PRODUTTIVITÀ, SALARI
PRODUTTIVITÀ, SALARI
E PROFITTI: IL RUOLO DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO
Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxx
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L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) è un ente pubblico di ricerca che si occupa di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e, in generale, di tutte le politiche economiche che hanno effetti sul mercato del lavoro.
Nato il 1° dicembre 2016 a seguito della trasformazione dell’Isfol e vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, l’Ente ha un ruolo strategico - stabilito dal Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150 - nel nuovo sistema di governance delle politiche sociali e del lavoro del Paese.
Inapp fa parte del Sistema statistico nazionale (SISTAN) e collabora con le istituzioni europee. Da gennaio 2018 è Organismo Intermedio del PON Sistemi di Politiche Attive per l’Occupazione (SPAO) per svolgere attività di assistenza metodologica e scientifica per le azioni di sistema del Fondo sociale europeo ed è Agenzia nazionale del programma comunitario Erasmus+ per l’ambito istruzione e formazione professionale. È l’ente nazionale all’interno del consorzio europeo XXXX-ESS che conduce l’indagine European Social Survey.
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Il lavoro raccoglie i risultati dell’Indagine RIL (Rilevazione su Imprese e Lavoro) dell’Inapp. Il paper è stato realizzato nell’ambito del progetto Inapp “Analisi strategica delle politiche Pubbliche”.
Questo testo è stato sottoposto con esito favorevole al processo di peer review interna curato dal Comitato tecnico scientifico dell’Istituto.
Autori
Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx
Testo chiuso: dicembre 2018
Pubblicato: gennaio 2019
Coordinamento editoriale
Xxxxxxxx Xxxxxx
Editing grafico ed impaginazione
Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Le opinioni espresse in questo lavoro impegnano la responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono la posizione dell’ente.
Alcuni diritti riservati [2019] [INAPP]
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(xxxx://xxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxx/xx-xx-xx/0.0/)
ISSN 2533-2996
ISBN 978-88-543-0164-1
Contatti: xxxxxxxx@xxxxx.xxx
La collana Inapp Paper è a cura di Xxxxxxx Xxxxx.
Produttività, salari e profitti: il ruolo dei contratti a tempo determinato
Abstract
Produttività, salari e profitti: il ruolo dei contratti a tempo determinato
In questo lavoro si analizza la relazione fra la diffusione dei contratti a tempo determinato e la dinamica della produttività del lavoro, dei salari e dei profitti nelle imprese italiane. A tal fine si utilizzano i dati della componente longitudinale della Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL), condotta dall’Inapp per gli anni 2007, 2010 e 2015, integrati con le informazioni contenute negli archivi dei bilanci di fonte AIDA. L’applicazione di diverse tecniche di regressione quantile permette di dimostrare i seguenti risultati. In primo luogo, l’utilizzo dei contratti a tempo determinato si associa ad una diminuzione significativa della produttività del lavoro e, soprattutto, dei salari medi pagati dalle imprese. Conseguentemente emerge una correlazione positiva tra l’utilizzo dei contratti a termine ed i profitti. In secondo luogo, le implicazioni negative dell’uso dei contratti a tempo determinato sono decrescenti lungo i quantili della distribuzione della produttività e dei salari, ovvero si concentrano nel gruppo di imprese con le peggiori performance competitive. I nostri risultati supportano dunque l’ipotesi che la diffusione della flessibilità contrattuale abbia favorito, in generale, un modello competitivo orientato prevalentemente verso la riduzione del costo del lavoro e, in particolare, abbia alimentato il dualismo del tessuto imprenditoriale italiano fra imprese high-performers e low-performers.
Parole chiave: produttività, salari, contratti a tempo determinato
Productivity, wages and profits: the role of fixed term contracts
This paper investigates the relation between the use of fixed-term contracts and the dynamics of labour productivity, wages and profits on a representative sample of Italian firms. We use longitudinal company- level data from the Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL) conducted by INAPP in 2007, 2010 and 2015, integrated with company financial accounts from AIDA archive. By means of different quantile regressions techniques, we find the following results. First, an increase in the share of temporary employees is associated with lower labour productivity and lower wages, while there is a positive correlation between the use of temporary employment and profits. Second, the adverse effect of temporary employment on labour productivity and wages diminishes for more productive and higher-paying firms. Our results support the hypothesis that the spread of flexible contracts enabled a competitive model based on wage compression and, in particular, has fuelled the dualism between high-performing and low-performing Italian companies.
Keywords: productivity, wages, fixed term contracts
Per citare il paper: Xxxxxxx X., Xxxxx X. (2019), Produttività salari e profitti: il ruolo dei contratti a tempo determinato, Inapp Paper n. 16, Roma, INAPP
INDICE
Introduzione 5
1 Produttività del lavoro, xxxxxx e profitti: letterature a confronto 8
2 Dati 11
2.1 Statistiche descrittive 11
3 Analisi econometrica 15
4 Risultati 17
4.1 Stime ed effetti fissi 18
Conclusioni 22
Appendice 23
Bibliografia 24
Introduzione
Negli ultimi decenni le riforme del mercato del lavoro hanno previsto un incremento della flessibilità del lavoro attraverso l’espansione delle forme giuridiche di lavoro a termine a disposizione delle imprese (legge n. 196 del 1997; legge n. 30 del 2001), la rimozione dei vincoli ad assumere con contratti a tempo determinato, e, in generale, la riduzione delle norme a protezione dell’impiego (legge n. 92 del 2012 e legge n. 183 del 2014).
Tra gli obiettivi di questo orientamento normativo vi era la necessità di consentire alle imprese di operare in modo più efficiente a fronte delle pressioni competitive e di incertezza economica associate all’introduzione di nuove tecnologie e all’operare delle imprese all’interno di catene globali del valore. La diffusione dei contratti a tempo determinato ha alimentato, d’altra parte, un crescente dibattito scientifico e istituzionale in merito alle implicazioni dell’uso dei contratti a temine per l’evoluzione della produttività, dei salari e, più in generale, per la competitività del sistema economico nel medio-lungo periodo.
In questa prospettiva, la letteratura economica non fornisce indicazioni univoche. Da una parte, vi sono studi secondo i quali la possibilità di assumere con contratti a tempo determinato favorirebbe un processo di screening dei lavoratori più abili e competenti con un effetto sulla produttività totale dell’impresa selezionando esclusivamente i lavoratori più produttivi (Xxxx e Xxxxx 1998). D’altra parte, alcune ricerche riflettono sulle conseguenze negative di un eccessivo utilizzo di contratti temporanei sulle prospettive di carriera dei lavoratori, in particolare delle coorti più giovani (Xxxxx e Tonin 2010, OCSE 2015), e a livello aggregato sui salari (Xxxxx et al. 2002, Garz 2013, Xxxxxxx et al. 2018) e sulla produttività del lavoro (Kleinknecht 1998, Xxxxxxxx e Kleinknecht 2011, 2014, Xxxxxxx et al. 2017).
Sia la teoria del capitale umano che quella dell’accumulazione di conoscenza offrono utili indicazioni per comprendere i meccanismi attraverso i quali i contratti a tempo determinato possono indebolire gli incentivi di imprese e lavoratori ad investire nella formazione professionale on the job, o, secondo la teoria evolutiva, danneggiare il processo di accumulazione di conoscenza tacita a livello impresa, con conseguenze potenzialmente negative sulle dinamiche della produttività e dei salari (Dosi et al., 2018). In alcuni settori, l’investimento in formazione è di difficile contabilizzazione a causa della natura intangibile e non verificabile delle conoscenze e competenze accumulate dal lavoratore attraverso l’espletamento della sua mansione lavorativa. In questo caso, misure di policy dirette a ridurre le norme a protezione dell’impiego e l’elevato tasso di turnover che tipicamente si associa a questi interventi, possono comportare dinamiche di sotto-investimento in capitale umano on the job, bassa produttività e compressione dei salari. Al contrario l’esistenza di vincoli alla risoluzione dei contratti di lavoro può limitare fenomeni di “azzardo morale” e “selezione avversa” che sono connaturati alle decisioni di investimento in formazione specifica e, dunque, stimolare la competitività di impresa (Belot e van Ours, 2007, Xxxxx e Xxxxxxxx 2015).
Meno controversi sono i risultati della letteratura che analizza la relazione fra occupazione a tempo determinato e salari. A livello microeconomico, diversi studi dimostrano ad esempio l’esistenza di un
differenziale retributivo tra individui assunti con contratti a termine e coloro che sono occupati a tempo indeterminato a favore di questi ultimi, pur a parità di caratteristiche osservabili (Brown and Sessions 2003, Comi e Grasseni 2012, De la Rica 2004). A livello macroeconomico vi è evidenza secondo cui la rimozione dei vincoli ad assumere con contratti a termine si associa ad un indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori (e delle organizzazioni sindacali), favorendo di fatto una tendenza verso la moderazione salariale (Xxxxxxx et al. 2018). Da un punto di vista “strutturalista”, l’esistenza di differenziali salariali viene ricondotta alla suddivisione fra lavoratori con caratteristiche diverse e diversi poteri contrattuali dell’extra-rendita derivante da posizioni temporanee di monopolio delle imprese (Pianta e Tancioni 2008). La suddivisione dei salari fra diverse categorie di lavoratori dipenderebbe in ultima istanza da fattori istituzionali e dal peso contrattuale di questi ultimi. I salari tendono ad essere più alti e a crescere più velocemente in quelle industrie in cui vi sono maggiori opportunità tecnologiche (Xxxxxxxx 2002; Xxxxxxxxx and Xxx Xxxxxx 2002).
L’analisi delle implicazioni dell’uso dei contratti a termine e, più in generale dell’occupazione a tempo determinato, sulla dinamica della produttività e dei salari chiama in causa aspetti relativi alla distribuzione funzionale del reddito all’interno delle imprese, ovvero alle conseguenze del lavoro temporaneo sulle politiche salariali e sui profitti delle imprese. A tale proposito, appare interessante la ricerca condotta da Garnero et al. (2016) su un campione di imprese in Belgio che esamina gli effetti del lavoro temporaneo non solo sulla produttività e i salari, ma anche sui margini di profitto che da essi ne derivano.
Sulla base di queste considerazioni, lo studio presentato nelle pagine seguenti costituisce un avanzamento agli esiti di questo filone di ricerca, mettendo in luce il ruolo fondamentale giocato dall’eterogeneità (osservata e non osservata) del tessuto produttivo. Nello specifico, la nostra analisi si pone l’obiettivo di verificare se e in che misura l’uso di contratti a tempo determinato esercita un impatto differenziato, non omogeneo, lungo la distribuzione della produttività, dei salari e, conseguentemente, dei profitti facendo riferimento al caso italiano. A tal fine l’analisi empirica è svolta sui dati della componente longitudinale della Rilevazione su Imprese e Lavoro, condotta dall’Inapp negli anni 2007, 2010 e 2015, integrati con le informazioni contenute negli archivi dei bilanci certificati di fonte AIDA.
L’applicazione di diverse tecniche di regressione quantile permette quindi di dimostrare i seguenti risultati. Primo, l’utilizzo dei contratti a tempo determinato è associato ad una diminuzione della produttività del lavoro e, soprattutto, dei salari medi pagati dalle imprese. Secondo, questo effetto negativo è decrescente lungo i quantili della distribuzione della produttività e dei salari, ovvero si concentra nel gruppo di aziende con le peggiori performance competitive. Terzo, il lavoro temporaneo è associato ad una crescita dei profitti soprattutto per le imprese con una migliore performance competitiva.
Nel complesso, i nostri risultati confermano l’ipotesi che la diffusione dell’occupazione a tempo determinato abbia favorito un modello competitivo orientato prevalentemente alla riduzione del costo del lavoro e, di conseguenza, abbia alimentato il dualismo del tessuto imprenditoriale italiano caratterizzato dalla compresenza di un cluster di aziende altamente produttive, tecnologicamente
avanzate e virtuose e, da un gruppo più ampio di aziende meno efficienti, i cui margini di profitto e la cui sopravvivenza sul mercato sono garantiti dalla compressione dei salari (Dosi et al. 2012).
Il presente studio si articola nelle seguenti sezioni: la sezione 2 discute la letteratura di riferimento; la sezione 3 presenta i dati e le statistiche descrittive; la sezione 4 introduce la strategia empirica mentre la sezione 5 discute i risultati dell’analisi econometrica. La sezione 6 conclude.
1 Produttività del lavoro, xxxxxx e profitti: letterature a confronto
La letteratura economica che ha analizzato i molteplici meccanismi attraverso cui il lavoro temporaneo può condizionare le performance di impresa, ha messo in luce tre argomentazioni principali alla base del legame fra occupazione a termine e produttività del lavoro. La prima argomentazione riguarda l’utilizzo di occupazione a termine in funzione dell’adeguamento della produzione alle fluttuazioni della domanda aggregata. Secondo questa argomentazione – si vedano Xxxxxxxxx e Saint-Xxxx (1992), Nunziata e Staffolani (2007) - le fluttuazioni nella domanda di prodotti/servizi portano le imprese ad aumentare l'uso di forme flessibili di occupazione al fine di adeguare la produzione aziendale alle richieste del mercato senza dover affrontare costi di licenziamento. Xxxxxxxx (2001) testa la relazione che sussiste tra le fluttuazioni della domanda e l'uso del lavoro temporaneo trovando una relazione significativa tra stagionalità dell'industria e probabilità di assumere lavoratori temporanei. Sulla stessa linea, anche Xxxxx e Xxxxxx (2009) e Xxxxx (2003) evidenziano che l'uso di contratti a tempo determinato è uno strumento adoperato dalle imprese per affrontare le fluttuazioni della domanda di prodotti con un effetto positivo sulla produttività del lavoro.
Una seconda argomentazione per spiegare la relazione fra lavoro temporaneo e produttività del lavoro è quella dello screening dei nuovi assunti. Non essendo in grado le aziende di osservare la produttività dei nuovi dipendenti, preferiscono ricorrere a contratti a tempo determinato per monitorare i nuovi assunti (Xxxx e Xxxxx 1998). Questo meccanismo implica che il lavoratore a tempo determinato è incentivato ad aumentare il proprio impegno per ottenere un contratto a tempo indeterminato; per tanto, secondo questa argomentazione, le aziende offrono contratti a tempo indeterminato solo a lavoratori più produttivi ed hanno la possibilità di aumentare la produttività complessiva (Gerfin et al. 2005, Addison e Xxxxxxxx 2009, Xxxxxxxxx e Xxxxx 2008, Gash 2008, XxXxxxxxx et al. 2005, Xxxxxxx e McGinnity 2004, Amuedo-Xxxxxxxx 2000)1. Allo stesso tempo, un’elevata presenza di lavoratori a tempo determinato può incidere negativamente sulla produttività del lavoro in relazione ad un effetto di demotivazione del lavoratore rispetto al proprio lavoro (Brown and Sessions 2005). La conclusione di questa letteratura è che un uso moderato di contratti a tempo determinato dovrebbe aumentare la produttività del lavoro in virtù di un migliore screening sulla produttività del singolo lavoratore; tuttavia, un uso eccessivo di tali contratti può essere controproducente incidendo in modo negativo sull’effort del lavoratore.
Una terza argomentazione relativa alla teoria del capitale umano e all’accumulazione di conoscenza specifica, firm-specific, viene addotta per spiegare l’esistenza di una relazione per lo più negativa fra contratti a tempo determinato e produttività del lavoro. In caso di contratti a breve termine, le imprese hanno pochi incentivi ad investire in capitale umano, soprattutto generico, con conseguenze negative sulla produttività del lavoro (Arulampalam et al. 2004; Xxxxx et al. 2002, Xxxxx 2006). Vi è dunque da parte del lavoratore una propensione ad investire in competenze specifiche quando il rapporto di lavoro
1 Si tratta di un meccanismo tacito e sino al 2012 non ammesso dalla legge che vincolava il ricorso al lavoro a termine ad esplicite forme di causalità.
è percepito come duraturo nel tempo; al contrario, i lavoratori tendono ad investire in competenze generali quando percepiscono un alto rischio di perdita del lavoro (Xxxxxx 2006).
Seguendo una letteratura evolutiva e neo-schumpeteriana, alcuni autori hanno evidenziato l’esistenza di una relazione negativa tra occupazione temporanea ed innovazione/produttività sottolineando che i lavoratori con un contratto a tempo determinato non contribuiscono allo sviluppo di innovazioni perché la temporaneità della relazione contrattuale non consente l’accumulazione di conoscenza – tacit knowledge – da parte del lavoratore rispetto al proprio lavoro e alla possibilità di introdurre delle migliorie (Xxxxxxx e Kleinknecht 2014).
La relazione fra utilizzo di contratti a tempo determinato/quota di lavoratori a tempo determinato e produttività del lavoro è stata studiata a livello macro (paese), settoriale e a livello di impresa con risultati piuttosto eterogenei. Focalizzando l’attenzione sull’Italia, Cappellari et al. (2012) utilizzando dati a livello di impresa relativi al periodo 2004-2007, rilevano un modesto effetto negativo delle riforme di liberalizzazione del mercato del lavoro sulla produttività, respingendo l'ipotesi che la liberalizzazione nell’uso dei contratti a tempo determinato abbia effetto sulla produttività del lavoro. Boeri e Xxxxxxxxx (2007) su dati italiani rilevano un effetto negativo della quota di contratti a tempo determinato sulla crescita della produttività del lavoro su un campione di imprese manifatturiere. Una relazione negativa che emerge anche da Xxxxxx e Kleinknecht (2010) i quali evidenziano che un’elevata quota di lavoratori con contratto a tempo determinato può incidere negativamente sulla crescita della produttività del lavoro.
Anche il rapporto tra contratti a tempo determinato e retribuzioni è stato oggetto di studio nella letteratura economica sia a livello empirico che teorico. Un primo filone di letteratura fa riferimento alla teoria dei differenziali compensativi secondo cui i lavoratori che lavorano in condizioni svantaggiate (contratti a tempo determinato ecc.) necessitano di salari più elevati al fine di compensare lo svantaggio lavorativo percepito. Xxxxxxxxx (1977) ha sottolineato il ruolo dei fattori non monetari nella formazione dei salari e l'esistenza di una sorta di premio per il lavoro “spiacevole” (Xxxxx 1986). Xxxxxx-Xxxxxxxx e Xxxxxxx-Xxxxxx (2007) sottolineano che i lavoratori con contratti di lavoro a breve termine dovrebbero percepire retribuzioni superiori al fine di compensare lo svantaggio derivante da una condizione di incertezza connaturata al contratto a tempo determinato. Tuttavia, la maggior parte delle evidenze empiriche rilevano un differenziale salariale a sfavore dei lavoratori a tempo determinato (Xxxxxxxxxxx 2002, Xxxx 2016, xx Xxxxx et al. 2015, Xxxx e Grasseni 2012, Xxxxx e Session 2003, Picchio 2008, Xxxxx 2014). Guardando al differenziale salariale fra contratti a tempo determinato e indeterminato lungo la distribuzione dei salari medi di impresa, Comi e Grasseni (2012) evidenziano che i lavoratori con le stesse caratteristiche dei lavoratori temporanei riceverebbero salari più alti se lavorassero con contratti a tempo indeterminato. Questo differenziale salariale negativo a svantaggio dei lavoratori con contratti a tempo determinato può essere spiegato da argomentazioni sull'efficienza salariale. Rebitzer e Xxxxxx (1991) hanno dimostrato che potrebbe essere ottimale per un'impresa che massimizza il profitto assumere lavoratori temporanei e permanenti pagando una retribuzione inferiore ai lavoratori temporanei in caso di elevati costi di monitoraggio ed incertezza della domanda di prodotti. Inoltre, la presenza di costi di licenziamento rende più efficiente per le imprese avere una scorta di
lavoratori con contratti a tempo determinato da licenziare in caso di shock avversi. Xxxxxxx et al. (2007) stimano il divario salariale fra lavoratori temporanei e permanenti lungo la distribuzione del salario medio di impresa e attraverso un approccio quantilico rilevano che il divario salariale diminuisce man mano che vengono considerati i quantili più elevati e che avere un contratto a tempo determinato penalizza meno i lavoratori poco qualificati rispetto a quelli qualificati.
Ci aspettiamo dunque che i lavoratori con contratto a tempo determinato siano pagati meno di quelli a tempo indeterminato sia nelle imprese ad alta produttività che in quelle a bassa produttività, tuttavia ipotizziamo che tale relazione negativa sia per lo più verificata per le imprese con un salario medio più basso, mentre il divario salariale tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato si dovrebbe ridurre nelle imprese con un’alta retribuzione media. In definitiva, le analisi empiriche dimostrano che nelle imprese in cui il salario medio pagato è più alto o superiore alla mediana, il differenziale salariale associato al contratto è più basso.
Rispetto all’attenzione posta sulla relazione fra uso dei contratti a tempo determinato, produttività e salari, solo pochi studi si sono concentrati sull'impatto distributivo (funzionale) dell'uso di contratti a tempo determinato considerando salari e profitti a livello di impresa. Su questa linea di ricerca, Garnero et al. (2016) stimano la relazione tra la quota di dipendenti a tempo determinato ed i profitti da intendersi come differenza fra salari e produttività, laddove i primi sono misurati come costo del lavoro e la seconda è da intendersi come valore aggiunto per addetto. Nel complesso, le conseguenze distributive derivanti da un uso incrementale di contratti a tempo determinato sono state abbastanza inesplorate. L'incidenza del lavoro temporaneo da un lato influisce sul monte salari dell'impresa - i dipendenti a tempo determinato sono in media pagati meno dei lavoratori a tempo indeterminato, ma dall’altro può incidere negativamente sulla produttività del lavoro. Inoltre, pochi studi empirici hanno esplicitamente preso in considerazione l'eterogeneità delle imprese e le differenze intra-industriali. Il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da un alto grado di eterogeneità fra le imprese, definendo un’elevata eterogeneità anche all’interno dei settori (Xxxxx et al. 1989, Xxxxxxxxxxx et al. 1999, Xxxxxxxxxx and Doms 2000).
Un gruppo di contributi empirici e teorici analizza l'impatto della flessibilità del lavoro tenendo conto delle differenze nelle strutture produttive, a secondo dei regimi tecnologici e delle condizioni macroeconomiche rispetto alle quale le imprese operano (Xxxxxxx e Xxxxxxxxx 2015, Dosi et al. 2016). In questo studio analizziamo la relazione tra la quota di occupati a tempo determinato dell’impresa e la sua performance in termini di produttività del lavoro, salario medio e profitti realizzati – definiti come in Garnero et al. (2016) - per differenza tra produttività del lavoro e costo del lavoro. Si considera inoltre esplicitamente l’eterogeneità che sussiste fra le imprese in termini di produttività, costo del lavoro e profitti realizzati stimando la relazione fra imprese raggruppate per quantili della distribuzione di ciascuna variabile oggetto di studio.
2 Dati
L'analisi empirica è sviluppata sui dati della componente longitudinale della Rilevazione su Imprese e Lavoro (RIL), condotta dall'Inapp nel 2007, 2010 e 2015 su un campione rappresentativo di società di capitali e società di persone operanti nel settore privato extra-agricolo. L’indagine RIL contiene una ricca serie di informazioni aventi per oggetto la composizione della forza lavoro occupata, le politiche del personale e le tipologie contrattuali, l’assetto delle relazioni industriali, la specializzazione produttiva ed altri aspetti delle strategie competitive ed innovative2.
I dati relativi all’organizzazione dei mercati interni del lavoro presenti in RIL sono stati poi integrati con le informazioni contenute dall'archivio AIDA-Bureau Xxx Xxxx per il medesimo periodo di riferimento. L’archivio AIDA offre informazioni complete sui bilanci certificati delle società di capitali attive nel settore privato non finanziario: valore aggiunto, indici di profitto, valore contabile delle immobilizzazioni (materiali e immateriali), costo del lavoro e salari, materie prime ecc. In tal modo è stato possibile ricostruire indicatori di produttività del lavoro (valore aggiunto per dipendente), salari (costo totale del lavoro per dipendente), capitale fisso (l'importo totale delle immobilizzazioni materiali per dipendente) e altro. Le variabili di bilancio sono state poi deflazionate utilizzando specifici deflatori forniti dall'Istituto nazionale di statistica (Istat).
Infine, per quanto riguarda la selezione del campione, si considerano tutte le imprese con almeno un dipendente presenti nella componente longitudinale del dataset RIL-AIDA per le annualità 2007, 2010 e 2015. Una volta eleminate le aziende con dati mancanti nelle variabili di interesse, si ottiene così un campione finale di circa 2700 società di capitali corrispondenti a circa 8000 osservazioni.
2.1 Statistiche descrittive
La tabella 2.1 presenta le statistiche descrittive relative alla distribuzione della produttività, dei costi del lavoro e dei profitti relative alla componente longitudinale del campione RIL-AIDA, distinte per ciascun anno di riferimento3.
Nel Panel A della tabella 2.1 si osserva come la dinamica negativa della produttività tra il 2007 e il 2015 si concentra nelle imprese con una produttività media più bassa. Nella fattispecie, il declino della produttività registra i valori più elevati in corrispondenza del 10° percentile (-0.32) e del 25° percentile (-0.26), per poi assestarsi tra la mediana e il 90° percentile (-0.2).
Analogamente, nel Panel B della tabella 2.1, si mette in evidenza l’evoluzione delle retribuzioni (costo del lavoro) nel periodo 2007-2015. Nelle imprese con retribuzioni al di sotto della mediana, si registra
2 Il campione di società di persone e società di capitali presenti nell’ Indagine RIL è stratificato per dimensione, settore di attività, area geografica e forma giuridica delle aziende. Il disegno campionario di RIL prevede l’utilizzo di probabilità di inclusione variabili, dove la variabile di ampiezza è rappresentata dalla dimensione aziendale, misurata in termini di addetti (nota metodologica Inapp, 2017). Per maggiori dettagli in merito al disegno campionario, alle informazioni contenute nel questionario e le procedure di accesso ai dati si veda: xxxxx://xxxxx.xxx/xx/xxxx/xxx.
3 I profitti sono calcolati in analogia a van Ours e Stoeldraijer (2011) come productivity-wage gap ovvero come la differenza tra il log della produttività del lavoro e il log dei costi del lavoro. Tale scelta è stata operata per evidenziare alcune implicazioni distributive dell’uso della flessibilità contrattuale. Risultati analoghi emergono quando si fa riferimento ad altre misure di profittabilità: return on equity, utile netto, margine operativo lordo.
una contrazione del costo del lavoro sia al 10° percentile (-0.23) che al 25° percentile (-0.09); al contrario, le retribuzioni medie aumentano nelle imprese che si collocano nella parte destra della distribuzione, tra il 75° (+0.03) e il 90° (+0.09) percentile.
Le statistiche precedenti sono efficacemente sintetizzate nel Panel C della tabella 2.1. Qui è immediato verificare un andamento crescente dei profitti nella coda destra della distribuzione (+0.06) – ovvero fra le imprese con più alti profitti, mentre il gap positivo tra produttività e salari diminuisce nel tempo fino a diventare negativo per il gruppo di aziende localizzate nel primo decile (-0.27).
In sintesi, la tabella 2.1 fotografa un tessuto imprenditoriale polarizzato fra imprese con bassi profitti che hanno subito una contrazione di questi ultimi negli anni della crisi ed un cluster di imprese con alti profitti in crescita. Nel periodo 2007-2015 si è assistito ad una contrazione della produttività del lavoro che ha caratterizzato tutte le imprese – sebbene in maniera più forte quelle meno produttive -, e ad un calo delle retribuzioni e dei profitti esclusivamente per le imprese che già si collocavano al di sotto della mediana delle retribuzioni e dei profitti. Al contrario, sia le retribuzioni medie che i profitti continuano a crescere nel periodo 2007-2015 nelle imprese “virtuose” ad alte retribuzioni ed alti profitti. Si delinea, dunque, un quadro caratterizzato da una progressiva erosione delle potenzialità produttive a cui si accompagna una compressione dei salari che permette alle aziende di recuperare margini di operatività e di rimanere sul mercato almeno nel breve periodo. Questa evoluzione è attribuibile essenzialmente a ciò che si manifesta tra le imprese con le performance peggiori (bassi salari/bassa produttività), in misura minore a quanto sperimentano dalle imprese con performance medie, mentre non coinvolge in modo statisticamente significativo le aziende con elevate performance (alti salari/alta produttività), le quali non sembrano competere attraverso una strategia di contenimento dei costi e registrano incrementi di profitto nel corso del periodo in esame.
Tabella 2.1 Distribuzione della produttività (valore aggiunto per occupato), dei salari e dei profitti per quantile
Media | q10 | q25 | q50 | q75 | q90 | |
Panel A - Produttività | ||||||
2007 | 10.81 | 10.17 | 10.48 | 10.81 | 11.15 | 11.52 |
2010 | 10.72 | 10.04 | 10.40 | 10.71 | 11.00 | 11.43 |
2015 | 10.56 | 9.85 | 10.22 | 10.60 | 10.95 | 11.31 |
Totale | 10.69 | 9.95 | 10.33 | 10.70 | 11.03 | 11.44 |
Panel B - Retribuzioni | ||||||
2007 | 10.27 | 9.71 | 10.06 | 10.32 | 10.55 | 10.74 |
2010 | 10.28 | 9.67 | 10.07 | 10.33 | 10.56 | 10.77 |
2015 | 10.16 | 9.48 | 9.97 | 10.33 | 10.58 | 10.83 |
Totale | 10.23 | 9.63 | 10.04 | 10.33 | 10.57 | 10.78 |
Panel C - Profitti | ||||||
2007 | 0.539 | 0.139 | 0.267 | 0.466 | 0.764 | 1.048 |
2010 | 0.444 | 0.029 | 0.180 | 0.355 | 0.653 | 1.003 |
2015 | 0.398 | -0.131 | 0.097 | 0.282 | 0.561 | 1.117 |
Totale | 0.458 | 0.024 | 0.175 | 0.368 | 0.668 | 1.062 |
Fonte : RIL-Inapp 0000-0000-0000. Applicati pesi di campionamento
La dinamica produttiva delle imprese sottolinea una molteplicità di elementi di tipo strutturale – dinamiche settoriali e tecnologiche – e di tipo congiunturale. Un ruolo importante è svolto anche da aspetti concernenti l’organizzazione del lavoro e le politiche del personale, fra cui appunto la propensione ad assumere su base temporanea.
In tabella 2.2 si riporta infatti l’evoluzione della quota dei lavoratori con contratto a tempo determinato (TD) e la loro allocazione nei diversi quantili della distribuzione della produttività e del costo del lavoro nel periodo di riferimento. Le imprese più produttive e quelle con le retribuzioni medie più alte sono anche quelle che meno ricorrono al lavoro a tempo determinato. Emerge dunque che il ricorso alla flessibilità contrattuale è associato in modo sostanziale alla “qualità” delle aziende o, meglio alle loro performance produttive e salariali. In particolare, il primo elemento da sottolineare riguarda il fatto che la proporzione media dei lavoratori assunti con contratto a termine diminuisce significativamente nel periodo in esame, passando da un valore di circa il 10,5% (10,6%) nel 2007 (2010) ad un valore medio di 6,6% nel 2015. L’altro aspetto da mettere in evidenza concerne la variabilità di tale tendenza nei diversi punti della distribuzione della produttività e dei salari. In tutti gli anni considerati, la quota di contratti TD è più elevata (rispetto alla media) nelle aziende collocate nel primo quartile della distribuzione dei salari e della produttività; specularmente, la quota dei contratti TD è minima (rispetto alla media) fra le imprese con retribuzioni medie e produttività del lavoro superiori alla media. Detto altrimenti, le imprese più produttive e con retribuzioni medie più elevate sono quelle che ricorrono meno al lavoro a tempo determinato.
La correlazione tra flessibilità contrattuale e performance di impresa non sembra modificarsi sostanzialmente nel tempo - se non nel biennio iniziale della crisi economico-finanziaria (tra il 2008 e il 2010). Le statistiche della tabella 2.2 dimostrano infatti che il declino della quota di TD tra il 2007 e il 2015 si è manifestato in modo piuttosto uniforme lungo la distribuzione dei salari e della produttività, con una variazione più lieve nell’ultimo quartile (-2 nella distribuzione del costo del lavoro e -0.5 in quella della produttività) e maggiore nel primo quartile (-4.3 per il costo del lavoro e -3.8 per la produttività).
Tabella 2.2 Distribuzione della quota dei contratti TD
2007 | 2010 | 2015 | ||||
Media* | Dev. Std. | Media* | Dev. Std. | Media* | Dev. Std. |
Quota contratti TD | 10.5 | 0.21 | 10.6 | 0.20 | 6.6 | 0.18 |
Produttività lavoro | ||||||
1 quartile | 13.9 | 0.21 | 15.5 | 0.21 | 10.1 | 0.20 |
2 quartile | 8.3 | 0.13 | 9.9 | 0.13 | 5.1 | 0.11 |
3 quartile | 7.7 | 0.13 | 8.3 | 0.15 | 4.2 | 0.09 |
4 quartile | 5.9 | 0.11 | 5.6 | 0.10 | 5.4 | 0.12 |
Costi del lavoro | ||||||
1 quartile | 15.9 | 0.23 | 19.6 | 0.22 | 11.6 | 0.20 |
2 quartile | 7.9 | 0.12 | 8.3 | 0.11 | 6.7 | 0.13 |
3 quartile | 6.6 | 0.11 | 6.7 | 0.12 | 3.2 | 0.08 |
4 quartile | 5.4 | 0.10 | 4.6 | 0.08 | 3.4 | 0.08 |
(*) Valori percentuali. Applicazione dei pesi campionari. Fonte: RIL-XXXX 0000-0000-2015
Sulla base delle descrittive presentate emerge che la diffusione dei contratti a termine tende ad associarsi a strategie competitive orientate prevalentemente alla riduzione dei costi del lavoro (nel breve periodo) piuttosto che alla valorizzazione delle risorse umane e agli investimenti in produttività (in un orizzonte di medio-lungo periodo).
Infine la tabella A1 (in Appendice) completa l’analisi descrittiva del campione RIL-AIDA riportando i valori medi e le deviazioni standard delle altre variabili utilizzate nell’analisi econometrica.
A tale proposito, è interessante sottolineare l’incremento relativo dei livelli di inquadramento professionale più elevati (identificati dall’aumento della proporzione di dirigenti e impiegati rispetto a quella degli operai) e dalla propensione ad investire in formazione professionale, con la quota di formati che passa dal 19% nel 2007 al 28% nel 2014. Ciò non sorprende se si considera che la riduzione dell’occupazione che è seguita all’intervento della crisi economico-finanziaria del 2008 si è concentrata, sulle componenti meno qualificate e meno tutelate dal punto di vista contrattuale (contratti a termine). Focalizzando l’attenzione sulle caratteristiche competitive, la tabella A1 rivela una significativa riduzione dell’incidenza media di imprese che introducono una qualche forma di innovazione di prodotto o di processo, che adottano premi di risultato legati alla performance, mente si assiste ad un incremento delle operazioni di fusione e di acquisizione.
3 Analisi econometrica
L’obiettivo dell’analisi econometrica è quello di verificare contemporaneamente le implicazioni della flessibilità contrattuale (quota di lavoratori con contratto a tempo determinato) sulla produttività, sul costo del lavoro e sui profitti di impresa, mettendo in luce l’eterogeneità (osservata e non osservata) delle imprese.
In questa prospettiva i modelli di regressione quantilica (Koenker e Xxxxxx 1978, 1982) si rivelano particolarmente utili poiché permettono di misurare se e in che misura la relazione fra quota di lavoratori con contratto a tempo determinato e variabili di performance di impresa varia nei diversi punti della distribuzione della produttività, dei salari e dei profitti. Le seguenti specificazioni econometriche vengono stimate:
(1) 𝑛(𝑙𝑎𝑏 𝑝𝑟𝑜𝑑)𝑖,𝑡 = 𝛼𝛩 ∙ 𝐹𝑇𝑖,𝑡 + 𝛽𝛩 ∙ 𝑋𝑖,𝑡 + 𝜂𝑖 + ε𝑖,𝑡
(2) 𝑙𝑛(w𝑎𝑔𝑒 )𝑖,𝑡 = 𝛼𝛩 ∙ 𝐹𝑇𝑖,𝑡 + 𝛽𝛩 ∙ 𝑋𝑖,𝑡 + 𝜂𝑖 + ε𝑖,𝑡
(3) 𝑙𝑛(𝑙𝑎𝑏 𝑝𝑟𝑜𝑑w𝑎𝑔𝑒 𝑔𝑎𝑝)𝑖,𝑡 = 𝛼𝛩 ∙ 𝐹𝑇𝑖,𝑡 + 𝛽𝛩 ∙ 𝑋𝑖,𝑡 + 𝜂𝑖 + ε𝑖,𝑡
dove ln(lab prod) e ln(wage) sono rispettivamente il logaritmo della produttività del lavoro e del costo del lavoro per l’impresa i, mentre ln(productivity wage gap) è il logaritmo della differenza fra produttività e costo del lavoro, ed approssima una misura della profittabilità4. Per quanto riguarda le variabili esplicative, FT identifica la proporzione dei lavoratori con contratto a tempo determinato sul totale degli occupati, ed il vettore X include un ampio insieme di caratteristiche delle imprese (capitale fisico, settore di attività, dimensioni, macroregione, innovazioni di prodotto e processo ecc.) e di composizione dell'occupazione (genere, istruzione, età, professioni ecc.).
Il parametro η denota l'eterogeneità non osservata delle imprese invariante nel tempo; ε è un termine di errore che cattura la componente idiosincratica della produttività del lavoro in (1), dei salari in (2) e degli utili in (3). Infine, il vettore dei coefficienti α e β è stimato in ciascuno dei quantili scelti θ = 0.1, 0.25, 0.5, 0.75 e 0.9.
Le equazioni [1]-[2] e [3] sono stimate applicando tecniche di regressione quantilica in ambito longitudinale che permettono di correggere per l’eteroschedasticità e l’autocorrelazione degli errori che si riferiscono a ciascuna impresa nei diversi punti della distribuzione (Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx 0000; Parente e Xxxxxx-Xxxxx 2016).
La disponibilità del campione longitudinale RIL-AIDA permette inoltre di applicare tecniche di regressione quantilica ad effetti fissi (Canay 2011) tali da verificare in che misura l’eterogeneità non osservata - specifica dell'impresa e invariante nel tempo - condiziona la relazione tra contratti a termine e performance nei diversi punti della distribuzione.
4 La stima dell'equazione (3) permette di testare la relazione tra il differenziale fra produttività del lavoro e salari ed un insieme di variabili esplicative analoghe a quelle delle equazioni (1) e (2). Per una discussione approfondita su questa strategia, si vedano Xxx Xxxx e Xxxxxxxxxxxx (2011) e Garnero et al. (2016).
L’applicazione dei metodi di regressione quantilica in ambito longitudinale (pooled e ad effetti fissi) rappresenta una strategia efficace per minimizzare i rischi di distorsione delle stime che possono derivare da fenomeni di eterogeneità (osservata e non osservata) delle strategie imprenditoriali in termini di performance, politiche salariali e organizzazione del lavoro (si vedano le statistiche descrittive)5.
5 Naturalmente le regressioni quantiliche potrebbero produrre stime non consistenti nel caso in cui vi siano rilevanti problemi di endogeneità nei fenomeni oggetto di studio, ovvero di autoselezione delle imprese meno efficienti nel ricorso a forme di flessibilità. In una versione successiva di questo studio, tale criticità è affrontata facendo ricorso a tecniche di regressione che utilizzano variabili strumentali in un contesto quantilico (Melly et al. 2009).
4 Risultati
La tabella 4.1 riporta i risultati delle regressioni pooled quantile ottenute separatamente per ciascuna delle equazioni [1]-[2] e [3].
In particolare, nel Panel A della tabella 4.1 vengono presentate le stime relative all’effetto della quota di lavoratori con contratti a termine lungo la distribuzione della produttività del lavoro. Si osserva così che l’impatto negativo della flessibilità contrattuale diminuisce significativamente lungo la distribuzione della produttività. Nello specifico le stime pooled indicano che l’incremento di un punto percentuale dei contratti a tempo determinato riduce la produttività del lavoro di circa lo 0,6% in corrispondenza del 10° percentile, dello 0,4% al 25° percentile, di circa lo 0,3% per la mediana e di appena lo 0,12% nel 75° percentile, mentre non si registra alcuna associazione statisticamente significativa al 90° percentile, ovvero nel gruppo di imprese con le migliori performance produttive. Da queste prime evidenze l’uso incrementale dei contratti a termine non sembra condizionare le potenzialità produttive delle imprese “migliori”, mentre rischia di attivare un circolo vizioso nelle imprese con una bassa produttività del lavoro6.
Il Panel B della tabella 4.1 illustra la relazione empirica tra la quota di contratti a termine ed i salari valutata nei diversi quantili della distribuzione del costo del lavoro. In dettaglio l’associazione negativa tra flessibilità contrattuale e salari diminuisce significativamente lungo i diversi quantili della distribuzione del costo del lavoro. Nel panel B emerge chiaramente, infatti, che l’incremento di un punto percentuale della quota di contratti a temine comporta una contrazione dei salari pari a circa lo 0,7% in corrispondenza del 10° percentile, dello 0,57% nel 25° percentile, dello 0,45% alla mediana, per poi ridursi allo 0.33% nel 75° percentile e circa lo 0,2% nell’ultimo percentile. In altre parole, le imprese con retribuzioni più basse sono quelle in cui un utilizzo incrementale di contratti a tempo determinato ha un impatto più forte e negativo sulle retribuzioni a livello di impresa, mentre nelle imprese con le retribuzioni più alte - al 90° percentile – i contratti a tempo determinato incidono solo marginalmente sulle retribuzioni medie.
Infine, il Panel C della tabella 4.1 sintetizza quanto appena discusso presentando le stime pooled per l’equazione [3] sui profitti. Come conseguenza di ciò che accade per la produttività ed i salari, non sorprende notare infatti che la relazione positiva tra flessibilità contrattuale e profitti cresce uniformemente lungo i quantili, raggiungendo il valore più elevato nella coda destra della distribuzione. Nel concreto ciò implica che la variazione di 1 punto percentuale nella quota di lavoratori con contratto a termine genera un incremento dei profitti pari a circa lo 0,09% sotto la mediana, dello 0,12% in corrispondenza della mediana, dello 0,14% nel 75° percentile, per raggiungere un massimo dello 0,19% in corrispondenza del 90° percentile. La diffusione dei contratti temporanei favorisce i margini di
6 Tra i controlli a livello di impresa, la dimensione dell'impresa è correlata positivamente alla produttività del lavoro, soprattutto nelle imprese a bassa produttività. Nelle imprese ad alta produttività, le dimensioni non sono associate alla produttività del lavoro, sottolineando che la dimensione aziendale è una caratteristica cruciale per le imprese a bassa produttività. Includiamo anche una serie di controlli relativi alle caratteristiche dei lavoratori, come la quota di lavoratrici donne, la quota di dirigenti, impiegati ed operai. Includiamo inoltre una serie di controlli relativi alle caratteristiche dell'impresa - l'età delle imprese, il settore di attività, l'ubicazione, l'appartenenza a una multinazionale - e alle performance delle imprese in termini di innovazioni di prodotto/processo.
profitto generando una compressione dei salari che consente di compensare la caduta della produttività; potremmo avanzare la tesi che i profitti più alti si concentrano fra le imprese più produttive ovvero quelle in cui la caduta della produttività connessa al lavoro temporaneo è meno evidente di quanto accade per le imprese con una produttività del lavoro inferiore alla mediana.
Tabella 4.1 Regressioni quantili pooled
q10 q25 | q50 | q75 | q90 |
Panel A - Produttività | |||
Quota contratti TD -0.590*** -0.419*** | -0.282*** | -0.125*** | -0.107 |
[0.109] [0.072] | [0.042] | [0.047] | [0.078] |
Altri controlli Yes yes | yes | yes | yes |
Costante 9.352*** 9.511*** | 9.531*** | 9.691*** | 10.732*** |
[0.113] [0.142] | [0.140] | [0.316] | [0.151] |
Numero di Oss. 8228 8228 | 8228 | 8228 | 8228 |
R2 0.231 0.259 | 0.274 | 0.255 | 0.229 |
Panel B - Salari | |||
Quota contratti TD -0.695*** -0.577*** | -0.457*** | -0.338*** | -0.196*** |
[0.094] [0.044] | [0.036] | [0.034] | [0.064] |
Altri controlli Yes yes | yes | yes | yes |
Costante 9.525*** 9.800*** | 10.120*** | 10.654*** | 11.425*** |
[0.124] [0.108] | [0.088] | [0.083] | [0.308] |
Numero di Oss. 8278 8278 | 8278 | 8278 | 8278 |
R2 0.271 0.3 | 0.307 | 0.274 | 0.212 |
Panel C - Profitti | |||
Quota contratti TD 0.091*** 0.091*** | 0.125*** | 0.145*** | 0.191** |
[0.021] [0.021] | [0.032] | [0.042] | [0.078] |
Altri controlli Yes yes | yes | yes | yes |
Costante -0.246*** -0.246*** | -0.269*** | -0.254*** | -0.085 |
[0.059] [0.059] | [0.077] | [0.088] | [0.315] |
Numero di Oss. 8202 8202 | 8202 | 8202 | 8202 |
R2 0.123 0.123 | 0.13 | 0.127 | 0.117 |
Nota: altre variabili di controllo: composizione dell'occupazione (genere, dirigenti, | colletti blu, | colletti bianchi, | assunzioni, |
immigrati), posti vacanti, innovazione di prodotto, innovazione di processo, fusioni e acquisizioni, età delle imprese, settore di attività, macroregione ecc.). Errori standard robusti tra parentesi. *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1.
Fonte: RIL-Inapp 0000-0000-0000
4.1 Stime ed effetti fissi
Le evidenze precedenti possono essere approfondite controllando per effetti fissi di impresa ovvero tutte le caratteristiche non osservabili delle imprese che possono influenzare le performance di produttività, salari e profitti e che renderebbero distorte le stime delle tabelle precedenti se non fossero esplicitamente considerate. Si tratta di fattori che, pur non osservabili nei dati (qualità del management, norme sociali, estensione dei contratti impliciti ecc.), influenzano fondamentalmente le modalità di organizzazione del lavoro e le loro implicazioni su performance di impresa.
A tal fine la tabella 4.2 riporta le stime quantiliche ad effetti fissi ottenute applicando la tecnica di Canay (2011) alle equazioni di regressione [1] - [2] e [3]. Queste ultime, d’altra parte, confermano nel segno, nella significatività statistica e nell’andamento lungo le corrispondenti distribuzioni quanto già emerso nella tabella 4.1. Le uniche differenze da sottolineare riguardano l’entità delle stime associate
alla quota dei contratti a tempo determinato, il cui valore assoluto si riduce per tutti i quantili della distribuzione.
Nello specifico, il Panel A della tabella 4.2 indica che l’incremento di un punto percentuale della quota dei contratti a tempo determinato riduce la produttività di circa lo 0,38% nel primo quartile, dello 0,28% nel secondo, di circa lo 0,21% in corrispondenza della mediana, dello 0,15% nel quarto quartile per poi perdere significatività nell’ultimo quartile. Si conferma quindi il pattern già emerso nella tabella 3 secondo cui nelle imprese altamente produttive una maggiore incidenza del tempo determinato non sembra statisticamente influire sulla produttività del lavoro.
Analogamente, il Panel B della tabella 4.2 conferma come i contratti a tempo determinato riducono il costo del lavoro lungo l’intera distribuzione delle imprese; tuttavia, il loro impatto è decrescente lungo la distribuzione evidenziando una relazione più forte nelle imprese con retribuzioni medie più basse.
Per ciò che concerne i profitti, infine, nel Panel C della tabella 4.2 si presentano le stime quantiliche con effetto fisso per i profitti, cioè il differenziale tra produttività e salari. I coefficienti più elevati si registrano in corrispondenza delle imprese con più alti profitti, ovvero in corrispondenza del quinto quartile e sono, invece, omogenei – attorno allo 0,06% - in corrispondenza degli altri punti della distribuzione.
Tabella 4.2 Stime quantili a effetti fissi (tecnica di Canay)
q10 | q25 | q50 | q75 | q90 | |
Panel A - Produttività | |||||
Quota contratti TD | -0.386*** | -0.284*** | -0.217*** | -0.149*** | -0.068 |
[0.037] | [0.023] | [0.012] | [0.023] | [0.043] | |
Altri controlli | Yes | yes | yes | yes | yes |
Costante | -0.403 | -0.381*** | -0.366*** | -0.260* | -0.387 |
[0.293] | [0.141] | [0.093] | [0.152] | [0.249] | |
N. of Oss. | 8228 | 8228 | 8228 | 8228 | 8228 |
R2 | 0.809 | 0.817 | 0.818 | 0.816 | 0.810 |
Panel B - Salari | |||||
Quota contratti TD | -0.482*** | -0.371*** | -0.306*** | -0.219*** | -0.138*** |
Altri controlli | [0.038] Yes | [0.019] yes | [0.008] yes | [0.017] yes | [0.025] yes |
Costante | 10.741*** | 10.884*** | 10.958*** | 11.180*** | 11.381*** |
[0.046] | [0.033] | [0.056] | [0.034] | [0.166] | |
N. of Oss. | 8278 | 8278 | 8278 | 8278 | 8278 |
R2 | 0.876 | 0.884 | 0.885 | 0.882 | 0.876 |
Panel C - Profitti | |||||
Quota contratti TD | 0.063** | 0.063*** | 0.055*** | 0.062*** | 0.114*** |
Altri controlli | [0.031] Yes | [0.013] yes | [0.009] yes | [0.016] yes | [0.028] yes |
Costante | -0.104** | -0.111 | -0.038 | 0.014 | 0.013 |
[0.044] | [0.069] | [0.046] | [0.057] | [0.032] | |
N. of Oss. | 8202 | 8202 | 8202 | 8202 | 8202 |
R2 | 0.335 | 0.363 | 0.367 | 0.36 | 0.332 |
Nota: altre variabili di controllo: composizione dell'occupazione (genere, dirigenti, colletti blu, colletti bianchi, assunzioni, immigrati), posti vacanti, innovazione di prodotto, innovazione di processo, fusioni e acquisizioni, età delle imprese, settore di attività, macroregione ecc.). Errori standard robusti tra parentesi. *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1
Fonte: RIL-Inapp 0000-0000-0000.
Considerando congiuntamente le stime dei Panel A, B e C emerge che una quota maggiore di dipendenti a tempo determinato in imprese ad alta produttività non diminuisce la produttività del lavoro e riduce i salari medi di un valore inferiore allo 0,2% nelle imprese con alto costo del lavoro/alte retribuzioni. Viceversa, nelle imprese a bassa produttività una percentuale più elevata di lavoratori a tempo determinato è associata ad una forte diminuzione della produttività del lavoro e comprime la retribuzione media delle imprese di quasi lo 0,7%. Focalizzando l’attenzione su imprese ad alta produttività, un uso incrementale del lavoro a breve termine sembra non aver impatto sulla produttività del lavoro. Dato che sia la produttività del lavoro che le equazioni salariali sono stimate sugli stessi campioni con le stesse variabili di controllo, come suggerito da Garnero et al. (2016), i parametri per la produttività e le retribuzioni possono essere confrontati al fine di trarre alcune conclusioni sulla suddivisione dei benefici e delle perdite tra imprese (produttività media) e lavoratori (monte salari) derivanti dall’uso di contratti temporanei.
Tale effetto è illustrato con chiarezza nel Panel C. L'effetto negativo sui salari è più alto di quello che si trova sulla produttività del lavoro, specialmente al di sotto della mediana, suggerendo una sorta di pattern negativo tra il ricorso a lavoro temporaneo e la competitività delle imprese. Un'ulteriore spiegazione riguarda il tipo di contratti a breve termine utilizzati in imprese ad alta produttività, più simili al cosiddetto modello del port of entry dei dipendenti temporanei in occupazioni a tempo indeterminato piuttosto che al modello delle tappe intermedie – stepping stones - (Berton et al. 2011), in base al quale non vi è conversione dei tempi determinati in contratti a tempo indeterminato. Pertanto, è probabile che un aumento della quota di occupazione temporanea in imprese molto produttive non riduca la produttività del lavoro confermando la tesi secondo cui l'occupazione temporanea ha un impatto differenziato sulle imprese altamente e scarsamente produttive.
Considerando le stime della tabella 4.2 sembrano delinearsi due tipologie di strategie di competitività a livello di impresa: da un lato, il ricorso a lavoro a tempo determinato riduce la produttività del lavoro nelle imprese a bassa produttività ma può essere utilizzato per sostenere i profitti contenendo i salari medi di impresa; dall’altro, nelle imprese ad alta produttività il ricorso al lavoro temporaneo non incide direttamente sulla produttività del lavoro lasciando presagire un suo diverso utilizzo e non è associato ad una compressione dei costi.. In queste aziende, l'occupazione a breve termine è associata a maggiori profitti e costituisce una quota residuale del totale della forza lavoro.
Le imprese con basse remunerazioni e scarsa produttività sembrano utilizzare i contratti a tempo determinato come strategia per realizzare profitti senza incrementare la produttività del lavoro, mentre le imprese ad alta produttività ricorrono marginalmente al lavoro a tempo determinato senza che questo abbia conseguenze negative sulla produttività del lavoro e comprima solo marginalmente i costi di quest’ultimo.
Questa analisi sembra riflettere la dualità della struttura produttiva italiana con una coesistenza di imprese con basse remunerazioni e bassa produttività che ricorrono ad occupazione a tempo determinato per comprimere i costi del lavoro più della produttività media di impresa e, dall'altro, ad imprese ad alta produttività e con alte retribuzioni in cui un uso incrementale di lavoratori a tempo determinato colpisce solo marginalmente i salari senza ridurre la produttività media del lavoro. Si
conferma dunque la descrizione di una struttura produttiva polarizzata in cui il ricorso al lavoro temporaneo è da un lato, per le imprese poco produttive, funzionale a sostenere i profitti attraverso la riduzione del costo del lavoro e, dall’altro, per le imprese ad alta produttività, di tipo solo marginale, con impatto nullo sulla produttività del lavoro e minimo sui costi di quest’ultimo.
Le imprese a bassa produttività e bassi costi del lavoro utilizzano contratti a breve termine per sostenere i profitti comprimendo i costi della manodopera. Osservando la dinamica degli utili, emerge che una quota crescente di occupazione temporanea è associata a maggiori profitti nelle imprese con alti profitti. Tuttavia, le imprese con bassi profitti devono ridurre i costi medi del lavoro per sostenere i profitti e compensare le perdite di produttività derivanti da un uso incrementale di lavoratori a tempo determinato; nelle imprese con alti profitti l'occupazione temporanea non riduce la produttività del lavoro e non incide sui costi del lavoro.
Conclusioni
Negli ultimi due decenni l'attuazione delle riforme del mercato del lavoro in Italia – ad eccezione del Jobs Act - ha avuto come obiettivo principale quello di aumentare “al margine” la flessibilità contrattuale incrementando la quota di lavoratori con contratti a termine. Il Jobs Act ha invece previsto una riformulazione del contratto a tempo indeterminato attraverso una riduzione dei costi di licenziamento previsti da quest’ultimo, flessibilizzando una forma contrattuale già esistente, ovvero quella del contratto a tempo indeterminato.
Alcune ricerche, tuttavia, dimostrano che la diffusione del tempo determinato può generare effetti negativi sulla crescita della produttività attraverso un indebolimento degli incentivi ad investire in capitale umano on-the-job (Xxxxx e Xxxxxxx 2012, Xxxxx e Xxxxxxxx 2015). Analogamente, vi sono evidenze che supportano l’ipotesi secondo cui le scelte di assumere con contratti a termine genera nel medio periodo un indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e, per questa via, una compressione delle prospettive salariali degli individui (Xxxxxxx et al. 2018) e delle prospettive di innovazione d’impresa (Xxxxxx e Xxxxxxxx 2008, Xxxxxxx et al. 2018). Nelle sezioni precedenti si è discusso d’altra parte del fatto che le implicazioni dell’uso dei contratti a tempo determinato per la dinamica della produttività e dei salari dipende fondamentalmente dalla eterogeneità delle strategie competitive e dalle caratteristiche delle imprese che li adottano.
In questa prospettiva l’analisi empirica ha permesso di verificare in che misura il lavoro temporaneo esercita un impatto assai differenziato lungo la distribuzione della produttività e dei salari. In particolare, l’applicazione di diverse tecniche di regressione quantilica sulla componente longitudinale del dataset RIL-AIDA ha permesso di verificare i seguenti risultati. Primo, l’utilizzo dei contratti a tempo determinato esercita un impatto negativo sulla produttività del lavoro e sui salari medi pagati dalle imprese. Secondo, l’effetto negativo associato alla diffusione dei contratti a termine è decrescente lungo i quantili della distribuzione della produttività e dei salari. Terzo, il lavoro temporaneo riduce la produttività del lavoro in misura inferiore di quanto permetta un risparmio dei costi del lavoro in corrispondenza di tutti i quantili della distribuzione, con la conseguenza che emerge una correlazione positiva tra contratti a termine e margini di profitto. Nel complesso, i nostri risultati supportano l’ipotesi che la diffusione dei contratti a tempo determinato – e più in generale della flessibilità contrattuale - abbia favorito un modello competitivo orientato prevalentemente verso la riduzione del costo del lavoro e, di conseguenza, alimentato il dualismo del tessuto imprenditoriale italiano, ovvero la coesistenza di imprese altamente e scarsamente produttive con performance e strategie differenti fra loro.
Appendice
Tabella A1 Caratteristiche del campione
0000 | 0000 | 0000 | Whole period | |||||
Media* Std. Dev. | Media* Std. Dev. | Media* Std. Dev. | Media* Std. Dev. | |||||
% Contratti a tempo determinato | 10.5 | 0.21 | 10.6 | 0.20 | 7 | 0.18 | 9.2 | 0.20 |
% Quadri | 3.6 | 0.11 | 3.3 | 0.10 | 5 | 0.15 | 4.1 | 0.12 |
% Impiegati | 44.1 | 0.37 | 44.8 | 0.37 | 54 | 0.37 | 47.7 | 0.37 |
% Operai | 52.1 | 0.37 | 51.9 | 0.38 | 41 | 0.38 | 48.2 | 0.38 |
% Donne | 37.3 | 0.33 | 42.2 | 0.33 | 44 | 0.35 | 41.3 | 0.34 |
% Lavoratori formati | 19.6 | 0.35 | 18.0 | 0.33 | 28 | 0.41 | 22.1 | 0.37 |
Vacancy | 15.4 | 0.36 | 6.8 | 0.25 | 5 | 0.22 | 8.9 | 0.28 |
(Log) n. di dipendenti | 1.95 | 1.19 | 1.73 | 1.16 | 1.55 | 1.09 | 1.74 | 1.16 |
(Log) capitale fisico per dipendente | 9.82 | 1.50 | 9.96 | 1.73 | 9.80 | 1.97 | 9.86 | 1.75 |
Innovazioni di processo | 34.8 | 0.48 | 25.6 | 0.44 | 26 | 0.44 | 28.7 | 0.45 |
Innovazioni di prodotto | 54.5 | 0.50 | 37.3 | 0.48 | 33 | 0.47 | 41.3 | 0.49 |
Associazione datoriale | 54.0 | 0.50 | 49.2 | 0.50 | 49 | 0.50 | 50.5 | 0.50 |
Xxxxxx & Acquistion | 1.2 | 0.11 | 3.9 | 0.19 | 3 | 0.16 | 2.6 | 0.16 |
Performance Related Pay | 4.1 | 0.20 | 4.1 | 0.20 | 3 | 0.18 | 3.9 | 0.19 |
Impresa estera | 1.0 | 0.10 | 0.8 | 0.09 | 1.0 | 0.09 | 0.9 | 0.09 |
Nord-Ovest | 35.1 | 0.48 | 30.1 | 0.46 | 39 | 0.49 | 35.0 | 0.48 |
Nord-Est | 23.0 | 0.42 | 25.7 | 0.44 | 26 | 0.44 | 25.0 | 0.43 |
Centro | 22.4 | 0.42 | 26.3 | 0.44 | 19 | 0.39 | 22.5 | 0.42 |
Sud | 19.4 | 0.40 | 17.9 | 0.38 | 16 | 0.36 | 17.6 | 0.38 |
N di osservazioni | 2,668 | 2,824 | 2,697 | 8,189 |
(*) valori percentuali.
Fonte RIL-Inapp 0000-0000-0000. Pesi di campionamento applicati
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