Abstract
Lifelong Learning e causa del contratto nel paradigma della Flexicurity
Xxxx Xxxxx Xxxxxxx | matricola 1013991 | Tutor Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx |
Abstract
Il 2012 è stato proclamato come l’”Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni”.
La popolazione dei Paesi UE sperimenta, infatti, un costante incremento dell’aspettative di vita media, da cui deriva la necessità di un prolungamento della carriera lavorativa di ogni singolo individuo.
Come poter realizzare tali obbiettivi in un periodo di crisi economica, caratterizzato da crescenti tassi di disoccupazione e da profondi tagli ai sistemi di welfare?
La UE indica nella Flexicurity e, in particolare, nell’implementazione di politiche di Lifelong Learning, le ricette per affrontare tali sfide (capitolo 1°).
Dopo una disamina dei vari modelli di Flexicurity esistenti (capitolo 2°) ed una verifica del modello adottato in Italia, prima e dopo la riforma introdotta con la
L. 92/2012 (capitolo 3°), si procede ad individuare come la Repubblica italiana assicuri la applicazione degli artt. 4 e 35, 2° comma Cost.
Fondamentale per l’effettuazione di una tale verifica è l’individuazione degli strumenti (pubblici e contrattuali) che assicurino al lavoratore Over50 un costante adeguamento del proprio bagaglio professionale, così da proteggerne l’occupazione posseduta o garantirne una maggior occupabilità. L’analisi viene condotta ponendo l’attenzione sugli strumenti di L.L.L. che danno attuazione alle previsioni costituzionali dapprima nel rapporto tra la singola persona e lo Stato (capitolo 4°) e, successivamente, nei rapporti individuali a livello contrattuale (capitolo 5°); nel fare ciò si presta particolare attenzione alla causa contrattuale ed alla eventuale presenza in essa del diritto-dovere alla formazione continua.
Parole chiave: invecchiamento demografico, Flexicurity, Lifelong Learning, riforma del mercato del lavoro, FSE, Fondi Interprofessionali, apprendistato, causa del contratto di lavoro.
“Nei prossimi venti o trent’anni il problema demografico dominerà la politica di tutti i paesi sviluppati; e saranno inevitabilmente fasi politiche di grande turbolenza. Nessun paese è pronto per affrontarle. In nessun paese i partiti politici sono attrezzati per fronteggiare i dilemma posti da questa evoluzione demografica”
X. Xxxxxx (1)
“Esattamente che cosa morirà e che cosa sussisterà della civiltà attuale? In quali condizioni, in quale senso la storia si svolgerà in seguito? Questi quesiti sono insolubili. Ciò che noi sappiamo sin d’ora è che la vita sarà tanto meno inumana quanto più grande sarà la capacità individuale di pensare e di agire”
Xxxxxx Xxxx (2)
Le sopracitate frasi rappresentano i due estremi del problema che si è cercato di affrontare con il presente lavoro. Da un lato si registra una chiara problematica di natura demografica derivante dal prolungamento delle aspettative di vita media (come anticipava Xxxxxx), che impone l’adozione di strategie che consentano un prolungamento della vita lavorativa. Dall’altro, appare necessario affrontare la sfida fornendo ad ogni singola persona la possibilità di “pensare ed agire” (come suggeriva Weil), priorità che, declinata nell’ambito del mercato del lavoro, significa dotare ogni soggetto degli strumenti di conoscenza e di aggiornamento professionale che possano permettergli di mantenere il posto di lavoro o garantirgli occupabilità.
Limitando l’angolo di osservazione di un tale problema ai soli lavoratori maturi (Over50), le sfide appaiono ancor più urgenti e complesse: si tratta, infatti, di individuare possibili soluzioni che permettano una tutela di soggetti considerati “troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per la pensione”.
Gli Over50 rischiano, in virtù del combinato effetto tra il rapido invecchiamento della popolazione (3) e la Riforma del sistema pensionistico adottata con la L. 214/2011 (4), di sperimentare momenti di povertà nella fase finale della propria vita lavorativa, poiché contemporaneamente esclusi dal mondo del lavoro e da forme di sostegno al reddito o di accompagnamento verso la pensione.
1 Le sfide di management del XXI Secolo, Milano, 1999, pagg. 52 e 53. 2 Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Milano, 1983. 3 Su cui si rinvia al Capitolo 1, paragrafo 2°
4 Art. 24, commi da 1 a 30, Legge 22 dicembre 2011, n. 214, c.d. “Salva Italia”.
Il mutato scenario normativo e demografico impone, quindi, una diversa strategia per la gestione del personale maturo, che deve tramutarsi, secondo le ambizioni della UE, da problema in risorsa. Per fare ciò si deve dotare il singolo lavoratore maturo, attraverso l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, di conoscenze professionali sempre aggiornate e spendibili sul mercato del lavoro.
In tal modo si può realizzare – con riferimento ai lavoratori maturi – il c.d. “Welfare delle opportunità” (5): il continuo aggiornamento delle conoscenze e delle competenze, in tutti gli stadi della vita, consentirà agli Over50 di rimanere al passo con i mutamenti dell'economia e con le caratteristiche di un mercato del lavoro “…ove la natura delle occupazioni cambia velocemente, poiché alcune professionalità scompaiono e altre nuove si creano” (6).
Per il raggiungimento di tale obbiettivo è necessario verificare l’utilizzabilità della Flexicurity, quale strumento di supporto alla occupabilità dei lavoratori maturi: si cercherà, così, di individuare le diverse strategie di Flexicurity indicate dalla UE (analizzandone le modalità applicative in alcuni Paesi europei), per poi identificare quale sia il modello adottato in Italia e quale quello cui ambisce la recente Riforma del mercato del lavoro.
Su tali basi si potrà appurare l’effettiva adozione in Italia di misure di Flexicurity che consentano al lavoratore Over50 un prolungamento della propria vita lavorativa.
Alla luce di tali conclusioni si procederà lungo due diverse direttrici: da una parte si cercherà di determinare quali siano gli strumenti di concreta attivazione della Flexicurity, individuando le politiche di supporto adottate a livello locale per l’aggiornamento delle competenze o per l’occupabilità degli Over50.
Dall’altra, si analizzerà la possibilità di rendere il Lifelong Learning parte, a tutti gli effetti, del singolo rapporto di lavoro. Particolare attenzione verrà, pertanto, dedicata all’analisi della causa del contratto di lavoro subordinato ed alla verifica circa la possibilità che la stessa, al fine di conseguire gli obbiettivi
5 Cui fa espressamente cenno il c.d. ”Libro bianco” presentato nel maggio 2009 dal Ministro del Lavoro Xxxxxxxx Xxxxxxx e reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xxxxxx.xxx.xx/Xxxxxx/XxxxxXxxxx/00000000_Xxxxxxxxxxxxx_XxxxxXxxxxx.xxx
6 Si veda ancora il Libro Bianco citato alla nota che precede.
sopraindicati, debba essere – eventualmente – integrata con l’obbligo (sia dal punto di vista del datore di lavoro, che da parte del lavoratore) di svolgere una attività di formazione continua.
Sommario
Capitolo 1
Le sfide derivanti da un rapido invecchiamento della popolazione
1.1. Premessa: lo scenario di riferimento.
1.2. In particolare: l’invecchiamento della popolazione in Italia.
1.3. La risposta della UE: la strategia “Europa 2020” e i suoi successivi aggiornamenti.
1.4. Gli ostacoli per un invecchiamento attivo.
Capitolo 2
La Flexicurity
2.1. Premessa.
2.2. Le diverse declinazioni della Flexicurity: inesistenza di un unico modello.
2.3. Esempio del c.d. “Sistema Nordico”: la Danimarca.
2.4. L’esempio del c.d. “Sistema Continentale”: la Germania.
2.5. Il c.d. “Sistema Mediterraneo”: la Spagna.
2.6. Il “Modello Anglo-Sassone”: l’Irlanda.
2.7. Conclusioni.
Capitolo 3
Quale modello di Flexicurity in Italia?
3.1. Premessa.
3.2. La situazione pre-riforma così come fotografata dall’indagine conoscitiva della XI Commissione della Camera dei Deputati.
3.3. Proposte di intervento in tema di Flexi(curity) all’italiana: il contratto unico a protezione progressiva.
3.4. Proposte di intervento in tema di Flexicurity all’italiana: il “contratto unico di ingresso”.
3.5. Flexicurity all’italiana: il “contratto unico di inserimento formativo”.
3.6. Flexi(curity) all’italiana: il riconoscimento del diritto dei lavoratori all’apprendimento permanente ed alla formazione.
3.7. La riforma del mercato del lavoro: la l. 92/2012.
3.8. Le misure a favore degli Elders.
3.9. Conclusioni.
Capitolo 4
Gli interventi pianificati ed attuati a livello regionale e locale.
4.1. Premessa.
4.2. Una panoramica delle diverse tipologia di interventi.
4.3. I bandi.
4.4. Il Fondo Sociale Europeo.
4.5. Nel dettaglio: l’esperienza della Liguria.
4.6. Gli interventi attuati in Lombardia: in particolare il patto intergenerazionale.
4.7. I fondi paritetici interprofessionali.
4.8. Il Position Paper dei Servizi della Commissione sulla preparazione dell’Accordo di Partenariato e dei programmi in Italia per il periodo 2014/2020.
Capitolo 5
Possibili scenari per la piena attuazione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita
5.1. Premessa
5.2. La prima linea di intervento: un contratto di inserimento con finalità formative; verso l’apprendistato come contratto unico di inserimento.
5.3. La seconda linea di intervento: il ruolo centrale della formazione nel contratto di lavoro.
5.4. La causa del contratto e la causa dei contratti di scambio.
5.5. La causa nel contratto di lavoro.
5.6. Conferma: l’interpretazione costituzionalmente orientata della causa del contratto di lavoro.
5.7. Le critiche ad un simile approccio.
5.8. Conferma della correttezza dell’impostazione propugnata.
5.9. Su chi grava il costo della formazione?
Capitolo 6
Conclusioni
Bibliografia
Indice delle figure
Figura 1 - Previsioni tasso di longevità e tasso di natalità |
Figura 2 – OEDC, 2006 Figura 3 - Indice di dipendenza demografica Europa periodo 2015 – 2060 |
Figura 4 – Dati Istat |
Figura 5 - OECD, 2006 Formazione dei lavoratori maturi e pay-back period |
Figura 6 – Dati Eurostat (Labour Force Survey) |
Figura 7 – Employment protection in OEDC and selected non-OEDC countries, 2008 |
Figura 8 - Tipologia di azioni finalizzate al prolungamento della vita attiva (Fonte ISFOL) |
Figura 9- Tipologie di finanziamento (fonte ISFOL) |
Figura 10 - Categorie di intervento FSE (Fonte ISFOL) |
Figura 11- Disoccupazione lunga durata Figura 12 – Domanda ed offerta di Lavoro tendenza 2020 |
Capitolo 1
Le sfide derivanti da un rapido invecchiamento della popolazione.
1.1. Premessa: lo scenario di riferimento.
Una delle principali sfide che dovranno affrontare i paesi dell’OCSE nei prossimi anni è costituita dal rapido invecchiamento della popolazione, non accompagnata da un tasso di natalità sufficientemente adeguato da attenuarne gli effetti.
Secondo le previsioni entro il 2060 l’Europa avrà un rapporto tra Over65 (destinatari del trattamento di quiescenza) e la coorte di età compresa tra i 18 ed i 64 anni (pertanto in età lavorativa) pari al 50% (7).
Tale preoccupante relazione deriva dalla interazione tra fattori di segno opposto: l’invecchiamento della generazione del c.d. “baby-boom”, l’aumento delle aspettative di vita ed un tasso di fertilità medio in costante decrescita (8).
7 Eurostat, Europop2008, Convergence Scenario,2008, xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx .
8 OECD, Live longer, work longer, 2006, pag. 18.
Figura 1 - Previsioni tasso di longevità e tasso di natalità
Analizzando i dati nella prospettiva del loro impatto sui sistemi di welfare, appare chiaro che l’invecchiamento della popolazione, da cui deriva una crescita dei costi ed una diminuzione delle entrate, non sarà adeguatamente compensato da un corrispondente (9) incremento del numero di lavoratori attivi, come tali fonti di indispensabili versamenti previdenziali e fiscali.
Gli indicatori sono allarmanti: rebus sic stantibus nei paesi OCSE entro il 2050 il rapporto tra gli Elders inattivi e le persone in età lavorativa si raddoppierà, passando dal 38% del 2000 al 70%. Si avrà, quindi, una persona inattiva ogni 1,4 persone attive.
9 Vodopivec M e Dolenc P., Live longer, work longer: making it happen in the labour market, SP Discussion Paper n. 0803, Febbraio 2008, pag. 2.
In Europa un tale rapporto sarà addirittura di uno a uno: ovvero un lavoratore per ogni Over65 (10).
Ulteriore conseguenza sarà un decremento del 15% del tasso di occupazione medio dei paesi UE entro il 2050 (11).
Figura 2 - OECD , 2006
Ad aggravare ulteriormente la situazione vi è l’effetto di un dato positivo, quale la costante crescita delle aspettative di vita: ad esempio, nel caso dell’Italia tra il 2010 ed il 2050 la speranza di vita aumenterà di 5,9 anni per gli uomini e di 5,4 per le donne (12); i primi raggiungeranno una vita media di 84,5 anni e le seconde di 89,5.
Si assisterà, pertanto, ad un incremento del c.d. “indice di dipendenza” (13): la crescita del numero di persone destinataria della spesa sanitaria e previdenziale e la maggior durata di tali forme di welfare, non saranno supportate da un
10 OECD, Live longer, work longer, 2006
11 OECD, Live longer, work longer, 2006
12 ISTAT, Indicatori demografici anno 2010, Roma, 24 gennaio 2011.
13 Si tratta di quel dato statistico che è calcolato rapportando la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) a quella in età attiva (15-64 anni) e moltiplicando tale rapporto per 100. L’indice totale corrisponde alla somma degli indici di dipendenza giovanile e senile.
adeguato aumento del numero di persone in età lavorativa fonte di gettito contributivo e fiscale (14).
Figura 3 - Indice di dipendenza demografica Europa periodo 2015 – 2060 (15)
La situazione è tale per cui “… nei prossimi venti o trent’anni il problema demografico dominerà la politica di tutti i paesi sviluppati; e saranno inevitabilmente fasi politiche di grande turbolenza. Nessun paese è pronto per affrontarle. In nessun paese i partiti politici sono attrezzati per fronteggiare i dilemmi posti da questa evoluzione demografica.” (16).
14 Illuminante sul punto l’osservazione di Capacci G. (L’opportunità della finestra demografica in Italia: perché non sfruttarla?, in Quaderni europei sul nuovo welfare, 3, 2006, pag . 202): “ nel corso degli ultimi cinquanta anni la quota di over 65 è raddoppiata mentre il numero di bambini si è quasi dimezzato. Invece, è rimasta stabile la popolazione in età attiva, ciò frutto soprattutto dei baby boomers. Questo fenomeno – ovvero un periodo in cui un maggior numero di individui in età lavorativa mantiene un numero relativo più basso di anziani e giovani a carico – va governato poiché alla fase positiva, in cui molti pagano i contributi, seguirà una fase negativa, in cui dovranno essere pagate molte pensioni; questa dinamica evidentemente genererà un tracollo finanziario per l’impossibilità di far fronte alla crescita esponenziale della spesa pensionistica...”.
15 Centra M. e Deidda M., Quadro demografico e sostenibilità macroeconomica in Europa ed in Italia,
Osservatorio ISFOL II (2012), n. 2 pag. 120.
16 Xxxxxx P., Le sfide di management del XXI Secolo, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, 1999, pagg. 52 e 53. Colpisce la capacità prognostica con cui l’Autore è riuscito ad anticipare di numerosi anni quella che oggi si presenta come una delle principali sfide cui sono chiamati tutti i paesi dell’Unione Europea e, segnatamente, l’Italia.
1.2. In particolare: l’invecchiamento della popolazione in Italia.
Passando all’esame dei dati relativi al nostro Paese le previsioni sono addirittura peggiori rispetto alle già allarmanti previsioni per i paesi OCSE.
Il peso degli Over65 rispetto al resto della popolazione è non solo in costante crescita, ma procede anche con ritmi più sostenuti rispetto alla media OCSE, complice un tasso naturale di sostituzione (17) insufficiente poiché pari dal 1990 a 1,3 in media per ogni coppia.
Il nostro Paese, sulla base dei dati del 2008 presenta un rapporto tra anziani e giovani (c.d. “indice di vecchiaia”) nettamente sproporzionato (143,1%) e tale da collocare l’Italia a notevole distanza dal valore medio per la UE (pari a 108,6%).
Figura 4 – dati Istat (18)
17 Il tasso di sostituzione è quello che misura la capacità di una popolazione di mantenere il proprio numero stabile: il tasso minimo è pari 2,1 per ogni coppia.
Tale dato, così come si è visto per i paesi OCSE, è il risultato del combinato disposto tra bassi tassi di fertilità, un progressivo invecchiamento della generazione del baby boom ed un costante incremento dell’aspettative di vita.
Appare, pertanto, chiaro come la sfida derivante dall’invecchiamento della popolazione si presenti nel caso dell’Italia particolarmente allarmante e pressante.
1.3. La risposta della UE: la strategia “Europa 2020” e i suoi successivi aggiornamenti.
Allo scopo di affrontare le sfide connesse non solo alla globalizzazione, ma anche all’invecchiamento della popolazione, il Consiglio Europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 (19) ha varato la strategia di sviluppo denominata “Europa 2020”, le cui priorità sono costituite dal realizzare una crescita intelligente (attraverso lo sviluppo di una economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione), sostenibile (grazie ad un utilizzo più efficiente delle risorse) ed inclusiva (assicurata con la promozione di più alti tassi di occupazione).
Onde realizzare tali priorità il Consiglio ha individuato cinque principali obbiettivi da raggiungere entro il 2020, (20) tra cui rileva, al fine di attenuare gli
18xxxx://xxxxxxxxx0000.xxxxx.xx/xxxxx.xxx?xxx0&xxxx_000xxx_xx0%0Xxx_xxxxxx%0Xx00&xXxxxx0
e254bbef3b6056940f404a2c13db832
19 Consultabile su xxxx://xxxxxx.xx/xxxxxxx_xxxxxxx/xxxxxxxxxxx/xxxxx_xx.xxx. Per un approfondimento: Affrontare la sfida. Strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione, Relazione del gruppo ad alto livello presieduto da Xxx Xxx, novembre 2004 (xxxx://xxx.xxxxxx.xxx.xx/XX/xxxxxxxxx/000X0000-0X00-0000-0XX0- FB29692A6D2B/0/kok_report04.pdf )
20 Scrive a tal proposito la Commissione: “… La Commissione propone i seguenti obbiettivi principali per l’UE: - il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni devono avere un lavoro; - il 3% del PIL dell’UE deve essere investito in R&S; - i traguardi “20/20/20” in materia di clima/energia devono essere raggiunti (compreso un incremento del 30% della riduzione delle emissioni se le condizioni lo permettono); - il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve essere laureato; - 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio povertà”.
effetti dell’invecchiamento della popolazione, il garantire che il 75% delle persone, di età compresa tra 20 e 64 anni, abbia un lavoro.
La Commissione, con le comunicazioni “Il futuro demografico dell’Europa, trasformare una sfida in un’opportunità” (21) e “Promuovere la solidarietà tra le generazioni” (22), ha indicato quali siano a suo avviso le sfide demografiche che la UE dovrà affrontare e quali le possibili opportunità che ad esse sono connesse.
La crisi finanziaria del 2008 ha, successivamente, imposto un significativo intervento volto ad adeguare al mutato contesto economico-finanziario la strategia Europa 2020: ne sono derivati gli atti della Commissione “Gestire l’impatto dell’invecchiamento della popolazione nell’UE (relazione 2009 sull’invecchiamento demografico) (23) e la comunicazione “Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva” del 3 marzo 2010 (24).
A ciò ha fatto seguito l’approvazione da parte del Parlamento Europeo, in data 11 novembre 2010, di una risoluzione sulla sfida demografica e la solidarietà tra generazioni.
Sulla base di tali atti appare chiaro come per la UE sia urgente programmare e realizzare interventi che pongano rimedio alla accelerazione dell’invecchiamento della popolazione poiché, “…con l’ondata di pensionamenti dei figli del baby boom, la popolazione attiva dell’UE inizierà a diminuire dal
21 COM (2006) 571 del 12 Ottobre 2006, consultabile all’indirizzo: xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXXX:0000:0000:XXX:XX:XXX
22 COM (2007) 244 del 10 maggio 2007 consultabile all’indirizzo:xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXXX:0000:0000:XXX:XX:XXX
23 COM (2009) 180 del 29 xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXX:X:0000:000:0000:0000:xx:XXX
24 COM (2010) 2020 definitivo in xxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXXX:0000:0000:XXX:XX:XXX
2013/2014..” e “…la diminuzione della popolazione attiva e l’aumento del numero di pensionati eserciteranno una pressione supplementare sui nostri sistemi assistenziali”(25).
Onde contenere tali effetti e favorire la realizzazione delle tre priorità Europa 2020 (crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva) la Commissione ha da un lato proclamato l’Anno 2012 quale “Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni” (26) e dall’altro ha presentato, tra le sette iniziative faro per catalizzare i progressi relativi a ciascuno dei sopraindicati obbiettivi, l’iniziativa “Un’agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro: un contributo europeo verso la piena occupazione”, volta alla creazione di un mercato del lavoro più inclusivo ed alla promozione dell’invecchiamento attivo, attraverso l’acquisizione di “… nuove competenze per consentire alla nostra forza lavoro attuale e futura di adeguarsi alle mutate condizioni ed all’eventuale riorientamento professionale, ridurre la disoccupazione ed aumentare la produttività del lavoro” (27).
Per la realizzazione di una tale iniziativa i singoli paesi membri sono stati invitati ad avviare “percorsi nazionali di flessicurezza” che, secondo le aspettative della UE, dovrebbero combattere la disoccupazione, innalzare i tassi di attività ed incrementare i livelli di partecipazione dei lavoratori anziani nel mercato del lavoro, ponendo solide basi per il prolungamento della vita attiva (28).
Tali percorsi di Flexicurity devono riguardare con particolare attenzione i lavoratori maturi, poiché “…l’aumento delle aspettative di vita della popolazione, se non accompagnato da un pari incremento della partecipazione al mercato del lavoro della
25 COM(2010) 2020 definitiva del 3 marzo 2010, pag. 8.
26 Si veda sul punto ISFOL, L’anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà tra generazioni: spunti di riflessione, Roma, ISFOL, 2012 ( Working Paper, n. 1).
27 Comunicazione della Commissione Europa 2020, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, del 3 marzo 2010 COM(2010) 2020 definitivo, pag. 20.
28 In questo senso si vedano le indicazioni del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, contenute nel Libro Bianco sul futuro del modello sociale, Maggio 2009 ed in La vita buona nella società attiva, Libro Verde sul futuro del modello sociale, Luglio 2008.
popolazione Over55, a parità di condizioni, riduce la base contributiva ed aumenta la spesa per le prestazioni”(29) e provoca, quindi, effetti negativi ai fini della sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale.
Punto nevralgico di tali percorsi di Flexicurity (in ordine alla cui analisi funditus si rinvia al Capitolo 2) è l’applicare i principi della formazione continua soprattutto nei confronti degli Over50, poiché, come si vedrà infra, l’obsolescenza delle “skills” rappresenta uno degli ostacoli alla loro permanenza in attività e, parimenti, il loro costante aggiornamento opera come fattore induttivo verso il prolungamento della vita attiva.
E’ dimostrato (30), infatti, che vi sia una correlazione positiva tra la partecipazione dei lavoratori maturi ad attività di aggiornamento professionale e il prolungamento della vita attiva e che sia “…possibile osservare come l’età intenzionale in cui l‘individuo pensa di ritirarsi dal lavoro aumenti con il crescere del livello di competenze e conoscenze possedute …” (31).
00 Xxxxxx X. x Xxxxxx X., op. cit., pag. 126.
30 OECD, Live longer, work longer, pag. 73 e ss e fig. 3.9, qui riportata per comodità di lettura.
31 Mandrone E., Xxxxxxxxx S. e Radicchia D., La partecipazione lavorativa degli over 50, Osservatorio ISFOL, II (2012), n. 2, pag. 110. Si veda anche la figura n. 8 di pag. 111, che da grafica evidenza di tale affermazione sulla base dei dati ISFOL – PLUS 2010. Si veda anche Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, The retirement decision in OECD countries, OECD Economics Department Working Papers, n. 98, OECD, Parigi, 1998.
Figura 5- OECD, 2006 Formazione dei lavoratori maturi e pay-back period
In altri termini, appare chiaro come i percorsi di Flexicurity raccomandati dalla EU al fine di attenuare gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si basino sulla circostanza che “…le competenze possedute ed agite dalla forza lavoro costituiscono una risorsa chiave di crescita economica, grazie agli effetti positivi che producono sia sull’incremento della produttività sia attraverso la capacità delle persone e delle imprese di adottare e stimolare nuove tecnologie, nuovi prodotti e servizi e innovazione.” Ciò in quanto “…carenza di competenze, obsolescenza di competenze e mismatch tra domanda ed offerta di lavoro provocano spreco di risorse, di talenti e riducono il potenziale di competitività e di crescita”(32).
1.4. Gli ostacoli per un invecchiamento attivo.
Se, quindi, la UE ha individuato quali strumenti per fronteggiare le sfide derivanti dall’invecchiamento della popolazione la promozione di una concezione del lavoro basata sull’intero ciclo della vita e, conseguentemente,
32 Xxxxxxxxxx A., Il lifelong learning come risposta al declino delle skills”, Osservatorio ISFOL, ISFOL II (2012), n. 2, pag. 12.
l’adozione di strategie che consentono un prolungamento della vita attiva, appare necessario domandarsi quali siano attualmente le barriere riscontrate per la permanenza al lavoro degli Over50 o per una loro ricollocazione.
L’OECD (33) ha individuati i principali ostacoli che operano spesso in modo congiunto enfatizzando gli effetti l’uno dell’altro in una sorta di cortocircuito; si tratta di barriere che si frappongono al mantenimento in attività dei lavoratori più anziani o che li rendono meno appetibili, creando quell’equazione perversa per cui gli Over50 sono i primi ad essere licenziati e gli ultimi ad essere riassunti.
In primo luogo vanno annoverati quell’insieme di fattori economici che inducono (“pull factors”) il lavoratore ad optare per una cessazione anticipata dell’attività lavorativa.
Si tratta, ad esempio, di quegli incentivi economici verso il prepensionamento (34).
Assai diffusa in Italia, fino alla recente riforma del sistema pensionistico (35), era la prassi di affrontare situazioni di crisi aziendale incentivando i lavoratori più anziani ad uscire dal mondo del lavoro per accedere, attraverso la prima finestra utile, al trattamento pensionistico (36), senza, quindi, aver raggiunto l’età per la pensione di vecchiaia (37).
33 OECD, Olders workers, Living longer, working longer, DELSA Newsletter Issue 2, 2006.
34 Per un maggior approfondimento sul tema: Xxxxxx J. e X. Xxxx, Social security and retirement around the world, University of Chicago Press, Chicago and London 1999; Id., Social security and retirement around the world: micro-estimation, Xxxxxxxxxx xx Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx xxx Xxxxxx, 0000; Blondal e X. Xxxxxxxxx, op. cit. 1998; Xxxxx X., The retirement effects of old-age pension and early retirement schemes in OECD countries, OECD Economics Department Working Papers, n. 370, OECD, Parigi, 2003; Xxxxxxxx J.M, Xxxxx R. e Xxxxxxxx F., Coping with ageing: a dynamic approach to quantify the impact of alternative policy options on future labour supply in OECD countries, OECD Economics Department Working Papers, n. 371, OECD, Parigi, 2003.
35 Legge 24 febbraio 2012, n.14, Nuove disposizioni in materia di trattamenti pensionistici.
36 Indicativo della diffusione della totale assenza di un age management è la costante approvazione data dalla Suprema Corte di Cassazione a quegli accordi sindacali che individuavano i lavoratori da
A ciò devono aggiungersi le spinte verso il ritiro anticipato derivanti dalla politica degli annunci di austerità nei benefici e nelle soglie di ritiro, che inducono il lavoratore ad uscire dal mercato del lavoro per il timore di perdere le posizioni acquisite (38).
Intervengono, infine, pratiche quali l’incidenza della tassazione sul cumulo tra pensione e redditi da lavoro; l’irrilevanza ai fini della quantificazione dell’assegno di quiescenza di ulteriori versamenti contributivi o l’incidenza, ai fini del calcolo dell’assegno pensionistico, del passaggio a part-time negli ultimi anni di lavoro.
In tutti tali casi il lavoratore è, quindi, incentivato (spinto, appunto, dai “pull factors”) ad interrompere l’attività lavorativa prima del compimento del sessantacinquesimo anno (o della diversa età per la maturazione della pensione di vecchiaia) ed a sfruttare le finestre per un pensionamento anticipato.
Vi sono, poi, fattori che impongono (“push factors”) al lavoratore maturo l’interruzione del rapporto di lavoro, nonostante una sua disponibilità alla prosecuzione dello stesso.
Si tratta, in particolare, dell’influenza che alcune presunzioni sui lavoratori
Over50 esercitano sulle scelte aziendali.
licenziare non in ragione della loro appartenenza al settore o alla divisione aziendale oggetto di ristrutturazione, ma sulla base della semplice loro possibilità di raggiungere, durante la mobilità, la prima finestra utile al pensionamento di anzianità con i minimi contributivi. Si tratta, in particolare, di Cass. Civ. Sez. Lav., 26 Aprile 2011, n. 12717 che espressamente scriveva: “… una volta accertato che sussisteva la necessità di licenziare parte dei lavoratori, la scelta, condivisa dai sindacati, di individuare i lavoratori da licenziare in coloro che avevano i requisiti per passare dal lavoro alla pensione, mantenendo in servizio coloro che invece sarebbero passati dal lavoro alla disoccupazione rimanendo privi di fondi di reddito, è una scelta di cui è difficile negare la ragionevolezza. … ln più occasioni il criterio della prossimità al trattamento pensionistico è stato ritenuto da questa Corte conforme al principio di non discriminazione in ragione dell'anzianità, anche nella sua dimensione europea, nonché a criteri di razionalità ed equità (cfr, in particolare, 24 aprile 2007, n. 9866; e 21 settembre 2006, n. 20455, alla cui motivazione si rinvia).
37 Segnalava l’irragionevolezza di tali scelte, ai fini della sostenibilità del sistema previdenziale,
Fornero E. e Xxxxxxxxxx X. (a cura di), La riforma del sistema previdenziale italiano, Bologna, 2001
Questi diventano, pertanto, i primi lavoratori ad uscire dall’azienda in fase di ristrutturazione poiché sono considerati i meno produttivi (39), i più costosi
(40) o i meno pronti ad affrontare le sfide connesse alle innovazioni di
processo o di prodotto (41).
Tale ultimo aspetto è strettamente connesso ad una pretesa scarsa propensione degli Over50 all’aggiornamento professionale, così come sembra confermato dai risultati dell’indagine Labour Force Survey – diffusi da ISFOL
(42) che rimarcano la presenza, anche nel 2011, di un “age gap” nella partecipazione ai programmi di Life Long Learning. A fronte, infatti, di una già bassa partecipazione dell’intera forza lavoro (25-64 anni) ad attività di istruzione o formazione, pari al 8,9% (con ampi divari tra i singoli stati europei e con l’Italia al 19° posto) il tasso di partecipazione dei lavoratori
38 In questo senso si veda: Xxxxxx F., Percorsi di transizione dall’occupazione verso il pensionamento nel settore industriale, in Accenti, n. 0, 2009.
39 Ciò soprattutto per una ritenuta maggior debolezza fisica e, quindi, per una maggior incidenza rispetto al lavoratore più giovane dell’uso della malattia. In senso contrario depongono, invece, i risultati dell’indagine ISFOL – PLUS, 2010 da cui emerge che lo stato di salute degli ultracinquantenni italiani è molto soddisfacente, atteso che l’incidenza di chi dichiara un buono stato di salute sfiora il 90% per gli occupati e scende all’85% per i pensionati. In senso opposto si veda Xxxxxxx X., Xxxxx J., Development of Competence: Xxxxxx a Taxonomy in International Encyclopedia of Education, Pergamon Press, Oxford, 1998 (electronic edition) e Gallina V. (a cura di), Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana 16-65 anni, Xxxxxxx, Roma, 2006 secondo cui esistono una serie di evidenze che testimoniano come con il progredire dell’età e, segnatamente dopo i 50 anni, si assista ad un declino delle capacità mentali e fisiche.
40 Si veda Xxxxxxxx V., Age and individual productivity: a literature survey”, Max – Planck Institute for Demographic Research Working Paper, WP 2003-028, Germany, agosto 2003. Crepon B. e Xxxxxx P. (Productivité et salaire des travailleurs âgés, Economie et statistique, n. 368, 2003, pagg. 157 – 185) hanno testimoniato, attraverso un’analisi condotta in Francia, che la produttività degli over 55 è leggermente in diminuzione a partire dai 55 anni pur a fronte di una crescita della retribuzione e delle tutele in uscita riservate ai lavoratori più anziani. Xxxxxxxxxxx J.K. e Xxxxxxx D. (Production function and wage equation estimation with heterogeneous labour: evidence from a new matched employer – employee data set, NBER Working Paper n. 10325, National Bureau of Economic Research, Cambridge, MA, Febbraio 2004) attraverso uno studio condotto nel settore manifatturiero degli USA, hanno concluso che i lavoratori over 55 sono meno produttivi dei lavoratori di età compresa tra i 34-55 anni.
41 Si veda: Xxxxxxxx L. e Xxxxxxx N., Training and age-biased technical change: evidence from French micro data; CREST Working Papers, 2005 n.6, INSEE, Parigi e X. Xxxxxxxxxx, op. cit., pag. 13e ss.
maturi ( 55-64 anni) è pari solo al 4,3 % cioè circa la metà della già scarsa media generale.
Figura 6 – Dati Eurostat (Labour Force Survey)
In realtà, non può sottacersi come tale risultato risenta degli effetti dell’operare di un ulteriore push factors, quale la scarsa disponibilità delle aziende di investire in attività formativa dedicata agli Elders, poiché priva di appropriato ritorno economico, visto il minor numero di anni di lavoro durante i quali potesse essere messa a frutto (43).
Infine, vanno annoverati ostacoli connessi alle condizioni di lavoro, sia ambientali che contrattuali, non consone alle esigenze di un lavoratore maturo e tali da indurlo, ancora una volta, ad un’uscita anticipata (44).
Si tratta delle difficoltà che si frappongono a scelte per una maggior flessibilità nella gestione dell’orario di lavoro, agevolando, ove occorra, il passaggio al part-time (45). E’ stato evidenziato come dopo i 50 anni da un lato aumentino i
43 In questo senso: Xxxxxx X., Les travailleurs âgés face a l’emploi, Economie et statistique, n. 368, 2004
44 Si veda, in particolare, per quanto riguarda la mancanza di flessibilità nell’orario di lavoro: Xxxxxxx A.L. e Xxxxxxxxxx T.L., Minimum hours contraint, job requirements and retirement, NBER working paper n. 10876, National Bureau of Economic Research, Xxxxxxxxx, XX, Xxxxxxx, 0000 45 Si noti come, in funzione delle scelte legislative di ogni singolo paese, la possibilità di passare da full-time a part-time sia spesso scoraggiato (tramutandosi, quindi, in uno di quei pull factors che inducono il lavoratore ad anticipare l’uscita dalla vita attiva) o per un suo elevato costo contributivo e/o fiscale nonostante la riduzione della retribuzione del lavoratore o per la fortemente incidenza
carichi connessi alla cura di parenti e conoscenti (46) e conseguentemente la necessità di disporre di maggior tempo libero e, dall’altro, la volontà di procedere con forme di bridge employment (47) e lavorare cioè con maggior tempo libero.
A ciò si aggiunge la mancata creazione di un ambiente di lavoro adeguato alle mutate capacità del lavoratore Over50 e tale da far sentire in misura minore la stanchezza e la fatica (48). Evidente che la gestione di tali cambiamenti contrattuali ed ambientali presuppone un adeguamento ed aggiornamento delle competenze del lavoratore anziano, facendo, così, tornare in primo piano l’importanza della formazione.
Tali ostacoli sono a volte la causa l’uno dell’altro o si rafforzano vicendevolmente in una sorta di corto circuito portando ad una prematura uscita dal mondo del lavoro degli Over50.
Appare, quindi, chiaro che il semplice innalzamento dell’età per la maturazione della pensione non possa di per sé essere sufficiente a dare un positivo impulso al sistema di welfare ed a contrastare le sfide derivanti dal progressivo invecchiamento della popolazione dei paesi OCSE.
Una tale scelta, non accompagnata dalla creazione di misure volte ad accrescere l’occupabilità degli Elders e ad incentivare questi ultimi a lavorare,
negativa che un trattamento economico ridotto potrebbe avere sulla determinazione dell’assegno di quiescenza (si pensi all’ipotesi di un sistema retributivo).
46 Si rinvia alla tabella n. 3 in Mandrone E., Xxxxxxxxx S. e Radicchia D., op. cit., pag. 111, a cui emerge che l’ 8,9% del totale degli over 50 si occupa regolarmente della cura di parenti o conoscenti.
47 Sulla necessità di valorizzare scelte di uscita graduali dal mondo del lavoro e per l’abolizione di una visione “on/off” tra lavoro e pensione, si veda: Feldam D.C., The decision to retire early: a review and conceptualization, Academy of Management Review, 19 (1994), n. 2, pagg. 285 – 311.
48 Panner R.G., Xxxxx P. e Xxxxxxxx C.E. (Legal and institutional impediments to partial retirement and part-time work by old workers, Urban Institute Research Report, Urban Institute, Washington, DC, 2002) hanno dimostrato come negli USA circa il 13% dei pensionati tra il 1992 ed il 2000 avrebbe
rischierebbe di incrementare la pletora di soggetti privi di versamenti contributivi (tanto più importanti oggi) e lontani dalla maturazione del trattamento di quiescenza.
Da citare, quale esempio della necessità di una tale interazione è quanto fatto nel Regno Unito in seguito alla riforma del sistema pensionistico attraverso il Pension Xxx 0000 ed il precedente Pension Act del 1995.
Una volta abolita la Default Retirement Age – DRA, introdotta con l’Employment Equality (Age) Regulations del 2006 (49) e soppresso quel sistema che rendeva pressoché impossibile la prosecuzione della attività lavorativa oltre il 65° anno di età, si è avviata una fase volta alla diffusione di buone prassi per una maggior occupabilità degli Elders. Così, nel mese di giugno 2010 è stato pubblicato un Call for Evidence, seguito nel novembre 2010 dalla realizzazione di un Libro Bianco e di linee guida (50) con le quali sono state indicate le strategie e le modalità attraverso cui agevolare la scelta di non abbandonare l’attività lavorativa da parte del personale maturo.
Si tratta, in particolare, di indicazioni pratiche volte a realizzare un maggior coinvolgimento di tali soggetti nelle politiche di aggiornamento professionale, ad assicurare un maggior utilizzo di strumenti di flessibilità (quali il part-time,
proseguito l’attività lavorativa se il datore di lavoro avesse concesso loro una riduzione dell’orario di lavoro.
49 Tale disciplina prevedeva che, una volta compiuto dal lavoratore il 65° anno d’età, il datore di lavoro potesse legittimamente recedere dal rapporto, senza che tale decisione fosse in alcun modo contestabile. Il lavoratore aveva, prima del compimento di tale età, la facoltà di informare il datore di lavoro della propria volontà di proseguire nella vita attiva, senza che da tale manifestazione di volontà derivasse alcun vero e proprio obbligo in capo al datore di lavoro. Effetto tipico del DRA era, pertanto, l’uscita dal mondo del lavoro con il raggiungimento del 65° anno d’età e la conseguente impossibilità di prolungamento della vita attiva. A far data dal 6 aprile 2011 il datore di lavoro non può più forzare il lavoratore a cessare l’attività lavorativa al compimento del 65° anno di età, salvo che ciò sia oggettivamente giustificabile (ad esempio per la carenza di indispensabili requisiti fisici o psichici per la prosecuzione del rapporto) Employer Justified Retirement Age – EJRA.
50 Si vedano le iniziative di Age Positive in xxxx://xxx.xxx.xxx.xx/xxxx/xxxx-xxxxxxxx-xxxxxxxx- without-fixed-retirement-age.pdf .
il job sharing, home working) ed incentivare un utilizzo degli Over50 quali tutor per l’ingresso di nuova forza lavoro e per un graduale “passaggio delle consegne”.
L’Italia risulta, invece, priva di strategie di age management con scarsa diffusione di buone prassi, quali quelle adottate nel Regno Unito.
Ciò è stato opportunamente evidenziato nel Rapporto CNEL sul mercato del lavoro 2011- 2012 (51) “ … In Italia, a differenza dei paesi del Nord-Europa, i casi aziendali di politiche di gestione del personale basate su concetti di invecchiamento attivo sono molto più rari …”. Esemplare in questo senso l’ampio ricorso, in fase di ristrutturazione, della mobilità quale ponte verso la prima finestra utile al prepensionamento, con conseguente uscita dal mercato del lavoro di un numero considerevole di Over50.
In tal senso ancora il Rapporto CNEL sul mercato del lavoro 2011- 2012 (52) “…il sistema del pensionamento per anzianità che, sommato al sistema della indennità di mobilità ha consentito di fatto nel decennio scorso una prosecuzione delle pratiche di prepensionamento per moltissime persone anziane ancora cinquantenni almeno nelle imprese medie e grandi (e, in particolare, nel settore bancario). Ciò ha influenzato profondamente il comportamento aziendale; infatti in linea di massima le aziende tendono a dotarsi di politiche di invecchiamento attivo nella misura in cui non riescono ad eludere il problema con altri strumenti …”.
Peraltro, le modifiche introdotte con la riforma del sistema pensionistico imporranno una diversa strategia e gestione del personale maturo, una volta divenuta impossibile la loro uscita anticipata dal mercato del lavoro in età lontana da quella di maturazione della pensione (62 anni e 3 mesi per le donne; 66 anni e 3 mesi per gli uomini).
51 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2011- 2012, Commissione speciale dell’Informazione (III), 18 settembre 2012, pag. 319.
E’, quindi, necessario modificare l’approccio alla attività lavorativa degli Over50; da un lato con la possibile utilizzazione delle strategie di Flexicurity, opportunamente calibrate sulla peculiarità dei lavoratori maturi, suggerite dalla UE; dall’altro con un diverso approccio alla gestione ed all’inquadramento del contratto individuale di lavoro.
Si procederà, pertanto, ad analizzare le diverse strategie di Flexicurity indicate dalla UE ed a verificarne l’effettiva applicazione in alcuni paesi europei, per poi individuare quale sia l’eventuale modello adottato in Italia e quale quello cui ambisce la recente Riforma del mercato del lavoro. Su tali basi si potrà saggiare l’effettività di tali politiche di Flexicurity rispetto al prolungamento della vita attiva.
Sulla base di tali conclusioni si ipotizzerà una ulteriore strategia focalizzata sul
Life Long Learning e su una diversa qualificazione della causa contrattuale.
52 Ivi, pag. 320.
Capitolo 2
La Flexicurity
2.1 Premessa.
Fin dall'inizio del nuovo millennio la “Flexicurity” è stata individuata dalla Commissione Europea come una delle principali strategie per la modernizzazione del mercato del lavoro (53).
L'origine di tale termine risale, peraltro, agli anni ’90 allorché vennero avviate in Danimarca ed Olanda importanti riforme del mercato del lavoro. In particolare, si deve al Primo Ministro danese Xxxx Xxxxx Xxxxxxxxx uno dei primi riferimenti al c.d. “Magical Cocktail Flexicurity”, quale combinazione tra flessibilità per il datore di lavoro (e, quindi, facilità di assunzione e recesso dal rapporto) e sicurezza per i lavoratori attraverso il riconoscimento di una serie di benefici in caso di disoccupazione o ricerca di un posto di lavoro.
Nel linguaggio utilizzato dalla UE è solo con le “ Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Bruxelles” del 23 e 24 marzo 2006 (54) che per la prima volta viene utilizzato il termine “Flexicurity”, anche se il Consiglio Europeo a partire dalla pubblicazione delle “Guidelines for Members States’ employment policies”(55),
53 Consiglio UE, Guidelines for Member States’ employment policies, 2001/63/EC, Bruxelles, 2001
54 Consiglio UE, 7775/06 Concl. 1, Bruxelles, 24 marzo 2006, reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XX0X0X
55 Consiglio dell’Unione Europea, 2001/63/EC/, Xxxxxxxxx, 0000. Si veda la Linea Guida 21 sull’occupazione della Comunicazione della Commissione Europea COM (2005)/ 141 del 12 aprile 2005, con cui si invitano gli Stati membri a promuovere “.. flessibilità combinata con la sicurezza
aveva già enfatizzato l’importanza, per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda di Lisbona, di un mercato del lavoro più dinamico, flessibile e basato su politiche di apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Infatti, il Consiglio della UE evidenziava “…la necessità di sviluppare in maniera più sistematica…strategie a tutto campo per migliorare l'adattabilità dei lavoratori e delle imprese …” chiedendo, quindi, “…agli Stati membri di porre particolare attenzione alla sfida chiave della "flessicurezza" (equilibrio tra flessibilità e sicurezza)…”.
Per realizzare tutto ciò il Consiglio suggeriva di “…sfruttare le interdipendenze positive tra competitività, occupazione e sicurezza sociale” invitando gli Stati membri “… a portare avanti, in accordo con le rispettive situazioni del mercato del lavoro, le riforme nel mercato del lavoro e nelle politiche sociali in base ad un approccio integrato di "flessicurezza", adeguatamente adattato agli specifici contesti istituzionali, tenendo conto della segmentazione del mercato in questione.” (56).
In una tale ottica la Commissione si poneva quale obiettivo quello di elaborare una serie di principi comuni in materia di "Flessicurezza".
A ciò si giungeva nel 2007, allorché la Commissione pubblicava la comunicazione del 27 giugno 2007 (57), con cui da una parte forniva la propria definizione di flessicurezza e dall'altra ne delineava alcuni percorsi, cui i singoli Stati membri si sarebbero potuti ispirare ai fini della modernizzazione del proprio mercato del lavoro.
In particolare, si precisava che la Flexicurity è una strategia integrata “… volta a promuovere contemporaneamente la flessibilità e la sicurezza sul mercato lavoro”, in modo
d'impiego…” ed a ridurre “ …la segmentazione del mercato del lavoro , tenendo in considerazione il ruolo delle parti sociali”.
56 Si veda il punto 41 del documento citato alla nota che precede.
57 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni, Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza, 27 giugno 2007, COM (2007) 359.
tale che le imprese ed i lavoratori possano beneficiare di queste due opposte caratteristiche.
Il mercato del lavoro dovrebbe, pertanto, assicurare flessibilità realizzando modelli ed organizzazioni del lavoro più flessibili, sia in entrata che in uscita, ma garantendo contemporaneamente ai lavoratori “… posti di lavoro migliori…” e sicurezza, accompagnando il singolo nei momenti di passaggio che contrassegnano la vita di un individuo a partire “…dal mondo della scuola a quello del lavoro…” e poi “…da un'occupazione ad un'altra, tra la disoccupazione o l'inattività e il lavoro e dal lavoro al pensionamento”(58).
Si tratta, quindi, di passare dalla garanzia del lavoro (cioè dell'impiego presso un singolo datore) a quella occupazionale, intesa come la potenzialità di poter operare presso più datori di lavoro (59): la maggiore libertà per le imprese di assumere o licenziare dovrebbe essere compensata dalla sicurezza, intesa non solo come necessità di assicurare il mantenimento del posto di lavoro, ma, soprattutto, come mezzo per far sì che i lavoratori siano dotati “…delle competenze che consentano loro di progredire durante la vita lavorativa e li aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro…”.
Ciò dovrebbe essere necessariamente accompagnato da “…adeguate indennità di disoccupazione per agevolare le transizioni …” e da “… l'opportunità di formazione per tutti i lavoratori, soprattutto per quelli scarsamente qualificati e per i lavoratori anziani.” Al fine di realizzare tali ambiziosi obiettivi la Commissione indicava “…quattro componenti politiche”, costituite da forme contrattuali flessibili ed affidabili,
58 Ivi, pag 5.
00 Xxxxxxxxx, X., Xxxx, X., The concepits of Flexicurity: a new approach to regulating employment and labour markets, in Tranfer – European Review of Labour and Research, 2004, vol.10, n. 2, 166 – 187. Nello stesso senso: Commissione Europea, Employment in Europe 2006,cap. 2.1.
strategie integrate di apprendimento lungo tutto l'arco della vita, efficaci politiche attive del mercato lavoro e sistemi moderni di sicurezza sociale.
Nella sopraindicata logica di compensazione tra misure di flessibilità e sicurezza le ultime tre componenti politiche dovrebbero fungere, secondo la Commissione, da contraltare rispetto all'introduzione di una maggior flessibilità sia in entrata che in uscita prevista dalla prima componente politica. Così, ai fini di una piena attuazione della flessicurezza, è necessario che le quattro componenti politiche sopra indicate si intersechino e si rinforzino reciprocamente, così che i pregi dell'una attenuino i difetti delle altre.
Particolare enfasi veniva, inoltre, attribuita dalla Commissione alle strategie integrate di apprendimento lungo tutto l'arco della vita, costituendo questo un “… fattore sempre più cruciale sia per la competitività delle aziende sia per l'occupabilità di lungo periodo dei lavoratori”, atteso che un'elevata partecipazione apprendimento permanente potrebbe assicurare un tasso elevato di occupazione ed un basso tasso di disoccupazione (60). Verrebbe accentuata in tal modo la occupabilità del singolo lavoratore, dotato di competenze (61) sempre aggiornate e, pertanto, spendibili in un mondo del lavoro in continua evoluzione.
Tale documento veniva affiancato dalla presa di posizione sul punto dell’European Trade Union Confederation (EUTUC), che sottolineava come avessero un ruolo fondamentale per la realizzazione degli obiettivi di Flexicurity la qualità del lavoro, percorsi di apprendimento lungo tutto l'arco della vita, politiche di bilanciamento vita –lavoro e soprattutto importanti
60 Commissione Europea, Employment in Europe 2006, p. 108.
61 Per una disamina del concetto di competenza, si rinvia a: Bertagna G., Xxxxxxxx tutti, valutare ciascuno. Una questione pedagogica, La Scuola, Brescia 2004 (in particolare i capp. I, II e III); Id., Saperi disciplinari e competenze, in «Studium educationis», n. 3/2009.
investimenti nei sistemi di welfare (62): si poneva, così, l’accento sulla seconda parte del termine Flexicurity, cioè sulla sicurezza per i lavoratori.
Opposta enfasi veniva data dall’European Association of Craft, Small and Medium- Sized Enterprises (UEAPME): quest’ultima, infatti, rimarcava la prima parte del termine, cioè la necessità di realizzare un mercato del lavoro il più possibile flessibile.
Sin dall'inizio veniva a crearsi quella polarizzazione verso i due termini della flessicurezza (flessibilità/sicurezza) a seconda che quest'ultima fosse analizzata dal punto di vista dei lavoratori o dei datori di lavoro (63).
Sia rappresentanti dei datori di lavoro (UEAPME) che dei lavoratori (EUTUC) convenivano su punto fondamentale: l’impossibilità di individuare un unico modello di Flexicurity che, da solo, possa risolvere tutte le problematiche di ogni singolo Stato membro (64).
2.2. Le diverse declinazioni della Flexicurity: inesistenza di un unico modello.
Già a partire dalla Comunicazione del 2007, la Commissione evidenziava come non esistesse un'unica forma di flessicurezza esportabile in ogni Stato membro, ma come fosse necessario che ogni singolo Stato, grazie all'interazione tra componente politica e parti sociali, elabori specifici percorsi
62 EUTUC, The Flexicurity debate and challenges for the trade union movement, 2007
63 In questo senso, si vedano anche i risultati dell’indagine condotta all’interno dei 27 Stati membri della UE e della Norvegia (Eurofound, Xxxxxxxxx X., Flexicurity ad industrial relations”, Eurofound, 2009). Tale studio ha, infatti, evidenziato che allorché si discute di specifiche misure attuative della Flexicurity le organizzazioni datoriali manifestano interesse verso forme di flessibilità, mentre le XX.XX. dei lavoratori manifestano resistenze verso le misure che possano minare la sicurezza.
64 UEAMPE, UEAMPE position on the communication towards common principles of Flexicurity: more n better jobs through flexibility and security”, 2007
di Flexicurity, adattati alle caratteristiche del proprio mercato del lavoro e della peculiare struttura del sistema di welfare (65).
In tale ottica, quindi, sono stati elaborati una serie di principi comuni di Flexicurity, che dovrebbero consentire ad ogni Stato membro della UE di realizzare “…mercati del lavoro più aperti e reattivi e posti di lavoro più produttivi…”, caratterizzati da una sufficiente libertà di assumere e licenziare, accompagnata da transizioni sicure da un lavoro ad un altro.
Si tratta, in particolare di assicurare:
1. accordi contrattuali flessibili ed affidabili, accompagnati da strategie integrate di apprendimento permanente, efficaci politiche attive del mercato del lavoro e sistemi moderni di sicurezza sociale;
2. un giusto equilibrio tra diritti e responsabilità per i datori di lavoro, i lavoratori, le persone in cerca di impiego e le autorità pubbliche;
3. la riduzione del divario tra gli outsider e gli insider nel mercato del lavoro;
4. la promozione della flessicurezza sia all’interno delle imprese, che nelle transizioni da un’impresa all’altra;
5. un clima di fiducia e di dialogo tra le autorità pubbliche, le parti sociali e gli altri attori in un clima in cui tutti si assumono le responsabilità del cambiamento e la realizzazione di politiche equilibrate;
6. una promozione della parità di genere, grazie anche ad una più agevole conciliazione tra lavoro e vita familiare ed un impulso alle pari opportunità per giovani, lavoratori anziani, disabili e migranti;
7. un’equa distribuzione di costi e benefici, anche dal punto di vista finanziario.
65 In questo senso anche le conclusioni di European Expert Group on Flexicurity, Flexicurity pathways – turning hurdles into stepping stones, giugno 2007, reperibile al seguente indirizzo:
Allo scopo di dare concretezza ai sopra indicati principi di Flexicurity la Commissione individuava quattro percorsi ciascuno volto ad uno specifico obiettivo.
Il primo percorso era indicato come propedeutico ad attenuare la c.d. “segmentazione contrattuale”, ovvero da utilizzare nell’ambito di un mercato del lavoro in cui vi è una netta differenza di trattamento tra insider ed outsider. Un tipo di mercato caratterizzato dall’estrema difficoltà per questi ultimi ad entrare ed a raggiungere un livello accettabile di protezione, rappresentato da un contratto di lavoro a tempo indeterminato.
In tali contesti, infatti, si crea una netta frattura tra coloro che sono in possesso di un contratto a tempo indeterminato (e, quindi, assoggettato a rigide regole di risoluzione ed a corpose misure di protezione in caso di licenziamento illegittimo) e coloro che ambiscono a tale inquadramento, trovandosi per lunghi periodi assoggettati ad una sequela di contratti a tempo determinato prima di raggiungere l'ambito traguardo.
Il basilare intervento da porre in essere in tali situazioni, dovrebbe attenere ad una riforma normativa finalizzata a far sì che i lavoratori dispongano di un contratto a tempo indeterminato sin dall'inizio del rapporto, assoggettato ad un progressivo cumulo di tutele. Il contratto di lavoro “… inizierebbe con un livello base di tutela e la protezione si accumulerebbe progressivamente via via che il lavoratore occupa un posto di lavoro fino a raggiungere una protezione piena” (66).
Collateralmente ad una tale linea di intervento dovrebbero affiancarsi misure volte ad assicurare un apprendimento permanente e politiche attive del
66 Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza, 27 giugno 2007, COM (2007) 359, pag. 15
mercato del lavoro, i cui risultati sarebbero, peraltro, riscontrabili solo nel medio periodo e grazie a consistenti finanziamenti pubblici.
Tale percorso mira prevalentemente all'inserimento di un contratto di lavoro a stabilità crescente (67).
Il secondo percorso punta, invece, maggiormente l'attenzione sulla possibilità per il lavoratore di adattarsi alle mutate esigenze produttive attraverso la possibilità di utilizzare forme flessibili di orario di lavoro, un investimento continuo nell’apprendimento permanente e il ricorso a strumenti volti a prevenire le esigenze di ricerca di un nuovo posto di lavoro, cosicché la stessa non sia ritardata - come spesso accade - al momento di effettiva uscita dall'azienda.
Si tratta, quindi, di un modello nell'ambito del quale l'obiettivo primario è di assicurare ad un lavoratore già sufficientemente protetto di poter mantenere l’attuale posto di lavoro (attraverso l'aggiornamento continuo ed eventuali strumenti di conciliazione, come le riduzioni di orario) o di affrontare, con anticipo e tempestività, “… la ricerca di un nuovo posto di lavoro…”, che “… non verrebbe ritardata fino al momento in cui il lavoratore fosse effettivamente messo in esubero, ma inizierebbe immediatamente allorché la minaccia si presenta”.
Punto focale di un tale sistema sono gli investimenti nell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, cosicché attraverso programmi di sviluppo delle competenze al lavoratore sia assicurata adattabilità ed occupabilità.
Secondo tale percorso di Flexicurity, l'importanza della formazione sarebbe tale da far sì che quest'ultima dovrebbe diventare parte integrante del contratto di lavoro ed oggetto di un obbligo reciproco a “… fare il possibile per raggiungere i requisiti di competenze concordati”.
67 Xxxxxxxxx O., Xxxxxx J., Profili di riforma dei regimi di protezione del lavoro, RIDL, 2004, 161-211.
Il terzo modello punta l'attenzione prevalentemente sugli outsider, poiché il suo principale obiettivo è quello di promuovere opportunità per le persone scarsamente qualificate di entrare nel mondo del lavoro e di conservare l'occupazione.
Si tratta, quindi, di un percorso che ha quale punto focale i gruppi più vulnerabili in quanto esclusi dal mercato del lavoro, come donne, madri single, migranti, disabili, giovani e lavoratori anziani.
Obiettivo principale di tale sistema è il far ottenere un'occupazione ai c.d. vulnerable workers, attraverso il riconoscimento di incentivazioni a favore del datore di lavoro e realizzando contemporaneamente, con politiche di apprendimento lungo tutto l'arco della vita e con forme contrattuali che combinino lavoro e formazione, un accrescimento professionale di tali lavoratori da cui deriverebbe, nel medio periodo, una loro più facile occupabilità.
Il quarto percorso individuato dalla Commissione è volto a migliorare l'opportunità per coloro che ricevono prestazioni sociali, quale conseguenza di ristrutturazione economica o di crisi: tale obbiettivo dovrebbe essere perseguito attraverso sistemi di apprendimento permanente ed il riconoscimento di adeguate indennità di disoccupazione o di sostegno al reddito nel periodo necessario alla riqualificazione professionale o all’adeguamento delle competenze al mutato scenario economico - produttivo. In ogni caso ed a prescindere dal tipo di percorso, si evidenzia che tutte le linee di intervento individuate dalla Commissione presentano, quali tratti comuni, il rafforzamento delle politiche attive del mercato del lavoro e la diffusione dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, che dovrebbe diventare “…un obbligo fatto al datore di lavoro di investire nei loro dipendenti”.
Peraltro, si tratta di linee di condotta eccessivamente vaghe, come tali difficilmente traducibili in misure concrete da adottare all’interno di ogni singolo stato (68) e comportanti il rischio di realizzare non tanto l’auspicata combinazione tra flessibilità e sicurezza, ma piuttosto “…un’agenda celata di deregolamentazione e di neoliberismo per la flessibilità del mercato del lavoro…” (69), come tale estremamente debole sul versante della sicurezza.
La miglior riprova dell’inesistenza di un unico modello di Flexicurity o della impossibilità di raggiungere la flessicurezza attraverso pochi, chiari e ben definiti percorsi automaticamente applicabili nei singoli Stati membri (70) si ricava dall'applicazione della c.d. “Flexicurity Matrix” elaborata da Xxxxxxxxx e Tros (71). Tale griglia è composta da indicatori di flessibilità e sicurezza, organizzati come nella tabella sotto riportata:
External Numerical Flexibility (72) | Internal Numerical Flexibility (73) | Functional Flexibility (74) | Labour cost/wage Flexibility (75) | Job Security (76) | Employment Security (77) | Income/ Social Security (78) | Combination Security (79) |
68 In questo senso: Algan Y., Xxxxx P., Civic attitudes and the design of Labour Market institutions: which countries can implement Danish Flexicurity model?, IZA Discussion Paper, n. 1928, Bonn, 2006. Percorso cui si è ispirata l'Italia nella redazione del disegno di legge n. 1481 del 25 marzo 2009
69 Auer P., La Flexicurity nel tempo della crisi, Dir. Rel. Ind., 1, 2011, pag. 49
70 Nello stesso senso si xxxx Xxxxxx P.K., Flexicurity: a New Perspecitive on Labour Markets and Welfare States in Europe, in Tilburg Law Review, n. 1&2, pagg. 57 e ss. per cui è possibile individuare almeno sedici forme di Flexicurity attraverso la varia combinazione tra quattro tipi di flessibilità (oraria, numerica, funzionale e retributiva) e quattro livelli di sicurezza (del posto di lavoro, dell’occupabilità, economica e di conciliazione tra vita e lavoro).
71 Wilthagen T. e Tros F., The concept of Flexicurity: a new approach to regulating employment and laborur markets, Transfer, Vol. 10, n. 2, pagg. 166 – 186.
72 External numerical flexibility: flessibilità nell’assunzione e nel recesso; libertà nell’utilizzo di contratti di lavoro non a tempo indeterminato (somministrazione, contratto a termine, steges, ecc..); incentivi fiscali, normativi o contributivi per l’incremento del numero di personale.
73 Internal numerical flexibility: flessibilità nella gestione delle presenze dei lavoratori in forza, attraverso, ad esempio, la flessibilità dell’orario e tutti gli strumenti attraverso cui l’impresa è in grado di variare le ore di lavoro per unità di tempo senza licenziare/assumere lavoratori.
74 Functional flexibility: flessibilità nella gestione della prestazione e della forza lavoro attraverso la libertà di modificare il luogo della prestazione, le agevolazioni per il teleworking, le agevolazioni per la (ri)qualificazione del personale, così da renderli fungibili rispetto a mutate esigenze tecnico- produttive.
Per compilare tale matrice, le caratteristiche del mercato del lavoro di ogni singolo stato e le eventuali misure adottate dalle singole aziende devono essere collocate all’interno della casella corrispondente al tipo di flessibilità o sicurezza in concreto riscontrata. Si viene così a determinare una infinta casistica e si ottiene una sintetica rappresentazione della situazione esistente, che, di volta in volta, potrà presentare, a secondo della collocazione delle risposte, un diverso sbilanciamento verso la sicurezza o verso la flessibilità.
Una volta fotografata la situazione esistente si procede, in una logica win-win, tra flessibilità e sicurezza, a smussare gli eccessi così da delineare le concrete misure da adottare (80) in un’ottica di bilanciamento, cui aspira l’ideale di Flexicurity.
Utilizzando un metodo analogo la Commissione Europea (81) ha provveduto ad analizzare il tipo di flessicurezza presente all’interno di 18 paesi membri della UE, per poi raggrupparli nelle seguenti cinque diverse tipologie (82):
75 Labour cost / wage flexibility: flessibilità nella gestione dei compensi per il lavoratore, quali la piena libertà di determinare i corrispettivi, libertà nell’utilizzo di retribuzione variabile, frige benefits, costo del lavoro straordinario, ecc…
76 Secondo la definizione inglese: Job security. Si tratta delle garanzie connesse alla conservazione del posto di lavoro e, quindi, di limiti al potere di recesso datoriale; contratti di solidarietà; riduzione d’orario temporaneo; risoluzione del rapporto accompagnata dall’impegno alla riassunzione successiva, ecc..
77 Employment security: misure per agevolare il reimpiego, come ad esempio percorsi di riqualificazione per recuperare un nuovo posto di lavoro rapidamente e, quindi in genere, politiche attive per il passaggio da un’occupazione all’altra.
78 Income security: si tratta di tutte quelle misure di sostegno al reddito tra cui rientrano non solo quelle previste in caso di perdita del posto di lavoro, ma anche riduzioni d’orario senza incidenza sul calcolo dell’assegno di quiescenza (rilevanti per le politiche di age management) o l’indennità di mancato preavviso in caso di recesso dal rapporto di lavoro.
79 Combination security: misure che consentono la conciliazione tra lavoro, vita privata (riduzione d’orario per fronteggiare carichi familiari o assistenza a parenti) o per lo svolgimento di attività sociali o, infine, misure di sostegno alla maternità/paternità (astensione obbligatoria, facoltativa) ed in genere la possibilità di periodi sabbatici.
80 Wilhagen T. e Xxxxxx S., Flexicurity: Is Europe right on track?, in X. Xxxxxxxxx (ed.), Flexicurity and the Lisbon Agenda, 2008, Social Europe Series, Vol. 17.
81 European Commission (2006), Employment in Europe 2006, Publications Office of the European Union, Luxembourg, reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XX000x
The Nordic System Esempi: Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia | Caratterizzato da sicurezza, cui fa da contraltare una flessibilità medio-alta ed elevata imposizione fiscale, al fine di assicurare gli importanti interventi in termini di politiche attive del mercato del lavoro. Il modello presenta un'elevata flessibilità nella gestione della prestazione e di tipo funzionale. È assicurato un ampio ruolo alle politiche di apprendimento lungo tutto l'arco della vita ed al c.d. Vocational Training. |
The Anglo-Saxon System Esempi: Regno Unito ed Irlanda | Contraddistinto da un elevato grado di flessibilità numerica in entrata ed in uscita, sicurezza relativamente bassa, con modesti investimenti per le politiche attive del mercato del lavoro, e bassa tassazione. Caratteristica peculiare, a fronte di una scarsa protezione normativa, è l’elevata flessibilità in uscita. |
The Continental System Esempi: Germania, Belgio, Austria e Francia | In tale modello di livelli medio-bassi di flessibilità sia in entrata che in uscita, una conseguente protezione medio-alta ed una elevata tassazione, allo scopo di poter sostenere politiche attive e finanziare misure di protezione sociale. |
The Mediterranean System Esempi: Spagna, Italia, Portogallo e Grecia | Il sistema ha bassa flessibilità ed un livello medio di sicurezza, nonché un regime fiscale variegato e di difficile inquadramento. Scarse politiche e partecipazione a Life Long Learning. Elevato utilizzo del lavoro non a tempo indeterminato, quale reazione alla rigidità del sistema. |
The Eastern-Europe System Esempi: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia | Caratterizzato da bassa flessibilità, scarsissima sicurezza ed un livello medio alto di tassazione. Scarsi investimenti in politiche attive del mercato del lavoro. Bassa occupabilità e partecipazione a progetti di apprendimento lungo tutto l’arco della vita. |
Si procederà, quindi, a descrivere i tratti salienti di ognuno dei sopraindicati modelli di Flexicurity, attraverso l’analisi di alcuni esempi, così da avere uno
82 Esistono ulteriori tre possibili classificazioni (considerando solo le principali): l’inquadramento di Laporsek, S. e Xxxxxx, P. ((2011), The Analysis of Flexicurity in EU Member States’, Transylvanian Review of Administrative Sciences, n. 32 E/2011, pagg. 125 – 145) è simile a quello sopradescritto, con l’unica fondamentale differenza di includere nell’ambito dei modelli mediterranei anche la Slovenia, il Lussemburgo e la Polonia; per Eurofound (Philips, K e Eamets, R. (2007), Approaches to Flexicurity: EU models’, Publications Office of the European Union, Luxembourg) i modelli sono sei, poiché il modello nordico si sdoppia con l’identificazione del sistema Baltico, all’interno del quale sono inseriti alcuni Stati dell’Europa Centrale ed Orientale; per Auer e Chatani (2011, Flexicurity: Still Going Strong or a Victim of Crisis?, Xxxxxxxx X. E Xxxxxxxx, A. (editions), Research Handobook on the Future of Work and Employmet Realations, Xxxxxx Xxxxx, Cheltenham, pagg. 253 – 279) i modelli sono sette, con la creazione, in aggiunta a quelli identificai da Eufound, di un gruppo in cui sono inserite la Lituania e la Bulgaria.
scenario di riferimento per il successivo inquadramento del sistema italiano e per l’individuazione di quale fosse il tipo di flessicurezza riscontrabile in Italia prima e dopo la recente Riforma del Mercato del Lavoro (L. 92/2012), cui sarà dedicato il terzo capitolo.
2.3. Esempio del c.d. “Sistema Nordico”: la Danimarca.
Il modello danese, cui ci si è ispirati ai fini dell'elaborazione del concetto di Flexicurity, è basato su tre caratteristiche principali, il c.d. “Golden Flexicurity Triangle” (83), costituite da una legislazione del lavoro relativamente flessibile (e, quindi, con scarsa limitazione al recesso datoriale), una rete di sicurezza sociale generosa per i disoccupati ed un’elevata spesa nel campo delle politiche attive del lavoro (84).
Secondo la sopraindicata Flexicurity Matrix le caratteristiche del Modello Nordico sono le seguenti:
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functional Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Xxxxx/xxxx | Xxxxx/xxxx | Xxxxx/xxxx | Xxxxx/xxxx | Xxxxx | Xxxx | Xxxx | Xxxx |
Applicando la Flexicurity Matrix al mercato del lavoro danese, si possono così evidenziare i seguenti principali strumenti di flessibilità e sicurezza:
83 Secondo una definizione elaborata da Xxxxxxxxx, X. et Al. (2005), The flexible Danish Labour Market: a review”, p. 43 (CARMA Research Papers, 1), Aalbong: Institut for Politik, Okonomi og Forvaltning, Aalbong University.
84 In questo senso: Xxxxxxxx, T.M., A Flexicurity Labour Market in the Great Recession: the Case of Denmark, in Discussion Paper Series IZA DP. 5710, Maggio 2011, disponibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xxx.xxx/xx0000.xxx; Xxxxxxxx, T.M., Svaren, M., Flexicurity – Labour Market Performance in Denmark, in CESifo Economic Studies, Vol. 53, 3/2007, pagg. 389 e ss. (xxxx://xxxxxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxx/00/0/000.xxxx ).
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functi onal Flexib ility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Job Sharing | Job Sharing | Job Sharing | Job Sharing | ||||
Job Rotation | Job Rotation | Job Rotati on | Job Rotation | Job Rotation | Job Rotation | Job Rotation | Job Rotation |
Adult traineeship | Adult traineeship | Adult traineeship | |||||
Plus working time | Plus working time | ||||||
Tutela maternità e paternità | Tutela maternità e paternità | Tutela maternità e paternità | Tutela maternità e paternità | Tutela maternità e paternità | |||
Occupational pension scheme | Occupational pension scheme | ||||||
A completamento di quanto emerge dalla sopraindicata tabella, si deve rammentare che nel sistema danese è assicurata la massima flessibilità sia in entrata che in uscita, atteso che non vi è alcun vincolo alla stipulazione di contratti non a tempo indeterminato, né alla risoluzione del rapporto di lavoro da parte datoriale (85).
Brevissimi sono i termini di preavviso e pressoché inesistente (pur essendo previsto dalla contrattazione collettiva il diritto alla riassunzione in caso di licenziamento illegittimo (86)) è il ripristino del rapporto di lavoro.
Particolarmente significativi sono, all’opposto, gli interventi che il sistema garantisce al lavoratore disoccupato. Quest'ultimo si vede, infatti, assicurato - grazie all'interazione tra sistema pubblico di sicurezza sociale e di intervento dei fondi (87) ad adesione individuale volontaria - una copertura pressoché
85 Xxxxxxxx, X.X. x Xxxxxx, M., Flexicurity – The Danish Labour Market Model, Ekonomisk debatt. 34, n. 1 (2006): 17-29 (xxxx://xxx.xxxx.xx.xx/xxx_xxx/xxx/xxxxxxxxxxx_xxx.xxx ); Xxxxxx, P.K. (2002), The Danish Model of Flexicurity – A paradise with some snakes, European Foundation for the Improvement of living and working conditions (xxxx://xxx.xx/XxXX0X ) e Xxxxxxxxxx O., (2010), Labour Law in Denmark, Keuwer Law International.
86 Xxxxxxxxxx O., (2010), op. cit. e Xxxxxxxx T.M., op. cit
87 Circa quattro anni fa il sistema di formazione continua è stato oggetto di una profonda riforma finalizzata ad un migliore utilizzo delle risorse finanziarie. Il nuovo meccanismo di finanziamento,
integrale del trattamento economico goduto precedentemente e per un periodo complessivo fino a due anni (88).
Determinanti, ai fini del perfetto funzionamento del c.d. “Triangolo d’oro della Flexicuriy”, sono le politiche attive del mercato del lavoro che assicurano al lavoratore un'elevata occupabilità, grazie non solo all'organizzazione ed all'offerta di attività formativa costante, ma soprattutto all’effettiva partecipazione ad essa da parte dei lavoratori (soprattutto disoccupati), poiché condizione per poter beneficiare degli interventi di sostegno e/o assicurativi.
Il sistema danese, così come quelli ad elevata flessibilità del Modello Nordico, ha subito maggiormente gli effetti della crisi del 2008 (89), registrando incrementi del tasso di disoccupazione più elevati rispetto ai paesi appartenenti al Modello Continentale e, in particolare, un incremento del tasso di disoccupazione giovanile (90).
(basato su un prelievo pari all’8% della massa salariale), distribuisce tra lo Stato e le parti sociali la responsabilità dell’utilizzo delle risorse. Il finanziamento delle attività formative è gestito infatti da un organismo trilaterale: il Fondo per la formazione nel mercato del lavoro (auf - Arbejdsmarkedets Uddannelses fi-nansiering) che finanzia la formazione sia dei lavoratori dipendenti che dei disoccupati. Nonostante lo Stato e le parti sociali cooperino strettamente nella gestione dell’auf, dalla metà degli anni ’70, le parti sociali hanno iniziato autonomamente a costituire Fondi settoriali di formazione (Uddannelsesfonden), con l’obiettivo di aumentare il supporto allo sviluppo delle attività di formazione continua non coperte dal sistema pubblico. La creazione di questi Fondi si è estesa a partire dal 1991 quando, nell’ambito dei contratti collettivi, sono state inserite clausole relative al diritto del lavoratore a partecipare ad attività di formazione continua. La contribuzione ai Fondi è volontaria, nel senso che sindacati e organizzazioni imprenditoriali sono liberi nello stabilire il livello di contribuzione a loro destinato. I datori di lavoro partecipano con un contributo stabilito in sede di contrattazione e che varia da settore a settore, da un minimo di 0,03 a un massimo di 0,14 corone danesi (0,02 €) per ciascuna ora di lavoro. I principali 15 Fondi settoriali costituiti attraverso contratti collettivi di lavoro interessano circa un milione dei 2,9 milioni di lavoratori danesi.
88 La copertura economica è pari al 90% dello stipendio mensile medio dell’ultimo anno fino ad un massimo di Euro 22.300 lordi annui.
89 Va, peraltro, sottolineato che il tasso di disoccupazione pur essendo cresciuto è notevolmente inferiore rispetto alla media Europea: se quest’ultima si assesta su un tasso del 10.7% nel mese di Ottobre 2012 (Eurostat), la Danimarca registra una percentuale pari al 7.7% (xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx.xxxxxx.xx/xxx/xxxxxxxXxxxxXxxxxx.xx?xxxxxxxxx&xxxxxxx0&xxxxxxxxxxx 020&language=en ).
90 Si veda: Auer, P., La Flexicurity al tempo della crisi, Dir. Rel. Ind., 2011, I, pagg. 40 e 41.
Ciò nonostante il tasso di disoccupazione complessivo appare, tuttora, uno dei più contenuti rispetto a quello registrato in paesi appartenenti ad altri modelli, con l’eccezione dei Germania ed Austria (91).
In ogni caso, si tratta di un modello che, come da più parti evidenziato(92), non è in alcun modo esportabile, soprattutto in Italia. Infatti “ … This extraordinary Danish model is not the result of a deliberate plan carried out over a short period in the 1990s. Essential parts of it date way back to the September Compromise in 1899 and to the welfare reforms of the 1960s. But there are also indications that the labour market reforms of the 1990s have contributed substantially to the present success story. However, these specific historical conditions are what makes it difficult to transfer Danish experiences directly to other contexts” (93).
2.4. L’esempio del c.d. “Sistema Continentale”: la Germania.
Partendo dalla sotto riportata “Flexicurity Matrix relativa al Sistema Continentale:
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functional Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Medio/bassa | Medio/bassa | Medio/bassa | Medio/bassa | Medio/alta | Medio/alta | Medio/alta | Medio/alta |
91 Secondo i dati forniti da Eurostat (xxxx://xxx.xx/Xx0xX ) nel mese di Novembre 2012 la Danimarca registra un tasso di disoccupazione pari al 7.7% (come Svezia e Finlandia) contro un 5.4% della Germania ed un 4.3% dell’Austria, rispetto ad un dato medio del 10.7% dell’UE dei 27.
92 Algan, X., Xxxxx, P. (2006), op. cit.; nello stesso senso: Xxxxxxxx, T.M., Xxxxxx, M. (2007), op. cit.; Xxxxxx, P.K. (2002), op. cit.. Xxxxxxx, X., Luci e ombre sul modello sociale danese, in Dir. Lav. Merc., 2010, pagg. 277 e ss. e Xxxxx, F., Importare il modello danese (senza i danesi)?, in Bollettino Speciale ADAPT, 30 novembre 2011, n. 59 (xxxx://xxx.xx/XXxx0x ); Xxxxxxxxx, A., (2011), Il dibattito su flessibilità e rimodulazione delle tutele. La modernizzazione del diritto del lavoro tra crisi economica e possibili percorsi di riforma, in Diritto del Lavoro e crisi economica. Misure d’emergenza ed evoluzione legislativa in Italia, Spagna e Francia, a cura di X. Xxx, Roma, pagg. 79 e ss.
93 Xxxxxxxxx X., Xxxxxx F. e Xxxxxx P.K. “The flexible Danish labour market – a review” by, pag. 35, xxxx://xxx.xx/XXXxxx.
si possono così riassumere le peculiarità del Modello tedesco di Flexicurity:
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functi onal Flexib ility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Formazione continua per i lavoratori con bassa professionalità o Elders | Formazione continua per i lavoratori con bassa professionali tà o Elders | Formazione continua per i lavoratori con bassa professionalità o Elders | Formazione continua per i lavoratori con bassa professionalit à o Elders | Formazione continua per i lavoratori con bassa professionalit à o Elders | |||
Age management con ritiro graduale | Age management con ritiro graduale | Age managemen t con ritiro graduale | Age management con ritiro graduale | Age management con ritiro graduale | Age management con ritiro graduale | ||
Permessi parentali | Permessi parentali | Permessi parentali | Permessi parentali | ||||
Perspective 50 plus | Perspective 50 plus | Perspective 50 plus | Perspective 50 plus | ||||
Earnings Safeguarding programme | Earnings Safeguarding programme | Earnings Safeguarding programme | Earnings Safeguarding programme | ||||
Opening Clauses | Opening Clauses | Opening Clauses | Opening Clauses | ||||
A partire dalle riforme avviate nel 2000 (94) il Governo Federale della Germania (95) ha sottolineato l'importanza di mantenere contratti di lavoro a tempo indeterminato, limitando l’utilizzo eccessivo dei contratti di lavoro atipici, ciò sul presupposto che la regolamentazione del lavoro in vigore fosse già sufficientemente flessibile.
Il sistema prevede, così, una ridotta libertà per il datore di lavoro di recedere dal rapporto, poiché questo può essere risolto solo per incapacità personale o problemi di salute del lavoratore, cattiva condotta o esubero e problemi di natura economica.
94 In particolare con le c.d. Riforme Xxxxx
95 Schuld C. (2008), La Flexicurity in Germania, in Flexicurity e tutele. Il lavoro tipico ed atipico in Italia e Germania, a cura di Xxxxxxx – Delfino, Roma, 2008.
Significative sono, altresì, le sanzioni per il recesso ingiustificato: il lavoratore ha diritto ad una indennità compresa tra 12 e 18 salari mensili, a seconda dell'età (Over55) e dell'anzianità di servizio (oltre 20 anni). Tali sanzioni si applicano alle imprese con più di 10 dipendenti ed a favore dei prestatori che abbiano un'anzianità di almeno sei mesi (96).
A tutte le persone in cerca di occupazione viene assicurata non solo una consistente forma di sostegno al reddito, ma soprattutto vengono garantiti tramite l’Ufficio Federale del Lavoro (un'agenzia che, sotto la propria responsabilità, agisce secondo la direzione amministrativa del Ministero Federale del Lavoro degli Affari Sociali) i servizi di collocamento al lavoro, di formazione professionale e di orientamento per lo sviluppo di un percorso di riqualificazione.
Se significativi sono i limiti all'utilizzo dei contratti a tempo determinato, cui si può fare ricorso solo per ragioni oggettive (il lavoro stagionale, sostituzione del lavoratore, on-the-job-training) o senza alcuna causale (97) per un periodo massimo di 24 mesi, particolarmente rilevanti sono, all’opposto, gli strumenti di flessibilità interna per la gestione del rapporto di lavoro (98).
Degni di nota, ad esempio, sono gli strumenti di flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro: la normativa federale (99), nonché le regole contenute nei contratti collettivi fissano unicamente dei limiti massimi settimanali o annuali di durata prestazione della lavorativa, consentendo poi o attraverso accordi
96 EPA, Kundigungsschutzgesetz. Si veda anche Xxxxx, M., L’edificazione del sistema italiano di formazione continua dei lavoratori, in Riv. Giur. Lav. 2007, 1, pagg. 163 e ss.
97 Immediato appare il riferimento al nuovo contratto a termine della durata di 12 mesi introdotto dalla L. 92/2012.
98 Si tratta del c.d. “FTCS” disciplinata dalla Gesetz uber Teilzeitarbeit und befristete Xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.
00 Xxxxxxxxxxxxxxxxx
collettivi o individuali di determinare la distribuzione giornaliera dell'orario all'interno dei sopra indicati i limiti massimi.
In tal modo viene assicurata la flessibilità necessaria alle aziende, che possono affrontare momenti di contrazione o di incremento della produzione non agendo sul numero degli addetti (cioè licenziandoli o assumendoli con contratti a tempo determinato), ma incrementandone o riducendone la prestazione.
Così, ad esempio, si può far ricorso al c.d. “orario scorrevole” (100) che consente al lavoratore di scegliere liberamente l'orario di entrata e di uscita nel rispetto di una fascia di presenza obbligatoria o al c.d. “orario di lavoro di gruppo” (101) attraverso cui, dopo aver individuato l'obiettivo del gruppo di lavoratori interessati alla sua realizzazione, li si lascia liberi di determinare la distribuzione oraria della prestazione all’interno di limitati vincoli di presenza obbligatoria giornaliera.
Infine è da rammentare il c.d. “phased retirement shemes (Altersteilzeist)” attraverso cui il governo federale assicura un sostegno di natura economica alle aziende che concordano con i lavoratori Over55 una transizione graduale verso il sistema pensionistico. In particolare, si riduce l’attività lavorativa dell’Over55 in misura pari al 50% e la parte rimanente delle prestazioni dallo stesso originariamente svolte viene affidata ad un soggetto appositamente assunto anche come apprendista o scelto tra i disoccupati.
Laddove poi il datore di lavoro, nonostante la riduzione dell'orario, assicuri all'Over55 il 70% della sua retribuzione precedente, sarà esentato dal
100 Gleitende Arbeitszeit
101 Arbeitszeitteam
versamento del corrispondente aumento contributivo (gravante sul Governo Federale) per sei anni (102).
Grazie a tale sapiente mix di misure di sicurezza e flessibilità (interna) la Germania è riuscita a contenere gli effetti della crisi, registrando nel mese di Ottobre 2012 un tasso di disoccupazione del 5,4%, come tale il più basso di quello registrato dai paesi indicati come modello di Flexicurity da seguire ed appartenenti al Sistema Nordico.
Anche il modello tedesco, così come quello danese, appare difficilmente esportabile (soprattutto in Italia) poiché si basa su una stretta collaborazione tra i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali: prova ne sia la presenza di esponenti delle XX.XX. nel consiglio di sorveglianza delle società di maggiori dimensioni (103).
2.5. Il c.d. “Sistema Mediterraneo”: la Spagna
Le caratteristiche tipiche del Modello Mediterraneo sono:
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functional Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Bassa | Bassa | Bassa | Bassa | Alta | Bassa | Bassa | Bassa |
Esempio di tale modello è il mercato del lavoro spagnolo le cui caratteristiche, prima della crisi del 2008 e della Riforma introdotta con il Real Decreto-ley 3/2012, de 10 de febrero (104), erano cosi schematizzabili:
102 Eurofound EIRO (2009), Young Workers to Substitute for older employees”, 16 settembre 2009.
103 Pedrazzoli, M., La cogestione tedesca: esperienze e problemi, in Politica del Diritto, n. 3, pagg. 261 e ss.; Id., Codeterminazione nell’impresa e costituzione economica nella Repubblica Federale Tedesca, Foro It., 1981, pagg. 6 e ss.
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functiona l Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Temporary lay-off | Temporary lay-off | Temporary lay-off | Temporary lay-off | ||||
Continuing training | Continuing training | Continuing training | Continuing training | Continuing training | |||
Life-long individual capitalisation Funds | Life-long individual capitalisati on Funds | Life-long individual capitalisati on Funds | Life-long individual capitalisation Funds | Life-long individual capitalisation Funds | |||
Royal Decree 10/2010 | Royal Decree 10/2010 | Royal Decree 10/2010 | Royal Decree 10/2010 | Royal Decree 10/2010 | Royal Decree 10/2010 | ||
Fondo de Garantia Salarial | Fondo de Garantia Salarial | Fondo de Garantia Salarial | |||||
Emplea Verde | Emplea Verde | Emplea Verde | Emplea Verde | ||||
La riforma, sulla base delle riscontrate debolezze sul fronte della flessibilità e della sicurezza, ha modificato in misura significativa il modello precedente, nella speranza di riuscire ad intaccare il tasso di disoccupazione, oggi uno tra i più elevati nella UE (26,2% nel mese di Ottobre 2012 (105)), soprattutto con riferimento alla popolazione più giovane (48,7%).
Se, infatti, il sistema era precedentemente caratterizzato da misure di EPL (106) medio alte, vedi tabella, le stesse oggi sono state sensibilmente ridotte.
104 Per un approfondimento sulla Riforma si veda, tra gli altri: ADAPT, Spagna: al xxx xx xxxxxxx xxx xxxxxxx xxx xxxxxx, in Bollettino speciale 17 Febbraio 2012, n. 4 (xxxx://xxx.xx/XXxxXX )
105 Eurostat: xxxx://xxx.xx/Xx0xX.
106 The OECD indicators of employment protection measure the procedures and costs involved in dismissing individuals or groups of workers and the procedures involved in hiring workers on fixed-term or temporary work agency contracts. It is important to note that employment protection refers to only one dimension of the complex set of factors that influence labour market flexibility. For information on other labour market policies and institutions in OECD countries, see the OECD Employment Database.The indicators have been compiled using contributions from
Scale from 0 (least restrictions) to 6 (most restrictions)
Protection of permanent workers against (individual) dismissal | Regulation on temporary forms of employment | Specific requirements for collective dismissal | OECD employment protection index | |
Denmark | 1,53 | 1,79 | 3,13 | 1,91 |
Germany | 2,85 | 1,96 | 3,75 | 2,63 |
Spain | 2,38 | 3,83 | 3,13 | 3,11 |
Ireland | 1,67 | 0,71 | 2,38 | 1,39 |
Israel | 2,19 | 1,58 | 1,88 | 1,88 |
Italy | 1,69 | 2,54 | 4,88 | 2,58 |
France | 2,60 | 3,75 | 2,13 | 3,00 |
Netherlands | 2,73 | 1,42 | 3,00 | 2,23 |
Figura 7 - Employment protection in OECD and selected non-OECD countries, 2008 (Fonte OECD)
Quindi, sul versante della flessibilità vanno segnalate:
✓ la riduzione dell’indennità per licenziamento senza giusta causa passata da 45 a 33 giorni per anno di impiego e sino ad un massimo di 24 mesi (non più 42 come in precedenza);
✓ la revisione delle indennità dovute per il licenziamento per motivi
economici (derivanti da risultati dell’impresa negativi, emergenti da perdite attuali - o anche soltanto previste - o dalla diminuzione per almeno 9 mesi consecutivi del fatturato o delle vendite), ridotta a 20 giorni per ogni anno di anzianità, sino ad un massimo di 12 mesi;
✓ la possibilità di adattare le condizioni di lavoro alle specifiche esigenze
aziendali grazie alla riconosciuta supremazia dei contratti aziendali sulle diverse previsioni contenute nei contratti di livello superiore, con facoltà per l’azienda di svincolarsi dalla disciplina dettata da quest’ultimo (il c.d. “descuelgue”) in un numero notevole di materie (107);
✓ l’eliminazione del sistema di classificazione dei lavoratori per categorie
professionali, rendendo così più agevole la modifica delle mansioni e consentendo di realizzare una maggiore mobilità interna tra gli stessi.
officials from OECD member countries and selected emerging economies and advice from labour law experts from the International Labour Organization.
107 Immediato appare il richiamo alle previsioni dell’art. 8 del D.L. 138/2011 (L. 148/2011).
Tra le misure adottate sull’opposto versante della sicurezza vanno evidenziate:
✓ l’introduzione di un nuovo contratto a tempo indeterminato, volto a promuovere le assunzioni da parte delle imprese con meno di 50 addetti, caratterizzato da un periodo di prova di un anno e da una detrazione fiscale di 3.000,00 Euro se l’impresa assume un giovane di
età inferiore ai 30 anni (108);
✓ la promozione del part-time quale strumento che consente di abbinare lavoro e studio o impegni di natura personale e familiare;
✓ l’introduzione, ai fini della realizzazione di percorsi di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, di un vero e proprio diritto soggettivo alla formazione a favore dei lavoratori con almeno un anno di anzianità e che hanno diritto a 20 ore annuali di permesso retribuito per realizzare
attività formative all’interno della stessa impresa – laddove possibile – e relazionate con il lavoro che in essa si svolge (109).
Da sottolineare che tale ultimo intervento appare volto a reagire allo scarso utilizzo dei c.d. Creditos para Formaciòn Continua (110), operanti a vario titolo dal 1993: infatti, nel corso dell’anno 2009 (e, quindi, in piena crisi) solo il 17,8%
108 Notevoli le somiglianze con l’art. 1, 9° comma L. 92/2012
109 Art. 23 del Testo Refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores, aprobado por Real Decreto Legislativo 1/1995: “«1. El trabajador tendrá derecho: a) Al disfrute de los permisos necesarios para concurrir a exámenes, así como a una preferencia a elegir turno de trabajo, si tal es el régimen instaurado en la empresa, cuando curse con regularidad estudios para la obtención de un título académico o profesional. b) A la adaptación de la jornada ordinaria de trabajo para la asistencia acursos de formación profesional. c) A la concesión de los permisos oportunos de formación o perfeccionamiento profesional con reserva del puesto de trabajo.d) A la formación necesaria para su adaptación a las modificaciones operadasen el puesto de trabajo. La misma correrá a cargo de la empresa, sin perjuicio de la posibilidad de obtener a tal efecto los créditos destinados a la formación. El tiempo destinado a la formación se considerará en todo caso tiempo de trabajo efectivo.
2. En la negociación colectiva se pactarán los términos del ejercicio de estos derechos, que se acomodarán a criterios y sistemas que garanticen la ausencia de discriminación directa o indirecta entre trabajado.”
110 Si tratta di crediti, utilizzabili da parte delle aziende e da porre in compensazione con i versamenti contributivi, che derivano dalla frequentazione da parte del lavoratore di corsi di formazione organizzati dal singolo datore di lavoro o da gruppi di datori di lavori non necessariamente appartenenti al medesimo settore.
delle aziende spagnole vi ha fatto ricorso ed all’interno di tale percentuale solo il 14,3% era costituito da aziende con meno di 10 addetti (111).
Notevoli, quindi, gli interventi su entrambe le linee della Flexicurity: ampliamento della flessibilità sia interna che esterna, accompagnato da un potenziamento delle misure di sicurezza per l’occupabilità.
2.6. Il “Modello Anglo-Sassone”: l’Irlanda.
Il modello in esame presenta le seguenti caratteristiche così schematizzabili sempre attraverso la Flexicurity Matrix:
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functional Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Alta | Media | Media | Media | Medio/Bassa | Alta | Media | Bassa |
Si utilizzerà quale esempio di tale sistema l’Irlanda, poiché paese indicato, fino alla crisi del 2008, come un modello di sviluppo economico da seguire con estrema attenzione.
Il c.d. “miracolo irlandese” si basava su tre componenti: la ricerca e l’innovazione, l’apertura agli investimenti esteri e lo sviluppo di politiche attive da cui era derivata una forte crescita del PIL pro-capite (112), un rapido aumento del tasso di occupazione (113) ed un basso tasso di disoccupazione (4,4% nel 2006).
Da notare che la flessibilità, sia interna che esterna risultava massima.
111 Eurofound EWCO, (2011), Getting prepared for the upswing: training and qualification during the crisis,
Dublin (xxxx://xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxx/xxxxxxx/xx0000000x/xx0000000x.xxx )
112 Passato dal 115 del 1997 (su base 100 di media UE) ad un 143 del 2006 (dati Eurostat)
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functi onal Flexib ility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Employer job incentive sheme | Employer job incentive sheme | Employer job incentive sheme | Employer job incentive sheme | ||||
Skillnet | Skillnet | Skillnet | |||||
FAS Plumbing Apprentiship | FAS Plumbing Apprentiship | FAS Plumbing Apprentiship | FAS Plumbing Apprentiship | FAS Plumbing Apprentiship | |||
Towards 2016 | Towards 2016 | ||||||
Worplace Innovation fund | Workplace Innovation Fund | Workplace Innovation Fund | |||||
Da segnalare quali strumento di sicurezza adottato prima della crisi la sottoscrizione tra Governo e Parti sociali nel mese di giugno 2006 dell’accordo decennale “Towards 2016” (114) incentrato sull’importanza di investire sull’aggiornamento delle competenze, specialmente tramite la formazione sul posto di lavoro e la strategia “Irish Workplaces: A Strategy for Chance, Innovation and Partnership”, che nel mese di gennaio 2007, ha introdotto il c.d. “Workplace Innovation Fund”, finalizzato a sostenere le piccole e medie imprese che volevano rafforzare la loro produttività e competitività attraverso nuovi processi e pratiche organizzativo/ gestionali.
La crisi economico-finanziaria del 2008 ha colpito in modo particolarmente duro l’Irlanda, costringendola a “…mettere in atto il programma di politiche economiche con fermezza, nonostante le considerevoli sfide che il paese deve fronteggiare. Tuttavia, poiché le tensioni finanziarie nell’area euro sono riemerse, gli spread sui titoli del debito sovrano dell’Irlanda sono aumentati nei mesi recenti sino a superare il valore che avevano raggiunto al momento dell’avvio del programma della Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale. Ci si attende che il rallentamento della crescita nei paesi verso cui
113 Pari nel 2006 ad un lunsighiero 68.7% (Eurostat), passato ad un 15.0% del dicembre 2011 e ad un 14.7% del mese di Ottobre 2012.
114 Per maggiori informazioni, si veda: xxxx://xxx.xx/X000XX
l’Irlanda esporta frenerà la ripresa trainata dalle esportazioni dell’Irlanda […] Il rilevante e continuativo consolidamento fiscale dell’Irlanda e le sue riforme sarebbero molto efficaci nel promuovere la sua ripresa economica se fossero parte di un più ampio sforzo europeo nello stabilizzare i mercati finanziari e rafforzare la crescita dell’area euro” (115).
L’elevato tasso di disoccupazione registrato nel mese di Ottobre 2012 (116), pari al 14,7% nettamente superiore rispetto alla media dei paesi EU, mostra, quindi, la debolezza, nei momenti, di crisi di un sistema prevalentemente incentrato sulla flessibilità.
2.7. Conclusioni.
Come si è visto, non esiste un’unica ricetta sulla Flexicurity valida per le diverse tipologie di mercato del lavoro.
All’opposto, dopo aver ricondotto il singolo Paese all’interno di uno dei cinque macro-sistemi sopra individuati, si deve verificare, attraverso la Flexicurity Matrix quali siano gli strumenti di flessibilità e di sicurezza presenti, verificare come essi interagiscano e quali, soprattutto nell’ottica della ricollocabilità e della Strategia di Lisbona 2020 (Agenda for new skills and jobs) (117), possano essere ulteriormente implementati.
Stante l’impossibilità di importare – sic et simpliciter – un modello esistente per realizzare la Flexicurity in Italia, si dovrà procedere ad un’analisi, utilizzando la Flexicurity Matrix, delle caratteristiche peculiari del Mercato del lavoro italiano, per poi verificare quali siano gli eventuali interventi da attivare.
115 IMF, Report 2012, p. 88 e seguenti, reperibile su xxx.xxx.xxx
116 Fonte Eurostat
117 Si veda quanto scritto nel paragrafo 1.3.
Capitolo 3
Quale modello di Flexicurity in Italia?
3.1. Premessa.
Nell’ambito della citata suddivisione in cinque modelli di Flexicurity, l’Italia appartiene al c.d. “Modello Mediterraneo” (118), le cui caratteristiche sono – così come si è evidenziato nel capitolo che precede scrivendo della Spagna - quelle di un sistema con bassa flessibilità, un livello medio di sicurezza, un regime fiscale medio alto, scarsa efficienza delle politiche di Life Long Learning e una scarsa partecipazione ad esse da parte dei lavoratori, nonché un elevato utilizzo di contratti di lavoro non a tempo indeterminato, quale reazione alla rigidità del sistema. Da ciò deriva la creazione di outsider (giovani, donne, immigrati ed Elders) di difficile (ri)collocazione.
Il Modello italiano presenta la seguente Flexicurity Matrix:
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functional Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Bassa | Bassa | Bassa | Bassa | Alta | Bassa | Bassa | Medio/bassa |
118 La riconducibilità dell’Italia a tale sistema risale alla classificazione contenuta in Europen Commission (2006), Employment in Europe 2006, Publications Office of the European Union, Luxembourg. Nello stesso senso: European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, (2012), The second phase of Flexicurity: an analysis of practices and policies in the Member States, Dublin, pagg. 13 e ss.
risultato della classificazione dei principali strumenti di flessibilità e sicurezza presenti nel mercato del lavoro italiano prima della Riforma del 2012 ( 119):
External Numerical Flexibility | Internal Numerical Flexibility | Functional Flexibility | Labour cost/wage Flexibility | Job Security | Employment Security | Income/ Social Security | Combination Security |
Supporto al reddito per lavoratori temporanei | Supporto al reddito per lavoratori temporanei | Supporto al reddito per lavoratori temporanei | |||||
Fondi Interprofessionali | Fondi Interprofessionali | Fondi Interprofessionali | |||||
Art. 38 L.69/2009 | Art. 38 L.69/2009 | Art. 38 L.69/2009 | Art. 38 L.69/2009 | Art. 38 L.69/2009 | Art. 38 L.69/2009 | ||
Italia 2020 inclusione donne | Italia 2020 inclusione donne | Italia 2020 inclusione donne | Italia 2020 inclusione donne | Italia 2020 inclusione donne | Italia 2020 inclusione donne | Italia 2020 inclusione donne | |
CIG | CIG | CIG | CIG | ||||
CIGS – Mobilità | CIGS - Mobilità | CIGS – Mobilità | CIGS - Mobilità | ||||
Contratto solidarietà | Contratto solidarietà | Contratto solidarietà | Contratto solidarietà | Contratto solidarietà | |||
3.2. La situazione pre-riforma così come fotografata dall’indagine conoscitiva della XI Commissione della Camera dei Deputati.
Alla luce della drammatica crisi del 2008 - da più parti definita come la più profonda e la peggiore recessione dopo la fine della seconda guerra mondiale
(120) - anche l’Italia, così come in altri paesi dell'EU, ha tentato di individuare i
punti di forza e di debolezza del proprio mercato del lavoro, al fine di
119 I principali indicatori utilizzati dalla Commissione Europea (e condivisi anche da Ciuca V. et Al., (2009), The Romanian Flexicurity – a response to the European labour market needs, Romanian Journal of Economic Forecasting, Vol. 10, n 2, pagg. 161 – 183) sono sette: i) OECD indici di EPL; ii) percentuale di popolazione di età compresa tra i 24 ed i 65 anni che seguono percorsi formativi (education or training); iii) incidenza sul PIL della spesa in politiche attive e passive del mercato del lavoro; iv) lavoro irregolare; v) lavoro flessibile e contratti atipici; vi) autonomia e complessità della funzione; vii) rotazione e teamwork.
120 In questo senso si sono pronunciati: Eurofound, (2009), Restructuring in recession, ERM Report 2009, Luxembourg (reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XxXXxX) ed European Commission, DG for Economic and Financial Affairs, (2009), Economic Forecast Spring 2009, (reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XXxxXX )
comprendere quali strumenti di Flexicurity potessero essere eventualmente implementati, anche nella speranza di offrire valide risposte alla crescita del tasso di disoccupazione, passato dal 6,8% della fine del primo semestre 2008 ad un 11,1% del mese di Ottobre 2012 (EUROSTAT) (121).
In una tale logica si pone, pertanto, l’attività d’indagine condotta dalla XI Commissione Permanente della Camera dei Deputati nel corso dell’anno 2011, volta a comprendere quali fossero le dinamiche di accesso al mercato del lavoro italiano, quali i possibili elementi di sviluppo e quali, in particolare, “… i fattori che concorrono all'incremento delle condizioni di occupabilità dei lavoratori…” ed alla promozione del loro inserimento lavorativo, “…anche attraverso forme di gradualità di tutela contrattuale” (122).
La ricerca doveva, altresì, verificare la “…ampiezza dei fenomeni di non rispondenza della forza lavoro alle professionalità richieste dal mercato e di obsolescenza professionale
…”, valutando anche gli “… assetti della formazione professionale, dell'educazione e dell'istruzione”, che dovrebbero assumere un ruolo centrale nelle politiche attive del lavoro.
L’indagine veniva svolta attraverso un articolato ciclo di audizioni dei rappresentanti dell’ISTAT, del CNEL, dell’UPI, degli enti istituzionalmente preposti alla politica della formazione (Formez ed ISFOL), dei principali centri di studio e ricerca (CENSIS, EURISPES, SVIMEZ ed il Consorzio interuniversitario Almalaurea), delle parti datoriali (ABI, Rete Imprese Italia, Confindustria e Confapi), delle organizzazioni sindacali dei lavoratori (CGIL,
121 Anche se più contenuto di quello registrato da altri paesi del sistema mediterraneo, come ad esempio la Spagna (da 10,8% del secondo semestre 2008 a 20,2% del medesimo periodo del 2010 (EUROSTAT).
122 Camera dei Deputati, Documento approvato dalla XI Commissione Permanente (Lavoro Pubblico e Privato) nella seduta del 29 novembre 2011, a conclusione dell'indagine conoscitiva sul
CISL, UIL e UGL), delle associazioni rappresentative degli intermediari del lavoro (ASSOLAVORO), del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro e delle associazioni del mondo giovanile e del precariato (“Forum Nazionale Giovani”, “Comitato 9 Aprile” e “Repubblica degli stagisti”).
Nel corso della seduta del 29 novembre 2011, conclusi dei lavori, sentiti il Ministro del lavoro e delle politiche sociali (Xxxxxxxx Xxxxxxx) ed il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Xxxxxxxxxxx Xxxxxxx), veniva approvato il documento conclusivo, dal quale emergevano due punti su cui le audizioni dei vari soggetti intervenuti concordavano: da una parte, spiccava il bisogno di intervenire sul fronte della flessibilità, attraverso la semplificazione degli strumenti contrattuali e l'adozione di misure che possano aiutare le imprese ad affrontare i “…fattori di rigidità nel governare complessivamente le proprie risorse di lavoro e alla forte variabilità del mercato delle imprese stesse”.
Dall’altra si riteneva necessario compensare la richiesta di maggior flessibilità realizzando politiche che possano garantire una maggior sicurezza nel mantenimento del posto di lavoro o nella occupabilità, grazie a competenze sempre aggiornate attraverso percorsi di Life Long Learning e/o di riqualificazione professionale, facendo ampio ricorso ai Fondi interprofessionali.
In particolare:
✓ CENSIS ed EURISPES sottolineavano l'importanza di aiutare le aziende ad investire sulla formazione del lavoratore, così da consolidare una professionalità in vista di una futura ricollocazione a livelli più elevati;
mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo, 2011, reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/X0xXXx
✓ FORMEZ rimarcava la necessità di coniugare adeguatamente politiche attive e passive del lavoro, enfatizzando in particolare la centralità dell'attività di formazione dei lavoratori attraverso una riorganizzazione dei servizi per l'impiego, in grado di bilanciare la diminuita stabilità dei
rapporti di lavoro;
✓ XXX portava ad esempio la propria esperienza nel settore bancario, ove si era data attuazione, attraverso i Fondi interprofessionali ed il Fondo di Solidarietà, a politiche di riqualificazione o formazione del personale;
✓ CNEL poneva l’attenzione sulla promozione dell'istruzione, della
formazione e dell'apprendimento non formale, cosicché, attraverso l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, si possano rendere adeguate le competenze dei lavoratori alle mutate esigenze.
Sulla medesima linea si poneva anche il Consiglio Europeo dell’1-2 marzo 2012 (123) e, soprattutto, la Commissione Europea con la comunicazione intitolata “Verso una ripresa fonte di occupazione” (124) c.d. “Pacchetto occupazione” del 18 aprile 2012. Con tali documenti si invitavano gli Stati membri a prestare particolare attenzione alle transizioni occupazionali dei lavoratori ed, in particolare, a quelle relative ai soggetti a rischio d’esclusione
(125) attraverso tutele di base. Particolare importanza veniva riconosciuta all'accesso all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita: strumento di particolare importanza per la protezione sociale ed economica del lavoratore,
123 Il testo è consultabile al seguente indirizzo: xxxx://xxx.xx/X0xxxX
124 COM (2012) 173)[1], reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/X0xxxX
125 Particolare enfasi veniva data, tra i lavoratori a rischio di esclusione, alla posizione degli Elders, poiché soggetti che subirebbero particolarmente gli effetti derivanti dalla modernizzazione dei sistemi pensionistici e dal conseguente prolungamento della vita lavorativa. Allo scopo, quindi, di poter raggiungere tale obbiettivo, si indicava la possibilità di fare ricorso a misure d’incentivazione fiscale ed a orari di lavoro flessibili.
soprattutto in caso di risoluzione del rapporto senza colpa e di disoccupazione.
Prima di analizzare se e quali delle due sopraindicate linee di intervento per l’ammodernamento del mercato del lavoro siano state prese in considerazione nella Riforma di cui alla L. 92/2012, appare necessario dare un quadro delle proposte pendenti avanti il Parlamento, attraverso cui si è, talvolta, cercato di realizzarle, compensando misure di flessibilità e strumenti di sicurezza (126 ).
3.3. Proposte di intervento in tema di Flexi(curity) all’italiana: il contratto unico a protezione progressiva.
Ai fini di dare una risposta alla richiamata esigenza di maggior flessibilità, attraverso una riduzione della sicurezza nei primi periodi di vita del rapporto, veniva presentato in Senato il 25 marzo 2009 il D.d.l. n. 1481 (127), che mirava alla introduzione di due nuove forme contrattuali - il contratto di “transizione” e quello di “ricollocazione” - con il metodo del layering (128).
Negli auspici degli elaboratori del disegno di legge si sarebbe dovuta così superare la segmentazione del mercato del lavoro, raggiungendo una migliore
126 Tuttora pendenti, fino alla definitiva cessazione dell’attività parlamentare della XVI Legislatura.
128 Ovvero attraverso una applicazione delle nuove regole solo ai rapporti di lavoro che verranno stipulati dalla data di entrata in vigore della legge in avanti, secondo il modello elaborato da Saint Xxxx G., On the Political Economy of Labour Market Flexibility, intervento alla NBER Macroeconomic Annual, 1993, Cambridge Mass., Mit Press, 1993). Per una analisi delle critiche e delle voci a favore di tale proposta si veda: ADAPT, Contratto unico all’italiana: no grazie!, Bollettino speciale 30 novembre 2011 n 59, reperibile al seguente indirizzo: xxxx://xxx.xx/Xxxxx0. Si veda anche Xxxxxxxx X., Osservazioni alla proposta di Xxxxxx Xxxxxx, in RIDL, III, 2009, pagg. 114 e ss.
efficienza nei servizi – non solo pubblici – di formazione e collocamento al lavoro.
Per raggiungere tali ambiziose mete veniva ipotizzata l’istituzione del c.d. “Contratto collettivo di transizione al nuovo sistema di protezione del lavoro”, attraverso cui le parti sociali (di qualunque livello e, quindi, anche tramite la contrattazione di prossimità) si “…impegnano a garantire a tutti i nuovi assunti uno standard unico di garanzia della sicurezza in azienda e nel mercato del lavoro, inteso a conciliare il massimo possibile di flessibilità per le strutture produttive, distribuita uniformemente in tutti i comparti e segmenti del tessuto produttivo, con il massimo possibile di sicurezza e pari opportunità per tutti i lavoratori, ai quali, se in posizione di sostanziale dipendenza dall’azienda, viene assicurata l’assunzione a tempo indeterminato secondo quanto disposto dagli artt. da 5 a 8”.
Si tratta di un contratto di lavoro “…unico e a stabilità crescente” (129 ), per cui, in tutte le ipotesi di rapporto di lavoro caratterizzato da “dipendenza economica” (130), al lavoratore è riconosciuto il medesimo standard di garanzie (sia in termini di flessibilità, che di sicurezza) crescenti in ragione della durata del rapporto e destinate a divenire massime dopo venti anni di attività lavorativa. Il rapporto di lavoro unico a stabilità crescente presenterebbe un mix di flessicurezza variabile a partire da un livello massimo di flessibilità all’inizio del
129 Secondo la definizione datane da Xxxxxxxx X. e Xxxxxxx M., Contratto unico contro la precarietà, 19 febbraio 2008, reperibile su xxx.xxxxxxxxx.xxx. ed il D.d.l. del Senato n. 2075 del 4 febbraio 1997 a firma De Benedetti.
130 Il D.d.l. si basa sul superamento della classica bipartizione autonomia/subordinazione di cui all’art. 2094 c.c., per sostituirla con la c.d. “dipendenza economica” (art. 5, 1° comma d.d.l.), cioè quando il lavoratore tragga più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo (in qualunque forma ottenuto) dal rapporto con una determinata azienda, salvo che “…ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) la retribuzione annua lorda superi i 40.000 Euro; tale limite annuo è ridotto alla metà per i primi due anni di iscrizione alla Gestione separata di cui all’art. 2, comma 56 della L. 8 agosto 1995 n. 335; b) la persona in questione sia iscritta ad un albo o un ordine professionale incompatibile con la posizione di lavoratore dipendente”.
rapporto e destinato a ridursi via via nel tempo a fronte della graduale introduzione di misure di sicurezza (del posto e della occupabilità) (131).
Infatti, dall’inizio del rapporto fino alla scadenza del periodo di prova (della durata massima di sei mesi) sia il datore di lavoro che il lavoratore possono recedere liberamente: notevole, quindi, sarebbe la flessibilità; inesistente la sicurezza, poiché non è previsto alcun intervento né in termini indennitari (preavviso, indennità di mancato preavviso, sostegno al reddito, ecc..), né di supporto per la ricollocazione.
Superato tale periodo e fino all’anno di anzianità lavorativa, la flessibilità verrebbe a ridursi, poiché il datore di lavoro (con più di 15 dipendenti) sarebbe assoggettato ad un vincolo di motivazione ed a specifiche sanzioni per il recesso non giustificato.
Quest’ultimo, infatti, dovrebbe essere sorretto o da una mancanza grave (c.d. “licenziamento disciplinare”, art. 6, 3° comma lett. a) o da un motivo economico, tecnico od organizzativo (art. 7).
Da una tale bipartizione delle cause giustificatrici del licenziamento si genererebbe una differenziata tutela per il lavoratore in caso di recesso illecito. Infatti, nel caso di non giustificatezza del licenziamento disciplinare si procederebbe alla piena applicazione della tutela reintegatoria e risarcitoria di cui all’art. 18 L. 300/1970 nella formulazione precedente la Riforma del 2012 (132), con facoltà per il giudice (133) di mitigare tali sanzioni con applicazione della sola reintegra o del solo risarcimento del danno “…quando ne ravvisi giusti motivi, tenuto conto anche del comportamento e delle condizioni delle parti prima e dopo il
131 Che, come tale, risente di tutti i limiti della eccessiva sintesi per necessità classificatorie.
132 Quindi: applicazione della reintegrazione e del risarcimento del danno medio tempore maturato, pari alle retribuzioni dalla data del recesso sino alla reintegrazione effettiva.
licenziamento…”. Totale, quindi, diventerebbe la discrezionalità nell’applicazione della sanzione e l’aleatorietà della tutela.
A fronte di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo infondato il datore di lavoro dovrebbe versare unicamente una mensilità di retribuzione: massima, quindi, la flessibilità.
Anche sul fronte della sicurezza la distinzione tra licenziamento disciplinare ed economico avrebbe rilievo, poiché solo nel primo caso il lavoratore licenziato (e salva la reintegra) avrebbe diritto alla stipulazione, senza alcuna erogazione economica, di un contratto di ricollocazione (su cui si veda infra); nell’ipotesi di recesso per motivo oggettivo non sarebbe, invece, prevista alcuna misura di sicurezza.
Dall’anno di anzianità fino ai 20 anni di servizio, nulla cambierebbe rispetto a quanto sopraindicato in termini di flessibilità. Significativi, invece, sarebbero gli interventi sul versante della sicurezza, poiché il lavoratore avrebbe diritto alla stipulazione del contratto di ricollocazione e, nel caso di licenziamento per motivi oggettivi infondato, al versamento di una indennità pari ad una mensilità per ogni anno di anzianità fino ad un massimo di 12.
Oltre i venti anni di anzianità, anche il licenziamento per motivi oggettivi verrebbe assoggettato alla tutela di cui all’art. 18 L. 300/1970 (nell’abrogata formulazione) e ad una presunzione di illegittimità (iuris tantum), poiché presuntivamente motivato da ragioni discriminatorie in ragione dell’età.
La maggior flessibilità (recte riduzione di tutela) verrebbe compensata dall’introduzione del contratto c.d. “di ricollocazione”, gestito da un’agenzia
133 Dotato, quindi, di estrema discrezionalità, da cui deriva una estrema incertezza sulle regole e sulle sanzioni
(134), cui compete la funzione di erogare un trattamento complementare di disoccupazione (pari complessivamente a circa tre annualità (135)) ed un’attività qualificata di placement, di formazione o riqualificazione professionale.
Giova sottolineare sin da ora che una tale proposta non ha avuto alcun seguito nell’ambito della Riforma del Mercato del Lavoro attuata con la L. 92/2012, anche a motivo delle numerose critiche cui è stata assoggetta (136).
3.4. Proposte di intervento in tema di Flexicurity all’italiana: il contratto “unico d’ingresso”.
Sempre nell’ambizione di dare una risposta alla esigenza di maggior flessibilità e di riduzione del dualismo presente nel mercato del lavoro italiano è stata ipotizzata la sostituzione di tutte le forme di contratti di lavoro subordinato a termine con un contratto a tempo indeterminato, assoggettato ad una sicurezza crescente e, per converso, ad una flessibilità maggiore nei primi periodi di durata.
Si tratta della proposta volta ad istituire il c.d. “contratto unico d’ingresso” (137), elaborato sulla base delle teorie esposte da X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxx (138), per cui
134 Appositamente costituita e gestita dalle parti sociali firmatarie dell’accordo collettivo contente il contratto di transizione e finanziata dai datori di lavoro (art.2, 3° comma, art.. 3 e 4 d.d.l.)
135 Nell’arco di quattro anni viene erogato un sostegno pari al 90% della retribuzione (fino ad un massimo di 40.000 Euro) per il primo anno, eroso di un 10% all’anno (quindi: 90%+80%+70%+60%).
136 Si rinvia alla rassegna stampa riportata sul Bollettino Speciale ADAPT n. 59. Si veda anche Xxxxxxxx L., Le politiche del lavoro di fronte alla crisi, in RIDL, 2009, III, 127 ss. e Xxxxxxx F., Provaci ancora Xxx: ripartendo dall’art. 18 dello Statuto”, 2012, in I Woking-papers del Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Xxxxxxx X’Xxxxxx”: il dibattito sulla riforma italiana del mercato del lavoro, disponibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XXX0xx
137 Di cui al D.d.l. n 2000/2010 del Senato su proposta di Xxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxx, Xxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxx, Xxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xx Xxxx, Xxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxx, Xx Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Granaiola, Incostante, Xxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxx, Xxxxxx Xxxxx,
il contratto di lavoro e le relative tutele dovrebbero essere suddivise in tre diverse fasi.
La prima fase, finalizzata alla prova, avrebbe una durata di sei mesi durante la quale il recesso sarebbe completamente libero e non sarebbe assoggettato ad alcun tipo di vincolo, né economico, né ripristinatorio o indennitario.
La seconda fase sarebbe ricompresa nel periodo da sei mesi di anzianità fino ai tre anni, durante il quale il recesso sarebbe assoggettato unicamente ad un onere economico, pari a 15 giorni di retribuzione per ogni semestre di lavoro. Nessun intervento sarebbe previsto in entrambi i casi per assicurare l’occupabilità del lavoratore licenziato.
A partire dai tre anni di anzianità si dovrebbe applicare integralmente la tutela, reale od obbligatoria, a seconda delle dimensione dell’impresa del datore di lavoro, distinguendosi – secondo tradizione - tra aziende con più o meno di 15 dipendenti.
Tale modello dovrebbe, quindi, assicurare una maggior flessibilità fino a tre anni di durata del contratto di lavoro senza che questa sia in alcun modo compensata da strumenti di sicurezza, spingendo da un lato le aziende di maggiori dimensioni a risolvere il rapporto entro il termine triennale di piena applicazione della tutela reale e senza fornire alcuna compensazione tramite strumenti di protezione da allocare all’interno della Flexicurity Matrix nell’ambito delle caselle dedicate alla sicurezza.
Xxxxxxxx, Xxxxx, Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx, Xxxxxxx, Stradiotto, Xxxxxx, Xxxx, Xxxxxx e Xxxxxx. Il testo del D.d.l. è reperibile all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxx/XXX/XXXXxxxxx/XXX/00000000.xxx.
138 Boeri T. e Xxxxxxxxx P., Un nuovo contratto per tutti. Per avere più lavoro, salari più alti e meno discriminazione, Xxxxxxxxxxxxx, Milano, 2008
Ulteriore elemento critico deriverebbe al fatto che, non comprendendo l'ipotesi di riforma una revisione anche di tutti i contratti di tipo parasubordinato (xx.xx.xxx, partite iva, stages, ecc…) si correrebbe il rischio di incrementare il ricorso a questi ultimi per aggirare le misure di riduzione della flessibilità, aumentando di riflesso quella segmentazione del mercato del lavoro cui si voleva porre rimedio (139 ).
3.5. Flexicurity all’italiana: il “contratto unico di inserimento formativo”.
Ulteriore proposta di legge, volta ad eliminare il dualismo tra insider ed outsider del mercato del lavoro italiano attraverso l’incremento della sicurezza, è quella diretta all'introduzione del contratto unico di inserimento formativo (c.d. “CUIF”) (140).
Quest’ultimo sarebbe finalizzato a “…agevolare le assunzioni a tempo indeterminato e renderle più convenienti”, attraverso la creazione di un'unica forma di accesso o reinserimento al lavoro che dovrebbe coniugare “… convenienza economica per le imprese, percorsi di formazione, flessibilità iniziale e processi di stabilità, assorbendo così le diverse e preesistenti modalità di accesso al lavoro”.
Si tratterebbe, in altri termini, di una forma contrattuale che andrebbe a sostituire l'apprendistato professionalizzante e di alta qualifica, i contratti a tempo determinato, il lavoro intermittente, il lavoro ripartito, i contratti di inserimento ed il contratto di formazione lavoro.
139 In questo senso: Xxxxxxxx X. e Xxxxxxx M., Contratto unico contro la precarietà, del 19 febbraio 2008 reperibile sul sito xxx.xxxxxxxxx.xxx
140 Si tratta del D.d.l. 2630 del 22 luglio 2009 presentato alla Camera dei Deputati da Madia ed altri ed attualmente assegnato alla XI Commissione in sede referente dal 10 febbraio 2010.
La parte più significativa della proposta di legge è rinvenibile nell’art. 1, 2° comma ove si prevede che “il CUIF è un contratto causa mista di natura subordinata”, enfatizzandosi così, nell'ambito della causa contrattuale non solo l'elemento di scambio tra retribuzione e prestazione lavorativa, ma anche l'attività formativa o di riqualificazione.
Con tale tipologia contrattuale verrebbero ad essere così enfatizzati gli strumenti di sicurezza del lavoro (soprattutto poiché si assisterebbe alla totale eliminazione del contratto a termine) e della occupabilità (grazie all’attività formativa o di riqualificazione, che diviene parte integrante del contratto e non un semplice elemento accessorio), dovendosi viceversa registrare una consistente riduzione della flessibilità esterna ed interna.
Anche tale D.d.l. non ha avuto alcun seguito, trovandosi tuttora presso la XI Commissione senza che alcuna attività parlamentare si sia svolta e non avendo alcuna incidenza sulla più volte richiamata Riforma del Mercato del Lavoro.
3.6. (Flexi)curity all’italiana: il riconoscimento del diritto dei lavoratori all’apprendimento permanente ed alla formazione.
Su una linea completamente diversa si è, invece, posto il D.d.l. n. 2418 presentato alla Camera dei Deputati il 6 maggio 2009 (141), affiancato, poiché ad esso omogeneo per impostazione, dal D.d.l. della Camera n. 1079 del 20 maggio 2008 (142).
142 Presentato da Bobba, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Narducci, Portas, Xxxxxx, Xxxxxxxxxxx, Lucà, Xxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Dal Moro e Farinone ed attualmente riunito a quello Cazzola.
Obbiettivo di ambedue i progetti di legge è l’incremento della sicurezza in termini occupabilità senza alcuna riduzione in termini di flessibilità, riconoscendo il diritto-dovere alla formazione continua.
Entrambi, in luogo di intervenire su strumenti regolatori del singolo rapporto di lavoro – e, quindi, abrogando o innovando le diverse tipologie contrattuali
– pongono l’accento sulla occupabilità, attraverso la valorizzazione del diritto alla formazione continua, quale diritto di rango costituzionale (riconosciuto dagli artt. 4 e 35, 2° comma della Carta costituzionale (143)), con l’effetto di rendere la formazione continua “…un vero e proprio obbligo sociale per consentire a tutti il raggiungimento dei più alti livelli professionali”(144), gravante sullo Stato, sugli enti territoriali e, in particolare, sulle regioni.
La proposta di legge mira, quindi, a riconoscere la formazione professionale continua come diritto individuale da realizzarsi attraverso percorsi di orientamento, nonché offerte formative e di aggiornamento professionale per il singolo.
Il D.d.l. 2418, peraltro, dopo aver riconosciuto l’esistenza del “…diritto dei lavoratori all'apprendimento e alla formazione” (art. 1, 1° comma), si limita a rinviare al fine della piena attuazione dello stesso ad una serie di decreti legislativi che il governo dovrebbe emanare entro dodici mesi.
Più articolata, viceversa, è la proposta contenuta nel D.d.l. 1079, che non si limita a riconoscere il diritto alla formazione professionale continua (artt. 1
(145) e 3 (146)), quale “…diritto civile e di libertà, incentrato sulla dignità della persona e
143La prima norma impone, infatti, la promozione delle “condizioni che rendano effettivo” il diritto al lavoro; la seconda esplicita la cura da parte della Repubblica della “formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori”.
144 Si veda la relazione introduttiva del D.d.l. 2418
145 Art. 1. - (Princìpi e finalità).
finalizzato a consentire a ciascuno di realizzare la propria vocazione professionale”, ma provvede a disciplinarne taluni aspetti concreti.
In primo luogo, infatti, la proposta di legge precisa che il diritto alla formazione continua contiene in sé una serie di sub-diritti di cui il singolo può pretendere il pieno rispetto e la piena attuazione: si tratta del diritto a godere di attività di orientamento, valorizzazione delle competenze comunque acquisite (quindi sia con formazione formale, che informale), di avere consulenza, accompagnamento e sostegno in ogni fase di transizione.
In particolare, l’art. 3., intitolato “Diritto alla formazione professionale continua”, ai commi 3 e 4 prevede espressamente che la “ …formazione professionale continua, in coerenza con i princìpi costituzionali, è disciplinata dalle regioni, in relazione alle esigenze delle rispettive aree territoriali e in base alla potestà normativa delle istituzioni regionali” e che la gestione dell’offerta formativa “…si uniforma a standard di prestazione definiti dallo Stato…” e “le regioni articolano i propri sistemi di offerta formativa e i propri dispositivi di regolazione in conformità al principio della continuità formativa, in forza del
0.Xx Repubblica, in armonia con gli indirizzi dell'Unione europea, riconosce il diritto individuale alla formazione e allo sviluppo professionale, in qualsiasi momento della vita, volto a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze della persona.
(OMISSIS)
5. Il diritto individuale alla formazione e allo sviluppo professionale si concretizza in diversi servizi tecnico- specialistici, che configurano altrettanti diritti secondari. Essi sono:
a) l'orientamento;
b) la valorizzazione delle competenze comunque acquisite;
c) la consulenza e l'accompagnamento;
d) il sostegno.
145 Art. 3. - (Diritto alla formazione professionale continua). 1. Il diritto individuale alla formazione professionale continua, in coerenza con i princìpi costituzionali, è disciplinato dalle regioni, in relazione alle esigenze delle rispettive aree territoriali e in base alla potestà normativa delle istituzioni regionali.
2. La formazione professionale continua è diretta a favorire l'adattamento dei cittadini alle trasformazioni del mondo del lavoro, la prevenzione e il superamento di situazioni di crisi e l'accompagnamento dei loro percorsi di crescita professionale, contribuendo alla promozione culturale, sociale e professionale della persona.
146 Fonero E., L’obbiettivo è un sistema di Flexicurity, in Newsletter n.66 del 27/04/2011 reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XXXXxX
quale ogni percorso deve poter essere aperto a sviluppi successivi, potenzialmente fino ai livelli più elevati.”
Quale strumento per realizzare il diritto alla formazione continua così delineato si prevede la necessità di fornire un servizio di orientamento, specialmente nelle fasi di inserimento nel mondo lavorativo o di ricerca di nuova occupazione, soprattutto a fronte di disoccupazione involontaria (art 4).
In secondo luogo, ai fini di dare concretezza a tale diritto, si riconosce (art. 8.- “Misure per sostenere la domanda di formazione professionale continua”) la possibilità di dedurre dalle imposte (in quanto oneri deducibili) “…le spese sostenute per l'iscrizione, la frequenza o la fruizione di corsi, servizi e attività di formazione professionale continua” a condizione che la stessa sia svolta presso strutture accreditate. Si impone, così, al Ministro del Lavoro - di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'Istruzione - l’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di “…appositi regolamenti che prevedono misure di sostegno agli individui, differenziate a seconda della condizione economica, sociale e lavorativa, anche sotto forma di borse di studio, voucher individuali, prestiti agevolati, sostegno all'offerta pubblica di istruzione e di formazione”.
Nessuna influenza è stata esercitata, nonostante la portata innovativa delle previsioni in esse contenuti, da tali proposte sulle modifiche introdotte con la
c.d. “Riforma Fornero”.
3.7. La riforma del mercato del lavoro: la l. 92/2012.
Questo, pertanto, il contesto in cui si innestava la Riforma del Lavoro di cui alla L. 92/2012 intitolata “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”.
Al Governo erano, infatti, state indicate due priorità in tema di ammodernamento del mercato del lavoro italiano con la Indagine Conoscitiva del 29 novembre 2011 (maggiore flessibilità compensata da misure di L.L.L. per assicurare maggiore occupabilità del lavoratore) ed esso aveva a propria disposizione alcuni progetti di legge che, seppur non in modo pieno, potevano comunque consentire il raggiungimento di tali obbiettivi.
Xxxxx a tal proposito sottolineare come sul fatto che queste fossero le principali misure di intervento di cui abbisognava il mercato del lavoro conveniva parzialmente anche la Xxxx. Xxxx Xxxxxxx, alcuni mesi prima di essere nominata Ministro del Lavoro.
Essa precisava, infatti, che “…troppo poco è stato fatto – e quindi molto resta da fare - affinché tutti (giovani, donne, lavoratori anziani) possano lavorare sia pure con diverse modalità (per l’appunto flessibili) e soprattutto troppo poco è stato fatto, e quindi molto resta da fare, perché la flessibilità lavorativa sia davvero una fase iniziale della carriera lavorativa e non si trasformi, invece, in una sorta di ghetto di lavoro sottopagato e di prospettive negate” (147).
Una ipotetica riforma del mercato del lavoro avrebbe dovuto, pertanto, ambire alla c.d. “flessibilità buona” (i.e. la Flexicurity) per cui il “…contratto potrebbe essere modellato in modo da adattarsi maggiormente sia alle diverse esigenze del ciclo di vita delle persone - con un periodo iniziale di formazione anche sul posto di lavoro, minore risparmio previdenziale e quindi aliquote contributive inizialmente più basse - sia
147 Fonero E., L’obbiettivo è un sistema di Flexicurity, in Newsletter n.66 del 27/04/2011 reperibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xx/XXXXxX
alle esigenze delle imprese, con una retribuzione e condizioni di impiego commisurate alla produttività…”.
Per la realizzazione di un mercato equo ed inclusivo il lavoratore dovrebbe dimostrare la propria disponibilità a cambiare, passando “…così dalla difesa del posto di lavoro alla difesa del lavoro tout court”. Premessa per un tale obbiettivo dovrebbe essere non solo “…l’accettazione da parte del lavoratore della necessità di acquisire, naturalmente in forma gratuita, competenze diverse da quelle del suo lavoro precedente nel periodo di passaggio che gli viene retribuito…”, ma anche il creare “…un’estesa attività di manutenzione e miglioramento del capitale umano dei lavoratori, soggetto a invecchiamento come e forse più del capitale fisico”.
Flessibilità a riduzione graduale e sicurezza incentrata soprattutto sulla formazione continua erano, quindi, le priorità individuate dal Ministro prima della sua nomina per un equilibrato ammodernamento del mercato del lavoro italiano.
Di ciò è, peraltro, rimasta scarsa traccia nella riforma realizzata.
Nessun cenno a tali priorità è, infatti, contenuto tra gli obbiettivi principali della Riforma (148) e costituiti dalla valorizzazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato come “contratto dominante” ovvero forma comune del rapporto di lavoro; da una ridistribuzione più equa delle tutele dell’impiego,
148 Per consultare i lavori parlamentari: xxxx://xxx.xxxxxx.xx/000?xxXxxxxxxxxx0000&xxxx00. Per un’analisi complessiva della Riforma, si vedano tra gli altri: AA.VV., La nuova riforma del lavoro, commentario alla L. 28 giugno 2012 n. 92, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, Milano, 2012; AA.VV., La riforma del Lavoro, Istant- book de Il Sole 24 Ore, 2012; AA.VV., Guida alla Riforma Fornero, in I Quaderni di Wikilabour, reperibile su xxx.xxxxxxxxxx.xx; Vallebona A., La riforma del lavoro 2012, Torino, 2012; Carinci F., (2012) Complimenti Dottor Frankenstein: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in I working –papers Centro Studi di Diritto del Lavoro Europeo “Xxxxxxx X’Xxxxxx”: il dibattito sulla riforma italiana del mercato del lavoro, disponibile all’indirizzo xxxx://xxxxx.xxx.xxxxx.xx/; Xxxxxxx A., (2012), La scommessa di un mercato del lavoro meno duale, in Newsletter Nuovi Lavori, n. 93 e reperibile in xxxx://xxx.xxxxx- xxxxxx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxxx.xxx?xxxx0000&xxxx00; Tea A., La riforma del mercato del lavoro, E-book pubblicato su Xxxxxxx.xx e reperibile al seguente indirizzo: xxxx://xxx.xx/00xXxxx;
“…riconducendo nell’alveo di usi propri i margini di flessibilità progressivamente introdotti negli ultimi vent’anni e adeguando la disciplina del licenziamento individuale per alcuni specifici motivi oggettivi alle esigenze dettate dal mutato contesto di riferimento” e da una maggior efficienza, coerenza ed equità nell’assetto degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive a contorno.
La riforma dovrebbe, pertanto, realizzare un mercato del lavoro più inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in qualità e quantità, alla crescita sociale ed economica ed alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione.
Nella realtà essa ha da un lato ridotto sensibilmente la flessibilità esterna attraverso una riduzione del xx.xx.xxx. e del contratto a termine (compensata parzialmente dal contratto “acausale”), ha ampliato leggermente la flessibilità interna (con la modifica dell’art. 18 l. 300/1970 e la riduzione del campo di applicazione della tutela risarcitoria e ripristinatoria piena), ed ha introdotto, seppur non in modo pieno, misure per la sicurezza dell’occupabilità, attraverso il riconoscimento del Life Long Learning e dell’aggiornamento continuo e mirato delle competenze dei lavoratori.
Apprezzabile appare quindi l’estensione (graduale) del campo di applicazione di misure di sostegno al reddito, volte ad accompagnare le transizioni lavorative (tramite la c.d. “Aspi”) e soprattutto l’introduzione, tramite l’art 4 commi da 51 a 61, dell’apprendimento permanente, definito come “…qualsiasi attività di apprendimento intrapresa dalle persone in modo formale ( 149), non formale (150 )
149 Definito dal comma 52 come “…quello che si attua nel sistema di istruzione e formazione e nelle università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, e che si conclude con il conseguimento di un titolo di studio o di una qualifica o diploma professionale, conseguiti anche in apprendistato a norma del testo unico di cui al d.lgs. 14 settembre 2011, n. 167, o di una certificazione riconosciuta”.
e informale ( 151), nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale”.
Purtroppo la piena attuazione dello stesso non è rinviata, poiché sarà necessario un provvedimento da assumersi in sede di Conferenza unificata su proposta del Ministero dell’Università e del Lavoro e delle parti sociali: solo alla luce dello stesso sarà possibile verificare quali sia l’efficienza della misura e quale il concreto contento delle “relative politiche”.
L’intesa, di cui alla Conferenza Unificata prevista al comma 51 dell’art. 4, è, infatti, destinata a definire gli indirizzi per: i) individuare i criteri generali e le priorità in riferimento al sostegno alla costruzione, da parte delle persone, dei propri percorsi di apprendimento formale, non formale ed informale, ivi compresi quelli di lavoro, individuando i fabbisogni di competenza delle persone in correlazione con le necessità dei sistemi produttivi e dei territori di riferimento, con particolare attenzione alle competenze linguistiche e digitali;
ii) il riconoscimento di crediti formativi e la certificazione degli apprendimenti comunque acquisiti (152) e iii) la fruizione di servizi di orientamento lungo tutto il corso della vita.
Pur non potendosi, in attesa di tale provvedimento, esprimere un giudizio completo sull’efficacia, quale misura di sicurezza nell’occupabilità, del riconoscimento dell’apprendimento permanente non si può sottacere come
150 Definito come quello caratterizzato da una scelta intenzionale della persona, che si realizza al di fuori dei sistemi indicati al comma 52, in ogni organismo che persegua scopi educativi e formativi, anche del volontariato, del servizio civile nazionale e del privato sociale e nelle imprese.
151 Indicato dal comma 54 come “…quello che, anche a prescindere da una scelta intenzionale, si realizza nello svolgimento, da parte di ogni persona, di attività nelle situazioni di vita quotidiana e nelle interazioni che in essa hanno luogo, nell’ambito del contesto di lavoro, familiare e del tempo libero”.
152 Alla validazione degli apprendimenti non formali e informali ed al sistema nazionale di certificazione delle competenze sono dedicati i commi da 64 a 68 del citato art. 4 della L. 92/2012. Anche in tal caso, si rinvia ad uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali e dei livelli essenziali delle prestazioni.
discutibile appaia il mancato riconoscimento di alcun ruolo in tale campo agli attori privati del mercato del lavoro e, soprattutto, alle parti sociali ed alla bilateralità (i.e. i Fondi Interprofessionali (153)), cui è precluso alcun intervento nella costituzione delle reti per la formazione continua.
A ciò si aggiunga la perplessità circa l’effettiva attuazione di un simile ambizioso progetto stante la presenza di criteri direttivi generici e poco pragmatici: l’art. 4, 59° comma da un lato si limita ad individuare quali principi ispiratori delle politiche di L.L.L. la semplicità, la trasparenza, la rispondenza ai sistemi di garanzia della qualità e di pari opportunità, che evidentemente peccano per eccesso di genericità.
Dall’altro ancor meno concrete sono le caratteristiche che dovrebbe avere il servizio di individuazione e di validazione del patrimonio culturale individuale da tradursi, su richiesta degli interessati, in competenze certificabili e crediti formativi.
Assolutamente negativo e di segno opposto rispetto alle linee di intervento tracciate con i citati D.d.l. 1079 e 2418 è in primo luogo il fatto che, nell’ottica di non imporre nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si riconosce a Regioni e Province autonome la facoltà di stabilire la quota dei costi a carico della persona che chiede la convalida dell’apprendimento non formale e informale e la relativa certificazione delle competenze. Ciò rischia, quindi, di creare una barriera alla effettiva diffusione delle politiche di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, di cui la certificazione delle competenze costituisce un importante tassello.
153 Singolarmente ai Fondi Interprofessionali è, peraltro, riconosciuto dall’art. 3 un ruolo importante nell’ambito dei programmi di L.L.L., atteso che essi possono finanziare programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell'Unione europea
In secondo luogo, non si è proceduto, così come era auspicato dai citati D.d.l. e come sarebbe stato necessario in un’ottica di piena attuazione degli artt. 4 e 35 Cost., a riconoscere la formazione permanente come un vero e proprio diritto-dovere suscettibile di essere sanzionato in caso di sua violazione.
3.8. Le misure a favore degli Elders.
Fatta una tale premessa in termini generali, appare necessario sottolineare come la Riforma abbia tentato di introdurre alcune misure volte ad incentivare la ricollocazione degli Over50 o il loro passaggio (non graduale) alla quiescenza.
I commi 1-10 dell’art. 4 della L. 92/2012 (corrispondenti agli originari artt. 52 e 53 de D.d.l. n. 3249 del Senato), rubricati rispettivamente “Interventi in favore dei lavoratori anziani” e “Incentivi all’occupazione per i lavoratori anziani e le donne nelle aree svantaggiate” sono volti ad introdurre incentivi economici per l’assunzione ed il reinserimento degli Over50 o a creare un sistema per l’accompagnamento di tali soggetti verso la pensione.
Con il primo strumento (previsto dall’art. 4, commi 1-7) si introduce la possibilità, nei “nei casi di eccedenza di personale” e per le aziende che occupino più di 15 dipendenti, di “incentivare l’esodo dei lavoratori” Over50 che nei quattro anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro raggiungano i requisiti minimi per il pensionamento, di vecchiaia o anticipato.
La procedura prevede la sottoscrizione di un accordo tra datore di lavoro e le XX.XX. più rappresentative a livello aziendale, con cui il datore si impegna a riconoscere al lavoratore (tramite l’Inps) una prestazione pari al trattamento di pensione che gli spetterebbe in base alla normativa vigente al momento della
sottoscrizione dell’accordo ed a corrispondere al citato Istituto previdenziale la contribuzione figurativa necessaria per il raggiungimento dei requisiti minimi di pensionamento.
L’Inps procedere al pagamento della prestazione al lavoratore, con le medesime modalità previste per la corresponsione delle pensioni.
Il datore è tenuto a presentare una fidejussione bancaria che ne garantisca la solvibilità presente e futura, così da assicurare il lavoratore sulla puntuale esecuzione delle obbligazioni assunte: infatti, se il datore interrompe il versamento mensile, l’Inps non eroga la prestazione al lavoratore e notifica un avviso di pagamento, trascorsi invano 180 giorni dal quale procede all’escussione della fidejussione.
Con l’art. 4, commi 8-10 della L. 92/2012 si crea un incentivo economico volto a favorire il reinserimento attivo dei lavoratori “di età non inferiore a cinquanta anni, disoccupati da oltre dodici mesi”.
Infatti, nel caso di assunzione effettuata dal 1º gennaio 2013 “con contratto di lavoro dipendente, a tempo determinato, anche in somministrazione” il datore di lavoro ha diritto ad una riduzione per un anno del 50% dei contributi a proprio carico.
L’incentivo economico sopraindicato viene riconosciuto per diciotto mesi (anziché dodici) se il contratto di assunzione dell’Over50 è trasformato in un rapporto a tempo indeterminato ovvero se l’assunzione è sin dall’inizio a tempo indeterminato.
3.9. Conclusioni.
Se, quindi, le priorità indicate dalla XI Commissione Permanente della Camera dei Deputati erano di due tipi - maggiore flessibilità, attraverso una semplificazione degli strumenti contrattuali ed adozione di politiche volte ad garantire maggior sicurezza nel mantenimento del posto di lavoro o nella occupabilità, grazie percorsi di L.L.L. – e se ad esse i D.d.l., esaminati nelle pagine che precedono, tentavano di dare una risposta non si può affermare che la Riforma sia stata in grado di soddisfarle in modo pieno.
Ferma restando la necessaria sospensione di ogni giudizio sulle politiche di apprendimento permanente, poiché mancano i fondamentali provvedimenti di attuazione, si devono segnalare due principali carenze.
La prima è relativa al fatto che, con riferimento agli Over50 (cioè una delle coorti a rischio di esclusione) ci si è limitati a prevedere forme di incentivo contributivo per l’assunzione senza in alcun modo considerare la necessità di aggiornamento e riqualificazione che normalmente a ciò è connessa, entrando in piena contraddizione con i principi affermati nell’art. 4 della L. 92/2012.
L’eliminazione – in modo inspiegabile – del contratto di inserimento, di cui agli abrogati artt. da 54 a 59 del D.lgs. 276/2003, ha così non solo ridotto la platea dei soggetti interessati a possibili forme di assunzione incentivata, ma ha altresì eliminato la (seppur ridotta) attività formativa che ad esso era connaturata e che, proprio alla luce delle politiche di apprendimento permanete sarebbe potuta essere oggetto di certificazione e, pertanto, spendibile in altre e successive occasioni lavorative.
Ulteriore elemento critico è la mancata soggettivizzazione delle politiche di apprendimento permanente: la Riforma si è premurata di disciplinare le politiche di L.L.L. solo con riferimento alla riorganizzazione delle modalità di offerta della stesse.
Nessuna posizione è, invece, stata assunta con riferimento al singolo.
E’, infatti, da registrare un chiaro vuoto normativo ove si osservi il Life Long Learning da un punto di vista individuale: quali i diritti e verso chi (datore di lavoro o Stato) competono al singolo lavoratore per la piena attuazione delle politiche di apprendimento lungo tutto l’arco della vita? Nessuna chiara risposta (che veniva, invece, data dai due D.d.l. nn. 1079 e 2418) emerge dalla lettura della L. 92/2012.
Nei due capitoli successivi si tenterà di individuare quali siano gli strumenti e le politiche attualmente disponibili per una attuazione del Life Long Learning e quale il possibile inquadramento, da un punto di vista soggettivo e contrattuale, dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.
Capitolo 4
Gli interventi pianificati ed attuati a livello regionale e locale
4.1 Premessa
Come si è accennato nel capitolo che precede, non pare che la Riforma del mercato del lavoro, introdotta con la L. 92/2012, abbia prodotto significativi ed imminenti mutamenti nelle politiche di prolungamento della vita attiva e, soprattutto in quelle relative all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, quale fondamentale strumento di occupabilità.
Al di là, infatti, di chiare e puntuali dichiarazioni di carattere programmatico, contenute negli artt. 1, 1° comma lett. g) (154) e 4, commi da 51 a 61 (155), appare chiaro come l’effettiva implementazione ed attivazione di percorsi di
L.L.L. dovranno fare affidamento sull’esistente.
154 “La presente legge dispone misure e interventi intesi a realizzare un mercato del lavoro inclusivo e dinamico, in grado di contribuire alla creazione di occupazione, in quantità e qualità, alla crescita sociale ed economica e alla riduzione permanente del tasso di disoccupazione, in particolare: … ) favorendo nuove opportunità di impiego ovvero di tutela del reddito per i lavoratori ultracinquantenni in caso di perdita del posto di lavoro...”
155 Si rinvia a quanto scritto nel capitolo 3, paragrafi 7, 8 e 9.
Nel presente capitolo, pertanto, si procederà ad un’analisi (sommaria per motivi di spazio) dei principali strumenti di sostegno dei lavoratori maturi e di attivazione, a livello locale, di politiche per un prolungamento della vita attiva. Nel successivo Capitolo 5°, sempre basandosi sull’esistente, si procederà ad una verifica di come il Life Long Learning possa essere implementato a livello individuale nell’ambito dell’esecuzione del singolo contratto di lavoro.
4.2. Una panoramica delle differenti tipologie di interventi.
Le normative regionali o locali volte al sostegno dei lavoratori maturi si esprimono in provvedimenti classificabili a diversi livelli (leggi regionali, leggi provinciali, regolamenti, delibere…).
Le Regioni più attive sono il Friuli Venezia Giulia e la Liguria (quest’ultima è anche la regione con più alta presenza di anziani in Italia).
Tra le varie e diverse misure adottate si possono distinguere interventi volti a realizzare politiche push per:
✓ creare occupabilità/adattabilità;
✓ incentivare l’incontro tra domanda-offerta di lavoro;
✓ creare lavoro autonomo e per affrontare situazioni di crisi e/o ristrutturazione aziendale
ed anche misure pull che si focalizzano:
✓ sul rafforzamento dell’ambiente favorevole al ritiro/pensionamento graduale promuovendo l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita;
✓ sull’uso di contratti flessibili volti al prolungamento della vita attiva. Passando all’esame delle strategie e delle misure adottate a livello territoriale, si noterà come gli interventi posti in essere da Regioni e Province si articolano in
modo differente a seconda: i) dei destinatati delle azioni (età, condizione occupazionale); ii) dei finanziamenti utilizzati e iii) della tipologia degli interventi e le misure cui fanno riferimento.
Dalla ricognizione compiuta dall’ISFOL (156) è possibile, in primo luogo, effettuare una classificazione e descrizione degli interventi regionali e locali realizzati:
Figura 8 - Tipologia di azioni finalizzate al prolungamento della vita attiva (Fonte ISFOL)
Emerge, così, che le Regioni non si sono solo limitate a prendere in considerazione il tema dell’invecchiamento nelle loro linee di programmazione, ma si sono concretamente attivate attraverso bandi, documenti programmatici di indirizzo e protocolli di intesa (157).
156 ISFOL, I Libri del Fondo sociale europeo: Le azioni locali a supporto del prolungamento della vita attiva, 2009, reperibile all’indirizzo: xxxx://xxxxxxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxx/000000000/000/0/XXX%00000_Xxxxxx%00xxxxxx.xxx
157 Analizzando le aree geografiche emerge che il Nord-Ovest ha prodotto il maggior numero di documenti, diversificando maggiormente le proprie attività programmatorie.
Per quanto riguarda le tipologie di finanziamenti, il Fondo Sociale Europeo
(158) (FSE) risulta essere lo strumento maggiormente utilizzato per sostenere ed attuare politiche di prolungamento della vita attiva.
Figura 9 - Tipologie di finanziamento (fonte ISFOL)
L’indagine ISFOL (2009) ha, inoltre, evidenziato che il 60,7% delle politiche sono adottate a livello provinciale. Ciò sia quale effetto della delega alle Province delle attività relative alla gestione delle risorse umane e della loro formazione, sia perché in tal modo si ambisce a delineare progetti che possano meglio soddisfare le esigenze e le peculiarità di ambiti territoriali più ristretti. Non mancano, peraltro, esempi di interventi trasversali e tali da coprire ambiti territoriali più vasti.
158 Il Fondo Sociale Europeo è uno dei più importanti strumenti finanziari dell'Unione Europea. Nell'ambito delle politiche comunitarie la sua azione si esplica nello sviluppo e nel finanziamento di una serie di progetti volti alla promozione della coesione tra i diversi stati membri. Le linee di intervento su cui si snoda la sua azione si basano su una piattaforma di programmazione, risultato della collaborazione sinergica di diversi enti: i Ministeri competenti, la Commissione Europea, le Regioni e le parti sociali.
Parimenti, sono da annoverare iniziative adottate su territori più ristretti, come i singoli comuni di città di rilevanti dimensioni (159).
In generale i destinatari dell’attività di programmazione sono prevalentemente (il 48% del totale) disoccupati o lavoratori a rischio di licenziamento.
In alcuni programmi, è presente il concetto di periodi di “ricostruzione” nella carriera dei dipendenti, per consentire loro di approfondire le conoscenze di nuove tecnologie e nuovi software.
Le tipologie di programmazione si distribuiscono in maniera diversa in base alla condizioni dei destinatari.
Per gli occupati (81,1% delle misure loro dedicate) verso lo sviluppo dell’adattabilità e occupabilità, mentre per i disoccupati si cerca di operare sia sul fronte della domanda/offerta di lavoro (39%) che su quello dell’adattabilità/occupabilità (55,5%).
In conclusione, incrociando la tipologia di intervento con la tipologia di finanziamento impiegata, emerge un interesse politico/amministrativo verso le misure che mirano ad aumentare l’occupabilità/adattabilità del lavoratore e al miglioramento dell’incontro domanda offerta, ed un massiccio ricorso al FSE (52,46%) quale strumento di finanziamento per gli interventi programmati nel loro complesso (160).
159 Si tratta di sperimentazioni dell’istituto di lavoro occasionale di tipo accessorio per svolgere attività di breve durata necessarie allo svolgimento di tipiche funzioni municipali. Presso il Comune di Genova la sperimentazione è stata utilizzata per esigenze legate ad intemperie naturali (spalatori di neve..) per generiche attività nell’ambito di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli, lavoro di emergenza o solidarietà, giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti. Tali tipologie di interventi sono più frequenti in Lombardia, Piemonte e Liguria.
160 Per quanto concerne le priorità della programmazione 2007-2013, il FSE punta ad aumentare l’adattabilità di lavoratori, aziende ed imprenditori. In un tale contesto, sosterrà la modernizzazione e il rafforzamento delle istituzioni del mercato del lavoro, le misure attive del mercato del lavoro e le azioni di apprendimento permanente, anche all’interno delle aziende
Dalla scelta di operare prevalentemente su ambiti territoriali ristretti, per lo più limitati alle province, emergono significative differenza nella distribuzione delle opportunità: ciò in ordine sia alla tipologia di intervento, alle coorte interessata, alle finalità da realizzare, sia, infine, alla efficacia della misura adottata.
4.3. I bandi
L’indagine svolta ha permesso di identificare nel complesso 165 interventi (161) riconducibili alla materia di interesse.
Analizzando nel dettaglio la distribuzione dei bandi si nota innanzitutto che non tutte le Regioni hanno attivato interventi ad hoc per gli Elders: tra queste vi sono la Basilicata, il Molise e la Sicilia.
Il diverso andamento tra regioni del Nord e del Sud appare legato ad una diversa (e più lenta) capacità di reazione e programmazione da parte delle singole amministrazioni regionali rispetto ai cicli di attivazione dei fondi strutturali.
In particolare, dalla citata indagine ISFOL è emerso che il periodo in cui si sovrappone la “coda” della programmazione precedente e l’avvio di quella successiva vede alcune regioni, specie del Centro - Nord, più rapide nell’avviare la nuova programmazione nei tempi richiesti.
Il che indica una capacità di spesa più uniforme nel tempo e, conseguentemente, una programmazione e realizzazione degli interventi in maniera più regolare e prevedibile.
L’inefficienza di alcune regioni rispetto ad altre è stata di recente ribadita nel “Position Paper” dei Servizi della Commissione sulla preparazione dell’Accordo
di Partenariato e dei Programmi in ITALIA per il periodo 2014-2020: “ … la scarsa capacità amministrativa degli organismi coinvolti nella gestione e nell’erogazione dei programmi finanziati con i fondi, in particolare nelle Regioni meridionali, ha finora minato l’uso efficiente ed efficace dei Fondi Strutturali ed il relativo impatto sul territorio (162). Esistono livelli estremamente differenziati in termini di capacità amministrativa nella gestione dei Fondi, in particolare per ciò che riguarda un’inadeguata pianificazione, selezione, monitoraggio e valutazione di progetti, così come una lenta attuazione di programmi. Anche in questo caso si evince un forte divario tra il Centro-Nord e il Sud, con una certa differenziazione anche all’interno del Sud stesso” (163).
Dai dati citati appare consistente il ricorso al FSE per la realizzazione di tali politiche: il 57,6% del totale degli interventi attivati ha fatto uso del Fondo Europeo o esclusivamente o utilizzandolo in unione con altre fonti di finanziamento (164).
Anche in tale ambito si registra un utilizzo differenziato tra regione e regione: ad esempio, Liguria e Puglia (interessati da pochi bandi) hanno fatto ricorso esclusivamente a risorse generali del FSE; Lombardia e Veneto (con un numero di bandi e di interventi più significativo) hanno utilizzato una molteplicità di strumenti di finanziamento, come ad esempio fondi comunitari (non FSE), fondi provinciali o una combinazione di forme di finanziamento diverse.
161 Purtroppo i dati – i più aggiornati disponibili – si riferiscono al 2009.
162 Vedasi anche il Documento di Lavoro della Commissione sulla valutazione del Programma Nazionale di Riforma 2012 e Programma di Stabilità per l’Italia (pag. 23) e a Raccomandazione Specifica Paese n. 6.
163 Ad esempio, i tassi minimi di assorbimento per i programmi finanziati dai Fondi Strutturali 2007-2013 nell’intera UE – 27 si registrano in Campania, Calabria e Sicilia. Campania e Sicilia sono le maggiori Regioni Italiane beneficiarie di Fondi Strutturali.
164 Scarso risulta, infatti, l’utilizzo di fondi esclusivamente nazionali (3%) o regionali (8,5%)
Ciò nonostante è emersa una significativa dipendenza dai fondi FSE: non solo dal punto di vista finanziario, ma anche relativamente alle priorità ed alle caratteristiche dei diversi interventi.
Ponendo l’attenzione sull’età dei destinatari degli interventi dei bandi, appare chiaro l’abbassamento della soglia di età per le politiche di invecchiamento attivo: nella maggior parte dei bandi viene indicata, infatti, la coorte degli Over45 (quasi il 34,6%) ed a seguire la classe Over50 (poco più del 17%).
Dai dati sopra riportati emerge ancora una volta come la crisi attuale abbia, tra le conseguenze più evidenti, portato ad significativo incremento del rischio di espulsione dal mondo del lavoro in concomitanza con l’inizio della seconda fase della vita lavorativa.
4.4. Il Fondo Sociale Europeo.
Per meglio comprendere il ruolo giocato dal FSE nello sviluppo delle politiche e dei servizi per l’invecchiamento ed il prolungamento della vita attiva, può essere utile considerare in che modo la programmazione dell’utilizzo del Fondo a livello nazionale e regionale rifletta le indicazioni della Strategia Europea per l’Occupazione della Comunità Europea.
Il processo di confronto e di consultazione tra Amministrazioni centrali, Regioni, Autonomie locali ed esponenti del partenariato economico e sociale, incentrato sulla crescita e la competitività dell’Italia, aveva posto in evidenza quattro fattori critici sui quali orientare la strategia di intervento per il 2007/2013 (165):
165 Nelle Linee guida approvate dall'intesa del 3 febbraio 2005, Stato, Regioni, Enti locali hanno deciso di cogliere l’occasione del Quadro per consolidare e completare l'unificazione della programmazione delle politiche regionali comunitaria e nazionale e per realizzare un più forte raccordo di queste con le politiche nazionali ordinarie, e hanno definito gli indirizzi per la scrittura
✓ sviluppo dei circuiti della conoscenza, inteso come sviluppo del capitale umano ed incremento della ricerca ed innovazione;
✓ sviluppo della qualità della vita, della sicurezza e dell’inclusione sociale nei territori;
✓ potenziamento delle filiere produttive, dei servizi e della concorrenza;
✓ internazionalizzazione e modernizzazione dell’economia, della società e delle Amministrazioni.
In un tale scenario, l’invecchiamento attivo della popolazione deve tenere conto (così come si è scritto in precedenza) della difficoltà di combinare gli effetti negativi di una popolazione lavorativa che presenta una età media crescente, con le esigenze di accrescimento della competitività del sistema economico: se da una parte è necessario assicurare elevati livelli di competenza tecnologica dei lavoratori, dall’altra è indispensabile considerare che un numero sempre maggiore di lavoratori maturi presenta il rischio di una rapida obsolescenza delle proprie competenze.
Ciò ha imposto una maggiore attenzione allo sviluppo del sistema della formazione continua a sostegno della capacità di adattamento dei lavoratori maturi ai cambiamenti dei sistemi produttivi, così da favorirne sia la permanenza e l’integrazione nel mercato del lavoro, sia l’occupabilità in caso di transizioni lavorative, contrastando, pertanto, il rischio di espulsione e segregazione occupazionale degli Elders (166).
del Quadro. Le Linee guida hanno anche stabilito un percorso di scrittura in tre fasi: valutazione dei risultati 2000-2006 e visione strategica delle Regioni e del Centro; confronto strategico tra Centro e Regioni; stesura del Quadro. In tutte le fasi è stato previsto un forte confronto con il partenariato economico-sociale e con le rappresentanze degli Enti locali.
166 La strategia promossa da QSN mirava a potenziare, a “ … qualificare e finalizzare in termini di occupabilità e adattabilità gli interventi di politica attiva del lavoro collegandoli alle prospettive di sviluppo del
Le strategie poste in atto insistono sullo sviluppo di un approccio al lavoro basato sull’intero ciclo della vita e sullo sviluppo di sistemi di Flexicurity per ridurre la segmentazione del mercato del lavoro.
Come emerge dalla tabella qui di seguito riportata, allo sviluppo di servizi e politiche per l’invecchiamento e il prolungamento della vita attiva è dedicata una voce specifica:
Figura 10 - Categorie di intervento FSE (Fonte ISFOL)
A ciascun tema prioritario corrisponde un insieme di categoria di spesa o di intervento che articolano la strategia di sviluppo elaborata all’interno dei Piani Operativi Regionali.
Ciascun programma operativo corrisponde alla declinazione territoriale delle priorità definite dal Regolamento FSE (167) lungo assi che riportano ai temi prioritari su cui si fonda la Strategia Europea per l’Occupazione.
territorio” identificando come target prioritario i lavoratori disagiati: lavoratori maturi, donne e lavoratori stranieri immigrati.
167 Regolamento CE n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006 recante disposizioni generali sul Fondo Europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione.
Purtroppo, le previsioni di spesa contenute nei Piani Operativi Regionali con riferimento alle “Misure che incoraggino l’invecchiamento attivo e prolunghino la vita lavorativa” hanno rappresentato solo il 2,4% delle risorse programmate. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che l’apertura del FSE ad intervento legati allo sviluppo delle competenze ed alla formazione professionale permanente, non sia ancora accompagnata da un equivalente sviluppo di modelli applicativi a livello locale, tali da favorire un approccio complessivo alle problematiche connesse al fenomeno dell’invecchiamento di cui si è dato conto.
Il 6 ottobre 2011 la Commissione ha proposto una serie di regole che determineranno l’operato del FSE nel periodo 2014-2020 (168). La proposta fa parte di un pacchetto legislativo per il futuro della politica di coesione dell’UE e consentirà al FSE di continuare ad assicurare sostegno concreto a favore di coloro che necessitano di interventi per trovare un impiego o per migliorare la propria posizione lavorativa.
Per ogni categoria di regioni sarà stanziata una quota minima di budget, più alta rispetto a quanto avvenuto fino ad ora; di contro gli Stati membri dovranno concentrare i finanziamenti del FSE su un numero limitato di priorità di investimento in linea con la strategia Europa 2020, con l’obbiettivo di migliorane l’impatto e raggiungere una massa critica.
Fondamentali in questo senso sono le direttive e le indicazioni contenute nel Position Paper 2014/2020 su cui si dirà meglio infra.
A tale scopo, si analizzeranno le modalità con cui la politica di due regioni particolarmente virtuose (Liguria e Lombardia) ha recepito le indicazioni della SEO: dapprima verificando il livello di partecipazione delle fasce di
popolazione matura al mercato del lavoro ed allo sviluppo del sistema sociale; successivamente analizzando come le citate indicazioni siano state diversamente declinate nei piani operativi regionali (169).
4.5. Nel dettaglio: l’esperienza della Liguria.
Come si è accennato una delle regioni più virtuose ed attive è risultata la Liguria: ciò probabilmente perché è la Regione italiana con la maggior percentuale di popolazione anziana: secondo le statistiche ISTAT relative all’anno 2009, le persone con più di 65 anni risultano, infatti, il 26,8% del totale, contro una media italiana del 20,2%.
Si tratta, pertanto, della Regione italiana che presenta la più consistente legislazione a sostegno del prolungamento della vita attiva e del miglioramento della qualità dell’esistenza della popolazione anziana. Ciò è evincibile a partire dal Programma triennale dei Servizi per l’impiego delle politiche formative e del lavoro per gli anni 2003-2005, successivamente prorogato con il Piano Ponte 2006-2007 fino al 2009 e nel più recente Programma triennale regionale dell’istruzione, della formazione e del lavoro 2010-2012.
Il POR 2007-2013 ha, così, sottolineato che, per poter agire in maniera realmente efficace a favore dell’incremento dell’occupazione, non si può prescindere da azioni mirate alle fasce di popolazione Over 50, caratterizzate da bassi tassi di attività, né da specifici interventi a sostegno dei lavoratori Over 50 con professionalità deboli e, quindi, a forte rischio di espulsione del mercato del lavoro.
169 Per quanto attiene alla realizzazione di iniziative a valere sul FSE, in Italia, nel 2009 vi erano 16 programmi operativi inerenti le Regioni e Province autonome dell’Obbiettivo Competitività Regionale e Occupazionale e 5 Programmi operativi delle Regioni dell’Obbiettivo Convergenza.
Il Documento Strategico Regionale (170) ha, infine, individuato tra le priorità di intervento delle politiche pubbliche nel campo della formazione e del mercato del lavoro il contrasto dell’obsolescenza professionale dei soggetti in età adulta di età compresa tra i 45 e i 54 anni ed in possesso di titoli di studio medio- bassi.
La Regione ligure si è, conseguentemente, impegnata lungo tre assi:
✓ attività di formazione continua per lavoratori anziani occupati (asse I);
✓ incentivi alla formazione dei soggetti Over50 per favorirne l’occupabilità e l’inserimento o il reinserimento lavorativo (asse II);
✓ azioni integrate per il (re)inserimento lavorativo dei soggetti a
rischio di marginalità e di esclusione sociale, fra cui vanno ricompresi i disoccupati Over45 (asse III).
Attraverso il primo asse sono individuate azioni chiave per innalzare il tasso di occupazione degli Over50 e per sostenerne una transizione morbida dal lavoro alla pensione.
Il secondo asse fissa tra gli obiettivi generali quello di “sviluppare le conoscenze e le competenze della popolazione (attiva e non attiva) secondo una logica di Life Long Learning” e “accrescere la quantità dei buoni posti di lavoro”, con un particolare impegno verso alcuni target, fra cui figurano adulti Over40 a rischio di esclusione e Over54.
Quanto al terzo asse la Regione ligure prevede interventi mirati a: i)
incentivare l’inserimento e il reinserimento lavorativo di Over40; ii) potenziare
170 Documento Strategico Regionale della Regione Liguria del 15 dicembre 2006.
la formazione continua (anche attraverso il coordinamento con i Fondi Interprofessionali) e iii) garantire interventi di formazione permanente.
Centrale, nell’attuazione di questi orientamenti, si è rivelato il ruolo degli Organismi intermedi (171), che sembrano aver recepito in maniera piuttosto omogenea ed attiva le linee di indirizzo definite a livello regionale.
In particolare, ciò si manifesta in relazione al “Piano straordinario di interventi a sostegno dell’occupazione a seguito della crisi economica in atto” e ai successivi documenti attuativi (l’Accordo Quadro e i relativi indirizzi operativi) (172) con cui si prevedono incentivi alle imprese per l’assunzione a tempo indeterminato e percorsi personalizzati integrati di supporto all’inserimento lavorativo rivolti a lavoratori disoccupati, in CIG o in mobilità, con una quota di riserva pari ad almeno il 20% degli interventi per persone con più di 45 anni e, nel caso degli
171 Ai sensi dell’art. 2, comma 6, del Regolamento 1083/2006 Organismo Intermedio è “qualsiasi organismo o servizio pubblico o privato che agisce sotto la responsabilità di un’Autorità di Gestione o di certificazione o che svolge mansioni per conto di questa autorità nei confronti dei beneficiari che attuano le operazioni”. In particolare Organismo Intermedio può essere un ente pubblico territoriale o un servizio di questo oppure altro soggetto pubblico o privato. In tutti i casi il rapporto è disciplinato con apposito accordo scritto, ex art. 12 del Regolamento 1828/2006. In relazione alla ripartizione e separazione delle funzioni tra gli organismi, la Regione Liguria, ai sensi della Legge regionale 11 maggio 2009 n. 18 “Sistema educativo regionale di istruzione, formazione e orientamento” e della Legge regionale n. 27/98 recante “Disciplina dei servizi per l’impiego e della loro integrazione con le politiche formative e del lavoro”, attribuisce la qualifica di Organismo Intermedio, per lo svolgimento di compiti dell'Autorità di Gestione, alle quattro Amministrazioni Provinciali. Le funzioni di gestione attribuite agli Organismi Intermedi riguardano più specificamente, nell’ambito delle attività e risorse di competenza tutte le funzioni necessarie all’attuazione del P.O. ob. C.R.O. FSE, dalla programmazione alla selezione dei progetti, alla erogazione dei finanziamenti, all'esecuzione dei controlli previsti dall'articolo 60 lettera b, alla garanzia circa il rispetto degli obblighi in materia di informazione e pubblicità previsti dall'articolo 69 del Regolamento (CE) 1083/2006, con modalità analoga a quelle della Autorità di Gestione. La Regione destina alle Province (Organismi Intermedi) le quote di risorse finanziarie di competenza ripartendole tra le Amministrazioni secondo i criteri stabiliti nei documenti di programmazione regionale (ex art. 56 della Legge regionale n. 18 del 11/5/2009 “Sistema educativo regionale di istruzione, formazione e orientamento”).
172 Cfr. “Accordo Quadro di attuazione del Piano Straordinario di Interventi a sostegno dell’occupazione a seguito della crisi economica in atto” approvato con Deliberazione di Giunta Regionale 19 giugno 2009 n. 835 e “Indirizzi operativi per l’applicazione dell’Accordo Quadro di attuazione del Piano Straordinario di interventi a sostegno dell’occupazione a seguito della crisi
incentivi alle imprese, agevolazioni più consistenti per l’assunzione dello stesso target.
A livello provinciale, sono stati emessi, da tutte le amministrazioni, bandi per le imprese e i lavoratori a valere sul piano anticrisi, affidando la gestione diretta delle azioni del Piano Straordinario ai Centri per l’impiego provinciali territorialmente competenti. A ciò si aggiungono gli avvisi volti alla realizzazione di iniziative formative a domanda individuale mediante voucher, con l’attribuzione di una priorità per i lavoratori di età superiore ai 45 anni, a valere sulla L. 236/1993 e sono state coinvolte a vario titolo nel Programma PARI 2007 (Programma d’Azione per il Re-Impiego di lavoratori svantaggiati), che promuove azioni di sostegno, incentivazione e formazione finalizzate a supportare l’inserimento professionale di lavoratori iscritti ai Centri per l’impiego.
Tutto quanto sopra esposto ha trovato riscontro in una serie di disposizioni normative.
I principali riferimenti sono:
i. la legge regionale n. 12/2006. “Promozione del sistema integrato di servizi sociali e sociosaniatari”, che prevede politiche volte ad offrire opportunità per promuovere un invecchiamento attivo, tale da valorizzare l’anziano come risorsa e protagonista del proprio futuro; promuovere e riconoscere la partecipazione degli anziani alla comunità locale, anche attraverso attività civiche, in un’ottica di solidarietà tra le generazioni e, soprattutto, a favorire, anche con il concorso delle imprese, il ruolo attivo dell’anziano nella trasmissione dei saperi alle nuove generazioni (art. 3);
economica in atto” approvati con Delibera Regionale n. 1114 del 06/08/2009.
ii. il Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx 0000/0000 (XXXX), emesso in attuazione della Legge Regionale n. 12/2006, e con lo scopo di attivare progetti ed azioni positive per favorire la crescita, il protagonismo e la cittadinanza attiva delle persone anziane; la promozione di forme di scambio ed apprendimento intergenerazionale e l’adozione di stili di vita che perseguano il benessere, contrastando i fattori di rischio sociale;
iii. la Legge Regionale n. 48/2009 “Promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo”, che fa seguito (talvolta inglobandole) ad una serie di norme emanate in precedenza a livello regionale (173), con cui si prevede la
173 Quali la:
✓ Legge Regionale 24 Luglio 2001, n. 22 per “…la valorizzazione del tempo libero dei cittadini, in particolare degli anziani, […], allo scopo di favorirne un impiego qualificato” (art. 1), nonché per promuovere “…le attività per favorire la formazione permanente degli adulti e l’integrazione degli anziani nella realtà socio-culturale delle comunità di appartenenza…” (art. 2), anche mediante l’istituzione e l’attività delle Università della Terza Età, l’inserimento delle persone anziane nella vita socio-culturale della comunità in cui risiedono, l’accesso ad opportunità educative e formative lungo l’intero arco della vita (art. 7);
✓ Legge Regionale 24 maggio 2006 n. 12, “Promozione del sistema integrato di servizi sociali
e socio sanitari”, il cui art. 34 prevede¸, accanto a politiche di natura strettamente socio- sanitaria, che “Le politiche a favore degli anziani comprendono interventi e servizi volti a: a) offrire occasioni e opportunità per promuovere un invecchiamento attivo e capace di valorizzare l’anziano come risorsa e protagonista del suo futuro; b) promuovere e riconoscere la partecipazione degli anziani alla comunità locale, anche attraverso attività civiche, in un’ottica di solidarietà fra generazioni; c) favorire, anche con il concorso delle imprese, il ruolo attivo dell’anziano nella trasmissione dei saperi alle nuove generazioni”;
✓ Legge Regionale 1 agosto 2008, n. 30 “Norme regionali per la promozione del lavoro”, nel cui art.
2 vengono individuate fra le finalità delle politiche regionali in materia di mercato del lavoro quelle di “…promuovere le pari opportunità nell’accesso al lavoro, nello sviluppo professionale e di carriera e superare ogni forma di discriminazione legata […] all’età” e di “…agevolare il completamento della vita lavorativa attraverso la realizzazione di specifici progetti”, anche a carattere sperimentale, rivolti alle persone in età matura, meglio indicati all’art. 40 (Interventi per il completamento della vita lavorativa) e finalizzati a: a) sostenere una fuoriuscita graduale dal mercato del lavoro, anche ricorrendo ad impegni lavorativi ridotti in termini temporali; b) diffondere presso il sistema economico ligure modelli organizzativi in grado di valorizzare al meglio le competenze possedute; c) favorire il mantenimento della condizione occupazionale attraverso azioni di orientamento e bilanci di competenze specificatamente dedicati ed attuati nell’ambito del Sistema dei servizi al lavoro; d) promuovere il trasferimento delle competenze ai lavoratori più giovani” (comma 1). Si delega poi al Piano d’Xxxxxx
programmazione, in favore delle persone anziane, di interventi coordinati negli ambiti della protezione e promozione sociale, del lavoro, della formazione permanente, della cultura e del turismo sociale, dello sport e del tempo libero, valorizzando il confronto e la partecipazione con le forze sociali e formulando specifici indirizzi in ciascuno degli ambiti sopra richiamati. La Regione Liguria mira, con tale legislazione, a favorire percorsi formativi finalizzati a: promuovere un invecchiamento attivo per coloro i quali sono vicini all’età pensionabile e per gli anziani ancora giovani, ma già in pensione ed a ridurre il digital devide e a conoscere i servizi della rete informatica. In particolare, l’art. 3 della L.R. 18/2009, intitolato “Formazione permanente” “ … individua nell’educazione nella formazione lungo tutto l’arco della vita una modalità per vivere da protagonisti la longevità (…) sostiene azioni volte a rendere le persone anziane capaci di affrontare le problematiche e le criticità connesse alla modernità ed, in particolare, mira a sostenere percorsi formativi finalizzati (…)”. L’art. 4 (“Completamento dell’attività lavorativa”) prevede che “ … la Regione nel rispetto della normativa vigente in materia ed in accordo con le parti sociali, favorisca la realizzazione di interventi che agevolino il completamento della vita lavorativa, rivolti a persone in età matura finalizzati: al trattamento in servizio (…); a sostenere la fuoriuscita graduale dal mercato del lavoro; a promuovere il trasferimento delle competenze ai lavoratori più giovani; alla sicurezza sul posto di lavoro per le persone più anziane.”
Regionale l’individuazione delle risorse destinate a tali interventi e la definizione degli indirizzi operativi per la loro realizzazione (comma 2);
✓ Legge Regionale 11 maggio 2009, n. 18, “Sistema educativo regionale di istruzione, formazione e
orientamento”; nella cui Sezione V si sostiene l’educazione e la formazione permanente, in particolare attraverso la valorizzazione delle attività delle Università a favore della terza età (art. 44, comma 3) e la formazione continua che sia anche “finalizzata a contribuire all’invecchiamento attivo della componente
iv. Delibera della Giunta Regionale n. 1549 del 17 dicembre 2010, con cui, richiamati la L.R. 12/2006 ed il Piano Sociale Integrato Regionale 2007/2010, si autorizza la spesa (174) volta ad incentivare la programmazione di iniziative a livello distrettuale riguardanti le seguenti tematiche:
✓ percorsi di apprendimento permanente, finalizzati ad attivare
gruppi di discussione, di scrittura, di studio a tema libero;
✓ laboratori per la conoscenza e l’uso delle tecnologie informatiche, di manualità, di pittura, fotografia, canto, recitazione;
✓ percorsi di salute e benessere, attuati in stretto rapporto con i
servizi distrettuali delle ASL, finalizzati a promuovere azioni tese al benessere della persona durante l’invecchiamento, sostenendo la diffusione d corretti stili di vita;
✓ impegno civile nel volontariato in ruoli di cittadinanza attiva,
responsabile e solidale, finalizzato alla promozione di progetto sociali utili alla comunità e nel contempo alla diffusione di una nuova cultura della vecchiaia.
Da tale complessa elencazione dei diversi interventi elaborati dalla Liguria, si evince come tale Regione abbia tentato di affrontare il problema in modo sistematico, che riesce a coniugare interventi per l’invecchiamento attivo profondamente diversi fra loro, grazie ad una integrazione di tipo verticale fra il livello regionale e le province.
anziana della forza lavoro” (art. 45)
174 La spesa di Euro 250.000,00 a favore dei Comuni capofila di Distretto per la programmazione di iniziative relative alla promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo da realizzare a livello di distretto sociosanitario.
In sintesi, si trovano misure che agiscono sia sui fattori “push”, che “pull”. Quanto ai primi si registrano interventi che mirano ad accrescere l’adattabilità e l’occupabilità dei lavoratori maturi grazie a servizi di formazione, orientamento, riqualificazione e percorsi integrati per l’inserimento; a ciò vengono affiancati significativi incentivi economici.
Quanto al contrasto dei fattori “pull”, si è agito attraverso interventi finalizzati a rafforzare un ambiente sociale e comunitario favorevole al passaggio graduale al pensionamento (centri di aggregazione, forme di impegno civico degli anziani, trasmissione delle proprie competenze alle giovani generazioni, ecc.).
Eterogenei risultano i destinatari degli interventi, sia per quanto concerne lo status occupazionale (occupati, disoccupati, lavoratori espulsi o a rischio di espulsione, pensionati), sia per quanto attiene le classi di età di riferimento: in molti casi la soglia è fissata a 45 anni, ma in altri il riferimento è agli Over50, in altri casi ancora agli ultrasessantenni o agli Over54 o talvolta più genericamente, alla categoria degli Elders.
Evidente la volontà di continuare secondo le linee di indirizzo già tracciate nel corso dei sei anni della precedente programmazione FSE; senza dubbio l’avvento della crisi economica del 2008 ha comportato, sul piano attuativo qualche significativo cambiamento.
Prevalgono, infatti, le azioni centrate sul tema dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro e sul rafforzamento dell’occupabilità e adattabilità nell’ottica del sostegno ai target svantaggiati, di cui i lavoratori maturi rappresentano un
esempio (ma non l’unico), mentre solo in qualche caso (175) le esperienze di successo realizzate negli anni precedenti trovano una effettiva continuità.
4.6. Gli interventi attuati in Lombardia: in particolare il patto intergenerazionale.
La Regione Lombardia, negli ultimi anni, si è distinta per il finanziamento di numerosi interventi finalizzati soprattutto ad arginare il fenomeno delle espulsioni dal mercato del lavoro e per favorire il reinserimento dei lavoratori maturi (176).
Per contrastare le criticità del contesto socio economico, in cui si evidenziano scarsi tassi di occupazione degli adulti con bassi livelli di istruzione (soprattutto donne) in una fase economica di crisi, la Regione Lombardia ha attuato numerose azioni rivolte, principalmente ai c.d. “lavoratori disagiati” ovvero disoccupati o soggetti a rischio di esclusione, tra cui gli Over50.
La maggior parte delle azioni intraprese ha come obbiettivo il sostegno alla occupabilità ed adattabilità e si concretizzano in attività formative (corsi di formazione professionale, work-experience, ecc.), anche nella forma di voucher; tali iniziative sono spesso accompagnate da interventi volti a favore, tramite incentivi economici, l’assunzione degli Over50.
Dal punto di vista normativo e regolamentare i principali riferimenti sono costituiti dalla Legge Regionale 28 settembre 2006, n. 22 intitolata “Il mercato
175 Come, ad esempio, per il progetto integrato per lo sviluppo della società dell’informazione a favore della terza età.
176 Ciò nonostante “ … il mercato del lavoro in Regione Lombardia e, segnatamente, nell’area milanese presenta dati meno problematici rispetto a quelli nazionali attenua in parte la gravità del fenomeno, che, comunque riveste anche sul territorio lombardo carattere di centralità ...” Protocollo di intesa del 11.12.2012
del lavoro in Lombardia” (177) e dal Programma Operativo Regionale della Lombardia Ob.2 FSE 2007-2013.
Tra le priorità della citata legge si segnala la realizzazione di interventi che garantiscano continuità nella permanenza in attività delle categorie di lavoratori più esposte a rischio di esclusione, quali gli Over45.
Infatti, la L. 22/2008 (178) impone alla Regione Lombardia di sostenere “ … interventi finalizzati al reinserimento nel lavoro di persone con età superiore a quarantacinque anni, prive di occupazione o interessate dai processi di cui all’articolo 29, anche attraverso modalità di incentivazione all’assunzione” (179)e di realizzare “ … con il concorso delle province, delle CCIAA, degli altri enti locali interessati e delle parti sociali
… azioni di sistema volte a … contrastare le situazioni di crisi aziendale e limitarne l’impatto sul territorio e sui livelli occupazionali stabilendo misure in favore delle categorie più esposte quali le donne, i lavoratori con più di quarantacinque anni e le persone disabili” (180).
Quanto al Programma Operativo Regionale della Lombardia Ob.2 FSE 2007- 2013, esso definisce la strategia complessiva di intervento a sostegno dei
177 BURL del 3 ottobre 2006 n. 40, 1° suppl. ord.
178 Recentemente modificata con la L.R. 7 del 2012 “Misure per la crescita, lo sviluppo e l’occupazione”. Si è, in particolare, intervenuti sull’art. 21 della L.R. n. 22/2006, introducendo la previsione di una necessaria collaborazione tra Regione e fondi interprofessionali. Così, dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti commi: «1-bis. Per favorire l'apprendimento lungo l'arco della vita della persona, finalizzato al miglioramento delle conoscenze e competenze tecnico-professionali dei cittadini residenti in Lombardia, la Giunta regionale promuove misure di sostegno ivi compreso apposito fondo istituito presso Finlombarda. 1-ter. Con provvedimento della Giunta regionale, sentite le parti sociali, sono stabiliti la dotazione finanziaria iniziale, i requisiti di accesso e le modalità di funzionamento del fondo di cui al comma 1-bis.». Dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti commi: «2-bis. La Giunta regionale definisce periodicamente, d'intesa con le parti sociali, gli indirizzi e le priorità regionali in materia di formazione continua e promuove il raccordo tra il sistema regionale della formazione continua con i fondi paritetici interprofessionali, anche al fine della certificazione delle competenze acquisite, nel rispetto delle reciproche autonomie. 2-ter. La Giunta regionale attua il monitoraggio e la valutazione della formazione continua erogata con le risorse pubbliche, europee, statali e regionali, nonché dei fondi interprofessionali nel contesto del raccordo di cui al comma 2 bis e dell'efficacia degli interventi sulle tematiche in oggetto.».
179 Art. 21, intitolato “Diritto alla formazione lungo tutto l’arco della vita”, 3° comma.
180 Art. 29, L.R. 22/2008.