INDICE-SOMMARIO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA TESI DI DOTTORATO IN DIRITTO PRIVATO
CONTRATTUALITÀ DELLE RESTITUZIONI NELLA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO
Candidato Tutor
Xxxx. Xxxx Xxxxxxxx Prof. Xxxxxx X’Xxxxxx
Ai miei genitori e a Xxxxx
INDICE-SOMMARIO
CAPITOLO PRIMO
GLI EFFETTI DELLA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO TRA LE PARTI: LA RETROATTIVITÀ TRA RIMOZIONE E CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO
1. Il problema
2. La disciplina degli effetti della risoluzione per inadempimento nel codice vigente: gli artt. 1453 e 1458
3. a) L’effetto liberatorio: rilevanza della distinzione tra obbligazioni principali (o corrispettive), obbligazioni secondarie (o eventuali) e “altri vincoli”
4. b) La rimozione della situazione di fatto e di diritto generata dal contratto risolto: cancellazione dell’effetto reale e restituzioni
5. Segue. La risoluzione parziale
6. Retroattività e decorrenza degli effetti di liberazione e rimozione dello stato di fatto e di diritto generato dal contratto
7. Segue. Fase di pendenza e clausola generale di buona fede: rilevanza delle obbligazioni (accessorie) di conservazione, custodia e diligente amministrazione della prestazione da restituire
8. c) Il risarcimento del danno da risoluzione
9. Varietà e complessità del fenomeno risolutorio: definizione dell’oggetto della ricerca
CAPITOLO SECONDO
RIPETIZIONE DELL’INDEBITO E ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA QUALI FONTI DELLE OBBLIGAZIONI RESTITUTORIE DI DARE E FARE?
1. Il problema
2. La ripetizione dell’indebito quale fonte delle obbligazioni restitutorie di dare e fare
3. La tesi prevalente è debole? L’insufficienza dell’argomento letterale
4. Segue. L’art. 1463 c.c.: «rinvio normativo» o «mero richiamo» al principio causalistico?
5. Il difficile rapporto tra ripetizione dell’indebito e risoluzione nell’individuazione dello stato di buona o mala fede dell’accipiens
6. Segue. Gli «adattamenti» proposti nelle elaborazioni di dottrina e giurisprudenza
7. Ancora sulle contraddizioni del rapporto tra ripetizione dell’indebito e risoluzione per inadempimento
8. Ripetizione dell’indebito e arricchimento senza causa quali fonti (rispettivamente) delle obbligazioni restitutorie di dare e fare
9. Segue. Punti di criticità: sussidiarietà dell’azione ed indennizzo
10. Spunti conclusivi
CAPITOLO TERZO
ALLA RICERCA DI NUOVE REGOLE RESTITUTORIE: NELLA COMPRAVENDITA …
1. Dalla pars destruens alla pars costruens
2. Il cuore dell’indagine
3. Gli effetti restitutori della risoluzione del contratto di compravendita (art. 1493, c. 1, c.c.): restituzione del prezzo e restituzione della res tradita
4. Segue. L’art. 1493, c. 2, c.c.: non va restituita la res tradita che nel corso del giudizio perisce per i vizi
5. L’art. 1492, c. 3., prima proposizione, c.c.: neppure va restituita la
res tradita che perisce per i vizi ancor prima del giudizio
6. Segue. L’art. 1492, c. 3., seconda proposizione, c.c.: restituzione per equivalente della prestazione viziata
7. Segue. Il criterio del «valore contrattuale»
8. Restituzione per equivalente della prestazione non viziata: il criterio del «prezzo contrattuale»
9. Vecchie e nuove restituzioni «in action»
CAPITOLO QUARTO
… E NEI CONTRATTI PER L’ESECUZIONE DI OPERE O SERVIZI. IDEE PER UNA RICOSTRUZIONE
1. Generalità o specialità delle regole individuate?
2. Gli effetti restitutori della risoluzione del contratto di appalto d’opera
3. Segue. In particolare: restituzione della prestazione di fare
4. Segue. Infine: costruzione, restituzione e demolizione di un bene immobile
5. Appalto di servizi, contratto d’opera e contratto del professionista intellettuale
6. Idee per una ricostruzione
7. Alcuni significativi riscontri: risoluzione e restituzioni nel “diritto privato europeo” …
8. Segue. … nella riforma dello Schuldrecht …
9. Segue. … e nelle elaborazioni in divenire: Avant-projet de réforme du droit des obligations et de la prescription e Draft Common Frame of Reference
Bibliografia
CAPITOLO PRIMO
GLI EFFETTI DELLA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO TRA LE PARTI: LA RETROATTIVITA’ TRA RIMOZIONE E CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO
SOMMARIO: 1. Il problema. – 2. La disciplina degli effetti della risoluzione per inadempimento nel codice vigente: gli artt. 1453 e 1458 – 3. a) L’effetto liberatorio: rilevanza della distinzione tra obbligazioni principali (o corrispettive), obbligazioni secondarie (o eventuali) e “altri vincoli”. – 4. b) La rimozione della situazione di fatto e di diritto generata dal contratto risolto: cancellazione dell’effetto reale e restituzioni. – 5. Segue. La risoluzione parziale. - 6. Retroattività e decorrenza degli effetti di liberazione e rimozione dello stato di fatto e di diritto generato dal contratto. – 7. Segue. Fase di pendenza e clausola generale di buona fede: rilevanza delle obbligazioni (accessorie) di conservazione, custodia e diligente amministrazione della prestazione da restituire. – 8. c) Il risarcimento del danno da risoluzione. – 9. Varietà e complessità del fenomeno risolutorio: definizione dell’oggetto della ricerca.
1. Il problema
A fronte dell’inadempimento di un contraente, l’art. 1453 c.c. offre alla parte cd. fedele due possibili strade: la via della domanda di adempimento, che è azione che mira ad attuare il contratto sul presupposto del suo mantenimento, e la via della domanda di risoluzione, che è rimedio volto ad eliminare il rapporto contrattuale1.
La dottrina, che pur sottolinea che questi rimedi hanno in comune la finalità di assicurare o ristabilire l’equilibrio patrimoniale delle parti, è solita distinguerli classificando l’azione di adempimento e quella di
1 Per tutti si veda X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e
X. Xxxxx, Milano, 2001, 955.
risoluzione, rispettivamente, tra le tecniche di conservazione e di rimozione del contratto2.
Questo studio - avente ad oggetto un’indagine dei profili restitutori conseguenti alla risoluzione del contratto per inadempimento – muove da una prospettiva che rappresenta, al contempo, un’ipotesi di lavoro alla cui verificazione è tesa la ricerca posta alla base di questa ricognizione. L’idea è la seguente: vagliare criticamente se la dicotomia di cui s’è detto poc’anzi risulti ancora attuale, ovvero debba essere ripensata o, quantomeno, precisata specie alla luce della eterogeneità e varietà delle fattispecie e delle singole forme di inadempimento, o meglio di inadempimenti3, che possono verificarsi.
Dato un contratto, l’inadempimento può presentarsi come inadempimento radicale e definitivo, come inadempimento parziale, come mero ritardo, o, ancora, come adempimento inesatto; il comportamento di
2 Cfr. X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 x.x., xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxx, 0000, 5 e 16 ove diffusa analisi della differenza tra adempimento, quale azione che mira a far raggiungere all’attore l’assetto di interessi programmato, e risoluzione, quale azione che tende, invece, a porre nel nulla quel medesimo assetto negoziale.
Come si avrà modo di precisare meglio oltre (cfr. par. 8), nelle sentenze non sempre emerge con chiarezza il profilo della sorte del contratto che, infatti, assai sovente, risulta offuscato (se non sovrastato) dall’utilizzo di altri strumenti di tutela quali l’eccezione di inadempimento e il risarcimento del danno. Tale prospettiva è analizzata da A.M. XXXXXXXXX, La deriva dell’eccezione di inadempimento: da rimedio sospensivo a rimedio criptorisolutorio?, in Danno e resp., 2003, 753.
3 X. XXXXX, Il contratto, cit., 953 afferma che l’inadempimento può presentarsi con
«mille volti» diversi. Per un’analisi delle svariate situazioni che, comportando il mancato soddisfacimento dell’interesse del creditore, danno luogo ad inadempimento v. anche X. XXXXXXXXXX, voce Inadempimento, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 861 ss.; in materia cfr. anche la ricognizione, pur condotta con quasi esclusivo riferimento all’art. 2697 c.c., di X. XXXXXX, Inesatto adempimento ed onere probatorio, in Riv. dir. priv., 2006, 787 nonché l’interessante saggio di X. XXXXXXXXX, Inadempimento prima del termine, eccezioni dilatorie, risoluzione anticipata, in Riv. dir. priv., 2007, 553 ss., in partic., per quanto qui rileva, 571 ove l’A. sviluppa il problema del cd. inadempimento probabile.
una parte può dare luogo ad un unico inadempimento, o a più inadempimenti; se unico questo può essere istantaneo o svilupparsi e continuare nel tempo.
Ancora: la prestazione può essere unitaria ed indivisibile, oppure composita e divisibile; di un contratto possono essere state eseguite, da una o da entrambe le parti, tutte le prestazioni, alcune, o nessuna4.
In altri termini l’ipotesi di lavoro è se esista un rapporto di corrispondenza tra inadempimento ed effetti conseguenti alla risoluzione; se, più specificamene, questi ultimi dipendano in maniera diretta dalla eventuale (anche inesatta) esecuzione di prestazioni che si sia verificata in costanza del rapporto; se, infine, questi si modulino in conseguenza delle specifiche caratteristiche e peculiarità proprie della singola fattispecie che si affronta.
Per verificare questa idea che, come sopra accennato, trae origine da un più generale ripensamento dell’idea della risoluzione quale tecnica di rimozione integrale5 del rapporto contrattuale, si rende anzitutto necessario indagare il significato6 della regola di retroattività prevista
4 Sul rapporto tra prestazioni, promesse (collegate ad uno scambio) e contratto v. And. X’XXXXXX, Le promesse unilaterali, Artt. 1987- 1991, in Il codice civile. Commentario, fondato e diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1996, 271 ss.
5 Da ultimo X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1459, in Il codice civile. Commentario, fondato e diretto da X. Xxxxxxxxxxx, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2007, 685 ss. si esprime in termini di «radicale eliminazione» ed «annientamento» del contratto. Innovativa e particolarmente interessante è, al riguardo, la soluzione proposta da Xxxx. 15.1.2007, n. 738, in Contratti, 2007, 737 che sembra abbandonare l’idea della nullificazione del rapporto.
Tale ripensamento è in atto anche in Francia; cfr. T. GENICON, La résolution du contrat pour inexécution, Paris, 2007, 508 ss. Secondo l’A. (513) la finzione di retroattività non può essere assimilata alla negazione dell’esistenza giuridica del contratto.
6 X. XXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1326 sottolinea l’«oscurità» dell’enunciato ed osserva come non si sia ancora
dall’art. 1458 x.x. x, xxx xxxxxx xxx xxxxxxxxx0, descriverne ed ordinarne le conseguenze.
2. La disciplina degli effetti della risoluzione per inadempimento nel codice vigente: gli artt. 1453 e 1458
In dottrina è stato osservato che il nostro codice avrebbe potuto disciplinare gli effetti che conseguono alla risoluzione del contratto in modo alquanto differente. Secondo taluni8 un legislatore, in pura linea teorica, potrebbe obbligare le parti a pervenire, attraverso la stipula di un secondo contratto, ad una risoluzione consensuale; con una soluzione più incisiva ed efficace, potrebbe ritrasferire i diritti reali e liberare le parti dagli obblighi contrattuali, in modo da ricreare la situazione antecedente
formato un orientamento consolidato né circa l’area dei problemi risolti dall’art. 1458 x.x. xx xxxxx xx xxxxxx xx xxxx xxxxxxxxxxx; X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, in Il contratto inadempiuto. Realtà e tradizione nel diritto contrattuale europeo, a cura di
X. Xxxxx, Torino, 1999, 211, (pubblicato anche in Eur. dir. priv., 1999, 793 ss. sotto il titolo La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano) definisce come inadeguata la retroattività prevista dall’art. 1458 c.c. come mero azzeramento dei rapporti. Nello stesso senso anche X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, II, Milano, 1988, 281.
7 La materia meriterebbe con ogni probabilità un approccio simile a quello condotto in AA.VV., Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di X. Xx Xxxx, Milano, 1994, valutando gli effetti per specifica forma di inadempimento e avuto riguardo al singolo tipo considerato.
8 Cfr. X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 2004, 665 (di cui si legge anche in ID., voce Risoluzione per inadempimento, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 59) il quale precisa che la scelta dei diversi criteri incide sulla destinazione dei frutti, nonché sugli atti di disposizione ed amministrazione.
alla conclusione del contratto; potrebbe, inoltre, eliminare le singole vicende prodotte dal contratto.
La soluzione adottata dall’art. 1458 c.c. prevede, come è noto, che la risoluzione per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti.
Per meglio definire il significato dell’endiadi risoluzione/retroattività e per verificare se questa regola sia capace di rispondere alle diverse problematiche che si sviluppano nel diritto applicato, si rende necessario prendere in considerazione due ipotesi introduttive.
La fattispecie più semplice è quella in cui, dato un contratto e verificatosi l’inadempimento di un contraente, nessuna delle parti abbia ancora adempiuto alcuna delle obbligazioni corrispettive.
In una prima accezione retroattività della risoluzione significa estinzione di queste obbligazioni; entrambi i contraenti, sia quello fedele che quello inadempiente, non dovranno più adempiere le prestazioni cui si erano vincolati contrattualmente.
Un primo effetto della risoluzione è, dunque, un effetto liberatorio9. La realtà dei fatti è però sovente assai più complessa, avendo una o entrambe le parti adempiuto integralmente o parzialmente la propria obbligazione; anche in tali casi si verifica, anzitutto, questo primo effetto
di liberazione dalle obbligazioni non ancora adempiute.
9 X. XXXXXX, voce Risoluzione del contratto: I) Diritto civile, in Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, 2, definisce come conforme alla coscienza moderna riconoscere che la mancata attuazione di una delle prestazioni comporti l’estinzione dei diritti e delle obbligazioni che derivano dal contratto.
Tuttavia, come è stato giustamente osservato10, se la risoluzione si limitasse a sciogliere il vincolo contrattuale, senza toccare la sorte delle prestazioni eseguite, si potrebbe creare una situazione di ingiustificato arricchimento, a favore dell’una o dell’altra parte.
In relazione a simili ipotesi la funzione della retroattività della risoluzione è quella di eliminare le conseguenze economico-giuridiche di quei fatti11. In altre parole, in una seconda possibile accezione, risoluzione è sinonimo di restituzione delle prestazioni eseguite da una o entrambe le parti12.
Già da questa prima ed ancora sommaria analisi, risulta la necessità di prendere in considerazione due distinte conseguenze della risoluzione del contratto. A queste si deve aggiungere, quantomeno, un terzo fenomeno.
10 Così X. XXXXX, Risoluzione per inadempimento, Napoli, 1960, 266; già X. XXXXX, Del rischio e pericolo nelle obbligazioni, Padova, 1934, 170 s. sottolinea come la ratio della sinallagmaticità sia tale per cui venendo meno una delle prestazioni, viene a mancare la giustificazione statica dell’arricchimento verificatosi nel patrimonio di uno dei contraenti. Secondo l’A. nei contratti sinallagmatici l’obbligazione è il mezzo che conduce all’arricchimento di una parte e che si pone come ragione giustificatrice di un contro- arricchimento. Quando tale mezzo non raggiunge il suo scopo bisogna fornire il creditore di un ulteriore strumento per ristabilire l’equilibrio patrimoniale; e tale strumento non può essere che un nuovo credito, fondato sulla ragione dell’arricchimento che perviene al debitore, senza che la contropartita si ritrovi nel patrimonio del creditore. Successivamente v. anche X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto, in Noviss. dig. it., XVI, Torino, 1969, 127 secondo il quale la risoluzione per inadempimento è la maggiore manifestazione del sinallagma contrattuale.
11 X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 680 a questo riguardo afferma che
il fondamento della regola di retroattività consiste nella protezione del sinallagma; il mero scioglimento del contratto costituirebbe, infatti, una difesa idonea solo a protezione del contraente deluso che non abbia ancora adempiuto.
12 Sulla funzione di reciprocità delle restituzioni v. il recente intervento di X. XXXXX, La parte generale del diritto civile. 1. Il Fatto, L’Atto, Il Negozio, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 2005, 113.
Come abbiamo sopra ricordato, la parte fedele a fronte dell’inadempimento dell’altro contraente può, onde meglio tutelare il proprio interesse, scegliere, attraverso valutazioni fondamentalmente di convenienza, se mantenere o cancellare il contratto stipulato.
L’art. 1453, c. 1, c.c., termina con la previsione che, in ogni caso, è fatto salvo il risarcimento del danno. Ecco, dunque, una terza possibile conseguenza della risoluzione del contratto: l’effetto risarcitorio.
In conclusione parlare di effetti della risoluzione significa confrontarsi con problemi di liberazione dal vincolo, di restituzione delle prestazioni eventualmente eseguite, di risarcimento del danno13.
Si tratta di alcuni soltanto degli aspetti e delle problematiche che il diritto applicato pone all’interprete; è pur tuttavia una classificazione14 che va certamente approfondita per procedere nello studio del tema in esame.
13 Secondo X. XXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 1326 l’ordinamento, attraverso la disciplina contenuta negli artt. 1453 e 1458 c.c., ha predisposto due diversi modelli: con l’art. 1458 c.c. il legislatore tutela il contraente che dalla risoluzione si attende l’eliminazione del contratto; con l’art. 1453 c.c. attribuisce, invece, al risarcimento del danno il compito di controbilanciare e modificare gli effetti tipici della risoluzione.
14 Come afferma nella sua disamina X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Il diritto nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, I contratti in generale, XIII, Torino, 2000, 175, la classificazione per tre tipi di effetti è insegnamento tralatizio della dottrina.
3. a) L’effetto liberatorio: rilevanza della distinzione tra obbligazioni principali (o corrispettive), obbligazioni secondarie (o eventuali) e “altri vincoli”
Come abbiamo osservato nel precedente paragrafo un primo effetto che può15 conseguire alla risoluzione del contratto è un effetto liberatorio. La risoluzione svolge un’azione, per così dire, ablatoria che libera entrambe16 le parti dalle obbligazioni non ancora adempiute17.
L’effetto liberatorio è conseguenza pacifica riconosciuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza18; ciò non di meno si rendono necessarie alcune precisazioni.
Anzitutto è opportuno premettere che ogni qual volta si riferisce di scioglimento, eliminazione o cancellazione del contratto, siffatto
15 L’effetto liberatorio può anche mancare. La sua esistenza è dipendente dalle peculiarità del caso di specie e, in particolare, dal fatto che le parti non abbiano integralmente adempiuto le obbligazioni principali.
16 X. XXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 266 sottolinea che, affinché la situazione di corrispettività non venga alterata dalla risoluzione, segue necessariamente che questa debba operare non solo l’estinzione delle obbligazioni della parte non inadempiente, ma anche quelle dell’altra parte. Nello stesso senso X. XXXXXX, voce Risoluzione del contratto: I) Diritto civile, cit., 8; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 176.
17 Nelle esperienze del diritto privato europeo (su cui meglio infra Capitolo 4, par. 7) cfr. l’art. 9:305 dei Principi di diritto europeo dei contratti elaborati dalla Commissione di Diritto Europeo dei Contratti presieduta da Xxx Xxxxx pubblicati in X. XXXXXXXXXX, Principi di diritto europeo dei contratti, Milano, 2001 (1ª ed.) e 2004 (2ª ed.) e consultabili nella più recente versione all’indirizzo xxxx://xxxxxxxxx.xxx.xx/xxx/xxxxxxxxxx_xx_xxxxxxxx_ contract_law/ (di seguito «PECL»), nonchè l’art. 7.3.5 dei Principi dei contratti commerciali internazionali elaborati dall’Istituto Unidroit pubblicati in M.J. BONELL, Un codice internazionale del diritto dei contratti. I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, Milano, 2006 e consultabili all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxxx/xxxxxxxxxx0000/ blackletter2004.pdf (di seguito «Principi Unidroit»).
18 Cfr., da ultimo, Cass. 14.9.2004, n. 18518, in Rep. Foro it., 2004, voce Contratto in
genere, n. 595.
riferimento è al contratto come rapporto, e non al contratto come atto; in dottrina19 si suole svolgere questa considerazione affermando che la risoluzione è estinzione degli effetti del contratto complessivamente considerati, scioglimento del vincolo contrattuale.
Ma, a ben vedere, ciò che più rileva è verificare se l’affermazione secondo cui il debitore non deve più adempiere alle proprie obbligazioni, pur valida nella sua valenza sintetica, non debba però essere precisata a fronte della varietà e della natura di obbligazioni e vincoli20 che originano dal contratto.
Intervenuta la risoluzione di un contratto, non pare potersi dubitare che il debitore non è più obbligato ad adempiere l’obbligazione principale che, nella normalità dei casi, avrà per oggetto prestazioni pecuniarie, di dare, fare o non fare21.
Ciò non di meno, il regolamento contrattuale può essere arricchito da una nutrita potenziale serie di clausole contrattuali, da cui originano una pluralità di obbligazioni secondarie ed altri vincoli, alle quali
19 X. XXXXX, Il contratto, cit., 938. Contra X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 687 secondo cui sarebbe «impossibile» distinguere tra vicende dell’atto e del rapporto; di qui l’affermazione secondo cui la risoluzione «annienta» il contratto che, risolto, «non esiste più».
20 Secondo X. XXXXXXXXXXX, Riflessioni sulla prestazione dovuta nel rapporto obbligatorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1959, 1275 si può parlare di vincolo obbligatorio soltanto quando la realizzazione dell’utilità perseguita dal creditore sia collegata da una relazione strumentale ad un comportamento del soggetto obbligato. Si è dunque preferito scindere il riferimento ad obbligazioni ed altri vincoli a carattere non necessariamente obbligatorio. Al riguardo cfr. anche la successiva nota 30.
21 Il profilo delle diverse categorie di prestazioni è analizzato da U. BRECCIA, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 1991, 144 ss.
certamente non può estendersi l’effetto di liberazione, pena lo stravolgimento della loro stessa natura e funzione22.
Vediamo alcuni esempi.
Prendiamo anzitutto in considerazione una clausola compromissoria con cui le parti di un contratto stabiliscono che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano risolte da arbitri, e supponiamo che la parte cd. fedele abbia notificato all’altro contraente una diffida ad adempiere a fronte del mancato adempimento dell’obbligazione principale.
Ove accedessimo all’idea secondo cui la risoluzione travolge completamente obbligazioni e vincoli nascenti dal contratto estinguendoli, ci troveremmo nell’imbarazzante situazione di dover negare operatività alla clausola compromissoria indicata, a fronte della – supponiamo – intervenuta risoluzione di diritto del contratto in conseguenza della diffida proposta.
Non vi è, invece, chi dubiti che nel caso di cui sopra il contraente fedele, pur intervenuta la risoluzione del contratto con effetto retroattivo, ha diritto a potersi avvalere della clausola compromissoria; ogni controversia nascente dal contratto dovrà dunque essere decisa da xxxxxxx00.
22 X. XXXXX, Il contratto, cit., 948 al riguardo riferisce di salvezza dei «contenuti strumentali».
23 In questo senso cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., 948; X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 669; X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, Rimedi-II, a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 370. Si precisa che lo stesso discorso sembra potersi applicare ad una clausola di deroga alla competenza dell’autorità giudiziale.
Aggiungiamo a questo esempio un ulteriore elemento, questa volta di natura sostanziale, ed ipotizziamo che le parti abbiano inserito in quel medesimo regolamento contrattuale anche una clausola penale.
Pur senza ripercorre i singoli passaggi dell’ipotesi di cui sopra, può direttamente osservarsi come non possa ragionevolmente sostenersi che l’effetto retroattivo della risoluzione di diritto comporti la liberazione del contraente inadempiente dall’obbligazione di eseguire la prestazione dalle parti pattiziamente determinata quale ammontare del risarcimento del danno. Anche la penale è dunque clausola che, per così dire, sopravvive24 alla risoluzione.
La giurisprudenza giunge alla medesima soluzione per le sole clausole compromissorie per arbitrato rituale, pur attraverso un diverso procedimento logico che si basa sul riconoscimento di una loro causa autonoma. Cfr. Cass. 12.4.2005, n. 7535, in Guida al dir., 2005, XXVI, 37 secondo cui la clausola compromissoria non costituisce un accessorio del contratto nel quale è inserito, ma ha una propria individualità e autonomia, nettamente distinta da quella del contratto cui accede, sì che l'articolo 808
c.p.c. prevede che possa essere stipulata anche con atto successivo al contratto medesimo, purché sempre per iscritto (nello stesso senso v. anche Cass. 20.6.2000, n. 8376, in Giust. civ., 2001, I, 1327). V. altresì Cass. 16.6.2000, n. 8222 in Rep. Foro it., voce Arbitrato, n. 128 secondo cui il principio dell’autonomia della clausola compromissoria rispetto al negozio di riferimento vale in relazione all'arbitrato rituale ma non può essere invocato in relazione all'arbitrato irrituale, avente natura negoziale e consistente nell'adempimento del mandato, conferito dalle parti all'arbitro, di integrare la volontà delle parti stesse dando vita ad un negozio di secondo grado, il quale trae la sua ragione d'essere dal negozio nel quale la clausola è inserita e non può sopravvivere alle cause di nullità che facciano venir meno la fonte stessa del potere degli arbitri.
24 Così X. XXXXX, Il contratto, cit., 995.
X. XXXXXXX, voce Clausola penale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 190 sottolinea l’autonomia causale, e quindi negoziale, della clausola penale. Medesimo giudizio – pur per implicito – si rinviene in quella giurisprudenza secondo cui nella penale può essere ravvisata anche una funzione punitiva, perché nella sua stipulazione si commina una sanzione per l'inadempimento (v. ad esempio Cass. 26.6.2002, n. 9295 in Giur. it., 2003, 450).
In altri termini, non si dubita che nel caso di cui sopra, il contraente fedele, pur a fronte dell’avvenuta risoluzione, mantenga il diritto di agire dinanzi ad arbitri per il pagamento della penale.
Arricchiamo, ancora, la fattispecie sopra descritta con un ultimo elemento, ovvero un patto sull’onere della prova.
Ogni considerazione pare doversi nuovamente allineare con le precedenti: l’effetto liberatorio che promana dalla risoluzione del contratto non sembra davvero possa logicamente estendersi a questa clausola che, conseguentemente, rimane immune allo scioglimento del rapporto, e permane, dunque, pienamente efficace.
Proviamo, infine, a mutare esempio e prendiamo in considerazione una caparra confirmatoria; più precisamente, supponiamo che due contraenti, nel concludere un contratto preliminare di compravendita, si scambino una somma di denaro a titolo di caparra ed, al tempo stesso, xxxxxxxxx un termine essenziale ex art. 1457 c.c. entro cui stipulare il contratto definitivo.
Ebbene, sappiamo che con l’infruttuoso scadere del termine stabilito per l’esecuzione della prestazione, il contratto si risolve di diritto; ciò non di meno, parrebbe nuovamente irragionevole sostenere che il contraente fedele che, ipotizziamo, ha ricevuto la somma di denaro a titolo di caparra, non possa trattenere detta somma e recedere dal contratto preliminare25.
25 Sul punto v. X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 669.
La giurisprudenza giunge a medesime conclusioni argomentando che il contraente fedele ha la facoltà di rinunciare agli effetti delle risoluzione. V., tra le altre, Cass. 8.11.2007, n. 23315, in Xxxxxxxxx, 2008, 437 con nota di X. XXXXXX XXXXXXXXXX, Diffida ad
Si potrebbe proseguire il discorso attraverso altri e numerosi esempi, prendendo in considerazione clausole relative alle garanzie26, clausole che limitano la facoltà di opporre eccezioni, clausole che impongono obblighi di riservatezza27, clausole che sanciscono decadenze, clausole che prevedono esonero o limitazioni di responsabilità o, ancora, clausole sull’interpretazione del contratto, ma sembra più utile cercare di interrogarsi sull’esistenza di una ratio comune alle situazioni delineate.
Ebbene, tutte le fattispecie sopra menzionate, l’elenco è soltanto esemplificativo, sembrano accomunate da due dati comuni.
Il primo, più evidente e di carattere positivo, è costituito dal fatto che le clausole indicate sono elementi che le parti inseriscono nel regolamento contrattuale in prospettiva della futura ed eventuale lite; sono strumenti a disposizione dell’autonomia privata capaci di proteggere i contraenti in caso di inadempimento28. Il secondo, di carattere negativo, è
adempiere e disponibilità degli effetti risolutori; Cass. 10.2.2003, n. 1952 in Arch. civ., 2003, 1342 secondo cui nell’ipotesi di versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente può chiedere il recesso dal contratto e la ritenzione (o il versamento del doppio) della caparra anche nel caso in cui si sia già verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455 e 1457 c.c), dato che rientra nell’autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento. Contra, Cass. 2.12.2005, n. 26232, in Contratti, 2006, 660 secondo cui, venuto meno con effetto retroattivo il rapporto, «non si spiega come possa, giuridicamente, ritenersi ammissibile l'esercizio dei diritti connessi alla facoltà di recesso, recesso che la già avvenuta risoluzione di diritto del contratto, preclude». Nello stesso senso, v. anche Cass. 19.4.2006, n. 9040, ined.
26 Al riguardo cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., 948; X. XXXXX, Le risoluzioni per
inadempimento, cit., 669; X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 371 il quale sottolinea come la permanenza delle garanzie consente al creditore di individuare liberamente, tra risoluzione e adempimento, il rimedio maggiormente idoneo a tutelare i propri interessi; in senso parzialmente contrario cfr. X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 176 s.
27 A questo proposito v. X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 370.
28 In questo senso già X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 669.
che le stesse non ineriscono all’oggetto del contratto né attengono alla realizzazione del sinallagma contrattuale, se non indirettamente29.
In conclusione, sembra dunque potersi osservare che l’effetto liberatorio che consegue alla risoluzione del contratto concerne esclusivamente le obbligazioni corrispettive, non estendendosi, invece, a quelle ulteriori potenziali obbligazioni di carattere secondario e ad altri vincoli di carattere non obbligatorio30 che, oltre a non incidere sul rapporto funzionale di scambio tra prestazione e controprestazione, sono per loro intrinseca natura destinate ad operare allorquando si verifichi un malfunzionamento del contratto31.
29 A riprova, si prenda in considerazione una clausola di rinegoziazione: essa, essendo funzionale al mantenimento del contratto, manca della finalità di tutela di un inadempimento e, mirando a rimodulare le obbligazioni principali, si pone in relazione diretta con il sinallagma contrattuale. Se le premesse sono corrette, essa verrebbe dunque travolta dall’effetto di liberazione conseguente alla risoluzione del contratto.
30 Tra le ipotesi che compaiono in questo paragrafo danno luogo ad obbligazioni (stipulativamente denominate) «di carattere secondario ed eventuale» che sopravvivono alla risoluzione per inadempimento del contratto la clausola penale, la caparra confirmatoria, le clausole relative alle garanzie, le clausole che limitano la facoltà di opporre eccezioni, le clausole che impongono obblighi di riservatezza, le clausole che sanciscono decadenze, nonché le clausole che prevedono esonero o limitazioni di responsabilità.
Si è (sempre stipulativamente) riferito di «altri vincoli» in quanto si ritiene che nel contratto possano essere inserite altri elementi, anche questi capaci di sopravvivere alla risoluzione, non facilmente riconducibile all’obbligazione. Il riferimento è alla clausola compromissoria, ai patti sull’onere della prova e alle clausole sull’interpretazione del contratto il cui vincolo solo in modo un po’ tortuoso può essere ricostruito come obbligatorio identificandolo, rispettivamente, in una obbligazione di non facere e di facere.
31 Cfr. art. 9:305, c. 2, PECL «la risoluzione non ha effetto riguardo alle clausole del contratto relative alla composizione delle controversie e a ogni altra clausola che sia volta ad avere efficacia anche dopo la risoluzione», nonché l’art. 7.3.5, c. 3, Principi Unidroit «la risoluzione non ha effetto sulle clausole del contratto relative alla composizione delle controversie o su qualunque altra clausola del contrato che debba essere operativa anche dopo la risoluzione».
Diversamente opinando, si affermerebbe il paradosso, da taluno già evidenziato32, per cui regole consensualmente determinate dalle parti per la messa in funzione di cautele e salvaguardie giuridiche diventerebbero le prime vittime di quella salvaguardia capitale che è il rimedio risolutorio.
4. b) La rimozione della situazione di fatto e di diritto generata dal contratto risolto: cancellazione dell’effetto reale e restituzioni
Come abbiamo evidenziato in precedenza, nel diritto applicato difficilmente l’interprete si trova a misurarsi con un contratto rimasto del tutto inadempiuto e di cui non vi sia stata alcuna concreta attuazione; più sovente una o entrambe le parti hanno adempiuto integralmente o parzialmente alcuna delle obbligazioni principali, ovvero, in forza del principio consensualistico, può essersi verificato l’effetto reale del trasferimento della proprietà di una cosa determinata o di un altro diritto.
Rispetto a questo secondo genere di ipotesi la risoluzione, onde prevenire situazioni di ingiustificato arricchimento, svolge un funzione di
32 Cfr. nuovamente X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 669. X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 216, pur con particolare riferimento alla supposta incompatibilità tra risoluzione con efficacia retroattiva e risarcimento (di cui meglio infra, par. 6), afferma che l’ordinamento positivo in presenza di una vicenda eliminativa del regolamento contrattuale può fare in modo che il rapporto conservi rilevanza a determinati fini. L’A. ritiene che «ove dal terreno empirico (delle impressioni epidermiche) ci si sposti su quello di una rigorosa analisi dei profili teleologici […] ci si accorge che […] esiste una omogeneità funzionale che giustifica perfettamente il venir meno (se necessario, ex tunc) del rapporto negoziale e, contemporaneamente, il permanere della rilevanza giuridica della sua violazione ai fini risarcitori». Tale constatazione pare avere una più generale portata applicabile anche agli esempi riportati nel testo.
distruzione dei risultati che siano stati prodotti dal contratto, che abbiamo sopra33 genericamente definito effetto restitutorio.
Detta affermazione necessita di un’immediata precisazione.
Gli effetti che medio tempore un contratto può generare sono evidentemente di tue tipi: effetti reali o effetti obbligatori. A tale riguardo, in dottrina molti autori34 non ritengono corretto parlare di restituzione nell’ipotesi di solo (ri)trasferimento del diritto non accompagnato da (ri)consegna della res tradita.
In altre parole, allorquando, ad esempio, due soggetti abbiano compravenduto un bene, senza che alla stipula del contratto sia seguita la consegna della cosa, la risoluzione del contratto comporta, oltre alla liberazione dell’obbligo di consegna di cui ci siamo occupati nel precedente paragrafo, la cancellazione dell’effetto reale35; tuttavia, secondo questa opinione36, che merita adesione, la ricostruzione della sola situazione di diritto non dà luogo ad un vero e proprio effetto restitutorio, che si configurerebbe, invece, nel diverso caso in cui alla conclusione del contratto fosse seguita la traditio.
33 Cfr. supra par. 2.
34 X. XXXXXXXXXXX, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutorii e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955, 821 definisce la restituzione come un dare qualificato dal fatto della precorsa apprensione dell’oggetto della dazione; secondo l’A. il restituire può anche implicare il trasferimento del diritto, ma deve, in ogni caso, implicare il trasferimento del possesso. Il concetto risulta, pur in nuce, già presente in G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 161.
35 La dottrina si esprime in termini di efficacia reale inversa; tra gli altri cfr. X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto, cit., 145; X. XXXXXX, voce Risoluzione del contratto: I) Diritto civile, cit., 8.
36 Ex plurimis, X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto, cit., 145 il quale chiarisce che in questo caso l’effetto della risoluzione opera ipso iure senza bisogno di alcun comportamento delle parti; senza, più precisamente, la mediazione di alcuna obbligazione restitutoria.
In conclusione, dobbiamo pertanto ulteriormente distinguere gli effetti di rimozione della situazione di fatto e di diritto prodotta dal contratto risolto in effetti di cancellazione dell’effetto reale ed effetti restitutori tout court.
Come già quelli liberatori, anche questi due ulteriori effetti sono accomunati dal fatto di essere meramente eventuali37; inoltre, se presenti, interessano in maniera uniforme entrambe le parti38, indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento39.
I soli effetti restitutori hanno però anche una caratteristica loro peculiare: a differenza di quelli liberatori e di cancellazione dell’effetto
37 Cancellazione dell’effetto reale ed effetto restitutorio possono anche mancare. La loro esistenza è dipendente dalle peculiarità del caso di specie e, in particolare, dal fatto che, rispettivamente, il contratto abbia prodotto effetti reali o che le parti abbiano parzialmente o integralmente adempiuto almeno una delle obbligazioni principali.
38 Cfr. X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 c.c., cit., 421 ove l’A. sottolinea che il congegno restitutorio deve essere bilanciato in modo tale da garantire ad entrambe le parti un trattamento uniforme; sul punto v. altresì X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto, cit., 145; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 673.
39 In questo senso cfr., da ultimo, Cass. 9.9.2004, n. 18143, in Rep. Foro it., 2004, voce Contratto in genere, n. 596 secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’art. 1458 c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta, indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento.
Tale orientamento, un tempo tutt’altro che incontrastato (cfr. in senso contrario Xxxx. 27.8.1990, n. 8834, in Arch. civ., 1991, 31 secondo cui l’obbligazione restitutoria di una somma di denaro costituisce debito di valuta o valore a seconda che la parte sia adempiente o meno), sembra essere stato nell’ultimo decennio (correttamente) recepito dai giudici di legittimità. Nello stesso senso v. infatti Cass. 7.7.2004, n. 12468, in Rep. Foro it., 2004, voce Contratto in genere, n. 598; Cass. 19.5.2003, n. 7829, in Rep. Foro it., 2003, voce Contratto in genere, n. 560; Cass. 11.3.2003, n. 3555, in Rep. Foro it., 2003, voce Contratto in genere, n. 565; Cass. 4.6.2001, n. 7470, in Rep. Foro it., 2001, voce Contratto in genere, n. 493; Cass. 12.3.1997, n. 2209, in Rep. Foro it., 1997, voce Contratto in genere, n. 522; Cass. 30.1.1990, n. 587, in Giur. agr. it., 1991, 90, con nota di TRIOLA; Cass. 5.4.1990, n. 2802, in Rep. Foro it., 1990, voce Contratto in genere, n. 377.
reale40 non conseguono in maniera automatica alla pronuncia di risoluzione del contratto ma, avendo ad oggetto un bene della vita, necessitano di apposita domanda giudiziale di parte41.
40 Bisogna precisare che esistono casi in cui alla risoluzione del contratto non consegue automaticamente il venir meno dell’effetto reale: si pensi alla fattispecie di origine giurisprudenziale della restituzione di una somma di denaro o alle ipotesi normative della restituzione di una certa quantità di cose generiche o di cose che devono essere trasportate da un luogo ad un altro. Si tratta di situazioni in cui la produzione dell’effetto reale (inverso) è subordinata alla consegna o individuazione della res.
41 In dottrina, cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., 949; X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 670; C.M. XXXXXX, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 294;
X. XXXXXX, voce Risoluzione del contratto: I) Diritto civile, cit., 8; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 683; contra, a quanto consta, limitatamente alle obbligazioni restitutorie conseguenti a caducazione di contratto di compravendita, il solo X. XXXXX, in
X. XXXXX – X. XXXXXXXX -X. XXXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, Artt. 1455- 1459 x.x., xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxx, 0000, 114 secondo cui la restituzione della cosa venduta sarebbe conseguenza ex lege (l’A. richiama sul punto Cass. 20.2.2003,
n. 2566, in Rep. Foro it., 2003, voce Vendita, n. 45, su cui infra in questa nota).
In merito ai profili di prescrizione dell’azione restitutoria v. X. XXXXXXX, Un problema in tema di invalidità o scioglimento del contratto eseguito: la prescrizione delle azioni di ripetizione, in Riv. dir. priv., 2001, 653 ss. (pubblicato anche negli Scritti in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, II, Milano, 2002, 1373 ss.). Per il rapporto tra domanda principale di risoluzione e domanda di restituzione cfr. X. XXXXXXX, Il cumulo condizionale di domande, Padova, 1985, II, 592.
In giurisprudenza cfr. Cass. 18.4.2007, n. 9314, ined.; Cass. 28.3.2006, n. 7083, in Rep. Foro it., 2006, voce Contratto in genere, n. 627; Cass. 20.10.2005, in Rep. Foro it., 2005, voce Contratto in genere, n. 618 secondo cui in tema di risoluzione del contratto, l’effetto restitutorio scaturente dalla pronuncia di risoluzione, pur verificandosi, sul piano sostanziale, di diritto, è soggetto, sotto il profilo processuale, all’onere della domanda di parte, pertanto non può essere adottato d’ufficio dal giudice. V. altresì Cass. 19.5.2003, n. 7829, in Rep. Foro it., 2003, voce Contratto in genere, n. 560 la quale afferma che in assenza di una espressa domanda della parte, il giudice non può emanare i provvedimenti restitutori conseguenti alla risoluzione del contratto e siffatta domanda non può essere proposta per la prima volta in appello a pena di inammissibilità rilevabile anche d’ufficio, trattandosi di domanda nuova rispetto a quella di risoluzione del contratto.
Il punto, per le evidenti ricadute pratiche, continua a dare luogo ad una pluralità di interventi della Suprema Corte che, tuttavia, si esprime in termini a dir poco consolidati (in senso parzialmente contrario - ma in un mero obiter dictum - la sola Cass. 20.2.2003, n. 2566, in Rep. Foro it., 2003, voce Vendita, n. 45. Per medesime considerazioni v. anche X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 684): cfr. Cass. 14.11.2002, n. 16021, in Rep. Foro it., 2002, voce Contratto in genere, n. 513; Cass. 14.1.2002, n. 341, in Rep. Foro it., 2002, voce Contratto in genere, n. 517; Cass. 3.4.1999, n. 3287, in Rep. Foro it., 1999, voce Contratto in genere, n. 559; Cass. 29.11.1996, n. 10632, in Rep. Foro it., 1996, voce Contratto in genere, n. 434; Cass. 26.6.1995, n. 7234, in Rep. Foro it., 1995, voce Contratto in genere, n. 497; Cass. 24.2.1995, n. 2135, in Rep. Foro it., 1995, voce Contratto in genere, n. 500; Cass. 18.6.1991, n.
Premesso, dunque, che parlando di effetti restitutori ci riferiremo a tutte quelle obbligazioni che hanno la finalità di ristabilire le condizioni di fatto e di diritto che caratterizzavano la situazione soggettiva dei contraenti prima della stipula del contratto risolto42, è opportuno svolgere alcune considerazioni.
Anzitutto è opportuno precisare che l’obbligazione restitutoria sembra nuovamente doversi riferire, quasi il legislatore l’avesse sottinteso, alle sole prestazioni oggetto delle obbligazioni principali, e non ad altre
6880, in Rep. Foro it., 1991, voce Contratto in genere, n. 384; Cass. 21.4.1988, n. 3090, in Rep. Foro it., 1988, voce Contratto in genere, n. 404; Cass. 16.4.1984, n. 2457, in Rep. Foro it., 2004, voce Appello civile, n. 43.
Sempre in termini, ma con riferimento allo ius variandi riconosciuto al cd. contraente fedele, cfr. altresì Cass. 22.11.2006, n. 24800, ined., nonché Cass. 27.11.1996, n. 10506, in Rep. Foro it., 1996, voce Contratto in genere, n. 409 secondo cui la facoltà ex art. 1453, 2 comma c.c. di poter mutare nel corso del giudizio di primo grado, nonché in appello, e persino in sede di rinvio la domanda di adempimento in quella di risoluzione in deroga al divieto di mutatio libelli sancito dagli artt. 183, 184 e 354 c.p.c., sempre che si resti nell’ambito dei fatti posti a base dell’inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre un nuovo tema di indagine, comporta che qualora sia sostituita la domanda di adempimento con quella di risoluzione, possa essere chiesta la restituzione della somma versata a titolo di prezzo, quale domanda consequenziale a quella di risoluzione, implicando l’accoglimento di questa, per l’effetto retroattivo espressamente previsto dall’art. 1458 c.c. l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta, onde di tale domanda il giudice può decidere anche se su di essa non vi sia stata accettazione del contraddittorio.
Interessante applicazione del principio citato si trova anche in T. Cagliari 2.3.2002, in
Riv. giur. sarda, 2002, 747, con nota di XXXXXXXXXXX, secondo cui è inammissibile la concessione del sequestro giudiziario richiesto a fronte della proposizione di un’azione di risoluzione contrattuale per inadempimento, ma in difetto della conseguente domanda restitutoria in ordine ai beni oggetto del contratto, giacché, ai fini dell’emanazione del provvedimento cautelare, entrambe le istanze costituiscono elementi necessari per la valutazione del fumus boni iuris. V. anche Cass. 7.5.1999, n. 4604, in Rep. Foro it., 1999, voce Sentenza civile, n. 101 secondo cui con la sentenza di risoluzione di un contratto e di condanna alla restituzione del bene che ne aveva costituito oggetto, il giudice non può fissare un termine per la consegna del bene in quanto una tale previsione si traduce nell’illegittimo differimento della provvisoria esecutività della sentenza in relazione al capo di condanna alle restituzioni.
42 Così A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 319, cui si rimanda per
l’ampia e completa analisi.
secondarie facenti parte del più complesso regolamento negoziale voluto dalle parti43.
Inoltre, alla risoluzione del contratto neppure sempre consegue la restituzione di tutte le prestazioni corrispettive (eventualmente) eseguite; come già l’effetto liberatorio, anche quello restitutorio soffre, per così dire, eccezioni44.
La prima è indicata dallo stesso art. 1458 c.c. a mente del quale nel caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica45, l’effetto della risoluzione non si estende46 alle prestazioni già eseguite.
La manualistica47, con evidente intento di semplificazione, sovente indica nella generalità dei contratti di durata l’ambito di applicazione di questa regola; la dottrina e la giurisprudenza hanno, peraltro, già avuto modo di chiarire che non tutti i contratti di durata costituiscono eccezione al principio della restituzione delle prestazioni, ma soltanto quelli in cui
43 A riprova, si pensi ad una caparra penitenziale. Se le restituzioni non fossero limitate alla prestazioni principali si potrebbe concludere che anche il corrispettivo per il recesso, non esercitato ma in conseguenza del quale uno dei contraenti si è trovato in uno stato di soggezione, debba essere oggetto di restituzione a seguito di azione di risoluzione del contratto.
44 In questo senso X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 367 cui si rimanda per ulteriori approfondimenti; sul punto cfr. il recente intervento di X. XXXXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti di durata, Milano, 2006, 17 ss. secondo il quale le regole che l’art. 1458 c.c. detta in materia di contratti di durata sarebbero da qualificare quali norme speciali, e non eccezionali.
45 Il profilo è trattato con cura da X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 766 ss.
46 X. XXXXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti di durata, cit., 118 ss. propone una lettura tale per cui la risoluzione avrebbe efficacia retroattiva (pur debole) anche nei contratti di durata.
47 X. XXXXXXXX, Manuale del dirito privato italiano, Napoli, 1990, 716.
entrambe le parti siano obbligate a prestazioni continuativamente o periodicamente ripetute nel tempo48.
Esemplificando, seguono regole diverse rispetto ai contratti ad esecuzione immediata il contratto di locazione o quello di somministrazione49, ma non l’appalto50.
48 La rilevanza del fattore tempo è ben analizzata da X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto, cit., 148 che precisa che la regola va riferita ai soli contratti che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti così che l’intera esecuzione del contratto debba avvenire in modo continuato e periodico attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo.
Nello stesso senso, in giurisprudenza, cfr. Cass. 2.4.1996, n. 3019, in Rep. Foro it., 1996, voce Contratto in genere, n. 433 secondo cui ai fini dell’applicabilità della regola convenuta nella seconda parte del primo comma dell’art. 1458 c.c. – secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, per prestazioni già eseguite – sono contratti ad esecuzione continuata o periodica quelli che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti, ossia quelli in cui l’intera esecuzione del contratto avvenga attraverso una serie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo; pertanto, mentre non possono considerarsi compresi nella previsione normativa del citato art. 1458 c.c. quei contratti in cui ad una prestazione continuativa se ne contrappone un’altra periodica, poiché in tal caso la corrispettività si riflette su tutte le prestazioni attraverso le quali il contratto riceve esecuzione.
49 Per la riconduzione del contratto di brokeraggio ai rapporti di durata: Xxxx.
12.12.1990, n. 11810, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1991, 209.
50 In dottrina X. XXXXX, Contratti di durata e appalto d’opera, in Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, 347 ss.
Per il diritto applicato cfr.: Arb. Napoli, 18.9.2000, in Arch. giur. oo. pp., 2001, 987 secondo cui posto che il contratto di appalto non può essere sussunto nella categoria dei contratti ad esecuzione istantanea, ma neppure nella categoria dei contratti ad esecuzione prolungata ed ancor più periodica, la sua risoluzione per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti ai sensi dell’art. 1458 c.c., limitatamente alle prestazioni già eseguite, per le quali ha un effetto di restituzione ex tunc, mentre, per le prestazioni da eseguire, produce un effetto liberatorio ex nunc (nello stesso senso Arb. Roma 6.11.1997, in Arch. giur. oo. pp., 1999, 1046; Arb. Roma 15.1.1997, in Arch. giur. oo. pp., 1999, 11; Arb. Roma 20.7.1995, in Arch. giur. oo. pp., 1997, 612; Coll. Arb. 27.7.1990, in Nuova giur. civ., 1992, I, 464, con nota di Xxxxxxx; Cass. 9.11.1977, n. 4818, in Rep. Foro it., 1977, voce Appalto, n. 46 (la quale però precisa che alcune figure di appalto come l’appalto di manutenzione e di servizi sono contratti sostanzialmente ad esecuzione periodica o differita). Contra, v. però Coll. Arb. 11.5.1993, in Arch. giur. oo. pp., 1994, 1323; Coll. Arb. 19.5.1989, in Arch. giur. oo. pp., 1990, 312; Coll. Arb. 21.4.1983, in Arch. giur. oo. pp., 1984, 1.
V. però Coll. Arb. 30.6.1982, in Arch. giur. oo. pp., 1982, III, 364 secondo cui in analogia
a quanto dispone il 1° comma dell’art. 1458 c.c., l’effetto retroattivo della risoluzione del contratto non può estendersi a quelle prestazioni che, essendo ricomprese in distinti e
Si pone poi il problema di interpretare la disposizione laddove fa riferimento a prestazioni già eseguite.
Al riguardo giudici e dottori sono nuovamente concordi nel ritenere tali quei comportamenti con cui il debitore abbia pienamente soddisfatto le ragioni del creditore51.
In conclusione, i presupposti di applicazione della regola52 possono essere così ricostruiti: ogni qual volta da un contratto derivano coppie di prestazioni e attribuzioni continuativamente o periodicamente ripetute nel tempo che (i) si pongono tra di loro in rapporto di corrispettività, (ii) sono state integralmente adempiute, e (iii) possono essere separate da prestazioni antecedenti o successive53 senza pregiudizio per la finalità del
separati stati di avanzamento dei lavori abbiano già avuto completa esecuzione da entrambe le parti.
51 Cass. 20.10.1998, n. 10383, in Rep. Foro it., 1998, voce Contratto in genere, n. 519 (nello stesso senso Cass. 24.6.1995, n. 7169, in Rep. Foro it., 1995, voce Contratto in genere, n. 501; Cass. 26.5.1971, n. 1566, in Giur. it., 1971, I, 1, 2808 con nota di X’Xxxxxx).
52 Approfondisce la ratio della regola X. XXXX, I contratti di durata, in Obbligazioni e negozio giuridico, Scritti giuridici, Padova, 1992, III, 200 ss. (già in Riv. dir. comm., 1943, I, 143 ss. ed ibidem 1944, I, 18 ss.), laddove (283) sottolinea che nei contratti di durata al decorso del tempo corrisponde economicamente la soddisfazione continuativa degli interessi contrattuali e giuridicamente l’adempimento continuativo dell’obbligazione di durata. Secondo l’A., dunque, la risoluzione, nel caso in cui trova l’interesse contrattuale già soddisfatto e l’obbligazione già adempiuta, non può che rispettare gli effetti giuridici ed economici prodotti dal contratto. Sviluppa questa idea, di recente, X. XXXXXXXXXXX, La risoluzione dei contratti di durata, cit., 121 ss. il quale afferma che l’adempimento, giusta la divisibilità dell’obbligazione in parti che assicurano al creditore un’utilità in proporzione, si perfeziona e mostra di avere un’efficienza solutoria di tipo progressivo. In tal senso l’A. riferisce di intangibilità delle prestazioni sinallagmatiche integralmente eseguite quale effetto di un soddisfarsi frazionato dell’interesse creditorio.
53 Secondo X. XXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 281 s. esiste la possibilità che
la risoluzione non solo lasci intatte le coppie di prestazioni già eseguite, ma si limiti a quella coppia toccata dall’inadempimento, lasciando impregiudicata la possibilità che riprenda l’esecuzione del rapporto per quanto attiene alle coppie future di prestazioni. Nello stesso senso già G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 292 nonché X. XXXX, I contratti di durata, cit., 322; il profilo è trattato anche da X. XXXXX, Il contratto, cit., 948 e X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, 639 che si esprimono in termini di ultrattività del rapporto.
contratto, quasi derivassero da più rapporti contrattuali, la retroattività della risoluzione non si estende a queste avendo le stesse già realizzato, seppure pro tempore, il sinallagma funzionale del contratto54.
5. Segue. La risoluzione parziale
Muovendo da argomentazioni sostanzialmente equivalenti, la dottrina55 (prima) e la giurisprudenza56 (poi) hanno costruito una seconda eccezione57 alla regola secondo cui alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori; essa va sotto il nome di risoluzione parziale.
Più precisamente alcuni autori58, sul presupposto che il precetto che l’art. 1458 c.c. detta relativamente ai contratti ad esecuzione periodica o continuata dimostra come non estranea al sistema la possibilità di scindere un regolamento contrattuale unitario, hanno ritenuto di sottoporre a
54 X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, 28 afferma che in questo caso la risoluzione investe solo in parte il contratto, una parte del quale soltanto soffre il sopravvenuto vizio causale. L’A. sottolinea che per la parte attuata il rapporto continua a trovare titolo nel contratto che, in quei limiti, continua a valere e può essere invocato, anche dopo la pronunzia di risoluzione.
55 Il riferimento principe è, naturalmente, alla monografia di X. XXXXXXX, La risoluzione parziale.
56 V. la successiva nota 64.
57 Al riguardo giova precisare che anche la regola concernente i contratti ad esecuzione continuata e periodica può essere considerata una forma di risoluzione parziale (sul punto cfr. lo stesso X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, cit., passim); si è, però, ritenuto di distinguere nettamente tale ipotesi, esplicitata direttamente nell’art. 1458 c.c. ed in cui assume valore determinante il fattore tempo, da questa in esame che, originata da un’interpretazione analogica di quella medesima regola, si caratterizza, invece, per la serialità delle prestazioni oggetto del contratto.
58 Cfr. X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, cit., passim e, in particolare, 35.
critica quell’orientamento giurisprudenziale59 che, facendosi forte del dogma dell’intangibilità del rapporto60, non vedeva alternative alla integrale permanenza o alla completa risoluzione del contratto.
In particolare, è stato osservato che il contratto può avere ad oggetto una serie di prestazioni di cui ognuna capace di assicurare al creditore il soddisfacimento di un bisogno parziale61.
Si pensi all’esempio scolastico del ristoratore che, concluso un contratto di compravendita per 100 bottiglie di Barolo dell’anno 2000 con un grossista, a fronte dell’integrale pagamento, se ne veda recapitare soltanto 50. Supponiamo, poi, che l’adempimento parziale abbia ad origine una svista del commerciante che di bottiglie di vino di quell’annata ne aveva, appunto, solo 50.
59 Orientamento di cui si legge in X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, cit., 67 ss.
60 Con la presente espressione si vuole richiamare quella opinione sviluppatasi in parte in dottrina e seguita per lungo tempo (ma oggi abbandonata) in giurisprudenza secondo cui il giudice non avrebbe, se non nei casi espressamente previsti dalla legge, il potere di incidere sul contenuto del rapporto contrattuale modificandone in parte l’oggetto. Il campo di applicazione d’elezione di questa tesi era sicuramente dato dal rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo; la giurisprudenza di legittimità, fino alla metà degli anni ottanta, riteneva infatti che il promissario acquirente non potesse domandare, contestualmente all’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., la riduzione del prezzo del vizi e difformità della res tradita a ciò ostando una regola di salvaguardia dell’unità del contratto. Come osserva X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, cit., 73 ss. un segno di ripensamento di siffatto dogma lo si legge nella nota pronuncia Cass., sez. un., 27.2.1985, n. 1720, in Giust. civ., 1985, I, 1630, con nota di X. XX XXXX, appunto relativa al rapporto tra contratto preliminare e definitivo.
Con riferimento alla risoluzione parziale del contratto sostiene la tesi dell’intangibilità
del contratto Cass. 29.4.1991, n. 4762, in Rep. Foro it., 1991, voce Contratto in genere, n. 386 secondo cui non è ammissibile una caducazione parziale del contratto quanto all’oggetto, ossia per una sola parte della prestazione; ciò perché il contratto è unico e dunque “o si risolve tutto, in relazione all’intera prestazione, oppure permane in toto”; in dottrina, condivide l’impostazione RUBINO, La compravendita, in Trattato di diritto civile, diretto da
X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, Milano, 1971, 815.
00 X. XXXXX, Xx risoluzioni per inadempimento, cit., 640 sottolinea come indice apprezzabile il fatto che il corrispettivo sia fissato in modo globale o per singolo bene oggetto della prestazione.
Un’applicazione inflessibile ed intransigente dei principi di cui agli artt. 1453 e 1458 c.c. comporterebbe per il ristoratore del nostro esempio conseguenze non accettabili; lo stesso, non potendo di fatto agire per l’esecuzione del contratto, si vedrebbe costretto a dover rinunciare alla possibilità di recuperare parte della somma (indebitamente) corrisposta, ovvero, agendo in risoluzione, a dover necessariamente restituire le 50 bottiglie di vino, onde ottenere l’integrale ripetizione dell’importo.
Partendo da casi come questo è stato osservato62 che mentre l’interesse della parte inadempiente a riottenere la prestazione parziale non risulta apprezzabile, è, invece, sicuramente meritevole di tutela, rispondendo alla generale esigenza di conservazione del contratto, l’(eventuale) interesse del contraente fedele a limitare la risoluzione del contratto.
Di qui la regola, ricavata in via analogica63 dallo stesso art. 1458 c.c. (oltre che dall’art. 1464 c.c.), e, di recente, assunta dalla nostra giurisprudenza64 secondo cui laddove (i) un contraente abbia
62 C.M. XXXXXX, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 303 e già ID, La vendita, cit., 951.
63 Il profilo è affrontato con attenzione da X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, cit., 213 ss. ove amplia bibliografia cui si rimanda integralmente. X. XXXX, I contratti di durata, cit., 322, indicava (anche) nell’art. 1419 c.c. una norma a cui riferirsi per giustificare, in via analogica, la risoluzione parziale del contratto.
64 Da ultimo cfr. Cass. 20.5.2005, n. 10700, in Rep. Foro it., 2005, voce Contratto in genere,
n. 616 secondo cui la risoluzione parziale del contratto, esplicitamente prevista dall’art. 1458 c.c. in riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, deve ritenersi possibile anche nell’ipotesi di contratto ad esecuzione istantanea, quando l’oggetto di esso sia rappresentato non da una sola prestazione, caratterizzata da una sua unicità e non frazionabile, ma da più cose aventi una distinta individualità, il che si verifica allorché ciascuna di esse, separata dal tutto, mantenga una propria autonomia economico funzionale che la renda definibile come un bene a se stante e come possibile oggetto di diritti o di autonoma negoziazione. Nello stesso senso Cass. 21.12.2004, n. 23657, in Contratti, 2005, 654, con nota di X. Xxxxxxxxx e Cass. 15.4.2002, n. 5434, in Xxxxxxxxx, 2003, 238 con nota di X. Xxxxxxxxx.
parzialmente adempiuto un contratto, (ii) l’oggetto dell’obbligazione sia costituito da una serie di prestazioni tali per cui, più in genere, il rapporto di corrispettività risulti, per così dire, scindibile65, e (iii) la parte fedele abbia accettato l’adempimento parziale, perché capace di assicurare al creditore il parziale soddisfacimento di un bisogno, la retroattività della risoluzione non colpisce quest’ultimo, avendo lo stesso realizzato, seppure pro parte, il sinallagma funzionale del contratto.
Il (solo) contraente fedele66 potrà dunque decidere, in alternativa alle domande di adempimento e risoluzione totale del rapporto67, se trattenere la (parte di) prestazione ricevuta ed agire per ottenere la risoluzione parziale del contratto.
65 Sui concetti di unità e scindibilità del regolamento contrattuale v. nuovamente X. XXXXXXX, La risoluzione parziale, cit., 32 e 173 ss. Certamente da condividere il rilievo (181) secondo cui l’unità o scindibilità del contratto più che caratteristica obiettiva del rapporto è frutto di una scelta costruttiva o operativa che origina dall’autonomia privata e, come tale, va, dunque, affrontata nell’ottica della risoluzione di un conflitto di interessi (212).
X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, 639, sottolinea che l’idea del contratto per prestazioni in serie non è ontologicamente così diverso dal contratto ad esecuzione continuata.
66 X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 639.
67 C.M. XXXXXX, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 303 sottolinea come l’accettazione di un adempimento parziale ed idoneo a soddisfare proporzionalmente l’interesse del creditore renda ingiustificata e contraria a correttezza l’eventuale successiva domanda di risoluzione totale del contratto.
6. Retroattività e decorrenza degli effetti di liberazione e rimozione dello stato di fatto e di diritto generato dal contratto
Da questi primi paragrafi emerge che alla risoluzione possono conseguire, rispettivamente, effetti liberatori dalle obbligazioni principali ed effetti di rimozione della situazione di fatto e di diritto generata dal contratto che danno luogo alla cancellazione dell’effetto reale e alla nascita di obbligazioni restitutorie. Prima di osservare le ulteriori conseguenze che derivano dallo scioglimento del contratto, risulta particolarmente significativo analizzare il ruolo della retroattività nella collocazione nel tempo di questi effetti.
Come si avrà modo di vedere, dottrina e giurisprudenza hanno, non senza contrasti, qualificato la decorrenza di ogni singola conseguenza come ex tunc (ovvero da ricondurre al momento della stessa stipulazione del contratto) o ex nunc (ovvero produttiva di effetti solo una volta che sia stato pronunciato lo scioglimento del contratto).
Ferma restando l’opportunità di una simile operazione, di cui vanno poste in rilievo le (quasi sempre) significative ricadute pratiche, va, non di meno, anticipato che l’attenzione per la collocazione temporale del singolo effetto pare aver fatto perdere lo sguardo d’insieme sul contratto. Detto altrimenti, allorquando si affronta il profilo della collocazione temporale degli effetti della risoluzione, sembra opportuno affrancarsi da quella opinione, ancora fortemente presente nelle sentenze e nelle opere di
dottrina, che, sulla base di un’idea forte della retroattività, afferma che questo rimedio avrebbe l’effetto di annientare l’atto ed il rapporto68.
Ove si guardi criticamente all’assioma retroattività = nullificazione del regolamento contrattuale e, in genere, dei comportamenti tenuti dalle parti in costanza del rapporto, si avrà modo di cogliere alcuni dati significativi.
Ciò premesso, con riferimento alla decorrenza dell’effetto liberatorio sono state sostenute due tesi contrapposte. A fronte di un orientamento giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di risoluzione del contratto produce, rispetto alle prestazioni da eseguire un effetto liberatorio ex nunc69, la dottrina oscilla, invece, tra le posizioni di chi contesta70 e chi concorda71 con siffatta posizione.
A sostegno dell’una e dell’altra tesi non si rinvengono ragioni particolarmente convincenti. Chi sostiene che l’effetto della risoluzione si verifica ex tunc, non ne esplicita le motivazioni, concede spazio alla suggestione della regola di retroattività e, forse per non incorrere in equivoci logico-linguistici72, preferisce parlare di estinzione delle obbligazioni73; chi opta per la decorrenza ex nunc, si esprime, invece, in
68 Ancora di recente v. in dottrina X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 685.
69 Cfr. Cass. 21.10.1992, n. 11511, in Rep. Foro it., 1992, voce Contratto in genere, n. 395; Cass. 12.6.1987, n. 5143, in Giust. civ., 1987, I, 2222.
70 Cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., 947.
71 Cfr. X. XXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 266; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 175; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 672.
72 Pare irrazionale, infatti, riferire di liberazione ex tunc.
73 Così X. XXXXX, Il contratto, cit., 947.
termini di liberazione dalle obbligazioni e ricollega tale effetto alla natura costitutiva della sentenza che dichiara lo scioglimento del rapporto74.
Al riguardo, così come, da una parte, ancorare la decorrenza di questo effetto ablativo alla regola di retroattività, che è mera fictio iuris, non pare risolutivo, dall’altra, a fronte delle numerose ipotesi di risoluzione di diritto, neppure appare persuasivo ricollegare tale effetto alla pubblicazione della sentenza.
Nemmeno un’analisi della giurisprudenza in materia di inadempienze reciproche sembra fornire indicazioni utili in un senso o nell’altro. Ciò, verosimilmente, in quanto una volta pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento del contraente infedele, sfuma, con riferimento alla controprestazione corrispettiva, la rilevanza del comportamento della controparte75.
74 Così X. XXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 266.
75 Si consideri il seguente esempio: A rifiuta la prestazione tardiva di B, si avvale dell’eccezione di inadempimento ed agisce per la risoluzione del contratto. In considerazione di ciò il convenuto B, a causa del rifiuto di A, agisce per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore.
Supponiamo che il contratto sia risolto per inadempimento del convenuto B, integrando il ritardo di questo il requisito di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c.: chi segua la tesi maggioritaria affermerà che le parti sono liberate ex nunc, ovvero dalla pubblicazione della sentenza, dalle rispettive obbligazioni corrispettive; chi segua la tesi minoritaria affermerà che le obbligazioni corrispettive si estinguono ex tunc.
A questo punto, consideriamo con maggiore attenzione le obbligazioni principali. Rispetto al soggetto A (attore, contraente fedele) le due tesi non sembrano dare luogo a differenze significative: in un caso (tesi minoritaria) la sua obbligazione si estingue ab initio, nell’altro (tesi maggioritaria) egli è dapprima tutelato dall’eccezione di inadempimento e poi liberato. Anche rispetto al soggetto B (convenuto, contraente inadempiente) non si evidenziano differenze significative: la sua obbligazione, seconda una tesi (quella minoritaria) si estingue con effetto retroattivo, seconda l’atra (quella maggioritaria) viene meno con la pronuncia giudiziale.
In conclusione, nel limite in cui si concordi con la ricostruzione svolta nelle pagine precedenti, secondo cui l’effetto di liberazione o estinzione non si estende direttamente alle altre obbligazioni, clausole o altri vincoli contenuti nel regolamento contrattuale, non si vedono conseguenze concrete significative nel seguire una delle due tesi in esame;
Ancorché non sembri, allora, così infondato il dubbio, che, pronunciato o dichiarato lo scioglimento del rapporto contrattuale, non comporti differenze di disciplina ritenere l’obbligazione del contraente fedele non dovuta con effetto ex tunc o ex nunc, sembra più coerente ricollegare l’effetto di liberazione o estinzione rispettivamente alla pronuncia costitutiva del giudice, o al realizzarsi dei presupposti previsti negli artt. 1454, 1456 o 1457 c.c. (e dunque ex nunc).
In ogni caso, a parere di chi scrive, una volta verificato che l’effetto liberatorio concerne le sole obbligazioni principali, non estendendosi a quelle obbligazioni secondarie ed altri vincoli dalle parti creati proprio per regolare l’eventuale fase di conflitto o lite tra i contraenti, la problematica in esame risulta fortemente ridimensionata nella sua importanza76.
Con riferimento alla decorrenza delle altre conseguenze della risoluzione si può osservare, in prima battuta, una parità di vedute di dottrina e giurisprudenza che ritengono che la retroattività della risoluzione dia luogo, con effetto ex tunc77, sia alla (automatica) cancellazione dell’effetto reale che alla restituzione (se domandata) delle prestazioni corrispettive78.
differenze significative, invece, ben facilmente avvertibili laddove si ritenga che l’effetto liberatorio si estenda a tutte le obbligazioni contrattuali.
76 Rimane ferma la considerazione secondo cui la tesi maggioritaria merita adesione laddove mantiene inalterata la rilevanza del comportamento delle parti in costanza del rapporto.
77 Sul punto esiste, in dottrina come in giurisprudenza, un orientamento incontrastato che sostiene che la retroattività, nella sua accezione di ripristino della situazione di fatto e di diritto, opera ex tunc; in questo senso cfr. X. XXXXX, Il contratto, cit., 947; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 177; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 672.
78 Come supra osservato, in presenza di particolari situazioni, la risoluzione può colpire solo una parte del rapporto: il riferimento è non solo all’eccezione dei contratti ad
L’omogeneità delle opinioni viene meno laddove si affrontino aspetti più specifici: si pensi al rapporto tra regola di retroattività e principio res perit domino79. Ove si accedesse all’interpretazione secondo cui l’efficacia retroattiva della risoluzione fa sì che, ad esempio, l’alienante debba essere considerato come se non avesse mai cessato di essere proprietario, ciò significherebbe che il rischio del perimento del bene verificatosi, supponiamo, in corso del giudizio, sarebbe sempre a carico di quest’ultimo. Una simile soluzione, tuttavia, contrasta con il disposto degli artt. 1465 e 1492, c. 3, c.c.; sembra, dunque, di poter escludere che l’effetto reale venga meno ex tunc.
Non mancano altri esempi: costituisce, infatti, ius receptum della Suprema Corte la massima secondo cui, pur a fronte dell’efficacia ex tunc dell’effetto restitutorio, il maturare di interessi sulle somme versate da una parte all’altra in esecuzione del contratto, decorre non dalla data del versamento ma dalla proposizione di un’apposita domanda giudiziale80.
Secondo alcuni, questi ed altri dati fornirebbero ben più di uno spunto per approfondire l’opinione secondo cui la retroattività della risoluzione sarebbe, ad essere rigorosi, una «non retroattività»81.
esecuzione continuata e periodica stabilita dallo stesso art. 1458 c.c., ma anche e soprattutto alle regole, ormai fatte proprie anche dalla giurisprudenza, della risoluzione parziale.
79 Per un ampia panoramica del problema cfr., da ultimo, X. XXXXXX-SALÈ, Il rischio del perimento fortuito nella vendita di cosa viziata, Xxxxxx, 0000.
80 Cfr. Cass. 2.8.2006, n. 17558, in Rep. Foro it., 2006, voce Contratto in genere, n. 626. Nella giurisprudenza di merito v. X. Xxxxxx, 4.6.2007, ined.
81 Così X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 209. D’altronde in questo senso si muovono tutte le più recenti compilazioni di diritto privato europeo. Cfr. art. 7.3.5 Principi Unidroit e art. 9:305 PECL.
Rinviando ogni ulteriore valutazione ai successivi capitoli, sembra di poter quantomeno affermare che l’analisi sin qui condotta rafforza quella proposta di affrancarsi dal binomio risoluzione = nullificazione del contratto.
Lo studio di alcuni soltanto degli effetti della risoluzione permette di affermare che un’applicazione intransigente dell’istituto della retroattività, oltre a non essere condiviso dalla giurisprudenza, non risulta appagante; e ciò in quanto risolvere un contratto non significa, appunto, cancellarne ogni traccia.
La prospettiva che, ad avviso di chi scrive, sembra imporsi è, dunque, che la retroattività è regola da intendersi in senso (non assoluto ma) relativo82; la sua applicazione va adattata alla specificità dei rapporti, alla varietà delle vicende e, in genere, agli elementi di diversità che caratterizzano la fattispecie concreta, sulla base di criteri mobili che tocca all’interprete individuare e modulare, adattandoli al caso di specie.
Ad ulteriore riprova di questa riflessione, secondo cui la retroattività come cancellazione tout court del rapporto contrattuale è dogma tutt’altro che indiscutibile, si rende opportuno un ulteriore approfondimento.
82 X. XXXXXXXX, voce Retroattività, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 83 ss. pone l’accento sulla «relatività» del risultato scaturente dall’applicazione della tecnica legislativa della retroattività e sottolinea come il legislatore abbia effettuato, nelle diverse ipotesi in cui la dispone, una operazione di «dosaggio della retroattività».
7. Segue. Fase di pendenza e clausola generale di buona fede: rilevanza delle obbligazioni (accessorie) di conservazione, custodia e diligente amministrazione della prestazione da restituire
La considerazione secondo cui la risoluzione retroagisce al momento stesso della stipula del contratto «nullificandolo» induce, come si accennava, a perdere di vista l’arco temporale che intercorre tra stipulazione e risoluzione del rapporto83.
Per converso, sembra necessario prestare più attenzione a questa fase di pendenza84, il cui termine iniziale potrebbe essere più precisamente ricondotto al primo (momento o frazione di) inadempimento, e focalizzare lo sguardo su alcuni ulteriori doveri di condotta da cui i contraenti non sono liberati e che, addirittura, in quanto funzionali alle restituzioni, la retroattività non solo non cancella, ma presuppone.
Il riferimento è alle obbligazioni di conservazione, custodia e diligente amministrazione delle prestazioni da restituire85, che trovano la
83 G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 163 definisce condizione di responsabilità quella in cui il diritto di credito viene a trovarsi.
84 Presta attenzione alla differenza tra fase di costanza del rapporto e fase successiva alla risoluzione il solo X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 260, 278, (osservazione sviluppata anche in ID., voce Risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 1328). Anche se in una diversa prospettiva, il tema è trattato anche da
X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, III, 15, Napoli, 2004, 80.
85 In dottrina si rinviene un autorevole accenno in G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 292 ove l’A. afferma che la retroattività importa la responsabilità dell’inadempiente per gli atti di amministrazione compiuti senza la necessaria diligenza. Il profilo della connessione tra obbligo di custodia e di restituzione si ritrova in X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 185 oltre che in X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 682.
Un generico riferimento è presente in Cass. 18.2.1980, n. 1192, in Rep. Foro it., 1980, voce Contratto in genere, n. 292 ove si legge che il compratore che sia attore o convenuto in
loro fonte nella clausola generale di buona fede86, risultando applicabili al caso di specie ai sensi dell’art. 137587 c.c. e/o ex art. 1358 c.c. (quest’ultimo in via analogica).
Per meglio approfondire il tema, evitando – al tempo stesso - il rischio, connaturale ad ogni tentativo definitorio88, di limitare la portata applicativa propria di questa clausola generale, potrebbe essere maggiormente utile prendere in considerazione un esempio.
Supponiamo che il soggetto A ceda al soggetto B un’azienda e che il particolare valore della res produttiva abbia indotto il venditore ad acconsentire una ripartizione nel tempo del pagamento del prezzo concordato. Xxxxxxxxxxx, poi, che B, imprenditore avente capacità molto inferiori ad A, perda clienti, diminuisca le entrate e, conseguentemente, non riesca ad adempiere all’obbligazione di pagare alcune delle somme differite89.
giudizio per la risoluzione della vendita ha l’obbligo di custodire la cosa venduta quale obbligato sub conditione alla restituzione di essa.
86 L’osservazione non sembra essere stata adeguatamente sviluppata in dottrina; spunti fondamentali si rinvengono in X. XXXXXXX – And. X’XXXXXX, voce Presupposizione, in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986, 346 ove gli AA., constata l’inadeguatezza del sistema degli artt. 1458, 2033 e 2041 c.c. alle esigenze di salvaguardia dell’equilibrio economico tra le parti, ipotizzano una campo di applicazione della buona fede anche nella fase posteriore allo scioglimento del contratto.
87 And. X’XXXXXX, La buona fede, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxx, XIII, Il contratto in generale, IV**, Torino, 2004, 2 s. sottolinea i larghi spazi di indefinizione del precetto; secondo l’A. l’ambito applicativo dell’art. 1375 c.c. non sembra circoscritto alla disciplina dell’adempimento, potendo, nella fase esecutiva, manifestarsi conflitti di interesse tra i contraenti non concernenti l’attuazione delle prestazioni. Un cenno in tal senso si rinviene anche in A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 351.
88 Sul punto, di recente, And. X’XXXXXX, La buona fede, cit., 3 ss. e 7 ss.; tra gli altri, cfr.
X. XXXXXX, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1965, 189.
89 Naturalmente si dà per scontato che tale inadempimento abbia le caratteristiche della non scarsa importanza ex art. 1455 c.c.
Casi come questo descritto danno luogo a problemi assai complessi sui cui si tornerà in seguito; si pensi alla questione concernente il diritto di A ad ottenere l’integrale ripristino della situazione di fatto e di diritto e, dunque, non solo la restituzione dell’azienda ma anche, a titolo di restituzione o risarcimento, la perdita di valore della medesima.
Limitando il campo, ciò che si vuole, per ora, osservare è che, a prescindere dal contenuto delle obbligazioni restitutorie e dall’eventuale diritto al risarcimento che A, domandando la risoluzione, potrà far valere, nella fase di pendenza che intercorre tra inadempimento e risoluzione B non potrà più agire in completa libertà, dando completo sfogo alla sua libera ma inefficiente iniziativa economica; il suo comportamento dovrà essere improntato a buona fede in vista della restituzione dell’azienda90.
Fermo restando che risulta assai complesso, se non addirittura fuorviante, ricostruire in astratto un ambito di discrezionalità del soggetto acquirente, può affermarsi che a questo saranno impedite tutte quelle azioni che comportino una volontaria (ulteriore) diminuzione del valore dell’azienda91.
In altre parole, l’esempio rende concreta l’idea secondo cui esistono obbligazioni, riconducibili agli artt. 1358 e/o 1375 c.c., (per così dire) accessorie che impongono alle parti di preservare le ragioni della
90 X. XXXXXXX – And. X’XXXXXX, voce Presupposizione, cit., 346 qualificano il giudizio di buona fede quale strumento di distribuzione tra le parti del pregiudizio che consegue alla risoluzione e che non può essere annullato con il meccanismo delle restituzioni o ex art. 2041 c.c.
91 Si pensi alla cessione di un ramo di azienda che, pur non costituendone il core business, sia stata oggetto di forti investimenti.
controparte92, custodendo il bene ricevuto ed amministrandolo con la diligenza che caratterizza lo standard medio del buon padre di famiglia93.
L’indagine potrebbe essere estesa ad ulteriori profili94 che, per quanto interessanti, rischierebbero di condurci fuor di tema.
In conclusione, la risoluzione è sì, in linea generale, cancellazione del contratto; ma il principio soffre importanti e numerose eccezioni.
Oltre a quelle già menzionate sopra, e su cui ci siamo intrattenuti nei precedenti paragrafi, ecco un ulteriore eccezione: la retroattività non
92 Afferma l’operatività del principio di buona fede oggettiva anche nella fase dell’inadempimento Cass. 21.5.2007, n. 11794 (ord.), ined. che ha rimesso al Primo Presidente per l’assegnazione alle sezioni unite la questione se sia consentito al creditore chiedere giudizialmente l’adempimento frazionato di una prestazione originariamente unica, perché fondata sullo stesso unico rapporto. Sul punto, è stata di recente pubblicata Cass., sez. un., 15.11.2007, n. 23726, in Guida al dir., 2007, XXXXVII, 28, con cui la Corte di legittimità ha modificato la propria precedente giurisprudenza (Cass., sez. un., 10.4.2000,
n. 108) a fronte di un quadro normativo «nel frattempo evolutosi […] nella direzione di una sempre più accentuata e pervasiva valorizzazione della regola di correttezza e buona fede siccome specificativa nel contesto del rapporto obbligatorio degli inderogabili doveri di solidarietà il cui adempimento è richiesto dall’art. 2 della Costituzione». Più oltre si riferisce della Più oltre si riferisce della «ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione, che a quella clausola generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale». Particolarmente significativo, infine, il passaggio ove si afferma che «se, infatti, si è pervenuti, in questa prospettiva, ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, a maggior ragione deve ora riconoscersi che un siffatto originario equilibrio del rapporto obbligatorio, in coerenza a quel principio, debba essere mantenuto fermo in ogni successiva fase, anche giudiziale, dello stesso e non possa quindi essere alterato, ad iniziativa del creditore, in danno del debitore».
93 O, come nel caso delineato nel testo, del buon imprenditore.
94 Su tutti, si pensi, al problema, da risolvere in senso positivo, dell’applicabilità al caso di specie dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale (azioni surrogatoria, revocatoria, sequestro conservativo, etc.).
investe, anzi, implica obbligazioni di protezione95 dell’interesse altrui riconducibili alla clausola generale di buona fede e specificamente attinenti alle conseguenze della risoluzione.
8. c) Il risarcimento del danno da risoluzione
Il contraente che, scelta la via giudiziale, ottenga una pronuncia di risoluzione ha diritto al risarcimento del danno ex artt. 1218 e 1453 c.c.
Ecco, dunque, un ulteriore effetto96 che consegue alla cancellazione del rapporto, effetto che, diversamente dai precedenti, è evidentemente stabilito a favore di una sola parte, quella fedele97.
Nel vigore del codice del 1865 alcuni autori98 discutevano della possibilità stessa di poter riconoscere all’attore in risoluzione il diritto al
95 Su cui meglio X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 1342 ss.
96 Al riguardo si evidenzia che l’effetto risarcitorio, a differenza degli altri sinora incontrati, non necessita di apposita domanda di risoluzione del contratto. Per altro, la possibilità del contraente fedele di ottenere il risarcimento ex art. 1218 c.c. induce sovente i contraenti a disinteressarsi della sorte del contratto, quasi la domanda risarcitoria determinasse, di per sé, la morte del vincolo. In conseguenza di ciò, nel diritto applicato, il profilo risarcitorio assorbe e finisce col prevalere rispetto ad ogni diverso ed ulteriore aspetto. Sul punto A.M. XXXXXXXXX, Xxx esegue male si tiene il compenso? La retroattività della risoluzione nei contratti professionali, in Danno e resp., 2005, 519 si interroga se il verificarsi di un inadempimento irreversibile possa, in difetto di un particolare interesse del creditore, in qualche misura togliere al contratto la sua forza di vincolo, o, comunque, decretarne una sorta di tacito scioglimento.
97 Si tratta pur sempre di un effetto eventuale messo a carico della parte cui sia
imputabile l’inadempimento. Come per le restituzioni anche il risarcimento del danno, avendo ad oggetto un bene della vita, non è conseguenza automatica e necessita di apposita domanda di parte (v. R. SACCO, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 673). Sulla conseguente applicabilità del principio dell’onere della prova v., ad esempio, Cass. 19.5.2003, n. 7829, in Rep. Foro it., 2003, voce Contratto in genere, n. 561.
risarcimento del danno, rilevandosi, da parte di alcuni, come, quest’ultimo, si ponesse in palese antinomia con l’effetto retroattivo della risoluzione disciplinato dal previgente art. 1165.
È noto che ogni incertezza99 al riguardo è stata legislativamente fugata dal corrispondente art. 1453, comma 1, c.c. che espressamente fa salvo siffatto diritto.
D’altronde, come è stato osservato100, ove l’effetto della risoluzione fosse unicamente quello di liberare le parti dalle obbligazioni assunte ed obbligarle alle restituzioni, verrebbe meno ogni certezza del traffico giuridico in quanto ciascun contraente potrebbe mutare avviso sulla convenienza dell’affare concluso e sciogliersi liberamente da esso.
In dottrina, il fenomeno risarcitorio risulta ampiamente l’aspetto più studiato; di qui una vastissima pluralità di indirizzi che propongono diversi modelli che possono essere, nel limite di spazio concesso dalla presente trattazione, ricondotti a tre teorie maggiormente sviluppatesi nel tempo.
La prima ritiene risarcibile il cd. interesse contrattuale positivo. Secondo questi autori101 la responsabilità contrattuale è strumento che
00 X. X. XXXXXX, Xxxxxx delle obbligazioni, 7° ed., IV, Firenze, 1908, 252 ss.; X. XXXXXX, Studi sulla risoluzione dei contratti bilaterali secondo l’art. 1165 del cod. civ. ital., in Arch. giur., 1930, 11; X. XXXXXXXX xx, Risoluzione per inadempimento: retroattività e risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 1935, 40.
99 X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 236, ritiene, per converso, antinomico il risarcimento del danno positivo; da ciò ne deriva la sua contestazione alla teoria che ritiene risarcibile l’interesse contrattuale positivo (di cui infra).
100 Così X. XXXX, Rischio contrattuale, in Contratto e impr., 1986, 653.
101 Cfr. già G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 100, 141 e 164 con riferimento al c.c. 1865 e 244 ove, con riferimento al c.c. 1942, l’A. sottolinea come la formula definitiva adottata dal legislatore «in ogni caso» esprime in maniera più chiara di
deve permettere alla parte fedele di essere posta nella stessa situazione in cui si sarebbe trovata se il contratto avesse avuto integrale e puntuale esecuzione102. Sarebbe dunque risarcibile sia il danno emergente sia il lucro cessante, in modo da far conseguire al creditore quello stesso incremento patrimoniale netto che avrebbe ottenuto se il contratto fosse stato regolarmente adempiuto103.
quanto non facesse la precedente redazione «oltre al risarcimento del danno» la tutela dell’interesse contrattuale positivo. Si inseriscono in questo filone X. XXXXX, Il contratto, cit., 950, il quale, tuttavia, si interroga sull’eventuale valore di “mitigazione” del risarcimento che può conseguire all’applicazione del disposto dell’art. 1227, c. 2, c.c.; X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 673; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 297 s. ove ampia analisi delle voci di danno emergente e lucro cessante; ID., Dell’inadempimento delle obbligazioni, Artt. 1218-1229, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, 261; X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 200 ss. il quale, peraltro (352 ss.) ammette altresì la risarcibilità dell’interesse negativo da risoluzione sulla base di un titolo di responsabilità diverso dall’inadempimento contrattuale; tale danno sarebbe fondato sulla violazione delle disposizioni di cui agli artt. 1337, 1338 e 1398 c.c. costituenti espressione di principi generali la cui operatività non potrebbe essere circoscritta al solo ambito degli illeciti precontrattuali e dovrebbe, invece, essere estesa anche al di fuori della culpa in contrahendo; X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 318; X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in AA.VV., I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1999, 1528; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 206 ss.; X. XXXXXXXXX XXXX – U. BRECCIA – F.D. BUSNELLI – X. XXXXXX, Diritto civile, Fatti e atti giuridici, I, 2, Torino, 1989, 867; X. XXXXXXXXX, Interesse positivo e interesse negativo nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Scritti in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, III, Milano, 2002, 1943 xx. (xxxxxx xx Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 000 xx.); X. XXXXX, La quantificazione del danno, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, I Rimedi-II, a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 933.
102 Secondo X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione
per inadempimento, cit., 184 i sostenitori di questa interpretazione vedono nel risarcimento una sorta di surrogato dello scambio venuto meno; contra, sul punto, G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 168 il quale sottolinea come la risoluzione serva a soddisfare un interesse del creditore almeno equivalente a quello che doveva essere soddisfatto mediante adempimento. La risoluzione sarebbe, dunque, istituto posto ad attuare, almeno per equivalente, l’interesse della parte fedele.
103 Questa posta di danno va sotto il nome di danno differenziale consistendo nella differenza di valore tra prestazione dovuta dalle parte inadempiente ed il valore della controprestazione. Sul punto v. X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 228 ss.
Questa corrente, largamente maggioritaria – specie in epoca recente
- in giurisprudenza104, ha dato luogo ad alcune critiche: tra le altre, quelle di chi ha ritenuto erroneo imporre all’inadempiente il soddisfacimento di quel medesimo interesse che, con la domanda di risoluzione, l’attore dichiara di non voler più perseguire105.
Una seconda corrente106 ritiene, invece, che il risarcimento debba soddisfare il cd. interesse contrattuale negativo.
In altri termini, la parte fedele deve essere posta nella stessa posizione economica antecedente alla conclusione del contratto
104 Tra le altre v., da ultimo, Cass. 22.6.2006, n. 14431 ined. Cfr. però di recente Cass. 31.8.2005, n. 17652, in Corr. giur., 2005, 1684 con nota di X. Xxxxxxxxx, secondo cui tra i pregiudizi patrimoniali suscettibili di risarcimento, subiti dalla parte non inadempiente per effetto della risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, rientrano anche le spese affrontate in vista del proprio adempimento e, specificamente, ove il contratto in questione sia costituito da un preliminare avente ad oggetto il trasferimento di una cosa determinata, gli esborsi diretti alla realizzazione di quest’ultima, o, comunque, finalizzati a renderla conforme all’oggetto delle pattuizioni.
105 X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 238 ss. sviluppa
una propria tesi secondo cui xxxxxxxx, invece, risarcito l’interesse alla conservazione e all’integrità del patrimonio. Secondo l’A. (239) l’interesse da risarcire andrebbe limitato al lucro cessante, al vantaggio che il risolvente avrebbe conseguito con l’esecuzione del contratto. M.R. XXXXXXX, Xxxxxx risarcitoria nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Giur. it., 1985, I, 1, 369 ss. sottolinea l’eccesso di tutela che conseguirebbe alla parte fedele cumulando il riacquisto della piena disponibilità della propria prestazione e la realizzazione dell’assetto del patrimonio programmato attraverso il contratto. X. XXXXXX, Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, Napoli, 1993, 46 ritiene che, salvo eccezioni (54 ss.), la risoluzione non debba tendere alla ricostruzione dell’assetto quantitativo e qualitativo del patrimonio che sarebbe derivato dall’esecuzione del contratto, perché il risolvente ha inteso scambiare l’acquisto preordinato con un acquisto alternativo almeno equivalente al primo. In altre parole (52) la risoluzione è vista come
«rinuncia» all’esecuzione dell’interesse creditorio primario, e la conseguente azione (53) come libera scelta di convenienza di «perdere per acquistare».
106 Cfr. M.R. MARELLA, Tutela risarcitoria nella risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 375; X. XXXXXX, Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, cit., 49 ss. Ripropongono, di recente, un possibile ruolo per il risarcimento dell’interesse negativo VILLA, La quantificazione del danno, cit., 937 e ss., nonché X. XXXXXXXXX, Xxxxxx che non rimediano e alternative risarcitorie: il «disgorgement» dei profitti da inadempimento, in Riv. crit. dir. priv., 2008, 473 ss.
inadempiuto. In questa accezione, il risarcimento si qualifica come strumento volto a completare il complessivo effetto ripristinatorio della vicenda risolutoria107, da effettuarsi attraverso la sola liquidazione delle perdite che l’attore in risoluzione non avrebbe incontrato se non avesse concluso il contratto.
Anche questa tesi non è andata esente da critiche108; tra le altre, risultano particolarmente efficaci quelle di chi109 ha paventato problemi di sovrapposizioni e commistioni tra restituzioni e risarcimento, posto che è già compito delle prime azzerare gli spostamenti patrimoniali aventi titolo nel contratto venuto meno.
Un terzo filone, infine, riunisce le indicazioni che provengono dalle due interpretazioni sopra esposte e propone la xxx xxx xxxxxx000.
La parte fedele avrebbe, dunque, diritto sia ai vantaggi che gli sarebbero derivati dal contratto, sia alla liquidazione delle spese affrontate per stipulare ed eseguire il contratto.
Questa tesi ha subito le più forti critiche perché, secondo i più, darebbe luogo a situazioni di ingiustificato arricchimento permettendo di sommare ai benefici propri dell’attuazione del contratto, il rimborso dei
107 Così X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per
inadempimento, cit., 184.
108 X. XXXXXXXXX, Interesse positivo e interesse negativo nella risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 1946 sottolinea la difficoltà per il contraente fedele di fornire la prova, deduce come questa regola resterebbe per lo più inoperante e, dunque, ne proclama l’inefficacia.
109 X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 185 ss. e 205 ove sottolinea la diversità di presupposti e finalità di restituzioni e risarcimento del danno. V. anche A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 320-323.
110 Cfr. X. XXXXXXXX, Dottrina generale del contratto, Milano, 1948, 481 e ID., Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 682.
costi dell’operazione che, anche in caso di adempimento, rimarrebbero, invece, a carico della parte111.
In conclusione, questa breve panoramica permette di mettere in luce un ulteriore profilo di ricerca: nelle pagine che seguono sarà necessario studiare le obbligazioni restitutorie coordinandone l’analisi con (le diverse interpretazioni de) i profili risarcitori. Ma prima ancora bisognerà individuare che cosa è danno, e dunque risarcimento, e che cosa è restituzione112.
9. Varietà e complessità del fenomeno risolutorio: definizione dell’oggetto della ricerca
Sembra giunto il momento di trarre dal quadro di problematiche che si è tracciato le linee di svolgimento della presente ricerca.
111 C.M. XXXXXX, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 297; X. XXXXXXXXX, Interesse positivo e interesse negativo nella risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 1953; X. XXXXXX, Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, cit., 60; X. XXXXXXXX, in A. LUMINOSO – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 220 ss.
112 Fondamentali, al riguardo, le pagine di A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 319 ss. in cui l’A. chiarisce che con il rimedio risarcitorio «si intende reagire massimamente contro il danno prodotto nella sfera patrimoniale del soggetto, assicurando ad esso una forma di compensazione pecuniaria che, più che eliminare il danno, lo neutralizzi in senso economico»; con il rimedio restitutorio, invece, « non si ha riguardo al danno (né importa che danno patrimoniale siasi prodotto) ma alla sola alterazione di una situazione di fatto e/o di diritto, alterazione che occorre rimuovere, ristabilendo la situazione originaria e con ciò ripristinando il vigore delle norme» (corsivo dell’A.). Adde, di recente, X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 79.
Nei paragrafi precedenti si è avuto modo di osservare la complessità del fenomeno risolutorio e le principali conseguenze113 che possono derivare dalla risoluzione; pur nella consapevolezza dello scarto di infedeltà proprio di ogni analisi sintetica, si è cercato di classificare questi effetti, descrivendone la disciplina ed evidenziandone eccezioni; si è, più in genere, constatata l’inattendibilità di un modello di regime applicabile in modo costante ed invariabile ad ogni fattispecie di contratto inadempiuto corrispondente alla previsione degli artt. 1453 e 1458 c.c. con identico effetto su ogni inerente obbligazione, vincolo e pattuizione, indipendentemente dalla varietà dei casi e della diversità di prestazioni e rapporti contrattuali che l’esperienza del diritto applicato offre.
In altre parole l’analisi sin ora condotta sembra aver fornito primi margini di conferma a quell’ipotesi iniziale secondo cui l’idea di una retroattività come «totale nullificazione»114 del contratto è inadeguata e si
113 Il riferimento alle conseguenze «principali» è motivato dal fatto che, ad esempio, non è stata affrontato il problema, pur inquadrabile tra gli effetti di rimozione delle conseguenze prodotte dal contratto, del cd. ritorno in vita dell’obbligazione estinta che si realizza in caso di risoluzione di contratti con effetti estintivi. Sul punto v. X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 621. In giurisprudenza x. Xxxx. 0.0.0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 2003, I, 1241. Adde la recente ed alquanto approfondita ricostruzione di X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 749 ss.
114 Espressione di X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 212, nota 11 ove l’A., più specificatamente, osserva come nonostante l’illusione di una totale nullificazione del contratto, in realtà alla risoluzione sopravvive un rapporto ex lege di liquidazione con funzione esclusiva di restaurare l’equilibrio incrinatosi nella fase di attuazione del rapporto contrattuale. In questo senso sembra, peraltro, muoversi la recente Cass. 15.1.2007, n. 738, cit.
Sostiene, invece, l’idea dell’irrilevanza del regolamento contrattuale, ma con riferimento alla ben più demolitiva ipotesi della nullità, X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, cit., 7. Altrove l’A. (10) riconosce, peraltro, la diversità tra restituzioni da contratto nullo e restituzioni da risoluzione, rimarcando, nelle prime, un’ulteriore diversità di disciplina a seconda della natura della nullità.
Per un interessante approccio storico-comparatistico v. X. XXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nella prospettiva storico-dogmatica: dalla nullità ex tunc al rapporto di liquidazione
scontra con una pluralità di dati dai quali emerge una persistente rilevanza del rapporto. L’inalterata efficacia di clausole secondarie ed accessorie, la non estensione della regola di retroattività a quei rapporti in cui sia stato realizzato pro tempore (così la regola in materia di contratti ad esecuzione continuata o periodica) o pro parte (è il caso della risoluzione parziale) il sinallagma funzionale del contratto e la sopravvivenza, nella cd. fase di pendenza, di obbligazioni che traggono origine dalla clausola generale di buona fede sono elementi che accreditano soluzioni costruttive non riconducibili alla visione della risoluzione e del suo effetto retroattivo come pura e semplice rimozione del vincolo contrattuale115.
contrattuale, in Europa e dir. privato, 2001, 825 (anche in AA. VV., Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, 332).
115 Non è, infatti, mancato chi (X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 209), ha affermato che la retroattività della risoluzione è, a ben vedere, un
«non retroattività». In effetti X. XXXXXXXXXX, Restitution after Termination for Breach of Contract: German Law after the Reform 2002, in X. Xxxxxx – Xxxx Xxxxxx of Earlsferry (a cura di), Mapping the Law. Essays in Memory of Xxxxx Xxxxx, Oxford, 2006, ma disponibile anche all’indirizzo xxxx://x0.xxxxxxx0.xx/xxx/xxxxxx/xxxxxxxxxxxx/00xxxxxxxxxx.xxx, § 5 svolgendo un parallelo tra le soluzioni del diritto francese, tedesco e dei PECL afferma che la scelta dei compilatori dei Principles per la non retroattività della risoluzione del contratto è stata determinate da tre dati: «(a) al creditore non dovrebbe essere impedito il diritto di richiedere il risarcimento dei danni per la perdita di aspettative; (b) vi può essere una serie di clausole nel contratto che sono chiaramente destinate ad operare anche se il contratto è risolto, come ad esempio le clausole relative alla composizione delle controversie; (c) sarebbe inopportuno tentatare di annullare lo scambio di prestazioni per il passato relativamente ad un contratto che preveda prestazioni continuative o periodiche». Ove si consideri che il diritto italiano (a) ammette ex art. 1453, x. 0, x.x. xx xxxxxxxxxxxx, (x) salva, tramite interpretazione, obbligazioni secondarie ed altri vincoli,
(c) prevede regole ad hoc ex art. 1458, c. 1, c.c. per i contratti ad esecuzione continuata o
periodica, risulta davvero fuorviante ogni approccio di carattere dogmatico.
Una simile posizione la si trova affermata anche in Francia ove, di recente, X. XXXXXXXXX, Observation conclusives, in L’anéantissement rétroactif du contrat, Actes du colloque du 22 octobre 2007, in Revue des contrats, 2008, 1, 101, in partic. 103, ritiene che, allo stato, esista una vero e proprio «caos della retroattività», con ciò intendendo il fatto che non è possibile indicare sotto un solo regola le conseguenza di una pluralità di istituti (in particolare nullità e risoluzione). L’A, dopo aver osservato (104), proprio con riferimento alla risoluzione del contratto, come l’effetto retroattivo della risoluzione sia limitato dalla disciplina dei «contrats successifs», dalla sopravvivenza delle «clauses du
Definito l’ambito di indagine, al fine di dirimere conflitti di interesse non facilmente risolvibili alla stregua della formula della retroattività, che rischia di rivelarsi poco espressiva116, si rendono opportune due precisazioni.
La prima è nel senso che lo studio della materia non sembra poter condurre a conclusioni se affrontato nelle strette maglie di un’analisi dogmatica per categorie. La volontà di inquadrare, definire e, soprattutto, classificare la retroattività117 prevista nella disciplina della risoluzione del contratto, non sembra aver apportato un quid pluris in termini di comprensione del fenomeno e di identificazione delle regole che lo governano118.
contrat qui ont leur autonomie» si interroga (105) se l’esistenza di tutte queste eccezioni non finisca per indebolire il principio, o se addirittura, non possa dirsi invertito principio ed eccezioni. Per un ampio approfondimento del ruolo della retroattività nella risoluzione nella letteratura francese, cfr. T. GENICON, La résolution du contrat pour inexécution, cit., 506 ss.
116 X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 275 giunge ad affermare che non sembra più consentito postulare che, a livello semantico, l’art. 1458
c.c. comunichi un alcunché; altrove però l’A. (320) si dà carico di identificare un nocciolo duro, un nucleo di significati idoneo a dare direttive all’interprete.
117 Il riferimento è al tentativo di inquadrare la retroattività che consegue alla risoluzione del contratto nelle diverse forme di retroattività conosciute dal nostro legislatore. Il tema è affrontato da X. XXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 267 il quale pone a confronto diversi modelli di retroattività (con effetto obbligatorio, con effetto reale, assoluta, relativa, ex tunc, ex nunc) e definisce l’art. 1458 c.c. quale ipotesi di retroattività reale relativa con effetto ex tunc; sul punto già G.G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, cit., 266 ss. e X. XXXXXXXXX, Dei contratti in generale, Artt. 1321-1469, in Commentario del codice civile, Torino, 1958, 496 s. L’analisi è presente anche in più recenti compilazioni: v. X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 246-266; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit. 178 ss.; X. XXXXXXXX, voce Retroattività, cit., 83 ss.
118 In questo senso già X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del contratto, cit., 145 secondo
il quale siffatte discussioni, di pur innegabile interesse teorico, hanno fatto perdere la concretezza delle situazioni che possono verificarsi e delinearsi con chiarezza.
Appare dunque appropriata un’impostazione119 della presente indagine che, anche alla luce della proclamazione dottrinale della crisi dei tipi contrattuali120, si volga alla ricerca di regole operative tenendo in considerazione gli interessi delle parti, valorizzando le circostanze fattuali, la singolarità delle operazioni economiche121 e contestualizzando la singola fattispecie122.
In secondo luogo, la natura stessa e i limiti di questo lavoro impongono di ritagliare, all’interno dell’ampia tematica degli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento, un più circoscritto spazio di indagine.
Nel precedente paragrafo si sono menzionati, sia pure per cenni, alcuni dei più accreditati orientamenti in materia di risarcimento del danno.
119 Impostazione che risente del recente fiorire di studi che, prendendo le basi dal cd. diritto contrattuale europeo, stanno dando vita ad una cultura dei rimedi quali strumenti di tutela particolarmente duttili che pongono attenzione agli effetti delle azioni. Sul punto, v. A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Europa e dir. privato, 2005, 341; X. XXXXXXXXXX, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Europa e dir. privato, 2005, 605. Cfr. altresì gli atti del recente convegno di Firenze, 30 marzo 2007, Remedies in contract – The Common rules for a European Law in corso di pubblicazione tra cui X. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Europa dir. priv., 2007, 585 ss. e X. XXXXXXXXXX, La complessità del rapporto tra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Nuova giur. civ., 2007, II, 415 ss. Cfr. anche X. XX XXXX, voce «Tutela (dir. priv.)», in Enc. dir., XLV, 1992, 367.
120 Al riguardo, v. ancora di recente l’intervento di X. XX XXXX, I contratti atipici e i
contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma?, in Riv. dir. civ., 2006, I, 345 ss. Del fenomeno si dà atto anche nei trattati: per tutti X. XXXXX, Il contratto, cit., 84.
121 Cfr. And. X’XXXXXX, Contratto e operazione economica, Torino, 1992.
122 Al riguardo X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 275 sottolinea il delicato problema dei rapporti tra disciplina generale e discipline locali.
A fronte di una tale vastità di studi del fenomeno risarcitorio, quello restitutorio non risulta sufficientemente indagato123 o, comunque, le soluzioni prospettate non sembrano ancora del tutto appaganti.
Si deve ad uno dei più attenti studiosi del tema124 la diversificazione dei compiti tra restituzione e risarcimento, sia in termini di presupposti che di finalità, e l’avvertimento circa i rischi di confusione125 e commistione126.
123 A.M. XXXXXXXXX, Xxx esegue male si tiene il compenso? La retroattività della risoluzione nei contratti professionali, cit., 518 sottolinea che la tematica restitutoria, pur collocandosi in una sorta di crocevia tra disciplina generale delle obbligazioni e profili attinenti a vicende contrattuali, è stata pressoché del tutto trascurata sia dagli studi sulla ripetizione dell’indebito che da quelli in tema di risoluzione.
124 Il riferimento è a X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., passim, in partic. 421, ove l’A. sottolinea che dall’effetto restitutorio deve rimanere al di fuori qualunque componente risarcitoria. Il tema è affrontato anche da X. XX XXXX, La tutela civile dei diritti, cit., 319 ss.
Nella letteratura francese, da ultimo, v. T. GENICON, La résolution du contrat pour inexécution, cit., 656 ss.
125 Confusioni che invece pervadono ancora le sentenze della Suprema Corte; per un esempio si veda Cass. 19.10.2000, n. 13828, in Contratti, 2001, 652 ove i giudici di legittimità, a fronte di un’azione di risoluzione di un contratto preliminare inadempiuto, hanno fatto rientrare tra le voci del risarcimento del danno, e non – come sembra corretto
- di restituzione (che, nel caso di specie, non poteva essere disposta in difetto di apposita domanda), la restituzione della caparra. L’evidenza della commistione tra effetti che conseguono alla risoluzione del contratto la si evince bene dalla stessa massima in cui si legge che la restituzione della caparra, ricollegandosi agli effetti restitutori, è comunque dovuta senza alcune necessità di prova del danno essendo il danno stesso, consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte, in re ipsa. Per un corretto inquadramento della questione v. invece Cass. 2.12.2005, n. 26232 in Nuova giur. civ., 2006, I, 1228 ove i giudici di legittimità correttamente inquadrano la restituzione di una somma conferita a titolo di caparra tra gli effetti restitutori e non risarcitori. V. anche C.A. Genova, 20.10.2006, n. 1048, ined., che, correttamente ha escluso che possa qualificarsi quale voce di danno (e dunque che, a tal fine, il professionista possa ottenerne la refusione in virtù di un contratto di assicurazione per responsabilità professionale) la restituzione della somma convenuta a titolo di corrispettivo nonché X. Xxxxxx, 4.6.2007, cit., che ha escluso l’operatività dell’art. 1227 c.c. a fronte di una domanda di restituzione conseguente a risoluzione.
Un ulteriore più recente esempio di confusione - pur a fronte della scarsa rilevanza degli importi - lo si trova in Cass. 31.6.2006, n. 17458, in Danno e resp., 2007, 745 con nota di A.P. XXXXXXXXX, Xxxxxx e (non) vinci: la (ir)responsabilità dellAministrazione per effore nella stampa dei biglietti di lotteria istantanea, ove la S.C. ha riconosciuto a titolo di risarcimento
Prendendo le mosse da questi studi, l’indagine che si intende svolgere ha ad oggetto, essenzialmente, le obbligazioni restitutorie e i loro aspetti funzionali.
Prima di esaminare più da vicino le restituzioni, è però necessario identificare la fonte di questa obbligazione; a questo è argomento è dedicato il prossimo capitolo.
del danno un importo «pari al costo di un biglietto» di lotteria istantanea risultato erroneamente stampato di cui, a fronte della domanda di risoluzione, avrebbe al più potuto disporre la restituzione.
Cfr., infine, Cass. 24.5.2007, n. 12162, ined., che, in un caso di risoluzione di un contratto di appalto, ha liquidato all’appaltatore adempiente che aveva parzialmente realizzato l’opus una somma a titolo di risarcimento del danno, anziché di restituzione.
Per ulteriori riferimenti cfr. la ricostruzione di X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit. 180, ove l’A. evidenzia come fosse frequente nella giurisprudenza meno recente il riferimento all’azione di restituzione quale strumento finalizzato al ripristino dello status quo.
126 X. XXXXXXXXXX, Ritornare a Parmenide? È consigliabile, piuttosto, ripartire dalle
«Institutiones», in Riv. critica dir. privato, 2000, 435 propone una lettura dell’obbligazione restitutoria che presuppone perfetta identità tra quanto ricevuto e l’oggetto che si restituisce. Secondo l’A., il pagamento di una somma di denaro, non (ri)attribuendo lo stesso bene in idem corpus, non sarebbe - a rigore - vera restituzione; in altre parole, il denaro rappresenterebbe non l’oggetto diretto dello scambio, ma bensì «la misura dell’utilità che io ho ricevuto e di cui l’altro soggetto si è privato». Non scevra da perplessità anche la recentissima ricostruzione di X. XXXXX, in X. XXXXX – X. XXXXXXXX -
X. XXXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, Artt. 1455-1459 c.c., cit., 112 ove l’A. definisce come risarcitoria (e non restitutoria) l’obbligazione a carico della parte inadempiente scaturente dal ripristino retroattivo della rispettiva posizione; medesime perplessità, ma limitate al singolo aspetto del perimento della prestazione oggetto di restituzione, in X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 674, ove l’A. afferma che ove la prestazione da restituire sia perita, il contraente sarà tenuto al «risarcimento del valore equivalente». Da ultimo, v. anche X. XXXXXX, Il concorso dei rimedi restitutori con quello risarcitorio (e il problema dell’arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto), in Riv. critica dir. privato, 2008, 67 ove l’A. afferma (71) «la rispettiva funzionalità dei due rimedi sembra incrociarsi: il valore della prestazione che risulti indebita perché eseguita in adempimento di un contratto caducato, in particolare, può essere presentato - quando il solvens non trovi tutela sul piano petitorio, e in particolare quando il pagamento abbia ad oggetto una somma di denaro - come voce di danno emergente conseguente all’illecito che ha comportato la caducazione».
CAPITOLO SECONDO
RIPETIZIONE DELL’INDEBITO E ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA QUALI FONTI DELLE OBBLIGAZIONI RESTITUTORIE DI DARE E FARE?
SOMMARIO: 1. Il problema. – 2. La ripetizione dell’indebito quale fonte delle obbligazioni restitutorie di dare e fare. - 3. La tesi prevalente è debole? L’insufficienza dell’argomento letterale. - 4. Segue. L’art. 1463 c.c.: «rinvio normativo» o «mero richiamo» al principio causalistico? - 5. Il difficile rapporto tra ripetizione dell’indebito e risoluzione nell’individuazione dello stato di buona o mala fede dell’accipiens. - 6. Segue. Gli «adattamenti» proposti nelle elaborazioni di dottrina e giurisprudenza. - 7. Ancora sulle contraddizioni del rapporto tra ripetizione dell’indebito e risoluzione per inadempimento. - 8. Ripetizione dell’indebito e arricchimento senza causa quali fonti (rispettivamente) delle obbligazioni restitutorie di dare e fare. – 9. Segue. Punti di criticità: sussidiarietà dell’azione ed indennizzo. - 10. Spunti conclusivi.
1. Il problema
Ragionare in termini di fonte127 delle obbligazioni restitutorie derivanti dal venir meno del vincolo contrattuale significa, secondo l’indicazione sistematica dell’art. 1173 c.c., indagare sull’atto o fatto idoneo a costituire titolo delle restituzioni in conformità all’ordinamento giuridico; e, nella prospettiva della ricostruzione del regime, significa identificare il fondamento giuridico di tali obbligazioni dal quale
127 Cfr. C.A. XXXXXXX, Le obbligazioni in generale, in Trattato di diritto privato, diretto da
X. Xxxxxxxx, IX, Obbligazioni e contratti, 1, Torino, 1999, 5 ss.
Per un interessante valutazione del ruolo delle fonti svolta sulle diverse funzioni cui assolvono le obbligazioni si veda A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, Art. 1173 – 1176, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 1988, 245.
desumere le regole operative per la risoluzione delle complesse problematiche che – in questo ambito - il diritto applicato pone.
La dottrina ha concordemente identificato la fonte testuale delle obbligazioni restitutorie derivanti da risoluzione del contratto nello stesso rimedio contrattuale, e più precisamente nell’art. 1458 c.c. 128
Ponendoci da un punto di vista sostanziale, ovvero di identificazione della disciplina delle restituzioni, il discorso si fa più complesso.
È utile anticipare sin d’ora che le soluzioni adottate in altri ordinamenti129 e le recenti esperienze del diritto uniforme dei contratti130
128 U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, Milano, 1974, 250, secondo cui la fonte delle obbligazioni restitutorie consiste nella «difettosa esecuzione di una rapporto precedente».
X. XXXXXXXX, voce Ripetizione dell’indebito, in Noviss. dig. it., XV, Torino, 1968, 1224 ed X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., in Comm. Scialoja Branca, Bologna Roma, 1981, 84, nota 5 affermano che all’art. 1463 c.c. è in realtà «estranea» la qualifica dell’indebito come fonte di obbligazione, dovendosi intendere il riferimento alle mere «modalità» dell’azione di ripetizione. Relativamente alle obbligazioni restitutorie da contratto nullo, v. X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, Milano, 1999, 6.
129 Il punto sarà oggetto di trattazione nei parr. 8 e 9 del Capitolo 4. Per uno sguardo immediato alle diverse esperienze continentali, si rinvia ad A. DI MAJO, Restituzioni e responsabilità nelle obbligazioni e nei contratti, in Riv. critica dir. privato, 1994, 291 ss. e X. XXXXX, Obbligazioni restitutorie e teoria del saldo, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxx, III, 2, Milano, 1998, 385 ss. Da ultimo v. X. XXXXXXX, Caducazione degli effetti del contratto e pretese di restituzione, in Riv. dir. civ., 2007, 450 ss.; ID., Verso il recupero dei «quasi contratti»? (Le obbligazioni restitutorie dal contratto ai «quasi contratti»), in Valore della persona e giustizia contrattuale. Scritti in onore di Xxxxxxx Xx Xxxxx, Milano, 2005, 192 il quale affronta, nel panorama europeo, i diversi modelli di restituzione. Per ulteriori approfondimenti si veda, su tutti, X. XXXXX, I rimedi restitutori in diritto comparato, in Trattato di diritto comparato, diretto da X. Xxxxx, Torino, 1997 ove amplia bibliografia straniera.
130 Cfr. art. 7.3.6, Principi dei contratti commerciali internazionali elaborati dall’Istituto
Unidroit (pubblicati in M.J. BONELL, Un codice internazionale del diritto dei contratti. I Principi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, Milano, 2006); artt. 9.307; 9.308;
9.309 Principi di diritto europeo dei contratti elaborati dalla Commissione di Diritto Europeo dei Contratti presieduta da Xxx Xxxxx (pubblicati in X. XXXXXXXXXX, Principi di diritto europeo dei contratti, Milano, 2001). Per gli opportuni approfondimento x. xxx. 0, Xxxxxxxx 0.
dimostrano che, in astratto, un legislatore potrebbe prevedere che fonte sostanziale delle restituzioni sia (i) il contratto stesso, (ii) lo squilibrio determinato dalla esecuzione delle singole prestazioni non più dovute, piuttosto che (iii) lo stesso rimedio risolutorio; di conseguenza, le restituzioni potrebbero presentarsi come obbligazioni indipendenti ovvero contrattuali, quest’ultime peraltro collegate da un (originario o successivo) vincolo di sinallagmaticità.
L’unica norma del codice civile che, in materia di risoluzione per inadempimento, si occupa degli effetti della medesima è l’art. 1458 c.c., che, peraltro, si limita ad enunciare la formula della retroattivà tra le parti. Se questa formula ha permesso di enucleare regole, conseguenze e significati - già sinteticamente considerati nel precedente capitolo - non deve stupire che, volendo identificare una disciplina delle restituzioni, la dottrina abbia guardato altrove. In mancanza di esplicite indicazioni normative131, la maggioranza degli autori, ad oggi, ha ritenuto di dover negare autosufficienza132 al disposto dell’art. 1458 c.c. e, facendosi forte del richiamo contenuto nell’art. 1463 c.c., ha identificato nel pagamento dell’indebito e, talvolta, nell’arricchimento senza causa la disciplina delle
obbligazioni restitutorie133.
131 A. DI MAJO, Restituzioni e responsabilità nelle obbligazioni e nei contratti, cit., 292 definisce indiretti e poco significativi i rinvii contenuti negli artt. 1422 e 1463 c.c. di cui meglio infra.
132 Su tutti cfr. X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in
Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, II, Milano, 1988, 274 secondo cui non sembra consentito
«postulare che, a livello semantico, l’art. 1458 c.c. comunichi alcunché».
133 Questa, almeno, l’opinione tradizionale ad oggi maggiormente consolidata su cui meglio infra. Le difficoltà riscontrate nel rinvenire interpretazioni pienamente convincenti al tema in oggetto hanno portato alcuni autori a prendere in considerazione soluzioni diverse. Tra queste merita di essere segnalata quella che ha indagato un possibile spazio
autonomo per la tutela petitoria. Più precisamente, ci si chiede se, venuto retroattivamente meno l’effetto reale, il solvens possa agire in rivendicazione ex art. 948
c.c. in vece e/o in alternativa all’azione ex contractu (Sul punto v. X. XXXXXXXXX, Sul concorso delle azioni di rivendicazione e di ripetizione, in Riv. dir. civ., 1976, II, 608 ss e, di recente, X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, XXX, 00, Xxxxxx, 0000, 166 ss. nonché A. ALBANESE, Il pagamento dell’indebito, Padova, 2004, 54 ss.). Al riguardo va osservato, anzitutto, che l’esercizio dell’azione di rivendicazione presuppone la titolarità della res; conseguentemente, siffatta via sembra ineluttabilmente preclusa ogniqualvolta alla risoluzione del contratto non consegua in via immediata il venir meno dell’effetto reale (si pensi alle fattispecie di restituzione di una somma di denaro, di una certa quantità di cose generiche o di cose che devono essere trasportate da un luogo ad un altro). Inoltre, nelle ipotesi in cui l’azione petitoria non risulta di per sé già inammissibile (come nel caso in cui la rivendicazione abbia ad oggetto un determinato bene immobile), esistono problematiche di ordine probatorio (su cui U. BRECCIA, voce Indebito (ripetizione dell’), in Enc. giur., XVI, Roma, 1989, 8) che non sembrano facilmente superabili: pare, infatti, possa legittimamente dubitarsi che la finzione di retroattività sia in grado di cancellare il precedente legittimo possesso dell’accipiens, così da permettere al tradens di sommare, ai fini del calcolo del termine dell’usucapione, il proprio possesso con quello del precedente titolare, in base al criterio dell’accessione.
Altri autori hanno, invece, proposto regimi speciali. Essi giustificano questa ricerca
osservando come la soluzione dei problemi relativi agli spostamenti patrimoniali sine causa sulla base delle singole azioni tipiche sia «metodo insufficiente … non potendo esso soddisfare al bisogno di tutela contro tutte le forme di arricchimento ingiustificato» (cfr.
A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2003, 325). Secondo quest’ultimo autore (352) le restituzioni da caducazione contrattuale avrebbero la forma di «obbligazioni (e azioni) contrattuali governate dunque dai principi del contratto (ad es. da quello di corrispettività)». Nello stesso senso v. anche X. XXXXX, I rimedi restitutori in diritto comparato, cit., 241 e ID., Obbligazioni restitutorie e teoria del saldo, cit., 385 ss. (ove l’A. riprende e sviluppa le argomentazioni già svolte in Id., Arricchimento senza causa e quasi contratti (i rimedi restitutori), in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 1996, 151 ss.); per una proposta in ottica contrattuale cfr. amplius Capitoli 3 e 4. Per un recente – ed assai contestabile – applicazione cfr. T. Roma, 1.7.2004, in Xxxxx e resp., 2005, 517, con nota di A.M. XXXXXXXXX, Xxx esegue male si tiene il compenso? La retroattività della risoluzione nei contratti professionali, il quale si pone sostanzialmente in linea con la tesi contrattualistica laddove (523) afferma che le obbligazioni restitutorie «devono risentire, in una certa misura, dell’ambiente negoziale in cui erano state eseguite le prestazioni di cui si chiede la ripetizione». Contra v. X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, in Il contratto inadempiuto. Realtà e tradizione nel diritto contrattuale europeo, a cura di
X. Xxxxx, Torino, 1999, 212, nota 11 (saggio pubblicato anche in Eur. dir. priv., 1999, 793 ss.
sotto il titolo La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano) e U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 250 secondo cui la restitutio ha carattere «extracontrattuale» non essendo, come invece avviene per l’obbligazione di risarcimento, trasformazione del rapporto originario; solo attraverso una «finzione concettuale» (252) si potrebbe affermare che l’atto contenga una previsione dell’effetto restitutorio. Nello stesso senso anche X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 140 e 142 secondo cui, pertanto, il titolo non è mai rappresentato dal contratto, trattandosi di un’autonoma causa di obbligazione. L’A. sottolinea, infatti, che il
2. La ripetizione dell’indebito quale fonte delle obbligazioni restitutorie di dare e fare
Dalla lettura delle norme che il codice dedica ai rimedi contrattuali emerge che il legislatore non ha disciplinato in maniera organica il tema degli effetti restitutori delle impugnazioni; fatta eccezione per alcune regole dettate in materia di compravendita134, il settore delle restituzioni da contratto si rivela privo di sistematicità, difettando sia una disciplina generale, quanto una specifica per singolo rimedio.
Gli unici dati testuali che – nella disciplina del contratto in genere – possono offrire spunti per uno studio della materia sono rispettivamente contenuti negli artt. 1422, 1443 e 1463 c.c. Tra questi gli interpreti135 hanno valorizzato le disposizioni in materia di imprescrittibilità dell’azione di nullità (art. 1422 c.c.) e di impossibilità sopravvenuta totale (art. 1463 c.c.), nella parte in cui, pur con formule diverse, richiamano le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
La lettura combinata di queste regole ha fondato il principio, sovente richiamato e ribadito in giurisprudenza, per cui ogni qual volta nell’ambito di un rapporto contrattuale venga acclarata la mancanza ab
xxxxxxx «non chiede la restituzione in forza ed in conformità del rapporto giuridico preesistente, ma in opposizione a questo».
134 In particolare v. artt. 1479, 1480, 1483 e 1493 c.c.; su quest’ultima disposizione x. xxxxxx xxxxx Xxxxxxxx 0.
135 Tra i primi in dottrina X. XXXXXXXXX, voce Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 115, U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236 ss. nonché ID., voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 4; X. XXXXXXX, voce Indebito (pagamento dell’), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 83 ss. poi ripreso ed ampliato in X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 x.x., xxx., 00 xx.
xxxxxx x xxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxx acquirendi - e dunque tanto nel caso di nullità, annullamento, rescissione o risoluzione, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venire meno un vincolo originariamente esistente - l’azione accordata dall’ordinamento per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto è quella di ripetizione di indebito oggettivo136.
In dottrina non mancano voci a sostegno di questa ricostruzione137.
Secondo alcuni138, infatti, l’art. 2033 c.c. costituirebbe un vero e proprio «punto di riferimento comune» capace di «abbracciare» i diversi casi in cui una prestazione risulti non sorretta da una valida causa di attribuzione139; in altri termini, tale norma andrebbe interpretata quale
136 Da ultimo, x. Xxxx. 12.12.2005, n. 27334, ined.; Cass. 1.7.2005, n. 14084, in Rep. Foro it., 2005, voce Indebito, n. 5; Cass. 19.7.2004, n. 13357, in Rep. Foro it., 2004, voce Indebito, n. 14; Cass. 4.2.2000, in Rep. Foro it., 2000, voce Indebito, n. 3.
137 Cfr. X. XXXXXXXXX, voce Interessi, cit., 115; U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236 ss.; X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 61 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 290; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in Il diritto nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, I contratti in generale, XIII, Torino, 2000, 181.; X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, Milano, 1999, 31-76; ALBANESE, Il pagamento dell’indebito, Padova, 419 ss; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1459, in Il codice civile. Commentario, fondato e diretto da X. Xxxxxxxxxxx, continuato da F.D. Busnelli, Milano, 2007, 674.
Isolate invece, almeno fino alla fine degli anni ottanta, le voci contrarie: cfr. X. XXXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, Padova, 1961, 70 secondo cui l’ambito di applicazione della condictio andrebbe circoscritto alle sole ipotesi di pagamento non dovuto intercorso tra soggetti che non siano mai stati in rapporto tra di loro. Sul punto v. anche P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti tra negozio e giusta causa dell’attribuzione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1965, 32 nonché X. XXXXXXX, Il pagamento con cose altrui, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, 495. Per un’indicazione dei più recenti contributi che sviluppano un’idea critica v. nota 193.
138 X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 -
2042 c.c., cit., 119. Sulla medesima linea cfr. X. XXXXXXXXX, voce Interessi, cit., 115; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 290; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 181 ss.
139 Nuovamente X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 119 secondo cui rientrerebbero nell’ambito di applicazione
«clausola generale»140 cui riferirsi in ogni ipotesi in cui non sia mai esistita, o venga a mancare successivamente, la ragione giustificativa dello spostamento patrimoniale.
Altri autori141, che prendono atto della visione giurisprudenziale dell’indebito quale «polo normativo»142 al quale farebbero capo tutte le singole pretese restitutorie, sembrano, invece, esprimersi in termini maggiormente dubitativi, o comunque problematici, laddove cautelativamente affermano che l’espressione generica dell’art. 2033 c.c.
«non esclude» di per sé un’«interpretazione ampia», comprensiva delle ipotesi in cui l’attribuzione patrimoniale venga successivamente privata dell’originario fondamento143.
Calandoci ora nel più circoscritto tema degli effetti restitutori nella risoluzione del contratto, possiamo, pertanto, segnalare una prima
dell’art. 2033 c.c. sia le ipotesi di inesistenza originaria della causa solvendi (nullità) sia quelle di mancanza sopravvenuta (annullamento, rescissione, risoluzione). Altrove (89, e già ID., voce Indebito (pagamento dell’), cit., 85) l’A. propone una lettura onnicomprensiva dell’art. 2033 c.c. che prescinde dalla natura privatistica del rapporto obbligatorio.
140 Sempre X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt.
2028 - 2042 c.c., cit., 119, ove v. anche nota 6 per l’ampia ricostruzione casistica.
141 U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236 ss., tesi ripresa anche in ID., voce
Indebito (ripetizione dell’), cit., 3.
142 Così U. BRECCIA, voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 3 nonché ID., Il pagamento dell’indebito, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, IX, Obbligazioni e contratti, 1, Torino, 1999, 932.
143 Nuovamente U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236-237, il quale sin dall’Introduzione (18) si pone in termini dubitativi ed avverte la necessità di segnalare che la disciplina dell’indebito, apparentemente unitaria, «potrebbe presentare aspetti strutturali diversi a seconda che in origine esista o meno una (valida) causa giustificativa del vincolo». L’A., sviluppando il discorso con particolare riferimento alle ipotesi di difetto sopravvenuto della causa, pone (241-242) due domande fondamentali: (i) «se in sede di individuazione della disciplina dell’obbligazione restitutoria sia consentito un rinvio all’istituto della ripetizione dell’indebito» e, in caso positivo, (ii) «se la normativa dell’indebito […] possa considerarsi operante automaticamente, ovvero debba subordinarsi ad un’attenta considerazione della peculiare dinamica funzionale dei singoli istituti di volta in volta contemplati».
corrente interpretativa144 secondo la quale, venuto meno con effetto retroattivo il rapporto contrattuale tra le parti, le restituzioni sono governate, in virtù del richiamo testuale contenuto nell’art. 1463 c.c., dalle norme relative alla ripetizione dell’indebito. La retroattività avrebbe la funzione di rimuovere alla radice il contratto, lasciando in essere le sole prestazioni (eventualmente) eseguite che, non più giustificate, sarebbero dunque ripetibili.
A questo riguardo pare opportuno accennare ad un ultimo profilo e chiarire il significato da attribuire al vocabolo «pagamento», su cui si basa l’intero sistema restitutorio dell’art. 2033 c.c.
Secondo la corrente dottrinaria da ultimo richiamata, con il termine
«pagamento» il legislatore ha voluto, pur con espressione atecnica, utilizzare un sinonimo di «adempimento», e non limitare il campo di applicazione alle sole obbligazioni pecuniarie145; l’art. 2033 c.c. sarebbe
144 Corrente interpretativa in cui rientrano, pur con le diversità precisate, X. XXXXXXXXX, voce Interessi, cit., 115; U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236 ss.; X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 61 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 290; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 181 ss.; X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, cit., 1999, 31-76; ALBANESE, Il pagamento dell’indebito, cit., 419 ss; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1459, cit., 674.
145 Così X. XXXXXX, voce Adempimento, in Enc. dir., I, 1957, 554 che propende per la
«totale equiparazione» tra i termini pagamento e adempimento; A. DI MAJO, voce Pagamento, in Enc. dir., XXXI, 1981, 548; nonché U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 39 ss. ove l’A. ritiene «seriamente discutibile» che il legislatore con tale espressione abbia voluto designare una figura distinta dall’adempimento (opinione ripresa nella voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 2, nella voce Ripetizione dell’indebito. L’arricchimento che deriva da una prestazione altrui, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVIII, Torino, 1998, 1, nonché in ID., Il pagamento dell’indebito, cit., 929) e che (43), in ogni caso, prima di ragionare sulla eventuale applicazione di istituti diversi, andrebbe comunque verificata la possibilità di un’applicazione estensiva dell’istituto dell’indebito. Nello stesso senso v. anche X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 155 ss.
dunque capace di fondare la ripetizione non solamente di somme di denaro ma di ogni prestazione non più sorretta da una causa giustificatrice146.
In sintesi, secondo questa prima interpretazione, le regole sulla ripetizione dell’indebito sono fonte normativa di tutte le restituzioni da caducazione del contratto, essendo in grado di ristabilire lo squilibrio determinato dalla esecuzione di prestazioni non più dovute, quale che sia la natura della prestazione.
Gli elementi che, secondo la dottrina, devono indurre a ritenere che la condictio indebiti
non si riferisca alle sole prestazioni pecuniarie sono molteplici: anzitutto l’art. 2033, c. 2,
c.c. fa riferimento ai «frutti» implicitamente estendendo la portata della norma alle prestazioni di dare in genere (cfr. X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 187). Ulteriori indici si ricavano dagli artt. 2034 e 2035 c.c. ove il legislatore si esprime genericamente in termini di ripetizione della «prestazione» (questa considerazione induce X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 x.x., xxx., 000 xx. x xxxxxxxxx che anche le prestazioni di fare sono comprese). U. BRECCIA, voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 2 (così anche ID., Il pagamento dell’indebito, cit., 930) sottolinea peraltro che in quasi tutti i casi in cui l’oggetto dell’istanza restitutoria sia costituito da un facere, «per una necessità prima ancora logica che giuridica» l’oggetto della pretesa è costituito da un indennizzo. A giudizio dell’A., xxxxxxxxx, un interpretazione di carattere sistematico suggerisce di non trascurare l’esigenza primaria di assicurare al solvens «una tutela tendenzialmente uniforme per tutte le ipotesi di prestazione non dovuta» (E. XXXXXXX, in L. ARU – E. MOSCATI – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 168 aggiunge che se la ratio dell’istituto è quella di rimuovere uno spostamento patrimoniale ingiustificato «l’elemento diversificatore … non può dipendere dal contenuto della prestazione»).
In giurisprudenza, v. tra le altre Cass. 2.4.1982, n. 2029, in Dir. giur., 1985, 802 con nota
di Selvaggi secondo cui nel termine pagamento deve comprendersi non solo la corresponsione di una somma di denaro, ma anche l’effettuazione di ogni prestazione derivante da un vincolo obbligatorio che risulti a posteriori non dovuto. Sussiste pertanto una sostanziale coincidenza dell’oggetto della condictio sia che l’obbligazione da cui deriva l’indebito abbia per oggetto un dare, sia che abbia per oggetto un facere.
Contra, X. XXXXXXXX, voce Ripetizione dell’indebito, cit., 1226, il cui pensiero è stato di recente ripreso da X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 231, secondo cui il nostro legislatore è rimasto fermo ad una concezione della condictio orientata alla cosa e perciò limitata alle prestazioni indebite di dare. In senso contrario v. anche gli autori citati alla successiva nota 224.
146 Così U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 42. Il problema, come si avrà modo di specificare infra, investe in maniera significativa le prestazioni di fare e quelle a contenuto negativo.
3. La tesi prevalente è debole? L’insufficienza dell’argomento letterale
È giunto il momento di chiedersi se la tesi che domina in dottrina ha davvero un solido fondamento. I suoi sostenitori, che vedono nella ripetizione dell’indebito la fonte delle obbligazioni restitutorie conseguenti a risoluzione del contratto, non sembrano aver dato adeguato conto degli argomenti a sostegno di questa interpretazione; per alcuni, il collegamento tra risoluzione e ripetizione sarebbe, infatti, a tal punto evidente, da non rendere neppure necessaria una verifica147.
L’argomento principale su cui si basa l’intero impianto è, in ogni caso, quello - più volte ricordato - del rinvio contenuto nell’art. 1463 c.c.148
Partendo da questo dato letterale, in dottrina è stato osservato che ogni qualvolta il legislatore ha fatto puntuale riferimento ad un’obbligazione restitutoria conseguente ad un’impugnativa contrattuale ha richiamato la disciplina della ripetizione dell’indebito149; ciò potrebbe far supporre che il legislatore abbia presupposto il medesimo richiamo
147 Cfr., ad esempio, X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, II, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 2004, 671; contra X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 247 nota 3 sostiene la ben diversa conclusione per cui la locuzione di retroattività «non può avere il compito di dare ingresso alla normativa della ripetizione dell’indebito».
148 Tra gli altri, U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236 ss.; X. XXXXXXX, in L. ARU
– X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 144 ss. Di recente, v. X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 694 s. secondo cui il rinvio alla disciplina dell’indebito contenuto nell’art. 1463 c.c. sarebbe applicabile, in via analogica, alla risoluzione per inadempimento poiché all’impossibilità indicata nell’art. 1463 c.c. corrisponderebbe l’impedimento dell’art. 1453 x.x. xx xxxxxxx xxxxxxx.
000 X. XXXXXXX, xxxx Indebito (ripetizione dell’), cit., 4 nonché ID., Il pagamento dell’indebito, cit., 936.
anche nei casi non espressamente previsti150. Diversamente, ove la regola contenuta nell’art. 1463 c.c. non fosse riferibile anche alle altre cause generali di risoluzione, risultando così «norma isolata», la stessa – secondo alcuni - «perderebbe qualsiasi senso»151.
Il legislatore avrebbe, dunque, utilizzato talvolta la formula ellittica della retroattività (art. 1458 c.c.), talaltra quella esplicita e non equivoca del rinvio alla disciplina dell’indebito (art. 1463 c.c.)152. In entrambi i casi le norme sulla ripetizione costituiscono il sostrato su cui ricostruire la disciplina delle obbligazioni restitutorie, non potendo attribuirsi valore alla considerazione secondo cui l’art. 2033 c.c. opererebbe nella sola ipotesi di solutio ab initio non giustificata153, posto che, una volta accertato che l’obbligazione non sussiste, poco importa che la prestazione sia diretta a dare adempimento ad un contratto ovvero si presenti quale autonoma ed indebita attribuzione patrimoniale154.
150 Così testualmente U. BRECCIA, voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 4 nonché ID., Il pagamento dell’indebito, cit., 932.
151 Nuovamente U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 242. Contra X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 247 secondo cui una simile interpretazione finisce con rimettere al lettore «l’ingrato compito di individuare le ragioni che avrebbero indotto il legislatore ad utilizzare due diversi enunciati (art. 1458: retroattività; art. 1463: rinvio alla disciplina dell’indebito) per dettare un’identica regola e a privilegiare poi, ai fini degli effetti della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, dinanzi al ben più chiaro enunciato dell’art. 1463 c.c., quello certamente più oscuro dell’art. 1458 c.c. (l’art. 1467, c. 1, x.x. xxxxxx, appunto, all’art. 1458 e non all’art. 1463 c.c.)».
152 Sempre U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 243. Gli argomenti su cui si basa
questa ricostruzione sono dunque quello letterale (il più volte citato rinvio contenuto nell’art. 1463 c.c.), quello sistematico (il riferimento all’art. 1422 c.c.) e quello logico (una diversa soluzione sarebbe priva di senso). Contra X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 247 e, in partic., 320 ss.
153 Come, invece, sostiene X. XXXXXXX, Il pagamento con cose altrui, cit., 495.
154 Così X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 149 secondo cui non è giustificabile una contrapposizione sulla base
Queste argomentazioni non si sottraggono a profili di (quantomeno parziali) criticità.
In primo luogo, può ben dubitarsi che il riferimento dell’art. 1422
c.c. alle «azioni di ripetizione» sia da leggere come rinvio all’istituto della ripetizione dell’indebito155. Come avremo modo di vedere oltre, nel codice sono più volte menzionate ipotesi di «ripetizione», senza che sia espresso il richiamo alla disciplina contenuta negli artt. 2033 e ss. c.c. 156
In secondo luogo, il disposto dell’art. 1443 c.c. dimostra che il collegamento tra disciplina delle impugnazioni e pagamento dell’indebito non è affatto scontato: posto che quest’ultima disposizione detta la disciplina a cui rifarsi ogni qualvolta esistono esigenze di restituzione contro un contraente incapace, è legittimo interrogarsi sul perché il legislatore abbia avvertito la necessità di riproporre nell’art. 1443 c.c. una norma speculare a quella (già) prevista nell’art. 2039 c.c.
Continua, inoltre, a rimanere senza risposta157 l’interrogativo se il richiamo contenuto nell’art. 1463 c.c., norma che disciplina una particolare ipotesi di risoluzione – quella per impossibilità sopravvenuta – possa ritenersi applicabile anche alla risoluzione per inadempimento, o se,
dell’origine negoziale, o non, della pretesa del solvens, difettando – al riguardo – una ratio
su cui ricostruire una diversificazione.
155 In altri termini se di rinvio si tratta lo stesso è implicito. Sul punto v. però X. XXXXXXX, L’interpretazione della legge, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, I, 2, Milano, 1987, 138 il quale ritiene che la presunzione a favore della costanza terminologica operi soltanto all’interno del singolo settore disciplinare.
156 Si pensi, a mero titolo di esempio, all’art. 196 c.c. in materia di diritto di famiglia o all’art. 627 x.x. xx xxxxxxx xxxxxxxxxxx.
000 Xx pone il problema U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 243.
invece, non si riveli arbitrario supporre che tale riferimento sia generalizzabile158.
Esistono, in altre parole, dubbi e perplessità messi in luce dalla stessa dottrina maggioritaria senza che siano stati dissipati; a dispetto di ciò, e non senza qualche contraddittorietà, il riferimento contenuto nell’art. 1463 c.c. all’istituto della condictio indebiti è stato letto come indice sufficiente per creare un collegamento tra risoluzione e ripetizione.
Che questo rinvio non possa (come, invece, si sostiene) da solo costituire le basi di questo ragionamento, è reso ben evidente dalla considerazione di una norma di grande rilievo in materia, della quale non sembrano essere state adeguatamente indagate le implicazioni ai fini che qui rilevano: il riferimento è all’art. 1189 c.c., ovvero all’unica disposizione che, oltre al più volte ricordato art. 1463 c.c., richiama in modo (apparentemente) diretto la disciplina della condictio.
Le regole sull’adempimento dell’obbligazione prevedono che il pagamento deve essere fatto al creditore, al suo rappresentante ovvero ad un soggetto indicato dall’interessato o autorizzato dalla legge. L’art. 1189
c.c. dispone al riguardo che il debitore che esegue un pagamento a chi, in base a circostanze univoche, appare legittimato, è liberato se prova di
158 Secondo P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti tra negozio e giusta causa dell’attribuzione, cit., 42-43 la diversa formulazione della disposizione in materia di risoluzione per impossibilità sopravvenuta assume un senso in quanto ipotesi di risoluzione di diritto; l’A. precisa, infatti, che il pagamento è, al momento dell’esecuzione,
«sicuramente dovuto» e che la qualifica di indebito «si può riferire soltanto all’attribuzione». In altri termini, «indebita, ingiustificata, sarà la ritenzione dell’acquisto da parte dell’altro contraente, nonostante che il trasferimento sia stato prodotto da una fattispecie perfettamente valida ed efficace». Cfr. anche X. XXXXXXXXX, Lesione del potere di disposizione e arricchimento, Milano, 1998,
essere in buona fede. Se, da una parte, la tutela dell’affidamento determina la liberazione del solvens (comma 1), dall’altra, esigenze di giusta causa dell’attribuzione fanno sì che l’accipiens sia tenuto alla restituzione verso il vero creditore «secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito» (comma 2).
Questo spunto si rivela assai utile perché, come ha avuto modo di mostrare la dottrina159, a dispetto dell’esplicito rinvio che l’art. 1189 x.x. xxxxxxxx xxxx xxxx. 0000 x xx. x.x., xx xxxx creditore non spetta una condictio in senso tecnico: mentre il solvens ex indebito agisce in forza di un titolo che gli deriva dall’aver eseguito una prestazione non dovuta, il vero creditore può agire sulla base di un titolo preesistente nei confronti di un soggetto diverso dall’accipiens.
In altre parole, pur in presenza di un espresso riferimento, l’art. 1189 c.c. non fonda un’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c., la quale in quanto rimedio di natura personale non può essere concessa ad un soggetto rimasto estraneo alla fattispecie solutoria, talché il richiamo all’azione di ripetizione sembra soltanto implicare l’assunzione di questo elemento ad «archetipo» su cui è modellato il rimedio a favore del creditore160.
159 Tra gli altri si rinvia allo studio di X. XXXXXXX, Indebito soggettivo e attuazione del rapporto obbligatorio, in Riv. dir. civ., 1974, I, 72 ss., in particolare 104. Tale interpretazione risulta già sviluppata in ID., voce Indebito (pagamento dell’), cit., 88-89 ed è stata successivamente ripresa in X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 146, nota 8. Sul punto v. anche U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 287.
160 Così X. XXXXXXX, voce Indebito (pagamento dell’), cit., 89.
Alla base di questo ragionamento sembra porsi la seguente condivisibile opinione: l’esistenza di un richiamo non può, in quanto tale, impedire all’interprete di superare l’argomento letterale. In tal senso, dunque, il riferimento testuale alla disciplina dell’indebito contenuto nell’art. 1189 c.c. deve essere interpretato in senso atecnico161.
Appare allora singolare che quegli stessi autori che hanno rifiutato un’esegesi testuale dell’art. 1189 c.c., abbiano poi posto a principale fondamento della loro interpretazione dell’art. 1463 c.c. l’argomento letterale; posto che le due norme menzionate risultano le sole nel panorama codicistico a richiamare expressis verbis le regole sulla ripetizione dell’indebito, non pare persuasiva la scelta di negare, talvolta, rilevanza al mero dato letterale per correggerne la portata (così, almeno, nel caso dell’art. 1189 c.c.), e quella di porre, talaltra (come nell’ipotesi dell’art. 1463 c.c.), a fondamento di un complesso ragionamento giuridico lo stesso mero argomento letterale.
Se dunque il richiamo che l’art. 1189, c. 2, c.c. fa alla disciplina dell’indebito (unico altro caso, oltre all’art. 1463 c.c.) viene ritenuto richiamo «non tecnico»162, ne deriva, quale conseguenza naturale e logica, che per affermare un legame normativo tra risoluzione e ripetizione, non basti un mero richiamo, come quello enunciato nell’art. 1463 c.c.
161 Ancora X. XXXXXXX, voce Indebito (pagamento dell’), cit., 89.
162 Sempre X. XXXXXXX, voce Indebito (pagamento dell’), cit., 89.
4. Segue. L’art. 1463 c.c.: «rinvio normativo» o «mero richiamo» al principio causalistico?
L’indagine può dunque spostarsi – sia pure senza pretesa di completezza – sul senso e sui significati dei «richiami», che, in più di una occasione, il legislatore codicistico utilizza come tecnica di normazione.
La teoria generale del diritto da tempo si occupa del fenomeno delle cd. metanorme163, ovvero di tutti quegli enunciati legislativi che fanno riferimento ad altri enunciati. In particolare, per quanto qui rileva, al più vasto genus delle norme su norme appartiene la species delle cd. norme di rinvio, tali intendendosi quelle disposizioni che dettano una disciplina non in maniera diretta, ma indicandola mediante il richiamo ad altre disposizioni.
Da questa diversa angolazione, ci si deve allora domandare se l’art. 1463 c.c., che certamente rientra nella categoria delle metanorme, identifichi (anche) un’ipotesi di (vera e propria) norma di rinvio.
163 X. XXXXXXXXXX, Fonti del diritto, Artt. 1-9 disp. prel., in Commentario del codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, 1977, 92 ss.; X. XXXXXXX, L’interpretazione della legge, cit., 137 ss.; X. XXXXXXXXX, Metanorma e linguaggio deontico. Un’analisi logica, in Materiali per una storia della cultura giuridica, Bologna, 1982, passim; ID., Metanorme. Rilievi su un concetto scomodo alla teoria del diritto, in P. Comanducci – R Guastini, Struttura e dinamica dei sistemi giuridici, Torino, 1996, passim; G.U. XXXXXXXX, L’atto normativo, Bologna, 1998, 175 ss.; X. XXXXXXXX, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxx, I, 2, 1998, 30 ss. e 425 ss.; X. XXXXXX, Introduzione alla legistica: l’arte di preparare le leggi, Milano, 2001, 146 ss.; X. XXXXXXXXX, Sulle definizioni legislative nel diritto privato. Fra codice e nuove leggi civili, Torino, 2004, 67 ss.
Come è stato osservato, il richiamo che una disposizione effettua ad un’altra, non può essere concettualizzato in una figura unitaria164, ma va analizzato e classificato a seconda delle funzioni che di volta in volta svolge: si ha una norma di rinvio recettizio (o materiale)165 quando la disposizione rinviante richiama una disposizione o un complesso di disposizioni determinate; si ha, invece, una norma di rinvio non recettizio (o formale) 166 quando è richiamato non un testo, bensì una fonte e quindi tutte le possibili norme da questa derivabili. In entrambi i casi, il rinvio serve ad identificare, rispettivamente nella disposizione o nella fonte, la disciplina della fattispecie167.
La scienza civilistica, che pur non sembra aver analizzato adeguatamente questo profilo168, guarda l’art. 1463 c.c. come norma di rinvio materiale169; esso andrebbe letto come se ivi fossero trascritte le norme relative alla ripetizione dell’indebito.
164 X. XXXXXXXXXX, Produzione di norme di giuridiche mediante rinvio, Milano, 1960,
passim.
165 X. XXXXXXXXXX, Fonti del diritto, Artt. 1-9 disp. prel., cit., 92 ss.; X. XXXXXXXX, Teoria e dogmatica delle fonti, cit., 426.
166 X. XXXXXXXXXX, Fonti del diritto, Artt. 1-9 disp. prel., cit., 92 ss.; X. XXXXXXXX, Teoria e dogmatica delle fonti, cit., 426.
167 La distinzione rinvio materiale/rinvio formale è strettamente legata al fenomeno della successione delle leggi nel tempo; di qui l’ulteriore denominazione della classificazione in termini di rinvio statico (quello materiale) e rinvio mobile (quello formale). Il rinvio materiale è statico in quanto comporta una sorta di incorporazione della disposizione richiamata in quella richiamante, così che le vicende della prima non si riflettono sul rinvio stesso. Il rinvio formale è, invece, dinamico poiché - al contrario – la modificazione o abrogazione della norma (contenuta nella fonte) richiamata comporta una variazione che si riflette sul rinvio stesso.
168 Emblematico il fatto che in alcuni Commentari manchi addirittura la trattazione sub
art. 1463 del rinvio alle norme sull’indebito (Cfr. ad esempio F. XXXXXXX, Dell’impossibilità sopravvenuta, Art. 1463-1466, in Il codice civile. Commentario, fondato da X. Xxxxxxxxxxx, diretto da F.D. Busnelli, Milano, 2003).
169 Cfr. X. XXXXXXX PISU, Dell’impossibilità sopravvenuta, Art. 1463-1466, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna-Roma, 2002, 132.
Le disposizioni di rinvio (siano esse o meno recettizie) non descrivono però, come dicevamo, tutte le ipotesi di richiamo tra norme. La dottrina170 afferma che esistono ipotesi in cui il legislatore non compie un rinvio ad una fonte normativa, né tantomeno ad una singola disposizione, ma, poiché la conosce e la presuppone, cita e ricollega una determinata disciplina ad un’altra, lasciando all’interprete più ampi margini di ricostruzione.
Per esempio, secondo alcuni171 nel nostro ordinamento è rinvenibile una tipologia di metanorma che si limita ad accostare due istituti, lasciando all’interprete il compito di leggere il richiamo non alla luce dell’istituto richiamato, bensì in armonia con le regole ed i precetti dell’istituto contemplato dalla norma richiamante172.
Ebbene, se leggessimo l’art. 1463 c.c. in quest’ottica, potremmo, non senza una qualche forzatura, ritenere che il collegamento che esso crea con la ripetizione dell’indebito sia non un rinvio alle singole disposizioni, o al complessivo regime, ma un mero richiamo del proprium che identifica l’istituto, ovvero – più semplicemente - del principio causalistico. Così
170 X. XXXXX, La norma interna, Milano, 1963, 165 ss. definisce questa metanorma «rinvio intraistituzionale formale». L’esistenza nel linguaggio giuridico di riferimenti «con funzione normativa» e riferimenti «senza funzione normativa» è testimoniata anche dagli artt. 52 e ss. del documento Regole e suggerimenti per la redazione dei testi normativi, redatto da un gruppo di studiosi sotto la direzione scientifica del xxxx. Xxx Xxxxxxxx, rinvenibile nella sua più recente edizione (2° ed., 2002) sul sito internet xxx.xxxxxxxxx.xxxxxxx.xxxxxxx.xx. Per le caratteristiche e l’origine del documento v. X. XXXXXXXXX, Sulle definizioni legislative nel diritto privato. Fra codice e nuove leggi civili, cit., 142, nota 60 oltre che, naturalmente, X. XXXXXXXX, Xxxxxx e suggerimenti per la redazione dei testi normativi. Presentazione, in Pol. dir., 1992, 351 ss.
171 Cfr. sempre X. XXXXX, La norma interna, cit., 165 ss.
172 Sembra attendibile che l’art. 1189 c.c., di cui meglio supra, possa ricondursi a questa categoria.
interpretato, il riferimento al pagamento dell’indebito fonderebbe la ratio
delle obbligazioni restitutorie, senza disciplinarne i singoli aspetti.
Non si possono nascondere le difficoltà che si pongono dietro una simile pur suggestiva interpretazione173; ad ogni buon conto la stessa sembra però confermare l’insufficienza di un analisi condotta su profili meramente testuali.
Se, dunque, l’art. 1463 c.c. concretizzi non un ipotesi di rinvio normativo ma di mero richiamo del principio causalistico sarà possibile dirlo una volta effettuata quella generale verifica di compatibilità sostanziale tra norma di rinvio richiamante e norma di rinvio richiamata, cui l’interprete non può sottrarsi.
5. Il difficile rapporto tra ripetizione dell’indebito e risoluzione nell’individuazione dello stato di buona o mala fede dell’accipiens
Ai sensi dell’art. 2033 c.c. «chi ha ricevuto un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato»174. Alcuni interpreti175,
173 In particolare da un punto di vista della estrema difficoltà di dimostrare che il legislatore abbia risentito nella redazione della norma in esame di una certa qual influenza ambientale che lo abbia indotto a collegare risoluzione per impossibilità sopravvenuta e ripetizione dell’indebito.
174 Per approfondimenti si rinvia, su tutti, alla monografia di U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit. ed al contributo di X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 x.x., xxx., xx xxxxxx. 000 xx.
000 X. XXXXXXXXX, xxxx Interessi, cit., 115; U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 236 ss.; X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 61 ss.; C.M. BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, cit., 290; X. XXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 181 ss.; X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e
come abbiamo visto, ritengono applicabile questa regola al più specifico tema delle obbligazioni restitutorie conseguenti al venir meno del vincolo contrattuale, in virtù del richiamo dell’art. 1463 c.c. e, quindi, ricostruiscono il significato di questo enunciato affermando che chi ha eseguito una prestazione cui era obbligato in virtù di un rapporto contrattuale poi risolto ha diritto ad ottenerne la restituzione.
Mentre la prima parte dell’articolo citato, se riferita alle restituzioni conseguenti a risoluzione del contratto, non presenta, come avremo modo di vedere, profili di incompatibilità, lo stesso non sembra, invece, potersi facilmente affermare rispetto alla seconda proposizione.
Sempre il primo comma dell’art. 2033 c.c. prevede, infatti, che il solvens avrà altresì diritto alla restituzione di frutti ed interessi da computarsi, a seconda che l’accipiens fosse in buona o mala fede, rispettivamente dal giorno della domanda giudiziale, ovvero dal giorno del pagamento. Il problema che si pone può essere espresso in maniera molto semplice: è possibile distinguere nell’accipiens uno stato di buona fede e uno stato di mala fede quando egli ricevette la prestazione (da restituire) in forza di un valido rapporto contrattuale, poi venuto meno?
Il sistema del pagamento dell’indebito vede tra le sue direttive principali176 la distinzione tra buona e mala fede soggettiva177 di colui che
restituzioni, cit., 31-76; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Artt. 1453-1459, cit., 674.
176 In questo senso X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 87 il quale precisa che solo nel caso in cui l’accipiens sia in mala fede «la realizzazione dell’interesse del solvens riacquista un’assoluta preminenza, nel senso che qui l’azione di ripetizione è diretta a ripristinare, almeno per equivalente, la situazione preesistente tra le due sfere giuridiche»; v. anche ID., Tutela della buona fede e mala fede sopravveniente nella disciplina dell’indebito, in Raccolta di scritti in
riceve la prestazione non dovuta. Se nell’art. 2033 c.c. buona e mala fede incidono sui soli accessori del diritto di credito, essendo previsto un diverso dies a quo per il computo di interessi e frutti a seconda – appunto – che l’accipiente sia a conoscenza o meno del fatto che la prestazione non è xxxxxx000, in altre norme lo stato soggettivo dell’accipiens influisce sulle vicende dell’obbligazione restitutoria in maniera ben più determinante.
memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Perugia, 1985, 306 ove l’A. precisa che la buona fede in senso soggettivo «assolve ad una funzione che può dirsi in un certo senso primaria poiché ora vale ad incidere sulla misura della restituzione, ora impedisce addirittura che venga ad esistenza una pretesa del solvens nei confronti dell’accipiens indebiti». Sul punto cfr. anche il recente contributo di X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, I Rimedi-II, a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 379 che si esprime in termini di «rilevanza decisiva» dello stato soggettivo dell’accipiens.
177 X. XXXXXXXX, voce Ripetizione dell’indebito, cit., 1233 s. definisce rispettivamente la buona e la mala fede come «l’ignoranza del fatto che il pagamento non era dovuto» e «la conoscenza dell’inesistenza dell’obbligazione». V. anche U. BRECCIA, La buona fede nel pagamento dell’indebito, in Riv. dir. civ., 1974, I, 128 e spec. 161-173.
In giurisprudenza, cfr. Cass. 9.4.2003, n. 5575, in Arch. civ., 2004, 264, secondo cui in tema di indebito oggettivo, la mala fede ex art. 2033 c.c. si sostanzia in uno stato soggettivo di conoscenza dell'insussistenza di un diritto al pagamento da parte di chi riceve l'indebito.
178 X. XXXXXXX, Tutela della buona fede e mala fede sopravveniente nella disciplina dell’indebito, cit., 317 al riguardo afferma: «se l’obbligazione restitutoria ha la sua fonte nel fatto obiettivo del pagamento dell’indebito è proprio da tale momento che dovrebbe sorgere anche il diritto ai frutti ed agli interessi, che sono in fondo gli accessori della res oggetto della prestazione non dovuta. La restituzione dei frutti e degli interessi si inquadra in un concetto in senso lato di restituzione tanto più che solo recuperando il capitale con tutti gli accessori è possibile al solvens ripristinare nella sua pienezza la situazione patrimoniale preesistente al pagamento dell’indebito». Poco oltre (318) «la discrasia tra la disciplina degli interessi nell’acceptio di buona fede ed i criteri ispiratori dell’art. 1282, 1 comma, c.c. risulta evidente».
Si pensi al disposto dell’art. 2037 c.c.179 Se l’accipiens è in buona fede, e dunque inconsapevole di ricevere una prestazione non dovuta, in caso di perimento o di deterioramento, anche per fatto proprio, della res tradita, lo stesso risponderà nei soli limiti del suo arricchimento180. Se è in mala fede, e dunque consapevole di ricevere una prestazione non dovuta, in caso di perimento, pur dipendente da caso fortuito, l’accipiens invece sarà tenuto a corrisponderne il valore; si applicherà la regola della corresponsione del valore anche in caso di deterioramento, salvo che il solvens non preferisca ottenere la restituzione del bene oltre ad un’indennità.
Anche le regole previste dall’art. 2038 c.c. partecipano della medesima struttura bipartita: mentre l’accipiens che alieni la cosa ricevuta in buona fede deve restituire il corrispettivo eventualmente ricevuto e, se l’alienazione è a titolo gratuito, è esonerato da responsabilità, l’accipiens in mala fede è obbligato a restituire la cosa in natura o a corrisponderne il valore e, se l’alienazione è a titolo gratuito, è comunque obbligato nei limiti del suo arricchimento181.
179 X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 225 ritiene le regole contenute negli artt. 2037 e 2038 (di cui infra nel testo)
c.c. «manifestazione dello stesso criterio» che informa la disciplina della condictio indebiti. ID., Tutela della buona fede e mala fede sopravveniente nella disciplina dell’indebito, cit., 310, sottolinea come la «funzione di rottura nel sistema della condictio» operata dalla buona fede si evidenzia particolarmente nell’ipotesi di cui all’art. 2037 c.c. ove la tutela della buona fede «si manifesta attraverso l’esonero dell’accipiens indebiti da ogni responsabilità per aver reso impossibile, in tutto o in parte, la restituzione in natura».
180 Secondo lo stesso U. BRECCIA, La buona fede nel pagamento dell’indebito, cit., 139 questa regola costituisce «deroga al sistema della responsabilità per inadempimento, come tale non estendibile ad altre ipotesi».
181 X. XXXXXXX, Tutela della buona fede e mala fede sopravveniente nella disciplina dell’indebito, cit., 314, afferma che la liberazione incondizionata dell’accipiens indebiti in caso di alienazione in buona fede «appare in contrasto con i principi sulla responsabilità per inadempimento»; in questa disposizione, infatti, la buona fede (315) «preclude qualsiasi pretesa al pagamento del valore».
In altri termini, l’analisi degli artt. 2033, 2037 e 2038 c.c.182 conferma che il modello restitutorio del pagamento dell’indebito prevede un aggravio o un alleggerimento del contenuto dell’obbligazione restitutoria a seconda che colui che ha ricevuto la prestazione sia, o meno, a conoscenza del carattere indebito della prestazione ricevuta183. Buona e mala fede soggettiva sono, dunque, riferimenti cardine da cui muovere per modulare le restituzioni.
Torniamo ora alla domanda iniziale ed interroghiamoci, utilizzando un esempio, se sia possibile attribuire lo status di accipiens in buona o mala fede alle parti di un contratto valido poi risolto.
Supponiamo che il soggetto A, dopo aver stipulato con il soggetto B un contratto preliminare con effetti anticipati, versi la prima tranche convenuta e che, contestualmente, B immetta regolarmente il promittente
182 Per completezza va osservato che la buona o mala fede rileva, per tramite del richiamo ex art. 2040 c.c., anche ai fini del rimborso di spese e miglioramenti (per approfondimenti v. X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 565 ss.).
183 Cfr. nuovamente X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 87, 227 e 469. L’opinione è ribadita in ID., Tutela della buona fede e mala fede sopravveniente nella disciplina dell’indebito, cit., 309 ove l’A., a chiare lettere, afferma che nelle ipotesi in cui viene in considerazione la buona fede «la legge non ha voluto assumere un atteggiamento neutrale». La buona fede, secondo l’A.,
«assolve ad una funzione di rottura del sistema della condictio, nel senso che attraverso la tutela della buona fede si introduce un limite a quella rigida correlazione tra pretesa del solvens ed oggetto della prestazione non dovuta, che caratterizza la ripetizione dell’indebito, distinguendola da altri rimedi restitutori, prima tra tutti l’azione di arricchimento».
Negli stessi termini, già U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 263 (argomentazione riproposta in ID., voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 7) nonché ID., La buona fede nel pagamento dell’indebito, cit., 161, ove l’A. evidenzia il «ruolo peculiare che la buona e la mala fede dell’accipiens svolgono nel senso di offrire una precisa dimensione al rapporto di cui è titolare il soggetto passivo della condictio e talvolta, quando quest’ultimo sia in buona fede, finanche nel senso di escludere la responsabilità (o comunque di limitarla all’arricchimento)».
acquirente nel godimento dell’immobile. Avviene, non di rado e per i più svariati motivi, che, prima della stipula del definitivo, una delle due parti si renda gravemente inadempiente costringendo l’altra ad agire per ottenere la risoluzione del contratto.
Disinteressiamoci di quale sia il contraente fedele, quale l’inadempiente e, in ottica puramente restitutoria, focalizziamo la nostra attenzione sul loro stato soggettivo184.
Abbiamo definito in mala fede il soggetto che riceva una prestazione, consapevole che la stessa non è dovuta. Nel nostro esempio sia A che B non sono in mala fede: entrambi ricevono una prestazione che ritengono dovuta, non indebita185.
Abbiamo definito in buona fede il soggetto che riceva una prestazione, ritenendo – erroneamente – che la stessa sia dovuta. Nel nostro esempio – a rigore – A e B neppure sono in buona fede186: entrambi ricevono una prestazione (non solo ritenuta ma) effettivamente dovuta.
184 U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 262 ss. conduce un’analisi dettagliata. Secondo l’A. (263) la condizione di buona e mala fede non può essere valutata con riferimento al momento in cui la solutio è stata eseguita. La fictio della retroattività non sarebbe, infatti, utilizzabile per accertare un dato di fatto, qual è la condizione psicologica delle parti. Al tempo stesso è però arbitrario (264) attribuire rilevanza, in difetto di dati normativi in tal senso, ad altri momenti quale quello in cui l’accipiens ha cognizione «del maturare dei presupposti».
185 Secondo X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, cit., 697 è ipotizzabile una situazione di mala fede soggettiva e (al tempo stesso) oggettiva nel caso di un contraente che, ricevuta una prestazione inesatta, la consumi o la trasferisca a terzi e, contestualmente, agisca per ottenere la risoluzione del contratto.
186 In questo senso v. X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 217; Secondo X. XXXXX, Contributo allo studio dei rapporti tra azioni di caducazione contrattuale e ripetizione dell’indebito, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1987, 181 una simile interpretazione condurrebbe a risultati «aberranti». In giurisprudenza per analoghe considerazioni v. X. Xxxxxx, 6.10.1998, in Riv. dir. civ., 2000, II, 529 (s.m.).
Siffatta ricostruzione è in contrasto con l’idea maggiormente condivisa in dottrina; cfr., da ultimo, X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 380 (ed ivi gli ampi ulteriori
In altre parole e fuor d’esempio, il fatto che, nel momento in cui vengono effettuate, le prestazioni siano dovute in base ad un contratto valido ed efficace induce a ritenere che non sia possibile ricostruire in termini di buona o mala fede lo stato soggettivo di colui che riceve la prestazione187. Né, peraltro, può avere senso ricercare un momento diverso dalla traditio, rispetto al quale indagare lo stato soggettivo dell’accipiens, in mancanza di una qualsivoglia indicazione codicistica188 e di una ratio che possa giustificare tale operazione.
Deve invero riconoscersi che il fulcro su cui ruota il meccanismo restitutorio proprio della restituzione di indebito è che la prestazione non dovuta sia tale nel momento in cui viene effettuata; solo rispetto ad una simile fattispecie ha senso verificare l’eventuale contrasto tra la realtà
riferimenti) il quale afferma che entrambe le parti, al ricevimento della prestazione, sono
«necessariamente in buona fede».
187 Questa considerazione trova conforto in U. BRECCIA, La buona fede nel pagamento dell’indebito, cit., 164 il quale, proprio con riferimento alle ipotesi di difetto sopravvenuto della causa solvendi, dubita che «sia consentito procedere ad una ricostruzione unitaria dell’oggetto dello stato intellettivo di buona o mala fede dell’accipiens … poiché per definizione all’atto della solutio tali presupposti non sono ancora integralmente maturati». Come abbiamo visto nel Capitolo 1, interessa la buona fede oggettiva, non quella soggettiva; sul punto cfr. X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 216, nonché X. XXXXXXXXX, Appunti sulla buona fede soggettiva con particolare riferimento all’indebito, in Riv. critica dir. privato, 1995, 265 ss., in partic. 294 e 295, che esamina buona fede soggettiva e buona fede oggettiva quali, rispettivamente, requisiti di scienza e qualificazione della condotta. Si veda altresì X. XX XXXX, La tutela civile dei diritti, cit., 350 il quale sottolinea che il regime dell’indebito sembra presupporre che tra i soggetti non sussista alcun precedente rapporto. Il che, secondo l’A., «spiega la rilevanza assegnata allo stato soggettivo (buona o mala fede) del percipiente»; se, invece, si prende in considerazione un contratto, «la posizione delle parti non può non essere neutrale e indifferente rispetto alla (successiva) caducazione di esso». Condivide, da ultimo, i segnalati profili di dubbia compatibilità anche X. XXXXXXXX, «Sinallagma rovesciato» e ripetizione dell’indebito. L’impossibilità della restitutio in integrum nella prassi
giurisprudenziale, in Riv. dir. civ., 2008, I, 102-103.
188 Su tale arbitrarietà v. già U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 264. Più di recente v. A.M. XXXXXXXXX, Xxx esegue male si tiene il compenso? La retroattività della risoluzione nei contratti professionali, cit., 522.
giuridica e realtà putativa, tra esistenza di un diritto di credito e rappresentazione soggettiva dell’accipiens189.
Se la prestazione è dovuta, e le parti sanno che è dovuta, non esiste contrasto tra situazione di diritto e situazione di fatto, tra assetto contrattuale e foro interno dell’accipiente cosicché – a giudizio di chi scrive - un giudizio in termine di buona o mala fede soggettiva pare non pertinente, inappropriato e, in ogni caso, privo di significato.
E ciò accade nel caso in cui la prestazione sia stata eseguita in adempimento di un contratto valido ed efficace prima che si verifichi la causa di risoluzione dello stesso.
A conferma di quanto sopra, si consideri un ulteriore aspetto.
In dottrina è stato osservato190 che il regime differenziato che le regole sulla ripetizione predispongono pare ispirarsi all’idea per cui il decorso di un lasso di tempo dal pagamento dell’indebito a quello della restituzione è imputabile all’approfittamento dell’accipiens, se questi è in mala fede, o all’inerzia del solvens, ove l’accipiens sia in buona fede. L’osservazione merita di essere condivisa, ed allora può affermarsi che la valenza attribuita dal legislatore alla buona e mala fede è indice di una consapevole contaminazione, in ottica sanzionatoria, tra istanze
189 Cfr. U. BRECCIA, Il pagamento dell’indebito, cit., 936.
190 X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 196; nello stesso senso già X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 87 il quale osserva che nel solo caso in cui l’accipiens sia in mala fede l’azione di ripetizione è diretta a ripristinare, almeno per equivalente, la situazione preesistente. Oltre (225) l’A. mette ulteriormente in evidenza la tendenza della condictio a
«contemperare l’interesse del solvens con quello dell’accipiens».
restitutorie e giudizio di responsabilità191, contaminazione che collide apertamente con la finalità di neutra reintegrazione della situazione di fatto e di diritto affermata dalla regola di retroattività nella risoluzione per inadempimento192.
In altre parole, allorquando uno o entrambi i contraenti eseguono una o più prestazioni prescritte dal contratto, non esiste alcun approfittamento né alcuna inerzia da punire, ma mere prestazioni da restituire.
Se, in sintesi, quando si debbono restituire cose o prestazioni ricevute in forza di un contratto poi caducato, non può aver senso un giudizio di buona o mala fede dell’accipiens, l’idea stessa di un rapporto necessario tra ripetizione dell’indebito e risoluzione per inadempimento pare, dunque, viziata nelle sue fondamenta193.
191 Non si vede, infatti, come non possa considerarsi illecita già la mera apprensione di una prestazione che si sappia essere non dovuta. Cfr. X. XXXXXXXXX, voce «Illecito (dir. priv.)», in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 97, 104 e 110.
192 Nel diritto francese T. GENICON, La résolution du contrat pour inexécution, Paris, 2007, 654 ss. ritiene quello restitutorio un «meccanismo neutro» e del tutto slegato da istanze e logiche risarcitorie.
193 Cfr. X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 210. Sostengono la tesi dell’incompatibilità X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 245 ss.; X. XXXXXXXX, in A. LUMINOSO – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 x.x., xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxx, 0000, 405 ss.; X. XXXXX, Obbligazioni restitutorie e teoria del saldo, cit., 389; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 349; ID., Il regime delle restituzioni contrattuali nel diritto comparato ed europeo, in Europa e dir. privato, 2001, 546; A. D’ADDA, Gli obblighi conseguenti alla pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento tra restituzioni e risarcimento, in Riv. dir. civ., 2000, II, 537 ss.; A.M. XXXXXXXXX, Xxx esegue male si tiene il compenso? La retroattività della risoluzione nei contratti professionali, cit., 521. Meno di recente cfr. X. XXXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 71; X. XXXXXXX, Il pagamento con cose altrui, cit., 495 nonché P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti tra negozio e giusta causa dell’attribuzione, cit., 32 il quale ritiene che qualsiasi tentativo di coordinare la disciplina della condictio con quello del rimedio della nullità (ma il rilievo sembra potersi estendere a tutti i rimedi contrattuali) conduca a risultati «aberranti e contraddittori».
6. Segue. Gli «adattamenti» proposti nelle elaborazioni di dottrina e giurisprudenza
La verifica di compatibilità tra il regime della ripetizione e quello di risoluzione del contratto non è nuova. Anche gli autori che hanno ritenuto di superarla positivamente, non hanno mancato di osservare come le norme sull’indebito non possano essere applicate «meccanicamente»194. L’idea che pervade gli studi della dottrina e le massime della giurisprudenza è, tuttavia, che, pur non potendosi parlare – a stretto rigore – di buona e mala fede dell’accipiens, così come fanno gli art. 2033 e ss. c.c., sarebbero comunque possibili degli adattamenti capaci di salvaguardare il rinvio alla disciplina del pagamento dell’indebito195.
L’interpretazione adeguatrice che ha avuto più seguito è quella secondo cui la valutazione sulla buona o mala fede dovrebbe per analogia trasformarsi in giudizio sull’imputabilità all’accipiens del fatto che dà luogo a risoluzione196. Conseguentemente sarebbe accipiens in buona fede il contraente fedele, accipiens in mala fede il contraente inadempiente.
194 Così X. XXXXXXXXX, voce Interessi, cit., 115 nonché U. BRECCIA, La buona fede nel pagamento dell’indebito, cit., 165.
195 Secondo U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 264, l’indagine deve rivolgersi ad un diverso ordine di conoscenze dell’accipiens «eventualmente idonee a far ritenere esistente, su altro piano, la buona o mala fede di quest’ultimo». Cfr. anche X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 255 ss.
196 In questo senso sempre X. XXXXXXXXX, voce Interessi, cit., 115; U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 267 appare più cauto laddove afferma «a titolo di indicazione generale» che «potrebbe» essere decisivo il ruolo dell’imputabilità dell’accipiens e che resta confermata «l’opportunità di tenere presente la distinzione» tra buona e mala fede. La cautela con cui si muove l’A. in questo punto delicato è ancor più evidente nella successiva nota 215 dove, a chiare lettere, lo stesso avverte che «non vi è dubbio che nel suo complesso questa materia attende ancora una sistemazione adeguata e coerente».
Questa corrente, che pur vanta l’opinione favorevole di parte della dottrina ed è stata applicata senza (o quasi) soluzione di continuità dalla giurisprudenza sino ai primi anni novanta197, è stata oggetto di dure critiche198.
Da una parte, è stato osservato che l’equiparazione «contraente fedele = accipiens in buona fede» risulta inficiata da una contaminazione tra buona e mala fede in senso soggettivo e buona e mala fede in senso oggettivo199. Più precisamente, secondo alcuni, ogni tentativo di caricare di valenza oggettiva i requisiti soggettivi previsti nelle norme sul pagamento dell’indebito finirebbe col risultare «oggettivamente privo di senso»200 posto che un giudizio in termini di imputabilità si colloca in un momento diverso e successivo a quello in cui la prestazione viene ricevuta.
Altri autori, d’altra parte, hanno evidenziato che l’applicazione di questa regola dà luogo ad un’alterazione delle regole restitutorie, che
197 Cfr. ad esempio Cass. 23.8.1985, n. 4510, in Riv. dir. civ., 1986, II, 665 con nota di X. Xx Xxxxxxx; Cass. 26.2.1986, n. 1203, in Arch. civ., 1986, 745; Cass. 12.6.1987, n. 5143, in
Giust. civ., 1987, I, 2222; Cass. 27.8.1990, n. 8834, in Arch. civ., 1991, 31. Al riguardo non sembra inadeguato ricordare che proprio nel 1990 veniva pubblicato nel Commentario Scialoja-Branca lo studio sulla Risoluzione per inadempimento di X. XXXXXXXX, in cui l’A. stigmatizza i vantaggi ingiustificati che una simile impostazione verrebbe ad ammettere a favore del risolvente nonché le conseguenti commistioni tra obbligazioni restitutorie e risarcitorie.
198 X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 258.
199 Sulla incompatibilità tra un giudizio di buona/mala fede ed uno di imputabilità/colpa/responsabilità v. già F.D. XXXXXXXX, Xxxxx fede e responsabilità, in Riv. dir. civ., 1969, I, 427 ss.
200 Cfr. X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 216, nonché A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 350. X. XXXXXXXXX, Lesione del potere di disposizione ed arricchimento, cit., 105 sottolinea che l’obbligo di restituzione nasce «a prescindere» dal comportamento del debitore.
finiscono per acquisire «valenze» e «funzioni» criptorisarcitorie201, e ad una conseguente situazione di disparità202 a danno del contraente inadempiente.
A tale riguardo, riprendiamo il caso-modello del precedente paragrafo203 e supponiamo che sia B (ovvero il promittente alienante) a rimanere inadempiente al contratto preliminare204. Questi i pretesi effetti restitutori: A avrebbe diritto ad ottenere la restituzione della somma pagata, oltre agli interessi già a far data dalla traditio; B avrebbe invece diritto alla restituzione dell’immobile, oltre ai frutti (civili, e dunque il valore di godimento) solo a far data dalla domanda giudiziale.
Una simile ricostruzione si risolve ad evidente vantaggio del contraente adempiente il quale finisce col cumulare205 il diritto a trattenere
201 X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 c.c., cit., passim, in partic. 421; il tema è affrontato anche da
A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 319 ss.
202 X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, cit., 250 sostiene che un siffatto sistema non potrebbe non dare luogo a situazioni stridenti. L’A. altrove
(252) precisa che la disciplina della condictio, se puntualmente applicata, non è in grado di assicurare risultati equi.
203 Per semplicità si riporta di seguito il caso: supponiamo che il soggetto A, dopo aver stipulato con il soggetto B un contratto preliminare con effetti anticipati, versi la prima tranche convenuta e che, contestualmente, B immetta regolarmente il promittente acquirente nel godimento dell’immobile. Avviene, non di rado e per i più svariati motivi, che, prima della stipula del definitivo, una delle due parti si renda gravemente inadempiente costringendo l’altra ad agire per ottenere la risoluzione del contratto.
204 Come sottolinea X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 c.c., cit., 407 gli “inconvenienti” sono maggiori nei casi in cui il contraente infedele sia tenuto a restituire la prestazione di denaro.
205 Lo stesso X. XXXXXXXXX, voce Interessi, cit., 115, nota 92 si dichiara consapevole della necessità di apportare un correttivo alla soluzione proposta. A giudizio dell’A., in simili ipotesi, la regola contenuta nell’art. 1499 c.c. impedirebbe il decorso degli interessi fino al momento in cui il titolare del credito alla restituzione non abbia a sua volta restituito la controprestazione.
i frutti della controprestazione con il diritto ad ottenere la restituzione dei frutti di quella effettuata206.
In altri termini, siffatta interpretazione colora di una luce risarcitoria-sanzionatoria le obbligazioni restitutorie, così snaturando la valenza di neutra rimozione dello stato di fatto e diritto generata dal contratto risolto, propria delle restituzioni207.
Dubbi, critiche e perplessità sollevate rispetto a questa prima rielaborazione hanno portato dottrina e giurisprudenza a percorrere altre soluzioni interpretative, onde evitare di concludere per l’incompatibilità tra ripetizione e risoluzione.
Alcuni autori hanno proposto di adottare a regola cardine delle restituzioni, in sostituzione della bipartizione buona/mala fede, la distinzione tra «conoscenza e non conoscenza dell’obbligo di restituzione» prevista dall’art. 2038 c.c.208 Questa teoria equipara i contraenti all’accipiens di buona fede fino al momento in cui non hanno consapevolezza
206 X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, cit., 241.
207 In più, come è stato osservato (cfr. nuovamente X. XXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 c.c., cit. 411 e 422), ove agisca anche per il risarcimento, il contraente fedele finirebbe per cumulare l’integrale risarcimento del danno positivo con le poste di danno negativo.
208 X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 218; contra, Cass. 4.5.1978, n. 2087, in Foro it., 1979, I, 180, secondo cui l’art. 2038 c.c., per la specificità del riferimento alla res e all'ipotesi della sua alienazione, ha evidente carattere di norma speciale, in deroga alla disciplina generale dell'art. 2033 c.c., che non prevede - ed anzi implicitamente esclude - sia il subentro del solvens nell’esercizio delle azioni eventualmente spettanti all’accipiens nei confronti dei terzi in rapporto alle somme ricevute, sia l’autonoma pretesa di rimborso contro costoro da parte dello stesso solvens, indipendentemente dall'ipotesi di un loro ingiusto arricchimento, e non è quindi suscettibile di interpretazione analogica.
dell’obbligo di restituire, all’accipiens di mala fede dal momento in cui acquistano tale consapevolezza.
Se, da una parte, non può negarsi alla presente rielaborazione il merito di aver superato il dogma «inadempimento = mala fede soggettiva» alla ricerca di regole capaci di garantire un trattamento uniforme dei contraenti, dall’altra permangono due severe perplessità.
Costituisce ius receptum l’orientamento della Suprema Corte209 secondo cui per la decorrenza degli interessi dovuti dall’accipiens in buona fede non è sufficiente una qualsiasi richiesta di restituzione della somma, ma è necessaria, in applicazione della tutela prevista dall’art. 1148 c.c. per il possessore di buona fede, la proposizione di una domanda giudiziale, così che, per il periodo anteriore, gli interessi non sono dovuti.
La tesi sopra esposta, la cui dichiarata finalità è di mantenere le restituzioni da caducazione contrattuale nell’alveo della ripetizione dell’indebito, allorquando afferma che lo stato soggettivo di conoscenza dell’obbligo restitutorio coincide con qualunque «notizia» che provenga da controparte210, finisce per porsi in aperto contrasto con una regola cardine di quel medesimo sistema che vorrebbe salvaguardare.
Si consideri, inoltre, un secondo aspetto: rispetto ad eventi rovinosi della res (quali il perimento e il deterioramento), sviluppatisi nell’arco temporale antecedente il momento di conoscenza dell’obbligo di
209 Cfr. Cass. 2.8.2006, n. 17558, in Rep. Foro it., 2006, voce Contratto in genere, n. 626; Cass. 4.3.2005, n. 4745, in Guida al dir., 2005, XV, 89; v. altresì Xxxx., sez. un., 5.8.1994, n. 7269, in Giust. civ., 1995, I, 1017 con nota di Xxxxxxxxxxx. Per una recente applicazione nella giurisprudenza di merito v. X. Xxxxxx, 4.6.2007, cit.
210 X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 219.
restituzione, i contraenti sarebbero tenuti a rispondere nei soli limiti dell’arricchimento. Si finirebbe, dunque, per applicare a questi casi una disciplina – quella dell’art. 2041 c.c. – non richiamata dall’art. 1463 c.c., che fa riferimento alle sole norme sulla ripetizione dell’indebito, e che, come meglio avremo modo di approfondire, basandosi su di una concezione meramente patrimoniale e non reale211, comporta una significativa diminuzione di tutela.
In conclusione, gli adattamenti proposti non sembrano colpire nel
segno.
Di questo fatto sembra parzialmente consapevole la giurisprudenza
che, da quando ha abbandonato l’assioma «inadempimento = mala fede», continua a dichiarare applicabile ai casi in esame l’art. 2033 c.c. e, senza punto fornire giustificazioni al riguardo, si limita a ritenere presuntivamente, e salva prova contraria, in buona fede entrambi i contraenti212. L’incapacità (o forse l’impossibilità213) di rinvenire adattamenti ed interpretazioni adeguatici ha – pertanto – condotto i giudici proprio a quella «applicazione meccanica» della disciplina dell’indebito che la dottrina intera ritiene da tempo del tutto inadeguata.
211 Si rinvia agli autori citati alla nota 247.
212 V. da ultimo Cass. 15.1.2007, n. 738 in Contratti, 2007, 737; Cass. 2.8.2006, n. 17558,
in Contratti, 2007, 224; Cass. 28.3.2006, n. 7083, in Xxxxxxxxx, 2006, 1099; nella giurisprudenza di merito T. Genova, 4.6.2007, ined., T. Milano 6.10.1998, cit. Contesta recisamente questa soluzione X. XXXXXXXXX, Lesione del potere di disposizione e arricchimenti, cit., 137.
213 Cfr A. DI MAJO, Restituzioni e responsabilità nelle obbligazioni e nei contratti, cit., 309; X. XXXXXXXX, in A. LUMINOSO – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento, Artt. 1453-1454 c.c., cit., 405 ss. Secondo A.M. XXXXXXXXX, Xxx esegue male si tiene il compenso? La retroattività della risoluzione nei contratti professionali, cit., 522 il richiamo alla buona/mala fede deve reputarsi sostanzialmente inoperante.
7. Ancora sulle contraddizioni del rapporto tra ripetizione dell’indebito e risoluzione per inadempimento
In dottrina sono stati evidenziati ulteriori problemi di coordinamento che sembrano confutare la visione del pagamento dell’indebito quale sostrato giuridico su cui ricostruire la disciplina delle restituzioni conseguenti a risoluzione del contratto. Approfondiamo i due aspetti più significativi.
L’art. 2037 c.c. al comma 3 prevede che chi ha ricevuto una cosa determinata in buona fede non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché dipenda da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento214.
Al riguardo, ipotizziamo di superare le problematiche sul significato da attribuire al lemma «buona fede» e, in linea con la più recente giurisprudenza, presumiamo in buona fede entrambi i contraenti.
È evidente che questa regola, se applicata a rapporti contrattuali poi risolti, determina un’inammissibile squilibrio dell’allocazione del rischio che si risolve in un sovvertimento del principio consensualistico e della regola res perit domino215. Mentre, come è noto, sulla base del combinato disposto degli artt. 1376 e 1465 c.c., ove il bene vada accidentalmente distrutto, la perdita grava sull’acquirente, in quanto proprietario,
214 Per approfondimenti si rinvia, su tutti, alla monografia di U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit. ed al contributo di X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., in partic. 467 ss.
215 G. VILLA, La quantificazione del danno, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, I Rimedi-II, a cura di X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 949 ritiene che l’applicazione, in ambito risolutorio, dell’art. 2037 c.c. comporta un sovvertimento della distribuzione del rischio.
l’applicazione dell’art. 2037 c.c. esclude la responsabilità dell’acquirente, in quanto accipiens ex indebito (presuntivamente) in buona fede, e fa salva l’esperibilità nei suoi confronti della sola azione di arricchimento216.
Un esempio renderà più chiaro quanto detto.
Ipotizziamo che A e B decidano di permutare due immobili e che, concluso il contratto, A rimanga inadempiente all’obbligazione di consegna. Supponiamo, poi, che B preferisca agire per la risoluzione del contratto e chieda la condanna di A a restituire il bene.
Se nel corso del giudizio l’immobile oggetto della domanda di restituzione va distrutto, una puntuale applicazione dell’art. 2037 c.c. porterebbe a concludere che A – a meno che non venga dimostrata la sua mala fede - non risponderebbe del perimento, se non nei limiti del proprio arricchimento.
La disciplina prevista nell’art. 2037 c.c. presenta, dunque, difetti di coordinamento217 in quanto collide con il principio per cui la perdita della res deve gravare sul soggetto che ne è proprietario al momento della distruzione, a prescindere da qualunque valutazione in termini di buona o mala fede soggettiva e di arricchimento dello stesso.
216 Analizzano questa discrasia U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 248; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 349; X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 214; P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti tra negozio e giusta causa dell’attribuzione, cit., 35.
217 Lo stesso X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 x.x., xxx., 000 xxx xxxxx xx xxxxxxx come «inadeguata» questa disciplina, se trasfusa in ambito contrattuale; medesime considerazioni anche in X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 215. Per una lettura sistematica degli artt. 1221 e 2037 c.c. v. U. BRECCIA, La buona fede nel pagamento dell’indebito, in Scritti in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, I, t. 1, Milano, 1978, 199 ss. (pubblicato anche in Riv. dir. civ., 1974, I, 130 ss.).
Prendiamo, infine, in esame l’art. 2038 c.c. prestando attenzione ai profili di responsabilità del terzo avente causa dall’accipiens indebiti218. La norma richiamata prevede che quest’ultimo: (i) ove abbia acquistato a titolo oneroso la res e non abbia ancora provveduto al saldo, sia obbligato per il pagamento del corrispettivo nei confronti del solvens; (ii) ove abbia acquistato a titolo gratuito la res, sia obbligato per il pagamento di un’indennità nei limiti del suo arricchimento a favore del solvens.
Tralasciando la surroga del solvens nei diritti dell’accipiens, interessa rilevare che il profilo di responsabilità eventuale (nel limite dell’arricchimento) del terzo acquirente per le ipotesi di acquisto non oneroso collide nettamente con il disposto dell’art. 1458, c. 2.219
Per maggior chiarezza, torniamo al precedente esempio220 del contratto di permuta ed aggiungiamo un dato, immaginando che A, ricevuto il bene, lo doni a C.
Risulta evidente che, ove ritenessimo applicabile a questa fattispecie il disposto dell’art. 2038 c.c., con conseguente affermazione di responsabilità del terzo donatario C, finiremmo per ricostruire una regola non compatibile con il dettato dell’art. 1458, c. 2, secondo cui, salvi gli
218 Per approfondimenti si rinvia, su tutti, alla monografia di U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit. ed al contributo di X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., in partic. 483 ss.
219 U. BRECCIA, Il pagamento dell’indebito, cit., 936 ritiene «inammissibile» che il terzo subisca, in applicazione di questa regola, un trattamento deteriore rispetto a quello previsto nella disciplina delle impugnazioni contrattuali.
220 Si riporta per semplicità il caso: ipotizziamo che A e B decidano di permutare due immobili e che, concluso il contratto, A rimanga inadempiente all’obbligazione di consegna. Supponiamo, poi, che B preferisca agire per la risoluzione del contratto e chieda la condanna di A a restituire il bene.
effetti della trascrizione della domanda, la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi221.
Anche l’art. 2038 c.c. è, dunque, norma non facilmente coordinabile e che, se adoperata, finisce per indebolire la tutela riconosciuta al terzo dalla regola sugli effetti della risoluzione222.
In conclusione, esiste una pluralità di argomenti che indirizzano l’interprete ad affermare che il rinvio che l’art. 1463 c.c. effettua alle norme relative alla ripetizione dell’indebito vada letto come mero richiamo del principio causalistico, risultando pressoché del tutto incompatibile l’applicazione delle singole norme di cui agli artt. 2033 e xx. x.x. xxxx xxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx000.
000 Contra v. X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 229 secondo cui l’art. 2038 non prevede un effetto contraddittorio ma integra e corregge la previsione di inopponibilità ai terzi di cui all’art. 1458 c.c.; nello stesso senso v. anche X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 407-408 secondo cui la compatibilità della disposizione dell’art. 2038 c.c. con quella della risoluzione è da porsi in relazione con l’orientamento del legislatore secondo cui le attribuzioni patrimoniali gratuite «risentono di un certo grado di precarietà».
222 Sul punto v. U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 246 che definisce siffatta conseguenza «certamente incongrua»; ID., voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 4; X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 131; P. BARCELLONA, Note critiche in tema di rapporti tra negozio e giusta causa dell’attribuzione, cit., 34; X. XXXXXXXXXX, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, 173; contra X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit., 229 e X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 407-408.
223 V. infra § 10 per le ulteriori conseguenze.
8. Ripetizione dell’indebito e arricchimento senza causa quali fonti (rispettivamente) delle obbligazioni restitutorie di dare e fare
La più recente ed ormai maggioritaria dottrina224 ha sottoposto a parziale critica l’orientamento sopra esposto, secondo cui l’istituto della ripetizione dell’indebito è fonte sostanziale di tutte le obbligazioni restitutorie derivanti da caducazione contrattuale; si è venuta così creando una seconda corrente interpretativa che, operando un distinguo sulla base della natura dell’oggetto della prestazione, ritiene che la disciplina prevista all’art. 2033 e ss. c.c. vada confinata all’ipotesi di restituzione di prestazioni di dare, trovando, invece, spazio nelle altre ipotesi, ed in particolare per le prestazioni di fare, l’art. 2041 c.c.
Siffatta esegesi prende le mosse dall’interpretazione del termine
«pagamento» contenuto nell’art. 2033 c.c.: mentre taluni autori, come abbiamo visto, ritenendo questo termine sinonimo di «adempimento»225, identificano nell’indebito un istituto capace di fondare la restituzione di
224 X. XXXXX, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2001, 949; X. XXXXX, Le risoluzioni per inadempimento, cit., 669 ss.; X. XXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in AA.VV., I contratti in generale, a cura di X. Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1999, 1526; X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 230 ss. (ove vengono delineate ragioni storiche ed esegetiche); X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, cit., 391-392.
Isolata è l’idea di P. X’XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., in Commentario del codice civile, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna-Roma, 1981, 596 secondo cui, venuto meno con effetto retroattivo il contratto risolto, sarebbe l’arricchimento senza causa a regolare tutti gli effetti restitutori.
225 Cfr. X. XXXXXX, voce Adempimento, cit., 554; A. DI MAJO, voce Pagamento, cit., 548; U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 39 ss. (opinione ripresa nella voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 2, nonché nella voce Ripetizione dell’indebito. L’arricchimento che deriva da una prestazione altrui, cit., 1); X. XXXXXXX, in L. ARU – E. MOSCATI – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 155 ss.
ogni genere di prestazione non più sorretta da causa giustificatrice, altri reputano, per converso, che l’espressione «pagamento», che normalmente andrebbe riferita alla sola consegna di somme di denaro, possa al più essere esteso ad identificare prestazioni di dare una cosa certa e determinata226. In altre parole, secondo la dottrina da ultimo citata, ogni qual volta la domanda di restituzione abbia ad oggetto non una res specifica e identificata ma un’opera, un servizio o, più in genere, un’attività, il problema di riequilibrio delle sfere patrimoniali dei contraenti, specie a fronte dell’impossibilità di restituzione in forma specifica della prestazione effettuata227, riveste caratteri del tutto particolari e va risolto attraverso un istituto diverso. Non potendosi applicare a siffatte fattispecie le regole del pagamento dell’indebito, l’unico regime residuale cui ancorare esigenze di tipo restitutorio sarebbe pertanto l’azione generale di arricchimento.
L’analisi del diritto applicato non permette, a cagione della scarsità di pronunce edite, di rinvenire una casistica significativa da cui emerga se la giurisprudenza ritenga, o meno, applicabile l’art. 2041 c.c. ad ipotesi di restituzione di prestazioni di fare conseguenti a risoluzione del contratto228. Ciò non di meno, a dispetto di quanto affermano talune
226 X. XXXXXXXX, voce Ripetizione dell’indebito, cit., 1226, secondo cui il nostro legislatore è rimasto fermo ad una concezione della condictio «orientata alla cosa» e, dunque, limitata alle prestazioni indebite di dare. Opinione recentemente ripresa da X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 231.
227 Si evidenzia che questa interpretazione, xxxxxxx ritiene che la disciplina delle obbligazioni restitutorie di cose non restituibili vada rinvenuta nell’art. 2041 c.c., finisce col disapplicare quanto espressamente previsto dall’art. 2037 c.c.
228 Sembrano negarlo la recente Cass. 15.1.2007, n. 738, cit., ove i giudici della Suprema Corte ritengono formalmente applicabile l’art. 2033 c.c. sotto forma di restituzione per
ricognizioni229, la via dell’arricchimento senza causa viene spesso seguita in presenza di domande restitutorie conseguenti all’impiego di altre impugnative contrattuali, specie di nullità230.
equivalente nonché T. Roma 1.7.2004, cit., sul diverso presupposto dell’impossibilità di restituire una prestazione di facere.
229 Secondo X. XXXXXXXX, Il pagamento dell’indebito, cit., 100 la giurisprudenza prevalente avrebbe accolto l’interpretazione più ampia secondo cui alla disciplina della ripetizione dell’indebito è assoggettata ogni tipo di prestazione non dovuta.
230 Relativamente alla restituzione di una prestazione professionale effettuata da un agente, conseguente a pronuncia di nullità del contratto di agenzia per mancata iscrizione nell’apposito ruolo istituito dalla l. 12 marzo 1968 n. 316, x. Xxxx., sez. un., 3.4.1989, n. 1613 in Foro it., 1989, I, 1420 con nota di Pardolesi ove, pur in un obiter dictum, si afferma che detta restituzione è disciplinata dai «principi generali in tema di prestazioni non dovute di fare» (più oltre identificati nell’azione di arricchimento senza causa); più esplicitamente cfr. Cass. 13.11.1991, n. 12093, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxxx, x. 00; Cass. 10.6.1992, n. 7112, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxxx, x. 00; Cass. 19.8.1992, n. 9675, in Foro it., 1993, I, 428 con nota di Xxxxxxxxx; Cass. 4.11.1994, n. 9063, in Contratti, 1995, 172 con nota di Xxxxxxxxxxxxx; Cass. 30.5.1997, n. 4798, in Rep. Foro it., 1997, voce Agenzia, n. 12 nonché Cass. 18.7.2002, n. 10427, in Arch. civ., 2003, 519 che, aventi ad oggetto la medesima fattispecie, affermano che l’agente può esperire l'azione generale di arricchimento senza causa, ai sensi dell'art. 2041 c.c., per farsi indennizzare delle prestazioni svolte a favore del preponente.
In materia di restituzione di una prestazione lavorativa autonoma (ingegnere) Xxxx.
29.3.2005, n. 6570, in Giust. civ., 2006, I, 936 ha ritenuto ammissibile l’azione di arricchimento senza causa.
Per la restituzione di una prestazione di fare oggetto di un contratto di appalto (attività di raccolta e pagamento delle scommesse sulle corse di cavalli) v. anche Cass. 8.11.2005, n. 21647, in Contratti, 2006, 552 secondo cui la ripetibilità è condizionata dal contenuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo le regole degli artt. 2033 e ss. c.c., operando altrimenti, ove ne sussistano i presupposti, in mancanza di altra azione, l'azione generale di arricchimento prevista dall’art. 2041 c.c. (nello stesso senso anche Cass. 27.10.2005, n. 20933, in Rep. Foro it., 2005, voce Arricchimento senza causa, n. 28 e Cass. 28.10.2005, n. 21096 in Contratti, 2006, 387 aventi ad oggetto la medesima questione).
Per restituzione ex art. 2041 c.c. di prestazioni sanitarie non dovute da parte di un soggetto indebitamente assicurato v. infine Cass. 18.7.2005, n. 15109, in Prev. Forense, 2006, 86, con nota di Xxxxxxx Xxxxx Xxxx.
Per le prestazioni (di fare) del lavoratore subordinato l’art. 2126 c.c. fa salvi gli effetti del contratto di lavoro per il periodo in cui la prestazione di lavoro risulti di fatto essere stata esercitata, salvo che per le ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto o della causa. In dottrina v. il recente contributo di X. XXXXXXXX, Le prestazioni compiute in favore della Pubblica amministrazione in esecuzione di contratti irregolari, in Corr. giur., 2007, 265 ss.
L’analisi di queste pronunce induce peraltro a credere che la scelta dei giudici per l’azione di arricchimento non debba essere vista solo attraverso le argomentazioni ed i profili di interpretazione cui sopra abbiamo fatto cenno. Non sembra infatti avventato affermare che, con ogni probabilità, uno dei motivi che induce la giurisprudenza a scegliere la via dell’arricchimento senza causa quando un contraente richiede la restituzione di prestazioni di fare, o comunque non restituibili231, è da ricondursi alla difficoltà che si riscontra nell’attribuire a queste un determinato valore232.
Se l’obbligazione ha ad oggetto un facere, un non facere233, o ancora, non è più restituibile, la restituzione può avvenire solo per equivalente. Ma qui sorge il problema di come operare la “conversione” e, soprattutto, di quali criteri seguire per la liquidazione234.
231 Cfr. Cass. 8.11.2005, n. 21647, cit. nonché Cass. 29.5.1986, n. 3627, in Rep. Foro it., 1986, voce Arricchimento senza causa, n. 6 secondo cui in favore di chi abbia venduto merci alla p.a. in base ad un negozio nullo per difetto di forma ad substantiam e non possa conseguire la restituzione, per avere l’amministrazione già utilizzato irreversibilmente quelle cose, deve riconoscersi, nonostante il rigetto della domanda di adempimento contrattuale pronunciato per effetto della predetta nullità, la facoltà di proporre l'azione sub art. 2041 c.c., nei limiti in cui l’amministrazione consumando od utilizzando le merci in questione abbia ricevuto ed implicitamente riconosciuto un proprio arricchimento, al fine di ottenere il pagamento, a titolo di indennizzo, di una somma corrispondente al prezzo di mercato delle merci stesse, da adeguarsi (vertendosi in tema di debito di valore) al potere di acquisto della moneta al momento della decisione.
232 Ostacolo pratico già segnalato da U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 42; per una diffusa analisi del problema si veda X. XXXXXXX, in L. ARU – E. MOSCATI – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 169-176.
233 La particolarità di simili casi induce a evidenziare un possibile esempio: si pensi ad un patto di non concorrenza ex art. 2125 c.c. a cui l’imprenditore rimanga inadempiente; si ritiene che il prestatore di lavoro che voglia liberarsi dello stesso non solo possa agire in risoluzione, ma debba poter ottenere la restituzione per equivalente della propria prestazione di non facere.
234 La recente Cass. 15.1.2007, n. 738, cit., relativamente alla domanda di restituzione di una prestazione di facere conseguente a risoluzione di un contratto di appalto, opta per il criterio contrattuale (ammontare del corrispettivo pattuito maggiorato dell’importo
Ecco che la via dell’arricchimento senza causa, in quanto rimedio a carattere patrimoniale e non reale, sfugge agevolmente235 a simili complesse problematiche, ad oggi non particolarmente approfondite236.
In conclusione, va dunque registrato un secondo e più recente orientamento dottrinale, di cui si non rinvengono riscontri nelle sentenze
dovuto per revisione prezzi in quanto espressamente previsto); nello stesso senso (in una fattispecie questa volta di annullamento del contratto) anche Cass. 2.4.1982, n. 2029, cit.
Cass. 29.3.2005, n. 6570, cit., che pur afferma che «l’indennizzo dovuto ex art. 2041 c.c. al professionista va liquidato, nei limiti dell'arricchimento dell'ente, con riguardo alla entità dell’effettiva perdita patrimoniale subita dal professionista, da accertarsi tenendo conto delle spese anticipate per l'esecuzione dell'opera e del mancato guadagno, da determinarsi eventualmente anche ex art. 1226 c.c., che lo stesso avrebbe ricavato dal normale svolgimento della sua attività professionale nel periodo di tempo dedicato invece all'esecuzione dell'opera utilizzata dall'ente pubblico, senza la possibilità di far ricorso a parametri contrattuali, stante la carenza di un valido vincolo contrattuale, o di commisurare, “sic et simpliciter”, la perdita patrimoniale alla “utilitas” derivatane all’ente sotto il profilo della spesa risparmiata», ha ritenuto conforme a diritto una liquidazione percentuale in termini di 2/3 dell’importo delle parcelle fatturate.
Cass. 29.5.1986, n. 3627, cit. (questa volta in un caso di nullità) identifica, invece, l’indennità dovuta ex art. 2041 c.c. attraverso il riferimento al prezzo di mercato.
Cass. 24.5.2007, n. 12162, ined., infine, liquida a favore dell’appaltatore adempiente una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno «tramite computo del valore venale dell’opera stessa ai prezzi di mercato».
In dottrina ritiene il corrispettivo un ottimo punto di riferimento X. XXXXXXXXX, L’arricchimento senza causa, Milano, 1962, 136. Contra, U. BRECCIA, La ripetizione dell’indebito, cit., 458. Sul punto v. anche X. XXXXXX, Le obbligazioni nascenti dalla legge, cit., 85 ss.
235 X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, cit., 69 dà atto di una tendenza giurisprudenziale ormai consolidata che «ricostruisce l’indennizzo ex art. 2041 in termini sostanzialmente analoghi al debito restitutorio ex art. 2033; cioè facendo coincidere l’indennizzo ex art. 2041 con il valore di mercato della prestazione resa». Poco oltre (76), qualificato come «vischioso» il richiamo al modello dell’arricchimento senza causa, conclude affermando che la giurisprudenza finisce con l’applicare la disciplina della condictio «sotto le mentite spoglie dell’art. 2041 c.c.».
236 Secondo X. XXXXXXXX, «Sinallagma rovesciato» e ripetizione dell’indebito. L’impossibilità della restitutio in integrum nella prassi giurisprudenziale, cit., 119 l’analisi delle soluzioni praticate dalla giurisprudenza mostra come sia «solo apparentemente pacifico il principio della riconducibilità di tutti gli effetti restitutori derivanti da un contratto inefficace (ma in tutto o in parte eseguito) alla disciplina dell’indebito. Vengano o meno richiamati gli artt. 2037 e 2038 c.c., le soluzioni della giurisprudenza paiono ispirate a scelte intuitivamente equitative: non sempre accompagnate da una chiara percezione delle questioni teoriche, da una visione globale (e non settoriale) del sistema delle restituzioni e dalla consapevolezza delle loro conseguenze economiche effettive».
della Suprema Corte, secondo cui fonte delle obbligazioni restitutorie è la ripetizione dell’indebito e l’azione generale di arricchimento a seconda che, rispettivamente, l’oggetto della prestazione da restituire sia denaro o una prestazione di dare, ovvero una prestazione di fare o comunque non restituibile in natura.
9. Segue. Punti di criticità: sussidiarietà dell’azione ed indennizzo
La dottrina più recente, come abbiamo visto, ha proposto una sorta di correttivo al sistema restitutorio fondato sulle norme relative alla ripetizione dell’indebito, ipotizzando uno spazio di applicazione per l’istituto dell’arricchimento senza causa237.
Rispetto ad una simile ricostruzione non possono che ribadirsi, avuto riguardo all’impiego dell’indebito quale fonte delle obbligazioni restitutorie aventi ad oggetto prestazioni di dare, le problematiche e le perplessità già evidenziate nelle precedenti pagine. È però opportuno evidenziare che questa interpretazione, laddove rinviene un ambito di applicazione per l’art. 2041 c.c., appare ancora più debole ed infondata di quella che riconduce al solo art. 2033 c.c. l’intero mondo delle restituzioni. Analizziamone le ragioni.
Anzitutto l’art. 1463 c.c. effettua un richiamo alla disciplina dell’indebito; a prescindere dal fatto che si opti per un’interpretazione di
237 Come detto la recente Cass. 15.1.2007, n. 738, cit. potrebbe però segnare un inversione di tendenza.
quell’enunciato come norma di rinvio normativo o di mero richiamo del principio causalistico, non può non osservarsi che l’azione di arricchimento non vanta (né potrebbe) suddetto riferimento.
La ragione, peraltro, è nella natura dell’art. 2041 c.c. Come è noto, l’azione di arricchimento, in quanto sussidiaria, è proponibile nel solo caso in cui il danneggiato non possa conseguire l’indennizzo per il pregiudizio subito, esercitando altra azione238.
Se riteniamo, come dottrina e giurisprudenza ritengono, che le regole sulla ripetizione dell’indebito, in virtù del disposto dell’art. 1463 c.c., pongono le basi delle obbligazioni restitutorie, è evidente che il ricorso all’azione generale di arricchimento difetta del suo presupposto principe, ossia l’impossibilità di rimuovere altrimenti il pregiudizio239.
La contraddizione è, per così dire, interna alla stessa ricostruzione: non sembra ammissibile sostenere che l’ordinamento identifica nell’indebito l’azione che, rimuovendo la situazione di fatto e di diritto
238 Cfr. X. XXXXXXXXXXX, voce «Arricchimento (Azione di)», in Noviss. dig. it., I, 2, Torino, 1958, 1008; X. XXXXXXXXX, voce «Arricchimento (azione di)», in Enc. dir., III, Milano, 1958,
74. In giurisprudenza v. da ultimo Cass. 11.6.2007, n.13862, in Guida al dir., 2007, XXIX, 73. Questa idea è stata di recente contestata da X. XXXXXX, Vecchi e nuovi itinerari oltre la frontiera aquilana: l’art. 2041 cod. civ., in Riv. dir. privato, 1999, 382 secondo l’A. la «giusta causa» cui si riferisce l’art. 2041 c.c. costituirebbe una clausola generale. Interessante la prospettiva di P. SIRENA, Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005, 105, secondo cui non vi sarebbe ragione per negare che il soggetto tutelato possa «scegliere di esercitare l’azione di arricchimento senza causa non solo in alternativa di un altro rimedio ugualmente spettantegli (concorso alternativo), ma anche complementariamente all’esercizio di quest’ultimo, nel caso in cui la riparazione del pregiudizio patrimoniale subito non sia stata integrale (concorso integrativo)». Sul punto v. anche X. XXXXX, Arricchimento senza causa. Artt. 2041-2042, in Il codice civile. Commentario, fondato e diretto da X. Xxxxxxxxxxx, continuato da F.D. Xxxxxxxx, Milano, 2003, 86 nonché X. XXXXXXXX, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa,
Padova, 2005, 338 ss.
239 Così la Relazione al progetto del c.c. del 1936 testualmente riportata da X. XXXXXXXXXXX, voce «Arricchimento (Azione di)», cit., 1008.
generata dal contratto, ritrasferisce ricchezza, e poi, al tempo stesso, correggere il tiro ritenendo altresì applicabile una disciplina il cui presupposto è che lo spostamento patrimoniale ingiustificato non possa essere restituito, poiché al di fuori del campo di applicazione dei rimedi tipici240.
Più semplicemente: se la fonte è l’indebito, in applicazione dell’art. 2042 x.x., x’xxxxxxxxxxxx xx xxxxxx xxxxxxx (xxxxxx) esclude l’esercizio dell’azione di arricchimento241.
In secondo luogo, la tutela che l’art. 2033 c.c. appresta è ben più efficace242 di quella prevista dall’art. 2041 c.c. Mentre, da una parte, la ripetizione dell’indebito, che si basa sul dato oggettivo dell’esecuzione di una prestazione non sorretta da causa giustificatrice243, prevede la
240 Cfr. nuovamente la Relazione al progetto del c.c. del 1936 (riportata sempre in X. XXXXXXXXXXX, voce «Arricchimento (Azione di)», cit., 1007 s.) in cui si afferma, dapprima, che l’arricchimento senza causa «è uno di quei precetti ampi ed elastici, che è bene siano formulati in un codice, appunto per la loro elasticità, la quale permette di ricondurre sotto di essi nella pratica applicazione della legge una quantità di casi, che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere tutti singolarmente, quando volesse sostituire al precetto generale norme particolari». Successivamente la Relazione aggiunge che l’azione può essere esercitata solo in via sussidiaria: «è ovvio infatti, che, là dove si possa eliminare una situazione anormale con l’applicazione di una norma particolare, il ricorso all’azione generale mancherebbe del suo presupposto». Contra, si ricordano nuovamente le pagine di P. SIRENA, Note critiche sulla sussidiarietà dell’azione generale di arricchimento senza causa, cit., passim.
241 In questo senso v. X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, cit., 29. Cfr.
anche X. XXXXXXXXX, voce «Arricchimento (azione di)», cit., 65 secondo cui la disciplina positiva riconosce «concrete conseguenze obbligatorie a quegli squilibri economici che, implicando insieme un arricchimento ed un impoverimento senza adeguata giustificazione, non trovino un espresso rimedio in qualche specifica norma del sistema positivo».
242 Cfr. su tutti X. XXXXXXX, in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 x.x., xxx., 00.
000 X. XXXXXXX, xx X. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 97 sottolinea anche la diversità dei presupposti delle due azioni: rispettivamente il dato oggettivo di aver effettuato una prestazione non dovuta e l’esistenza di un eventuale depauperamento.
restituzione dello spostamento patrimoniale in quanto tale, dall’altra, l’azione di arricchimento, appresta invece una tutela più modesta244 laddove commisura l’oggetto dell’obbligazione restitutoria alla minor somma fra arricchimento ed impoverimento.
Approfondiamo il punto proprio con riferimento alla restituzione delle prestazioni di fare: se, con l’interpretazione più tradizionale, riteniamo a queste applicabili la disciplina dell’indebito, concluderemo che l’accipiens deve restituire una somma che rappresenti l’equivalente della prestazione posta in essere245; se, con l’interpretazione più recente, riteniamo applicabile l’azione di arricchimento, concluderemo che l’accipiens deve restituire un mero indennizzo246. Mentre, infatti, l’art. 2033
c.c. si ispira ad una concezione «reale»247 e prevede la restituzione della
244 X. XXXXXXX, voce Indebito (pagamento e ripetizione dell’), cit., 85 definisce l’indebito mezzo di tutela assai più «snello ed efficace» dell’azione di arricchimento senza causa (analisi confermata anche in ID., in L. ARU – X. XXXXXXX – P. D’ONOFRIO, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 88). In questo senso anche U. BRECCIA, voce Indebito (ripetizione dell’), cit., 2-3. In giurisprudenza esprime in motivazione questa problematica Cass. 2.4.1982, n. 2029, cit.
245 U. BRECCIA, voce Ripetizione dell’indebito. L’arricchimento che deriva da una prestazione altrui, cit., 3 conferma che nel caso in cui, come per le prestazioni di fare, non sia possibile la restituzione in natura della eadem res o del tantundem, si potrà procedere alla restituzione per equivalente. Per i problemi di conversione che ne conseguono e le relative proposte cfr. la precedente nota 234.
246 X. XXXXXXX, Contratti illeciti o immorali e restituzioni, cit., 64 osserva che «a termini dell’art. 2033 il solvens ha diritto all’equivalente del valore di mercato, a termini dell’art. 2041 il solvens ha diritto alla minor somma tra il suo impoverimento e l’arricchimento dell’accipiens. La pretesa all’indennizzo si rivela dunque in astratto meno vantaggiosa per il solvens».
247 Così X. XXXXXXXXX, L’arricchimento senza causa, cit., 118 ss.; X. XXXXXXX, voce
«Arricchimento (Azione di) nel diritto civile», in Dig. disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 449; nonché ID., Concezione «reale» e concezione «patrimoniale» dell’arricchimento nel sistema degli artt. 2037-2038 del codice civile, in Scritti in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxx, II, Milano, 1973, 993 ss in parte trasfuso in ID., in L. ARU – X. XXXXXXX – P. X’XXXXXXX, Delle obbligazioni, Artt. 2028 - 2042 c.c., cit., 447 ss.; A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 319 ss.; U. BRECCIA, voce Ripetizione dell’indebito. L’arricchimento che deriva da una prestazione altrui, cit., 1 ove l’A. identifica negli artt. 2033 e 2041 c.c. quattro «moduli» restitutori.