ad alta intensità di manodopera ai sensi degli artt. 50, comma 1, e 95, comma 3, lett. a), del codice dei contratti pubblici sono comunque aggiudicati con il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo, quand’anche gli stessi abbiano anche caratteristiche standardizzate ai sensi del comma 4, lett. b), del medesimo codice. |
Gravi illeciti professionali - sanzioni AGCM per comportamenti anticoncorrenziali - legittimità dell’esclusione | CGUE, ord. 4 giugno 2019, C- 425/18, Consorzio Nazionale Servizi Soc. Coop. (CNS) c. Gruppo Torinese Trasporti GTT Spa | L’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che è interpretata nel senso di escludere dall’ambito di applicazione dell’«errore grave» commesso da un operatore economico «nell’esercizio della propria attività professionale» i comportamenti che integrano una violazione delle norme in materia di concorrenza, accertati e sanzionati dall’autorità nazionale garante della concorrenza con un provvedimento confermato da un organo giurisdizionale, e che preclude alle amministrazioni aggiudicatrici di valutare autonomamente una siffatta violazione per escludere eventualmente tale operatore economico da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico. NB: per la CGUE basta il solo provvedimento dell’AGCM, anche senza che vi sia stata conferma da parte del giudice amministrativo in caso di ricorso. |
Partecipazione in RTI di imprese soggette a concordato con continuità aziendale | Cons. Stato, sez. V, ord. 12 giugno 2019, n. 3938 (rimessione q.l.c. a Corte costituzionale) | Il Consiglio di Stato rimette alla Corte costituzionale la questione se l’art. 186-bis, comma 6, del r.d. 267/1942 sia costituzionalmente legittimo, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost., nella parte in cui vieta alle imprese in concordato con continuità aziendale di essere mandatarie di un raggruppamento temporaneo di imprese. Il Consiglio di Stato, infatti, rileva che la norma potrebbe essere irragionevole, dal momento che: la medesima previsione non vige in caso di consorzio ordinario; le mandanti sono responsabili solidalmente con la mandataria e tra loro; alle medesime imprese in concordato è consentito di partecipare da sole alle procedure di gara, con maggiori probabilità di non riuscire a portare a compimento la commessa. La norma potrebbe contrastare con l’art. 41 Cost., perché impedisce all’impresa di ottenere affidamenti che potrebbero consentirle di tornare in bonis in tempi più rapidi. Potrebbe ravvisarsi altresì un’incompatibilità con l’art. 97 Cost., perché viene limitata la possibilità per la stazione appaltante di selezionare il miglior contraente. |
Gravi illeciti professionali - risoluzione di precedente contratto per inadempimento contestata in giudizio - contrasto con la normativa eurounitaria | CGUE, sent. 19 giugno 2019, X- 00/00, Xxxx Xxx x. Xxxxxx xx Xxxxxx | L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce. |
Incorporazione per fusione di un operatore prequalificato da parte di un altro operatore prequalificato - ammissibilità dell’offerta | CGUE, sent. 11 luglio 2019, C- 697/17, Telecom Italia c. Infratel Italia Spa | L’articolo 28, paragrafo 2, prima frase, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che, tenuto conto del requisito dell’identità giuridica e sostanziale tra gli operatori economici prequalificati e quelli che presentano le offerte, esso non osta a che, nell’ambito di una procedura ristretta di aggiudicazione di un appalto pubblico, un candidato prequalificato che si impegni a incorporare un altro candidato prequalificato, in forza di un accordo di fusione concluso tra la fase di prequalifica e quella di presentazione delle offerte e attuato dopo tale fase di presentazione, possa presentare un’offerta. |
Revisione dei prezzi nei settori speciali | Cons. St., sez. IV, 15 luglio | Il Consiglio di Stato rimette alla CGUE le seguenti questioni pregiudiziali: 1. Se siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare agli articoli 4, co. 2, 9, 101, co. 1, lett. e), 106, 151 – ed alla Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 ed alla Carta comunitaria dei diritti sociali xxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxx xxx 0000 xx xxxx xxxxxxxxxx – 152, 153, 156 TFUE; articoli 2 e 3 TUE; nonché art. 28 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217 d. lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto |
diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità; c) se siano conformi al diritto dell’Unione Europea (in particolare all’articolo 28 della Carta dei diritti dell’UE, al principio di parità di trattamento sancito dagli articoli 26 e 34 TFUE, nonché al principio di libertà di impresa riconosciuto anche dall’art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) gli articoli 115, 206 e 217 d.lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza amministrativa, nel senso di escludere la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la Direttiva 17/2004, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità. N.B. L’art. 106 del D.lgs. 50/2016 prevede la facoltà di revisione dei prezzi anche nei contratti afferenti ai cd. “settori speciali”. | ||
Giustizia amministrativa – Ricorso incidentale escludente | sent. 5 settembre 2019, C-333/18, | L’articolo 1, paragrafo 1, terzo comma, e paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono quest’ultimo, ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali procedurali nazionali disciplinanti il trattamento dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi. |
Proroga di contratti pubblici – modifiche non previste nei documenti originari – contrarietà al diritto dell’Unione | CGUE, sez V, sentenza 18 settembre 2019, C-526/17, Repubblica italiana | Secondo la giurisprudenza della Corte, il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un contratto di concessione di lavori pubblici, l’amministrazione aggiudicatrice concedente e il concessionario apportino alle disposizioni del loro contratto di concessione modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle del contratto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere la concessione di lavori pubblici, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore del concessionario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione della concessione di lavori pubblici, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, o sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2016, Xxxx Xxxxxx, C-549/14, EU:C:2016:634, punto 28 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, in linea di principio, una modifica sostanziale di un contratto di concessione di lavori pubblici deve dar luogo a una nuova procedura di aggiudicazione relativa al contratto così modificato (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2016, Xxxx Xxxxxx, C-549/14, EU:C:2016:634, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). La Repubblica italiana, avendo prorogato dal 31 ottobre 2028 al 31 dicembre 2046 la concessione della tratta Livorno-Cecina dell’xxxxxxxxxx X00 Xxxxxxx-Xxxxxxxxxxxxx (Xxxxxx) senza pubblicare alcun bando di gara, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 2 e 58 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, come modificata dal regolamento (CE) n. 1422/2007 della Commissione, del 4 dicembre 2007. |
Subappalto – Limiti alla quota subappaltabile | CGUE, sez. V, 26 settembre 2019, C-63/18, Xxxxxx s.p.a. | La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi. |
Subappalto – Limiti alla quota subappaltabile e ai prezzi applicabili alle prestazioni affidate in subappalto | Tedeschi Srl e Consorzio Stabile Istant Service contro C.M. Service Srl e Università degli Studi di Roma La Sapienza | La direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che: – essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi; – essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione. |
Rito super accelerato in materia di appalti pubblici | È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2-bis, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 120, comma 2-bis, dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo n. 104 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 103, 113 e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. | |
Accesso civico nelle procedure di gara | Sono deferite all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni: 1. Se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente |
interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo le regole dello scorrimento della graduatoria; 2. Se la disciplina dell’accesso civico generalizzato di cui al d.lgs. n. 33/2013, come modificato dal d.lgs. n. 97/2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice; 3. Se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013; se, di conseguenza, il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria di cui alla legge n. 241/1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato. | ||
Informazione antimafia – Revoca delle autorizzazioni e delle concessioni – Pagamento del valore delle opere eseguite e rimborso delle spese sostenute | Cons. St., sez. III, sent. non def., 23 dicembre | È deferita all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione: se il limite normativo delle “utilità conseguite”, di cui all'inciso finale contenuto sia nell'art. 92, comma terzo, sia nell'art. 94, comma secondo, del D.Lgs. n.159/2011, è da ritenersi applicabile ai soli contratti di appalto pubblico, ovvero anche ai finanziamenti e ai contributi pubblici erogati per finalità di interesse collettivo. |
Affidamenti in house - requisiti | Corte giust. comm. ue, sez. IX, ordinanza 6 febbraio 2020, C- 89/19, C-90/19, C-91/19 | Le norme del codice dei contratti pubblici (art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016) e del testo unico sulle società partecipate (art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 175 del 2016), laddove individuano i requisiti per l’affidamento diretto in favore delle società in house pluripartecipate (sottoposte, cioè, al c.d. controllo “analogo” congiunto), non sono in contrasto con le norme di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, le quali riconoscono la libertà degli Stati membri di organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione. |
Contratti pubblici – Tassatività delle cause di esclusione – Divieto o limitazioni all’avvalimento – Attestazione SOA – Rimessione all’Adunanza plenaria | Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni: a) se rientrino nel divieto di clausole di esclusione c.d. atipiche, di cui all’art. 83, comma 8, ultimo inciso, del d.lgs. n. 50 del 2016, le prescrizioni dei bandi o delle lettere d’invito con le quali la stazione appaltante, limitando o vietando, a pena di esclusione, il ricorso all’avvalimento al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 89 del d.lgs. n. 50 del 2016, precluda, di fatto, la partecipazione alla gara degli operatori economici che siano privi dei corrispondenti requisiti di carattere economico-finanziario o tecnico-professionale; b) in particolare, se possa reputarsi nulla la clausola con la quale, nel caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA. | |
Contratti pubblici – Cause di esclusione – Avvalimento – Dichiarazione non veritiera dell’ausiliaria – Rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE | Cons. St., sez. III, ord. 20 marzo 2020, n. 2005 | Deve essere rimessa alla Corte di giustizia UE la seguente questione pregiudiziale: se l’articolo 63 della direttiva 2014/24 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, relativo all’istituto dell’avvalimento, unitamente ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), osti all’applicazione della normativa nazionale italiana in materia di avvalimento e di esclusione dalle procedure di affidamento, contenuta nell’articolo 89, comma 1, quarto periodo, del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, secondo la quale nel caso di dichiarazioni non veritiere rese dall’impresa ausiliaria riguardanti la sussistenza di condanne penali passate in giudicato, potenzialmente idonee a dimostrare la commissione di un grave illecito professionale, la stazione appaltante deve sempre escludere l’operatore economico concorrente in gara, senza imporgli o consentirgli di indicare un’altra impresa ausiliaria idonea, in sostituzione della prima, come stabilito, invece nelle altre ipotesi in cui i soggetti della cui capacità l'operatore |
economico intende avvalersi non soddisfano un pertinente criterio di selezione o per i quali sussistono motivi obbligatori di esclusione. | ||
Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni se: a) il termine | ||
per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di | ||
norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui | ||
devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le | ||
operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara | ||
delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta | ||
nell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016; b) le informazioni previste, | ||
d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016, nella | ||
parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare | ||
i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola | ||
proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da | ||
considerare patologica – con le ovvie conseguenze anche ai soli | ||
fini di eventuali responsabilità erariale – della omessa o | ||
incompleta pubblicazione prevista dal già citato art. 29; c) la | ||
Processo amministrativo – Rito appalti – Termini - Aggiudicazione e atti di gara – Individuazione – Dubbi in giurisprudenza – | Cons. St., sez. V, ord., 2 aprile 2020, n. 2215 | proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero |
Rimessione | dalle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento | |
all’Adunanza plenaria | di verifica dell’anomalia dell’offerta; d) dal punto di vista | |
sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa | ||
decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in | ||
particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale | ||
(ex art. 78, d.lgs. n. 50 del 2018) ovvero dalla conoscenza | ||
comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel | ||
senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti | ||
(di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, | ||
senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità | ||
principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità | ||
secondaria o subordinata e meramente complementare; e) in ogni | ||
caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), | ||
la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 d.lgs. n. 50 del 2016 | ||
debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza | ||
aliunde; f) idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione | ||
del provvedimento di aggiudicazione debbano considerarsi |
quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara. | ||
Esclusione di un operatore economico per mancata indicazione dei costi della manodopera | Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 2020, n. 7 Cons. Stato, ad. plen., 2 aprile 2020, n. 8 | In applicazione del principio di diritto espresso da CGUE, 2 maggio 2019, causa C-309/18, il Consiglio di Stato ritiene nel caso di specie non soccorribile l’omessa indicazione dei costi della manodopera da parte dell’impresa aggiudicataria, in considerazione della chiarezza della lex specialis di gara e della circostanza che la società ricorrente, seconda classificata, avesse indicato nella propria offerta i propri costi della manodopera, così evidenziando per tabulas che la loro specificazione fosse materialmente possibile. |
Accesso agli atti relativi all’esecuzione di un contratto pubblico – accesso “classico” e accesso civico generalizzato | Cons. Stato, ad. plen., sent. 2 aprile 2020, n. 10 | L’impresa non aggiudicataria della gara è titolare di uno specifico interesse all’ostensione di atti e documenti inerenti alla fase esecutiva del rapporto, a condizione che l’istanza non sia esplorativa e l’interesse sotteso all’esibizione sia preesistente. L’accesso civico generalizzato è applicabile anche al settore dei contratti pubblici, ferme restando le limitazioni di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016. La documentazione inerente alla fase successiva alla stipulazione del contratto può costituire oggetto di accesso civico generalizzato, fermi restando i limiti di legge a tutela di specifici interessi protetti dall’ordinamento. Quanto alle modalità dell’esercizio del diritto d’accesso, sussiste l’obbligo della pubblica amministrazione di esaminare integralmente l’istanza anche quando essa abbia un contenuto generico (vale a dire, senza specificare se si faccia riferimento al cd. classico o all’accesso civico generalizzato) ovvero richiami, in via cumulativa, le predette due modalità di accesso, ad eccezione dei casi nei quali il richiedente abbia circoscritto il suo interesse all’accesso documentale uti singulus ai sensi dell’art. 22 ss. l. n. 241 del 1990, nei quali l’esame deve essere limitato ai presupposti indicati da tale disposizione. |
Appalti – Appalto integrato – Progettista indicato – Avvalimento – Deferimento all’Adunanza plenaria | Cons. St., sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2331 | Deve essere rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la seguente questione: se, nell’ambito dell’appalto integrato come ammesso nel sistema normativo di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, il progettista eventualmente “indicato” dalla impresa concorrente, in caso di assenza in capo ad esso dei prescritti requisiti professionali ed organizzativi, possa a sua volta ricorrere all’istituto dell’avvalimento. |
Esclusione per falsità delle dichiarazioni ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis) d.lgs. 50/2016 – distinzione tra dichiarazioni false, reticenti, fuorvianti e omissioni – rimessione all’adunanza plenaria | Cons. Stato, sez. V, ord. 9 aprile 2020, n. 2332 | Un operatore economico è stato escluso per aver reso dichiarazioni false ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis) d.lgs. 50/2016. Il Consiglio di Stato rileva preliminarmente che, nel caso di specie, l’operatore ha reso dichiarazioni reticenti o ha omesso di dichiarare. Con ciò, erroneità della dichiarazione ricade non già su un fatto – in tal caso, si tratterebbe di falsità della dichiarazione, con conseguente automaticità dell’esclusione –, ma sulla valutazione di un fatto. La sezione rimette all’adunanza plenaria la questione, se anche in tal caso si debba procedere all’esclusione automatica dell’operatore economico o se, al contrario, sia rimessa alla stazione appaltante la valutazione discrezionale dell’operato del concorrente in quanto grave illecito professionale. |