Contract
IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO: EVOLUZIONE NORMATIVA
La disciplina del contratto a tempo determinato è stata, negli ultimi anni, oggetto di numerosi interventi legislativi che hanno registrato, da ultimo, una sorta di inversione di tendenza rispetto alla previgente normativa ispirata a criteri decisamente restrittivi e che limitava l'utilizzo del contratto di lavoro a tempo determinato a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo.
Il primo intervento si ha con la legge n. 92/2012 (c.d. riforma Fornero) che, pur continuando ad individuare nel contratto a tempo indeterminato la tipologia ordinaria e dominante di costituzione di qualsiasi rapporto di lavoro, segna una prima apertura nei confronti del contratto a termine con il nuovo comma 1-bis del D.Lgs. 368/2001, introducendo la possibilità di derogare l'obbligo di indicare una specifica causale giustificativa nell'ipotesi di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore a dodici mesi per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione (questa disciplina è rimasta dunque in vigore dal 18.07.2012 al 19 maggio 2014).
Alla limitata liberalizzazione dell'utilizzo del contratto a termine, si contrappone contemporaneamente un freno, per disincentivarne il ricorso o comunque per rendere non conveniente il reiterato “abuso”: al datore di lavoro che utilizza contratti a tempo determinato, infatti, sarà applicato un contributo addizionale pari all'1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, ad eccezione delle assunzioni a termine in sostituzione di lavoratori assenti e per lo svolgimento di attività stagionali.
Il successivo intervento, che costituisce il primo atto del così detto Jobs Act del Governo Xxxxx, si ha con il D.L. n. 34/2014 (c.d. decreto Poletti, in vigore dal 20 maggio 2014 e convertito in L. 78/2014) che segna una svolta decisamente radicale eliminando la necessità di indicare una causa giustificativa al ricorso del contratto a termine, non solo in caso di primo rapporto, facendo diventare così l'"acasualità" (il venir meno della necessità di una causale) da eccezione a regola.
L'ultimo intervento si ha con il D.Lgs. n. 81/2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015 e convertito in Legge 183/2014 (c.d. Jobs Act), con il quale sono state riordinate tutte le tipologie dei contratti di lavoro, che ha apportato ulteriori modifiche volte a “riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo”.
La disciplina attuale
Xxxxxx, successione di contratti e proroghe
Resta invariato il limite temporale massimo di 36 mesi per cui è consentito l'utilizzo del termine, considerando nel computo tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di
interruzione tra un contratto e l'altro, inclusi i periodi di missione nell'ambito di somministrazioni di lavoro a tempo determinato.
Il superamento del limite massimo di durata, comporta la trasformazione ex tunc a tempo indeterminato del rapporto, quindi fin dalla data di stipula del contratto iniziale, fatte salve le deroghe previste dai ccnl e i rapporti di lavoro stagionali.
Resta ammessa la possibilità di prorogare, con il consenso del lavoratore, il contratto fino ad un massimo di cinque volte nell'arco dei 36 mesi con la novità che non occorre più che la proroga si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato originariamente stipulato a tempo determinato. Se viene fatta una sesta proroga, il contratto si trasforma a tempo indeterminato con effetto dalla sesta proroga stessa.
Un'ulteriore novità, riguarda, la possibilità di stipulare, al termine dei 36 mesi, un nuovo contratto di durata non superiore a 12 mesi, presso la direzione territoriale del lavoro, senza più la necessità dell'assistenza di un rappresentante sindacale cui il lavoratore conferisca mandato.
Il comma 2 dell'art. 21 ripropone la disciplina della successione dei contratti a termine e, con un ritorno al passato, viene confermato lo stop and go tra due contratti: “qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato”, ad eccezione dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali.
Se il contratto a tempo determinato continua dopo la scadenza concordata, fino al trentesimo giorno se di durata inferiore a sei mesi o fino al cinquantesimo negli altri casi la prosecuzione oltre la scadenza comporta una maggiorazione della retribuzione del 20% fino al decimo giorno e del 40% per i giorni successivi; se il rapporto continua anche oltre i limiti suddetti (30 o 50 giorni), esso si trasforma in contratto a tempo indeterminato con effetto dal momento del superamento.
Divieti e limiti
L'art. 20 del D.lgsl. 81/2015 ripropone la tradizionale disciplina dei divieti relativi alla stipula del contratto a tempo determinato (per la sostituzione di lavoratori in sciopero; presso unità produttive interessate nei sei mesi precedenti a licenziamenti collettivi ovvero nel caso in cui vi sia una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni; in caso di mancanza di valutazione dei rischi), eliminando però la possibilità, attraverso accordi sindacali, di derogare al divieto di assunzione a tempo determinato in unità produttive interessate da licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a termine.
Come già nella precedente normativa, viene riproposto il limite quantitativo di contratti a termine stipulabili, assegnando alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare limiti percentuali massimi sui lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione, con arrotondamento al decimale dell'unità superiore qualora esso sia uguale o superiore a 0,5.
In assenza di limitazioni contrattual-collettive occorrerà fare riferimento al limite legale pari al 20% dei lavoratori assunti a tempo indeterminato (per i datori di lavoro fino a 5 dipendenti è sempre possibile l'assunzione di un lavoratore a tempo determinato).
La violazione del suddetto limite non determina la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, ma la sola applicazione di una sanzione amministrativa di importo pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno; al 50% se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.
Restano esclusi dalle predette limitazioni i contratti a tempo determinato stipulati nelle fasi di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dai contratti collettivi, anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e comparti merceologici; nelle imprese start–up innovative per il periodo di 4 anni dalla costituzione della società ovvero per il più limitato periodo previsto per le società già costituite; per lo svolgimento delle attività stagionali; per specifici spettacoli ovvero per il più limitato periodo previsto dal D.L. 179/2012 per le società già costituite; per lo svolgimento delle attività stagionali; per specifici spettacoli ovvero programmi radiofonici o televisivi; per la sostituzione di lavoratori assenti; con lavoratori di età superiore a 50 anni (non più 55).
Diritti di precedenza
Quanto al diritto di precedenza, l'art. 24 del D.lgs. n. 81/2015 ripercorre la disciplina già contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001: il lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più contratti a tempo determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi, ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine; ciò fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale.
La vera innovazione è stata introdotta con il comma 4 che regolamenta la forma e le modalità di esercizio del diritto di precedenza.
In particolare, la menzione del diritto in questione deve essere in forma scritta e deve essere espressamente indicata nel contratto di assunzione, nel quale viene stabilito il termine del rapporto;
il lavoratore deve poi manifestare la volontà di esercitare il diritto di precedenza obbligatoriamente in forma scritta e nel termine di 6 mesi (3 mesi nel caso di lavoro stagionale) decorrenti dalla data di cessazione del rapporto stesso; in ogni caso, manifestata la propria volontà di esercitarlo, il diritto di precedenza si estingue trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
Decadenze e tutele
Il legislatore riprende il contenuto dell'art. 32, commi 3 e 5, della legge 183/2010 (c.d. Collegato Xxxxxx): ne deriva che il contratto a tempo determinato deve essere impugnato entro 120 giorni dalla cessazione del singolo contratto e l'impugnazione diviene inefficace se non è seguita dal deposito, entro 180 giorni dalla stessa, del ricorso al giudice (o all'arbitro); l'impugnazione deve avvenire con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore, anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale.
In caso di contratto illegittimo e di conversione a tempo indeterminato, il giudice, oltre ad ordinare la ricostituzione del rapporto, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva (che copre ogni pregiudizio, anche retributivo e contributivo) nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto (sulla base dei criteri di cui all'art. 8 L. 604/1966).
Conegliano, 22 aprile 2016
STUDIO SCUDELLER
(Avv. Cdl Xxxxxx Xxxxxxxxx e Dott.ssa Cdl Xxxxxx Xxxxxx)
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