DOTTORATO DI RICERCA
Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA
in Scienze Giuridiche
TITOLO TESI
Dinamiche di partecipazione soggettiva alla fattispecie contrattuale
Settore/i scientifico disciplinari di afferenza
IUS/01 – Diritto civile
Presentata da: Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx
Tutor Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx
Coordinatore Dottorato Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxx
Esame finale anno accademico 2019 – 2020 Xxxx discussa nella sessione d’esame Aprile 2021
Dinamiche di partecipazione soggettiva alla fattispecie contrattuale
Alla mia maestra, la Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx,
con stima e gratitudine
Abstract
The research focuses on the position of the subjects who are involved in various ways in the contract. Starting from the established insufficiency of the dichotomy between the contracting party and the third party - traditionally considered capable of exhausting all the possible declinations of the relationship between the legal entity and the contract - the work proceeds by reconstructing the cases on the level of subjective participation, most significantly revealing the heterogeneity between the legal positions that should nominally be similar and the affinity between the legal positions which, always by name, should be heterogeneous. In particular, the events related to the use of contractual representation, the contract in favor of a third party, the various economic transactions characterized by the contractual connection (related agreements), as well as, on the family law side, the hypothesis purchases made by a single spouse under the community of property state.
The leitmotif of the entire work is the attempt to highlight a sort of descriptive relativity characterizing qualifications and concepts such as those of contracting party and third party. Thus, within the various cases taken into consideration, the examination involves the problems that arise to the interpreter when it is necessary to establish which tools and which remedies are up to whoever is, involving the single contract, in a position characterized by proximity both to the position of those who are usually invested with the quality of a party, and to that of those who are usually invested with the quality of a third party. These issues cannot be resolved by resorting to rigid formal qualifications, nor by developing general identification criteria through which to establish who a third party is and who it is a party once and for all. If anything, it will be a question of reconstructing in detail the structure of interests as a result of before and after the position of the legal transaction, to establish for what purposes, and which interests justify the attribution to the holder of shares designed to guarantee its protection, possibly to the detriment of other interests in any case relevant in the context of the legal case taken into consideration.
INDICE
Capitolo Primo
L'ETEROGENEITÀ DELLE POSIZIONI DI PARTE E TERZO RISPETTO AL CONTRATTO
1. Il soggetto e la fattispecie negoziale 6
2. La nozione di parte: terminologia normativa ed elaborazioni dottrinali 16
3. L’eterogeneità delle posizioni soggettive riconducibili alla medesima qualifica di parte del contratto. 23
4. La vincolatività del contratto rispetto alle parti e rispetto ai terzi 33
5. L'efficacia del contratto e la figura del terzo 36
6. Il principio di relatività e il contratto a favore di terzo 43
Capitolo Secondo
PARTE E TERZO NELLE DINAMICHE DELL’OPERAZIONE ECONOMICA
1. Il fenomeno del collegamento negoziale tra contratti aventi parti diverse 55
2. Le operazioni contrattuali a struttura soggettiva trilaterale 59
3. Il mutuo di scopo 60
4. Il credito al consumo 64
5. Il leasing: ipotesi ricostruttive 70
6. La posizione dei partecipanti all'operazione di leasing. 77
7. La tutela dell'utilizzatore nell'ambito del collegamento negoziale 84
Capitolo Terzo
IL DIFFICILE INQUADRAMENTO DELLA POSIZIONE DEL CONIUGE NON AGENTE NEL CONTRATTO STIPULATO DALL’ALTRO CONIUGE IN REGIME DI COMUNIONE LEGALE
1. Configurazione giuridica dell'acquisto compiuto separatamente da uno dei coniugi ex art. 177, lett. a), c.c 91
2. Il coniuge non contraente: a mezza xxx xxx xx xxxxxxx xx xxxxx x xxxxxx xx xxxxx. Perché non è parte 98
3. (segue) Perché non è terzo ... e tanto meno avente causa 101
4. Azioni e tutele attivabili dal coniuge non contraente nell'ambito del rapporto contrattuale 104
5. Il coniuge non agente quale possibile beneficiario di una stipulazione a favore di terzo 108
6. Il rifiuto del coacquisto e la posizione del coniuge non agente quale destinatario di un effetto non voluto 113
7. Un'ipotesi emblematica: la posizione del coniuge non agente nell'ambito del contratto
preliminare concluso dall'altro coniuge 119
Capitolo Quarto
LA PARTECIPAZIONE AL PATTO DI FAMIGLIA
1. La doverosa partecipazione dei legittimari non assegnatari al patto di famiglia 126
2. I legittimari non assegnatari partecipanti al patto di famiglia 134
3. Art 768 sexies. Rapporti con i terzi. La difficile interpretazione di una norma poco chiara. 142
Capitolo Quinto
PARTECIPAZIONE E TERZIETÀ NELL'OTTICA DEL CONTRATTO: CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
1. L'eterogeneità delle ipotesi di partecipazione al contratto. 152
2. Il dinamismo degli interessi e la relatività delle posizioni nell'ambito dell'operazione economica 155
3. Corollari sul principio di relatività degli effetti del contratto 158
Indice delle opere citate 164
CAPITOLO PRIMO
L'ETEROGENEITÀ DELLE POSIZIONI DI PARTE E TERZO RISPETTO AL CONTRATTO
Sommario: 1. Il soggetto e la fattispecie negoziale. – 2. La nozione di parte: terminologia normativa ed elaborazioni dottrinali. – 3. L’eterogeneità delle posizioni soggettive riconducibili alla medesima qualifica di parte del contratto. – 4. La vincolatività del contratto rispetto alle parti e rispetto ai terzi. – 5. L'efficacia del contratto e la figura del terzo. - 6. Il principio di relatività e il contratto a favore di terzo.
1. Il soggetto e la fattispecie negoziale.
Quando nel nostro ordinamento ci si riferisce al contratto, o più in generale al negozio giuridico, nel descriverne i diversi profili soggettivi si fa normalmente ricorso ai termini di “parte” e di “terzo”. Termini apparentemente antitetici, mediante i quali si vorrebbero esaurire sul piano delle qualificazioni giuridiche le posizioni che un soggetto può ricoprire nell’ambito della singola vicenda negoziale. Si assume, cioè, che qualsiasi soggetto, preso in considerazione dall’ordinamento in ragione di un determinato negozio, si possa trovare, rispetto a questo, solo ed esclusivamente nel ruolo di parte o di terzo. A seconda poi della posizione soggettiva ricoperta, il soggetto sarà destinatario di conseguenze giuridiche affatto differenti, dipendenti della qualità e intensità del rapporto che lo lega all’atto.
Obiettivo di questa ricerca sarà quello mettere alla prova questo assunto, indagando il diverso atteggiarsi delle posizioni di interesse in cui può venire a trovarsi il soggetto nel complesso sistema delle dinamiche negoziali. Specialmente nell'ambito di certe fattispecie i cui lineamenti soggettivi, non presentandosi sempre chiaramente delineati, mostrano le difficoltà cui può andare incontro un approccio rigidamente dualistico, incentrato sulla dicotomia parte-terzo, che voglia definire ed esaurire ogni questione inerente ai rapporti tra soggetto e fattispecie ricorrendo esclusivamente a quella dicotomia.
Assunto un siffatto obiettivo a tema d'indagine, non si può preliminarmente prescindere da alcune considerazioni di carattere generale intorno alla nozione di “soggetto del negozio” e sul suo inquadramento nella teoria del negozio giuridico1.
Tuttavia, una attenta ricognizione delle diverse vedute dottrinali che nel tempo si sono proposte travalicherebbe gli obiettivi conoscitivi di questa trattazione2. Ci si dovrà pertanto limitare a prendere
1 Il riferimento al negozio giuridico consente un’impostazione dell’analisi che meglio si presta a sottolineare la portata generale di alcune considerazioni che, se anche tratte dall’analisi del contratto, ben possono riferirsi ad altri istituti giuridici non appartenenti a tale categoria e classicamente ricondotti alla figura del negozio. In materia di rapporti tra contratto e negozio giuridico, si vedano per tutti X. XXXXXXX, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, Torino, 1946, p. 433; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, 2° ed., rist., 2002, p. 302 ss.; X. XXXXX, Sui cosiddetti rapporti contrattuali di fatto, in Jus, 1957; X. XXXXXX, Teoria generale del contratto, Torino, 1955; X. XXXX, Unità del negozio e principi di ermeneutica contrattuale, in Giur. it., 1973, p. 221 e ss..; X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; X. XXXXXXXXX, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, II ed., Napoli, 1997; X. XXXXXXXXX XXXX, U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI, X. XXXXXX, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1986. X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, Roma, 1946; X. XXXXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, Milano 1997; X. XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, II ed., Milano, 1959: G. DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contr. Impr., 1988; X. XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, Napoli, 1972; X. XXXXXX, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941; X. XXXXXX, L’atto negoziale nel sistema dei comportamenti giuridici, in Riv. Dir. civ., 1996, I, 1 e segg.; G.B. XXXXX, Il negozio giuridico, II ed., Padova, 2004, 69; X.X XXXXX, Negozio giuridico, in Digesto Civ., 1995, 63; G.B. XXXXX, La nozione di contratto, in I contratti in generale, in Tratt. dei Contratti, diretto da X. Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, Torino, II ed., 2006, 10 ss.: G. B. XXXXX, Il negozio giuridico tra libertà e norma, Rimini, 1989; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, Milano, 1988; X. XXXXXXX, Contratti in generale, in Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 2004; X. XXXXXXXXX, Il contratto e le sue classificazioni, in Riv. dir. civ., 1997, p. 719 e ss. X. XXXXXXXXX, I contratti in generale, in Trattato dei contratti, Torino, 1999, I, p. 31 e ss. X. XXXXX, Il contratto, I, Lineamenti generali, Milano, 1955. X. XXXXX, Il potere della volontà nella promessa come negozio giuridico, in Riv. dir. Comm., 1956; X. XXXXX, Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, in Studi giuridici in memoria di Xxxxxxx Xxxxxxxx, Torino, 1960; X. XXXXX, La “logica-illogica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. dir. civ., 1966: X. XXXXX, Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, in Studi giuridici in memoria di Xxxxxxx Xxxxxxxx, Torino, 1960. X. XXXXX, La “logica-illogica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. dir. civ., 1966; X. Xxxx, Per una teoria analitica del contratto (a proposito di un libro di Xxxxxxx Xxxx), in Norme e fatti. Saggi di teoria generale del diritto, Milano, 1984; N. IRTI, Principi e problemi nell’interpretazione contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999; N. IRTI, Letture bettiane sul negozio giuridico, Milano, 1991; X. XXXXXXXX, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, Milano, 1968; X. XXXXXXXXX, voce Negozio giuridico (teoria), in Enc. dir., XVIII, Varese, 1978; X. XXXXX, Contratto, e negozio a formazione bilaterale, in Studi in onere di Xxxxx Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000: X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. di dir. civ., diretto da X. Xxxxx, XX, Xxxxxx, 0000; X. XXXX, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943; G. OSTI, voce Contratto, in Noviss. dig. it., IV, Torino, 1959; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962; X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx, accordo, convenzione, patto (la terminologia legislativa nella materia dei contratti), in Riv. dir. Comm., 1988; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, Varese, 1998; X. XXXXXXX, Fonti-teoria-metodo. Alla ricerca della «regola giuridica» nell’epoca della postmodernità, Milano 2012; X. XXXXXXX, Complessità e sistema delle fonti di diritto privato, in Riv. dir. civ., 2009; X. XXXXXXXXXXX, Complessità del procedimento di formazione del consenso e unità del negozio contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 1361;
X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950; ID, Xxxxxxxxx in generale, in Commentario al codice civile, a cura Xxxxxxxx e Branca, Bologna-Roma, 1970
2 L’argomento, infatti, non solo si presenta nella sua autonomia particolarmente complesso e articolato, ma, legandosi elettivamente alle più ampie riflessioni sulle dinamiche del diritto, richiederebbe delle considerazioni che seppure sommarie sarebbero comunque incompatibili con l’economia dell’opera. Per lo svolgimento concettuale e storico della teoria del negozio giuridico, si vedano X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit., 13 e segg.; DE XXXXXXXX, Xxxxx e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958, p. 3 ss..; X. XXXXXXX, Ideologia e dogmatica nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1972, 14 e segg.; M. BRUTTI, Dal contratto al negozio giuridico. Appunti, Torino, 2013, p. 75 – cfr., anche per più ampi riferimenti, X. XXXXX, Il fatto, l’atto, il negozio, cit., 273 e segg.; G.B. XXXXX, Il negozio giuridico, cit., 69; Id., Negozio giuridico, in Digesto Civ., 1995, 63; X. XXXXXXX, voce ‘‘Negozio giuridico (dottrine gen.)’’, cit., 936; Id., Il negozio giuridico, cit., 17 e segg.; XXXXXXXXX, voce ‘‘Negozio giuridico,’’ cit., 1 e segg.; X. XXXXXX, L’atto
atto dei risultati cui è giunta una determinata teorica del diritto, la cui visione del fenomeno ha riscontrato i maggiori consensi nella dottrina che dell’argomento si è occupata3.
Secondo tale teoria, il negozio, così come ogni altra fattispecie di cui possa predicarsi la giuridicità, si compone sempre di due momenti essenziali: il primo materiale, il fatto, il quale si identifica nella situazione della realtà che viene presa in considerazione dall’ordinamento4; il secondo formale, il
negoziale nel sistema dei comportamenti giuridici, in Riv. Dir. civ., 1996, I, 1 e segg.; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., p. 3 ss.; X. XXXXXXXXX, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, cit., 112; X. XXXXXXXX, Appunti sull’autonomia negoziale, cit., 113 e segg.; Id., Contratto, cit. 6 e segg. La teoria del negozio giuridico, edificata in una determinata esperienza giuridica e nel contesto della stessa sviluppatasi, tuttavia, a seguito del progressivo mutamento storico, economico e sociale, verificatosi successivamente al suo sorgere, è sembrata, nel corso del tempo, aver perduto, o quanto meno ridotto, la propria centralità concettuale e sistematica, al punto tale che recenti correnti di pensiero ne hanno decisamente negato l’utilità scientifica e la capacità aggregante quale categoria ordinante del diritto dei privati. La critica si è mossa argomentando sia in una prospettiva ideologica, secondo la quale la teoria del negozio giuridico costituirebbe una mera astrazione edificata dalla cultura individualistico-borghese e destinata a scomparire con quella stessa cultura; sia tecnocratica, in ragione della quale, si dovrebbe parlare di contratto e non di negozio, poiché il primo, che pure rappresenta una forma di astrazione concettuale, costituirebbe lo strumento che, per eccellenza, consente la circolazione della ricchezza e dei patrimoni, con il risultato che, muovendo la riflessione su questa linea, svalutando lo stesso ruolo del contratto, si è giunti a creare una distinzione tra autonomia negoziale (destinata ad operare in zone economicamente del tutto residuali) e autonomia privata (dominata dalle regole del mercato). In questa seconda prospettiva, secondo una parte della dottrina, la categoria del negozio giuridico ‘‘ormai sopravvive soltanto per una sorta di misticismo dottrinario’’, e che il suo declino si accompagna a quello della tradizione dogmatica, segnando ‘‘la fine di un primato storico e ideologico’’ 48, con il risultato che ‘‘consumato negli anni settanta-ottanta l’addio al negozio giuridico come categoria ordinante e unificante dell’autonomia privata, il contratto ne ha assunto il ruolo’’ (XXXXXXX, Il negozio giuridico, cit. 15 e segg. e 27 e segg. Si vedano, inoltre, X. XXXXXXX, Teorie e ideologie del negozio giuridico, in AA.VV., (a cura di X. Xxxxx), Categorie giuridiche e rapporti sociali, cit., 66; X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli atti giuridici, in Riv. dir. civ., 1957, I, p. 265 e ss.; X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961; N. IRTI, Letture bettiane sul negozio giuridico, cit., p- 69; ID, La regola e l’eccezione (resoconto sulla dottrina italiana del diritto privato nel secolo XX), in Diritto e società, 1997, 448, per il quale il declino della categoria del negozio si accompagna a quello della tradizione dogmatica, segnando ‘‘la fine di un primato storico e ideologico’’, con il risultato di ‘‘restituire ariosa libertà alla nostra dottrina, traendola da vincoli soffocanti’’. X. XX XXXX, Contratto: per una voce, in Riv. Dir. Priv., 2000, 533 e segg.; ID., Contratto, in Enciclopedia delle scienze sociali, IX, 2001, 61; ID., Il contratto alieno, II ed., Torino, 2010; ID., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, 4). Sul peculiare rilievo che il concetto di ‘‘categoria ordinante’’ assume con riguardo al contratto, anche in relazione alla categoria del negozio giuridico, cfr. ora X. XXXXXX, Le categorie del diritto civile, Milano, 2013, 147 ss.
Contro la critica della teoria del negozio giuridico si sono levate autorevoli voci della civilistica, fra le quali vi è chi ha osservato che le riserve e le doglianze mosse alla figura del negozio finiscono in realtà ‘‘per riguardare e colpire anche il contratto, data la sovrapposizione, nella nostra cultura civilistica, dei due istituti” (G.B. XXXXX, La nozione di contratto, cit., p. 10 ss.)
3Si veda in particolare. X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939; X. XXXXXX, Efficacia giuridica, voce in Enc. Diritto, pp. 432 ss; X. XXXXXXXXXXXX, Fatto giuridico e fattispecie complessa (considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1954; X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit.; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, diretto da XXXX e MESSINEO, Milano, 1988; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962
4La categoria dei fatti giuridici in senso stretto, nell’opinione tradizionale, si compone: a) sia dei ‘‘fatti della natura’’ che non provengono dall’uomo (come accade nel caso di taluni modi di acquisto originario della proprietà, quale l’alluvione, art. 941 c.c.; l’avulsione, art. 944 c.c., l’accessione, sia essa naturale, sia essa per fatto dell’uomo, art. 934 c.c., per semina o piantagione, dove l’acquisto del bene ad opera del proprietario del fondo piantato si produce per il fatto del crescere della pianta sul fondo e nella piantagione per il fatto che le radici attecchiscono nel terreno, e non per la volontà, che pure pose in essere, colui che operò la semina o che innestò le piante, dalla quale si prescinde completamente, tant’è che l’acquisto del frutto o della pianta ad opera del proprietario del fondo sarebbe pure potuto avvenire per il semplice trasporto del seme ad opera del vento); b) sia dei ‘‘fatti che sono dell’uomo, ma che potrebbero anche non essere dell’uomo’’, come accade nella specificazione, art. 940 c.c., ove è la trasformazione, formale o sostanziale, di una cosa in un’altra nuova, e non già la volontà dello specificatore, che determina l’acquisto della nuova cosa da parte dello specificatore (cfr. XXXXX, op. cit., 9); c) sia di quei ‘‘fatti che sono riconducibili alla volontà umana, ma che potrebbero
valore, inteso come la reazione dell’ordinamento al fatto e sostanziantesi nella “modificazione di una situazione giuridica preesistente in un’altra successiva”5.
In ogni fenomeno giuridico l’elemento materiale e l’elemento formale coesistono necessariamente, pena la sua stessa inesistenza6.
Il soggetto del negozio, secondo questa tesi, non è elemento integrante la situazione di fatto stricto sensu intesa, consistente nella realtà materiale esclusivo oggetto della qualificazione giuridica e integrante la fattispecie del negozio. Esso non farebbe cioè parte delle sue componenti strutturali o, ancora, seguendo una certa terminologia, esso non sarebbe elemento essenziale del negozio7. Lo stesso soggetto, tuttavia, non è affatto estraneo alla vicenda di formazione della fattispecie giuridica, esso è complementare ad essa, tant’è vero che la sua mancanza determina irrimediabilmente la inesistenza giuridica della prima; resta tuttavia escluso dalla valutazione operata dalla norma, rimanendo “nella sua primitiva condizione di elemento neutro, non qualificato, o già qualificato autonomamente” 8.
I brevi richiami fatti consentono di prendere atto della posizione in cui viene collocato, dalla dottrina maggioritaria, il soggetto nella fattispecie giuridica de qua: esso è “presupposto” del negozio e come tale elemento estrinseco della fattispecie.
Quest’approdo, se da un lato consente di analizzare il negozio come entità distinta dal soggetto che l’ha posta in essere, dall’altro lato permette di conoscere il soggetto, coinvolto nella vicenda
pure non essere a quella volontà ricondotti’’ nei limiti in cui in essi non rileva ne´ la capacità di agire del soggetto, ne´ l’elemento psichico, cioè la volontà e coscienza dell’agente, affinché si produca comunque l’effetto giuridico conseguente (X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., 107); ma unicamente l’attività umana nella sua materialità (come si verifica nelle ipotesi di invenzione delle cose smarrite e del tesoro art. 927 e ss. c.c.; di confusione, di unione e commistione art. 939 c.c.; ovvero nell’impossessamento, art. 1140 c.c., nella destinazione del padre di famiglia art. 1062 c.c.
5 X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, p. 265.
6 X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit., p. 6 ss. A loro volta i due elementi hanno all’interno più componenti: nel primo dei due si possono distinguere il presupposto e l’oggetto di qualificazione nel secondo, al momento della riconduzione alla fattispecie oggettiva delle conseguenze giuridiche predisposte dalla norma segue il momento dell’investitura del soggetto nelle situazioni effettuali create dalla norma.
7 X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit., p 7 ss. Secondo l’autore il negozio, presentandosi come situazione fattuale cui esclusivamente si rivolge la qualificazione normativa, costituisce, una volta integrato l’elemento formale della valutazione, la fattispecie giuridica vera e propria. Il soggetto non ne costituisce parte, esso è “presupposto di qualificazione”. Appartiene alla stessa realtà fattuale cui appartiene l’oggetto della valutazione normativa, e da esso non può prescindere l’esistenza del negozio inteso come atto di autonomia diretto a regolare privati interessi. Ma una volta venuto ad esistenza, solo questo diventa oggetto dello schema valutativo apprestato dalla norma, “il nucleo fondamentale del fenomeno giuridico”. Per le diverse opzioni terminologiche proposte dalla dottrina che degli elementi del negozio e del contratto si è occupata si può fare rinvio a X. XXXXX, Il soggetto e il soggetto di diritto, Torino 1990, p. 47 ss. X. XXXXXXXXXXXX, Xxxxxxxxx in generale, cit., p. 65 ss.
8 Il carattere costitutivo del riconoscimento formale tuttavia, sebbene effetto di assoluta autonomia e libertà della norma, non priva l’essere umano della sua necessaria immanenza e coessenzialità al diritto, in quanto dichiaratamente configurato quale «presupposto soggettivo di qualificazione» di ogni fattispecie oggettiva, nonché “centro di legittimazione soggettiva di tutte le possibili conseguenze giuridiche” e come tale “punto di convergenza di tutti i fenomeni giuridici” Cfr. X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit., p. 9
giuridica in questione, non come realtà intellegibile solamente all’interno del negozio, ma come realtà conoscibile in relazione al negozio.
Una prima conclusione ricavabile da quanto fino ad ora detto sembrerebbe portare ad escludere che il concetto di “soggetto del negozio” abbia un significato univoco9. Esso, infatti, è in grado di richiamare diverse ipotesi di relazione che tra il soggetto e il negozio possono instaurarsi.
Escludere la unitarietà del significato è conclusione certo non appagante. Ammettere che il medesimo concetto può significare molteplici situazioni che vengono a diversificarsi in ragione di un dato relazionale, non esime l’interprete da una più meditata riflessione circa la possibile limitatezza dei significati che il medesimo termine può contenere. Obiettivo, questo della delimitazione, che non può essere raggiunto se non si pone l’attenzione sull’altro termine della relazione: il negozio. Questo si presenta alla realtà delle relazioni economico-sociali quale atto con cui i privati predispongo un determinato assetto di interessi per loro vincolante, e da essi ritenuto utile per il soddisfacimento di determinate esigenze: esso è strumento che consente a ciascun privato di porsi in relazione con un altro privato al fine di ottenere soddisfazione di un interesse che altrimenti non potrebbe venire appagato10. Il negozio nella sua dimensione pregiuridica, e cioè prima di venire assunto dall’ordinamento come fatto da cui possono, e debbono, scaturire effetti giuridici, è fenomeno che involge l’interesse reale del soggetto: quest’ultimo lo compie avendo di mira il conseguimento di determinate utilità.
La dimensione del fatto e la dimensione dell’interesse convivono dunque nel fenomeno negoziale, ed è in rapporto ad esse che il soggetto deve venire in considerazione.
A queste due dimensioni se ne aggiunge una terza, imprescindibile affinché il privato regolamento assurga al rango di negozio giuridico: la dimensione dell’effetto. Il negozio è capace di determinare modificazioni della realtà giuridica e, quindi, creare nuove situazioni effettuali, per il fatto che l’ordinamento, nel momento in cui esso viene ad esistenza, ne fa oggetto di una valutazione cui riconduce determinate conseguenze: gli effetti giuridici.
Come si vedrà più approfonditamente, il negozio giuridico viene a caratterizzarsi per la particolare rilevanza accordata al volere delle parti predisponenti il regolamento negoziale, a cui l’ordinamento reagisce riconducendovi determinate conseguenze giuridiche, che nella fisiologia
9 Xxxx X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Napoli, 1968, p. 37 il quale sottolinea “l’esistenza di una diversità di concetti legali di fronte al termine unico di soggetto del negozio. Una prima nozione è quella che fa capo alla partecipazione del soggetto al processo di determinazione e formazione dell'atto negoziale per cui il soggetto si pone come fonte del regolamento negoziale. Tale nozione risulta a nostro avviso esattamente designata impiegando il termine di soggetto-autore, anziché quello di parte, sia pure «in senso formale», come specifica la dottrina. L'altra invece si individua in funzione della spettanza degli interessi regolati col negozio e gode di una propria autonomia concettuale per nulla dipendente dalla sua proiezione nella situazione effettuale, anche se, per comodità di linguaggio, può determinarsi con il termine «soggetto-parte», riservato a rigore a quest'ultima posizione”
10 Per più approfondite considerazioni circa la rilevanza economica e sociale del negozio si rinvia a X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 43 ss.;
del fenomeno sono per lo più conformi agli obiettivi che le parti hanno inteso conseguire con il compimento dell’atto11.
Il negozio, in questo, si distingue dalla categoria dei meri fatti ai quali l’ordinamento riconduce determinate situazioni effettuali per il solo verificarsi di un significativo accadimento nella realtà fattuale, prescindendo da qualsiasi considerazione circa la coscienza e la volontà che hanno accompagnato l’agire del suo autore (anche quando il fatto in questione non è un mero evento naturale, bensì un comportamento umano).
A questo punto, sempre in conformità all’economia di questa indagine, pare non potersi prescindere da un maggiore sforzo di specificazione concernente le tre diverse dimensioni nelle quali il negozio svolge la sua essenza e nelle quali il soggetto si relaziona ad esso, non mancando di sottolineare che, nonostante le diverse dimensioni, il negozio costituisce sempre un'unica, seppur complessa, unità economico-giuridica12.
La prima dimensione nella quale il soggetto si rapporta al negozio è quella del fatto. L’atto di autonomia privata potrà assurgere a oggetto di valutazione giuridica solo quando saranno stati
11 Così X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 239 ss. secondo cui “la legge ricollega situazioni giuridiche nuove (finali), che, nella loro differenza dalle situazioni preesistenti (iniziali), corrispondono, secondo la valutazione legislativa, alla destinazione economico-sociale del tipo di negozio, e che insieme appaiono più congrue al regolamento d’interessi normalmente avuto di mira dalle parti”. La dottrina ha discusso in merito alla configurazione da attribuire alla volontà degli effetti, interrogandosi se debba trattarsi di una volontà dei risultati pratici che si vogliono raggiungere (cd. ‘‘intento empirico’’), ovvero se debba trattarsi di una volontà diretta alla produzione di determinati effetti giuridici (cd. ‘‘intento giuridico’’), orientandosi prevalentemente nel primo senso, sia per la ragione che gli autori dell’atto non sempre sono pienamente consapevoli degli effetti giuridici che ne possono discendere, avendo essi interesse predominante alla realizzazione di quelli pratici; sia per la considerazione che la qualificazione e determinazione degli effetti che seguono ad un determinato atto, o comportamento, spetta all’ordinamento statuale e non ai privati che pongono in essere l’atto. Tale conclusione non è, pero`, da tutti condivisa. Contro l’irrilevanza dell’intento giuridico si è, infatti, schierato chi ha segnalato come, pur in presenza di un prevalente intento pratico delle parti, la creazione di un atto di autonomia privata non può prescindere, per la stessa configurazione di tale atto, dalla consapevolezza nelle parti di un intento di rendere giuridicamente rilevante il loro rapporto e di volere, accanto al risultato pratico, la realizzazione degli effetti che l’ordinamento a quell’atto, o a quel rapporto, riconosce. Circa i modi di operare dell'autonomia privata nell'ambito dell'ordinamento giuridico, si vedano, X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto italiano, Napoli,
p. 63 ss.; ; E. CAPOBIANCO, La determinazione del regolamento, in Trattato del contratto, diretto da Xxxxx, II, Regolamento (a cura di Vettori), Milano, 2006; X. XXXXXXXXXX, Sul contenuto del contratto, Milano, 1966; X. XXXXXXXXX, L'autodisciplina : autonomia privata e sistema delle fonti, Napoli, 2000; X. XXXXXXXXX, L’oggetto del contratto, in Il Codice Civile, Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000. X. XXXXXXX, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978. X. XXXXXXX, L’autonomia negoziale, Torino, 2011; G. PALERMO, L’autonomia negoziale nella recente legislazione, in Giur. it., 2015; X. XXXXXXX, Autonomia privata e regole di validità: le nullità conformative, in Riv. dir. civ., 2011; X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992; X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata, Enc. dir., IV, Varese, 1959; SALV. ROMANO, Autonomia privata, Milano, 1957; XXXXX XXXXXX, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1946; X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004; SALV. XXXXXX, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano 1961; X. XXXXXXX, Autonomia privata nei contratti e negli atti giuridici, in Riv. dir. civ., 1957, I, p. 265 e ss.
12 È proprio la sua unitarietà a porre i maggiori problemi di qualificazione delle posizioni soggettive facenti capo ai soggetti che ad esso si rapportano. Nella prassi negoziale, ad esempio, un contratto di compravendita sarà un unico negozio ancorché esso sia un atto compiuto da uno o più soggetti che regolano interessi propri o che potrebbero far capo ad altri, e a prescindere dalla possibilità che il regolamento di interessi sia stato predisposto nel senso di produrre effetti nella loro sfera giuridica o in quella di soggetti che non hanno partecipato all’atto e i cui interessi non sono stati oggetto del regolamento. Questo semplice esempio mostra quanti soggetti possono venire coinvolti nella realtà espressa dal singolo negozio, e come tali soggetti possono variamente rapportarsi ad esso.
integrati nella realtà oggetto della valutazione tutti gli elementi della fattispecie descritta nello schema formale predisposto dalla norma. Perché ciò avvenga, è intuitivo, deve verificarsi un determinato accadimento che, per poter essere giuridicamente rilevante, dovrà essere percepibile all’esterno13. Il negozio sarà un fatto esteriore, un fatto avente consistenza reale e come tale conoscibile e valutabile. Ma non sarà assunto dall’ordinamento come mero accadimento cui ricondurre le conseguenze previste dalla norma; esso verrà fatto oggetto di una particolare valutazione, la quale avrà riguardo della coscienza e volontà che sostenevano l’agire dell’autore all’atto della determinazione del suo contenuto.
Il negozio si rivela dunque come un fatto consistente in un comportamento umano caratterizzato da un preciso contegno interiore, assolutamente rilevante nell’economia della sua essenza giuridica. Il soggetto in questo caso potrà assumere delle posizioni ben precise e distinte in relazione al fatto in cui viene a consistere il negozio. Come si vedrà nei prossimi paragrafi, infatti, esso potrà prendere parte al procedimento di formazione della fattispecie e, quindi, assumere una posizione avente qualificazione giuridica specifica o, diversamente, non prendere alcuna parte allo stesso procedimento, rimanendovi estraneo; anche in questo caso la sua posizione sarà comunque suscettibile di una qualificazione altrettanto precisa.
Ora, facendo ricorso alla terminologia propria della concezione teorica cui sopra si è fatto ampiamente cenno, la posizione ricoperta dal soggetto nella vicenda costitutiva assumerà primaria importanza nel procedimento di qualificazione giuridica. Infatti, al momento di riconduzione delle conseguenze giuridiche predisposte dalla norma alla fattispecie oggettiva consistente nel negozio,
13 Così Così X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 68. L’autore nel criticare la teoria volontaristica del negozio, sottolinea la necessità che la volontà, da intendere come “concreto orientamento e presa di posizione rispetto a certi interessi”, si renda “esteriormente riconoscibile nell’ambiente sociale, per poter acquistare rilevanza in confronto dei consociati e ottenere la tutela dell’ordine giuridico”. Il negozio, in tal senso, dovrebbe soddisfare un’esigenza di riconoscibilità, cioè essere un fatto socialmente riconoscibile, che contiene essenzialmente una statuizione, ‘‘un precetto dell’autonomia privata’’, in ordine ai concreti interessi dell’autore o degli autori del negozio, destinato ad avere efficacia costitutiva, cioè a spiegare immediatamente gli effetti in tale precetto previsti, secondo quella che è la sua funzione, cioè la sua causa. È la c.d. teoria precettiva del negozio giuridico. Il nuovo inquadramento dogmatico della figura del negozio giuridico, così descritto, subisce un mutamento di prospettiva dal profilo soggettivistico e psicologico, che faceva leva sul rilievo accordato nella sua struttura alla volontà e alla dichiarazione, a quello oggettivo e funzionale, nel quale emerge il carattere del negozio quale strumento idoneo a regolare con effetti giuridici gli interessi e i rapporti dei privati. La causa è presa in considerazione dal diritto sia quale ragione giustificatrice del negozio, sia quale criterio direttivo per la predeterminazione e produzione degli effetti giuridici, e pratici, a quella causa conformi e corrispondenti. Gli effetti del negozio sono infatti determinati dall’ordinamento in conformità con la funzione del negozio, poiché il negozio, secondo questa teoria, è ‘‘essenzialmente una statuizione, una disposizione, un precetto dell’autonomia privata in ordine a concreti interessi propri di chi lo pone’’. La manifestazione, cioè, del potere che l’ordinamento attribuisce e riconosce ai privati, ai soggetti di diritto, di creare un loro proprio e concreto autoregolamento di interessi, una regola giuridicamente vincolante e produttiva di effetti materiali in grado di modificare la realtà sulla quale essa è destinata ad incidere. La teoria precettiva, tuttavia, non afferma la identificazione del negozio con la norma, ma tende a mantenere distinti il concetto e l’efficacia del negozio, da un lato, e della norma giuridica, dall’altro, poiché vuole soltanto porre in evidenza che il negozio giuridico, proprio in forza della legge, assume la rilevanza di un precetto, il cui contenuto si traduce in una regola in base alla quale devono poi valutarsi i rapporti conseguenti. Il negozio non costituisce una norma che vincola per forza propria, ma è un regolamento impegnativo, in virtù del rilievo che una norma dell’ordinamento gli riconosce e attribuisce.
farà seguito un secondo passaggio logico nel quale le suddette conseguenze verranno riferite ad una determinata sfera giuridica soggettiva.
Questo procedimento di riconduzione, definito dall’eminente dottrina “processo di legittimazione soggettiva”14, e sostanziantesi nell’investitura del soggetto nella situazione giuridica creata, assumerà, normalmente, come “elemento indicativo” individuante la persona cui dovranno attribuirsi gli effetti derivanti dall’atto, la posizione del soggetto cui sia imputabile il contegno che ha dato vita alla vicenda negoziale oggetto della valutazione giuridica. Non sempre, però, la paternità dell’atto15 sarà unico elemento indicativo dirimente la questione della riferibilità delle diverse situazioni effettuali sorte con il negozio. Altre volte saranno diversi o ulteriori elementi della fattispecie lato sensu intesa a fare sì che le stesse situazioni siano imputate ad una sfera giuridica diversa da quella dell’autore.
Queste brevi considerazioni permettono fin da ora di prendere contezza della utilità di un’opzione di metodo che voglia considerare il complesso fenomeno relazionale distinguendo le diverse dimensioni nelle quali esso si svolge.
Altra dimensione nella quale la relazione soggetto – negozio si svolge è quella dell’interesse16. Non vi sono dubbi che il negozio si presenti nella sua essenza extra-giuridica come strumento impiegato dai privati per dare regola a loro precisi interessi.
L’interesse, tuttavia, è realtà che precede il negozio giuridico, esso esprime il “valore di una relazione con il reale non ancora qualificata dall’ordinamento”17 e della quale è sempre termine essenziale un soggetto, il cui tendere ad una determinata “utilità”, riferita dal medesimo ad un’entità qualsiasi del mondo reale, costituisce il sostrato materiale di quel valore.
È in questa prospettiva “funzionale”, o “dinamica”, che l’ordinamento assume l’interesse dei privati predisponendo tutta una serie di strumenti giuridici atti a garantirne la realizzazione e la tutela in ragione dell’essere tale interesse giuridicamente meritevole alla stregua dei valori che l’ordinamento fa propri nel momento storico in cui viene operata la valutazione. In via del tutto
14 X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit., p. 70 ss.
15 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 80 ss. secondo cui è” soggetto del negozio, o “parte” (in senso formale) colui al quale, secondo la valutazione della coscienza sociale che la legge fa propria, spetta la paternità dell’atto”. L’autore non manca di precisare che al medesimo soggetto non deve essere riferibile la sola forma dell’atto – la dichiarazione o il comportamento – ma anche il contenuto dell’atto negoziale. Sottolineando così la possibile scindibilità tra soggetto cui è riferibile la “forma” dell’atto e soggetto cui è invece riferibile il “precetto” contenuto nel negozio. Circa l’attribuzione della “paternità” del negozio al suo autore si vedano anche X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 24 ss.; X. XXXXXXXXXX, La prova civile, II ed., Roma, 1947, p. 190 ss.; X. XXXXXX, Il contratto con sé stesso, Napoli, 1982, p 44 ss.; X. XXXXX, Il concetto di parte, in Riv. dir. civ., 1957, p. 69 ss.; X. XXXXXXX, La paternità delle scritture. Sottoscrizione e forme equivalenti, Milano, 1997, p. 43 ss. Si segnala, inoltre, X. XXXX, La ripetizione del negozio giuridico, Milano, 1970, p. 27, nota 68, il quale ritiene che “i due termini (‘autore’ e ‘parte’) ricevano scarsa luce dall’indagine etimologica, e siano quindi da assumero con un significato convenzionale o stipulativo”
16 X. XXXXXX, Efficacia giuridica, voce in Enc. dir, p. 452 ss.
17 X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 33.
esemplificativa se ne può ricavare che la titolarità dell’interesse regolato con il negozio, costituisca un altro “elemento indicativo” della situazione di fatto assunta nello schema valutativo apprestato dalla norma che consente di riferire le situazioni effettuali scaturenti dalla fattispecie ad un determinato soggetto, che, nel caso di specie, sarà il titolare dell’interesse regolato con il negozio.
Si sono così già enucleate due diverse ipotesi di investitura del soggetto nelle situazioni effettuali scaturenti dal negozio giuridico.
La prima riguarda la relazione che si pone tra il fatto e il suo autore, la seconda invece riguarda la relazione che si pone tra il regolamento di interessi sotteso al negozio e i soggetti cui siano riferibili gli interessi che sono stati oggetto della regola.
Legata in maniera connaturale a quella dell’interesse, così come a quella del fatto, è poi la dimensione propriamente giuridica dell’effetto. Una volta ottenuto il riconoscimento dell’ordinamento, infatti, si vede la titolarità dell’interesse svolgersi nella titolarità di situazioni giuridiche atte ad assicurarne la realizzazione. Queste situazioni giuridiche altro non sono che le conseguenze che l’ordinamento riconduce alla fattispecie negoziale: gli effetti del xxxxxxx00. Ma, come sottolineato dall'eminente dottrina, prima ancora della produzione delle singole situazioni effettuali che consentono di realizzare sul piano del diritto la funzione pratica del negozio, questo da vita ad una situazione giuridica nuova, per il solo fatto di venire ad un’esistenza rilevante per il diritto19.
Una volta di più, i rilievi che precedono, consentono di sottolineare il divario che sempre si pone tra il soggetto e il negozio. Anche sul piano effettuale, infatti, il negozio si presenta come un momento distinto e autonomo, se rapportato a tutte le altre situazioni effettuali di cui esso è comunque causa. Il soggetto, secondo il meccanismo che più volte si è descritto, verrà investito nelle situazioni giuridiche prodotte dalla fattispecie, ma il negozio sarà esso stesso situazione giuridica, anche nell’ipotesi in cui queste conseguenze non dovessero venire ad esistenza (emblematica è l’ipotesi del negozio i cui effetti siano dalle parti differiti nel tempo). Pur mancando
18 Data l’enorme mole di opere in materia di effetti ed efficacia del negozio, non è pensabile in questa sede profondersi nel tentativo di dare indicazioni bibliografiche che abbiano pretesa di esaustività. Ci si può limitare a segnalare alcune delle principali trattazioni fatte sull’argomento: si vedano, X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III: Il contratto, Milano, 2000; X. XXXXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, Milano 1997; X. XXXXXXXXXX, Note sul concetto di fattispecie giuridica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962.; X. XXXXXXXXXX, Nota breve sulla “fattispecie”, in Riv. dir. civ., 2015; X. XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, Torino, 2000; X. XXXXXXX, Effetti del contratto. Rappresentanza. Contratto per persona da nominare, in Commentario cod. civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca, Libro IV, Delle Obbligazioni, (Artt. 1372-1405), Bologna-Roma, 1995; X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, X. XXXXXX, Efficacia giuridica, voce in Enc. dir., pp. 432 ss.; X. XXXXXX, La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939; X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, in Trattato. di diritto civile, diretto da SACCO, II, Torino, 2004; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1962; X. XXXXXXXXXXXX, Fatto giuridico e fattispecie complessa (considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1954, p. 337 ss.;
19 X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., p. 264
di efficacia immediata, certo non potrà dirsi il negozio non esistere, o non vincolare le parti a quanto le stesse hanno statuito in sede di conclusione dello stesso. Il negozio sarà in questo caso nuova situazione giuridica vincolante.
Seguendo l’eminente pensiero giuridico più volte richiamato in questa parte della trattazione, si può ravvisare nel tratto caratterizzante l’essenza del negozio, e cioè l’impegnatività del vincolo, una situazione effettuale preesistente e autonoma rispetto alle altre situazioni giuridiche soggettive prodotte dall’atto e come tale riferibile anch’essa a determinati soggetti20.
La distinzione tra i due momenti effettuali della fattispecie negoziale assume un importante rilievo anche nell’ottica di questa analisi, giacché si potrà rilevare che la situazione impegnativa dipendente dalla esistenza giuridica del negozio può ben riguardare determinati soggetti che non sempre necessariamente si identificheranno con i soggetti cui saranno riferibili le situazioni giuridiche finali prodotte dal medesimo atto.
Anche da questo punto di vista quindi, individuare - sul piano effettuale - il soggetto del negozio nel “soggetto del rapporto che si collega al negozio”21 non sembra soluzione da accogliere in maniera acritica. Se infatti è vero che nella maggior parte delle ipotesi i soggetti vincolati dall’atto saranno anche i soggetti nella cui sfera giuridica si riverseranno le conseguenze dell’atto stesso, è altrettanto vero che vi saranno altre ipotesi nelle quali, come si dimostrerà, i soggetti vincolati dal negozio potrebbero non necessariamente identificarsi con i soggetti legati dal rapporto giuridico sorto con esso.
Dalle brevi considerazioni svolte e dall’enucleazione delle diverse dimensioni nelle quali il soggetto può rapportarsi alla realtà negoziale, sembrerebbe potersi ricavare un primo risultato da cui procedere nel proseguo dell’indagine: il termine di “soggetto del negozio” difficilmente può assurgere al rango di vero e proprio concetto giuridico capace di rappresentare un’universalità di ipotesi caratterizzate dall’omogeneità.
Piuttosto, esso si caratterizza per la sua relatività. Si pone, cioè, come termine capace di descrivere situazioni soggettive determinate, se assunte da un certo punto di vista, ben potendo il medesimo termine rappresentare situazioni affatto diverse laddove impiegato da un altro punto di vista22. Sarà
20 In questo senso può affermarsi che l’effetto “esistenza del negozio” assuma una declinazione oggettiva nel momento in cui si pone come nuova realtà giuridica diversa da quella preesistente, ed una soggettiva nel momento in cui si pone come nova situazione giuridica impegnativa per le parti. Si vedano a proposito X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx e Zatti, Milano, 2001; X. XXXXXXX, Inesistenza e nullità nel negozio giuridico, Napoli, 1983; N. IRTI, Rilevanza giuridica, in Novis. dig. it., XV, Torino, 1968. X. XXXX, Oggetto del negozio giuridico, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965. X. XXXXX, La conclusione del contratto, in Riv. dir. civ., 1984; X. XXXXX, Conclusioni del contratto, in Riv. dir. civ., 1995.
21 X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 37.
22 Sembrerebbe giungere ad una diversa conclusione X. XXXXXX L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 24, ss., il quale afferma che l’espressione “soggetto negoziale” possa assumersi in una duplice accezione: “sia come soggetto autore – fonte del regolamento negoziale, soggetto cui spetta la paternità del negozio – sia come soggetto titolare dell’interesse regolato dal negozio.” Lo stesso autore, tuttavia, pur affermando la coincidenza tra soggetto titolare
il reale atteggiarsi della relazione instaurata a definire la posizione nella quale si trova il soggetto rispetto al negozio, e sarà in considerazione di questa che dovrà delinearsi il trattamento giuridico da riservare alla singola fattispecie.
L’affermata relatività di un concetto come quello di “soggetto del negozio”, che tanta parte ha avuto nelle trattazioni dedicate dalla dottrina all’argomento, suggerisce la preferibilità di una lettura del fenomeno giuridico che, evitando di arroccarsi nella ricerca di un concetto capace di racchiudere tutta un serie di ipotesi omogenee cui poter poi applicare il medesimo regime giuridico, si sforzi di indagare il singolo fenomeno dalle diverse prospettive cui esso si presenta per poter poi farne oggetto del trattamento ad esso più conforme23.
2. La nozione di parte: terminologia normativa ed elaborazioni dottrinali.
Delineate le dimensioni su cui il soggetto può rapportarsi a qualsiasi fattispecie negoziale, occorre compiere un ulteriore passo che da una impostazione teorica muova verso una impostazione più aderente alla realtà del fenomeno cosi come fatto oggetto di disciplina normativa. Obiettivo di questa indagine, d’altronde, non è la soluzione di una questione concettuale, né tanto meno quello di fornire termini in grado di descrivere compiutamente, dal punto di vista teorico, un determinato fenomeno, bensì quello di analizzare alcune fattispecie i cui contorni soggettivi non sempre si presentano all’interprete chiaramente delineati. Da qui le difficoltà
connesse alla determinazione del trattamento giuridico più adatto al caso concreto.
Calando l’indagine nel terreno del diritto positivo, un ampliamento della terminologia utile a descrivere il fenomeno si impone. Il nostro legislatore, infatti, ad un concetto caratterizzato da un certo grado di astrattezza concettuale - quale quello di “soggetto del negozio” - ha preferito una pluralità di nozioni in grado descrivere nella loro concretezza i vari aspetti soggettivi della fattispecie contrattuale24.
dell’interesse regolato e soggetto del rapporto giuridico che si ricollega al negozio, non manca di sottolineare la rilevanza non solo meramente economica, ma altresì giuridica della nozione di “soggetto dell’interesse”, il quale si pone come “concetto giuridico autonomo” rispetto a quello di” soggetto del rapporto giuridico”. In questo senso l’autore giunge a dimostrare la declinabilità del concetto in esame nelle tre dimensioni del fatto, dell’interesse e dell’effetto (o del rapporto).
23 La correttezza metodologica di questo approccio trova conferma negli scritti della prevalente dottrina tra cui: X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit. pp. 3 ss.; ID, Efficacia giuridica, cit., p. 452 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Fatto giuridico e fattispecie complessa (considerazioni critiche intorno alla dinamica del diritto), cit.,
p. 354 ss.; X. XXXXXX, La prescrizione come procedimento, Napoli, 1980, p. 29 ss; ID, Le obbligazioni. Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 3 ss.; X.X XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, pp. 152 ss.; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 46 ss.
24 Per una più puntuale riflessione sui diversi termini utilizzati dal legislatore riguardo al soggetto del negozio, vedi
X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 1 ss.
Alla molteplicità dei termini non corrisponde – almeno dal punto di vista di questa indagine - una molteplicità di significati, pertanto, i concetti solitamente utilizzati per la ricostruzione del fenomeno si limitano a quelli di “parte” e di “terzo”. La dicotomia si presta a ricomprendere ogni posizione nella quale ci si può trovare quando, presi in considerazione dall’ordinamento in ragione di una determinata vicenda negoziale, si debba essere investiti di una qualifica soggettiva rilevante per l’ordinamento.
Data l’ampiezza di significati che i due termini presentano, non ci si può esimere da un tentativo di specificazione volto ad individuare, all’interno di ciascuna categoria, caratterizzazioni del concetto tra loro distinguibili in ragione di un dato qualificativo, e non solo in ragione della diversa intensità del vincolo che lega il soggetto all’atto. Mentre, in un secondo momento, si tratterà di stabilire se le diverse caratterizzazioni così individuate meglio si prestino alla ricostruzione del fenomeno e ad una migliore demarcazione della linea di confine tra i concetti di “parte” e di “terzo”
Poste queste brevi premesse, il primo termine sul cui significato e sulla cui portata si deve indagare è quello di “parte”25. A tal fine non può prescindersi dallo studio delle norme più significative dettate dal legislatore in materia di contratto, in particolare quelle di cui agli artt. 1321, 1322 e 1372 c.c. che più di tutte ne definiscono l’essenza e la portata26.
Nella prima di queste viene fornita la nozione di contratto: esso vien fatto consistere dal legislatore del ‘42 in un “accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale” (art. 1321 c.c.)27. In questa prima disposizione le parti vengono individuate nei soggetti tra cui interviene l’accordo, e, quindi, in coloro cui sia imputabile il contegno conclusivo che ha dato vita al regolamento contrattuale. Tale deduzione è sorretta dalla struttura e dal tenore letterale della disposizione dove sono distinti chiaramente i due momenti essenziali del fenomeno contrattuale: l’accordo e il rapporto. La norma, infatti, può venire letta anche diversamente: i soggetti che vogliono instaurare tra di loro un rapporto giuridico patrimoniale, ovvero regolarne o estinguerne uno tra loro preesistente, debbono addivenire ad un accordo di cui devono esserne gli artefici. Xxxxx
25 Sul concetto di parte sono numerose in dottrina le opere che affrontano il problema di una sua definizione. Tra le più significative si possono segnalare X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, 2° ed., rist., 2002, p. 80 ss.; C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, Milano, 2000 p. 56 ss.; U. BRECCIA, art. 1321. Nozione, in Dei contratti in generale. Artt. 1321-1349, in Commentario del codice civile, diretto da X. Xxxxxxxxx, p. 37 ss.; X. XXXXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, Milano 1997, p. 125 ss.; X. XXXXXXX, Parte del negozio giuridico, voce in Enciclopedia giuridica; XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, Napoli, 1972,
p. 44 ss.; G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, voce in Enc. dir., p. 901 ss.; X. XXXXXXXX, Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. dir., X, 1962, p. 196 ss.; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 238 ss.
26 In questa prospettiva particolarmente significativa è l’analisi che del concetto viene fatta alla luce del dato normativo dal G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, cit., pp. 904 ss., il quale estende la sua analisi alle norme del codice civile previgente al fine di sottolineare il superamento di una nozione di parte strettamente legata al concetto di persona.
27 Sulla nozione di contratto si vedano per tutti X. XXXXXXXXXXXX, Contratti in generale, in Commentario cod. civ., a cura SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 1970; E. DEL PRATO, Requisiti del contratto. Art. 1325, in Il codice civile, Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxx, fondato da X. X. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000;
prima delle dimensioni su cui si svolge il fenomeno negoziale - quella del fatto - il concetto di parte del contratto individua colui, o coloro, cui sia riferibile la paternità dell’atto di autonomia e che come tali si presentano nella veste di “autori” del regolamento. Se ne ricava che sono parti del contratto i soggetti che partecipano al procedimento di formazione dello stesso determinandone e facendone proprio il contenuto28.
Sono numerose le norme del codice in cui per parte si intende il soggetto autore dell’atto: si possono leggere le norme dettate in materia di proposta e accettazione (artt. 1326 ss. c.c.); in altre ancora la parte si identifica con la persona fisica il cui contegno volitivo assume rilievo primario per la valida formazione dell’atto: si ha riguardo in particolare alle norme dettate in materia di vizi della volontà (artt. 1427 ss. c.c.). È chiaro che in queste ipotesi la parte non si identifica in un mero e astratto centro di interessi - come spesso molta dottrina si limita a definire la parte del contratto - ma in un soggetto concreto, la cui manifestazione di volontà - si risolva in una dichiarazione negoziale o in un qualsiasi altro contegno conclusivo - dovrà rimanere immune da vizi affinché il vincolo sorga validamente. È evidente, infatti, che di vizio del consenso si può parlare solo quando un qualsiasi accidente - sia esso riconducibile ad un’ipotesi di dolo, errore o violenza - intacchi il corretto svolgersi di un procedimento di formazione della volontà di cui può essere autore solo una persona fisica29.
Al concetto di “parte autore del contratto” sono poi ricondotte dalla dottrina anche le diverse questioni concernenti i profili “quantitativi” della nozione. Ci si riferisce alle tematiche riguardanti gli atti unilaterali e plurilaterali (o plurisoggettivi), gli atti collettivi, collegiali, complessi e in generale tutte quelle ipotesi dove il diverso atteggiarsi della partecipazione di più soggetti ad una determinata vicenda negoziale è legato al numero dei soggetti coinvolti. Nonostante l’attinenza all’oggetto di quest’opera, lo studio dell’argomento, viste le numerose declinazioni che esso può assumere, deve inevitabilmente rimettersi alle trattazioni che in maniera più puntuale si occupano dell’argomento30.
28 Sul punto si vedano, per tutti, X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 80 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, vol. IV, Torino, 1989; G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, cit., p. 904 e X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 24 ss.
29 Lo stesso vale per tutta quella serie di norme dove assumono rilievo ai fini della loro applicazione gli stati soggettivi (es. buona o mala fede, scienza o ignoranza) di una o di entrambe le parti contraenti (artt. 428, 1337,1391,1479 etc.)
30 Xxxx, X. XXXXXXXXX, Contratto plurilaterale; comunione di interessi; società di due soci; morte di un socio in una società personale di due soci, in Riv. Trim. dir. Proc. civ., 1953, p. 723; X. XXXXXXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, vol. IV, Torino, 1989; X. XXXXXXX, Gli atti plurisoggettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957; X. XXXXX, La formazione del contratto, in Cod. civ. comm. Xxxxxxxxxxx, Milano, 2018, p. 19 ss.; S. D’XXXXXX, La parte soggettivamente complessa, Milano, 2002, p. 27 ss.; X. XXXXX, voce Contratto plurilaterale, in Noviss. Dig. it., IV, Torino, 1964; X. XXXXXXXX, Riflessioni sul contratto plurilaterale, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1973; X. XXXXXXXX, Il negozio giuridico plurilaterale, Milano, 1927; CARRESI, Gli atti plurisoggettivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, p. 121.
Altra norma fondamentale è quella all’art. 1322, relativa all’autonomia di cui godono le parti nel determinare il contenuto del contratto, la quale, letta combinatamente alla prima, caratterizza il contratto come atto con cui le parti costituiscono, regolano o estinguono tra di loro un rapporto giuridico patrimoniale per il perseguimento di interessi che l’ordinamento valuta ex ante o ex post meritevoli di tutela. Alla dimensione del fatto come più volte sottolineato si affianca quella dell’interesse. L’agire dei contraenti è infatti teleologicamente orientato al perseguimento di un interesse che si realizza sul piano giuridico solo quando la situazione finale programmata dalle parti è conforme ai valori che l’ordinamento fa propri. Alla parte intesa come “soggetto autore del contratto” si affianca, quindi, la parte intesa come “soggetto titolare degli interessi” regolati con lo stesso”31.
Questa seconda accezione con cui si può intendere il concetto di parte viene spesso vista come nozione di natura economica, a cui può facilmente sovrapporsi la corrispondente nozione giuridica di “soggetto destinatario degli effetti prodotti dal contratto”. Tuttavia, la dottrina più attenta non ha mancato di sottolineare la presenza di alcune norme che assumono il soggetto prima ancora che come centro di imputazione giuridica delle situazioni effettuali scaturenti dal contratto, come soggetto i cui interessi sono coinvolti nel regolamento sotteso all’atto32.
Si possono prendere ad esempio le norme dettate in materia di contratto per persona da nominare (artt. 1401 ss. c.c.), dove a uno o a entrambi i contraenti, in sede di conclusione del contratto, è consentito di riservarsi la nomina di un’altra persona, che, successivamente, acquisterà i diritti e assumerà gli obblighi nascenti dal contratto. È evidente che in questa ipotesi il soggetto che partecipa al compimento dell’atto non viene in considerazione solo come soggetto autore, a differenza di quanto accade, per esempio, nelle ipotesi di rappresentanza diretta (in queste, infatti, il rappresentante non diventa mai - salvo ipotesi eccezionali - soggetto destinatario degli effetti del contratto, in quanto agendo in nome e per conto d’altri è totalmente estraneo al regolamento di interessi sotteso all’atto). Nella fattispecie di cui agli artt. 1401 ss. c.c., invece, il regolamento di interessi è predisposto da persona che ben può diventare parte del rapporto - così come può non diventarlo - qualora prima della scadenza del termine intervenga la c.d. electio amicii. Fino a tale momento esisterà comunque un regolamento di interessi giuridicamente rilevante e vincolante, riferibile al soggetto che lo ha posto in essere, e ciò a prescindere dall’incidenza che il relativo rapporto avrà sulla sua sfera giuridica33.
31 Da questi primi rilievi emerge una certa interscambiabilità tra i concetti di parte e di soggetto del negozio, presentandosi il primo come contenitore capace di rappresentare le diverse relazioni di prossimità che tra il soggetto e la fattispecie possono instaurarsi sul piano delle diverse dimensioni negoziali. In questo senso, X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 36 ss., il quale dopo aver distinto le varie declinazioni che può assumere il concetto di soggetto del negozio, sottolinea il superamento delle questioni ad esse relativi da parte della dottrina dell’“ampio concetto” di parte capace di “abbracciare” le diverse nozioni di soggetto del negozio.
32 X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., pp. 34 ss.
33 Sul punto si veda, X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 163 ss.
In questa ipotesi l’ordinamento rivolge la sua tutela al soggetto in ragione del suo interesse oggettivamente considerato in rapporto all’assetto negoziale programmato dalle parti, senza che abbia rilievo l’individuazione della sfera soggettiva su cui andrà ad incidere il contratto.
Come già si è visto, l’investitura nelle situazioni effettuali scaturenti dal negozio è momento distinto rispetto a quello della nascita del vincolo, il quale dipende dall’esistenza di un regolamento di interessi giuridicamente rilevante che, nella realtà di fatto oggetto di valutazione, potrebbe non aver visto ancora integrato l’elemento indicativo individuante il soggetto cui andranno imputati gli effetti della fattispecie negoziale34. Queste proposizioni consentono di affermare l’autonoma rilevanza di una posizione soggettiva che prima ancora di risolversi nella titolarità di situazioni giuridiche formali assurge al rango di posizione giuridicamente rilevante, e come tale oggetto di tutela da parte dell’ordinamento.
Nella stessa prospettiva pare utile indagare se la rilevanza della situazione di soggetto titolare dell’interesse sussista solo in un momento anteriore alla nascita del rapporto giuridico e sia destinata a venire meno dopo che ciò accade, o se invece la medesima posizione conservi - in alcune ipotesi - giuridica rilevanza anche quando, instauratosi tra le “parti” il rapporto negoziale, a questo rimangano estranei uno o più soggetti titolari di interessi comunque coinvolti nell’operazione contrattuale, anche se non oggetto diretto del regolamento. In altre parole, occorre chiedersi se l’affermata autonomia tra le posizioni di soggetto destinatario degli effetti negoziali e quella di soggetto titolare di interessi coinvolti nella vicenda continui a rilevare anche quando il rapporto si sia ormai instaurato35.
La questione, com’è facile capire, attiene alle problematiche concernenti l’accesso alle tutele negoziali da parte di chi non sia titolare del rapporto giuridico scaturente dal negozio. Numerosi sono nella realtà dei traffici giuridici i casi in cui il problema della individuazione delle tutele da riconoscere ai vari soggetti coinvolti nella vicenda viene preceduto da quello della individuazione dei soggetti cui accordare tutela. Nell’operazione di leasing, ad esempio, si può vedere il fornitore chiedere tutele che dovrebbero competere, secondo una rigida concezione del principio di relatività degli effetti del contratto, alle sole parti del contratto di finanziamento se intese come soggetti legati dal rapporto giuridico sorto dal negozio, e non invece a soggetti che a tale rapporto rimangono estranei. Tuttavia, sarà proprio la considerazione dell’interesse del fornitore rapportato
34 X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit., p. 70 ss.
35Su questo punto assumeranno particolare rilievo le considerazioni fatte dalla dottrina con riguardo alla figura dell’operazione economica. Per tutti si vedano COLOMBO, Operazione economica e collegamento negoziale, Padova, 1999; X. XXXXXXXXX, Contratto e operazione economica, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, VI aggiornamento, 2011; ID, Il contratto e le sue classificazioni, in Riv. dir. civ., 1997; ID, L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009; X. XXXXXXXXX, Autonomia privata, collegamento negoziale e struttura formale dell’operazione economica, in Giust. Civ., 2020, fasc. III, p. 445 ss.
al contratto cui dovrebbe essere estraneo a permettergli in alcuni casi l’esperimento di azioni contrattuali tipicamente spettanti alle parti.
Lasciando per il momento questioni che verranno approfondite in un'altra parte dell’opera, è importante sottolineare il rilievo che nell’economia di ogni singola vicenda contrattuale devono assumere tutti gli interessi coinvolti, anche quando i medesimi non costituiscono immediato oggetto del regolamento predisposto dai contraenti.
Ancora, è sempre sul piano dell’interesse che si fa avanti un’altra nozione di parte che prendendo in considerazione il profilo soggettivo del contratto dal punto di vista oggettivo del regolamento identifica la parte come “centro di interessi”36. La nozione, che si caratterizza per la sua oggettività, ha il pregio di “superare” le questioni che si legano al profilo soggettivo del concetto di parte. In questo essa si distingue dalle altre nozioni tendenti a caratterizzarsi in ragione del rapporto che lega il soggetto all’atto, mentre con la nozione di centro di interessi la parte si identifica nell’insieme di interessi omogenei cui viene a contrapporsi, nel regolamento negoziale, altro centro di interessi, e ciò a prescindere dalle posizioni che i soggetti coinvolti nella singola vicenda assumono.
La nozione in esame si presta a dare spiegazione e soluzione ad importanti questioni sostanziali, quali quelle legate alle tematiche dei negozi unilaterali e plurilaterali. Diversamente, quando la prospettiva muta verso le questioni concernenti la posizione di chi è parte e quella di chi è terzo rispetto ad una determinata operazione contrattuale, il concetto di parte come centro di interessi omogenei non fornisce significativi contributi ai fini della soluzione del problema. Si può infatti rilevare che l’individuazione di un astratto centro di interessi nulla dirà circa i soggetti che hanno posto in essere il regolamento contrattuale - il cui volere sarà comunque rilevante ai fini della validità e dell’interpretazione dell’atto - né sui soggetti nella cui sfera giuridica andranno a proiettarsi gli effetti dell’atto. L’astratto centro di interessi non sarà mai centro di imputazione di situazioni soggettive, le quali andranno sempre riferite alla sfera giuridica di determinati soggetti - siano essi persone fisiche o persone giuridiche - identificati in ragione degli interessi di cui sono titolari, e che possono non coincidere in tutto con il centro di interessi contrattuale complessivamente considerato. In questo senso una parte della dottrina giustamente afferma che “i concreti problemi della parte sostanziale attengono a tutti coloro che assumono la titolarità del rapporto e non al centro di interessi”37.
36 X. XXXXXXXX, Il negozio giuridico plurilaterale, cit., p. 11 ss., secondo cui “non esiste identità necessaria e costante tra la nozione di soggetto giuridico e la nozione di parte contrattuale. “Parte” significa centro di interessi”. Cfr. X. X’XXXXXX, La parte soggettivamente complessa, Milano, 2002, p. 114 ss.; CARRESI, Gli atti plurisoggettivi, cit. p. 1241 ss.; X. XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, Torino, 2014, p. 19 ss.; X. XXXXXXX, Parte del negozio giuridico, cit., p. 2 ss.; G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, cit., p. 909 ss.; X. XXXXXX, Il contratto con sé stesso, cit., p. 51 ss.
37 C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, cit., p. 54.
Trattando del concetto di parte nella dimensione dell’interesse si è fatto più volte cenno alla parte del rapporto contrattuale, individuando quest’ultima nel soggetto o nei soggetti che assumeranno la titolarità del rapporto, e nelle cui sfere giuridiche andranno ad incidere gli effetti prodotti dal contratto38.
La norma su cui poggia questa caratterizzazione del concetto assume primario rilievo per quanto riguarda il piano degli effetti del contratto. L’art. 1372 c.c., infatti, sancendo che “il contratto ha forza di legge tra le parti” e che “non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge” definisce non soltanto la portata del vincolo, ma altresì la sua estensione soggettiva: i soli destinatari degli effetti prodotti dal contratto saranno coloro che assumono la veste di parte, eccetto i casi previsti dalla legge. Questa impostazione pone però un problema logico che spesso viene tralasciato dalla dottrina che individua nelle parti i soggetti titolari del rapSpeoritnof.atti è corretta l’interpretazione che identifica le parti del contratto con i soggetti nella cui sfera giuridica andrà ad insistere il rapporto contrattuale, è altrettanto vero che il medesimo rapporto, secondo la norma di cui all’art. 1372 c.c., dovrà insistere sulla sfera giuridica di chi è investito dall’ordinamento della medesima qualifica: quella di parte. Da questo punto di vista il rapporto contrattuale si pone rispetto al concetto di parte tanto come elemento di caratterizzazione (è parte del contratto chi è titolare del rapporto) che come elemento caratterizzato (è titolare del rapporto chi è parte del contratto). In altri termini verrebbe a crearsi una sorta di “circuito delle qualificazioni”, nell’ambito del quale si tratterà di stabilire quale dei due elementi costituisca concetto caratterizzante e quale concetto caratterizzato.
Dalle considerazioni spese nel paragrafo precedente circa il procedimento di investitura del soggetto nella situazione giuridica, è desumibile come sia il trovarsi in una data situazione di fatto a costituire prius logico da cui dipende l’investitura (posterius) del soggetto nelle situazioni effettuali prodotte dalla fattispecie39.
Se ne può trarre, che nella fattispecie normativa di cui all’art 1372 c.c., le parti vengono in considerazione in un momento anteriore a quello della attribuzione degli effetti. È ovvio che il legislatore si rivolge a loro non come ai destinatari degli effetti negoziali - i quali, infatti, andranno a ricadere sulle sfere giuridiche dei soggetti che l’ordinamento individua come parti in ragione della loro particolare posizione rispetto al regolamento, e non invece in virtù di una situazione effettuale ancora da definirsi - ma come a coloro che verranno investiti della qualità di parte in
38 G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, cit., p. 905 ss.
39 Sull’argomento si veda X. XXXXXX, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, cit., p. 70 ss., il quale descrive il “processo di legittimazione soggettiva” come quel procedimento “con cui la conseguenza giuridica viene riferita ad un’altra fattispecie: il soggetto giuridico, secondo una direzione determinata astrattamente dalla norma di qualificazione, e concretamente dall’elemento indicativo della situazione di fatto primaria corrispondente all’ipotizzazione normativa”.
quanto autori del regolamento negoziale o in quanto titolari degli interessi che di questo sono oggetto. Solo dopo assunta la qualifica di parte tali soggetti diventeranno anche parti del rapporto contrattuale. Queste considerazioni permettono la enucleazione delle tre diverse declinazioni del concetto di parte ricorrenti in ogni singola fattispecie contrattuale e utili ai fini di questa indagine: a) parte autore del contratto; b) parte titolare degli interessi regolati con il contratto; c) parte del rapporto
giuridico sorto con il contratto.
Queste tre caratterizzazioni ricorreranno sempre in ogni singola fattispecie contrattuale, anche se non necessariamente aggregate nel singolo soggetto, giacché l’assenza anche di una sola delle tre significherebbe che: a) il contratto è inesistente, perché manca di un autore che lo ponga in essere; b) che il contratto è nullo ex art. 1418, perché non regolando alcun interesse manca di una funzione e, dunque, della causa; c) che il contratto è totalmente inefficace fin dall’inizio, non scaturendo dallo stesso neanche la minima unità effettuale, se pur solo provvisoria, consistente nella nascita del vincolo tra le parti contraenti.
Tutte e tre le declinazioni del concetto esprimono pertanto una distinta relazione tra il soggetto e il negozio, e ciascuna di esse è necessaria, perché espressione di una posizione qualificante assunta su una delle tre dimensioni ove completamente si invera l’essenza di ogni singola fattispecie negoziale. Il prossimo passo sarà dunque lo studio delle problematiche legate alle ipotesi in cui non vi è coincidenza nel medesimo soggetto delle tre posizioni soggettive nelle quali si può trovare chi è dall’ordinamento investito della qualità di parte contrattuale. Dopodiché dovrà indagarsi sulla possibile riferibilità di siffatte posizioni anche a soggetti che di regola l’ordinamento non qualifica come parti bensì come terzi.
3. L’eterogeneità delle posizioni soggettive riconducibili alla medesima qualifica di parte del contratto.
Una volta colte nella loro staticità le posizioni in cui può porsi chi è parte del contratto, l’indagine dovrà proseguire in una prospettiva che inquadri il fenomeno nel suo dinamismo. In particolare, dovranno affrontarsi le questioni che si pongono all’interprete ogni qual volta non vi sia coincidenza tra chi è parte in quanto autore del contratto e chi invece lo è perché titolare degli interessi regolati o del relativo rapporto.
In quest’ottica è opportuno accostare alle suddette posizioni soggettive l’altro termine della dicotomia cui si è fatto cenno quando si è parlato di parte, e che, in prima battuta, identifica chiunque non debba essere considerato tale: il terzo. Il nostro ordinamento, e per primo il nostro codice, fa impiego del termine ogni volta che, dovendo disciplinare un qualsiasi aspetto soggettivo della
fattispecie, si riferisce a chi, secondo i criteri innanzi esposti, non possa definirsi parte. Ne deriva una caratterizzazione del concetto marcatamente negativa: il terzo, infatti, si qualificherebbe non per un “essere” qualcosa o qualcuno, bensì per un “non essere” qualcosa o qualcuno e, più precisamente, per non essere parte della fattispecie che si prende in considerazione40
Volendo proseguire l’analisi del fenomeno tenendo distinte le diverse dimensioni in cui esso si esprime, risulta evidente che a seconda della dimensione prescelta chiunque non possa definirsi parte dovrà ritenersi terzo rispetto al contratto, pur non essendo tale quando la relazione con il medesimo venga vista da una prospettiva diversa.
Così, ad esempio, nelle ipotesi di rappresentanza diretta (art. 1387 ss. c.c.) quando la relazione soggetto-fattispecie viene assunta dal punto di vista del fatto, il rappresentante, il cui contegno conclusivo ha dato vita al contratto, sarà investito della qualità di parte in quanto soggetto autore, mentre il rappresentato nel cui nome e nel cui interesse si è agito, almeno sul piano del fatto, dovrà ritenersi terzo in quanto estraneo alla vicenda di formazione dell’atto.
Mutando la prospettiva da quella del fatto a quella dell’interesse, sarà invece parte chi è titolare degli interessi regolati, dunque, il rappresentato, rimanendo estraneo, e quindi terzo, il rappresentante che pure ha posto in essere l’atto. Lo stesso vale per il conseguente rapporto contrattuale, che sarà riferibile al rappresentato e non già al rappresentante, che anche da questo punto di vista dovrà ritenersi terzo.
Significativa nell’ottica prescelta è la definizione che di terzo e di parte offre un’autorevole dottrina, secondo la quale “è terzo, colui che non è parte del contratto, né in senso sostanziale, né in senso formale (nozione negativa). Ed è parte, colui che, non soltanto concorre a dar vita al contratto, ma, al tempo stesso, vi ha un interesse proprio e ne subisce gli effetti (nozione affermativa)”41. I concetti di parte e di terzo quindi - sempre secondo l’importante dottrina - si limiterebbero a vicenda, delineando reciprocamente l’uno i contorni dell’altro42.
40 Questa è l’impostazione che tradizionalmente viene proposta dalla dottrina che delle tematiche legate al concetto si è occupata. Tuttavia, non appena si supera una concezione particolarmente limitata e superficiale della nozione, ci si rende subito conto che il concetto, ben lungi dal porsi come un mero non essere, involge tematiche e istituti affatto irrilevanti o secondari per il diritto. Sulla rilevanza di una più meditata riflessione intorno al concetto di terzo, si veda G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, voce in Enc. dir., p. 915 ss., secondo cui “se è vero che la definizione del concetto di terzi si può anche desumere, in via negativa, da quella di parte, è, in una certa misura, vero anche il contrario e cioè che lo stesso concetto di parte può trovare elementi di chiarificazione e di individuazione in quello di terzi
41 X. XXXXXXXX, Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. dir., X, 1962, p. 196. Interessante è poi la definizione che di rappresentante propone l’autore: esso si porrebbe in una posizione “intermedia” tra quella di parte in senso sostanziale e quella di terzo, in quanto “pur partecipando alla formazione del contratto, ne resta estraneo nella fase di esecuzione”; da qui il ruolo di parte in senso formale. L’autore - così come la dottrina maggioritaria - mostra di intendere per parte in senso formale l’autore del contratto, mentre il concetto di parte in senso sostanziale non sembrerebbe essere perfettamente chiaro come il primo, giacché, secondo la definizione data, esso si identificherebbe nel soggetto che partecipa alla “fase di esecuzione del contratto”.
42 X. XXXXXXXX, Contratto nei rapporti col terzo, cit., p. 196. Invero, laddove si aderisce all’assunto per cui è terzo chi non è parte, difficilmente pare potersi ammettere una certa vicendevolezza tra i due termini nella delimitazione dei rispettivi significati.
Accolta dalla dottrina prevalente, la visione in esame propone il concetto di terzo come un concetto capace di descrivere una ben precisa posizione soggettiva caratterizzata dalla assoluta estraneità all’atto e al relativo rapporto. Estraneità rimarcata quando, pur mantenendo ferma la definizione di terzo come colui che non è parte, immediatamente viene avvertita la necessità di una specificazione dell’altro termine di riferimento ai fini di una più corretta impostazione del raffronto. In questo senso l’autore deve richiamare i concetti di parte in senso formale e di parte in senso sostanziale per poter poi individuare, per esclusione, il terzo in chi non ricopra né la prima, né la seconda delle due posizioni negoziali. Se ne deve dedurre che non può definirsi terzo chi assuma su di sé la veste di parte in senso formale o di parte in senso sostanziale 43.
Una lettura siffatta del fenomeno appare tutt’altro che esaustiva e soddisfacente una volta preso atto dei diversi connottati che le relazioni soggetto-negozio possono assumere a seconda dell’angolo visuale prescelto; ciò, soprattutto quando la dicotomia parte–terzo venga letta in un’ottica limitata al solo piano effettuale, avendo cioè come scopo esclusivo quello di discernere in maniera alquanto rigida i soggetti che risentiranno gli effetti dell’atto dagli altri che a questi rimarranno del tutto estranei.
Ovviamente non può nascondersi che la questione relativa alla portata effettuale di ogni singola fattispecie giuridica è questione assolutamente primaria, essendo il momento della produzione degli effetti giuridici ciò che distingue principalmente i fatti giuridici da ogni altra categoria di fatti, ma è altrettanto vero che nelle varie fattispecie – soprattutto quelle negoziali - tanto la dimensione del fatto quanto quella dell’interesse assumono rilievo non secondario se si vogliono definire nel modo più esatto i contorni di ogni singola vicenda.
Dunque, prima di indagare il fenomeno sul piano degli effetti del contratto, alcune considerazioni si dovranno spendere anche riguardo al compimento dell’atto e al regolamento di interessi a questo sotteso.
Ora, sulla prima delle dimensioni indagate, la parte si identifica con il soggetto, o con i soggetti, il cui apporto volitivo è necessario ai fini del compimento dell’atto. In questo senso si può parlare di parte autore del negozio, relegando chiunque non abbia preso parte al procedimento di formazione dell’atto ad una condizione di terzietà.
Xxxxxxx chiedersi se dalle varie norme dell’ordinamento possano ricavarsi significativi indici che rilevino la correttezza di una lettura siffatta. In altre parole, si tratta di vedere se il legislatore quando
43 Sulla validità delle due nozioni appena citate ci si dovrà soffermare più attentamente nel proseguo della trattazione, per ora sarà sufficiente rifarsi a quelli che sono i significati che alle due qualificazioni vengono dati dalla dottrina maggioritaria: sarà pertanto parte in senso sostanziale il soggetto “titolare del rapporto contrattuale”, mentre sarà parte in senso formale l’autore della manifestazione di volontà costitutiva dell’atto. Così C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, cit., p. 54 ss.
consideri il profilo soggettivo della fattispecie dal punto di vista del fatto identifichi come terzi tutti coloro che non hanno preso parte al compimento dell’atto, anche nell’ipotesi in cui alcuni di essi si trovino in una posizione niente affatto indifferente rispetto alla fattispecie esaminata.
Significativa in questo senso è la disciplina dettata in materia di rappresentanza volontaria, e in particolar modo le norme contenute agli artt. 1389, 1390, 1391 del codice civile.
L'art. 1389 c.c., riferendosi alla capacità del rappresentante e del rappresentato, stabilisce che affinché il contratto concluso dal rappresentante sia valido è sufficiente che questi sia capace di intendere e di volere (sempre “avuto riguardo della natura e del contenuto dell’atto”), essendo invece necessaria la capacità legale di agire del rappresentato i cui interessi sono oggetto disposizione (art. 1389 c.c.). Risulta evidente in questo caso che nonostante sia il rappresentante l’autore dell’atto, anche dal punto di vista del fatto certo il rappresentato non si pone come terzo il cui status soggettivo risulta totalmente irrilevante ai fini della valida posizione dell’atto. Il legislatore è chiaro nel sanzionare con l’invalidità l’atto che, pur compiuto da soggetto naturalmente e legalmente capace, venga compiuto nel nome e per il conto di un rappresentato legalmente incapace.
Considerazioni di analogo tenore si possono fare per gli altri due articoli menzionati, riguardanti uno la volontà di rappresentato e rappresentante, e l’altro gli stati soggettivi rilevanti riferibili sempre ai medesimi soggetti. L’art. 1390 c.c. pur statuendo che ai fini dell’annullabilità dell’atto debba indagarsi la volontà del rappresentante e non quella del rappresentato, alla volontà di quest’ultimo fa comunque riferimento quando il vizio del consenso riguardi elementi del contratto “predeterminati dal rappresentato”. Anche in questa ipotesi il rappresentato è soggetto la cui posizione non certo irrilevante nell’economia dell’intera vicenda, tanto è vero che nel caso in cui questi abbia, prima del compimento dell’atto, già disposto su tutti o alcuni dei suoi elementi, riguardo a questi ultimi non si terrà conto della volontà dell’autore dell’atto, assumendo invece esclusivo rilievo la volontà di colui che della vicenda è si parte, ma non in quanto autore.
L’altra norma, contenuta all’articolo 1391 c.c., nella stessa guisa di quella contenuta all’articolo precedente, attribuisce rilevanza agli stati soggettivi “di buona o di mala fede, di scienza o d’ignoranza” del rappresentante, eccetto i casi in cui “si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato”, in questo caso sarà importante, ai fini dell’applicazione delle varie norme che danno rilievo a tali stati, la buona o mala fede, la scienza o l’ignoranza del rappresentato.
Alla luce di tali considerazioni sembrerebbe corretta un’interpretazione dell’intera disciplina dettata in materia di rappresentanza che attribuisca la qualità di parte tanto al dominus quanto al
procurator, anche dal punto di vista esclusivamente fattuale, e ciò per il fatto che le norme dettate relativamente ai rispettivi stati soggettivi si riferiscono tanto all’uno quanto all’altro44.
Tuttavia, una lettura più attenta e fedele al dato normativo si impone. Il legislatore, le volte che la validità dell’atto concluso dal rappresentante viene fatta dipendere da uno stato soggettivo del rappresentato, e non del procurator, lo fa richiamando non genericamente il contratto – di cui indubbiamente è parte autore il rappresentante - bensì gli elementi contrattuali predeterminati dal rappresentato, e cioè le disposizioni contrattuali che sono state poste direttamente dal dominus, e rispetto alle quali il procurator assume le vesti di nuncius 45. Ne discende che quando il nostro ordinamento nelle fattispecie richiamate si riferisce alla volontà o agli altri stati soggettivi di chi non è autore dell’atto, lo fa riferendosi comunque a delle disposizioni negoziali di cui è autore un altro soggetto (in questi casi il rappresentato), la cui manifestazione di volontà ne ha determinato l’esistenza e il contenuto, e dei cui stati soggettivi dovrà quindi tenersi conto allorché sorga su tali disposizioni una questione di validità o di interpretazione.
Peraltro, in questa sede, viene da sottolineare come all’essere parte autore del contratto l’ordinamento non accordi rilevanza solo nella prospettiva dell’incidenza degli stati soggettivi sulla validità dell’atto (espressione dell’attività volitiva dell'autore). Infatti, la situazione di “paternità” dell’atto verrà assunta dall’ordinamento anche nell’ottica della riconduzione di tutta una serie di conseguenze giuridiche che ben poco hanno a che fare con gli effetti tipici dell'atto posto in essere46. In questo senso significativa è la disciplina dettata in materia di atti posti in essere dal falsus procurator eccedendo dai poteri conferitigli o in difetto assoluto di tali poteri (art. 1398 c.c.). In questi casi, di là dall’incidenza dei vari stati soggettivi, dall’aver assunto la qualità di parte autore dell’atto, al falso rappresentante non solo deriva l’essere responsabile “del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità dell’atto”, ma, altresì, il sorgere in capo allo stesso di una situazione di competenza dispositiva (ed eliminativa) in ordine alla medesima
44 Potendosi ricavare da tali rilievi un utile argomento a sostegno dell’esigenza di non relegare il dominus a terzo neanche per quanto riguarda l’attività posta in essere per il compimento dell’atto. Esigenza a cui - come vedremo - la dottrina maggioritaria cerca di fare fronte con la elaborazione di concetti che diano conto dei diversi modi di essere parte contrattuale.
45 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 545 ss., per il quale “l’indizio caratteristico che normalmente permette di riconoscere la figura del nunzio, consiste nella semplicità del compito affidatogli e nel fatto che egli non ha alcuna iniziativa nel dar forma alla dichiarazione né alcuna libertà di apprezzamento circa l’opportunità di compiere il negozio”. Di conseguenza “il vero autore del negozio resta qui pur sempre l’interessato, al quale allora spetta la paternità del contenuto precettivo del negozio” (nel nostro caso degli elementi predeterminati dallo stesso); vedi anche X. XXXXXXXXX XXXX, La rappresentanza in generale, in Tratt. dir. priv., diretto da XXXXXXX, Il contratto in generale, Torino, 2002. Per un più approfondita disamina delle diverse posizioni del nuncius e del procurator, e dei diversi modi di imputazione dell’attività da questi svolta, si veda X. XXXXXXX, Xxxxxxxxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxx xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 95 ss.
46 Circa il diverso incidere delle conseguenze giuridiche vincolanti dipendenti dalle dichiarazioni del falsus nuncius e del falus procurator, nonché circa i criteri di imputazione di tali conseguenze, si veda X. XXXXXXX, Autoresponsabilità e autonomia privata, cit., p. 95 ss. Significativi spunti si possono trovare - in particolare - p. 100, ove si sottolinea come il dominus rimanga impegnato per le inesatte dichiarazioni del nuncius, non invece per quelle del falsus procurator.
fattispecie. La quale potrà venire eliminata - prima che intervenga la ratifica del rappresentato ex art. 1399, comma 1, c.c. - in virtù di un ulteriore contratto, concluso con l’altro soggetto parte autore dell’atto (terzo rispetto alla vicenda rappresentativa), che avrà la funzione di sciogliere il negozio che si era concluso in difetto di poteri rappresentativi47.
Da tali considerazioni emerge come l’accezione di parte intesa quale soggetto autore dell’atto, di là dall’assurgere a formula descrittiva di una posizione negoziale suscettibile di integrare elemento indicativo individuante il soggetto cui andranno riferite le situazioni effettuali scaturenti dalla fattispecie, configuri, essa stessa, fattispecie giuridica, dal momento che a tale situazione di fatto l’ordinamento riconduce conseguenze giuridiche che non si produrrebbero altrimenti.
Generalizzando si può dunque affermare che il legislatore quando assume il soggetto dal punto di vista della manifestazione di volontà produttiva del negozio, lo fa sempre riferendosi a chi di questa è autore, in quanto è a questi direttamente imputabile la dichiarazione o il contegno concludente, rimanendo, invece, terzo, almeno sul piano del fatto, chiunque non sia in alcun modo coinvolto nel momento dispositivo48.
Tali conclusioni sembrano potersi estendere anche ad altri istituti, diversi dalla rappresentanza, caratterizzantisi per la potenziale o fisiologica scissione tra il soggetto che del contratto è autore ed il soggetto che assumerà su di sé tutti o alcuni degli effetti derivanti dal contratto: quali il contratto per persona da nominare (artt. 1401 ss. c.c.), la fattispecie della cessione del contratto (artt. 1406 ss. c.c.) e, a fortiori, il contratto a favore di terzi (artt. 1411 ss. c.c.).
Nel primo degli istituti richiamati, ad esempio, l’eletto, nonostante l’assunzione degli obblighi e l’acquisto dei diritti nascenti dal contratto (art. 1401 c.c.), dovrà ritenersi terzo rispetto alla fattispecie di posizione dell’atto, del cui relativo rapporto è titolare; così come terzo dovrà ritenersi il cessionario della posizione contrattuale del cedente nelle fattispecie di cessione del contratto (art. 1406 c.c.). Un valido argomento a sostegno di tali assunti è la irrilevanza degli stati soggettivi dell’eletto e del cessionario ai fini della validità del contratto concluso: l’eletto la cui volontà era viziata al tempo dell’accettazione (art. 1402, comma 2) potrà far valere l’invalidità della dichiarazione con la quale ha accettato la nomina fatta da chi ha concluso il contratto, rendendo quest’ultima inefficace, ma il contratto rimarrà comunque valido e produttivo di effetti, che si riverseranno non nella sfera giuridica del nominato bensì in quella dell’autore del negozio (art.
47 Sui temi della competenza a disporre della vicenda negoziale per mezzo di un contratto eliminativo e del “potere dispositivo in ordine alle singole situazioni giuridiche soggettive coinvolte nella vicenda effettuale” si vedano, X. XXXXXX, I modi di estinzione delle obbligazioni. Le obbligazioni, Tomo II, in Tratt. dir. priv., diretto da Xxxxxxx, Torino, 2002, p. 23 ss.; X. XXXXXXXX, Il mutuo dissenso, II ed., Milano, 2015, p. 112 ss., ove viene trattato l’argomento della competenza dei privati di disporre, eliminandola, della vicenda negoziale cui hanno partecipato, compatibilmente alle esigenze di tutela del principio di intangibilità delle sfere giuridiche altrui.
48 Sul tema dell’imputazione dell’atto al suo autore, si veda, per tutti X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 24 ss.
1405 c.c.). Rilievi di analogo tenore si possono fare per gli stati soggettivi del cessionario del rapporto contrattuale nelle ipotesi di cessione del contratto: questi, infatti, potrà far valere l’invalidità del negozio con il quale si è trasferita la posizione contrattuale del cedente, senza che ciò determini in alcun modo una vicenda rilevante ai fini della validità del contratto oggetto di cessione, che continuerà ad essere valido ed efficace tra le sue parti originarie.
Ancora più inequivoca sotto questo profilo è la fattispecie del contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.). Qui il legislatore ammette la possibilità che le parti del contratto dispongano che tutti o alcuni degli effetti favorevoli di questo vengano deviati nella sfera giuridico-patrimoniale di un soggetto estraneo tanto alla fattispecie di posizione dell’atto quanto al regolamento di interessi con questo disposto; escludendo, però, qualsiasi rilevanza alla non estraneità del terzo al rapporto che con il contratto è sorto ai fini di una sua possibile investitura nella qualità di parte, in quanto destinatario di alcuni degli effetti che il contratto produce.
Da quest’ultima scelta si è desunto che l’essere mero destinatario di effetti negoziali non importa necessariamente l’investitura in una posizione giuridica descrivibile con il concetto di parte, e ciò anche quando il terzo beneficiario delle proiezioni effettuali favorevoli manifesti la sua adesione al programma negoziale predisposto dai contraenti49. Il terzo rimarrà comunque terzo nella fattispecie di cui agli artt. 1411 ss., continuando ad essere del tutto estraneo – almeno sul piano del fatto - alla fattispecie da cui discendono gli effetti di cui esso beneficia50.
Le considerazioni fatte riguardo alle fattispecie di cui sopra mostrano ancora una volta le difficoltà che si incontrano quando con un concetto tanto ampio - come è quello di parte - si vogliano descrivere nel dettaglio i diversi aspetti che il negozio presenta sotto il profilo soggettivo. Già nella dimensione del fatto – dove dovrebbe essere meno ardua la individuazione delle parti e dei terzi – emergono le perplessità cui da luogo l’identificazione dei terzi con i soggetti che nella economia della singola vicenda giuridica non solo possono assumere una posizione rilevante, ma addirittura primaria, come è nei casi della rappresentanza o del contratto per persona da nominare.
49 Cass., 4 febbraio 1988, n. 1136, nella quale si afferma che” nel contratto a favore di terzo, quest'ultimo non è parte né in senso formale né in senso sostanziale e deve limitarsi a ricevere gli effetti di un rapporto già validamente costituito e completamente operante”. Cfr. Cass., 24 dicembre 1992, n. 13661, dove alla terzietà del beneficiario del contratto consegue che “gli atteggiamenti soggettivi rilevanti ai fini della sua annullabilità - sia sotto il profilo della riconoscibilità dell'errore, che sotto il profilo del dolo - rimangono esclusivamente quelli dei contraenti, mentre nessuna rilevanza assumono, normalmente, quelli del terzo”. Così anche Cass, 20 gennaio 2005, n. 1150.
50 In dottrina si vedano sul punto, X. XXXXXXXX, Del contratto a favore di xxxxx, in Commentario cod. civ., a cura Xxxxxxxx e Branca, Bologna-Roma, 2004; X. XXXXXXXXXX, Azioni dirette e “tangibilita” delle sfere giuridiche, Napoli, 2000; X. XXXXX, art. 1411. Contratto a favore di terzi, in Dei contratti in generale. Artt.1387-1424, in Commentario del codice civile, diretto da X. Xxxxxxxxx; L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997; X. XXXXXXX, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, Napoli, 1962; X. XXXXXXXX X., Il contratto e i terzi, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 1999; M. SESTA, Interesse, causa e motivi nella stipulazione a favore di terzo, in Studi in memoria di X. Xxxxx, Milano, 1994; X. XXXXXX, Il contratto a favore di terzi, in Trattato del contratto diretto da X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, Vol. III, X. XXXXXXX, Degli effetti del contratto nei confronti dei terzi, in Tratt. Bessone, XIII, Il contratto in generale, Torino, 2002.
È in ragione di queste perplessità che la dottrina si è preoccupata di fornire uno “strumentario” di concetti più ampio, con il fine di descrivere il particolare svolgersi di queste ipotesi di “scissione delle posizioni soggettive” servendosi di termini capaci di rappresentare al meglio ogni sua peculiarità.
Il primo di questi tentativi ha portato la dottrina più risalente ad individuare le due diverse posizioni soggettive di soggetto del negozio e di soggetto del rapporto. Identificandosi il primo con il soggetto autore della manifestazione di volontà e l’altro nel titolare del rapporto giuridico scaturito con il negozio51. Sulla base di questa distinzione è stata poi elaborata dalla dottrina meno risalente la dicotomia parte in senso formale e parte in senso sostanziale. La prima accezione individua “le parti che intervengono alla conclusione del negozio” cui si contrappongono le parti identificate con la seconda accezione, e cioè le “parti rispetto agli effetti”52. L’impostazione, nonostante il suo quasi unanime accoglimento da parte di dottrina e giurisprudenza, non solo viene fatta oggetto di critica da parte di alcuna dottrina - che, pur minoritaria, risulta essere quella che più approfonditamente si è occupata dell’argomento53 - ma rivela una certa divergenza di vedute anche da parte di chi ne è convinto assertore54. Così se per il termine di parte in senso formale è unanime la lettura fattane in
51 Così X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 24 ss. Sul punto sembra cogliere nel segno la critica mossa alla distinzione dal G.B. FERRI Parte nel negozio giuridico, cit., p. 912), il quale pur ammettendone la correttezza – nella particolare ipotesi di cessione del contratto -, accorda ad essa “un valore nulla più che “cronologico”. L’autore, infatti, sottolinea come per essere parti di un qualsiasi rapporto negoziale si dovrà sempre porre in essere un negozio – di cui si è parti – anche nell’ipotesi in cui tale negozio si ponga come passaggio necessario per poter subentrare ad un altro rapporto giuridico cui ha dato vita un autonomo e distinto negozio (costitutivo).
52Le definizioni riportate nel testo sono tratte da X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p.
238.
53 X. XXXXXX, Il contratto con sé stesso, cit., p. 50 ss., l’autore denuncia esplicitamente la “grave censurabilità” dei due termini della dicotomia: il primo, parte in senso formale, per definizione disancorato da qualsivoglia legame con gli interessi dedotti in negozio, mal si concilierebbe con l’unanime lettura del concetto di parte come centro di interessi (inteso come “punto di coagulo degli interessi confluenti nell’atto di autonomia”). Il secondo, parte in senso sostanziale, finendo per individuare il soggetto nella cui sfera andranno ad incidere gli effetti dell’atto – “il termine soggettivo di imputazione degli effetti” – eleverebbe – sempre secondo l’autore – al rango di parte un “semplice destinatario (quantunque in via diretta) delle vicende scaturenti dall’atto. Mentre l’essere mero destinatario degli effetti cc.dd. diretti dispiegati da un negozio non autorizza in alcun modo a discorrere di parte, sia pure soltanto in senso “sostanziale”. La puntuale critica mossa dall’autore mostra il fianco ad un rilievo non secondario: infatti, la lettura del secondo concetto di parte, sul quale poggiano le sue riflessioni critiche, viene limitata al solo profilo dell’imputazione degli effetti, quando, invece, la dottrina più attenta, nei casi in cui del termine ha fatto uso, raramente lo ha inteso discostandosi dal profilo dell’interesse. Si veda per tutti X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 82; Sull’argomento, in senso critico, si veda anche G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, cit., p. 913.
54 Tra i fautori di questa lettura si deve segnalare X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 82 ss., il quale, definendo parte in senso sostanziale “ il soggetto dell’interesse col negozio regolato”, ammette la sua attribuibilità ai soli soggetti che risentono direttamente ed esclusivamente degli effetti del negozio posto in essere da un soggetto diverso dall’interessato (come nella rappresentanza), mentre, nelle ipotesi in cui gli effetti del contratto si producono nei confronti del titolare dell’interesse regolato non direttamente, ma solo di riflesso, come nella gestione di affari altrui senza rappresentanza (art, 2031), come nel contratto a favore di terzo (art. 1411) o nella cessione del contratto (art. 1406), tale qualità non potrà riconoscersi a coloro che risentiranno solo mediatamente delle conseguenze giuridiche dell’atto, pur essendo questi titolari del rapporto che dall’atto è scaturito. Appare chiara l’opzione interpretativa fatta propria dall’autore che accorda la qualità di parte solo a chi in quanto autore dell’atto è anche destinatario dei relativi effetti, ammettendo l’ipotesi eccezionale di scissione della posizione di parte nei soli casi in cui le proiezioni effettuali di un negozio incidano immediatamente sulla sfera giuridica di un soggetto che, diverso dall’autore (parte in senso formale), è titolare degli interessi con l’atto regolati (parte in senso sostanziale). Diversamente, nei casi in cui l’atto produca immediatamente i
termini di soggetto autore del negozio – vale a dire colui cui debba imputarsi la dichiarazione o il comportamento che ha dato vita all’atto -, meno univoca sembra la nozione di parte in senso sostanziale, attribuita da alcuni a colui che è immediato destinatario degli effetti prodotti dall’atto55, e da altri a chi risulti titolare del rapporto cui il negozio si riferisce, e ciò anche nelle ipotesi in cui xxxxxx l’immediatezza della proiezione effettuale nella sfera di chi è appunto parte del rapporto56.
Banco di prova della validità dei termini parte in senso formale e parte in senso sostanziale si presta ad essere la fattispecie della cessione del contratto (artt. 1406 ss. c.c.). Qui il rapporto contrattuale sorge fin dall'inizio tra i contraenti che lo hanno posto in essere, dunque vi è coincidenza tra chi viene assunto come parte in senso formale (soggetto autore) e chi come parte in senso sostanziale (soggetto interessato, diretto destinatario degli effetti). Solo successivamente, qualunque ne sia la causa, una delle parti trasferisce – tramite un autonomo contratto di cessione - ad un soggetto originariamente terzo la propria posizione contrattuale comprendente tutte le situazioni giuridiche positive (diritti, poteri, facoltà, etc.) e negative (obblighi, soggezioni, etc.) sorte in virtù dell’atto.
Ora, si tratta di stabilire – facendo ricorso alla terminologia sopra descritta - quale debba essere la qualifica che al cessionario deve riconoscersi in virtù del suo essere in tutto e per tutto titolare d’una posizione contrattuale che, solitamente, pone colui a cui fa capo nella situazione di parte del contratto.
Innanzitutto, egli non è parte in senso formale: investito nella qualità di parte in senso formale è il contraente che ha posto in essere il negozio e che successivamente ha ceduto la posizione che ricopriva nell’ambito del relativo rapporto.
Più complessa è la questione relativa all’investitura nella seconda delle due qualifiche: il contraente cedente, autore dell’atto, somma su di sé anche la qualità di parte in senso sostanziale, in
suoi effetti nella sfera giuridica di chi pur essendo autore del contratto non è titolare degli interessi che ne costituiscono oggetto, parte in senso sostanziale non potrà dirsi chi per subentrare nel rapporto dovrà compiere un ulteriore negozio, col quale si trasferisca la posizione contrattuale originariamente sorta in capo all’autore. In questi casi parte del negozio sarà sempre chi ha risentito immediatamente degli effetti e non chi invece ha dovuto tramite un successivo atto subentrarvi. Evidente è la contraddizione nella quale cade l’autore, il quale, riconoscendo nel titolare degli interessi di cui si dispone la parte in senso materiale del negozio, nega poi la medesima veste a chi pur essendo titolare dei suddetti interessi non risente immediatamente degli effetti che dall’atto si proiettano.
55 Così la dottrina maggioritaria, tra cui si segnalano X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 82; X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, Napoli, 1968; CARRESI, Il contratto, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU e MESSINEO, Milano 1997; C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, Milano, 2000, p. 53, il quale, però, sembra riconoscere la veste di parte in senso sostanziale (anche se usando l’accezione più tecnica di parte del rapporto) al cessionario del contratto, il quale non è immediato destinatario degli effetti derivanti dall’atto. L’impressione è che la dottrina, piuttosto che servirsi di tali termini solo dopo meditata riflessione, si limiti ad usare dei concetti ormai invalsi nell’uso della pratica, che ben si prestano a descrivere i vari aspetti soggettivi del fenomeno esaminato da parziali punti di vista anche quando mancanti del necessario rigore tecnico.
56 Per tutti si vedano X. XXXXXXXX, Contratto, cit., p. 24; X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 238:
quanto originario titolare degli interessi regolati con l’atto e del rapporto che vien fatto oggetto di disposizione.
Il cessionario, invece, è fin dall’origine terzo tanto all’atto quanto al rapporto, del quale verrà ad essere parte solo in virtù di un autonomo e ulteriore negozio di cessione, di cui sarà parte insieme al cedente. Solo in virtù del subingresso nella posizione contrattuale di quest’ultimo, il cessionario assumerà su di sé gli obblighi e acquisterà i diritti che caratterizzavano la posizione contrattuale del primo, compresi i relativi rimedi.
È dunque innegabile che colui che subentra nella posizione di chi era parte del contratto, in virtù del trovarsi in una situazione giuridica non definibile altrimenti, debba a sua volta venire investito nella medesima qualifica formale (cioè quella di parte), per il semplice fatto che nella sostanza egli è in tutto e per tutto titolare della medesima posizione giuridica che faceva capo a colui cui è subentrato57. Pertanto, sembra corretta la lettura proposta dalla dottrina che investe il cessionario della qualifica di parte in senso sostanziale.
Piuttosto, pare evidente la scarsa utilità dell’attribuzione o meno della qualità di parte in senso sostanziale ai fini della determinazione del trattamento giuridico da applicarsi alla fattispecie concreta, visto che tale investitura nulla dà e nulla toglie ad una posizione giuridica cui verrà riservato un determinato trattamento giuridico indipendentemente dall’attribuzione di una qualifica piuttosto che un’altra. A perplessità ancora maggiori darebbe comunque luogo una lettura della fattispecie che non considerando il cessionario parte del contratto, finirebbe per relegarlo all’altra sola qualifica soggettiva a questo attribuibile: quella di terzo.
I rilievi fino a questo momento svolti mostrano la discutibilità di un approccio che voglia affrontare importanti questioni sostanziali per il mezzo di classificazioni che nient’altro offrono oltre ad una mera descrizione di ciò che all’interprete si presenta come già compiuto e definito58. Da qui la necessità di affrontare i problemi posti dal multiforme atteggiarsi delle posizioni d’interesse giuridicamente rilevanti, senza fare esclusivo affidamento su nozioni preconcette che all’utilità descrittiva non sommano quella operativa, mostrandosi invece mancanti del necessario rigore scientifico59 e utili ad introdurre nell’armamentario dell’interprete solo sensibili “coefficienti di disorientamento”60.
57 Paradossalmente, se si aderisse a quella tesi che ai fini dell’attribuzione della qualità di parte in senso sostanziale richiede l’immediata investitura del soggetto negli effetti derivanti dall’atto, il cessionario potrebbe non essere considerato parte di un contratto del cui rapporto è titolare e ciò per il fatto che gli effetti dell’atto si sono prodotti immediatamente non nella sua sfera giuridica ma in quella del suo dante causa.
58 Significativa l’affermazione del G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, voce in Enc. dir., p. 913, secondo cui: “voler risolvere i problemi che gli istituti sottintendono, giocando su una diversa qualificazione (incidenza) del ruolo delle parti, appare più una scappatoia per evitarli, che un modo per darne o tentarne di dare una spiegazione”.
59 X. XXXXXX, L'identificazione del soggetto nel negozio giuridico, cit., p. 39 ss., nota 50.
60 XXXXXX, Il contratto con sé stesso, cit., p. 52.
4. La vincolatività del contratto rispetto alle parti e rispetto ai terzi.
Il difficile rapporto tra parti e terzi risulta ancora più accentuato e rilevante quando dal piano del fatto si passa a quelli dell’interesse e dell’effetto. Qui la questione, ben lungi dal risolversi in una mera disputa terminologica, involge problematiche di assoluto rilievo pratico, quali la individuazione dei soggetti che risentiranno degli effetti dell’atto o a cui dovranno riconoscersi determinate tutele in ragione degli interessi di volta in volta coinvolti nella concreta operazione negoziale.
La naturale interdipendenza tra il regolamento di interessi predisposto con l’atto e il conseguente rapporto giuridico che ne deriva impone una trattazione unitaria delle relazioni soggetto-negozio assunte tanto sul piano dell’interesse quanto su quello dell’effetto.
Il punto da cui partire per una corretta impostazione dell’analisi non può che essere il dato normativo. Il codice civile all’art. 1372 fissa i principi cardine che reggono tutta la materia dell’efficacia negoziale, definendo sul piano degli effetti i connotati essenziali della figura disciplinata agli artt. 1321 ss. c.c.: si tratta del principio di vincolatività del contratto e del principio di relatività degli effetti del contratto.
Il primo di questi è sanzionato al primo comma dell’articolo richiamato dove viene statuito che “il contratto ha forza di legge tra le parti” e “non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. Il principio – al di là dalle questioni concernenti l’espressione utilizzata dal legislatore che si riferisce alla forza della legge61 – è dalla dottrina unanime considerato principio connaturale all’essenza del negozio giuridico quale espressione dell’autonomia che l’ordinamento riconosce ai privati di disporre dei propri interessi a mezzo di regolamenti per loro impegnativi.62. La vincolatività del negozio è dunque caratteristica essenziale dello stesso, indispensabile affinché sia garantita la sua realizzazione e, conseguentemente, la sua funzione economica e sociale.
61 Sul punto si vedano, per tutti, X. XXXXXXX, Effetti del contratto. Rappresentanza. Contratto per persona da nominare, in Commentario cod. civ. Scialoja e Branca, Libro IV, Delle Obbligazioni, (Artt. 1372-1405), Bologna-Roma, 1995, p. 1 ss.; X. XXXXXXX, voce Contratto per persona da nominare, in Enc. dir., Milano, 1962; X. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 1999; X. XXXXXXX, Degli effetti del contratto nei confronti dei terzi, in Trattato di diritto privato, diretto da XXXXXXX, Il contratto in generale, Torino, 2002, p. 3 ss.
62Importanti le riflessioni del X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 202, il quale sottolinea come già prima che intervenga la sanzione dell’ordine giuridico, il regolamento di interessi è già ritenuto nella coscienza delle parti (e in quella sociale) impegnativo e vincolante. Solo dopo aver subito il “collaudo della pratica” interviene la sanzione del diritto, che, riconoscendo la funzione socialmente rilevante del vincolo, lo rafforza e lo rende più sicuro con il conferimento del crisma della giuridicità. Dunque, non è una norma - e certo non è l’art. 1372 - ad introdurre nell’ordinamento il principio di vincolatività del negozio, che, ben lontano dall’essere qualità attribuita dal legislatore, costituisce essenza del negozio, il cui mancare determina la mancanza di un regolamento di interessi sussumibile nella fattispecie negoziale. Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, p. 267 ss.; X. Xxxxxxxxxx, I contratti. Parte generale, cit., p. 275 ss.
Un regolamento di interessi da cui le parti possono liberamente sottrarsi, o che può venire in ogni momento modificato anche per la volontà di uno solo dei contraenti, non si presterebbe ad un proficuo impiego nella prassi economico-giuridica, causa la sua inadeguatezza nel garantire la stabilità e la realizzabilità del programma ivi divisato. Inoltre, se dal contratto non sorgesse alcun vincolo tra coloro che lo hanno voluto, nessuna delle parti, né gli altri eventuali soggetti riguardati dagli effetti di questo, potrebbero contare sulla certezza delle posizioni giuridiche ad esso inerenti, il cui inveramento dipende appunto dall'agire dei soggetti su cui grava il vincolo63.
Ebbene, se il contratto, perché assolva alla sua funzione, deve essere vincolante e impegnativo per coloro che degli interessi regolati sono titolari, esso non può vincolare soggetti che a tali interessi sono estranei. In questo senso la norma stabilisce che il contratto non può vincolare che le parti, le quali rimarranno legate a quanto disposto in sede di conclusione dell’accordo fino all’attuazione del programma in questa sede convenuto – fatto salvo il sopravvenire di altre cause che ne determinino lo scioglimento (art. 1372, comma 1°, ultima parte).
Assumendo ora nell'ottica della presente indagine l’efficacia vincolante del contratto, si tratterà di individuare quali sono i soggetti che la norma identifica come le parti vincolate dal contratto.
Già nel secondo paragrafo si è avuto modo di constatare che, per una questione di linearità logica, i soggetti astretti al vincolo contrattuale non possono identificarsi con gli stessi soggetti destinatari degli effetti, dato che la stessa vincolatività è proiezione effettuale dell’autoregolamento, diversamente si creerebbe quel “circuito di qualificazioni” di cui si parlava in quella sede. Dovendo, allora, rintracciarsi in altra situazione relazionale l'elemento indicativo individuante i termini di riferimento soggettivi degli effetti del negozio, non resteranno che quelle posizioni soggettive che si son rappresentate più sopra con i concetti di parte autore dell’atto e parte titolare degli interessi regolati dall’atto.
Nelle ipotesi di convergenza delle due posizioni contrattuali nel medesimo soggetto, la questione ovviamente non si pone, identificandosi la parte vincolata dal contratto nel soggetto che ha compiuto l’atto allo scopo dare regola ai propri interessi. Ugualmente incontroversa anche l’ipotesi in cui gli stessi effetti non dovessero dirigersi immediatamente nella sua sfera giuridica, avendo già chiarito che l’effetto vincolante del contratto si distingue dalle altre situazioni effettuali cui lo stesso mette capo, sia dal punto di vista oggettivo (si pensi alle ipotesi di negozio – immediatamente vincolante - i cui effetti sono sospensivamente condizionati al verificarsi di un evento futuro e incerto)64, sia dal punto di vista soggettivo (si pensi all’ipotesi del contratto a favore
63 X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxx e Zatti, Milano, 2001, p. 501.
64 Sulla distinzione tra l’effetto vincolante e gli altri effetti del contratto si possono vedere.; X. XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, Torino, 2014, p. 275 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., pp. 267 ss., X. XXXXXXXX, Contratto, cit., pp. 21 ss.; X. XXXXX, Xx xxxxxxxxx, xxx., x. 000 xx.
xx xxxxx, dove la proiezione degli effetti vantaggiosi del contratto va a riguardare la sfera di un soggetto del tutto estraneo al vincolo che con l’atto è sorto tra promittente e stipulante).
Più complessa è la questione nell’ipotesi in cui manchi la suddetta convergenza di posizioni negoziali, e l'autore dell'atto sia persona diversa dal titolare degli interessi ivi regolati. In tal caso si tratta di vedere se soggetti legati dal vincolo negoziale siano i soggetti che hanno posto in essere l’atto, i soggetti i cui interessi sono stati disciplinati con esso o entrambe le categorie di soggetti, compartecipi – almeno sulla carta - della qualità di parte del contratto.
Per la soluzione di questo problema ancora una volta soccorre la disciplina dettata in materia di rappresentanza, e nella specie, la norma che del fenomeno definisce i tratti essenziali, e cioè l’art 1398 c.c. a norma del quale “il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitigli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato”. Avendo già investito il rappresentante del ruolo di soggetto autore dell’atto e il rappresentato di quello di soggetto titolare degli interessi, se ne deve ricavare che destinatario dell’effetto vincolante proveniente dal contratto stipulato è lo stesso soggetto che per la spettanza degli interessi dedotti nell’operazione negoziale deve dirsi parte del regolamento65. A quest'ultima conclusione sembra derogare la particolare ipotesi del contratto concluso dal rappresentante in difetto del potere di rappresentanza, dove il legislatore contempla la possibilità che colui che ha contrattato come rappresentante possa d'accordo con il terzo sciogliere il contratto prima della ratifica del rappresentato. Ciò deporrebbe per la vincolatività immediata del contratto per il rappresentante e non per il rappresentato, tant'è che è il primo ad avere il potere di sciogliere il vincolo. Tuttavia, tale vincolatività si spiega verso l'autore dell'atto per l'operare fisiologico del principio di auto- responsabilità, in virtù del quale l'autore dell'atto deve sopportare le conseguenze che da questo derivano. Il rappresentato non sarà invece destinatario di alcun effetto vincolante, almeno fino a quando non avrà fatto proprio il rapporto che sorge dall'atto compiuto dal rappresentante in difetto di potere.
Dunque, le parti tra cui il contratto ha forza di legge si identificano con i soggetti che nella fattispecie esaminata assumono le vesti di soggetti titolari degli interessi a cui si dà assetto66.
65 L’accezione viene proposta dal X. XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, cit., p. 53 ss., per superare il concetto aspramente criticato di parte in senso sostanziale. In questa sede l’autore – nell’ottica delle problematiche sollevate dalla fattispecie del contratto concluso con sé stesso – sulla base della distinzione tra la componente fattuale (la fattispecie) e la componente valutativa (il regolamento di interessi), attribuisce al procurator la qualità di parte della fattispecie, ossia “termine di imputazione della fattispecie stessa”, mentre al dominus la qualità di parte del regolamento di interessi. Tale definizione meglio si presta a dare conto di una posizione soggettiva del rappresentato che prima di essere mero termine di imputazione degli effetti prodotti dall’atto, si distingue per il rilievo assunto nella definizione del regolamento di interessi sotteso all’atto, di cui egli, per la spettanza degli interessi dedotti in esso, è parte.
66 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 51 ss. Afferma l’autore che “esigenza fondamentale dell’efficacia vincolante riconosciuta al negozio già sul terreno sociale, si è che il soggetto del negozio si identifichi con il soggetto dell’interesse con esso regolato”.
Relegandosi – sempre nei soli casi di non coincidenza – la parte autore dell’atto a soggetto terzo tanto al regolamento di interessi quanto al vincolo che dallo stesso scaturisce67.
L’assunto offre un primo importante spunto di riflessione circa la portata di un concetto giuridico tanto ricorrente quale quello di parte. Infatti, ben lungi dal fornire all'interprete un significato univoco di cui possa servirsi approcciandosi ad una data vicenda giuridica, si presenta come nozione caratterizzata da evidente relatività.
Relatività dovuta all’impiego da parte del legislatore del medesimo termine per la qualificazione di situazioni diverse, suscettibili di dare luogo a problemi diversi, che, a loro volta, possono affrontarsi dando di caso in caso al medesimo termine significati necessariamente diversi. È in questa prospettiva che ci si deve interrogare circa l'utilità di un’interpretazione del fenomeno che abbia come scopo quello di attribuire una rigorosa qualifica giuridica a situazioni che pur suscettibili di rientrare nella medesima categoria identificata dalla qualifica, si presentano assolutamente divergenti per contenuti, rilevanza e trattamento.
5. L'efficacia del contratto e la figura del terzo.
Più complessi sono poi i problemi che ineriscono al secondo dei due principi dettati dall’art.
1372 c.c. in materia di efficacia del contratto: il principio della relatività degli effetti68.
Questo, al pari di quello della vincolatività, esprime un tratto essenziale del negozio giuridico inteso come atto espressione dell’autonomia che ai privati si riconosce nel disporre dei propri interessi mediante la convenzione di assetti negoziali vincolanti. Tale autonomia non si risolve, però, nella sola potestà, riconosciuta dall’ordine giuridico, di disporre negozialmente dei propri interessi, ma altresì nella libertà (o garanzia) di non subire le conseguenze degli atti posti in essere
67All’esigenza di riconoscere comunque all’autore dell’atto la qualità di parte, pur di non relegarlo al ruolo di terzo rispondono, come si è visto, le diverse declinazioni che al concetto di parte vengono date dalla dottrina: si possono richiamare i concetti di parte (o soggetto) dell’atto e di parte (o soggetto) del rapporto, oppure quelli più diffusi di parte in senso formale e di parte in senso sostanziale. Particolarmente significativa è la critica che a tali concetti viene mossa dal X. XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, Napoli, 1972
68 Per quanto riguarda le origini e l’evoluzione che il principio ha avuto si vedano, per tutti, X. XXXXXXX, Il negozio giuridico rispetto ai terzi, Torino 1917, p. 19 ss.; X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 258, L. V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997, pp. 1 ss.; X. XXXXXXX, Effetti del contratto. Rappresentanza. Contratto per persona da nominare, cit., pp. 27 ss.; X. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, cit., pp. 1051 ss.; X. XXXXXXXX, voce Contratto (dir. priv.), in Enc. dir., IX, Varese, 1961. X. XXXXXXXX, Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. dir, X, 1962: X. XXXX-X. XXXXXX (a cura di), Effetti del contratto nei confronti dei terzi, Milano 2000; X. XXXXX (a cura di), Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storico-comparatistica, IV Congresso Internazionale ARISTEC, Roma 13-16 settembre 1999, Torino 2001.
da altri soggetti, i quali, a loro volta, salvo le ipotesi in cui ciò sia permesso dall’interessato o previsto dalla legge, non possono disporre di interessi che non sono di loro spettanza69.
In questo senso il principio di relatività degli effetti piuttosto che riferirsi alle parti del contratto
– come accade per il principio di vincolatività – si rivolge ai terzi, e cioè a coloro che sono estranei alla vicenda negoziale, e la cui sfera giuridica non può in alcun modo venire incisa degli effetti di un atto a cui essi continuano a rimanere estranei70.
Di questo è indice la stessa formula utilizzata dal legislatore al primo capoverso dell’art. 1372 c.c., dove, stabilito che “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi”, nessun richiamo vien fatto a coloro che di tali effetti, per elezione, dovrebbero essere unici destinatari: le parti.
Da qui la possibilità di leggere il principio di relatività come regola posta a presidio della intangibilità della sfera giuridica altrui, di cui sono espressione poi numerose altre norme del codice civile (es. artt. 1381, 1478 c.c.).
L’ampiezza delle tematiche che si ricollegano al principio di relatività degli effetti, soprattutto se assunto dal punto di vista del contratto come vicenda economica e giuridica, direttamente o indirettamente rilevante per i terzi, impongono in questa sede una delimitazione del campo di indagine, che circoscriva l’oggetto del suo esame alle sole ipotesi in cui le posizioni di chi è terzo e di chi è parte tendono ad assumere gradualmente sfumature e caratterizzazioni sempre più affini, tanto da rendere, se non impossibile, almeno estremamente difficile la definizione di criteri utili alla
69 XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, Napoli, 1972, p. 69 ss., l’autore sottolinea come l’autonomia privata oltre che leggersi in chiave “positiva” in termini di “potestà”, o potere, dei privati di regolare da sé i propri interessi, debba venire letta anche in chiave “negativa”, al fine di evidenziarne il suo profilo “inibitorio”, risolventesi nel limite per gli stessi privati di “non coinvolgere arbitrariamente interessi esulanti dalla propria sfera giuridica”. Sulla base di tale ragionamento viene ricondotto il principio di intangibilità della sfera giuridica altrui entro il “delineato ulteriore profilo [inibitorio] dell’autonomia, costituendone, dunque, non già un limite – come da diverse parti si è sostenuto – bensì un aspetto connaturale”.
70 La dottrina francese, da tempo dimostratasi particolarmente sensibile alla tutela dei terzi in materia contrattuale, non ha mancato di sottolineare che la parola “terzo” è uno dei termini “più equivoci del linguaggio giuridico” (XXXXXXXX e AYNÈS, Droit civil. Les obligations8, Paris, 1998, p. 275.) perché sta a indicare soggetti diversi a seconda che si tratti, ad es., della data di una scrittura privata (art. 1328 Code civil) ovvero di un contratto simulato (art. 1321 Code civil) o, ancora, della pubblicità fondiaria (art. 30 d. legisl. 4 gennaio 1955). La certezza che si dovrebbe poter ricavare dal principio della relatività degli effetti del contratto, cioè che “i terzi si contrappongono alle parti”, è messa in discussione dalla dottrina francese, divisa “sul principio e sui criteri della contrapposizione”. Ricorda CARBONNIER, Droit civil, IV, Les Obligations22, s.d., ma Paris, 2000, pp. 249-250, che, attraverso una diversa chiave di lettura della distinzione tra parti e terzi, alcuni autori francesi hanno cercato di superare il principio della relatività degli effetti del contratto. In questo senso soprattutto il contributo di XXXXXXX, La distinction des parties et des tiers au contrat, in Jurisclasseurs périodiques, 1992, I, 3628, p. 518 ss., il quale propone un allargamento della nozione di parte facendo riferimento non solo al momento della conclusione del contratto, ma anche a quello dell’esecuzione. Il saggio di Xxxxxxx ha dato vita a un vivace dibattito dottrinale nel quale sono intervenuti XXXXXX, A propos d’une distinction renouvelée des parties et des tiers, in Rev. trim. droit civ., 1993, p. 263 ss., e GUELFUCCI-THIBIERGE, De l’élargissement de la notion de partie au contrat... à l’élargissement de la portée du principe de l’effet relatif, ivi, 1994, p. 275 ss., ai quali ha replicato lo stesso Xxxxxxx con un secondo saggio: Nouvelles propositions pour un renouvellement de la distinction des parties et des tiers, ivi, p. 777 ss. La maggiore critica alla prospettazione di Xxxxxxx, al quale si riconosce il merito di avere attirato l’attenzione della dottrina su un profilo da tempo trascurato, è che la “redistribution... de la répartition entre parties et tiers” comporta “distorsions difficilement compréhensibiles” che non consentono di “ définir le champ de l’effet obligatoire du contrat ” (x. XXXXXX, cit., p. 268 e p. 270; GUELFUCCI-THIBIERGE, cit., p. 279).
posizione di un’eventuale linea di confine che consenta di distinguere chi è parte e chi è terzo alla luce del regolamento di interessi e del rapporto che si ricollegano alla vicenda negoziale indagata71. A tale scopo ci si può servire della impostazione (ampiamente diffusa in dottrina quando si debba trattare del fenomeno contrattuale rispetto ai terzi) che suole distinguere tra contratto inteso come fatto giuridico cui l’ordinamento riconduce determinati effetti in virtù del suo consistere in una vicenda giuridica rilevante, appunto, come mero fatto (rimanendo irrilevante il momento volitivo che connota la fattispecie contrattuale), e contratto come negozio giuridico cui è sotteso un determinato regolamento di interessi disposto dalle parti, al quale l’ordinamento, secondo una propria valutazione, riconduce determinati effetti impegnativi per le parti e per i terzi direttamente interessati72 in
conformità a quanto voluto dalle stesse al momento della sua posizione73.
Nella prospettiva del regolamento di interessi e del rapporto, quindi, si procederà analizzando le varie posizioni giuridiche ricopribili dai soggetti interessati, rinviando ad altra sede lo studio delle altre situazioni effettuali, che, pur trovando la loro fonte nella medesima vicenda, sono il frutto di una diversa valutazione giuridica della stessa, assunta alla stregua di un “fatto in presenza del quale la norma dispone certi effetti, la cui natura non può riferirsi, in alcun modo, al contratto, ma a criteri che di volta in volta il sistema reputa di assumere per la soluzione di conflitti”74.
Svolte queste brevi premesse, ci si può chiedere, analogamente a quanto fatto sopra per il principio di vincolatività, quali siano i soggetti a cui la norma contenuta nel primo capoverso dell’art. 1372
c.c. si riferisce con l’appellativo terzi75.
71 L’impostazione, pur permettendo lo svolgimento di riflessioni utili all’analisi del fenomeno indagato e alla definizione della portata soggettiva del principio, non comporta una limitazione dell’oggetto tanto significativa da ridurre altrettanto significativamente la portata delle considerazioni che su di esso verranno spese.
72G. XXXXXXX, Contratto e rimedi, 2° ed., Milano, 2009, p. 369, prosegue l’autore: “in prospettiva diversa dall’efficacia, si profila la rilevanza del negozio nei confronti dei terzi che è conseguenza, vedremo, autonoma rispetto agli effetti”.
73Per una puntuale analisi critica di siffatta alternativa nell’ambito delle diverse concezioni negoziali, cfr. B. DE XXXXXXXX, Xxxxx e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958. Si vedano inoltre X. XXXXXXXXX, I fatti giuridici, Revisione e aggiornamento di X. Xxxxxx, Messina, 1945; XXXXX XXXXXX, Atti e negozi giuridici, in ID., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947; X. XXXXXXXX, Negozio giuridico. Concetto, Milano, 1950; X. XXXXX, Principi sull’interpretazione dei negozi giuridici, Napoli, 1952; X. XXXXX, Il contratto, I, Lineamenti generali, II, Casistica e problemi, Milano, 1954. XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, cit., p 70 ss., X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1943; X. XXXXXX, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947; X. XXXXXXX FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949; X. Xxxxxxxxxxxx, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950; X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, Milano, 1957 G.B. XXXXX, Parte nel negozio giuridico, voce in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano, 198, p. 912 ss.; C.M. XXXXXX, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2014; X. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, cit., p. 1055 ss.; X. XXXXXXX, Consenso traslativo e circolazione dei beni, Roma, 1995, p. 54 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxxxxx e rimedi, II ed., Milano, 2009, p. 369,
74M. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, cit., p. 1058.
75 Dal punto di vista dell'esperienza francese merita una particolare menzione l’attenta e capillare analisi di M.L. IZORCHE, Les effets des conventions à l’égard des tiers: l’expérience français, X. XXXXX (a cura di), Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi, Torino, 2001, p. 70 ss. (pubblicato nella versione italiana Gli effetti del contratto sui terzi, in Europa e dir. priv., 2001, p. 863 ss.).
La questione di fondo consisterà nello stabilire se tale categoria venga a caratterizzarsi per la sua omogeneità, e allora sarà possibile, sempre secondo l’impostazione tradizionale, ricondurvi tutti i soggetti ai quali in nessun modo può attribuirsi la qualifica di parte, o, piuttosto, per l’eterogeneità delle situazioni nelle quali può trovarsi chi vi rientra; in questo caso si tratterà di indagare quali siano i criteri discriminanti le diverse situazioni di terzietà e in che rapporto esse si pongono con le altre situazioni solitamente connotate dalla qualifica legale di parte.
È immediatamente intuibile come la questione concernente l’identificazione delle situazioni di terzietà si leghi intimamente con la definizione della portata del principio di relatività del contratto, la quale sarà più o meno ampia in ragione dell’essere più o meno ampia la categoria dei soggetti a cui il principio si riferisce. Del pari, sempre la medesima questione sarà di assoluto rilievo anche per ciò che concerne la configurabilità delle ipotesi in cui il negozio produca effetti diretti nella sfera del terzo.
Un primo passo si può compiere nella direzione indicata mettendo in luce come all’interno della categoria dei terzi si possono distinguere innanzitutto due primi “sottoinsiemi” graficamente rappresentabili: i terzi “lontani”, cioè coloro “che non hanno assolutamente nulla da sperare o da temere in relazione al contratto” (e come tali sono l’assoluta maggioranza della categoria), e i terzi “vicini”, cioè coloro che “hanno qualche ragione o occasione per interessarsi a quel contratto”76.
È evidente che rispetto ai primi nessun rilievo è necessario, essendo essi assolutamente estranei all’autoregolamento e ai suoi effetti. Il problema dell’operare del principio e delle sue possibili eccezioni ha senso porlo solo con riguardo ai secondi che in qualche modo sono coinvolti nell’operazione negoziale e, dunque, ne sono interessati.
Questo riferimento all’interesse dei terzi non è casuale, ritenendo doversi aderire a quella teoria che, nel tentativo di approfondire la nozione di terzo, adotta un criterio che dia conto della realtà degli interessi in gioco, concentrandosi sul momento funzionale del negozio, senza appiattirsi su criteri che definiscano le questioni legate all’efficacia contrattuale sulla base di qualificazioni formali (quali quelle che si limitano a definire terzo chiunque sia estraneo al negozio per non aver preso parte, né cooperato alla sua formazione) che difficilmente si prestano a definire efficacemente i tratti essenziali delle varie figure che si presentano all’interprete. Il criterio “funzionale” assurge, quindi, a criterio qualificante la situazione del terzo, destinatario di un determinato trattamento giuridico in ragione dell’interesse - rilevante per l’ordinamento – che lo lega al negozio dal punto di vista del regolamento e, di conseguenza, degli effetti77.
76 Le nozioni riportate, così come la loro definizione sono proposte da X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 530. Così anche
X. XXXXXXXXXX, Problema e sistema nel danno dei prodotti, Milano, 1979, p. 267 ss.
77 X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., pp. 259 ss., l’autore continuando nell’approfondimento di tali considerazioni afferma che “decisivo per l’attribuzione della qualifica [di terzo] è il criterio dell’interesse protetto dal
Di primario rilievo è, in questa sede, lo studio delle ipotesi nelle quali il terzo, qualificato come tale dalla norma, si trovi ad essere diretto destinatario degli effetti provenienti da un atto di cui esso non è l’autore. Ci si vuole rifare non alla figura della rappresentanza diretta, che non rientra nelle ipotesi regolate dal principio di relatività degli effetti78, ma piuttosto alle ipotesi in cui il terzo è estraneo tanto alla fattispecie di posizione dell’atto, quanto al regolamento di interessi, in virtù del quale, alcuni effetti derivanti dal negozio vengono dirottati nella sua sfera giuridica senza che alcuno dei suoi interessi venga fatto oggetto di disposizione da parte dei contraenti79.
È in questa prospettiva che emerge l’evoluzione che il principio di relatività ha avuto nell’elaborazione della dottrina e nella produzione normativa.
Qui, il negozio ha visto la sua portata effettuale espandersi fino a superare i limiti soggettivi che ad esso imponeva una rigida applicazione del principio di relatività, precludente la possibilità che qualsiasi effetto, benché favorevole, potesse prodursi nelle sfere giuridiche di soggetti diversi dalle parti senza una loro manifestazione di volontà che autorizzasse precedentemente, o consentisse successivamente, la produzione dei suddetti effetti. A tali risultati hanno portato le riflessioni che la dottrina più attenta ha speso innanzi tutto sulla classica distinzione tra effetti diretti ed effetti indiretti (o riflessi)80. I primi si sono caratterizzati – anche se con numerose sfumature – come gli effetti giuridici che il negozio produce in virtù della valutazione che l’ordinamento opera sul regolamento di interessi che vi è sotteso. In altre parole, si tratta degli effetti che direttamente si producono nella sfera del loro destinatario in ragione di quanto dalle
diritto, in una con la riconoscibilità del rapporto in discussione e col carattere indipendente o subordinato della posizione giuridica”. Sono interessanti le categorie di terzi che l’autore sulla base dei criteri di qualificazione proposti enuclea: a) parti del rapporto (ma estranee al negozio); b) terzi partecipi dell’interesse, ma estranei al negozio, la cui posizione giuridica è subordinata a quella della parte; c) terzi interessati, la cui posizione giuridica è indipendente e incompatibile con gli effetti del negozio; d) terzi normalmente indifferenti, la cui posizione giuridica è compatibile, ma che sono legittimati a reagire quando risentano un illecito pregiudizio dagli effetti del negozio. Per quel che riguarda l’oggetto del presente lavoro, le successive riflessioni verranno fatto relativamente alle ipotesi riconducibili alla prima delle categorie individuate dall’autore, dove emerge in maniera più evidente l’attiguità della posizione del terzo a quella della parte, attiguità tanto rilevante da portare l’autore ad ammettere il terzo alla qualità di parte.
78 Come è stato chiarito in precedenza, il rappresentato, nei cui confronti l’atto produce direttamente i suoi effetti (art. 1398), benché estraneo al procedimento di formazione dell’atto, è soggetto titolare degli interessi di cui si dispone e - non secondario - è soggetto il cui nome viene speso dal rappresentante che stipula con il terzo contraente per conto del rappresentato. Dunque, per quel che riguarda le considerazioni fatte in questa sede, si può affermare che in alcun modo viene in considerazione un problema di inalterabilità della sfera giuridica altrui, essendo ben chiaro che il rappresentante svolge l’attività negoziale in virtù di un atto (la procura) con cui è stato autorizzato a porre in essere atti giuridici i cui effetti andranno a ricadere direttamente nella sfera giuridica di colui che ha conferito l’incarico e nel cui interesse si è agito.
79 Queste ipotesi si distinguono in maniera evidente rispetto a quelle di subingresso del terzo nella posizione contrattuale della parte. È quanto accade nei casi di successione a titolo universale e a titolo particolare (artt. 1406, 2558, 1599 c.c.) dove chi è terzo subentra nel rapporto contrattuale cui era estraneo in virtù di una determinata vicenda giuridica quale può essere una successione mortis causa, o un negozio di cessione del contratto con il quale al terzo (cessionario) viene ceduta dalla parte (cedente) la propria posizione contrattuale. Qui, com’è evidente, il programma negoziale disposto dalle parti non è direttamente indirizzato alla produzione di effetti verso chi è terzo, ciò accade solo in virtù di un'ulteriore vicenda giuridica che nulla ha a che fare con l’originario regolamento di interessi predisposto dai contraenti.
80 Tra le tante definizioni si possono vedere X. XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, cit., p. 219 ss.; XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, cit., p. 77 ss.
parti voluto in sede di predisposizione dell’assetto negoziale, escludendosi invece le altre situazioni effettuali dipendenti da una valutazione operata dall’ordinamento nella prospettiva di dare soluzioni a questioni non direttamente riguardanti la funzione economico-giuridica dell’atto di autonomia81. Si sono così definiti effetti diretti “gli effetti che discendono dalla valutazione, ad opera dell’ordinamento, del regolamento dettato dai contraenti: siano essi conformi allo stesso o appaiano indirizzati a modificarlo”, ed effetti indiretti “gli effetti che non discendono dalla valutazione del regolamento contrattuale ma dalla contemplazione dell’esistenza materiale del contratto”. Stante il dipendere di questi ultimi da una valutazione che nulla ha a che fare con il momento di massima espressione dell’autonomia contrattuale – il regolamento - si è chiarito che “l’incidenza di questi effetti sulla sfera giuridica dei terzi non è il portato dell’esercizio dell’autonomia privata e, perciò, non può costituire violazione dei limiti propri della stessa”82, primi fra tutti quelli posti dai principi di relatività degli effetti e di intangibilità dell’altrui sfera giuridica.
Il passo successivo è stato il rilievo di numerose ipotesi normative nelle quali l’effetto giuridico favorevole proveniente dall’atto andava direttamente ad incidere nella sfera del terzo, senza che fosse richiesta da parte di quest’ultimo una manifestazione di volontà necessaria alla produzione dello stesso nella propria sfera, facendo sempre salvo il potere del beneficiario di far venire meno l’effetto favorevole per mezzo dell’esercizio del rifiuto. Se ne è dedotto che il nostro ordinamento offre cittadinanza ad un principio generale in virtù del quale viene ammessa “l’idoneità del contratto, e più in generale dell’atto di autonomia, anche unilaterale, a spiegare effetti giuridici diretti nella sfera giuridico-patrimoniale di soggetti diversi dallo, o dagli autori purché si tratti di effetti solo favorevoli, ossia soltanto incrementativi della stessa sfera giuridico-patrimoniale”83dell’interessato, sempre fatto salvo il riconoscimento del potere di rifiuto da parte del terzo destinatario di tali effetti84
La fattispecie più significativa, nella quale l’atto di autonomia mostra il superamento dei suoi propri limiti, e sulla quale sono potute attecchire le riflessioni che hanno portato ad una revisione del principio di inalterabilità della sfera giuridica altrui, è quella del contratto a favore di terzo; qui le parti contraenti predispongono un determinato assetto negoziale preordinato alla produzione diretta di un effetto giuridico favorevole nella sfera di un soggetto estraneo al negozio.
81 M.C. CHERUBINI, art. 1372. Efficacia del contratto, in Dei contratti in generale. Artt. 1350-1386, in Commentario del codice civle, diretto da X. Xxxxxxxxx, p. 664 ss.
82 X. XXXXXXXXXX, I contratti. Parte generale, cit., p. 219.
83 L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997, p. 8.
84 Tra i primi “revisori” critici del principio di relatività degli effetti si xxxxxx X. XXXXXXXXX, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; L.V. XXXXXXXXX, I negozi a favore di terzi, Milano, 1970, p. 5 ss.; XXXXXX, Il problema del negozio giuridico unilaterale, cit. I rilievi fatti da questi autori sono stati poi accolti dalla dottrina assolutamente maggioritaria, si vedano, per tutti X. XXXXXXXX, Del contratto a favore di xxxxx, in Commentario del codice civile cura SCIALOJA e BRANCA, Bologna-Roma, 2004; X. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, cit., p. 1055 ss.; più di recente si vedano
X. XXXXX, Art. 1411. Contratto a favore di terzi, in Dei contratti in generale. Artt. 1387-1424, in Commentario del codice civile, diretto da X. Xxxxxxxxx; M.C. CHERUBINI, art. 1372. Efficacia del contratto, in Dei contratti in generale. Artt. 1350- 1386, in Commentario del codice civile, diretto da Xxxxxxxxx, p. 512;
In questo caso si è trattato di vedere se l’effetto favorevole si produce direttamente nella sfera giuridica del terzo senza che questi debba fare alcunché perché ciò si verifichi, e soprattutto cosa questi può invece fare laddove voglia tutelare la propria sfera giuridica da un effetto che benché favorevole potrebbe essere comunque sgradito. La fattispecie si mostra particolarmente importante nella prospettiva dell’argomento trattato per il fatto che il terzo continua ad essere definito tale nonostante la titolarità di situazioni effettuali legate al rapporto contrattuale, rispetto al quale, questi viene sempre più a trovarsi in una posizione di interferenza difficilmente riconducibile a quella di terzo mero beneficiario di disposizioni ad esso favorevoli. Altrettanto significative sono poi le riflessioni di dottrina e giurisprudenza che, pur trovandosi unanimemente, e necessariamente, d’accordo sulla qualità di terzo, finiscono per porre il beneficiario della stipulazione di cui all’art. 1411 c.c. in posizioni più affini a quelle della parte che a quelle del terzo.
Altre ipotesi nelle quali il regolamento si presenta capace di superare gli angusti limiti delle sfere giuridiche delle parti contraenti sono alcune figure di collegamento negoziale tra più contratti di cui sono parti soggetti diversi. Qui, in ragion del legame che lega i singoli negozi, le parti di un contratto possono subire le conseguenze causate dalle vicende riguardanti il contratto rispetto al quale risultano formalmente terzi, senza poter disporre di mezzi giuridici (come il rifiuto) capaci di impedire che ciò avvenga. In questi casi il principio di relatività degli effetti sembra non riuscire a contenere ai soli effetti favorevoli le conseguenze giuridiche che possono riguardare le sfere giuridiche dei soggetti estranei al regolamento, tant’è che in molti casi le conseguenze che riguarderanno tali soggetti incideranno sui loro interessi in maniera assolutamente sfavorevole.
In tali ipotesi sarà cimento primario stabilire se si possa parlare di eccezioni al principio di relatività, o se, invece, l’operare di determinate conseguenze nei confronti dei terzi sia il frutto di un modo d’essere dell’operazione negoziale che nulla ha a che vedere con i principi di relatività e di inalterabilità delle sfere giuridiche altrui.
È alla luce del concreto atteggiarsi del fenomeno di espansione della efficacia del negozio rispetto ai terzi che si può prendere atto dell’effettiva portata che principi tanto tradizionali, quali quelli di relatività degli effetti e di inalterabilità delle sfere giuridiche, conservano nel nostro ordinamento. A questo punto, dunque, si tratterà di proseguire nell’indagine nel verso di un’analisi concentrata su alcune delle più significative figure giuridiche che nella prassi mostrano, in maniera emblematica, le difficoltà cui si può andare in contro quando si tratti di discriminare parti e terzi al fine di stabilire quali conseguenze riconduca l’ordinamento a tali situazioni.
6. Il principio di relatività e il contratto a favore di terzo.
La fattispecie della stipulazione a favore di terzo disciplinata dagli artt. 1411 e ss. del codice civile è - come si è già sottolineato - la sede dove meglio allignano le riflessioni concernenti i rapporti tra il terzo e il contratto. La figura, che con il suo ingresso nel nostro ordinamento ha gettato le basi per il superamento di una stretta lettura del principio di relatività degli effetti negoziali, si presta ancora oggi con il suo progressivo sviluppo a fornire spunti sempre più interessanti per un’attenta meditazione sulla nozione di terzo e sulla portata degli effetti e delle conseguenze che questi può risentire in virtù di una vicenda giuridica nella quale continua a rivestire, almeno formalmente, la qualità di terzo.
L’economia dell’indagine non consente una analisi particolareggiata dei diversi aspetti della stipulazione a favore di terzi. Si dovrà, pertanto, focalizzare l’attenzione sui profili della figura più significativi in ordine alle tematiche riguardanti le posizioni soggettive di parte e terzo. In particolare, ci si dovrà soffermare su quelle situazioni che caratterizzano la posizione giuridica della parte contrattuale, e che, nelle ipotesi in questione, possono venire riconosciute anche in capo ai terzi: si fa riferimento soprattutto ai rimedi contrattuali che al terzo sono riconosciuti nell’ambito del contratto di cui esso non è parte. Ciò con lo scopo di stabilire se questi, nonostante il suo essere terzo, finisca per ricoprire una posizione giuridica all’interno del rapporto contrattuale per diversi aspetti simile a quella di chi è parte85.
Nel contratto a favore di terzo le parti contraenti convengono un determinato asseto negoziale i cui effetti non andranno ad insistere esclusivamente nelle loro sfere giuridiche, ma anche nella sfera di un soggetto che non ha preso parte alla stipulazione, né ha incaricato taluna delle parti a che ciò facesse per suo conto86. In questi casi gli effetti del contratto andranno a dirigersi direttamente verso la sfera giuridica del terzo, il quale risentirà degli stessi senza essere tenuto a manifestare il suo
85 Non sono rare in dottrina e in giurisprudenza le affermazioni che attribuiscono al terzo la qualità di parte almeno rispetto agli effetti della stipulazione. Cfr. O.T. XXXXXXXXXX, Contratto a favore di xxxxx, voce in Enciclopedia giuridica, IX vol., Roma, 1988, p. 7 ss.
86 Gli effetti in questione, ai fini della configurabilità della fattispecie, non devono consistere in meri vantaggi economici di cui il terzo risente di riflesso in virtù di un contratto intervenuto tra altri, ma nell’ attribuzione di un diritto, una potestà o altro vantaggio giuridicamente apprezzabile che costituisca oggetto di espressa previsione delle parti le quali hanno contemplato tale effetto come elemento del sinallagma contrattuale. In questo senso sono unanimi dottrina e giurisprudenza nel richiedere sempre ai fini dell’integrazione della fattispecie una chiara manifestazione di volontà nel senso dell’attribuzione di effetti giuridici favorevoli al terzo che non partecipi alla conclusione del contratto. Di particolare significato è la classica definizione data dal X. XXXXXXXXX, I Xxxxxxxxx a favore di terzo, Milano, 1933 p. 13 “ il contratto a favore di terzo è quel contratto che, conchiuso tra due presone, è tuttavia rivolto ad attribuire un diritto ad una terza persona che non ha preso parte in alcun modo, né direttamente, né indirettamente, alla conclusione e che attribuisce effettivamente a questa persona un diritto, in testa sua propria senza cioè che possa essere considerato come un diritto antecedentemente spettante al promissario contraente e solo, in sua vece, dal terzo esercitato ed a questo ceduto”
preventivo consenso perché il risultato accrescitivo determinato dalla stipulazione fatta a suo favore si verifichi (art. 1411, comma 2° c.c.)87.
È chiaro, dunque, che il beneficiario della fattispecie disciplinata dall’art. 1411 pur essendo per definizione normativa terzo rispetto al contratto di cui risente gli effetti favorevoli, terzo non è all’affare assunto nella sua complessità. Nell’ottica, cioè, dell’operazione economico-giuridica espressa dal contratto a favore di terzo, quest’ultimo si trova in una situazione che lo distingue in maniera evidente da tutti gli altri terzi che dalla stessa stipulazione non hanno da sperare né da temere alcuna conseguenza giuridica.
Ancor più significativo è il divario là dove si consideri che il terzo in questione, nella sostanza, si trova a partecipare ad un rapporto giuridico cui spesso non hanno possibilità di partecipare soggetti che l’ordinamento investe senza riserve della qualità di parte88. Tuttavia, tale rilievo non può certo costituire lo spunto per una rivisitazione dei termini con cui si descrive la fattispecie in esame. Contrariamente, l’attribuzione al beneficiario della qualità di parte piuttosto che fornire un utile contributo alla definizione di alcune questioni legate al profilo soggettivo della fattispecie, non farebbe altro che introdurre un ulteriore motivo di confusione rispetto ad un termine già di per sé non univoco.
Non è, infatti, revocabile in dubbio la terzietà del destinatario degli effetti vantaggiosi provenienti dalla stipulazione fatta a suo favore. Prima di tutto, egli è estraneo sul piano del fatto: non partecipando al procedimento di formazione dell’atto, rimane soggetto la cui volontà non rileva nell’interpretazione del contratto, così come non rilevano ai fini della validità di questo i relativi stati soggettivi di buona o male fede, di scienza o di ignoranza o i vizi del consenso dovuti a errore, violenza o dolo89.
La terzietà non si limita però al solo profilo della riferibilità della fattispecie ai suoi autori, ma ben si evidenzia tanto sul piano del regolamento quanto su quello dell’effetto. Rispetto al primo è
87Sull’ampio dibattito della nostra dottrina relativamente alla problematica dell’immediatezza dell’acquisto del terzo e della rilevanza della sua adesione, si veda in particolare L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzi (artt. 1411-1413), cit., p. 59 ss., il quale critica la teoria del contratto a favore di terzi “con adesione” del beneficiario per la sua “intrinseca contraddittorietà” e la sua conseguente “inutilità”; e afferma che la figura del contratto a favore di terzi “in tanto ha un senso e, per così dire, una sua dignità di autonoma categoria concettuale, solo in quanto essa si ponga come superamento della regola della relatività”, trovando conferma nella norma dell’art. 1411 c.c. secondo cui il beneficiario acquista il diritto per effetto immediato della stipulazione. Proprio l’immediatezza dell’acquisto, “al di là dei problemi relativi alla delimitazione temporale della caducità dello stesso acquisto, resta comunque il connotato caratterizzante della figura generale del negozio a favore di terzi, sia esso a struttura bilaterale che a struttura unilaterale”
88 Ancora una volta emerge come l’attribuzione della qualifica nulla dica riguardo all’effettiva situazione nella quale viene a trovarsi chi tale qualifica riveste.
89 Sul punto si possono vedere: Cass., 4 febbraio 1988, n. 1136, in Giust. civ. Mass. 1988, II; Cass., 24 dicembre 1992,
n. 13661, in Vita not. 1993, p. 769, dove espressamente si afferma che “gli atteggiamenti soggettivi rilevanti ai fini della sua annullabilità - sia sotto il profilo della riconoscibilità dell'errore, che sotto il profilo del dolo - rimangono esclusivamente quelli dei contraenti, mentre nessuna rilevanza assumono, normalmente, quelli del terzo”; così anche Xxxx., 20 gennaio 2005, n. 1150, in Giust. civ. 2006, 10, I, p. 2161. Per la dottrina cfr. X. XXXXX, Art. 1411. Contratto a favore di terzi, cit., p. 302.
evidente che il terzo beneficiario non prenda parte alla predisposizione dell’assetto di interessi, non solo per quanto riguarda la sua definizione, ma anche per quanto riguarda il suo contenuto: nel regolamento, infatti, non sono oggetto di disciplina contrattuale gli interessi del terzo, nel senso che le parti non possono assoggettare alla regola su cui è intervenuto il loro accordo interessi di cui non sono titolari e rispetto a cui non sono investite di un alcun potere (o legittimazione) di disposizione90. Diversamente, qualora il terzo dovesse intervenire al regolamento disponendo di propri interessi – anche se per il mezzo di altra persona –, verrebbe a trovarsi non più in una posizione di terzietà, bensì in una situazione del tutto assimilabile a quella di chi è parte. Ciò anche a discapito della stessa configurabilità della fattispecie disciplinata agli artt. 1411 e ss., di cui è appunto elemento essenziale
la terzietà - tanto all’atto quanto al regolamento - del soggetto destinatario degli effetti favorevoli.
Ciò non significa che il terzo è del tutto indifferente all’operazione, egli è comunque titolare di interessi che verranno riguardati da essa, ma tali interessi non sono oggetto diretto della regola negoziale, vi rimangono all’esterno, sia nelle ipotesi in cui essi preesistano al contratto e costituiscano movente dell’agire dello stipulante (si pensi all’ipotesi del contratto a favore di terzo concluso solvendi causa, qui con l’attribuzione del diritto al terzo lo stipulante vuole estinguere un suo debito pregresso nei confronti del primo), sia nei casi in cui l’interesse del terzo divenga per la prima volta oggetto di valutazione nella stipulazione fatta a suo favore (è il caso del contratto a favore di terzo stipulato donandi causa, in questo caso lo stipulante per spirito di liberalità arricchisce il terzo procurandogli l’acquisto di un diritto)91.
Può leggersi come un indice dell’estraneità del terzo al regolamento il fatto che il vincolo sorto in virtù dell’autoregolamento negoziale riguarderà sempre e solo promittente e stipulante, mai il terzo, il quale rimarrà in ogni momento libero di rifiutare o consentire all’attribuzione disposta nei suoi confronti. Tanto è vero che egli continua a rimanere estraneo al vincolo sorto tra promittente e stipulante anche dopo aver dichiarato - in confronto del promittente - di volere profittare della stipulazione fatta a suo favore; in tal caso egli rimarrà “vincolato” solo dalla sua dichiarazione, la quale determina il consolidarsi nella sua sfera giuridica dell’effetto favorevole, divenuto oramai irrevocabile per lo stipulante e non più suscettibile di rifiuto da parte del terzo92.
90 A conferma di ciò si può richiamare il dato normativo di cui all’art. 1411 c.c., nella cui prima disposizione si subordina la validità della stipulazione fatta a favore di terzo alla sussistenza di un interesse che non è quello di quest’ultimo, bensì quello dello stipulante, ovvero di colui che di uno, o più, degli effetti vantaggiosi derivanti dal contratto concluso con il promittente, si spoglia a favore di un soggetto estraneo al regolamento.
91 Sul tema delle liberalità realizzate con l’uso dello schema del contratto a favore di xxxxx, si veda X. XXXXXXX, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, p. 126 ss. In argomento sono ampie sono le questioni relative al profilo causale della stipulazione e alla sua compatibilità con la figura della donazione indiretta. Si possono vedere, per tutti: L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzo, cit., p. 97; X. XXXXXXXX, Del contratto a favore di terzi, cit., p. 49 ss.;
92 Si veda L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzo, cit., pp. 67 ss., il quale rilevando l’incidenza dell’atto di adesione solo sulla caducità dell’acquisto, ne sottolinea la duplice portata: la dichiarazione del terzo di voler profittare
Sul piano degli effetti la terzietà del beneficiario del contratto è meno avvertita, causa il proiettarsi dell’efficacia dell’accordo anche nella sua sfera giuridica, oltre che in quella delle parti contraenti. Tuttavia, anche da questo punto di vista, non può non rilevarsi il diverso operare degli effetti nella sfera delle parti e in quella del terzo. Rispetto alle prime il contratto cui accede la clausola che attribuisce il diritto al terzo determinerà il sorgere in capo alle stesse del complesso di situazioni giuridiche attive e passive che connotano nella sua complessità il rapporto contrattuale. Mentre il terzo sarà partecipe delle sole situazioni giuridiche attive di cui è destinatario per volontà delle parti, le quali non potranno porre a carico del medesimo, per esigenze di corrispettività, obblighi o doveri che non sono stati assunti direttamente e volontariamente dall’interessato93.
Da quest’ultimo punto di vista sembra potersi affermare che gli effetti a cui da luogo l’atto non si risolvono nella costituzione di un unico rapporto giuridico al quale partecipano, se pure in modi diversi, parti e terzo, ma a più rapporti giuridici distinti per struttura e contenuti in ragione dei diversi soggetti tra cui ogni singolo rapporto si instaura, e dei diversi interessi che fanno capo a questi94. Interessi che, benché diversi, continuano tuttavia a interloquire nell’ambito del più complesso regolamento predisposto dalle parti, il quale viene a distinguersi per la rilevanza che deve accordarsi all’interesse dello stipulante all’attribuzione del diritto al terzo.95
In una prospettiva di esemplificazione il primo di tali rapporti è quello che lega stipulante e promittente, parti del contratto, che risentiranno prima dell’effetto vincolante cui mette capo il contratto, e, quindi, diventeranno titolari di tutte le situazioni giuridiche attive e passive che vanno a caratterizzare, insieme alle obbligazioni principali che ne formano il nucleo, il rapporto contrattuale quale risulta dal regolamento negoziale da esse predisposto.
A tale rapporto andrà ad affiancarsi, conservando la sua identità, il diritto attribuito al terzo, il quale avrà titolo per pretendere dal promittente la prestazione a cui questi si è obbligato in virtù del contratto concluso con lo stipulante. La titolarità di un diritto “autonomo” rispetto a quelli che lo stipulante vanta nei confronti del promittente, pone la questione relativa ai mezzi e ai rimedi di cui può disporre il beneficiato verso il promittente, nelle ipotesi in cui il suo diritto rimanga
da un lato estingue il potere di revoca dello stipulante, il quale non potrà più far venir meno l’acquisto immediatamente verificatosi nella sfera del terzo per effetto del perfezionarsi dell’accordo con il promittente, e dall’altro consuma il potere di rifiuto del terzo beneficiario, il quale non potrà far altro che “subire” l’accrescimento della propria sfera giuridico- patrimoniale.
93 Cfr. Cass., 20 gennaio 1978, in Foro it., 1978, p. 1998, n. 260; Cass., 4 dicembre 1978, n. 5699, secondo cui non è concepibile che dal contratto discendano per il terzo beneficiario obbligazioni verso il promittente o diritti di credito che derivano invece da una prestazione dovute al promittente medesimo.
94 X. XXXXXXX, Contratto a favore di terzo, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. IV, p. 239 ss.
95 In argomento si veda X. XXXXXXX, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, p. 134, secondo la quale nella fattispecie del contratto a favore di terzo si verrebbe a configurare “un regolamento complesso, caratterizzato dalla presenza di interessi multiformi anche se difficilmente scindibili o divisibili in parti ed in ordine ai quali è pressoché impossibile stabilire una graduatoria di rilevanza”.
inattuato per la condotta inadempiente di quest’ultimo. Nella specie si tratta di stabilire quali dei rimedi di cui all’art. 1453 c.c. (azione di adempimento, azione per il risarcimento del danno causato dall’inadempimento, azione di risoluzione del contratto96) il terzo, divenuto titolare del diritto in virtù del contratto intercorso tra stipulante e promittente, possa esercitare nei confronti del secondo nell’ambito del rapporto contrattuale rispetto al quale dovrebbe continuare a rimanere terzo.
Riguardo all’azione per ottenere l’adempimento del promittente e all’azione per il risarcimento del danno dipeso da inadempimento dello stesso, la legittimazione del terzo non ha destato grandi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza, essendo connaturale all’essenza del diritto l’esistenza di mezzi giuridici che ne assicurino l’esercizio e, dunque, la realizzazione dell’interesse a cui l’ordinamento ha accordato tutela investendo il suo titolare in una situazione giuridica formale, consistente, appunto, in un diritto soggettivo. Così come non può non riconoscersi allo stesso titolare del diritto il ristoro dal danno ingiustamente sofferto per la mancata attuazione della sua pretesa a causa del comportamento inadempiente del promittente97.
Paradossalmente – soprattutto più di recente – rispetto alle medesime azioni significative difficoltà si sono riscontrate quando si è trattato di stabilire se legittimato all’azione tesa ad ottenere l’adempimento da parte del promittente (o il risarcimento per il danno subito dall’inadempimento dello stesso) fosse lo stipulante. La questione dipende fortemente dalla ricostruzione del profilo causale della figura e dall’interpretazione che si da alla disposizione normativa contenuta all’art. 1411 c.c., dove la validità della stipulazione con cui si dispone di un diritto a favore di terzo viene subordinata all’esistenza di un interesse dello stipulante98.
Nonostante la diversità di vedute riguardo al meccanismo causale dell’attribuzione del diritto al terzo, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie sono concordi nell’ammettere lo stipulante
96Azione che è stata incidentalmente ammessa in alcune pronunce del giudice di legittimità, dove, però, il thema decidendum non riguardava direttamente tale questione vedi Cass., 5 dicembre 1987, n. 9034, in Giust. civ. Mass. 1987, XII; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9810, in Giur. it. 1998, p. 1096; Cass., 9 aprile 2014, n. 8272, in Giust. civ. Mass. 2014. Anche in dottrina sembrerebbe raccogliere importanti consensi la tesi che accorda al terzo la legittimazione alla risoluzione del contratto ex art. 1453. Si possono vedere X. XXXXXXX, Contratto a favore di terzo e per persona da nominare, in Riv. dir. civ., 1984, p. 390 ss.; O.T. XXXXXXXXXX, Contratto a favore di terzi, cit., p. 8
97 Cosi O.T. XXXXXXXXXX, Contratto a favore di terzi, cit., p. 6 ss. secondo cui, stante l’acquisto del diritto da parte del terzo per effetto della stipulazione, è ovvio che “in caso di inadempimento del promittente, il terzo può servirsi dei meccanismi di tutela disciplinati dagli artt. 1218 ss. e, dunque, può agire per ottenere l’esatto adempimento ed eventualmente il risarcimento dei danni subiti. Sul punto si possono vedere X. XXXXXXXX, Del contratto a favore di terzi, cit., p. 378 ss.; C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, cit., p. 570 ss.; X. XXXXXXXX, Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. dir, X, 1962, p. 206; L.V. XXXXXXXXX, I negozi a favore di xxxxx, cit., pp. 202 ss.; X. XXXXXXX, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, Napoli, 1962, cit., p. 181 ss. Per la giurisprudenza cfr. Cass., 8 aprile 1981, n. 1922; Cass., 5 dicembre 1987, n. 9034; Cass., 9 ottobre 1997, in Foro it. rep., voce Contratto in genere, p. 245: più
recentemente Cass., 9 aprile 2014, n. 8272)
98 L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzo, cit., pp. 91 ss., secondo cui pregiudiziale rispetto alla questione della ripartizione delle azioni è la soluzione dell’interrogativo circa la spettanza o meno di una posizione giuridica sostantiva allo stipulante, oltre che al terzo, che gli consenta di pretendere dal promittente l’esecuzione della prestazione dovuta al terzo. Soluzione che dovrebbe secondo l’autore venir ricavata necessariamente dalla “considerazione dei profili attinenti alla giustificazione causale del contratto a favore di terzo”.
all’esercizio delle azioni in questione sulla base della necessaria esistenza di un interesse dello stesso (che può consistere anche in un interesse morale, e non solo patrimoniale), quale elemento indefettibile ai fini della configurabilità della fattispecie. In questo caso l’inadempimento del promittente determinerebbe non solo la mancata realizzazione del diritto del terzo - legittimato a reagire giuridicamente con le azioni per l’adempimento coattivo o, eventualmente, per il risarcimento del danno - ma frustrerebbe anche l’interesse per cui lo stipulante era addivenuto al contratto. Da qui la legittimazione di quest’ultimo ad agire direttamente per ottenere il soddisfacimento dell’interesse leso o - in via subordinata - per chiedere il risarcimento del danno o la risoluzione del contratto99. Ad un approdo del tutto discorde giunge una recente pronuncia della Corte di Cassazione100, la quale esclude l’azionabilità del diritto spettante al terzo da parte dello stipulante e la sua legittimazione ad esperire azione di risoluzione per inadempimento del promittente verso il terzo. Basi su cui il supremo collegio poggia queste conclusioni sono la distinzione tra il rapporto che si instaura tra stipulante e promittente e quello che si instaura tra terzo e promittente, nonché il superamento dell’“ostacolo” rappresentato dal necessario interesse dello stipulante all’attribuzione del diritto. Infatti, nel primo dei due rapporti – quello tra promittente e stipulante – l’interesse di quest’ultimo non si risolverebbe nella titolarità di una posizione giuridica “sostantiva”101 la quale gli consenta di pretendere dal promittente l’esecuzione della prestazione oggetto del diritto attribuito al terzo con la stipulazione, ma in un'altra posizione giuridica la cui relativa prestazione consiste nell’attribuire il diritto al terzo102. In altri termini, lo stipulante, in ragione del suo interesse giuridicamente rilevane ex art. 1411, è si investito di un diritto103, il cui contenuto, però, non si risolve nella legittimazione ad esigere la prestazione oggetto del diritto spettante al terzo, bensì ad ottenere che il promittente operi affinché si verifichi l’effetto acquisitivo nella sfera giuridica del
99 In giurisprudenza tale lettura è tralatizia, cfr. Cass. 29 luglio 1968 n. 2727, secondo cui lo stipulante conserva la legittimazione ad agire verso il promittente per l'esecuzione della prestazione promessa e accettata dal terzo; Xxxx. 22 giugno 1978 n. 3089, secondo cui lo "stipulator", quale contraente, può agire per l'adempimento nei confronti del promittente; Cass., 1 marzo 1993 n. 2493, per un caso di concorrente legittimazione a pretendere dal promittente l'adempimento della prestazione tanto del terzo beneficiario quanto dello stipulante; Cass., 9 ottobre 1997, n. 9810, in Giur. it. 1998, p. 1096. La medesima lettura viene data dalla dottrina quasi unanime se si esclude l’opinione più risalente del X. XXXXXXX, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, cit., p. 173 ss., secondo il quale non può riconoscersi allo stipulante un diritto all’adempimento al terzo concorrente con quello di quest’ultimo. Infatti, laddove si dovesse aderire a tale ricostruzione “il contratto a favore altrui si risolverebbe in uno strumento di sopraffazione contro il promittente (il quale, in caso di inadempimento, sarebbe tenuto a risarcire il danno anche allo stipulante oltra che al terzo beneficiario) e in un potere di ingerenza di fatto nella sfera giuridica del terzo (il quale non potrebbe efficacemente disporre a favore del promittente del diritto acquisito)”. Sul punto si possono vedere X. XXXXXXXX, Del contratto a favore di terzi, cit., p. 278 ss.; C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, cit., p. 570 ss.; L.V. XXXXXXXXX, I negozi a favore di terzi, Milano, 1970; ID, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997; MESSINEO, Contratto nei rapporti col terzo, in Enc. dir., X, 1962, A. PALAZZO, Contratto a favore di terzo e per persona da nominare, in Riv. dir. civ., 1984, p. 390 ss.;
100 Cass., 9 aprile 2014, n. 8272, in Nuova giur. civ. Comm., 2014, XI, p. 981 ss.
101 L.V. XXXXXXXXX, I negozi a favore di terzi, cit., p. 205.
102 Così anche O.T. XXXXXXXXXX, Contratto a favore di terzi, cit., p. 7.
103 In senso contrario v. X. XXXXXXX, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, cit., 1962, pp. 173 ss., il quale critica la tesi che accorda a stipulante e terzo diritti i cui contenuti consistano per l’uno in un dare e per l’altro in un facere.
terzo. Il promittente per liberarsi del suo obbligo nei confronti dello stipulante deve procurare al terzo l’acquisto del diritto, senza essere tenuto ad adempiere la prestazione che ne costituisce l’oggetto; così facendo soddisfa l’interesse dello stipulante, il quale non potrà più agire nei confronti del promittente in quanto la prestazione a cui aveva diritto è stata già adempiuta104.
Sempre secondo la Suprema Corte, sul fronte promittente-terzo, il rapporto che tra questi si instaura, pur trovando la sua fonte nella stipulazione intervenuta tra le parti contraenti, una volta venuto ad esistenza (e soprattutto dopo essersi consolidato per effetto della dichiarazione di approfittamento del terzo) vive di vita propria, rimanendo autonomo rispetto alle vicende del primo rapporto. L’autonomia tra i due rapporti comporta l’inconfigurabilità di una legittimazione concorrente di terzo e stipulante all’attivazione del diritto105, non potendosi per principio ammettere, eccetto diversa previsione, la possibilità che un diritto venga azionato o fatto oggetto di disposizione e di esercizio da parte di chi non ne è il titolare106. Pertanto, nel caso di inadempimento del promittente della prestazione oggetto del diritto attribuito al terzo, unico legittimato ad agire per la sua esecuzione sarà, appunto, il terzo. Lo stipulante, invece, estraneo a tale rapporto, non solo non potrà agire per l’adempimento, ma non potrà neanche chiedere la risoluzione del contratto “perché detto inadempimento non concerne tale contratto, ma il rapporto originato dall'attribuzione al terzo del diritto”107.
Il ragionamento che mostra di seguire la Corte – apparentemente determinando una drastica rottura con i punti fermi su cui avevano avuto modo di convergere le altre pronunce riguardanti la questione dei rimedi spettanti a parti e terzi in caso di patologia del rapporto dovuta ad inadempimento – sembra
104 Da questo punto di vista assume preminente importanza – sempre secondo il ragionamento seguito dalla corte - il meccanismo che determina l’acquisto del diritto in capo al terzo. Infatti, nei casi in cui è sufficiente l’accordo delle parti perché si verifichi l’effetto acquisitivo a favore del terzo (ex artt. 1376 e 1411), lo stipulante non potrà più agire nei confronti del promittente una volta raggiunto l’accordo, in quanto la prestazione cui aveva diritto si è adempiuta con il verificarsi dell’acquisto in capo al terzo. Nei casi in cui, invece, perché si realizzi il medesimo effetto non è sufficiente la manifestazione del consenso da parte del promittente, ma anche un determinato comportamento da parte del medesimo, lo stipulante potrà agire in giudizio per ottenere da quest’ultimo quel contegno da cui dipende l’acquisto del diritto da parte del terzo.
105 Cosi, invece, X. XXXXXXXXX, Dei contatti in generale, in Commentario del codice civile, Torino, 1968, pp. 446 ss.;
X. XXXXXXX, Contratto a favore di terzo e per persona da nominare, cit., p. 390 ss.
106 L’estraneità dello stipulante al rapporto promittente-terzo viene dal collegio desunta anche dal dato normativo: si sostiene, infatti, che l’espressa previsione contenuta all’art. 1411 c.c., comma 3 per cui "la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto" in caso di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, renderebbe palese che“ se la possibilità di pretendere l'esecuzione della prestazione oggetto del diritto attribuito al terzo, una volta verificatasi l'adesione del terzo, spettasse sia al terzo sia allo stipulante, allorquando poi intervenisse la revoca della stipulazione (possibile ai sensi dell'art. 1411 c.c., comma 2 prima che il terzo abbia dichiarato di volerne profittare anche nei confronti del promittente) o il rifiuto del terzo, non vi sarebbe stato affatto bisogno che il legislatore prevedesse che la prestazione oggetto del diritto già attributo al terzo spettasse allo stipulante. La norma può trovare spiegazione solo se si esclude che, una volta verificatasi l'adesione del terzo, il diritto a lui attribuito, ferma la possibilità della revoca o della modifica da parte dello stipulante prima della dichiarazione di approfittamento del terzo, competa anche allo stipulante”.
107 Su quest’ultimo punto v. X. XXXXXXXXX, La risoluzione giudiziale, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, Il contratto in generale, Torino, 2002, p. 55 ss., il quale ai fini della esperibilità dell’azione di risoluzione da parte dello stipulante distingue a seconda che si tratti attribuzione fatta donandi causa, ovvero solvendi causa.
andare nel senso di una plastica separazione non solo tra i rapporti, ma altresì tra gli interessi di stipulante e terzo beneficiato, interessi autonomi e distinti capaci di dare sostanza a rapporti giuridici altrettanto autonomi e distinti.
Un ulteriore risultato cui si giunge seguendo il filo logico della pronuncia è la possibilità di configurare il rapporto contrattuale tra stipulante e promittente alla stregua di rapporto sempre più somigliante ad un normale rapporto sinallagmatico, quando, evitando di spogliare lo stipulante di un diritto alla prestazione di controparte, gli si riconosce tale diritto facendo consistere la prestazione cui da titolo nell’attribuzione di un diritto al terzo beneficiario. In questo caso l’attribuzione del diritto costituisce l’oggetto della prestazione del promittente che vi adempirà prestando il consenso alla stipula del contratto – tutte le volte che l’effetto acquisitivo dipenderà immediatamente dal perfezionamento del contratto – o attuando quel comportamento necessario perché il terzo acquisti il diritto di cui si è voluto beneficiarlo. In caso contrario, vi sarà inadempimento del promittente, con conseguente legittimazione dello stipulante ad agire per ottenere l’esecuzione della prestazione, o, subordinatamente, la risoluzione del contratto e il risaDrcaimtaelenrtoicodsetlrduaznionnoe. risulta ancora più marcata la posizione di terzietà in cui si trova il terzo, che non solo risulta tale sul piano del procedimento di formazione della fattispecie e sul piano del regolamento, ma, aderendo alle conclusioni sopra esposte, risulterà terzo anche rispetto al rapporto contrattuale che lega solo le parti della stipulazione 108. Se ciò è corretto, un ulteriore corollario deve essere l’assenza di legittimazione del terzo all’esperimento dell’azione di risoluzione che attiene al contratto quale regolamento di interessi avente una funzione economico-giuridica socialmente rilevante la cui mancata realizzazione giustifica l’eliminazione di un regolamento oramai privo di qualsiasi utilità. Da questo punto di vista, infatti, una volta che il diritto è stato attribuito al terzo e lo stipulante ha adempiuto alle sue obbligazioni nei confronti del promittente, si può dire che la funzione per cui questi erano addivenuti alla stipula del contratto è stata pienamente adempiuta, mancando quindi ogni ragione per ipotizzare l’esperibilità di un rimedio tanto grave qual è la risoluzione, soprattutto quando ad usare tale rimedio debba essere non una delle parti ma un terzo.
108 A questa conclusione potrebbe facilmente opporsi il rilievo del dato normativo, che all’art. 1413 consente al promittente di “opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto dal quale deriva il suo diritto”, da ciò risultando la rilevanza che per il terzo continua ad avere il contratto da cui dipende il suo acquisto. Tuttavia, il rilievo non può costituire argomento sulla cui base escludere la terzietà del beneficiario al rapporto contrattuale, in quanto la norma di cui all’art. 1411, nell’accordare al promittente l’opponibilità delle eccezioni fondate sul contratto, fonda la sua ratio nell’esigenza di tutelare il promittente dalle pretese avanzate sulla base di un diritto che trova la sua giustificazione causale nel contratto di cui egli è parte. Di conseguenza, ogni vicenda attinente al contratto da cui derivi il venire meno di tale giustificazione o, comunque, la inesigibilità della prestazione, potrà essere opposta al terzo al fine di evitare al promittente un ingiustificato depauperamento. Se ne ricava, dunque, che non riposando la ratio della norma nella non estraneità del terzo al rapporto ma nell’esigenza di tutela del promittente, da tale norma non può in alcun modo desumersi che il terzo è parte del rapporto contrattuale di cui sono parti solo stipulante e promittente.
È qui che il supremo collegio sembra giungere a conclusioni che contrastano con le sue stesse premesse, quando ammette il terzo all’esperimento dell’azione di risoluzione, per di più nell’ipotesi in cui “il rapporto originato dall’attribuzione al terzo del diritto […] si sostanzia in una posizione contrattuale fra il terzo e il promittente” senza specificare quando e in cosa viene a consistere questa “posizione contrattuale” 109,.
Infatti, pur non essendo la prima volta che in materia di contratto a favore di terzo si finisce per riconoscere a quest’ultimo la qualità - quanto meno dal punto di vista sostanziale - di parte del contratto110, riconoscere al terzo la titolarità di una posizione contrattuale tutelabile con il rimedio risolutorio implica il riconoscimento di un interesse facente capo al terzo immediatamente coinvolto nel regolamento contrattuale, che, come tale, dovrebbe andare soggetto a quell’efficacia vincolante che l’atto produce in ragione degli interessi coinvolti nel regolamento. Ma come si è sottolineato, tale efficacia nei confronti del terzo non è compatibile con la figura del contratto a favore altrui stante l’impossibilità che tale contratto produca effetti non favorevoli nella sfera giuridica del suo beneficiario. Ancora, la possibilità che il terzo sia in qualche modo parte del rapporto cui mette capo l’atto viene superata dalla stessa Xxxxx, la quale è chiara nel distinguere il rapporto contrattuale tra promittente e stipulante dal rapporto non contrattuale che lega terzo e promittente, tanto da escludere, addirittura, la legittimazione dello stipulante a pretendere l’esecuzione della prestazione cui ha diritto il terzo a causa del suo essere estraneo a tale rapporto.
Sulla base di tali rilievi sembrerebbe non potersi giungere ad altra conclusione se non a quella che porta ad escludere l’attribuibilità al terzo di una posizione “qualificata” all’interno del contratto, che consenta a quest’ultimo di usare dei rimedi che sono propri dell’essere parte111. Se non fosse che la stessa Cassazione nella pronuncia finisce per far prendere parte al terzo non solo ad alcuni dei rapporti
109 A perplessità ancora maggiori da luogo l’affermazione mancante di ogni rigore tecnico che nel riconoscere nella fattispecie dedotta in giudizio un contratto preliminare a favore di terzo finisce per attribuire al terzo beneficiario la qualità di parte del contratto preliminare, ignorando del tutto il fatto che nella fattispecie di stipulazione a favore del terzo questi può essere destinatario di soli effetti giuridici favorevoli, mentre dall’essere parte di un contratto (e qui era chiaro che non si trattava di parte intesa come autore dell’atto) normalmente discendono anche situazioni giuridiche “sfavorevoli”.
110 O.T. SCOZZFAVA, Contratto a favore di xxxxx, cit., p. 6. Gli autori che distinguono tra parte contrattuale e titolare del diritto di credito, traendone conseguenze sul piano della legittimazione ad esperire i rimedi contro l’inadempimento sono:
X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, nel Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, 2007, sub art. 1453 cod. civ., 121 ss.; XXXXXXXX, Causa e tipo nel contratto a favore di terzi, Torino 2005, 279; X. XXXXXXX, I rimedi contrattuali a favore di terzi, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000, xx. 00; X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx e negozio nella stipulazione a favore di terzi, Padova, 1994, 13 s.; XXXXXXX, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di xxxxx, Xxxxxx, 1962, 181 s.; X. XXXXXXX, voce «Contratto a favore di terzi», nel Noviss. Digesto it., IV, Utet, 1959, 659; oltreché, nella letteratura francese, PLANIOL-XXXXXX-XXXXXXXXX, Traite elementare de droit civil, II, 1952, L.G.D.J., 234 s. Tale approccio è criticato da L.V. XXXXXXXXX, Il contratto a favore di terzi, nel Commentario Xxxxxxxxxxx, Milano, 2012, sub art. 1411 cod. civ., 94.
111 In tal senso C.M. XXXXXX, Diritto civile, III: Il contratto, cit., p. 570 ss., secondo cui, poiché il terzo beneficiario del contratto a favore di xxxxx è titolare del diritto attribuitogli dal contratto ma non del rapporto contrattuale, non può avvalersi dei rimedi contrattuali (risoluzione del contratto, ecc.); X. XXXXXXXXX, La risoluzione giudiziale, in Trattato di diritto privato, diretto da BESSONE, Il contratto in generale, Torino, 2002, p. 47 ss.; X. XXXXXXXX, Del contratto a favore di terzi, cit., p. 387 ss.; X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da IUDICA e ZATTI, Milano, 2001, p 85 ss..
che dal contratto si proiettano, ma addirittura alla fattispecie di produzione dell’effetto acquisitivo. Si legge nella motivazione, infatti, che “sebbene l'acquisto sorga per effetto della stipulazione, deve supporsi, pur nel silenzio della scarna disciplina legislativa, che il terzo abbia in qualche modo contezza della stipulazione a suo favore e manifesti anche per facta concludentia la sua adesione almeno allo stipulante”112. Peraltro, siffatta adesione verrebbe a porsi come momento distinto rispetto alla dichiarazione di volerne profittare “anche in confronto del promittente”, necessaria ai soli fini della irrevocabilità, non anche a determinare l’effetto acquisitivo, già prodottosi in virtù di quella fattispecie a formazione progressiva cui al momento della stipulazione verrebbe ad aggiungersi, ai fini del verificarsi dell’effetto acquisitivo, l’adesione anche per facta concludentia manifestata allo stipulante, del terzo che abbia avuto “contezza” di detta convenzione113.
Ulteriore argomento a confutazione della tesi che ammette la legittimazione del terzo all’esperimento dell’azione risolutoria muove dal necessario rilievo che unica ipotesi di risoluzione intorno alla quale si può discutere della sua esperibilità da parte del terzo è quella per inadempimento (artt. 1453 ss. c.c.). Rispetto alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione (artt. 1463 ss. c.c.) e per eccessiva onerosità della prestazione (artt. 1467 ss. c.c.), prima ancora di riflettere su di una possibile legittimazione da parte del terzo, viene sul piano logico da escludere un qualsiasi interesse di quest’ultimo a valersi di un rimedio che trova la sua ragion d’essere in un contratto a prestazioni corrispettive dal cui vincolo si vuole liberare chi non può più ricevere la controprestazione, o chi ha visto tale vincolo diventare tanto gravoso da alterare significativamente a suo danno l’originario equilibrio contrattuale, minando così alle basi i presupposti di realizzazione della causa del contratto.
È, dunque, riguardo alla sussistenza di un interesse del terzo all’esperimento del rimedio della risoluzione per inadempimento che occorre interrogarsi al fine di dare soluzione al quesito relativo alla sua legittimazione. Da questo punto di vista si è sottolineato più volte come al terzo dal contratto stipulato a suo favore non può derivare il sorgere di situazioni giuridiche vincolanti (o negative), neanche se subordinate alla sua successiva adesione, pertanto, come avviene rispetto
112 Cass., 9 aprile 2014, n. 8272, in Nuova giur. civ. Comm., 2014, fasc. 11, p. 983 ss., dove il ragionamento della corte prosegue fino ad affermare che la dichiarazione di cui all’art. 1411, comma 2° non sarebbe “necessaria” perché si verifichi l’effetto acquisitivo, “essendo sufficiente appunto che un'adesione alla stipulazione vi sia stata in confronto del solo stipulante: in tal caso, infatti, l'acquisto del diritto in capo al terzo si è verificato, ma esso è un acquisto che, fintante che non vi sia la dichiarazione di volerne profittare nei confronti anche del promittente, resta risolubile o modificabile per effetto dell'unilaterale volontà dello stipulante. La ragione è evidente: una volta che anche il promittente abbia ricevuto certezza che la stipulazione ha realizzato i suoi effetti per effetto della dichiarazione, essendo coinvolta anche la sua posizione, l'asseto di interessi deve ritenersi ormai consolidato e non più nel dominio dello stipulante (salvo, naturalmente, che non sia staro pattuito diversamente).
113 Si veda C. DE XXXXXX, Inadempimento del contratto a favore di terzi e problemi di identificazione della “parte” legittimata ad esperire i rimedi contro il promittente, in Nuova giur. civ. Comm., 2014, fasc. 11, p. 983 ss.
agli altri due rimedi esso non è gravato da un alcun obbligo nei confronti di xxxxx che sarebbe legittimato passivo dell’azione risolutoria. Non si vede, quindi, quale utilità il terzo conseguirebbe dalla risoluzione del contratto stipulato tra promittente e stipulante, da cui non gli deriva altro che l’acquisto di un diritto comunque rifiutabile114.
A fortiori deve escludersi tale legittimazione quando si prenda atto che alla realizzazione del programma contrattuale cui accede la clausola attributiva del diritto al terzo normalmente hanno interesse non solo il promittente, ma anche – se non soprattutto – lo stipulante, rispetto a cui l’attribuzione del diritto al terzo potrebbe essere solo una delle tante prestazioni cui ha diritto verso il promittente. Da qui non solo lo scarso interesse del terzo ad ottenere risoluzione di un contratto vincolante solo per le parti, ma anche un ingiustificato sacrificio delle ragioni dello stipulante, laddove venisse riconosciuto al terzo un irragionevole potere di interferenza sulla sfera giuridica altrui per mezzo del rimedio risolutorio.
Sulla base di quanto detto finora sembra potersi affermare che il terzo di cui agli artt. 1411 ss. pur dovendo continuare a definirsi terzo, si trovi in una posizione rivelante significativi indici partecipativi alla operazione negoziale, che la distinguono dalla posizione di tutti gli altri terzi che dalla stessa vicenda non hanno da temere né da sperare alcuna conseguenza giuridica diretta.
Come si è potuto vedere, infatti, il terzo pur non essendo parte del contratto di cui all’art. 1411 c.c., finisce per partecipare all'operazione in modi diversi, anche a seconda delle diverse ricostruzioni che della fattispecie si adottino. In primo luogo, sul piano degli effetti: è innegabile che almeno una delle situazioni effettuali scaturenti dal contratto andrà ad insistere nella di lui sfera giuridica; in secondo luogo, sul piano degli interessi: benché questi non vengano fatti oggetto di disposizione e di regola, sono dalle parti comunque fatti oggetto di valutazione nell’ambito del regolamento115.
Controversa è invece la possibilità che lo stesso soggetto possa partecipare all’operazione anche sul piano fattuale. Non convince infatti il postulato che vuole addirittura necessario un intervento del terzo alla fattispecie di produzione dell’effetto acquisitivo, nella forma di un’adesione alla
114L’imbarazzo giurisprudenziale ad ammettere lo stipulante a risolvere il contratto è condiviso da una parte della dottrina che, per uscirne, elabora vari escamotage: X. XXXXXXX, L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di xxxxx, cit., 186 SS.; propone di subordinare la risoluzione del contratto alla non scarsa importanza dell’inadempimento, avuto riguardo all’interesse alla prestazione del beneficiario della stipulazione; X. XXXXX, in SACCO-DE NOVA, Il contratto, nel Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxx, I, Torino, 2004, 217, fa rientrare il diritto del favorito tra i diritti acquistati dai terzi, che l’art. 1458 cod. civ. salvaguarda dagli effetti retroattivi della risoluzione del contratto; I. FERRANTI, Causa e tipo nel contratto a favore di terzi, Milano, 2005, p. 279, rinviene la soluzione nel risarcimento del danno eventualmente patito dal terzo.
115 In particolare, si veda sul punto X. XXXXXXX, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, p. 131, nella specie nota 32
stipulazione intervenuta tra promittente e stipulante, manifestata anche per facta concludentia nei soli confronti dello stipulante116.
116 Così Cass., 9 aprile 2014, n. 827., con nota critica di C. DE XXXXXX, Inadempimento del contratto a favore di terzi e problemi di identificazione della “parte” legittimata ad esperire i rimedi contro il promittente, in Nuova giur. civ. comm.., 2014, fasc. XI, p. 978 ss.
CAPITOLO SECONDO
PARTE E TERZO NELLE DINAMICHE DELL’OPERAZIONE ECONOMICA
Sommario: 1. Il fenomeno del collegamento negoziale tra contratti aventi parti diverse. – 2. Le operazioni contrattuali a struttura soggettiva trilaterale. – 3. Il mutuo di scopo. – 4. Il credito al consumo. – 5. Il leasing: ipotesi ricostruttive. - 6. La posizione dei partecipanti all'operazione di leasing. - 7. La tutela dell'utilizzatore nell'ambito del collegamento negoziale.
1. Il fenomeno del collegamento negoziale tra contratti aventi parti diverse.
Il fenomeno che fino ad ora è stato oggetto di esame dal punto di vista della singola fattispecie contrattuale, si può assumere, ai fini di una sua ulteriore disamina, dal punto di vista delle operazioni plurinegoziali117. Operazioni nelle quali l'autonomia dei privati, incanalandosi in prassi di mercato sempre più solide e omogenee, modella le classiche architetture del contratto e del tipo contrattuale nell'ottica di un più ampio assetto di interessi per il tramite dello strumento del collegamento negoziale. Qui i limiti di efficacia soggettiva del contratto tendono a cedere all'articolarsi di più rapporti contrattuali formalmente autonomi ma sostanzialmente comunicanti, i quali si instaurano tra più di due soggetti, e dunque tra più di due parti.
Ciò comporta che per l'essere parte di uno dei contratti nei quali si struttura l'operazione, il soggetto può divenire titolare di posizioni contrattuali riferibili ad un contratto cui sarebbe normalmente – e formalmente – terzo. Tant’è che non è mancato in dottrina chi ha sottolineato come proprio nell’ambito di tali operazioni emerge la tendenza, soprattutto nelle pronunce dei giudici, ad impiegare il collegamento negoziale nel senso di un possibile “superamento del principio di relatività degli effetti del contratto”118.
117 Relativamente alla idoneità di quest’ultima nozione ad assurgere al rango di categoria ordinante, si possono vedere le riflessioni dell’autore che più approfonditamente ha trattato dell’argomento, X. XXXXXXXXX, Il contratto e le sue classificazioni, in Riv. dir. civ., 1997, p. 706 ss.; ID., L’operazione economica nella teoria del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 906 ss.; ID, Contratto e operazione economica, in Dig. disc. priv., sez. civ., VI aggiornamento, 2011, p. 243 ss.; ID, Il contratto e l’operazione economica, in Riv. dir. civ., 2003, 1, p. 95 e ss.; ID., Xxxxxxx, contratto e operazione economica, in Rass. dir. civ., 2004.
118 X. XXXXXX, La finanza di progetto: profili civilistici, Milano, 2003, p. 287 ss. In questo senso si vedano X. X'XXXXXX, Contratto e operazione economica, Torino, 1992 p. 125 ss. X. XXXXXXX, I collegamenti negoziali, Xxxx, 0000; ID, Operazione economica e collegamento negoziale, Padova, 1999, p. 222 ss., il quale finisce per affermare come l’aspetto di maggiore interesse, relativamente alle ipotesi di collegamento funzionale, non sia dato dalla possibilità che alcune patologie possono trasmettersi dal contratto che ne è affetto ad altro contratto originariamente “sano” (in ossequio
L’attenzione in questa parte dell’indagine dovrà dirigersi dunque verso quelle particolari ipotesi, sempre più significative e diffuse nella realtà economica e nel diritto dei consumi, dove il contratto non esaurisce la singola operazione, definendo i confini della sua rilevanza giuridica, ma di tale operazione viene a costituire elemento integrante, insieme ad altri segmenti negoziali, con i quali si lega per dare vita e attuazione ad un più ampio assetto di interessi.
Il campo di indagine verrà delimitato solo ad alcune fattispecie, che, tanto a livello di struttura quanto a livello di funzione, consentono lo svolgimento di considerazioni utili ai fini di una più precisa lettura del fenomeno indagato.
Un importante contributo forniscono a tal proposito i risultati di dottrina e giurisprudenza circa la configurabilità di collegamenti negoziali anche fra contratti aventi parti diverse. Ipotesi, cioè, in cui le parti di un contratto non si identificano reciprocamente nelle parti del contratto che vi si collega, essendo quest’ultimo instaurato tra una delle parti del primo e un soggetto terzo rispetto allo stesso.
Prima di entrare nel dettaglio, alcune considerazioni preliminari si impongono per la definizione dei contorni della realtà indagata.
Partendo dal collegamento negoziale, si può dire che di esso si riscontra l'esistenza ogni qualvolta le parti danno vita, contestualmente o no, a diversi e distinti contratti, i quali, caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa e conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale (alla cui disciplina rimangono rispettivamente sottoposti) vengono tuttavia concepiti e voluti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, cosicché le vicende dell'uno debbano necessariamente ripercuotersi su quelle dell'altro, condizionandone la validità e l'efficacia119.
al tralatizio principio, invalso in materia di collegamento tra negozi, riassunto nel broccardo latino simul stabunt, simul cadent), bensì dalla circostanza che tali momenti di rilevanza del collegamento finiscono per “operare nell’ambito si un sostanziale superamento del principio di relatività del contratto”.
119Così Cass., 12 febbraio 1980, n. 1007, in Giur. it., 1981, I, 1, 1537, la pronuncia si rifà alle definizioni che della figura sono state date dalla dottrina che si è dedicata all’argomento. Per tutti, si veda, X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, in Scritti minori, Napoli, 1988, p. 55 ss. il quale individua la “categoria pratica dei negozi collegati” nelle ipotesi in cui vi è la compresenza di un “elemento obiettivo, che attiene alla funzione che essi esplicano in concreto, e cioè uno stretto nesso economico e teleologico tra di essi” e di un “elemento soggettivo, che consiste non semplicemente nella coscienza, da parte dei partecipanti ai diversi negozi, di tale xxxxx, ma in un particolare animus, e cioè nell’intenzione di coordinare i vari negozi verso uno scopo comune”. Senza pretesa di esaustività, tra gli autori più autorevoli che per primi hanno trattato del collegamento negoziale, si vedano; X. XXXXXXXXX, Contratto misto, negozio indiretto, negotium mixtum cum donatione, in Riv. dir. comm., 1930, II, p. 462; X. XXXXXXXXX., Negozio collegato, negozio illegale e ripetibilità del pagamento, in Temi, 1951, p. 154; X. XXXXXX, In tema di collegamento funzionale fra contratti, in Giur. compl. Cass. civ., 1946, II, p. 328; X. XXXXXX, Deposito in funzione di garanzia e inadempimento del depositario, in Foro it., 1937, I, p. 1476 X. XXXXXXXXXXXX, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, 1960, 375 ss.; X. XXXXXXXX, voce Contratto collegato, in Enc. Dir., X, 1962, 48 ss.; X. XXXXXXXX, Appunti in tema di negozi giuridici collegati, in Giust. civ., 1954, I, 259; F. DI SABATO, Unità e pluralità dei negozi, in Riv. dir. civ., 1959, I, 412 ss.; X. XXXXXXX, Economie individuali e connessione contrattuale, Milano, 1997; X. XXXXXXXX, Collegamento negoziale e vicende della proprietà. Due profili della locazione finanziaria, Rimini, 1982; X. XXXXXXXXXXXX, Il collegamento negoziale, Napoli, 1983; Più di recente, v. X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit., spec. 431 ss.; X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit.; X. XXXXXXXX, Recenti orientamenti in tema di collegamento
I contraenti, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale attribuita loro dall’art. 1322 c.c., concludono dunque una serie coordinata di atti in funzione di un fine pratico unitario. I singoli negozi conclusi dalle parti perseguono interessi immediati e al contempo strumentali all’interesse complessivo dell’intera operazione economica. In altri termini, i contratti, pur conservando una causa autonoma, sono coordinati dalle parti verso la realizzazione di un risultato economico unitario sebbene multiforme.
Secondo la costante giurisprudenza e la prevalente dottrina, affinché si configuri un collegamento negoziale devono sussistere sia l’elemento oggettivo120, costituito dal nesso economico e teleologico tra i negozi, che quello soggettivo, consistente nell’intenzione delle parti, espressa o tacita, di coordinare i vari negozi verso la realizzazione di un fine ulteriore, di uno scopo comune, che ne trascende gli effetti tipici e assume una propria autonomia anche dal punto vista causale121.
negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 233 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti collegati, Milano, 1998; X. XXXXX, Profili del collegamento negoziale, Milano, 1999; A. Palazzo, Operazioni economiche e collegamento negoziale in una recente ricostruzione, in Riv. dir. comm., 2001, I, 387 ss.; X. XXXX, X. XXXXXXX, Funzione economica e modelli giuridici delle operazioni di «credito al consumo», in Riv. soc. 1975, p. 1359; X. XXXXXXXX, Il collegamento negoziale occasionale, in Contratti, 2008, 134 ss.; Per la dottrina sul collegamento volontario si rimanda, tra gli altri, a X. XXXXXX, Il collegamento volontario tra contratti nel sistema dell’ordinamento giuridico. Sostanza economica e natura giuridica degli autoregolamenti complessi, Napoli, 2000; C. XX XXXXX, Collegamento negoziale e funzione complessa, in Riv. dir. comm., 1977, I, p. 279; X. XXXXXXXX, I contratti collegati, in I contratti in generale, in Giur. sist. dir. civ. comm., diretta da X. Xxxx - X. Xxxxxxx, III, Torino, 1991, 587; ID., I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm., 1986, II, p. 256; ID., Credito al consumo: operazione economica unitaria e pluralità di contratti, in Riv. dir. comm., 1991, I, p. 608; ID., Contratti collegati: il caso del credito al consumo, in Giur. civ. comm., 1995, I, p. 305; ID., Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, II, p. 233; ID., I contratti collegati: principi della tradizione e tendenze innovative, in Contr. e impr., 2000, 1, p. 127; X. XXXXXXXXX, Collegamento e connessione di negozi, in Riv. dir. comm., 1955, I, p. 357 e ss., p. 386 e ss.; X. XXXXXXXX, Xxx negozi collegati, in Riv. dir. comm.,1962, II, p. 342; X. XXXXXX XXXXXXXX, Negozi collegati e negozio di collegamento, in Dir. e giur., 1968, p. 836.; X. XXXXXXX, Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999; Sulla distinzione tra collegamento negoziale legale e volontario, in giurisprudenza,
x. Xxxx. 27 aprile 1995, n. 4645, in Giust. civ., 1996, I, 1093 ss., (con nota di X. XXXXX, Il collegamento contrattuale tra tipicità ed atipicità), nella quale la Corte utilizza una terminologia nuova rispetto alla tradizione, laddove afferma che il criterio discretivo tra unità e pluralità di negozi risiederebbe nella “unicità o pluralità degli interessi perseguiti”; v. anche Xxxx. 23 aprile 2001, n. 5966, in Rass. dir. civ., 2003, II, 489 ss., (con nota di X. XXXXXX, La logica del collegamento funzionale tra contratti nell’attuale esperienza giuridica). Critico sulla possibilità logica di configurare una nozione unitaria di “collegamento negoziale”, è N. IRTI, Note introduttive, in X. Xxxxx (a cura di), I collegamenti negoziali e le forme di tutela, Milano, 2007, 3 ss.; si dimostrano dubbiosi sull’utilità di tale nozione anche X. XXXXX, Inadempimento e contratto plurilaterale, Milano, 1999, 30; A. D’ADDA, Collegamento negoziale e inadempimento del venditore nei contratti di credito al consumo, in Eur. dir. priv., 2011, 725 ss., secondo cui “la teoria del collegamento negoziale, per come storicamente si è andata sviluppando nell’esperienza non solo italiana, [...] sotto diversi profili, appare inadeguata a fornire loro una risposta”
120Alcuni Autori ritengono sufficiente ai fini della sussistenza del collegamento funzionale il solo elemento obiettivo: in tal senso cfr. TROIANO, Il collegamento contrattuale volontario, Roma, 1999, p. 29; X. XXXXXXXX, Sulla definizione di collegamento contrattuale, in Contratti, 1999, p. 336; C.M. XXXXXX, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 483; F. SANTA XXXXX, La valutazione dell’intenzione delle parti nella qualificazione del contratto quale mutuo di scopo, in Contratti, 2001, p. 466 ss.
121 Sulla figura del documento si veda X. XXXXXXXXXX, Formazione progressiva del contratto, in Riv. dir. comm., 1916.
X. XXXXXXXXXX, Documento e negozio giuridico, in Riv. dir. proc. civ., 1926. Non hanno rilevanza dirimente, sempre ai fini del configurarsi del collegamento, altri elementi quali la contestualità delle dichiarazioni, l’unicità del documento contrattuale ovvero la coincidenza soggettiva di tutte le parti, in mancanza dei quali il collega mento non viene meno; in particolare, la non coincidenza dei contraenti non può escludere la ricorrenza di un collegamento tra contratti, ogniqualvolta questi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire
Da tale definizione sembra potersi desumere come nell’operazione economica, strutturata in più contratti collegati, il singolo contratto, pur conservando la sua identità e producendo gli effetti che gli sono tipici, non permette alle parti di raggiungere quel risultato che le stesse si propongono in sede di progettazione dell'affare, essendo necessario il suo coordinamento con un altro contratto ai fini del perseguimento di un risultato che né il primo né il secondo consentono di raggiungere operando in maniera isolata.
Se dunque è necessario il coordinamento tra più negozi, affinché si raggiunga un determinato obiettivo, sembra evidente che da tale coordinamento non possa non conseguire, per ciascuno dei suoi termini, una modificazione strutturale e funzionale coerente con la più ampia portata dell'operazione122. Diversamente, infatti, perderebbe di senso il ricorso alla figura del collegamento, che costituisce comunque un quid ulteriore rispetto alle singole unità contrattuali che esso lega.
La struttura del singolo contratto dunque, in ragione del suo essere programmato per il raggiungimento di uno scopo che ne travalica i normali confini, deve adeguarsi e combinarsi con quella di un altro, la cui struttura, a sua volta, subirà le modificazioni necessarie al conseguimento del suddetto scopo. Il mutamento della struttura non riguarderà solo il profilo oggettivo del contratto ma anche quello soggettivo, nel senso che da questo verranno lambiti anche soggetti che, almeno formalmente, poco o nulla hanno a che fare con esso.
Pertanto, sarà in questa direzione che dovranno concentrarsi le indagini intorno alle vicende in cui possono incorrere i soggetti coinvolti nell’operazione; dovendo altresì interrogarsi su quali tutele l’ordinamento riconosce loro in ragione dell’essere partecipi di un'operazione strutturalmente complessa senza essere parti di ogni singolo contratto di cui questa xxxxxx000.
il raggiungimento dello scopo divisato dalle parti. cfr. Cass., 5 giugno 2007, n. 13164, cit.; Cass., 16 settembre 2004, n. 18655, in Mass. Giur. It., 2004.
122 X. XXXXXXXXXX, Negozi giuridici collegati, in Scritti minori, cit., p. 55 ss.; X. XXXXXXXXX, Negozi collegati in funzione di scambio, in Riv. dir. civ., 1979, II, p. 398; X. XXXXX, La connessione tra i negozi e il collegamento negoziale, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Napoli, 2008, p. 25; alcune voci enciclopediche: X. XXXXXXXXXXXX., Collegamento negoziale, cit., 1960, VII, p. 375; X. XXXXXXXX, Criteri obiettivi (e “mistica della 15 volontà”) in tema di collegamento negoziale, cit.;
123 X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 225 ss. il quale, dopo approfondite riflessioni circa la possibilità di configurare il numero delle parti tra cui si instaurano le varie relazioni negoziali all’interno della singola operazione economica come “criterio discretivo tra unità o pluralità contrattuale”, giunge alla conclusione che di pluralità contrattuale e nesso negoziale ha senso parlare nelle sole ipotesi in cui le parti coinvolte nell’operazione siano più di due, ritenendo che in caso contrario – cioè di operazione bilaterale – una ricostruzione dell’affare in chiave unitaria non porterebbe a risultati differenti rispetto ad una eventuale sua ricostruzione in termini di pluralità di negozi. In questi termini si pone anche X. XXXXXX, La finanza di progetto: profili civilistici, cit., p. 279 ss.
Sono ormai concordi dottrina e giurisprudenza nell’ammettere il collegamento tra negozi stipulati tra parti diverse, a nulla ostando la possibilità che le vicende (soprattutto patologiche) che interessano un negozio, possano influire in maniera particolarmente incisiva sulla validità e sull’efficacia di un negozio di cui sia parte un soggetto terzo. In questo senso si possono vedere, Xxxx. 4 ottobre 1954, n. 3238; Cass. 8 settembre 1970, n. 1358; Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733, in Giust. civ. 1996, I, p. 2649, la quale è xxxxxx nell’affermare che l’esistenza di un collegamento tra negozi impone una considerazione unitaria dell’assetto di interessi che sotteso all’intera operazione anche quando non vi sia coincidenza soggettiva tra tutte le parti: “essenziale è, infatti, l'unitarietà dell'interesse da esse globalmente perseguito e non anche che i soggetti siano i medesimi in ciascuno dei negozi attraverso i quali l'operazione complessiva si articola”. Cfr. Cass. 25
2. Le operazioni contrattuali a struttura soggettiva trilaterale.
Anche dai brevissimi cenni testé fatti circa il collegamento tra contratti, emerge evidente come le vicende tanto fisiologiche quanto patologiche di un contratto non riguardano, o possono non riguardare, le sole parti di esso, ma anche soggetti che già più volte abbiamo definito terzi. Peraltro, se di terzietà può parlarsi con riguardo al procedimento di formazione dell’atto e al rapporto che da esso scaturisce, meno semplice è la sua affermazione per quanto attiene al regolamento di interessi nelle operazioni economiche plurinegoziali.
In questi casi, l'assetto di interessi complessivo difficilmente può venire nettamente ripartito tra le singole unità contrattuali che la integrano, ciò per il semplice fatto che i suoi partecipanti, pur stipulando più contratti, perseguono un risultato economico-giuridico, articolato e composito, tramite la predisposizione di un assetto di interessi sostanzialmente unitario, che travalica l'individualità dei singoli contratti124. È anzi l’unitarietà dell’assetto di interessi che permette di parlare di un'unica operazione economica, constante di più contratti aventi ciascuno una propria identità, sebbene funzionalmente interdipendenti; quando la molteplicità e l’indipendenza degli assetti eliminerebbe, invece, ogni questione riguardante un eventuale collegamento fin dalla radice.
Mutando la prospettiva verso il profilo soggettivo della fattispecie, se ne deve trarre che le parti di ciascuna particella contrattuale, partecipando all’operazione, partecipano anche al regolamento di interessi che questa contiene. Assumendo, su questo piano, il concetto di parte nell’accezione più diffusa di “centro di interessi”, sembra potersi ammettere, accanto all’antitetica dicotomia parte-terzo, l’esistenza di un’ulteriore caratterizzazione del concetto che, non riguardando più il singolo contratto,
novembre 1998, n. 11942, in Giust. civ. Mass. 1998, p. 2451. Per una più completa rassega delle pronunce giurisprudenziali in cui si ammette la configurabilità del collegamento negoziale anche tra negozi aventi parti diverse, si veda X. XXXXXX, La finanza di progetto: profili civilistici, cit., p. 279.
124 X. XXXXXXXX, Il contratto in genere, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, XXI, 1, 1968, osserva che “è certamente possibile che l'interesse economico unitario sia appagato da un contratto unico (e sarà la regola); ma è possibile che – se tale interesse sia complesso, o non-suscettibile di essere realizzato uno actu, o se più interessi siano tra loro connessi – in vista appunto, dell'unità dell'interesse, o della connessione fra più interessi e, quindi, della finalità definitiva da conseguire”. Nell’affermare l’unitarietà del regolamento di interessi sotteso all’operazione non si vogliono sottacere le difficoltà che incontrano dottrina e giurisprudenza nel risolvere le questioni legate alla unità o pluralità dei contratti che la compongono. Questioni che non possono venire fatte dipendere solo dalla bilateralità o plurilateralità dell’operazione sotto il profilo soggettivo, ma altresì dalla causa, dalla volontà delle parti e da altri indici rilevatori quali il tipo negoziale. Si vedano sul punto, per tutti, X. XXXXXXXX, I contratti collegati, in Nuova giur. civ. comm, 1986, p. 433 ss; X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 37 ss.; X. XXXXX, Contratti collegati e operazioni complesse, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Napoli, 2008, p. 1227. F. BRAVO, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale, in Contratti, 2004, p. 118; A.M. Xxxxxxxxxx, I contratti con i consumatori tra diritto comunitario e diritto comune europeo, Napoli, 2005, p. 177 ss.; V ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria del potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto del duemila, Torino, 2002; X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul terzo contratto), in Riv. dir. priv., 2007. X. XXXXX, Diritto dei contratti e regolazione del mercato: dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente, in Il contratto del duemila, III ed., Torino, 2011, p. 65.
ma una realtà economico-giuridica diversa e più ampia, è in grado di dar conto della peculiare posizione nella quale può incorrere il soggetto per l'essere al contempo parte e terzo rispetto ai singoli elementi contrattuali dell'operazione.
Ora, rimosso il velo all’intrigante figura della parte dell’operazione economica, si tratta di verificarne la tenuta alla luce di un esame che dia conto dell’effettiva utilità della nozione non solo dal punto di vista della descrizione, ma, soprattutto, dal punto di vista della ricostruzione della fattispecie e della soluzione delle problematiche ad essa riconducibili.
Il tema riguarda non solo l’emersione di una nuova caratterizzazione del concetto di parte ma, ancora più importante, la possibilità che un principio generale quale quello di relatività degli effetti del contratto venga obliterato, non solo nel verso dell’idoneità dell’atto a produrre effetti giuridici favorevoli diretti nella sfera giuridica del terzo, bensì conseguenze che valicano l'efficacia favorevole, e al cui confronto il terzo risulta sprovvisto di qualsiasi potere atto a respingerne l’operare nella propria sfera giuridica (è sufficiente pensare alla caducazione di un contratto causata dalla patologia di un altro contratto rispetto a cui si è appunto terzi; o la possibilità di essere legittimato passivo di azioni contrattuali esperite da chi non è parte del rapporto scaturente dal contratto cui ineriscono). La soluzione dei quesiti sopra esposti passa inevitabilmente per l’analisi delle fattispecie da cui meglio si scorge l'attitudine del contratto a riguardare le sfere giuridiche dei terzi al di là degli
effetti esclusivamente vantaggiosi.
In quest'ottica, la ricorrenza e la rilevanza del collegamento tra i contratti di cui si compone la complessa fattispecie trilaterale ha da sempre costituito uno dei nodi centrali e degli aspetti maggiormente dibattuti in materia di prestiti finalizzati al consumo e mutuo di scopo, comportando, in forza del principio simul stabunt simul cadent, l’incidenza delle vicende inerenti ad un contratto anche sul contratto ad esso collegato.
Per questo meritano un più attento esame le figure del mutuo di scopo, del credito al consumo e del leasing, quali ipotesi dove meglio alligna la rimeditazione dei concetti di parte e di terzo, causa l'operare di dinamiche effettuali per certi versi confliggenti col generale principio di relatività degli effetti contrattuali.
3. Il mutuo di scopo.
Si possono prendere le mosse dal mutuo di scopo e, ripercorrendo i passi della dottrina e le pronunce della giurisprudenza in merito, mettere in risalto gli elementi che lo costituiscono e lo distinguono dal mutuo di cui al codice civile. Questo modello contrattuale origina dalla disciplina
dei crediti speciali e di quelli assistiti da agevolazione finanziaria ai settori produttivi e si sviluppa come contratto atipico di finanziamento.
Attraverso il mutuo di scopo, il mutuante si impegna a mettere a disposizione del mutuatario mezzi finanziari volti alla realizzazione di una determinata attività o destinati a un dato utilizzo o per il raggiungimento di una finalità che risponde principalmente a un interesse del mutuatario, ma a cui è connesso un interesse - patrimoniale o non patrimoniale - del mutuante125. La clausola di destinazione e il perseguimento dello scopo integrano la struttura del contratto, indirizzando il godimento della somma mutuata alla realizzazione dello scopo.
Nelle varie ricostruzioni proposte da dottrina e giurisprudenza un dato costante, almeno sul piano della struttura, porta alla configurazione del contratto di mutuo di scopo nei termini di una “erogazione di credito a medio o lungo termine, in cui acquista rilievo, accanto alla causa genericamente creditizia, il motivo specifico per il quale il mutuo viene concesso”126. Tale “motivo” fa ingresso nell’economia del contratto, come elemento che integra il sinallagma, per il mezzo della clausola di destinazione della somma mutuata127, che vincola il sovvenuto ad impiegare la somma secondo quanto previsto in sede di conclusione del contratto di finanziamento, per l’acquisto di un determinato bene o per la fruizione di un determinato servizio128.
125Per la genesi e lo sviluppo della figura del mutuo di scopo a livello giurisprudenziale si segnalano Cass. 10 giugno 1981, n. 3752 con nota di X. XXXXXXX, Il contratto di finanziamento tra codice e legislazione speciale, in Foro it., 1982, I, c. 1688 ss.; Cass. 3 dicembre 2007, n. 25180, con nota di X. XXXXXX, Incertezze giurisprudenziali sulla consensualità del mutuo di scopo, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, 000 xx.; Cass. 22 dicembre 2015, n. 25793, in Giust. Civ. Mass. 2015. In dottrina, si vedano X. XXXXXXX XXXXXX, voce Mutuo di scopo, in Dig. disc. priv. sez. civ., XI, Torino, 1994, 558 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Mutuo di scopo, in Enc. giur. Treccani, Xxxx, 0000. ID., Il mutuo di scopo e le nuove forme di finanziamento pubblico alle imprese, in Riv. crit. dir. priv., 1983, 619 SS.; X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di contratti di finanziamento assistiti da agevolazione, in Banca Borsa e tit. cred., Milano, 1987, II, p. 531 e ss.; X. XXXXXXXXX, Il contratto di finanziamento assistito da agevolazione. Profili strutturali e funzionali, Milano, 1985, 201 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti tipici e atipici, I, I contratti di alienazione di godimento, di credito, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1995, 741 ss. a 750 ss.; X. XXXXX, Collegamento negoziale e mutuo di scopo convenzionale: una fattispecie con causa unica?, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 1069 ss. X. XXXXXXXXXXX, Credito agevolato e mutuo di scopo, in X. Xxxxx - X. Xxxxxxxxx (a cura di), Problemi giuridici delle agevolazioni finanziarie all’industria, Milano, 1982, 275 ss.; X. XXXXXXXX, Il mutuo di scopo. Problemi generali, Padova, 1985; P. XXXXXXX, Soggetto privato e ausilio finanziario pubblico. Mutuo e destinazione nel credito agevolato, Napoli, 1984, spec. 141 ss. a 144 individua nel mutuo di scopo l’indice di una fenomenologia giuridica nuova, espressione di un particolare ordinamento di settore. V., anche, G.B. XXXXX, Rilevanza giuridica dello scopo nei crediti speciali, in Foro pad., 1972, I, c. 273 ss. a c. 282 s. Prime riflessioni sono contenute in
X. XXXXXXXXXXX, Note sul contratto di finanziamento, in Dir. econ., 1955, 103 ss.; X. XXXXXX, Contratto di finanziamento: apertura di credito o promessa di mutuo?, in Dir. giur., 1957, 390 ss. e ora in Id., Scritti giuridici, Torino, 2011, 1 ss.
126 Cass., Sez. II, 20 gennaio 1994, n. 474, in Nuova giur. civ. comm., 1995, con nota X. XXXXXXXX, Contratti collegati: il caso del credito al consumo. Cfr. anche X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e principio di buona fede nel contratto di credito per l’acquisto: opponibilità delle eccezioni relative alla vendita, in Foro. It,. 1994, I, c, p. 3097 ss.: X. XXXXXXX,
«Economia» e tecnica negoziale del contratto di credito al consumo, in Giur. Xxxxxx, 1987, p. 1041; X. XXXX, La direttiva comunitaria sul credito al consumo, in Riv. Dir. civ., 1987, p. 539; M.C. PERCHINUNNO, Il mutuo di scopo, in X. Xxxxxxx (opera ideata e diretta da), Le operazioni di finanziamento, Bologna, 2016, 142 ss.
127Circa il rapporto tra clausola di scopo, clausola di enunciazione dello scopo e contratto di mutuo, v. D. LA ROCCA, Il mutuo di scopo, in X. Xxxxxxx (opera diretta da), Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, Bologna-Roma, 2005, 180; X. XXXXXXX, Mutuo di scopo e clausola di destinazione, in Giur. It., 2005, I, p. 1407; X. XXXXXXX, Il mutuo di scopo: una conferma della Cassazione, in Vita not., 2008, p. 161.
128 X. XXXXXXX e G.W. ROMAGNO, Il mutuo, Milano, 200°, p. 429 ss.; X. Xxxxxxxx, I contratti tipici e atipici, in
Trattato di diritto privato, diretto da Iudica e Zatti, Milano, 1995, p. 751 ss.
Così strutturandosi il contratto intercorso tra finanziatore e finanziato, viene a conformarsi agli obiettivi che si intendono raggiungere per il tramite della sua attuazione, e funzionalizzato ad un fine economico più ampio di quello meramente creditizio, consistente nel permettere al finanziato di acquistare un bene o godere di un servizio che, altrimenti, non potrebbe ottenere, causa la mancanza dei mezzi economici necessari.
In virtù di tale pattuizione, la somma mutuata viene sottoposta ad un vincolo di destinazione che si sostanzia nell’obbligazione del mutuatario di impiegare tale somma per il fine espressamente contemplato nel contratto. A tale obbligazione corrisponde un potere di interferenza del mutuante non comune nelle altre ipotesi di mutuo: infatti, quest’ultimo, potrà pretendere non solo la restituzione da parte del mutuatario della somma mutuata, e la corresponsione dei relativi interessi, ma anche l’impiego di tale somma in ottemperanza delle finalità programmate in sede di conclusione del contratto di finanziamento129. Integrando, invece, la diversa utilizzazione della stessa somma un’ipotesi di inadempimento patologicamente incidente nell’economia del rapporto contrattuale130. Ora, è evidente che al contratto con causa creditizia se ne affianca un altro con causa diversa, solitamente avente ad oggetto il trasferimento di un bene o l’erogazione di un servizio verso il corrispettivo di un prezzo, che verrà appunto pagato con la somma di denaro che si è ottenuta con il primo contratto. Da qui l’emersione del collegamento funzionale che lega il contratto a causa creditizia e il contratto a causa di scambio, nonché l’interdipendenza tra i due negozi, in virtù della quale le vicende e la stessa disciplina dell’uno vengono variamente influenzate dall’esistenza e dalla sorte dell’altro131. Il collegamento negoziale costituisce l’immancabile presupposto che consente di ritenere rilevante e influente l’inadempimento del contratto di fornitura sul collegato contratto di
finanziamento.
È proprio grazie a tale figura che è stato possibile risolvere il conflitto di interesse che si determina, in presenza di vicende patologiche relative al contratto di compravendita, tra il
129Per X. XXXXX, Il microcredito solidale: profili tipologici e proposte disciplinari, in Banca borsa tit. cred., 2011, I,
p. 68, trattasi di una mancanza di libertà per il mutuatario dell’utilizzo del relativo valore delle somme concesse. Secondo
X. XXXXXXXX, Il mutuo di scopo. Problemi generali, cit., 104, l’adempimento dell’obbligazione di scopo non si attua tramite il vincolo di destinazione ma successivamente all’adempimento dell’obbligo di scopo. V., inoltre, X. XXXXXXXX, I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, in Tratt. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, p. 114; ID, I contratti di finanziamento: leasing e factoring, Torino, 1989, p. 302.
130 Secondo Cass. 21 dicembre 1990, n. 12123 nel mutuo di scopo – essendo il contratto preordinato alla realizzazione di una finalità convenzionale necessaria e tale da contrassegnare la funzione del negozio, consistente nel procurare al mutuatario mezzi economici di utilizzazione vincolata, per facilitare o garantire l’adempimento, da parte del mutuatario, dello scopo concordato – può essere prevista, con una pattuizione aggiuntiva, la ingerenza del mutuante nella gestione e nel reimpiego delle cose medesime. Il mutuo di scopo, dunque, si caratterizza per il fatto che una somma di denaro viene consegnata al mutuatario esclusivamente per raggiungere una determinata finalità, espressamente inserita nel sinallagma contrattuale. Si veda anche Xxxx. 12 aprile 1988, n. 2870)
131 Xxxx, Xxxx., Sez. II, 20 gennaio 1994, n. 474, in Nuova giur. civ. comm., 1995, con nota X. XXXXXXXX, Contratti collegati: il caso del credito al consumo; Cass., Sez. III, 23 aprile 2001, n. 5966, in I Contratti (con nota di X. XXXXXXXX, Compravendita e mutuo di scopo: un’ipotesi di collegamento negoziale);
finanziatore e l’acquirente di beni o il fruitore di servizi, che rimarrebbe altrimenti costretto, per la netta separazione tra i contratti di vendita e di finanziamento, a non poter opporre l’eccezione di inadempimento del fornitore nei confronti del finanziatore, con la conseguenza di essere tenuto a pagare le residue rate del prestito senza essere entrato in possesso di alcun bene o aver fruito di alcun servizio, nell’ambito di operazioni unitarie sotto il profilo economico, ma costituite da una pluralità di contratti da un punto di vista giuridico.
I risultati conseguiti grazie all’elaborazione dottrinale del collegamento contrattuale hanno portato la prevalente giurisprudenza a ritenere che l’inadempimento e la conseguente risoluzione del contratto di vendita, facendo venir meno lo stesso scopo del contratto di mutuo, legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore, diretto beneficiario della somma di danaro mutuata, che la trattiene senza causa132.
Ora, per il profilo che qui interessa, ovvero l'inadempimento del venditore nell'ambito dell'operazione di mutuo di scopo, le regole cui fare riferimento non possono non individuarsi nelle norme dettate in tema di credito al consumo sul Testo Unico Bancario. Infatti, poiché il mutuo di scopo prende vita all’interno di operazioni economiche trilaterali, le nuove disposizioni sui contratti di credito collegati rivestono, in quest’ambito, un ruolo fondamentale.
Secondo la nuova definizione di collegamento negoziale – contenuta nell’art. 121, 1º co., lett. d,
t.u.b. – per l’applicazione della relativa disciplina è sufficiente: 1) che il finanziatore si sia avvalso del venditore per promuovere o concludere il contratto di credito, oppure 2) che il bene o il servizio specifici siano stati esplicitamente individuati nel contratto di credito. Di conseguenza, dato che la quasi totalità dei mutui di scopo rientra in questa seconda ipotesi, ai consumatori che sottoscrivono questi ultimi viene adesso estesa automaticamente la protezione prevista dall’art. 125 quinquies t.u.b. (per il caso di inadempimento del rivenditore), e dagli artt. 125 ter t.u.b. e 67 c. cons. (diritto di recesso del consumatore). L'analisi e la portata di queste norme troverà pertanto sede appropriata nel paragrafo successivo, dedicato appunto alla figura del credito al consumo
132Cfr. Cass., 20 gennaio 1994, n. 474, cit., a cui hanno fatto seguito altre. Cfr. Cass., 11 febbraio 2011, n. 3392, in
Giust. civ. Mass. 2011, 2, p. 228; Cass., 16 febbraio 2010, n. 3589, in Giust. civ. Mass., 2010, p. 500; Cass., 8 luglio 2004,
n. 12567, in Guida dir., 2004, 41, 38; Cass., 23 aprile 2001, n. 5966. Nel medesimo senso si segnalano anche diverse pronunce di merito. Cfr. Trib. Firenze, 30 maggio 2007, cit.; App. Milano, 6 febbraio 2001, cit.; Trib. Milano, 15 gennaio 2001. In dottrina, si vedano G.P. XXXXXXX, Negozi collegati ed eccezione di inadempimento, in Giur. it., 1982, I, 1, p. 378.
G.P. XXXXXXX, Sul collegamento funzionale di contratti, in Giur. it. 1984, I, 1, p. 1459; M. DE POLI, Credito al consumo e collegamento negoziale, qualche luce, molte ombre, in Nuova giur. Civ. Comm., 2009, I, p. 1094; A. PALAZZO, Operazioni economiche e collegamento negoziale in una recente ricostruzione, in Riv. dir. comm., 2001, I, p. 387 e ss.
4. Il credito al consumo.
Il credito al consumo è un'operazione economica a struttura trilaterale che implica necessariamente la partecipazione di tre soggetti, individuati ciascuno in ragione del ruolo svolto: un venditore, un acquirente e un finanziatore.
Uno degli aspetti più significativi della struttura e della disciplina del credito al consumo, nell'ottica di quest'indagine, è rappresentato dalla rilevanza che assume il collegamento tra il contratto di credito e il contratto di fornitura del bene o del servizio ogni qualvolta il consumatore ricorra ad un contratto di finanziamento col preciso fine di pagare il corrispettivo di quel bene o di queLlosedrivcieziao.chiare lettere l'art. 121, lett. d), t. u. b., che identifica con la nozione di contratto di credito “il contratto con cui un finanziatore concede o si impegna a concedere a un consumatore un credito sotto forma di dilazione di pagamento, di prestito o di altra facilitazione finanziaria”; e con la nozione di contratto di credito collegato un “contratto di credito finalizzato esclusivamente a finanziare la fornitura di un bene o la prestazione di un servizio specifici se ricorre almeno una delle seguenti condizioni: 1) il finanziatore si avvale del fornitore del bene o del prestatore del servizio per promuovere o concludere il contratto di credito; 2) il bene o il servizio specifici sono esplicitamente individuati nel contratto di credito”133.
Ricorrendo i presupposti di cui all’art. 121, lett. d), t.u.b., si instaura ope legis un collegamento negoziale tra i contratti di fornitura e di finanziamento134. Gli effetti giuridici derivanti da tale collegamento sono regolati dall’art. 125-quinquies, che conferisce al consumatore il diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento, purché sussistano i due requisiti della previa costituzione in mora del fornitore, rivelatasi poi inutile, e della non scarsa importanza
133La rilevanza del collegamento fra contratto di fornitura di un bene o servizio e contratto di credito finalizzato a ottenere i mezzi per il relativo acquisto emergeva già nella prima disciplina di matrice europea (Dir. 1987/102/CEE), con una regolazione minimale: gli Stati membri dovevano riconoscere al consumatore il diritto di agire nei confronti del finanziatore in caso di inadempimento del fornitore, ma potevano subordinare tale diritto a una qualche condizione; e l’art. 42 c. cons., contenente la disposizione attuativa, richiedeva la sussistenza di un rapporto di esclusiva fra fornitore e finanziatore e purché il consumatore avesse provveduto alla messa in mora. Ma una vera e propria disciplina del collegamento si deve al D.Lgs. n. 141/2010, in particolare negli artt. 121 (cui si deve la definizione di “contratto di credito collegato” e 125 quinquies, sull’inadempimento del fornitore). In dottrina, per un approccio autorevolmente critico al recepimento della disciplina di matrice europea, si veda. G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina dei contratti di credito al consumo: la direttiva 2008/48/CE e l'armonizzazione «completa» delle disposizioni nazionali concernenti «taluni aspetti» dei «contratti di credito ai consumatori», in Riv. Dir. civ., 2008, II, p. 255; X. XX XXXXXXXXXX E XXXXXXXX, I contratti di credito ai consumatori, nel Trattato dei contratti diretto da Xxxxx e Xxxxxxxxx, Mercati regolati, Milano, 2014, 293 ss..; X. XXXXXXXX, I «contratti collegati» nella direttiva 2008/48/CE, in X. Xx Xxxxxxxxxx (a cura di), La nuova disciplina europea del credito al consumo, Torino, 2009, p. 138 Sul punto, di recente, si segnala X. XXXXXXXXX, Strutture contrattuali complesse. Problemi della trilateralità nei contratti di finaniamento, Napoli, 2019, p. 39 ss.
134Non si ha pertanto collegamento rilevante ai fini dell'art. 125-quinquies t.u.b. Quando il finanziamento della fornitura della merce o del servizio specifico, lungi dal costituire la finalità esclusiva del contratto di credito, sia una finalità semplicemente concorrente con una o più altre; né tanto meno ricorre un collegamento quando il contratto di credito venga stipulato allo scopo di finanziare un contratto avente ad oggetto la fornitura di beni o servizi non suscettibili di essere considerati «specifici».
dell’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal medesimo contratto di fornitura, avuto riguardo all’interesse del consumatore ex art. 1455 c.c. 135.
Come è evidente, qui il legislatore si limita a trasporre una regola tipicamente operante in materia di collegamento contrattuale, cosicché, in caso di connessione funzionale tra contratti, dalla risoluzione di uno fa conseguire la risolubilità dell’altro in ossequio al principio per cui simul stabunt, simunl cadent 136. Ma non è l’operare di tale “principio” che qui interessa, quanto il fatto che il finanziatore nel caso in esame è legittimato passivo dell'azione di risoluzione, la quale trae fondamento da un inadempimento che inerisce ad un altro contratto e che per di più è addebitabile ad un altro soggetto, il fornitore.
Inoltre, sempre in caso di inadempimento del fornitore e conseguente risoluzione del contratto di credito, il consumatore non sarà obbligato a “rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni e dei servizi” (art. 125, comma 2°), ma sarà il finanziatore ad avere “diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso” (art. 125, comma 2°, ultimo periodo).
Anche qui il legislatore non sembra andare oltre quanto già acquisito in materia da parte della dottrina e della giurisprudenza che accordano al mutuante legittimazione a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario acquirente, bensì direttamente ed esclusivamente al venditore, terzo rispetto al mutuo, ma beneficiario in xxx xxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxx xxxxx000.
135 In questo senso riproduce un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza Cass., 15 febbraio 1980, n. 1126, in Mass. Giur. It. 1980 secondo cui “le parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono dare vita, contestualmente o no, a diversi e distinti contratti, i quali, caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria causa e conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, vengono tuttavia concepiti e voluti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, cosicché le vicende dell’uno debbano necessariamente ripercuotersi su quelle dell’altro, condizionandone la validità e l’efficacia”. In dottrina si vedano, per tutti X. XXXXX, Contratto collegato, in Dig. disc. Priv., sez. civ., VI agg., 2011, p. 239 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 264 ss.
136 Risolubilità che in caso di collegamento funzionale tra negozi si spiega in virtù del fatto che il venire meno di uno di essi determina il venire meno della possibilità che venga realizzato lo scopo unitario cui era stata finalizzata l’intera operazione e, dunque, la stessa ragion d’essere del negozio “superstite”, il quale nell’ottica del complessivo regolamento di interessi sarà divenuto ormai privo di alcuna utilità. Per una più puntuale disamina dei diversi modi di operare del principio richiamato, nonché per una rivisitazione della sua portata, si veda X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit.; p. 276 ss. Sul putto, per tutti si veda anche X. XXXXXXXX, I contratti collegati, cit., p. 444 ss.
137 Cass. 20 gennaio 1994, n. 474, secondo la quale “appurato il collegamento negoziale, segue che, in seguito al venire meno dello scopo della fattispecie nel suo complesso, concretato dalla risoluzione della compravendita del veicolo, il mutuante deve richiedere la restituzione della somma non al mutuatario, ma direttamente al venditore, che del finanziamento beneficia. Il venditore del veicolo non ha titolo per trattenere la somma ricevuta come prezzo e, perciò, deve restituirla. Posto che della somma, in virtù del ricordato collegamento negoziale, beneficia il venditore, che è terzo rispetto al mutuo, mentre il mutuatario acquirente non consegue l’oggetto della compravendita, per cui ha pagato il prezzo, il venditore deve restituire la somma al mutuante. Donde l’ulteriore conseguenza che il mutuante è legittimato a richiedere la somma direttamente ed esclusivamente al venditore beneficiario e non al mutuatario”. La sentenza è stata oggetto di diversi commenti in dottrina, tra i quali si possono indicare: X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e principio di buona fede nel contratto di credito per l’acquisto: opponibilità delle eccezioni relative alla vendita, cit. p. 3097 ss.; X. XXXXXXXX, Contratti collegati: il caso del credito al consumo, cit., p. 305 ss.; ulteriori riflessioni sulla sentenza testé citata si possono trovare in X. XXXXXXXX, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1977, p. 239 ss.; X. XXXXXXX, «Economia» e tecnica negoziale del contratto di credito al consumo, in Giur.
Nella sostanza l'art. 125 quinquies prevede un solo rimedio al mancato adempimento del fornitore, concedendo al consumatore il diritto di agire all'interno del contratto di cui è parte – il contratto di finanziamento – al verificarsi di un inadempimento che ha luogo fuori da questo contratto e che inerisce al contratto di vendita138.
Descritta la fattispecie e riportate le norme che ne regolano i tratti più importanti ai fini di questa trattazione, non resta che desumerne in via ermeneutica i possibili corollari circa l’incidenza dei singoli contratti sulle sfere di interesse dei soggetti coinvolti nell'operazione.
Prima, però, non pare superfluo descrivere il profilo soggettivo della fattispecie, facendo richiamo ad alcune delle nozioni su cui ci si è già soffermati nella prima parte di questo lavoro.
Nel contratto con causa creditizia si assiste chiaramente alla predisposizione di un regolamento contrattuale che coinvolge due soli soggetti: il finanziato e il finanziatore. È un contratto bilaterale i cui effetti andranno a prodursi nella sfera giuridica dei soggetti autori del regolamento, in quanto titolari degli interessi oggetto di disposizione. Infatti, nella predisposizione del programma negoziale, le parti non fanno alcun cenno alla possibilità che il contratto tra loro concluso vada a produrre effetti diretti nella sfera giuridica di un soggetto terzo alla convenzione.
Considerazioni di analogo tenore debbono spendersi relativamente al contratto di fornitura: anche questo conserverà struttura bilaterale, in quanto l’assetto di interessi in esso contenuto sarà predisposto dai contraenti nella direzione dell’esclusiva produzione di effetti nella sfera giuridica degli stessi.
Xxxxxx, 1987, p. 1043; X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 312 ss. La massima è stata poi ripresa e confermata da una serie di pronunce successive, sia di legittimità (cfr., in part., Cass., 23 aprile 2001, n. 5966, in I contratti, 2001, 1126 ss., con nota di XXXXXXXX, Compravendita e mutuo di scopo: un’ipotesi di collegamento negoziale; Cass., 16 febbraio 2010, n. 3589, in Giur. it., 2011, I, 307 ss., con nota di C. A. XXXXX, Collegamento contrattuale legale e volontario, con particolare riferimento alla [vecchia e nuova] disciplina del credito ai consumatori), che di merito (cfr., ad es., Trib. Firenze, 30 maggio 2007, in I contratti, 2008, 261 ss., con nota di X. XXXXXX XXXXXXXXXX, Credito al consumo e collegamento negoziale tra vendita e finanziamento; Trib. Pisa, 20 ottobre 2010, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 645 ss., con nota di commento di X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e mutuo di scopo). La soluzione propugnata da Cass. n. 474/1994 era stata preceduta, nella giurisprudenza di merito, da App. Milano, 22 novembre 1991, in Giur. merito, 1993, 1016, con nota di CRICENTI, Credito al consumo e collegamento negoziale. L’indirizzo inaugurato dalla sentenza della Cassazione del 1994, può dirsi da allora incontestato. Solo apparentemente si distacca da esso Xxxx., 8 luglio 2004, n. 12567, in I contratti, 2005, 28 ss., con nota di X. XXXXXXX LUONI, Collegamento negoziale e mancata applicazione del principio di buona fede), che non tanto mette in discussione il principio affermato dal “precedente” di dieci anni prima, ma piuttosto esclude in fatto (sulla base della interpretazione della volontà delle parti) che l’intento dei contraenti fosse stato quello di creare un “collegamento” tra il contratto di finanziamento e quello di compravendita.
138Per un'approfondita analisi dei diversi rimedi attivabili nell'ambito delle operazioni di finanziamento si vedano, da ultimo, X. XXXXXXXXX, Strutture contrattuali complesse. Problemi della trilateralità nei contratti di finanziamento, Napoli, 2019, p. 58 ss.; X. XXXXXXXX, Credito al consumo e inadempimento del venditore, in Foro it., 2007, IV, p. 590; X. XX XXXXXXXXXX E XXXXXXXX, I contratti di credito ai consumatori, nel Trattato dei contratti diretto da Xxxxx e Xxxxxxxxx, Mercati regolati, Milano, 2014, 293 ss.; X. XXXXX, Tutela del consumatore e disciplina generale del contratto, in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di Xxxxxxx, Padova, 1999, p. 839 ss. X. XXXXXXX, Relazioni biunivoche tra le interpretazioni della vecchia e nuova disciplina del collegamento negoziale nel credito al consumo, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 208 ss. il quale prospetta un approccio “bidirezionale” nell’interpretazione della disciplina dei rimedi in capo al consumatore nel credito al consumo, sostenendo la sensatezza della valorizzazione delle soluzioni interpretative elaborate nella vigenza della “vecchia” disciplina per reagire alle aporie di quella riformata.
Ciascuno dei due contratti è preordinato, almeno geneticamente, alla produzione dei suoi effetti nella sfera giuridica delle parti, tuttavia, in un successivo momento, tali contratti vedono espandersi la propria sfera di efficacia, finendo per incidere direttamente nelle sfere giuridiche di soggetti ad essi estranei. Nel caso dell'inadempimento del fornitore, ad esempio, il finanziatore, terzo, diventa legittimato passivo dell’azione risolutoria, esperita dalla sua controparte contrattuale, sulla base di un inadempimento di cui non è affatto responsabile e che per di più riguarda un altro contratto.
La prima spiegazione è che in questi casi il principio di relatività degli effetti venga derogato in virtù del collegamento funzionale che lega i diversi assetti coordinandoli verso un fine comune. E le stesse unità contrattuali finiscono per costituire espressione parziale del medesimo regolamento a cui hanno partecipato tutti i soggetti dell’operazione. Per l'essere partecipi del comune regolamento di interessi si spiegherebbe l’essere partecipi anche di effetti giuridici che rinvengono la loro fonte in un contratto di cui non si è parti139.
In realtà, i rilievi critici che possono venire mossi a tale soluzione non ne permettono l’accoglimento. In primis, si impone una considerazione di carattere tecnico: il principio di relatività è principio che benché conosca le sue eccezioni continua ad essere principio pienamente valido, avente nel nostro ordinamento portata generale sul piano dell'efficacia contrattuale140. A maggior ragione quando le conseguenze che travalicano i limiti rappresentati dalle sfere giuridiche dei contraenti non sono dipendenti dalla genesi o dalla fisiologia del rapporto, quanto dalla patologia che inficia il singolo sinallagma contrattuale.
Si noterà, infatti, che nelle fattispecie richiamate le parti non convengono che il singolo contratto produca effetti diretti nei confronti di terzi, in quanto è comunque interesse delle stesse mantenere distinti i contratti che compongono l’operazione, nonostante il loro coordinamento in vista della
139 In questi termini sembrerebbe porsi X. XXXXXXXX, Credito al consumo, operazione economica unitaria e pluralità di contratti, in Riv. dir. comm., 1991, I, p. 608 ss., la quale sulla rilevata collaborazione - consacrata o meno in un contratto
- tra finanziatore e fornitore esclude che si possa ritenere l’uno terzo rispetto al contratto concluso dall’altro, facendone conseguire l’inapplicabilità ai contratti in esame del principio di relatività sanzionato all’art. 1372 c.c. Così anche X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 222 ss. il quale sottolinea come uno degli aspetti di maggiore interesse relativamente al collegamento funzionale, si rappresentato dalla circostanza che alcuni dei “momenti di possibile rilevanza del collegamento finiscono per operare nell’ambito di un sostanziale superamento del principio di stretta relatività del contratto”. Sul punto si vedano anche X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e principio di buona fede nel contratto di credito per l’acquisto: opponibilità delle eccezioni relative alla vendita, cit., p. 3097 ss.; X. XXXXXX, La finanza di progetto: profili civilistici, cit., p. 287 ss.
140Sull'operare di tale principio nell'ambito delle operazioni di credito al consumo, si segnala X. X'XXXXX, Credito al consumo e principio di relatività degli effetti contrattuali (considerazioni “inattuali” su collegamento negoziale e buona fede), in Contratti, 2013, p. 712 ss. Sulla portata del principio di relatività si possono vedere, per tutti, X. XXXXXXX, Effetti del contratto. Rappresentanza. Contratto per persona da nominare, in Commentario cod. civ. Scialoja e Branca, Libro IV, Delle Obbligazioni, (Artt. 1372-1405), Bologna-Roma, 1995; X. XXXXXXXX, Il contratto e i terzi, in I contratti in generale, a cura di Xxxxxxxxx, Torino, 1999; L.V. MOSCARINI, I negozi a favore di terzi, Milano, 1970; L.V. MOSCARINI, Il contratto a favore di terzo, Milano, 1997.
realizzazione di un assetto di interessi più complesso141. È proprio quando viene meno la possibilità di tale realizzazione che gli interessi delle parti mutano direzione, non più verso la realizzazione dell’affare, ma verso la salvaguardia delle proprie ragioni economico-giuridiche coinvolte dall’affare ormai incompiuto.
Paradossalmente si può affermare che quando la singola operazione si sviluppa in maniera fisiologica, fino al raggiungimento degli obiettivi avuti di mira dai partecipanti all’atto della sua “progettazione”, il principio di relatività non viene mai interessato da una sua possibile deroga, per il semplice fatto che ciascun contratto – benché collegato ad un altro - realizza gli interessi delle “proprie” parti, producendo tra queste, e solo tra queste, gli effetti che da esso ci si aspettava. Non sembra quindi scorretta l’affermazione di chi ha rilevato come l’ambito del collegamento negoziale rimanga “distinto e non sovrapponibile a quello coperto dal principio di relatività espresso dall’art. 1372 c.c.”142, e ciò perché dall’operare tra più negozi di un nesso funzionale non deriva alcuna deroga a tale principio, che continua ad essere valido per ogni singola fattispecie contrattuale
integrante l’operazione.
Scartata la tesi che esclude l’operatività del principio per cui res inter alios acta tertio neque nocet, neque prodest, si tratta di vedere se possa farsi strada la seconda proposta ricostruttiva che sostiene, nelle ipotesi di collegamento tra negozi con parti diverse, la necessità di una rimeditazione del concetto di terzo. D'altra parte, s'è visto chiaramente che il finanziatore, pur non potendo dirsi parte di un contratto a cui è rimasto estraneo, non può neppure venire assimilato ai terzi che dal contratto non hanno ragione di temere né di sperare alcuna conseguenza diretta.
Il terzo in questi casi, pur non essendo parte del contratto, è partecipe di un più ampio regolamento che coinvolge interessi propri, suscettibili di venire incisi, in certe circostanze, da conseguenze che rivengono la loro fonte nel contratto a cui è appunto estraneo.
Tali considerazioni hanno indotto alcuni autori a sottolineare che “il finanziatore non è parte dell’operazione di scambio, ma è parte dell’operazione complessiva e perciò non può essere considerato terzo rispetto allo stesso contratto di scambio cui non partecipa personalmente”143.
Lo stesso dicasi per il fornitore, legittimato passivo nell’azione di restituzione, che normalmente il mutuante può esperire solo nei confronti della sua controparte contrattuale, il mutuatario, che nel contratto a causa di scambio cui si collega il contratto di mutuo è parte
141 Sull’interesse dei predisponenti l’operazione a mantenere distinti i singoli negozi si può vedere X. XXXXXXXX,
Credito al consumo, operazione economica unitaria e pluralità di contratti, cit., p. 595 ss.
142 X. XXXXXXXX, nota a Xxxx. 20 gennaio 0000, x 000, xx xx Foro. It., 1994, I, c, p. 3096. Si veda anche X. XXXXXXX, Collegamento negoziale e principio di buona fede nel contratto di credito per l'acquisto: l'opponibilità al finanziatore delle eccezioni relative alla vendita, in Foro it. 1994, I, p. 3097. X. XXXXXXX, Il credito al consumo, nel Tratt. Xxxxxxxx- Xxxxxxxxx, I contratti dei consumatori, Torino, 2005, p. 543 ss.
143 X. XXXXXXXX, Credito al consumo, operazione economica unitaria e pluralità di xxxxxxxxx, xxx., x. 000 xx.
xxxxxxxxxx. Azione che nei casi di specie, invece, può venire esperita, in ipotesi di inadempimento del fornitore, direttamente nei confronti di quest’ultimo.
Peraltro, non pare meritevole di accoglimento neanche la scorciatoia che si presenta all’interprete, e che porta a fare salvo il principio di relatività affermando che in questo caso il contratto non produce effetto verso il terzo, poiché questi non è terzo, bensì parte, non del contratto ma dell'operazione.
Una soluzione siffatta, oltre che mancare del necessario rigore tecnico, manca di intrinseca logicità. Affermare che un contratto produce effetti nei confronti di chi non è in alcun modo parte di esso, significa inevitabilmente affermare che lo stesso contratto produce effetti nei confronti di chi è terzo. Se il principio di relatività vien fatto consistere nell’essenziale inidoneità del negozio a produrre effetti giuridici diretti non favorevoli verso chi è terzo, se ne deve far conseguire che nel caso contrario
– ovvero quando esso produce effetti non favorevoli verso il terzo – due sono le alternative: o il principio incontra un limite al suo operare, o chi è colpito da tali conseguenze non è in realtà terzo. Superare tale impasse facendo leva su un concetto ibrido144, quale quello di parte dell’operazione, ipoteticamente idoneo a dare conto di una posizione caratterizzantesi e per la intraneità rispetto all’operazione e per la estraneità rispetto al negozio, non può essere soluzione tecnicamente e logicamente accettabile.
Da qui la necessità di considerare altre soluzioni più lineari, in grado di dar conto di una fenomenologia complessa non suscettibile di venire imbrigliata al laccio di artifici meramente terminologici.
A tale scopo, significativi spunti di riflessione offre l’analisi dell’operazione di leasing e delle questioni concernenti la posizione e le tutele accordate all’utilizzatore nell’ambito del contratto di fornitura cui è terzo.
Sarà quindi su tale fattispecie che ci si dovrà soffermare per scoprire se dal suo esame possano trarsi riflessioni utili e compatibili con quelle che già si sono ricavate in materia di credito al consumo145.
144 X. XXXXXX, La finanza di progetto: profili civilistici, cit., p. 300.
145 Per un impostazione dell’indagine riguardante il collegamento negoziale e il principio di relatività alla luce dell’analisi delle pronunce giurisprudenziali relative alle fattispecie di mutuo di scopo, credito al consumo e leasing, si possono vedere X. XXXXXX, La finanza di progetto: profili civilistici, cit., p. 291 ss.; X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 310 ss.; X. XXXXXXXX, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, cit., p. 257 ss..X. XXXXXX, La logica del collegamento funzionale fra contratti nell’attuale esperienza giuridica, in Rass. dir. civ., 2003, p. 495. X. XXXXXX, Sulla struttura del collegamento funzionale tra contratti, in Rass. dir. civ., 2005, p. 512.
5. Il leasing: ipotesi ricostruttive.
Nell'operazione di leasing, la posizione dell’utilizzatore nell’ambito del contratto di fornitura, di cui non è parte, permette alcune interessanti considerazioni circa il tema in oggetto, soprattutto nell'ottica di un migliore inquadramento dei profili soggettivi della fattispecie negoziale.
In particolare, la questione di cui verrà a trattarsi riguarda la legittimazione attiva dell’utilizzatore rispetto alle azioni ex contractu inerenti al rapporto di fornitura, instauratosi tra concedente e fornitore, nelle ipotesi in cui nel contratto di locazione finanziaria non abbia fatto ingresso alcuna pattuizione con cui il concedente attribuisce all’utilizzatore le azioni ad esso spettanti in qualità di titolare del rapporto contrattuale di scambio.
Prima però di entrare nel merito della questione, son d'obbligo alcuni rilievi intorno alla natura e alla struttura dell'operazione di leasing.
In mancanza di una nozione normativa e di una disciplina organica che ne tratteggiasse i lineamenti più importanti, una definizione di leasing veniva fornita solitamente sulla base delle risultanze emergenti dalla prassi negoziale e dai pochi dati normativi che l'avevano ad oggetto. In questo senso, sulla falsariga di una nozione normativa dettata con finalità lontane dal dare compiuta disciplina all’istituto, si è definito il leasing finanziario146 come un’ “operazione economica bilaterale che dà luogo ad un contratto con il quale il concedente, su indicazione del futuro utilizzatore, acquista o fa costruire ad un terzo fornitore, pure scelto ed indicato dal futuro utilizzatore (che assume tutti i rischi dell’operazione), un bene mobile o immobile al fine di concederglielo in utilizzo contro il pagamento di un canone periodico, e con possibilità di acquistarlo (diritto di opzione) al termine del contratto mediante pagamento di un prezzo prestabilito”147.
Più di recente del leasing si è occupato il legislatore il quale, con la legge annuale per il mercato e la concorrenza del 2017 (l. 4 agosto 20178, n. 124, art. 1, commi 136-140), nel dettarne una nozione e una disciplina generale si può dire abbia conferito alla figura il rango di tipo legale148.
146 Tale figura di leasing si affianca all’altra rappresentata dal “leasing operativo” che si presenta come “contratto con il quale il produttore di un bene standardizzato concede in godimento il medesimo ad un altro imprenditore, verso il corrispettivo commisurato al valore d’uso del bene, per un periodo inferiore alla vita economica dello stesso” il quale per la sua identificabilità con una locazione ordinaria solitamente non viene fatto oggetto di puntuale analisi nelle trattazioni che trattando in generale del leasing, tendono a concentrarsi sulla figura più significativa del leasing finanziario. Così X. XXXXXXXX, I contratti tipici e atipici, cit., p. 359 ss.
147 X. XXXXXX, Leasing, voce in Enc. dir., agg. VI, Milano, 2002, p. 656. La definizione viene proposta sulla base di quella contenuta all’art. 17 legge 2 maggio 1976, n. 183 (sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno), il quale stabilisce che “ per operazioni di locazione finanziaria si intendono le operazioni di locazione di beni mobili e immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore, che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest'ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito”. Si rimanda per una più completa rassegna bibliografica in materia di leasing al recente contributo di C. BOITI, Leasing e tutela dell'utilizzatore, Napoli, 2020
148In questo senso V. VITI, La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, Roma, 2018, p. 9 ss. Sul tema della
Per effetto di quest'ultimo intervento normativo, per locazione finanziaria deve intendersi “il contratto con il quale la banca o l'intermediario finanziario iscritto nell'albo di cui all'articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell'utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l'utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l'obbligo di restituirlo”149.
La configurazione del leasing come operazione piuttosto che come semplice contratto, non è solo dell’interprete, ma continua ad essere compatibile anche col dato legislativo dove si identifica la fattispecie in quelle operazioni economiche nelle quali il contratto di locazione finanziaria ha ad oggetto un bene che a sua volta è stato acquistato o fatto realizzare dal locatore allo scopo di concederne l’utilizzo al conduttore. Lo stesso contratto di leasing, dunque, rinviene il suo antecedente logico-giuridico in un altro contratto (solitamente una compravendita, qualche volta un appalto) concluso dal concedente con altro soggetto a prima vista estraneo al contratto di locazione150.
Così definita l’operazione, sembra immediato affermarne la scomponibilità in due distinti rapporti: uno, intercorrente tra concedente e fornitore, che si realizza mediante l’acquisto del bene; l’altro, intercorrente tra concedente e utilizzatore, con il quale il primo concede la disponibilità del bene acquistato al secondo, verso il corrispettivo di un canone periodico commisurato al valore del bene dato in locazione.
Ora, la questione che si presenta all’interprete è se l’operazione possa venire ricondotta nell’ambito di un unico vincolo contrattuale di cui saranno parti tutti e tre i soggetti coinvolti nell'affare o se,
tipicità, si vedano, fra gli altri, X. XXXXXXXX, Contratti di finanziamento e poteri del giudice, in Riv. it. leasing, 1991, 278 ss.; X. XXXXXXXXX, voce Leasing (diritto privato), in Enc. Giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990; X. XXXXXX, Dieci anni di giurisprudenza della Cassazione sul leasing, in Riv. it. leasing, 1993, 545 ss.; X. XXXXXXX, Proprietà, garanzia e contratto. Formule e regole nel leasing finanziario, Trento, 1992, 30 ss.; X. XXXXXX XXXXXXXXXX, Natura giuridica del leasing: contratto collegato e contratto di «scambio», in Contratti, 2009, I, p. 59; C. BOITI, Leasing e tutela dell'utilizzatore, Napoli, 2020; X. XXXXXXXXXXXX, Problemi della causa e del tipo, in Trattato del contratto, diretto da Xxxxx, Milano, 2006.
149Legge annuale per il mercato e la concorrenza, del 4 agosto 2017, n. 124, pubblicata nella G.U., Serie Generale, 14 agosto 2017, n. 189, entrata in vigore il 29 agosto 2017.
150Al riguardo, X. XXXXXXXX GUASTALLA, Il contratto di leasing finanziario alla luce della legge n. 124/2017, in Nuova Giur. civ. comm., 2019, II, p. 179 SS.; X. XXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e contratto di leasing, in Contr. Impr., 2020, fasc. IV, p. 1517 ss.; X. XXXXXXXXXX, La nuova disciplina del leasing nella legge n. 124 del 2017, in Eur. Dir. Priv., 2018, p. 123 X. XXXXXXX, Il leasing finanziario alla luce della Legge n. 124/2017, in I Contratti, 2019, III, p. 337, secondo cui “Dalla portata della disposizione contenuta nel comma 136 dell’art. 1 della L. n. 124/2017, sembra la nuova normativa dia forza e vigore ad un tema ampiamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza, quello del collegamento negoziale tra i due contratti coinvolti nell’operazione di leasing finanziario, il contratto di vendita e quello di finanziamento. Il legislatore, infatti, fa riferimento ad un contratto di finanziamento stipulato tra finanziatore/concedente e utilizzatore, che presuppone la conclusione, a monte, di un contratto di vendita tra concedente/ finanziatore e fornitore/produttore, senza il quale il primo contratto non verrebbe ad esistenza. In tal senso, la norma in esame, sembrerebbe confermare la configurabilità di un collegamento negoziale, atteso che il contratto di vendita si atteggia quale presupposto necessario e determinante dell’intera operazione di leasing”.
invece, la stessa si xxxxxx in più rapporti, in più contratti, ciascuno avente la propria causa e la propria identità.
Nell'ottica assunta in quest'indagine, la questione concernente la posizione dell'utilizzatore, data la sua specificità, offre un'utile saggio delle diverse ricadute pratiche cui può dare luogo l'adozione di una certa ricostruzione a svantaggio di un'altra.
La prima di queste, proposta dalla dottrina e dalla giurisprudenza minoritarie e più risalenti, fa propria la tesi dell’unitarietà della fattispecie contrattuale, la quale, esclusa la comunione di scopo, assume struttura trilaterale151.
Qui la trilateralità non viene riferita – come è giusto che sia – all’operazione, bensì al contratto di cui sono parti utilizzatore, concedente e fornitore, ciascuno per aver partecipato al procedimento di formazione del contratto, per aver partecipato all’unico regolamento contrattuale disponendo di propri interessi e, infine, per essere destinatario degli effetti derivanti dal contratto152.
Prima di vedere quali sono le ragioni che hanno portato dottrina e giurisprudenza quasi unanimi ad escludere la configurabilità di un unico contratto a struttura trilaterale, mette conto soffermarsi sui corollari che, in relazione alla questione delle tutele azionabili dall’utilizzatore nei confronti
151 Tra gli autori che in maniera più convinta e puntuale hanno affermato la trilateralità dell’unico contratto di leasing, si segnala X. XXXXXXX, I problemi di struttura del leasing, in Riv. it. Leasing, 1987, p. 543 il quale nel sottolineare la progressività del procedimento di formazione del contratto, distingue una prima fase, con protagonisti il fornitore e l’utilizzatore, dove questi due giungono alla conclusione di un accordo intorno ai contenuti del contratto di compravendita che avrà efficacia obbligatoria e vincolante nei loro riguardi, e che verrà tradotto, per volontà degli stessi, “in una conferma d’ordine scritta, che rappresenta l’accettazione di una proposta contrattuale, e contiene, come elemento qualificante, l’impegno alla stipulazione del leasing, e cioè l’impegno del fornitore a cedere la proprietà del ben alla società di leasing alle condizioni stabilite, e quello dell’utilizzatore a riceverlo in godimento verso rispettivo del canone. All’accordo così concluso fa seguito una seconda fase dove protagonista è la società di leasing, la quale “premessi i suoi accertamenti e le sue valutazioni in ordine alla convenienza della proposta, l’accetta e si impegna a mettere a disposizione degli interessati la somma occorrente per acquistare il bene e a concederne la disponibilità all’utilizzatore”. Con tale accettazione, dunque, il concedente diviene parte dell’accordo cui erano addivenuti fornitore e utilizzatore, e, in confronto a questi ultimi si fa carico, rispettivamente, dell’obbligazione di pagare il prezzo e dell’obbligazione di concedere il bene in godimento. In conclusione, una volta concluso tale procedimento formativo, il contratto di leasing potrà dirsi concluso, e vincolerà reciprocamente tutte e tre le parti che hanno concorso a dargli vita, “indipendentemente dal fatto che tutte o soltanto due di esse sottoscrivano il documento che si definisce contratto di leasing”. Si vedano anche X. XXXXXXXX, Trilateralità del contratto di leasing e riduzione del contratto ad equità senza ricorrere all’applicazione dell’art. 1526 c.c., in Resp. civ., 1994, 182 ss.; ID, Invalidità della clausola di inversione del rischio in caso di mancata consegna del bene nel contratto di leasing, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 325 ss.; X. XXXXXXXX, Leasing e lease back, in Tratt. dir. civ., a cura di X. XXXXXXXXXXX, Napoli, 2008, 46 ss. In giurisprudenza sono ormai risalenti le pronunce che configurano l’operazione di leasing nei termini di un unico contratto trilaterale, tra le più recenti si segnalano, Cass. 16 maggio 1997, n. 4367, in Mass. Foro it., 1997; Cass. 11 agosto 1995, n. 7595, in Resp. civ. prev., 1996, 335; Cass. 26 gennaio 2000, n. 854, in Foro it.,
2000, I, 2269.
152Rilievi critici nei confronti della tesi esposta sono stati avanzati da X. XXXXX, La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed “operazione giuridica”, in Studium iuris, 2001, 1153 ss.; X. XXXXXXXX, Vizi della cosa concessa in leasing e diritti dell’utilizzatore, in Giur. it., 2000, II, 1137 ss.; G. DE NOVA, Il contratto di leasing, Milano, 1990, 34;
X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., 216 ss. Fra le principali contestazioni, in particolare, è stata sottolineata la difficoltà di individuare, nell’ottica delle obbligazioni incrociate, quelle assunte dall’utilizzatore verso il fornitore, la contrastata configurabilità di contratti plurilaterali senza comunione di scopo, la non plausibilità della qualificazione del rapporto iniziale fra venditore e utilizzatore in termini di accordo già vincolante e non di mera trattativa.
del fornitore, derivano da una ricostruzione a cui va riconosciuto il merito di rimarcare sotto il profilo giuridico l’unitarietà che caratterizza sicuramente l’operazione sul piano economico153.
In questo senso occorre dare atto che, dal punto di vista delle ragioni dell’utilizzatore, la tesi che porta quest’ultimo ad essere parte del contratto di cui è parte anche il fornitore consente di superare più agevolmente i dubbi concernenti la legittimazione del primo al diretto esperimento di una qualunque delle azioni contrattuali inerenti al rapporto di fornitura. La posizione dell’utilizzatore come controparte contrattuale del fornitore consente il venire meno di quella separazione – che si riscontra nelle altre ricostruzioni - tra titolarità del rapporto e titolarità dei rimedi giuridici a questo relativi che è causa degli ostacoli che a livello normativo e a livello dogmatico si frappongono al riconoscimento della legittimazione attiva dell'utilizzatore.
Il vantaggio della ricostruzione fatta nei termini della trilateralità del rapporto contrattuale consiste nella piena legittimazione dell’utilizzatore all’esperimento delle azioni inerenti al contratto di cui è parte anche il fornitore. Azioni, tra le quali si annovera anche l’azione di risoluzione, la cui attribuzione all'utilizzatore è motivo dei più accesi dibattiti in seno alle tesi che vogliono l'operazione di leasing constare di più contratti aventi parti diverse.
La tesi del singolo contratto plurilaterale, benché più confacente alle esigenze di tutela dell’utilizzatore, incontra nel suo tentativo di affermazione ostacoli difficilmente aggirabili. Innanzitutto, già dal punto di vista storico-fattuale gli atti (rectius, i documenti) di cui consta il sostrato materiale dell’operazione non sono meno di due154. Alla pluralità degli atti, inoltre, corrisponde una pluralità di rapporti tra soggetti distinti, rapporti normalmente intercorrenti tra due soltanto di loro155.
Tali argomenti, se pure indicativi, certo non dirimono la questione a favore della pluralità dei negozi; sono infatti altri gli argomenti che depongono a favore di quest’ultima opzione ricostruttiva.
153 È, anzi, proprio allo scopo di recuperare l’unitarietà dell’operazione anche dal punto di vista della struttura giuridica della fattispecie che si indirizzano gli sforzi della dottrina che afferma la unicità del contratto di leasing. In questo senso sembra chiaro X. XXXXXXX, I problemi di struttura del leasing, in Riv. it. Leasing, 1987, p. 543 ss. Sul punto, per una lettura critica di tali finalità X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 215 ss.
154 Giova sottolineare dal punto di vista “materiale” anche il dato cronologico della conclusione dei due contratti, la cui stipulazione ha luogo in due diversi momenti, secondo una sequenza temporale ben precisa che vede stipularsi per primo il contratto di locazione finanziaria tra utilizzatore e concedente. A tale stipulazione fa poi seguito la conclusione del contratto con cui si acquista il bene da locare, e nel quale viene fatta menzione dall’intervenuto perfezionamento del contratto di leasing. Contra X. XXXXXXX, I problemi di struttura del leasing, cit., p. 545 ss. il quale configura il procedimento di formazione dell’operazione come unica vicenda caratterizzata dalla progressività, spiegando poi la duplicità degli atti negoziali “rivolti dalla società di leasing a ciascuna delle parti” quale documentazione dell’accordo dalla stessa raggiunto nei confronti delle altre due.
155 X. XXXXXXXX, I contratti tipici e atipici, cit., p. 374 ss., il quale sottolinea come nella prassi contrattuale i moduli impiegati dalle società di leasing comportano sicuramente la conclusione, in tempi e modi diversi, di due distinti contratti, i quali presentano contenuti predisposti in maniera tale da “escludere – oltre ad un unico procedimento formativo contrattuale (…) – una causa unitaria che abbracci e fonda insieme i due rapporti”
Il primo vien colto nella non indispensabilità del consenso unanime – o triplice - ai fini del perfezionamento del contratto (o dei contratti) di cui si compone l’operazione di leasing. Da un lato, il contratto di fornitura viene concluso per effetto dell’accordo tra fornitore e concedente, senza che in alcun modo abbia occasione di manifestare il suo consenso o dissenso l’utilizzatore, il quale partecipa alla fase precedente la conclusione del contratto, con il fine di determinarne le condizioni fondamentali; dall’altro, il contratto di locazione finanziaria viene concluso tra quest’ultimo e il concedente senza che alcuna voce in capitolo abbia il fornitore, che dovrà dirsi terzo, almeno sul piano del fatto, al contratto stipulato dai primi due156.
Ma l’argomento tra tutti più significativo deve rinvenirsi nella sostanza del regolamento di interessi voluto dei partecipanti all’affare e dal suo atteggiarsi durante la fase di attuazione. Non può da questo punto di vista nascondersi la sussistenza di un certo interesse delle parti a tenere distinti i contratti di cui si compone l’operazione, al fine di evitare l’incidere di determinate vicende, inerenti ad un rapporto, sull’esistenza e sulle sorti dell’altro rapporto, soprattutto quando, rispetto a queste, il soggetto interessato a non subirne gli effetti negativi non ha alcuna possibilità di incidere nel senso della salvaguardia delle proprie ragioni.
Inoltre, se l’interesse dell’utilizzatore può individuarsi nel conseguire un’utilità economica senza impiego immediato della somma occorrente per l’acquisto della stessa, il medesimo interesse non può riconoscersi in capo al concedente il quale, invece, persegue lo scopo precipuo di svolgere un’attività d’investimento. Il fornitore, dal canto suo, persegue l’obiettivo “pratico” di allocazione sul mercato dei propri prodotti contro l’integrale corresponsione di un corrispettivo. Appare evidente l’esistenza di due contratti, perché due sono le cause che si configurano: la causa di scambio nel contratto (di compravendita) stipulato tra fornitore e concedente, e la causa di finanziamento nel contratto (di leasing in senso stretto) stipulato tra concedente e utilizzatore. Sulla scorta di una siffatta interpretazione, la dottrina maggioritaria offre una ricostruzione del leasing finanziario in termini di collegamento negoziale. Tra i due contratti (di compravendita e di leasing in senso proprio), infatti, si rinviene una relazione di preordinazione dell’uno rispetto all’altro: la compravendita, cioè, si realizza in funzione del contratto di leasing.
156 A quest’ultima affermazione può venire obiettata la peculiare posizione dell’utilizzatore, il quale – nell’ipotesi della pluralità dei contratti – pur non divenendo parte del contratto di fornitura definisce insieme al fornitore, durante la fase prenegoziale, gli elementi più importanti di un normale contratto di compravendita e cioè l’oggetto, il prezzo, i tempi e le modalità della consegna e dell’esecuzione del contratto, etc. (così X. XXXXXXX, I problemi di struttura del leasing, cit.,
p. 548 ss.). Tuttavia, questo particolare modo di partecipazione e incidenza dell’utilizzatore nel contratto a cui è formalmente terzo, può facilmente spiegarsi rimarcando l’unitarietà dell’operazione economica, quale risulta facendo richiamo non già all’unitarietà del contratto quanto al collegamento negoziale che lega i contratti e che viene ad esprimersi da questo punto di vista nell’interesse dell’utilizzatore, parte del contratto di locazione finanziaria, ad individuare le caratteristiche essenziali del bene che ne costituirà oggetto, e il valore dello stesso, in ragione del quale verrà poi commisurato il canone da corrispondere periodicamente al concedente.
Infine, un altro dato è quello di natura processuale: è facile rilevare, se si tiene conto delle controversie cui lo svolgersi del rapporto può dar vita, che esse normalmente non coinvolgono tutti i soggetti interessati dall’affare, ma solo due di essi, in ragion del singolo rapporto che li lega. Ciò ha portato una certa dottrina a sostenere che i tre rapporti che si costituiscono (due in virtù dei contratti stipulati, ed uno in virtù del collegamento che li caratterizza) mantengono comunque una loro individualità, la quale non può essere disconosciuta in sede di ricostruzione strutturale della fattispecie”157.
Esclusa, alla luce di quanto detto sopra, la tesi del singolo negozio avente causa e identità uniche e struttura trilatera, si tratta ora di soffermarsi su alcuni degli argomenti impiegati da dottrina e giurisprudenza per fondare la tesi dell’operazione plurinegoziale, per poi vedere come il collegamento che tiene uniti i contratti di cui questa consta operi nelle sue dinamiche attuative158.
Innanzitutto, valgono a sostegno della pluralità di contratti gli stessi argomenti che poco più sopra si sono impiegati per escludere l'unicità del contratto: il dato materiale della duplicità degli atti contrattuali; il dato “cronologico” della consecuzione temporale delle stipulazioni; il dato “processuale” del sorgere delle controversie tra i soggetti di un singolo rapporto.
Mentre riguardo ai profili più significativi del regolamento di interessi, e dei rapporti giuridici che si instaurano tra i partecipanti all’affare, ulteriori riflessioni si impongono.
In primo luogo, occorre rilevare che l’ingegneria dell’operazione è predisposta in modo tale che il contratto di compravendita costituisca il presupposto logico-giuridico del contratto di leasing, il quale perde la sua stessa ragion d’essere nell’ipotesi in cui xxxxxx originariamente, o venga meno successivamente, il primo contratto159. È facile, infatti, comprendere come una volta mancante il risultato economico-giuridico cui mette capo il contratto di fornitura, il contratto di locazione viene irrimediabilmente travolto da tale realtà, stante la sua inidoneità a realizzare gli obiettivi dell’utilizzatore, ai cui interessi deve attribuirsi una certa priorità, nel senso che è nell’ottica della loro realizzazione che il futuro fruitore del bene assume normalmente l’iniziativa nell’ambito dell’intera operazione.
157 X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, Padova, 1999, p. 218 ss.
158 In tal senso, si vedano, per tutti X. XXXXXXXX, La Cassazione, la locazione finanziaria e i contratti di finanziamento, cit., 194; ID, I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., 144 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti tipici e atipici, cit., 376 ss.; X. XXXXXXXXX, Sulla funzione del leasing, in Riv. Dir. civ., 1979, p. 455; X. XXXXX, Leasing, collegamento negoziale e azione diretta dell’utilizzatore, in Foro it., 1998, I, 3081; ID, La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed “operazione giuridica”, cit., 1157 ss.
159 Non può certo revocarsi in dubbio che nell’ipotesi in cui non dovesse realizzarsi quest’ultimo contratto, quello di locazione finanziaria, ove venisse stipulato, finirebbe per rimanere privo sia del suo oggetto, di cui non ha acquistato la proprietà il locatore, e del quale, quindi, non può venirne concessa la disponibilità al conduttore, sia della sua causa che non può venire realizzata a motivo del vizio funzionale che colpisce l’intera operazione. Ci si può interrogare su quali siano, in tali ipotesi, le sorti del contratto di locazione là dove si aderisse alla tesi della trilateralità. In questo caso se ne deve dedurre che mancando il momento della manifestazione del consenso da parte del terzo soggetto (parte) del contratto, il contratto debba considerarsi nullo ex artt. 1418 e 1325 c.c. per difetto di un requisito essenziale: l’accordo.
Da questo e da numerosi altri indici si giunge ad affermare l’unitarietà dell’operazione - nonostante la pluralità dei contratti - ricorrendo alla figura del collegamento negoziale, il quale si esprime in un procedimento di formazione “progressivo e congiuntivo”160 di cui sono protagonisti tre soggetti, legati tra loro reciprocamente da una pluralità di rapporti, a cui danno vita i negozi alla cui conclusione porta quell’unico procedimento, e che di volta in volta si instaurano tra due soli di essi.
In tal senso è significativa la descrizione dei principali rapporti che si instaurano tra i soggetti dell’operazione: il fornitore trasferisce al concedente la proprietà del bene in virtù di un contratto di compravendita le cui condizioni fondamentali sono state convenute tra fornitore e utilizzatore, al quale poi il primo dovrà consegnare il bene oggetto del negozio; a sua volta il concedente deve pagare il prezzo del bene al fornitore, e concederlo all’utilizzatore; infine, quest’ultimo, oltre a sopportare i rischi inerenti al deterioramento o alla perdita del bene, ai vizi e ai difetti anche se sopravvenuti, alla mancata consegna, e in genere ad ogni inadempimento del fornitore (per effetto delle clausole convenzionali di deviazione del rischio161), è tenuto a pagare al concedente i canoni per il godimento del bene.
Preso atto della sussistenza di un collegamento negoziale, e adombrata, almeno sul piano descrittivo, la possibilità per chi è formalmente terzo rispetto a un singolo contratto di venire comunque preso in considerazione alla stregua di un terzo “particolare” in virtù di certi indici partecipativi, non resta che affrontare la questione relativa ai meccanismi giuridici che a tale terzo consentono d’essere titolare di diritti e azioni inerenti a quel contratto.
160 X. XXXXXXX, Operazione economica e collegamento negoziale, cit., p. 216.
161 In dottrina si è sempre affermata la validità di siffatte clausole di esonero del concedente da rischi e responsabilità inerenti al bene, sostenendo che a tal fine fosse sufficiente accordare all’utilizzatore azioni e rimedi atti a garantire i propri interessi nei confronti del fornitore inadempiente. Si è cosi affrontata alla luce di tali clausole la relativa problematica delle clausole di attribuzione all’utilizzatore delle azioni spettanti al concedente nella sua qualità di proprietario del bene e controparte contrattuale del fornitore, giungendo a riconoscere – senza grandi difficoltà – il diritto dell’utilizzatore non solo ad agire verso il fornitore per l’adempimento del contratto o per il risarcimento del danno, ma anche per ottenere la risoluzione del contratto di fornitura intercorso tra fornitore e concedente. La dottrina è giunta a questa conclusione sostenendo che la cessione dell’azione di risoluzione all’utilizzatore potrebbe spiegarsi nell’ambito di un mandato in rem propriam (art. 1723, comma 2°, c.c.), permettendo così all’utilizzatore di ottenere la risoluzione del contratto di fornitura, e di conseguenza, la risoluzione del contratto di leasing. quindi, al raggiungimento di un unico fine economico. Sul punto si vedano, X. XXXXXX, Collegamento negoziale, causa concreta e clausola di traslazione del rischio: la giustizia contrattuale incontra il leasing, in Nuova giur. civ. Comm., 2008, 3, 359; V. DI XXXXXXXX, Le clausole di esonero da responsabilità contrattuale a favore del concedente nel contratto di leasing, in Nuova giur. civ. comm, 1992, I, p. 36; X. XXXXXX, Riflessioni sugli effetti della risoluzione di uno dei negozi collegati, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 654;
X. XXXXXXX, Xxxxxx sulla rilevanza della clausola di esonero della responsabilità del concedente il leasing per inadempimento del fornitore, in Giur. it., 1994, I, p. 1364: X. XXXXXXX, In tema di leasing e collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 772; F. BRAVO, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la “sovrapposizione” contrattuale, in Contratti, 2004, p. 118.
6. La posizione dei partecipanti all'operazione di leasing.
Sembra ormai costituire dato acquisito in dottrina e giurisprudenza la legittimazione dell’utilizzatore all’esercizio delle azioni atte ad ottenere da parte del fornitore sia l’adempimento dell’obbligazione di consegna del bene - a cui si è obbligato con la stipulazione del contratto di fornitura concluso con il concedente - sia il risarcimento del danno che dall’inadempimento del fornitore subisce l’utilizzatore. Ciò anche nelle ipotesi in cui nel contratto concluso tra concedente e utilizzatore non abbiano fatto ingresso pattuizioni con cui il primo attribuisce al secondo le azioni inerenti al contratto di compravendita162.
La questione della ricostruzione e qualificazione di siffatte clausole non pare debba occupare uno spazio significativo nelle discussioni concernenti la fattispecie del leasing in questa sede, sia a causa della meritevolezza degli interessi tutelati con la loro predisposizione, sia, soprattutto, per l’ormai consolidata opinione che ammette l’utilizzatore all’esperimento delle medesime azioni anche nei casi in cui nessuna pattuizione a riguardo sia intervenuta tra concedente e utilizzatore.
Da qui, dunque, la legittimazione di quest’ultimo ad agire nei confronti del fornitore nelle ipotesi di inadempimento dello stesso, al fine di ottenerne l’adempimento se ancora possibile, e il risarcimento del danno in caso contrario.
La questione che si pone non riguarda pertanto il se di tale legittimazione attiva, ma il come e il perché di essa, posto che a seconda della risposta data potrà o meno ammettersi la legittimazione
162 L’esperimento di tali azioni si è spiegato facendo ricorso alla figura del mandato in rem propriam (G. DE NOVA, Il contratto di leasing, Milano, 1985, p. 29 ss., secondo cui solo muovendosi sul piano del mandato in rem propriam, viene accordata all’utilizzatore la tutela più “intensa”: “perché egli potrà richiedere la risoluzione della vendita intercorsa tra il fornitore e il concedente”, e di conseguenza ottenere la risoluzione del contratto.” Sempre ad avviso dell’autore, solo interpretando le condizioni del contratto “in modo tale da ritenere l’esistenza, accanto all’esonero del concedente della garanzia, di una stipulazione tra il fornitore e il concedente a favore dell’utilizzatore e di un mandato conferito dal concedente all’utilizzatore, l’assetto di interessi delineato dall’intero complesso di clausole afferenti ai vizi della cosa potrà risultare equilibrato”), nel quale al mandatario (utilizzatore) è conferito dal mandante (concedente) incarico per agire in nome di lui nell’esperimento delle azioni ad esso spettanti per essere parte del contratto di compravendita (X. XXXXXXXX, Il mandato, Torino, 2000, p. 27 ss., secondo cui si può parlare di mandato conferito anche nell’interesse del mandatario o di un terzo “in quanto tale interesse venga contemplato in qualche modo dai contraenti, in quanto cioè il mandato sia voluto consapevolmente dalle parti anche per la realizzazione di siffatto interesse. Soltanto in tal modo l’interesse da proteggere può entrare a far parte del complessivo regolamento di interessi, acquistare rilevanza entro il rapporto inter partes e giustificare l’eccezionale regime di irrevocabilità disposto direttamente dalla legge”), e a cui ha interesse primario il mandatario-utilizzatore (stante il prioritario interesse del mandatario ad ottenere la disponibilità materiale del bene, viene da chiedersi quale sia in questo caso l’interesse del mandante, giacché nell’ipotesi di mandato conferito nell’interesse esclusivo del mandatario è unanime la dottrina nel negare la configurabilità di un mandato in rem propriam. Mancando l’interesse del mandante potrà al massimo parlarsi di contratto atipico, se non addirittura di un mero “consiglio” o “raccomandazione”. Si vedano per tutti, X. XXXXXX, Il mandato, Milano, 2000, p. 466 ss.; X. XXXXXXXX, Il mandato, cit., p. 27 ss.). In giurisprudenza, si vedano Cass., Sez. III, 2 novembre 1998, n. 10926, in Contratti 1999, p. 803, nella cui massima si afferma che “l’utilizzatore, sprovvisto di azione verso il concedente nell’ipotesi di mancata consegna, può agire direttamente nei confronti del fornitore al fine di ottenere il risarcimento dei danni e, se del caso, l’adempimento”. In termini analoghi si pongono: Cass., Sez. III, 30 giugno 1998, n. 6412, in Giur. it. 1999, p. 1234; Cass., Sez. III, 2 ottobre 1998, n. 9785, con nota di XXXXX, Leasing, collegamento negoziale ed azione diretta dell’utilizzatore, in Xxxx Xx., 0000; Cass., Sez. III, 12 marzo 2004, n. 5125, in Giust. civ. Mass. 2004, 3; Cass., Sez. III, 27 luglio 2006, n.
17145.
dell’utilizzatore anche all’esperimento dell’azione di risoluzione del contratto concluso tra concedente e fornitore, e rispetto a cui è terzo l’utilizzatore163.
Dando per acquisite le riflessioni concernenti la tesi del contratto unico con tre parti contraenti, non resta che vedere quali siano le possibili soluzioni proponibili nell’ambito di una ricostruzione dell’operazione fatta in termini di interconnessione tra più contratti.
In quest'ordine di idee, un primo filone interpretativo ha attecchito nelle pronunce dei giudici di merito e di legittimità, e ha ravvisato nelle ipotesi in questione il verificarsi di quella stessa scissione tra posizioni soggettive contrattuali che ricorre nella fattispecie del mandato senza rappresentanza di cui all’art. 1705 c.c. (nell’ambito del quale all’utilizzatore spetterebbero le vesti di mandante, al concedente quelle del mandatario, e al fornitore quelle di terzo)164.
L’applicazione delle norme sul mandato in numerosi casi concernenti il leasing ha consentito ai giudici del Supremo Collegio di ravvisare nei casi di inadempimento del fornitore la legittimazione dell’utilizzatore ad agire in giudizio direttamente nei suoi confronti165.
Questo almeno per quanto riguarda le azioni di adempimento del contratto e di risarcimento del danno sofferto a causa dell’inadempimento, mentre per quanto attiene all’azione di risoluzione il
163A questo fine ci si può servire delle considerazioni spese a proposito dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. Sez. un. 19785/2015 in Banca borsa tit. cred., 2017, I, 35 ss., con nota di X. XXXXXXX, Inadempimento del fornitore e tutela dell'utilizzatore del leasing finanziario), le quali, trattando della questione se debba o meno ammettersi, in mancanza di un’espressa previsione pattizia, la legittimazione dell’utilizzatore all’azione per ottenere risoluzione del contratto di compravendita, ripercorrono i più importanti orientamenti ricostruttivi a cui dottrina e giurisprudenza hanno nel tempo fatto ricorso per dare soluzione al quesito. Si vedano a proposito X. XXXXX XX XXXXXXX, Leasing e tutela dell'utilizzatore: una nuova interpretazione del contratto di locazione finanziaria, in Rass. Dir. civ., 2016, p. 755; X. XXXXXXXXX, Qualificazione del leasing finanziario e tutela dell'utilizzatore: il punto (e qualcosa di più) delle Sezioni Unite, in Nuova giur. Civ. Comm., 2016, I, p. 253; A.L. PENNETTA, Leasing finanziario e legittimazione dell’utilizzatore ad agire direttamente nei confronti del fornitore, in Corr. giur., 2007, 10, p. 1430.
164Così Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit. nella cui motivazione il supremo collegio, una volta riconosciuto collegamento tra i negozi e che il contratto di fornitura viene concluso dalla società di leasing allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquistare la disponibilità della cosa, si realizzerebbe con la conclusione del contratto di fornitura “quella medesima scissione di posizioni, in confronto del terzo contraente, che è presente nel caso dei contratti conclusi dal mandatario in nome proprio e nell’interesse del mandante”. Da qui, dunque, in applicazione dell’art. 1705, comma 2°, c.c. la possibilità per l’utilizzatore (mandante) di agire in via diretta, e non in via surrogatoria, “per far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa la concedente (mandatario) in base al contratto concluso: perciò il mandante può esercitare in confronto dei terzi le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenere l’adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento”. Ragionamenti di analogo tenore si possono trovare in Cass. 2 ottobre 1998, n. 9785, in Giust. civ. 1999, I, p. 2749 nella cui massima si legge che “l’utilizzatore in leasing può equipararsi al mandante nel mandato senza rappresentanza, legittimato all’esercizio non solo dei diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, ma anche delle azioni nascenti dal contratto stipulato tra mandatario e terzo […]”. Fra i favorevoli al richiamo in tale sede della norma di cui all’art. 1705, comma 2, c.c., X. XXXXXXX, La problematica del leasing finanziario come tipo contrattuale, in Riv. dir. civ., 2000, II, 684; X. XXXXXXXX, Vizi della cosa concessa in leasing e diritti dell’utilizzatore, cit., 1137, il quale ritiene che in tal modo debba essere riconosciuto all’utilizzatore anche il diritto di agire contro il fornitore inadempiente per la risoluzione della vendita
165 Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, in Giust. civ. Mass. 2006, p. 9, nella cui motivazione si sottolinea come “la possibilità di esercitarsi da parte dell’utilizzatore l’azione di risoluzione del contratto di vendita tra fornitore e società di leasing – cui esso è estraneo – dipendente in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto a riguardo”. Così, anche, Cass., Sez. III, 30 giugno 1998, n. 6412, in Giur. it. 1999, p. 1234; Cass., Sez. III, 2 ottobre 1998,
n. 9785; Cass., Sez. III, 2 novembre 1998, n. 10926, con nota di XXXXX, Leasing, collegamento negoziale ed azione diretta dell’utilizzatore, in Xxxx Xx., 0000; Cass., Sez. III, 12 marzo 2004, n. 5125, cit.,; Cass., Sez. III, 27 luglio 2006, n. 17145
quesito sembrerebbe doversi risolvere in termini negativi, salvo i casi in cui l'esperibilità dell'azione medesima da parte dell'utilizzatore sia oggetto di uno specifico patto a riguardo.
In altri termini, l’azione in questione potrebbe esperirsi nelle sole ipotesi in cui nel contratto concluso tra utilizzatore e concedente faccia ingresso una specifica clausola, con la quale “la posizione sostanziale della società di leasing venga da questa trasferita all’utilizzatore”166. In caso contrario, dovrà escludersi la legittimazione attiva alla stessa azione, e ciò per l’apparente e immediato rilievo della terzietà dell’utilizzatore rispetto al contratto di fornitura167.
Il problema della posizione dell’utilizzatore nell’ambito del contratto cui è estraneo sembrerebbe così risolto con l’applicazione della disciplina normativa dettata in materia di mandato senza rappresentanza. Se non fosse che la soluzione pone problemi, se non più ampi, almeno pari a quelli a cui si vorrebbe fare fronte.
A tal proposito, la prima considerazione che vien d’obbligo fare è che la fattispecie del mandato senza rappresentanza, ben lungi dall’essere figura avente una disciplina e una configurazione “pacifiche”, è terreno fertile per ampissime controversie. Ne dà atto l’intervento relativamente recente delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, le quali hanno provato a far ordine tra le teorie che in dottrina e giurisprudenza si erano fino ad allora proposte.
Di là dall’affrontare tali tematiche o analizzare le varie ipotesi ricostruttive richiamate nella sentenza, è istruttivo in questa sede sottolineare come l’applicazione al leasing della linea interpretativa adottata dalle Sezioni unite168 priverebbe l’utilizzatore non solo della legittimazione all’esperimento dell’azione di risoluzione del contratto di fornitura, ma persino dell'azione diretta ad ottenere dal fornitore il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento di quest’ultimo, rimanendo inoltre incerta l’ammissibilità dell’azione di adempimento del contratto.
Infatti, pur potendo fare soltanto un brevissimo cenno alla motivazione della sentenza, si legge come l’espressione “diritti di credito” di cui all’art. 1705 x.x., xxxxx 0, xx “rigorosamente
166 Cass., Sez. III, ord., 4 agosto 2014, n. 17597 secondo la quale tale conclusione non sarebbe di certo appagante se si considera che il concedente proprio in virtù della propria maggiore forza contrattuale potrebbe riservare a sé tale legittimazione.
167 Così, di recente, Cass. 16 novembre 2007, n. 23794, in Giust. civ. 2008, 4, I, p. 914; Cass. 27 luglio 0000, x. 00000,
in Giust. civ. Mass. 2006, 9
168 Cass. 8 ottobre 2008, n. 24772, in Riv. notariato 2009, p. 4, nella cui massima si legge che “in tema di azioni esercitabili dal mandante nell'ipotesi di mandato senza rappresentanza, il sistema normativo è imperniato sul rapporto regola-eccezione, nel senso che, secondo la regola generale di cui all'art. 1705, comma II, c.c., il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, che non hanno alcun rapporto con il mandante, mentre costituiscono eccezioni le disposizioni, tanto sostanziali quanto processuali, che prevedono l'immediata reclamabilità del diritto (di credito o reale) da parte del mandante, con conseguente necessità di stretta interpretazione di queste ultime e dell'esclusione di qualunque integrazione di tipo analogico o estensivo, nell'ottica della tutela della posizione del terzo contraente. Ne deriva pertanto che l'espressione "diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato" di cui all'art. 1705, comma II, c. c., accordante al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta all'esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno)”. In questo senso, nonostante le diverse ricostruzioni della fattispecie, sembrerebbe porsi anche la dottrina maggioritaria, tra cui si segnala, per tutti, X. XXXXXXXX, Il mandato, cit., p. 88.
circoscritta all’esercizio (fisiologico) dei diritti sostanziali acquisitati dal mandatario, con conseguente esclusione delle azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento)”.
Sulla base di questo e di altri dati si impone una riflessione circa l’opinabile utilità di una lettura dell'interconnessione tra le posizioni soggettive dei partecipanti all'operazione di leasing secondo gli schemi del mandato senza rappresentanza. Soprattutto quando si miri ad una più attenta analisi delle tutele accordabili all'utilizzatore non solo nei confronti della sua controparte contrattuale (concedente) ma anche nei confronti di un terzo (fornitore).
Se questo è il fine, deve sottolinearsi come non solo le conclusioni cui sono pervenute le Sezioni unite non siano confacenti ad esso, ma soprattutto come la stessa ratio ispiratrice della sentenza richiamata vada in un senso opposto: verso, cioè, la tutela delle ragioni non del mandatario, né del mandante, bensì del terzo. Si legge infatti in motivazione come non possa trascurarsi che “il terzo che contratti con il mandatario (e soltanto con quest’ultimo), ripone un legittimo affidamento nel fatto che tutte le vicende successive al contratto, sul piano della fisiologia come della patologia degli effetti, andranno a dipanarsi tra esse parti, senza alcun intervento ipotetico di terzi-mandatari (in assenza di un suo espresso consenso)”169. Mentre, ove si sostenesse il verificarsi automatico in capo al mandante dell’effetto traslativo del negozio intercorso tra mandatario e terzo, se ne dovrebbe dedurre la legittimazione all’esperimento di tutte le azioni ex contractu da parte del mandante, quale titolare dell’interesse sostanziale sotteso al diritto acquisito per effetto del contratto (cui è rimasto formalmente estraneo) nei confronti del terzo (controparte contrattuale del mandatario). Terzo che si troverebbe esposto a pretese che, in quanto provenienti da un soggetto terzo, non sarebbero previste né prevedibili170, “salvo non volersi ipotizzare una surreale condizione non espressa da ritenersi immanente ad ogni convenzione negoziale, in ossequio alla quale ciascuna delle parti potrebbe o addirittura dovrebbe prospettarsi la possibilità che dietro ogni negozio traslativo possa celarsi un rapporto di mandato”171.
169Così le Sezioni unite della Cassazione, 8 ottobre 2008, n. 24772 cit. Al riguardo, in dottrina, cfr. X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., 342; X. XXXXXXXXX, Causa unitaria nell’ambito dell’operazione di leasing finanziario e tutela dell’utilizzatore: una svolta della Cassazione?, cit., 378; X. XXXXXXXXX, Leasing finanziario: la Cassazione apre le porte della tutela dichiarativa all’utilizzatore, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 739. Inoltre, lo stesso riferimento contenuto nell’art. 1705, comma 2, c.c., all’impossibilità di pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario, rappresenterebbe un impedimento all’esercizio dell’azione di risoluzione a causa della perdita della proprietà del bene in capo al concedente che da questa conseguirebbe. In tal senso, cfr. X. XXXXXXXXXXX, Note in tema di tutela dell’utilizzatore rispetto ai vizi originari del bene nel leasing finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 627.
170 Cass. 8 ottobre 2008, n. 24772, cit., nella motivazione si indica come esempio l’impossibilità per il terzo legittimato passivo dell’azione risarcitoria di venire richiesto di un danno il cui an e quantum non possono venire rapportati al danno che il mandante potrebbe in astratto lamentare, a norma dell’art. 1225 c.c. che nel limitare il danno risarcibile al danno “che poteva prevedersi al tempo in cui è sorta l’obbligazione”, esclude in maniera netta la reclamabilità di danni eventualmente sofferti da chi controparte negoziale non è.
171 Significativo è l’ulteriore svolgimento del ragionamento seguito dal supremo collegio, il quale, nel rimarcare il difetto assoluto di consenso del terzo alla traslazione in capo al mandante della posizione contrattuale (comprendente
A questo punto, piuttosto che affrontare le difficoltà che pone la fattispecie del mandato senza rappresentanza, vien fatto di porre in luce alcuni ulteriori argomenti che sembrerebbero escludere l'opportunità del ricorso allo schema del mandato in materia di leasing.
Primo fra tutti il dato normativo: l’art. 1705 x.x., xxxxx 0, xxxxxxxxx xx xxxxx periodo che “i terzi non hanno alcun rapporto col mandante”, anche ammesso che il terzo possa essere a conoscenza che il mandatario, pur contrattando in nome proprio, agisce nell’interesse del mandante (art.1705 c.c., comma 1). Da tale conoscenza non deriva comunque l’instaurarsi tra il terzo e il mandante di un rapporto giuridico in virtù del quale l’uno è tenuto verso l’altro, o viceversa172. A tale situazione di normale estraneità tra mandante e terzo viene ad opporsi una situazione di normale (e forse necessaria) intraneità tra utilizzatore e fornitore, dal momento che il primo (che dovrebbe secondo la tesi su esposta assumere le vesti del mandante) gestisce in prima persona fin dall’inizio il rapporto di fornitura, convenendo con il fornitore (e non con il concedente) le condizioni essenziali alle quali il contratto verrà da questo concluso con il concedente. Ancora più significativo è poi il fatto che i rapporti che si profilano tra le parti all’interno dell’operazione vengono ad “instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti”173.
Inoltre, l’utilizzatore e il fornitore, per effetto del collegamento delle due stipulazioni contrattuali, sembrerebbero trovarsi in una situazione relazionale che li lega anche sul piano giuridico. Infatti, se è vero che l’obbligo di consegna gravante in capo al fornitore può venire configurato, in un ottica isolazionista, come obbligo che il primo assume nei confronti del secondo anche se destinatario della prestazione rimane un terzo; in una visione più ampia di valorizzazione del complesso regolamento di interessi, lo stesso impegno potrebbe venire letto come obbligazione che il fornitore assume direttamente nei confronti dell’utilizzatore. Tanto è vero che nell’ipotesi in cui tale obbligo dovesse rimanere inadempiuto non vi sarebbero riserve circa la possibilità per l’utilizzatore di agire
oltre che le posizioni di credito, anche quelle passive) costituitasi in capo al mandatario in virtù del contratto concluso con il terzo, sottolinea come nell’ottica non più del rapporto interno, ma in quella del terzo contraente, venga a configurarsi una fattispecie di cessione del contratto senza il consenso del contraente ceduto, in evidente spregio al disposto dell’art. 1406 c.c.
172 Sul punto si veda per tutti X.XXXXXXXX, Il mandato, cit., p. 81 ss. secondo cui il nostro ordinamento “non riconnette rilevanza, in via di principio, alla circostanza che il mandante abbia potuto o voluto rimanere occulto agli occhi del terzo (contraente) o invece si sia appalesato a costui, dato che in entrambi i casi la mancata spendita del nome del mandante stesso preclude il verificarsi degli effetti caratteristici della rappresentanza, ossia l’instaurarsi di un rapporto contrattuale diretto tra mandante e terzo – come conferma esplicitamente l’art. 1705, 2° comma, primo inciso”. In, giurisprudenza si segnala Cass. 28 maggio 1977, n. 2202, in Foro. it. 1977, I, p. 2701.
173 Cass., Sez. III, ord., 4 agosto 0000, x. 00000; significativa sul punto la ricostruzione che dell’operazione propone Xxxx. 26 gennaio 2000, n. 854, a mente della quale: “la locazione finanziaria dà luogo ad un'operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall'affare; ciascun contraente assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga nei confronti del concedente a trasferirgli la proprietà e nei confronti dell'utilizzatore a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento all'utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento ottenuto.
direttamente verso l’obbligato per il suo adempimento, e ciò a prescindere da una espressa pattuizione intervenuta in tal senso con il concedente174.
Non può fare difetto neanche il rilievo che tale rapporto di obbligazione viene solitamente fatto intercorrere tra fornitore e concedente, parti del contratto da cui esso nasce. Tale lettura, tuttavia, sembrerebbe spiegarsi più per una certa riluttanza ad ammettere la possibilità che si instauri tra una delle parti ed un terzo un rapporto obbligatorio avente fonte nel contratto - fuori dai casi tipici di stipulazione a favore di terzi (dunque un’esigenza di rispetto del principio di relatività del contratto) - piuttosto che come un corollario logico dipendente dal particolare assetto di interessi sotteso sia al singolo contratto che all’intera operazione.
Un attento esame sottolinea tuttavia come titolare dell’interesse primario al conseguimento della disponibilità materiale del bene sia l’utilizzatore, il quale individuerà il bene e il venditore con cui converrà tempi e modi di consegna. Ma una volta conclusi i contratti, paradossalmente, lo stesso utilizzatore perderà, sul piano delle posizioni giuridiche formali, il diritto alla consegna non solo in confronto del fornitore, ma anche del concedente, che riverserà su di lui il rischio della mancata traditio175.
In altri termini, l’interesse fondamentale dell’utilizzatore alla disponibilità materiale del bene verrebbe a perdere, almeno nella fase iniziale del “conseguimento”, la sua consistenza giuridica, giacché tale pretesa non sembrerebbe potersi affermare né verso il concedente, né verso fornitore, almeno fino a che non abbia luogo l’inadempimento di quest’ultimo.
Ancora, se per ossequio ad un’esigenza di completezza si volesse porre l’accento sulla possibile eccezione al principio di relatività del contratto, si potrebbe replicare che tale principio va letto non nel senso dell’impossibilità che il contratto produca effetti nei confronti dei terzi, bensì nell’ottica che con il contratto non si disponga dei loro interessi in modo tale che le situazioni effettuali scaturenti dall’atto vadano ad incidere sulle loro sfere giuridiche in maniera negativa176.
174 La tesi sembrerebbe trovare ulteriore conferma nell’ormai indiscussa assenza di alcun interesse del concedente al bene di cui acquista la proprietà, infatti questi pur rimanendone proprietario per tutta la durata dell’operazione, non intrattiene alcun rapporto materiale con lo stesso, né risponde della mancata o ritardata consegna da parte del fornitore, per vizi e per difetti, per il perimento anche fortuito. Così X. XXXXXX, Leasing, voce in Enc. dir., Agg. VI, Milano, 2002. Per un’obbligazione in capo al concedente caratterizzantesi per la peculiarità del contenuto “che non include la dazione materiale della cosa”, e che si distingue “sia in ragione della mancanza di detenzione da parte dello stesso concedente sia della scelta del bene e del venditore da parte dell’utilizzatore, si veda X. XX XXXX, voce Leasing, in Dig. disc. priv. Sez. civ., X, Torino, 1993, per il quale il concedente “non assume un obbligo di consegna”, unico obbligo cui sarà tenuto è quello di “pattuire con il fornitore (venditore) che il bene verrà da questi consegnato all’utilizzatore nei tempi e con le modalità stabilite tra il fornitore e l’utilizzatore”. Nel caso poi di inadempimento del fornitore, l’utilizzatore dovrà essere posto nella condizione di reagire nei confronti di questo per la mancata consegna, almeno se si vuole fare salva la validità delle clausole di esonero da responsabilità del concedente per il mancato conseguimento da parte dell’utilizzatore del godimento del bene.
175Si vedano a proposito X. XXXXXXX, Operazioni economiche e collegamento negoziale, cit., 343; X. XXXXXXXX, I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 340.
176 Sull’argomento un significativo contributo è fornito da X. XXXXXXXX, Il mutuo dissenso, II ed., Milano, 2015, p. 158, il quale, interpretando il principio di relatività nell’ottica dell’effetto eliminativo del contrarius consensus, afferma
Situazione ed esigenze diametralmente opposte si presentano all’interprete nel caso del leasing. Qui è il terzo utilizzatore ad avere un interesse pienamente concorde a che il contratto, di cui non è parte, determini il costituirsi sul proprio capo di una situazione giuridica attiva che non solo sia conforme al suo interesse, ma che a questo dia giuridica consistenza, integrando un diritto verso il fornitore avente ad oggetto la consegna del bene di cui vuole poter godere177.
Da tali considerazioni pare chiara la opportunità di fare ricorso alla figura del collegamento negoziale, approfondendo quale sia la portata delle conseguenze legate al coordinamento di più contratti finalizzati alla realizzazione di interessi eterogenei convergenti in un unico regolamento unitario e complesso.
7. La tutela dell'utilizzatore nell'ambito del collegamento negoziale.
Nell'ambito del collegamento negoziale, e concentrando l'attenzione sulla posizione dell'utilizzatore, qualche cenno meritano le sentenze pronunciate a favore della legittimazione dell’utilizzatore all’azione di risoluzione del contratto di fornitura. Sebbene alla loro base vi sia un bilanciamento degli interessi suoi e del concedente operato non sul piano sostanziale ma su quello processuale178.
In queste pronunce, il giudice di legittimità - una volta preso atto della interdipendenza dei vincoli obbligatori che sorgono tra le parti dell’operazione e della centralità che nell’economia del contratto assume la prestazione del fornitore179 - ipotizzando l’instaurazione di un giudizio su azione di
che quale manifestazione del principio di relatività del contratto e di intangibilità delle sfere giuridiche “la relatività dell’effetto eliminativo va intesa in quella dimensione con cui i principi operano effettivamente nell’ordinamento positivo [in questo caso il principio di relatività], e quindi, non nel senso di una inidoneità tecnica del negozio eliminativo a produrre il proprio effetto e a spiegare la propria rilevanza giuridica per soggetti diversi dai suoi autori, bensì quello assai più limitato di una impossibilità per questo negozio di pregiudicare la sfera giuridica dei terzi solo quando in concreto non risulti conforme alle regole che ripartiscono la competenza dispositiva dei privati”.
177 Sarebbe sempre in un’ottica “miope” scorgere in tali ipotesi una fattispecie di stipulazione a favore di terzo ex art. 1411 ss. c.c., accedente al contratto di fornitura, nella quale il concedente (stipulante) e il fornitore (promittente) attribuiscono all’utilizzatore (terzo beneficiario) il diritto ad ottenere da parte del promittente la consegna del bene oggetto del contratto. Xxxxxxx finirebbe per farsi dipendere dalla volontà del concedente e del fornitore il costituirsi in capo al terzo di un diritto alla consegna finalizzato al soddisfacimento di un interesse la cui esistenza costituisce antecedente e presupposto logico necessario, nonché ragione ultima, della stipulazione con la quale venditore e acquirente darebbero veste giuridica a tale interesse.
178 Cass. 26 gennaio 2000, n. 854; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125, in Giust. civ. Mass. 2004, 3, anche in quest’ultima sentenza (nella quale si discuteva della legittimazione dell’utilizzatore all’esperimento dell’azione di riduzione del prezzo) – così come nella prima - viene richiamato il principio di diritto già affermato dalla stessa Corte in altre pronunce, a mente del quale “ nell’operazione di leasing finanziario il collegamento negoziale tra contratto di fornitura e contratto di leasing costituisce un sufficiente presupposto per legittimare l’utilizzatore (sulla base delle clausole di trasferimento) ad esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura, ciò anche avuto riguardo all’art. 1705, comma 2, c.c. che attribuisce al mandante (cui è da assimilare la figura dell’utilizzatore) la legittimazione ad agire direttamente contro il terzo”.
179 Prestazione che oltre ad essere preordinata a soddisfare l’interesse di entrambe le parti - si legge in motivazione di Xxxx. 12 marzo 2004, n. 5125, in Giust. civ. Mass. 2004, 3 - “serve a definire la misura della prestazione da ciascuna parte
risoluzione esperita dall’utilizzatore, rileva come “la risoluzione del rapporto, ottenuta autonomamente dall’utilizzatore il quale realizza la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno, pregiudicherebbe la condizione del concedente, il quale, oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene, rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno, con la cessazione del godimento del bene, la causa della contrapposta obbligazione dell’utilizzatore di pagare i canoni”180.
In altri termini, il supremo collegio, facendosi carico del pregiudizio che potrebbe soffrire il concedente dalla risoluzione del contratto di fornitura di cui è parte, ammette l’utilizzatore a tutte le azioni inerenti al contratto di fornitura a cui ha interesse (risoluzione per inadempimento, azione di riduzione del prezzo), configurando, al contempo, una fattispecie di litisconsorzio necessario ex art. 105 c.p.c.
L’essere litisconsorte necessario permette al concedente di partecipare al giudizio in tutela delle proprie ragioni, e preclude all’utilizzatore di agire in giudizio autonomamente, giacché la decisione della causa “per gli effetti che essa è inevitabilmente destinata a produrre sia nel rapporto tra fornitore e concedente, sia nel rapporto incrociato e logicamente dipendente tra concedente ed utilizzatore, sarebbe inutiliter data senza la partecipazione al giudizio del concedente”181.
La soluzione, benché capace di accordare maggiore spazio alla tutela e al bilanciamento degli interessi facenti capo a tutti i soggetti coinvolti nell’operazione in sede processuale, non sembra capace di dirimere le questioni sostanziali legate alla spettanza e alla ripartizione dei diritti e dei rapporti intercorrenti tra le parti dell’operazione, tant’è che si è sottolineato come la tutela accordata dalla configurazione di un'ipotesi di litisconsorzio necessario opera a valle, nel processo. e non a monte, sul contratto”182.
D'obbligo, giunti a questo punto, è affrontare la questione sul piano sostanziale, sul piano degli interessi dei contraenti così come composti ricorrendo al collegamento tra contratti.
In merito, non può passare sotto silenzio l'intervento delle Sezioni unite con la pronuncia n. 19785/2015, emessa al fine di stabilire se la legittimazione ad agire dell’utilizzatore per la risoluzione della compravendita intervenuta tra fornitore e finanziatore/concedente, possa intendersi quale effetto naturale del leasing finanziario o se, invece, possa essere riconosciuta in
dovuta, rispettivamente, a titolo di prezzo (per il concedente) o di godimento (per l’utilizzatore) del bene oggetto del leasing”.
180 Così Cass. 12 marzo 2004, n. 5125, cit.
181 Cass. 12 marzo 2004, n. 5125, cit.
182 Cass., Sez. III, ord., 4 agosto 2014, n. 17597. L’inidoneità della tesi emerge ancora più netta laddove concentrandosi sull’intero corpo motivazionale delle sentenze richiamate (Xxxx. 26 gennaio 2000, n. 854; Cass. 12 marzo 2004, n. 5125, cit.) venga fatto di sottolineare come il giudice di legittimità oscilli su posizioni ricostruttive tendenti, ad un tempo, a parlare di un contratto di leasing trilaterale, e ad un altro tempo, di operazione economica caratterizzata si dal collegamento, ma nella quale ciascuna delle parti, “consapevole di concludere un accordo con tutti gli interessati all’affare, assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti”.
capo all’utilizzatore solo in presenza di una specifica clausola contrattuale, con la quale venga trasferita la posizione sostanziale del concedente all’utilizzatore183.
Senza poter ripercorrere i vari passi della motivazione, le Sezioni unite sono giunte ad ammettere la legittimazione dell'utilizzatore ad agire per l'adempimento del fornitore e per il risarcimento del danno, escludendo invece la possibilità di agire per la risoluzione del contratto di fornitura, poiché l’effetto tipico del collegamento contrattuale, cioè l’interferenza delle vicende negoziali, si configurerebbe in ordine all’azione di inadempimento e di risarcimento, esperite dall’utilizzatore nei confronti del fornitore; verrebbe meno, invece, con riferimento alla risoluzione del contratto di compravendita ad opera dell’utilizzatore, per il peculiare atteggiarsi della relazione tra i due negozi, che non può ricondursi al fenomeno del collegamento “tecnico”.
Secondo le Sezioni unite, infatti, se è possibile riconoscere l’esistenza di un nesso oggettivo (economico e teleologico) che lega le due fattispecie negoziali, non può individuarsi il c.d. nesso soggettivo, ovvero l’intenzione delle parti, coinvolte nella vicenda contrattuale della locazione finanziaria, di collegare i due negozi in uno scopo comune, con la correlativa esclusione della ordinaria conseguenza che scaturisce dalla interdipendenza reciproca o bilaterale dei rapporti negoziali collegati, nel senso che le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro e viceversa, condizionandone la validità e l’efficacia. I due contratti, pertanto resterebbero autonomi sotto il profilo causale
È agevole rilevare la contraddittorietà del ragionamento: si assiste ad una trasmissibilità delle vicende negoziali, per quanto concerne l’azione di inadempimento e di risarcimento, le quali sono pacificamente ammesse; la risoluzione, invece, non viene riconosciuta ammissibile, in quanto l’effetto tipico della comunicabilità delle vicende contrattuali non può prodursi, in difetto di un collegamento in senso tecnico tra compravendita e leasing.
E, allora, come giustificare la legittimazione ad agire dell’utilizzatore in caso di inadempimento del fornitore? A ben vedere la Corte non chiarisce la natura del nesso che intercorre tra i due contratti184.
183Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785, cit., la pronuncia in commento scaturisce dall’ordinanza di rimessione n. 17597 del 4 agosto 2014, con cui la terza sezione del Supremo Collegio ha ritenuto la questione relativa alle azioni direttamente proponibili dall’utilizzatore del bene concesso in leasing nei confronti del venditore di tale bene di massima importanza e bisognosa di un intervento chiarificatore sistematico, soprattutto a seguito dell’incidenza spiegata sull’argomento dalla pronuncia n. 24772 del 2008 (in Notariato, 2009, 1, 12; in Corr. giur., 2009, 5, 699) con cui le Sezioni Unite avevano recentemente preso posizione sulla portata ed, in particolare, sul carattere eccezionale della norma di cui al comma 2 dell’art. 1705 c.c.
184In verità, le Sezioni unite mettono in discussione la natura giuridica del leasing finanziario negando il collegamento tra compravendita e finanziamento, ma non giungono ad una soluzione chiara sulla definizione del nesso tra le due fattispecie. Nella decisione stessa, il Supremo Xxxxxx offre anche una soluzione al problema della tutela dell’utilizzatore nei confronti del fornitore, prospettando una tutela “mediata” dal concedente. Più precisamente, la Corte di legittimità distingue due ipotesi: che i vizi siano immediatamente riconoscibili dall’utilizzatore; che si manifestino successivamente alla consegna, tenendo soprattutto conto che il canone di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti (art.
Pare pertanto più conforme alla realtà del fenomeno indagato quel consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale che ravvisa nell'operazione di leasing un collegamento in senso tecnico, dove, all'elemento obiettivo, che sul piano economico si sviluppa nei termini dell'interdipendenza teleologica tra i due contratti, fa riscontro l'elemento soggettivo, rappresentato dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista funzionale185.
D'altra parte, la considerazione fatta dalle Sezioni unite per rimarcare la “debolezza” della connessione tra compravendita e leasing, secondo cui sarebbe proprio la fisiologica evoluzione dell’operazione a vedere il fornitore, una volta consegnato il prodotto all’utilizzatore, uscire di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell’altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore, pare smentita da numerosi indici: alcuni dei quali riportati in precedenza, altri meritevoli di ulteriore sviluppo.
È il caso del dato normativo che certo non sembra avvalorare la c.d. “uscita di scena” del fornitore, e che nell'ottica della nostra indagine fornisce un importante contributo alla definizione delle varie posizioni contrattuali ricorrenti nel leasing.
Ci si richiama, in particolare, all'art. 125 quinquies, comma 3, D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 che, in materia di azioni dell’utilizzatore nell’ambito dei contratti di credito collegati rispetto
1375 c.c.). In questo caso, i giudici ritengono che sussista “l’obbligo dell’utilizzatore di informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante”, così come v’è “l’obbligo a carico del concedente di solidarietà e di protezione verso l’utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi”. Il primo caso deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicché il concedente, una volta informato del fatto che l’utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all’uso, ha rifiutato la consegna, ha l’obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell’inadempimento, l’azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing. Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell’utilizzatore. Il secondo caso - quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l’accettazione verbalizzata da parte dell’utilizzatore - sicuramente consente all’utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Ma, anche in questo caso, “laddove ne ricorrano i presupposti, il concedente, informato dall’utilizzatore dell’emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione”.
185Riconoscono nell’operazione di leasing finanziario un collegamento in senso tecnico fra i contratti di vendita e di leasing in senso stretto R. CLARIZIA, I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., 282 ss.; X. XXXXXXXX, I contratti tipici ed atipici, cit., 374 ss.; X. XXXXXx, Il leasing finanziario nella teoria dei crediti di scopo, cit., 23; X. XXXXX, Il credito al consumo: dal fenomeno socio-economico alla fattispecie contrattuale, Padova, 2017; X. XXXXX, La rilevanza del collegamento contrattuale nel credito al consumo, in Contr. Impr., 2010, p. 25; C.A. PUPPO, Credito al consumo e collegamento negoziale, in Giur. It., 2009; X. XXXXX, Leasing, collegamento negoziale ed azione diretta dell’utilizzatore, cit., 3083 ss.; ID, La qualificazione del leasing fra contratto plurilaterale ed “operazione giuridica”, cit., 1157 ss. Per la non sussistenza di un collegamento in senso tecnico, invece, cfr. G. DE NOVA, Il contratto di leasing, cit., 34. In giurisprudenza per il riconoscimento di un collegamento volontario funzionale nella locazione finanziaria, si vedano Cass. 27 luglio 2006, n. 17145, cit.; Cass. 25 maggio 2004, n. 10032, cit.; Cass. 5 agosto 2002, n.
11719, cit.; Cass. 24 luglio 2000, n. 9665, cit.; Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 30 giugno 1998, n. 6412, in
Foro it., 1998, I, 3083; Cass. 11 luglio 1995, n. 7595, in Vita not., 1995, 1372; in precedenza avevano, invece, escluso
l’esistenza del collegamento fra i due contratti, Cass. 13 dicembre 1989, n. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574, in Giur.
it., 1990, I, 380.
alla locazione finanziaria, stabilisce che “in caso di locazione finanziaria (leasing) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni e dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al finanziatore determina la sospensione del pagamento dei canoni. La risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria”186.
La disposizione – almeno per quanto attiene alle fattispecie di leasing dove l’utilizzatore è soggetto inquadrabile nella categoria normativa del consumatore – non sembrerebbe lasciare spazi di manovra utili a prefigurare uno svincolarsi del fornitore una volta adempiuto l'obbligo di consegna del bene.
Inoltre, per quanto attiene alla posizione dell'utilizzatore, non pare lasci margini nemmeno ad una sua possibile legittimazione all'azione di risoluzione del contratto di fornitura. Nell’ipotesi di inadempimento del fornitore, l’utilizzatore-consumatore sarà gravato dall’onere di costituire in mora il primo, e solo poi, quando la costituzione in mora sarà risultata infruttuosa, potrà chiedere al concedente-finanziatore di agire per la risoluzione del contratto187.
La norma, dunque, sembra escludere la legittimazione in capo all’utilizzatore di agire per la risoluzione del contratto di fornitura, e ciò in ragione del preciso scopo che viene attribuito alla richiesta rivolta al finanziatore di agire in risoluzione: liberare, sospensivamente, il richiedente (utilizzatore) dall’obbligazione assunta nei confronti del concedente, avente ad oggetto il pagamento dei canoni pattuiti nel contratto di leasing come corrispettivo per il godimento del bene. L’interesse immediato dell’utilizzatore, così come è fotografato dalla disposizione, è quello di venire temporaneamente sospeso da tale obbligo, almeno fino a quando non verrà definitivamente risolto il contratto di fornitura188.
186 Si riporta qui per un’esigenza di completezza il testo della norma sopra citata. Art. 125 quinquies, comma 3°, d.lgs 385/1993: In caso di locazione finanziaria (leasing) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni e dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni. La risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria. Si applica il comma 2. Articolo così sostituito ad opera dell’art.1, d. lgs 13 agosto 2010, n. 141, così come modificato ad opera del dell’art. 1, d.lgs. 14 dicembre 2010, n. 218 e, successivamente, ad opera del d.lgs. 19 settembre 2012, n. 169. Si veda sul punto T. XXXX, Il leasing «al consumo», in Nuove leggi civ. Comm., 2013, p. 851.
187La valorizzazione del principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c. nell’esecuzione del contratto di leasing ai fini di una giusta composizione del quadro delle tutele dell’utilizzatore di fronte all’inadempimento del fornitore, con particolare riguardo all’esistenza di un dovere giuridico in capo al concedente di promuovere contro il venditore le azioni contrattuali per cui l’utilizzatore non sarebbe direttamente legittimato, è stata sostenuta in dottrina da X. XXXXXXXX, I contratti per il finanziamento dell’impresa. Mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., 287 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Note in tema di tutela dell’utilizzatore rispetto ai vizi originari del bene nel leasing finanziario, cit., 629 ss..; X. XXXXXXXX, Perpetuum mobile, il leasing e la tutela indiretta dell'utilizzatore, in Giur. it., 1999, c. 1152; X. XXXXXXXXX, Leasing finanziario: la Cassazione apre le porte della tutela dichiarativa all’utilizzatore, cit., 739. In giurisprudenza, in merito, cfr., Cass. 3 aprile 1997, n. 2885, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, II, 129; Cass. 2 novembre 1998, n. 10926, cit.; Cass. 6 giugno 2002,
n. 8222, in Danno e resp., 2002, 941.
188 Evento che per disposizione di legge determinerà “la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria” e, dunque, la liberazione dagli obblighi assunti con il contratto di credito, nonché il diritto ad
In altri termini, il risultato finale avuto di mira dall’utilizzatore che chiede al concedente di agire per la risoluzione del contratto di fornitura, non è quello di ottenere la risoluzione di detto contratto, e dunque, l’eliminazione del rapporto contrattuale che lega il concedente al fornitore, quanto la sospensione dell’obbligo principale assunto con il contratto di locazione finanziaria, e poi, in un secondo momento, la risoluzione di diritto dello stesso contratto, con tutti i corollari che a ciò faranno seguito.
Tale soluzione, perfettamente compatibile con le esigenze di tutela del soggetto dotato di minore forza contrattuale (in questo caso l’utilizzatore consumatore), predispone un meccanismo che, se da un lato è effettivamente ispirato ad assicurare piena protezione agli interessi dell’utilizzatore, dall’altro lato evita di travalicare il campo delle azioni contrattuali spettanti ai soli soggetti titolari del rapporto.
Peraltro, viene da sottolineare come i risultati cui da luogo l’operare di tale congegno sono in estrema sintesi gli stessi, o almeno si avvicinano molto, a quelli cui darebbe luogo il riconoscimento in capo all’utilizzatore della legittimazione attiva all’azione di risoluzione. Difatti, l’interesse che verrebbe a giustificare tale conclusione sarebbe, ancora una volta, non quello di ottenere la mera risoluzione del rapporto di fornitura, quanto la possibilità di far valere la caducazione di tale rapporto al fine di liberarsi dai pesi che dipendono dal perdurare del rapporto di locazione finanziaria. Il quale, come si è detto, rinviene la sua ragion d’essere nell’idoneità del contratto cui si collega a realizzare la funzione di fare conseguire al concedente la proprietà del bene e all’utilizzatore la disponibilità materiale del medesimo.
Posta la questione in questi termini, un dubbio sembra ancora resistere a quanto finora detto riguardo la posizione dell’utilizzatore: quid iuris nell’ipotesi in cui il finanziatore non agisca per la risoluzione del contratto di fornitura a seguito della richiesta fattagli a norma dell’art 125 quinquies, comma 3, dall'utilizzatore?
In caso di inerzia del finanziatore, ritualmente richiesto per agire in risoluzione del contratto di fornitura, dovrà accordarsi all’utilizzatore-richiedente l’azione per ottenere in giudizio la risoluzione del contratto di leasing, a causa dell’inadempimento degli obblighi che a norma di legge gravano sul concedente.
La normativa dettata in materia sembrerebbe permettere così il superamento del problema della mancanza di un inadempimento imputabile al concedente, che costituisca presupposto legittimante l'esercizio dell'azione di risoluzione del contratto intercorrente tra utilizzatore e concedente. È da questo contratto, infatti, che derivano all’utilizzatore i veri carichi economici e giuridici dai quali
ottenere dal finanziatore la restituzione delle rate già pagate e di “ogni altro onere eventualmente applicato” (art. 125, comma 2, d. lgs 385/1993).
intende liberarsi, mentre dal contratto di compravendita di cui sono parti concedente e fornitore - come si è avuto modo di vedere – non gli può derivare altro che un diritto ad ottenere la consegna del bene da parte del fornitore.
Si capisce così la discussione in ordine alla configurabilità o meno in capo all’utilizzatore di una legittimazione alla risoluzione del contratto di compravendita, visto che, in assenza della norma in esame, la risoluzione del contratto di fornitura veniva a porsi come passaggio obbligato per poter poi ottenere la caducazione del rapporto di cui era parte il concedente, causa il sopravvenire della sua inidoneità a realizzare l’assetto di interessi complessivo sotteso all’intera operazione economica di leasing.
Queste conclusioni sembrano avvalorate anche nelle ipotesi in cui non è applicabile la normativa richiamata. E una conferma sembrerebbe cogliersi proprio nella soluzione della “tutela mediata” proposta sempre dalle Sezioni unite al problema della tutela dell’utilizzatore nei confronti del fornitore.
La Corte di legittimità distingue due ipotesi: 1) che i vizi siano immediatamente riconoscibili dall’utilizzatore; 2) che i vizi si manifestino successivamente alla consegna.
Il primo caso deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicché il concedente, una volta informato del fatto che l'utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all’uso, ha rifiutato la consegna, ha l’obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell’inadempimento, l’azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing. Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell’utilizzatore.
Nel secondo caso è certo consentito all’utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Ma, anche in questo caso, “laddove ne ricorrano i presupposti, il concedente, informato dall’utilizzatore dell’emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione”.
A ben vedere, ancorché non direttamente esperibile dall’utilizzatore, la risoluzione del contratto di compravendita può avere luogo ad opera del concedente quando vi sia l’esigenza di tutelare l’utilizzatore. La Corte, valorizzando il canone di integrazione della buona fede ex art. 1375 c.c., impone al concedente un comportamento ispirato alla solidarietà e alla protezione delle ragioni dell’utilizzatore, che, pertanto riceverà una tutela, nei confronti del fornitore, “mediata” dal
concedente. E per quest’ultimo, l’agire per la risoluzione del contratto di compravendita, nell’interesse dell’utilizzatore, non è una facoltà ma, specifica la Corte, un dovere giuridico.
CAPITOLO TERZO
Sommario: 1. Configurazione giuridica dell'acquisto compiuto separatamente da uno dei coniugi ex art. 177, lett. a), c.c. - 2. Il coniuge non contraente a mezza via tra la qualità di parte e quella di terzo. Perché non è parte. - 3. (segue) Perché non è terzo … e tanto meno avente causa. - 4. Azioni e tutele attivabili dal coniuge non contraente nell'ambito del rapporto contrattuale. - 5. Il coniuge non agente quale possibile beneficiario di una stipulazione a favore di terzo. -
6. Il rifiuto del coacquisto e la posizione del coniuge non agente quale destinatario di un effetto non voluto. - 7. Un'ipotesi emblematica: la posizione del coniuge non agente nell'ambito del contratto preliminare concluso all'altro coniuge.
1. Configurazione giuridica dell'acquisto compiuto separatamente da uno dei coniugi ex art. 177, lett. a), c.c.
Da una situazione nella quale su un soggetto, parte dell’operazione economica, sembrano convergere posizioni caratterizzantesi sia per un dato di terzietà che per un dato di partecipazione, in questa sede l’attenzione va verso una situazione che potrebbe dirsi opposta, in quanto essa, almeno apparentemente, non si caratterizza né per la terzietà né per la partecipazione.
Ci si riferisce agli acquisti compiuti separatamente da uno dei coniugi quando il regime che regge i rapporti patrimoniali della famiglia è quello della comunione legale di cui agli artt. 177 ss., c.c189.
Prima di entrare nel merito del discorso e definire i contorni della problematica oggetto di esame, sia dato riportare un breve e illuminante passo di Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, secondo cui “nel caso di acquisto compiuto “separatamente” da uno solo dei coniugi, l’altro non può considerarsi né “terzo” rispetto all’atto di acquisto – onde l’opponibilità senza limiti nei suoi confronti, di eventuali simulazioni, cause di nullità o annullabilità, risoluzione, recesso, ecc. – né «parte» del contratto, del quale non è neppure «beneficiario» in via negoziale (contratto «a favore del terzo»)”190.
189 Per una più attenta analisi dei rapporti patrimoniali all’interno della copia di fatto, si veda X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali tra conviventi, in X. Xxxxx (a cura di), Le relazioni affettive non matrimoniali, Torino, 2014, p. 263 ss.
190 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Xxxx, Oppo e Xxxxxxxxx, III, 1992, p. 92.
Viene da chiedersi, dunque, in che situazione si trovi il soggetto di cui parla l’Autore, dal momento che - aderendo ad una concezione della dicotomia parte-terzo capace di esaurire, almeno sul piano dei termini, tutte le possibili posizioni soggettive di relazione alla fattispecie negoziale - qualsiasi soggetto dovrebbe essere qualificabile, nell'ottica del contratto, in termini di parte o di terzo, sempre stando ferma la flessibilità dei confini che delimitano le due nozioni.
La questione e soprattutto la sua soluzione, lungi dall’assumere una rilevanza meramente legico-formale, si legano a problemi di assoluto rilievo pratico, quali l’esperimento delle azioni che riguardano il negozio da cui dipende l’acquisto, la possibilità di respingere gli effetti provenienti da un atto di cui non si è parte, l’opponibilità o meno al coniuge non contraente delle vicende patologiche che colpiscono il negozio (nullità, annullabilità, recesso, risoluzione etc.), nonché la posizione processuale di quest’ultimo nell’ambito dei giudizi promossi dall’altro coniuge o dal terzo e riguardanti la fattispecie da cui il coniuge non agente deriva il suo diritto.
La complessità della questione viene poi accresciuta dai dibattiti in ordine all’operare del meccanismo effettuale decritto dall’art. 177, lett. a) c.c., in virtù del quale, gli acquisti compiuti separatamente da uno dei due coniugi ricadono nel patrimonio comune, beneficiando così anche il coniuge che non ha preso parte alla fattispecie negoziale da cui deriva l’acquisto.
Logicamente preliminare all’esame della questione della posizione negoziale del coniuge non contraente si rivela la ricognizione di alcune delle più accreditate proposte ricostruttive avanzate dalla dottrina circa la natura del regime di comunione legale.
La prima di queste prende le mosse da una precisa concezione della comunione legale, cui viene riconosciuta soggettività distinta e autonoma rispetto a quelle dei coniugi.
La comunione, secondo questa opinione, si configura come soggetto di diritto avente una propria identità giuridica, che le consente di distinguersi dai coniugi che ne costituiscono gli organi, sebbene detto ente soggettivo non sia annoverabile né tra le persone fisiche, né tra le persone giuridiche191. Un ente, dunque, su cui convergono gli interessi economici della compagine familiare; uno strumento volto a consentire, tra i coniugi, l’unità dell’indirizzo economico- patrimoniale nonché la promozione del benessere materiale della famiglia192.
000 X. XX XXXXX, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano 1995, p. 249 ss.
000 X. XX XXXXX, Xx diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, cit., p. 246 ss., secondo cui la comunione legale costituirebbe, “in virtù del trattamento giuridico speciale e differenziato per essa predisposto dalla legge in ordine ad una serie predeterminata di interessi collettivi, una figura associativa che funge da centro autonomo di produzione di fattispecie (atti giuridici) di diritto comune (per il tramite della attività esercitata in comune dai coniugi) e di imputazione delle relative situazioni giuridiche soggettive (gli acquisti compiuti insieme o separatamente dai coniugi e le aziende gestite da entrambi i coniugi, nella loro posizione funzionale di soggetti investiti della cura dei relativi interessi di gruppo)”. Ne risulterebbe, dunque, una nozione di comunione legale quale “centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche, attive e passive, non riferibili direttamente ai singoli coniugi e, quindi, quale autonomo soggetto di diritto che, pur prescindendo dal riconoscimento della personalità giuridica, emerge come produttore di una serie di fattispecie giuridiche con rilievo reale (cioè rilevanti per la generalità dei terzi) e con carattere metaindividuale (cioè non individuali, in quanto riferite ad zona precostituita di interessi collettivi o di gruppo). Per la critica di tale teoria, si veda, per tutti, G.
Corollario di siffatte premesse - rilevante in questa sede - è che i coniugi, sia nei casi in cui acquistano “congiuntamente”, sia nei casi in cui acquistano “separatamente”, operano non “in proprio”, ma direttamente per conto della comunione legale, come organi di essa, in virtù di una “competenza dispositiva di secondo grado” che consente loro di agire per il soddisfacimento di un “interesse collettivo di gruppo, non coincidente con quello di stampo prettamente individualistico”193.
Da tale ricostruzione deriva la non configurabilità di una questione proponibile in termini di parte o di terzo nei casi di contratto concluso da uno solo dei coniugi, giacché l’effetto acquisitivo, così come tutti gli altri effetti cui mette capo l’atto, non dovrà ricollegarsi alla sfera del coniuge contraente, o di ambedue i coniugi, quanto direttamente alla comunione legale.
Pertanto, ricorrendo alle declinazioni di parte enucleate all’inizio di questa indagine, potrà dirsi che parte intesa come autore dell’atto saranno tutti e due i coniugi (investiti di competenza rappresentativa della comunione), quando il contratto sarà il frutto del loro agire congiunto, o uno solo di essi, quando lo stesso contratto sarà il frutto di un agire disgiunto.
Parte destinataria degli effetti sarà invece la comunione legale, centro autonomo di produzione di atti giuridici e di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive194.
La tesi non incontra tuttavia i favori della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, critiche verso una comunione con le vesti di soggetto di diritto autonomo e distinto dai coniugi.
Tra gli argomenti a detrazione della soggettività della comunione, si sottolinea innanzitutto il dato normativo: benché le alcune norme facciano spesso impiego di una terminologia “equivoca” (“creditori della comunione” art. 189 c.c., “oggetto e beni della comunione” artt. 177, 179, 180 c.c., etc.), non forniscono indici significativi da cui desumere il riconoscimento della soggettività giuridica
OBERTO, La comunione legale tra coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU e MESSINEO, Milano, 2010, p. 276 ss.
000 X. XX XXXXX, Xx diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, cit., p. 396 ss., ove, nella specie, si legge come nei casi in cui i coniugi, “insieme” o “separatamente”, pongano in essere attività giuridica a vantaggio della comunione utilizzando lo strumento del contratto, come stabilisce l’art. 177, lett. a), c.c., in entrambi i casi “la fattispecie acquisitiva viene prodotta da una unitaria figura soggettiva, operando i coniugi non in proprio (a vantaggio, cioè, del proprio patrimonio personale ed esclusivo), ma direttamente a vantaggio della comunione, quale ens tertium, in virtù di una competenza dispositiva di secondo grado o di una legittimazione rappresentativa conferita direttamente dalla legge, atteso che la posizione dei due coniugi, […], risulta vincolata al soddisfacimento di un interesse collettivo di gruppo, non coincidente con quello di stampo prettamente individualistico di ciascuno dei due coniugi, nella loro veste di soggetti solitari dell’ordinamento”
194 La tesi, oltre al merito di risolvere le questioni che si legano all’essere o meno parte della vicenda negoziale da cui dipende in ultima istanza l’effetto acquisitivo di cui beneficiano entrambi i coniugi, consente anche di superare le difficoltà legate all’operare degli effetti del congegno acquisitivo delineato dall’art. 177, lett a), c.c., infatti, gli effetti dell’atto andranno a prodursi direttamente ex voluntate contrahentium nella sfera giuridica di un unico soggetto giuridico, in virtù dell’operare di uno o di ambedue i coniugi, soggetti investiti di “legittimazione rappresentativa” nei confronti del soggetto-comunione. Non dovrà pertanto ricorrersi alle figure del coacquisto ex lege o del ritrasferimento, facendo così salva la natura negoziale degli effetti che l’atto produce nei confronti del suo destinatario. Così X. XX XXXXX, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, cit., p. 407 ss., ove, ricorrendo alla categoria della rappresentanza organica, la comunione viene investita della qualità di “parte sostanziale del regolamento di interessi predisposto per suo conto ed interesse da colui [o coloro] che ex lege è investito della relativa legittimazione rappresentativa”.
in capo alla comunione, trattandosi di termini che meglio si prestano a descrivere la situazione che si intende disciplinare piuttosto che i soggetti che vi prendono parte195.
Inoltre, se la comunione fosse soggetto di diritto, alla stregua del regime che opera per gli altri enti giuridici collettivi, gli organi della comunione, quando agissero nell’interesse di questa, per far ricadere sulla sua sfera giuridico-patrimoniale gli effetti degli atti compiuti per suo conto nonché per impegnarne la responsabilità, dovrebbero spenderne il nome, dichiarando di agire in nome e per conto di essa196.
Vien da escludere che nelle ipotesi di acquisto ex. art. 177, lett. a), c.c. la mancata menzione del regime patrimoniale di comunione cui sono vincolati i coniugi agenti (congiuntamente o separatamente) impedisca il prodursi dell’effetto acquisitivo a beneficio della comunione come disposto dalla norma197.
Da queste e da ulteriori notazioni, dottrina e giurisprudenza hanno escluso, in maniera pressoché unanime, che di soggetto di diritto si possa parlare con riguardo alla comunione tra conSiupie.rata la tesi della comunione quale soggetto di diritto autonomo, l’alternativa circa la configurazione del meccanismo acquisitivo si pone tra due proposte dottrinali ugualmente autorevoli: 1) la tesi del ritrasferimento (o del doppio trasferimento) pro quota ed ex lege, del diritto acquisito dal coniuge contraente al coniuge non contraente; 2) la tesi del coaquisto recta via, in virtù del quale, anche il coniuge non contraente acquista il diritto direttamente dal terzo, per effetto di deviazione o conversione, sempre ex lege, dell’effetto negoziale.
Sebbene non debba nascondersi una certa gamma di sfumature nell’ambito di ciascuna delle due teorie, in questa sede ci si può ritener paghi quando si riesca a descrivere quelli i tratti principali dell’una e dell’altra ricostruzione.
La tesi del ritrasferimento (o doppio trasferimento) ex lege, pro quota, dal coniuge acquirente al coniuge non acquirente, sembrerebbe poggiare le sue fondamenta più che su argomentazioni
195 Così X. XXXXXXX, Il diritto di famiglia, in Trattato di diritto privato, diretto da XXXXXXX, Torino, 2011, p. 226 ss.;
X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 277 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 79 ss.
196 Sul punto vedi X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 89 ss.; M. COMPORTI, Gli acquisti dei coniugi in regime di comunione legale, in Riv. Not., 1979; X. XXXXXXXX, La comunione legale: problemi e spunti in tema di oggetto e amministrazione, in Bilanci e prospettive del diritto di famiglia a trent’anni dalla riforma, Milano, 2007, p. 174 ss.
197 X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da XXXX e MESSINEO, Milano, 2010, il quale, inoltre, evidenzia come “se lo schema di riferimento fosse quello delle persone giuridiche, il coniuge che contraesse obbligazioni per la comunione senza averne il potere non dovrebbe rimanere obbligato personalmente, come invece stabilito dall’art. 189, primo comma, c.c., ma dovrebbe essere tenuto al risarcimento del danno subito dalla controparte, secondo il meccanismo predisposto dall’art. 1398 c.c.. Sul punto si vedano anche X. XXXXXXX, Il diritto di famiglia, in Trattato di diritto privato, diretto da XXXXXXX, Torino, 2011, p. 227;
X. XXXXXX, Il contratto a danno di terzi e altri saggi, Napoli, 2008, p. 79 ss.; M. DETTI, Oggetto, natura, amministrazione della comunione legale dei coniugi, in Riv. Not., 1976, p. 1190 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 79 ss.
positive, sulla confutazione dei ragionamenti posti alla base della tesi del coacquisto automatico e sulla critica dei suoi corollari.
Il primo rilievo mosso a quest'ultima tesi, infatti, pone in luce come nel nostro ordinamento il trasferimento dei diritti è normalmente frutto dell’operare diretto del contratto che costituisce la causa dell’effetto traslativo, senza la necessità di un distinto atto di esecuzione, pertanto “attribuire gli effetti acquisitivi di un negozio in capo ad un soggetto che di tale negozio non è parte, significherebbe inevitabilmente intervenire sulla struttura del negozio stesso”, con la conseguenza che il coniuge non contraente dev'essere considerato “parte ex lege” dell’atto in questione198.
Non potendosi spiegare il coacquisto automatico senza prefigurare una modificazione ex lege della struttura del titolo di acquisto, l’effetto descritto dall’art. 177, lett. a), c.c. – sempre secondo la stessa dottrina – si spiegherebbe soltanto facendo ricorso all’operare di un “successivo, distinto, ritrasferimento automatico dal coniuge contraente all’altro”199.
Giunti però all’enucleazione di una vicenda traslativa avente come protagonisti coniuge contraente e coniuge non contraente, nonostante la “totale soggiacenza” della posizione del secondo rispetto a quella del primo, viene esclusa, in maniera decisamente rigida, tanto la possibilità che la vicenda in questione possa configurarsi come fattispecie successoria in senso tecnico, quanto la possibilità che il coniuge, la cui situazione giuridica dipende in toto dalla situazione del coniuge acquirente, possa venire inquadrato come avente causa di quest’ultimo (xxxxx causa) nell’ambito della fattispecie traslativa.
Peraltro, sempre secondo i fautori di questa teoria, pur dovendo escludere tanto un’ipotesi di trasferimento diretto dal xxxxx xxxxx causa del coniuge acquirente al coniuge non acquirente, quanto il verificarsi di una vera e propria vicenda successoria, non si può dubitare del fatto che una “trasmissione” vi sia, giacché il coniuge coacquirente ex lege “in tanto potrà conseguire la propria posizione soggettiva, in quanto essa sia stata validamente trasferita dal terzo al coniuge agente”200. Da qui il naturale operare del principio per cui nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet.
198 Così X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 719 ss., il quale, oltre che rimarcare “l’assurdità” che per solo effetto di legge possa considerarsi parte di un negozio anche chi nell’ambito dello stesso non ha manifestato alcuna volontà a riguardo, sottolinea come dal considerare parte del contratto anche il coniuge non contraente, ne conseguirebbe, sul piano processuale, “una legittimazione del coniuge parte ex lege, non solo passiva, ma anche attiva, in ordine alle possibili azioni legate al contratto”. Ciò non bastante, sempre dalla stessa tesi, stavolta sul piano sostanziale, ne deriverebbe la parificazione del coniuge non contraente all’acquirente quale soggetto obbligato (coobbligato solidale ex art. 1294) al pagamento del prezzo, così come a tutte le obbligazioni gravanti sul coniuge agente quale parte contrattuale.
199 X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 720.
200 X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 721.
Ora, dal configurarsi di una fattispecie di ritrasferimento automatico pro quota dal coniuge acquirente al coniuge coacquirente ex lege201, vengono fatti conseguire due corollari: 1) il coniuge non contraente non può in alcun modo definirsi parte del negozio che ha dato causa all’effetto acquisitivo; 2) lo stesso coniuge non può essere in alcun modo, e per nessun effetto, avente causa del coniuge contraente.
Prima di dare fondo all’analisi di siffatti corollari, sia dato riportare gli argomenti che la tesi del coacquisto automatico ex lege adduce a confutazione della tesi testé riportata e, soprattutto, a sostegno del configurarsi di un effetto automatico operante ex lege a favore del coniuge non agente, senza necessità, quindi, di far ricorso ad una vicenda ulteriore e logicamente successiva, quale quella cui darebbe luogo la tesi del ritrasferimento.
Innanzitutto, il dato normativo. La disposizione contenuta all'art. 177, lett. a), c.c., così come formulata, sembrerebbe abbastanza chiara nell’eguagliare gli effetti che si riversano sulla comunione, e su ambedue i coniugi, nelle ipotesi di acquisto congiunto e di acquisto separato, tanto che nell’un caso come nell’altro, l’effetto della caduta del diritto in comunione dovrebbe venire qualificato come un effetto ex lege, “e perciò non a carattere negoziale”202.
In altri termini, tutte le volte in cui l’acquisto del diritto dipende da un negozio, gli effetti che questo produce per volontà del legislatore subiranno una conversione (o deviazione), nel senso che detti effetti non saranno più il risultato del congegno effettuale proprio del negozio quale autoregolamento di interessi privati, ma il risultato di una fattispecie diversa di cui il negozio è un presupposto203. Infatti, da quanto emerge in dottrina, sembrerebbe potersi configurare nelle ipotesi
201 Sembra propendere per la tesi del doppio trasferimento definito come “speciale modo di acquisto (derivato) ex lege” X. XXXX e X. XXXXXXX, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. Dir. civ., 1980, p. 352 ss. Parla di ritrasferimento in termini di “fattispecie diversa e ulteriore rispetto al contratto che ha prodotto l’acquisto” X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 91. Critiche alla tesi del doppio trasferimento provengono da X. XXXXXXXXX e G.M. XXXXXXX, Il regime patrimoniale tra coniugi, 1997, p. 19, ove viene sottolineato come la teoria del ritrasferimento ex lege conduca ad “una disparità di trattamento, della quale non vi è traccia nel dettato normativo, tra il coacquisto in comunione legale dipendente dal contratto e quello ricollegato ad ogni altra fattispecie”.
202 X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 91, il quale, a sostegno della tesi della equiparazione degli effetti, sottolinea come, indipendentemente dall’agire congiunto o separato, l’acquisto “si determinerà necessariamente – a prescindere da qualsiasi diversa volontà degli acquirenti, caso mai indirizzata ad un acquisto a quote diseguali – nel rispetto del principio inderogabile (art. 210 c.c.) della parità delle quote. Inoltre, e soprattutto, “l’acquisto cadrà non già in contitolarità di diritto comune, bensì necessariamente (e quindi, anche qui, indipendentemente e perfino contro qualsiasi diversa dichiarazione dei coniugi) in comunione legale che differisce qualitativamente […] dalla comunione ordinaria”. In questi termini anche X. XXXXXXXX, La comunione legale: problemi e spunti in tema di oggetto e amministrazione, cit.,
p. 174 ss.; X. XXXXXXXXX e X.X XXXXXXX, Il regime patrimoniale tra coniugi, Milano, 1997, p. 18 ss., ove si afferma che anche l’acquisto compiuto da un solo coniuge determini “direttamente la contitolarità del bene in capo al coniuge estraneo all’atto. ciò a seguito di della medesima vicenda acquisitiva, per mezzo di un unico atto di trasferimento del terzo ai singoli coniugi, i quali dovrebbero considerarsi, entrambi, destinatari degli effetti dl negozi”.
203 Parla di “automatica e necessaria conversione degli effetti negoziali dell’atto” X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 92 ss. Di “deviazione ex lege dei normali effetti negoziali”, parlano, invece, X. XXXX e X. XXXXXXX, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. Dir. civ., 1980, p. 352. Sul punto si veda X. XXXX, Acquisti alla comunione coniugale pregiudizio dei creditori personali, in Riv. dir. civ., 1981, p. 143 ss., secondo cui “non è effetto negoziale l’attrazione dell’acquisto in comunione”. Infatti, di negozio – secondo l’Autore – si può parlare con riguardo all’atto di acquisto solo nei rapporti col terzo, mentre di deve parlare di “atto non negoziale in rapporto all’inclusione del
rientranti nell’ambito dell’art. 177, lett. a), c.c., una fattispecie legale complessa, di cui il negozio concluso da uno o da entrambi i coniugi costituisce elemento integrante insieme ad altri elementi: uno fra tutti l’operare tra i coniugi del regime di comunione legale, elemento da cui dipende la deviazione o conversione degli effetti negoziali nel verso voluto dal legislatore204.
Argomento decisivo sempre secondo i fautori del coacquisto automatico ex lege, benché su di esso convergano anche i consensi dei sostenitori della tesi contraria, sarebbe dato dal fatto che nell’ambito di tale fattispecie non troverebbero alcuna possibilità di applicazione le norme e i principi dettati in materia di circolazione dei diritti a tutela dei terzi sub-acquirenti, come ad esempio, le norme in tema di annullamento (art. 1445 c.c.), rescissione (art. 1452 c.c.), risoluzione (art 1458, comma 2, c.c.), simulazione (artt. 1415 e 1417 c.c.), azione revocatoria (2901, comma 2, c.c.) etc..
Tale regime normativo troverebbe la ragione della sua esclusione nel fatto che a fondamento di esso vi sarebbero quelle esigenze di protezione proprie del sistema della circolazione giuridica (improntato ai principi di sicurezza dei traffici e di tutela dell’affidamento) che non sarebbero invece riscontrabili nel caso in esame, proprio perché il regime della comunione legale, relativamente agli acquisti in parola, non sarebbe il frutto di una scelta di autonomia privata, espressa di volta in volta con riguardo alla singola fattispecie acquisitiva, quanto un regime patrimoniale operante a monte di una scelta fatta dai coniugi al momento della sua instaurazione (il più delle volte coincidente con il momento in cui gli stessi hanno contratto tra loro il vincolo matrimoniale)205.
Diversamente, nel caso di un successivo trasferimento logicamente distinto e ulteriore rispetto alla fattispecie acquisitiva (doppio trasferimento o ritrasferimento), il consorte estraneo all’atto di acquisto, potrebbe riguardarsi come un terzo avente causa o sub-acquirente rispetto al negozio che fornisce titolo al suo dante causa (coniuge contraente), con tutto quel che ne conseguirebbe in termini
bene nella comunione coniugale: un altro caso in cui alla stessa fattispecie conseguono effetti diversi, con meccanismi diversi ed eventualmente tra soggetti diversi”.
204 E SPITALI, L’oggetto della comunione legale, in Regime patrimoniale della famiglia, a cura di Xxxxxx e Sesta, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Xxxxx, III, 2012, p. 84 ss., secondo il quale, “quando è compiuto un qualsiasi atto comportante un acquisto (purché non sia tra quelli esclusi dalla comunione attuale), l’ordinamento riconnette e sovrappone a tale evento un effetto ulteriore, non negoziale, modificativo degli effetti normalmente propri dell’atto acquisitivo, nel senso che il diritto, anziché essere attribuito all’agente, viene assegnato ad entrambi i coniugi ed assoggettato alla peculiare disciplina della comunione legale”.
205 Si pone in questi termini la dottrina assolutamente maggioritaria. Si vedano, per tutti, X. XXXXXXX, Il diritto di famiglia, cit., p. 244 ss., secondo cui, pur non essendo il coniuge coacquirente parte del contratto, in virtù dell’essere partecipe degli effetti favorevoli che ne scaturiscono, a questi dovrebbero essere “opponibili tutte le azioni che si fondano sul contratto perché la sua posizione dipende da quella del coniuge stipulante”, ne deriva che egli non potrà “godere della tutela riservata all’avente causa dall’acquirente o comunque ai terzi non coinvolti nella vicenda contrattuale in quanto non è da considerarsi tale”. Cfr. X. XXXX e X. XXXXXXX, La comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in Riv. Dir. civ., 1980, p. 352 ss.; X. XXXXXXXXX e X.X XXXXXXX, Il regime patrimoniale tra coniugi, cit., p. 22 ss.; X. XXXXXXXX, La comunione legale: problemi e spunti in tema di oggetto e amministrazione, cit., p. 174 ss.; X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, cit., p. 732 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Xxxxx xxxxxxxxx xxxxxx, xxx., x. 00;
di applicabilità delle norme a tutela della categoria di terzi sub-acquirenti (artt. 1415, 1445, 1452, 1458, etc.)206.
Peraltro, anche secondo questa tesi, l’inapplicabilità delle regole della circolazione dei beni sarebbe giustificata dal fatto che il coniuge non contraente non può – e verrebbe da dire non è opportuno possa - considerarsi terzo avente causa, in quanto mancanti quelle esigenze di tutela dell'acquisto poste alla base delle norme richiamate.
2. Il coniuge non contraente: a mezza via tra la qualità di parte e quella di terzo. Perché non è parte.
Riportate nei loro tratti essenziali le tesi ricostruttive più accreditate in dottrina, ed evidenziati i punti più significativi nell’ottica dell’indagine intorno alla posizione del coniuge non contraente beneficiario dell’acquisto compiuto dall’altro coniuge, si tratta di vedere in che situazione venga effettivamente a trovarsi quest’ultimo.
Paradossalmente le due teorie di cui si è parlato poco sopra, nonostante la distanza nelle premesse, sembrerebbero giungere, almeno per quel che riguarda la posizione del coniuge non contraente nella fattispecie di cui all’art. 177, lett. a), c.c., a conclusioni sostanzialmente coincidenti.
Se infatti si confrontano le conclusioni cui approdano a riguardo due degli autori più rappresentativi degli opposti orientamenti, si può riscontrare una sostanziale convergenza di opinioni intorno alla negazione al coniuge non contraente sia della qualità di parte del negozio da cui dipende l’effetto acquisitivo, sia della qualità di terzo avente causa rispetto al medesimo negozio207.
Data quest’apparente convergenza, sembra opportuno in questa sede analizzare più nel dettaglio ambedue le opzioni ricostruttive, per vedere, poi, se effettivamente queste tendano a coincidere nonostante le diverse premesse e, soprattutto, se a tali conclusioni rigide nell’escludere non se ne possano preferire delle altre più disponibili ad ammettere.
206 E. SPITALI, L’oggetto della comunione legale, in Regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 84, ss.
207 Se, infatti, sul versante del coacquisto automatico ex lege, X. XXXXXXXXXXX, Della comunione legale, cit., p. 92, afferma – come si è già visto sopra – che “nel caso di acquisto compiuto “separatamente” da uno solo dei coniugi, l’altro non può considerarsi né “terzo” rispetto all’atto di acquisto – onde l’opponibilità senza limiti nei suoi confronti, […], di eventuali simulazioni, cause di nullità o annullabilità, risoluzione, recesso, etc. – né “parte” del contratto, del quale non è neppure “beneficiario” in xxx xxxxxxxxx (xxxxxxxxx “a favore di terzo)”. Sull’altro versante, “riconosciuta la presenza di un ritrasferimento automatico della quota dal coniuge agente al relativo coniuge” (X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da CICU e MESSINEO, Milano, 2010, p. 727) se ne fanno discendere, addirittura, “due principi: a) il coniuge contraente non può essere considerato ad alcun effetto “parte” del negozio che ha dato origine all’acquisto; b) il coniuge non contraente non può essere considerato ad alcun effetto “terzo avente causa” del coniuge agente”.