COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) MARINARI Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) SICA Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) XXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXX
Nella seduta del 11/11/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema del regime giuridico dei contratti bancari stipulati dall’impresa dopo l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Con ricorso presentato il 10 giugno 2014 - preceduto da reclamo dell’1 agosto 2013 non riscontrato dall’intermediario – la società istante ha esposto di essere titolare di un rapporto di conto corrente intrattenuto presso l’intermediario resistente. In data 19 dicembre 2012 aveva depositato domanda di concordato preventivo “in bianco”, e, il successivo 20 dicembre 2012 aveva chiesto all’intermediario che tutte le somme comunque pervenute sul conto corrente, venissero stornate presso un diverso conto corrente acceso per le finalità della procedura; nelle more, il concordato era stato omologato dal tribunale con decreto depositato il 2 gennaio 2014. Non avendo
l’intermediario provveduto a quanto richiesto, proponeva reclamo reiterando la richiesta di messa a disposizione delle somme incassate per conto della società. Ciò premesso, la ricorrente ha dedotto che il dies a quo, nel quale era sorto l’obbligo dell’intermediario di rimettere tutti i versamenti in conto corrente nella disponibilità della procedura concordataria, andava determinato nella data del 19 dicembre 2012, in cui era stata presentata la domanda di concordato preventivo; in particolare, poi, ha argomentato sottolineando la rilevanza della scientia decotionis della banca, e affermando, altresì, che i pagamenti in questione rappresentavano l’oggetto di un mandato in rem propriam della banca, e non potevano essere oggetto di compensazione ai sensi dell’art. 56 l.f.
Pertanto, ha chiesto all’Arbitro bancario finanziario di ordinare alla banca il versamento alla procedura concordataria della somma di € 28.154,46 e di tutte le somme a qualunque titolo pervenute successivamente al 19 dicembre 2012.
Nelle controdeduzioni, presentate il 27 agosto 2014, l’intermediario ha precisato che il rapporto contrattuale con la società ricorrente si articolava in un conto corrente di corrispondenza e in un conto anticipi, entrambi accesi in data 17 dicembre 2001. Ha eccepito, quindi, che il diritto della banca di trattenere le somme di cui la ricorrente chiede la restituzione è espressamente previsto sia dal contratto di conto anticipi sia dal contratto di conto corrente, ritualmente sottoscritti dalla ricorrente; e che, comunque, il proprio credito sarebbe sorto in epoca anteriore all’ammissione della ricorrente alla procedura di concordato preventivo.
L’intermediario ha chiesto, pertanto, il rigetto della domanda.
DIRITTO
La domanda ha sostanzialmente ad oggetto l’illegittimità del comportamento dell’intermediario che eccepisce la compensazione della somma pervenuta sul conto corrente intestato alla ricorrente con il proprio credito nei confronti di quest’ultima. La questione involge il tema più ampio della sorte dei contratti pendenti durante la procedura di concordato: in particolare, dei contratti bancari caratterizzati dalla concessione di credito
c.d. autoliquidante, nel quale, cioè, il rimborso del finanziamento avviene con l’incasso dei crediti smobilizzati dai terzi debitori.
E’ opportuno, quindi, accennare al quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento. Nel caso di specie, la società ricorrente aveva chiesto l’ammissione alla procedura di concordato c.d. in bianco, introdotta nella legge fallimentare dall’art. 82 del
d.l. 21 giugno 2013 n. 69, che ha modificato l’art. 161 l.f.: procedura caratterizzata dal fatto
che il debitore ne chiede l’ammissione senza depositare contestualmente il piano e la proposta ai creditori e, quindi, al fine, e con l’effetto, di beneficiare da subito del blocco delle azioni esecutive. Ai fini che qui interessano, in dottrina è stato osservato che, in realtà, la nuova forma di concordato non ha modificato il regime giuridico dei contratti pendenti: ciò in quanto, dall’introduzione dell’art 169 bis l.f. (ex art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134), si è rafforzato il principio della continuazione dei contratti in corso di esecuzione, argomentando a contrariis dalla necessità dell’autorizzazione del tribunale per procedere alla sospensione o allo scioglimento (in vero, tale conclusione era sostenuta anche nella disciplina previgente, in virtù del mancato richiamo dell’art. 72 l.f. nella disciplina del concordato preventivo). La continuazione dei contratti pendenti deve essere coordinata, comunque, con il principio della cristallizzazione del patrimonio della società, che comporta il divieto di soddisfare i creditori in forme diverse da quelle che sono (o saranno, nel concordato c.d. in bianco) previste nel piano.
Il problema, come accennato, si pone in modo particolare per i contratti di credito modulati sullo schema del c.d. rischio autoliquidante, perché esige di ricercare i termini di un raccordo tra la cristallizzazione del patrimonio dell’impresa e il diritto della banca, che ha effettuato il finanziamento mediante l’anticipazione sui crediti vantati dal cliente nei confronti dei terzi, con forme che possono essere oltremodo diversificate, al rimborso mediante incameramento, parziale o totale, delle somme rinvenienti dal pagamento del terzo: problema che risulta accentuato dalla necessità di identificare il momento genetico del diritto della banca, che può essere individuato i) nell’atto della stipula del contratto con il cliente (ma questo è un caso non frequente nella prassi, che presupporrebbe un obbligo della banca di procedere ad ogni anticipazione richiesta quale mero atto esecutivo, senza poter valutare discrezionalmente la propria convenienza alla singola operazione), oppure, se il contratto ha una struttura di tipo normativo regolando i termini delle singole operazioni di volta in volta effettuate, ii) nel momento in cui è effettuata l’anticipazione, o iii) in quello in cui è pervenuto il pagamento del terzo.
In sintesi, e prescindendo qui dalle questioni teoriche che si accompagnano alla scelta tra l’una o l’altra opzione, la giurisprudenza, sia pure con qualche incertezza, distingue le seguenti ipotesi: a) la cessione di credito ritualmente notificata al debitore ceduto, pur rappresentando una cessione in garanzia – per cui l’anticipazione eseguita dalla banca non ha causa corrispettiva della cessione, ma assolve ad una funzione creditizia – perfeziona il diritto della banca a esigere la prestazione anche dopo l’ammissione del creditore cedente alla procedura di concordato, in virtù della disciplina
sancita dagli artt. 1260 ss. cod. civ. e 45 e 169 l.f.; b) in mancanza di cessione, si è in presenza di un mandato all’incasso che, però, non determina la caducazione del diritto della banca a incamerare il pagamento del terzo se il contratto contempla espressamente un patto di compensazione (sovente definito dalla giurisprudenza come clausola di elisione o di annotazione, ad attestare come non sia pacifica la riconducibilità ad una forma di compensazione vera e propria, quanto piuttosto alla integrità delle pattuizioni contrattuali rimaste vigenti tra le parti: Xxxx. 1 settembre 0000, x. 00000; c) in mancanza, soccorrono i principi dell’art. 56 l.f. (espressamente richiamato dall’art. 169 l.f.), in forza dei quali il credito restitutorio della banca si costituisce al momento del pagamento del terzo, e se questo è effettuato dopo la decorrenza degli effetti del concordato, fa sorgere diversamente un obbligo di restituzione a carico della banca (Cass. 7 maggio 2009, n. 10548).
Ciò premesso, nella controversia all’esame del Collegio le allegazioni delle parti consentono di specificare il thema decidendum nella disciplina applicabile ai pagamenti pervenuti alla società istante sul conto corrente intrattenuto presso l’intermediario successivamente al 19 dicembre 2012.
Infatti, la domanda della ricorrente ha ad oggetto la rimessione degli accrediti dal 19 dicembre 2012, data di deposito della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo; a tale proposito, è da rilevare come, nella prospettiva della società ammessa al concordato, l’apertura di un conto corrente sul quale fare affluire le disponibilità, così come la riscossione dei crediti, costituiscano atti di ordinaria amministrazione, conformemente al criterio distintivo dagli atti straordinari, elaborato dalla giurisprudenza e fondato sull’attitudine degli atti a conservare l’attività di impresa senza incidere negativamente sul suo patrimonio (si è ritenuto, in particolare, che non vi sia pregiudizio nell’accredito di somme sui conti correnti della società: Trib. Milano 11 dicembre 2012).
La questione va risolta, quindi, richiamando la disciplina dell’art. 168 l.f., in forza del quale i creditori non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore – e, quindi, nemmeno ricevere altrimenti la prestazione – dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (così per la modifica disposta all’art. 168 dall’art. 33 del citato d.l. 22 giugno 2012, n. 83, che ha sostituito le parole “presentazione del ricorso” con le parole “pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese”, con effetto dall’ 11 settembre 2012, e, quindi, applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis): disciplina che va letta in combinato disposto con l’art. 184 l.f., che stabilisce che il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori
anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso (qui, la modifica del ricordato art. 33 ha sostituito le parole “al decreto di apertura della procedura di concordato”).
Nel caso di specie, l’iscrizione della domanda di ammissione nel registro delle imprese è avvenuta il 27 dicembre 2012; e, pertanto, le somme affluite successivamente sul conto corrente dovrebbero essere automaticamente acquisite dalla procedura di concordato preventivo.
L’intermediario, però, ha allegato e prodotto i contratti del conto anticipi e del conto corrente di corrispondenza, stipulati il 17 dicembre 2011, che, nell’art. 8, in due clausole di identica collocazione nel testo negoziale e di identico contenuto, tra l’altro autorizzano la resistente ad avvalersi della compensazione legale e volontaria. La fattispecie, pertanto, rientra nella lett. b) dell’esemplificazione sopra riportata, con la conseguente vigenza del rapporto contrattuale inter partes: rapporto che – come osservato in dottrina e giurisprudenza – deve essere inteso in modo unitario, sicché il patto di compensazione, collegato al mandato a riscuotere, costituisce manifestazione di un programma negoziale unico (e ciò soprattutto nel rapporto di conto corrente, nel quale si innestano le diverse forme di concessione di credito, tra cui le operazioni c.d. autoliquidanti). Peraltro, come sopra accennato, non si verserebbe nemmeno in una ipotesi di compensazione secondo lo schema modellato dal legislatore negli artt. 1241 ss. cod. civ. e nell’art. 56 l.f., per quanto riguarda le procedure concorsuali con gli opportuni adattamenti di disciplina, giacché, piuttosto, l’utilizzo della banca delle somme incassate dai terzi rientra nell’esecuzione del contratto stipulato con il cliente: nella giurisprudenza di merito si legge, dunque, che si verifica “un mero effetto contabile dell’esercizio del diritto spettante al correntista, di variare continuamente la sua disponibilità: in altri termini l’annotazione delle riscossioni e dei pagamenti non fa sorgere crediti o debiti in senso giuridico, ma serve a rappresentare le modificazioni quantitative che il rapporto subisce nel suo svolgimento, e quindi ad attuare un continuo regolamento contabile dei singoli crediti” (Trib. Bergamo 21 novembre 2011; oltre la pronuncia di legittimità sopra citata, si cfr. anche Trib. Monza 27 novembre 2013; Trib. Roma 21 aprile 2010). Il Collegio condivide l’interpretazione in parola, e rileva, altresì, che un ulteriore elemento di fondatezza può rinvenirsi sistematicamente nel fatto che la società in concordato preventivo ha la possibilità di paralizzare o escludere definitivamente gli effetti derivanti dal vincolo contrattuale, esercitando la facoltà attribuita dall’art. 169 bis l.f. di chiedere l’autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento del contratto; facoltà che, nella fattispecie in esame, la società ricorrente non ha ritenuto evidentemente conforme ai propri interessi, di guisa che
non può sottrarsi all’applicazione delle regole pattizie. Nemmeno può ottenere ciò con i richiami inconferenti alla conoscenza che l’intermediario potrebbe avere avuto delle difficoltà patrimoniali della società, atteso che si tratta di un elemento rilevante solo in tema di azione revocatoria, come d’altronde evoca in via astratta l’istante, ma che non ha alcuna sede nel presente procedimento.
Pertanto, il ricorso è da ritenere infondato.
P.Q.M.
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1