INDICE
Corso di laurea magistrale in
Amministrazione, finanza e controllo
Il Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni tra il Modello OCSE e il Modello americano
Relatore
Ch. Prof. Maurizio Interdonato
Laureando Mattia Danieli Matricola 830469
Anno Accademico
2015 / 2016
INDICE
- INTRODUZIONE
- CAPITOLO 1: LE CONVENZIONI CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI
1.1 CARATTERI GENERALI DEL FENOMENO DELLE DOPPIE IMPOSIZIONI 8
1.1.1 Nascita e definizione del concetto di doppie imposizioni 8
1.1.2 Le fonti del diritto tributario internazionale e la gerarchia delle fonti 11
1.1.3 Doppie imposizioni giuridiche ed economiche 13
1.1.4 Criteri di collegamento… 14
1.2 LA CONVENZIONE 17
1.2.1 Nascita e caratteristiche generali di Convenzione 17
1.2.2 Rapporto tra normativa interna e Convenzione 20
1.2.3 Clausole preferenziali e concorrenziali 22
1.2.4 Metodi di eliminazione della doppia imposizione 23
1.3 INTRODUZIONE ALLA CONVENZIONE ITALIA-USA CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI SUL REDDITO 26
1.3.1 Modello OCSE 26
1.3.2 General Scope del Modello americano… 28
1.3.3 Convenzione Italia - Usa contro le doppie imposizioni 28
- CAPITOLO 2: LA RESIDENZA
2.1 LA RESIDENZA NEL MODELLO OCSE 36
2.2 LA RESIDENZA NEL MODELLO AMERICANO CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI 39
2.3 LA RESIDENZA NELLA CONVENZIONE ITALIA – USA 41
2.3.1 La residenza fiscale delle persone 41
2.3.2 Le Partnership 44
2.3.4 I Trust 48
2.3.5 La stabile organizzazione 56
- CAPITOLO 3: LE CATEGORIE DI REDDITO
3.1 I DIVIDENDI 63
3.1.1 La tassazione dei dividendi secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE 63
3.1.2 La tassazione dei dividendi nel Trattato Italia – Usa 66
3.1.3 L’imposizione dei Ric e Reit 69
3.1.4 Branch Profit Tax 70
3.2 GLI INTERESSI 72
3.2.1 La tassazione degli interessi secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE 72
3.2.2 La tassazione degli interessi nel Trattato Italia – Usa 73
3.3 LE ROYALTIES 77
3.3.1 La tassazione delle royalties secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE 77
3.3.2 La tassazione delle royalties nel Trattato Italia – Usa 78
3.3.3 L’applicazione dell’art. 12 del Trattato Italia – Usa con riguardo alle
royalties maturate dai produttori fonografici 80
3.3.4 La problematica legata alla qualificazione del software 82
3.4 GLI UTILI DI CAPITALE 83
3.4.1 La tassazione delle plusvalenze azionarie secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE 83
3.4.2 La tassazione delle plusvalenze immobiliari secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE 85
3.4.3 La tassazione degli utili di capitale nel Trattato Italia – Usa 86
3.5 IL LAVORO DIPENDENTE 89
3.5.1 La tassazione del lavoro dipendente secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE 89
3.5.2 La tassazione del lavoro dipendente secondo il Trattato Italia – Usa 90
- CAPITOLO 4: LA DISCIPLINA ANTI-ABUSO
4.1 LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE INTERNAZIONALE 92
4.1.1 Introduzione alla lotta all’evasione fiscale internazionale nel Modello OCSE e nel Modello statunitense contro le doppie imposizioni 92
4.1.2 Treaty shopping 94
4.1.3 Ulteriori casi di abuso delle Convenzioni 95
4.1.4 Limitations on Benefits clause 97
4.2 LA DISCIPLINA ANTI-ABUSO PER I DIVIDENDI, INTERESSI E CANONI 102
- CAPITOLO 5: TRANSFER PRICING
5.1 IL TRANSFER PRICING NEL DIRITTO ITALIANO 105
5.2 LA PROSPETTIVA AMERICANA 107
5.3 IL TRANSFER PRICING NEL TRATTATO ITALIA – USA TRA IL MODELLO OCSE E IL MODELLO AMERICANO 108
- CONCLUSIONE
INTRODUZIONE
Questa tesi ha lo scopo di analizzare il Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni facendo emergere le differenze tra il Modello OCSE e il Modello americano. In particolare si cerca di evidenziare quale tra i due Modelli risulta predominante nel Trattato considerato. L’Italia, nello stipulare accordi contro le doppie imposizioni con altri Paesi, segue il Modello OCSE mentre gli Stati Uniti seguono il Modello americano.
Nel primo capitolo si illustrano gli aspetti generali che si riferiscono al fenomeno delle doppie imposizioni e come gli Stati hanno cercato di risolvere questa problematica. La doppia imposizione nasce quando uno stesso soggetto crea criteri di collegamento in più Stati per lo stesso reddito. Questo tema ha acquistato notevole rilevanza soprattutto negli ultimi decenni in seguito ad una crescente globalizzazione che ha permesso ai soggetti di produrre la maggior parte del loro reddito oltre i confini nazionali. Gli Stati quindi, per evitare di penalizzare il soggetto che si trova ad essere sottoposto alla doppia tassazione, hanno deciso di stipulare delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Nell’analisi della Convenzione Italia – Usa si fa particolare attenzione all’ambito di applicazione oggettivo e soggettivo; in quest’ultimo si rileva una predominanza della disciplina statunitense, infatti, si inseriscono tra le persone alle quali si applica la Convenzione i trust e le partnership. Questi due soggetti sono stati analizzati anche in riferimento ad aspetti particolari legati alla loro residenza all’interno del secondo capitolo.
È fondamentale trattare il tema della residenza, approfondito nel capitolo 2, in quanto tale concetto è strettamente collegato a quello di persona poiché una persona che non sia residente non può beneficiare della Convenzione, cosi come per un residente che non rientri nella definizione di persona. Tra i soggetti ai quali
si applica la Convenzione rientrano anche le società che stabiliscono con lo Stato della fonte una stabile organizzazione, concetto approfondito nel paragrafo 2.3.4.
Nel terzo capitolo vengono analizzate le categorie di reddito nelle quali si riscontrano alcuni importanti aspetti della disciplina che permettono di evidenziare quale dei due Modelli prevale rispetto all’altro. In particolare si fa riferimento ai dividendi, interessi, royalties, utili di capitale e reddito da lavoro dipendente.
Questa tesi, oltre ad evidenziare l’importanza delle Convenzioni come strumento per evitare le doppie imposizioni, permette di sottolineare il ruolo che tali Convenzioni assumono nella lotta contro l’elusione fiscale. Nel quarto capitolo si specifica come gli Stati contraenti del Trattato Italia – Usa si sono tutelati introducendo delle specifiche clausole anti-abuso come le LOB.
Le Convenzioni non disciplinano tutte le fattispecie possibili che si possono verificare e di conseguenza per gli Stati è necessario avviare delle procedure amichevoli che permettono di risolvere le controversie. Un caso tipico oggetto di discussione è il transfert pricing, approfondito nell’ultimo capitolo.
Pertanto, con la seguente tesi, si vuole dare una visione chiara della situazione attuale e delle esigenze emergenti in modo tale da palesare quello che gli Stati devono tenere maggiormente in considerazione per riuscire a stipulare delle convenzioni efficaci ed efficienti in un ambiente sempre più complesso e caratterizzato dalla delocalizzazione.
CAPITOLO 1:
LE CONVENZIONI CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI
1.1 CARATTERI GENERALI DEL FENOMENO DELLE DOPPIE IMPOSIZIONI
1.1.1 Nascita e definizione del concetto di doppie imposizioni
La doppia imposizione è il fenomeno per cui uno stesso reddito, bene o atto viene tassato più volte in paesi diversi in capo ad uno o più soggetti giuridici.
La nozione di doppia imposizione rimane tuttavia assai generica non esistendo una norma internazionale che la vieti espressamente.
Essa si forma quando manca il coordinamento tra i vari Stati generando un concorso di potestà impositive unilaterali1 in quanto ogni Stato presenta autonomamente la potestà impositiva su di uno stesso reddito che può dar luogo ad un potenziale “conflitto di pretese impositive”2.
Questo nasce dal fatto che uno Stato, dotato di autonoma sovranità, può avere “pretesa impositiva” sui redditi che risultano connessi al proprio ambito.
Gli Stati e i rispettivi ordinamenti giuridici devono coesistere e ciascuno Stato cerca di estendere il più possibile la propria potestà tributaria; questo avviene perché ogni Stato è libero di tassare fatti ad esso collegati in base ad un criterio personale, a prescindere dalla localizzazione3.
La doppia imposizione è un fenomeno che ha trovato ampio riscontro soprattutto negli ultimi anni ed è una problematica che gli Stati stanno cercando di
1 GUERRA C., La doppia imposizione internazionale, in Diritto Tributario Internazionale, Padova, 2012
2 GARBARINO C., Manuale di tassazione internazionale, IPSOA, 2008
3 TARIGO P., Il concorso di fatti imponibili nei trattati contro le doppie imposizioni, Giappichelli editore, Torino, 2008
fronteggiare dandosi delle regole per evitare o quanto meno limare questa distorsione del mercato in quanto essa rappresenta un fenomeno percepito negativamente dalle comunità internazionali siccome altera la concorrenza a svantaggio di determinati soggetti scoraggiando il movimento di capitali e gli scambi.
La doppia imposizione trae origine principalmente dal suo carattere di trans- nazionalità; quest’ultimo riguarda i flussi di reddito scambiati tra soggetti residenti in Stati diversi. Il reddito transnazionale è quindi potenzialmente soggetto alla potestà impositiva di più Stati4.
La trans-nazionalità dei redditi è aumentata a causa di una globalizzazione in perenne crescita che ha portato ad un aumento della quota di reddito di ciascun individuo formata da fonte estera e ad una forte internazionalizzazione e dematerializzazione della ricchezza. Si è assistito negli ultimi decenni ad una progressiva evoluzione dei mezzi di comunicazione con conseguente allargamento dei mercati disponibili in un contesto in cui i fattori economici si muovono sempre più velocemente. In un mondo sempre più caratterizzato da questi fattori, risulta più facile per le persone fisiche e per le imprese investire ed intraprendere iniziative commerciali oltre i confini nazionali.
Tuttavia è importante sottolineare come i soggetti economici sono liberi di localizzare la propria ricchezza tenendo presente anche l’aspetto fiscale attraverso la cosiddetta pianificazione fiscale. Tali soggetti possono optare per quel sistema tributario che gli permette di ottenere un maggior risparmio d’imposta e questo meccanismo è del tutto legale ed autorizzato. Tutto questo, però, può sfociare in fenomeni di evasione ed elusione fiscale quando l’unico parametro su cui si basa la scelta del soggetto è quello di approfittare illecitamente di regimi fiscali più vantaggiosi dei Paesi a fiscalità privilegiata oppure quando l’attività non viene effettivamente svolta in quel Paese.
In ogni caso, quando le norme interne degli Stati sono perfettamente complementari e di conseguenza la tassazione del reddito è ripartito esattamente tra gli Stati, non sorgono doppie imposizioni.
4 ADONNINO, La prevenzione e soluzione delle controversie tributarie in sede internazionale, in Riv. Dir. trib., Padova, 2005
Da qui la nascita delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizione (che verranno introdotte nei prossimi paragrafi) allo scopo di ripartire tra gli Stati contraenti la potestà impositiva delle diverse fattispecie reddituali5.
Le convenzioni sono nate anche per migliorare l’efficacia degli scambi di informazioni tra le autorità fiscali dei diversi Stati che spesso lasciano delle controversie irrisolte e vanni a costituire un pesante ostacolo allo sviluppo delle relazioni economiche tra Stati. Le controversie rimangono talvolta non risolte anche dopo le procedure amichevoli in quanto il loro buon esito dipende da una volontà degli Stati6.
Negli ultimi anni per fronteggiare questa problematica le Nazioni si sono adoperate per promuovere iniziative di una maggiore collaborazione.
L’obiettivo finale è quello di riuscire a raggiungere una “neutralità fiscale” nella quale il prelievo fiscale, esercitato dai diversi Stati, non influenza la scelta del contribuente su dove effettuare l’investimento.
La totale neutralità dovrebbe prevedere che tutti gli Stati applichino le stesse aliquote di tassazione; questo è un obiettivo utopico ed impossibile da raggiungere dato che ogni Stato ha il potere di sovranità. Quindi ogni Stato è libero di scegliere le proprie aliquote e questo fattore non paralizza gli scambi all’interno del mercato mondiale, anzi stimola i soggetti a spostarsi anche in base alle convenienze economiche collegate alla tassazione. Di conseguenza è necessario che il problema delle doppie imposizioni venga regolamentato attraverso l’introduzione delle convenzioni.
Quello che si deduce da una prima analisi riguarda l’importanza di eliminare la doppia imposizione perché è un forte ostacolo al funzionamento dell’economia mondiale.
Il diritto che si occupa di disciplinare questi meccanismi è il diritto tributario internazionale che è quella branca del diritto che regola la vita della comunità internazionale e che si pone al di sopra degli ordinamenti giuridici dei vari Stati7. Il diritto tributario internazionale ha l’obiettivo di risolvere il conflitto delle
5 VALENTE P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016
6 FANTOZZI A., Il diritto tributario, Torino, 2003
7 CARPENTIERI, LUPI, STEVANATO, Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano, 2003
pretese impositive dei singoli Stati e disciplinare le variabili fiscali che recentemente hanno acquisito una sempre maggior rilevanza strategica nella competitività delle aziende8.
1.1.2 Le fonti del diritto tributario internazionale e la gerarchia delle fonti
Le fonti del diritto tributario internazionale sono desumibili dall’art. 38 dello statuto della corte internazionale.
L’art. 38 afferma: “La Corte, cui è affidata la missione di regolare conformemente al diritto internazionale le divergenze che le sono sottoposte, applica:
• Le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite;
• La consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata come diritto;
• I principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;
• Con riserva della disposizione dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche.”
Per quanto riguarda le convenzioni sono delle fonti scritte che presuppongono l’esistenza di un accordo tra Stati9, che verranno approfondite dettagliatamente nel proseguo del capitolo.
Le consuetudini, invece, sono dei comportamenti ripetuti posti in essere con la convinzione di seguire una norma di legge; la reiterazione del comportamento costituisce una fonte del diritto. Non tutte le dottrine sono d’accordo sul fatto che le consuetudini possano costituire norma di legge in materia tributaria10.
8 NOVA A., ZANETTI L., Fiscalità e strategie d’imprese, EGEA, Milano, 1999
9 GIULIANI M., La interpretazione delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi, in Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 1999
10 PORCARO G., Il divieto di doppia imposizione nel diritto interno, CEDAM, 2001
Rientrano tra le fonti anche i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili che sono una particolare espressione delle consuetudini. Per essere vincolanti devono essere accertati e uniformemente applicati dalla maggior parte degli Stati.
Le fonti si distinguono tra:
• Diritto interno: nell’ambito del diritto tributario le norme interne determinano i criteri di collegamento, disciplinano il trattamento tributario di determinate fattispecie e sono presenti inoltre norme interne per evitare la doppia imposizione;
• Diritto convenzionale: come detto, le convenzioni sono trattati in forma scritta conclusi tra uno o più Stati per limitare le doppie imposizioni;
• Diritto comunitario: si distingue tra diritto comunitario primario e diritto comunitario derivato. Il primo contiene le norme del trattato istitutivo mentre il secondo è costituito dalle direttive e regolamenti.
Per quanto riguarda i regolamenti sono fonti obbligatorie per tutti i cittadini dell’UE che operano come fonti del diritto all’interno dei singoli Stati senza la necessità che i singoli Stati li recepiscano.
La direttiva invece è una fonte che per diventare norma di legge deve essere oggetto di recepimento da parte degli Stati; essa, a differenza dei regolamenti, lascia dei margini di scelta su come recepire ed applicare le norme contenute all’interno della direttiva;
• Diritto internazionale: questo diritto introduce dei principi, i quali verranno approfonditi nel proseguo del capitolo, come la tassazione in base alla fonte effettiva del reddito e il concetto di World Wide Taxation;
• Diritto sopranazionale: il conflitto tra le varie giurisdizioni può portare all’emergere di dimensioni fiscali sopranazionali. Si formano le cosiddette soft tax low che indicano quegli atti o fatti che non costituiscono né fonti del diritto internazionale né del diritto interno ma acquistano effetti giuridici11.
11 PIAZZA M., Guida alla fiscalità internazionale, Il Sole 24 Ore, 2004
1.1.3 Doppie imposizioni giuridiche ed economiche
Il fatto che la doppia tassazione possa avvenire in capo allo stesso soggetto o in capo a due soggetti diversi permette di individuare due tipologie differenti di doppia imposizione: “la doppia imposizione internazionale giuridica” e “la doppia imposizione internazionale economica”.
I trattati internazionali tendono prevalentemente ad eliminare soltanto la doppia imposizione giuridica
In riferimento alla doppia imposizione internazionale giuridica essa viene definita come “l’applicazione di imposte comparabili in due (o più) Stati allo stesso contribuente, per il medesimo fatto generatore e per periodi identici”12.
Un esempio riguarda il caso in cui un individuo risulta fiscalmente residente in Italia e produce un reddito in Germania. La Germania attraverso il “criterio della fonte”13 è autorizzata a tassare quel reddito all’interno del suo Paese ma dal momento in cui in Italia si adotta il criterio World Wide Taxation14 si manifesta la doppia imposizione giuridica. In altre parole il cittadino italiano che produce reddito in Germania viene tassato in entrambi gli Stati perché entrambi hanno maturato il diritto di tassazione.
Per quanto riguarda invece la doppia imposizione internazionale economica essa avviene quando uno stesso reddito viene tassato da due Stati diversi in capo a due soggetti diversi.
I casi più frequenti in cui si manifesta questo fenomeno sono rappresentati dal
transfert pricing15 e dalla distribuzione dei dividendi di società di capitali.
12 OCSE, Modello di convenzione 2005, Introduzione, par.1. La definizione è succintamente ripresa nel par. 1 del commentario agli artt. 23 A e 23 B.
13 Criterio della Fonte: se un reddito viene prodotto all’interno di uno stato quello stato ha diritto alla tassazione perché si deve considerare dove è stato prodotto quel reddito.
14 Criterio World Wide: prevede la tassazione in Italia del reddito ovunque prodotto nel Mondo dai soggetti fiscalmente residenti in Italia
15 Il Transfert Pricing si occupa di stabilire quali sono i prezzi di trasferimento, adeguati ai fini fiscali, nell’ambito di operazioni tra società che appartengono allo stesso gruppo e localizzate in stati differenti.
In merito all’applicazione delle norme sul transfert pricing si può considerare il caso in cui si verifichi una vendita di un bene da una società italiana ad una società tedesca appartenenti entrambe allo stesso gruppo. Se il bene viene venduto ad un prezzo che lo Stato italiano considera troppo basso, quest’ultimo verrà tassato su un importo maggiore di ricavi. Di conseguenza anche lo Stato tedesco dovrebbe riconoscere maggiori costi in modo tale che ci si possa dedurre un importo superiore e quindi allineare i valori per non generare doppia imposizione. Se ciò non avviene, lo stesso reddito risulta tassato due volte: una in Italia e una in Germania perché ad una tassazione su maggiori ricavi non corrisponde una tassazione su maggiori costi e quindi si riconoscerebbe una deduzione minore.
Il caso di doppia imposizione internazionale economica si manifesta anche in merito alla distribuzione di dividendi in società di capitali: un esempio riguarda il reddito prodotto da una società francese il quale reddito viene tassato in Francia in capo alla società e, successivamente, gli utili al netto delle imposte vengono distribuiti sottoforma di dividendi ad un socio fiscalmente residente in Italia. Su questi dividendi lo Stato italiano opera un’ulteriore tassazione. Il dividendo quindi risulta tassato due volte sia in capo alla società partecipata sia in capo al socio.
Si deve prestare particolare attenzione al caso della distribuzione dei dividendi perché può dare luogo anche alla doppia imposizione giuridica oltre a quella precedentemente illustrata.
Il dividendo prodotto dalla società francese e distribuito ad un socio italiano, può essere tassato due volte in capo allo stesso soggetto quando lo Stato francese applica una ritenuta all’uscita sul dividendo. Oltre a tale ritenuta operata dalla Francia anche lo Stato italiano tassa ordinariamente il dividendo e questo causa doppia imposizione giuridica.
1.1.4 Criteri di collegamento
Gli esempi appena descritti illustrano le differenze tra le doppie imposizioni giuridiche ed economiche, ma non viene approfondito da cosa nasce la doppia imposizione. Quest’ultima si genera quando un soggetto realizza dei criteri di
collegamento in più territori relativamente alla stessa operazione in modo che entrambi gli Stati hanno diritto a tassare secondo la loro giurisdizione interna16. Questi criteri di collegamento possono essere principalmente di due tipi:
• Criterio di collegamento soggettivo:
i vari Paesi possono decidere se utilizzare come criterio di collegamento soggettivo il criterio della cittadinanza o della residenza fiscale.
Il primo è il principio adottato, ad esempio, negli Stati Uniti. Si diventa cittadino statunitense quando si nasce nel territorio degli Stati Uniti o si nasce in un paese straniero ma si hanno uno o entrambi i genitori con cittadinanza statunitense; altrimenti si può divenire statunitensi attraverso un processo detto di naturalizzazione subordinatamente a determinati requisiti. Il secondo criterio, quella della residenza fiscale, è utilizzato dalla maggior parte degli Stati industrializzati17. In Italia tale criterio della residenza viene sancito dall’Art. 2 del Testo Unico per le persone fisiche residenti e dall’Art. 73 comma 3 del Testo Unico per quanto riguarda le società ritenute residenti in Italia ai fini della tassazione.
L’Art 2 del TU recita così: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile “.
Quindi per la maggior parte del periodo d’imposta (ovvero almeno 183 giorni all’anno) la persona fisica deve soddisfare almeno uno dei seguenti elementi:
1. Iscrizione all’anagrafe: è un dato formale che si può reperire attraverso la consultazione dell’anagrafe presso i comuni italiani;
2. Residenza in senso civilistico: l’art 43 del TU identifica come residenza in senso civilistico la dimora abituale in cui il soggetto si trova abitualmente a svolgere la propria attività, le proprie relazioni familiari e sociali;
16 BAGGIO, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009
17 VIAL E., Fiscalità internazionale in pratica, Gruppo 24 ore, 2012
3. Domicilio in senso civilistico: esso viene inquadrato come il luogo dove si trova la “sede principale degli affari ed interessi della persona fisica”. Generalmente per affari ed interessi si possono considerare sia quelli di carattere economico sia quelli di carattere personale, familiare ed affettivo; la tendenza degli ultimi anni è rivolta a far prevalere quest’ultimo.
L’analisi ora si focalizza sull’art. 73 del TU il quale individua i soggetti passivi di IRES che sono: società di capitali, società cooperative, enti commerciali, enti non commerciali e società ed enti non residenti per i redditi prodotti nel territorio dello Stato.
L’Art. 73 comma 3 del TU recita così: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno: la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato18”.
Dunque, per la maggior parte del periodo d’imposta la società deve soddisfare almeno uno dei seguenti limiti:
1. Sede legale: la data che fa testo è quella che risulta formalmente dall’atto costitutivo o dallo statuto.
2. Sede dell’amministrazione: è la sede in cui vengono svolte le attività amministrative della società quindi il luogo dove vengono prese le decisioni dagli amministratori.
3. L’oggetto principale: è il luogo dove viene svolta l’attività della società.
• Criterio di collegamento oggettivo:
si basa su dove sia localizzata la fonte di reddito.
La maggior parte degli Stati adottano il principio chiamato World Wide Taxation (già accennato in precedenza) che permette allo Stato in questione, denominato “Stato della residenza”, di avere una potestà impositiva illimitata e di poter tassare i redditi dei propri residenti ovunque essi siano
18 GARBARINO C., L’oggetto principale dell’attività quale elemento per determinare la residenza delle persone giuridiche, in Rivista diritto tributario, 2014
prodotti19. Ai soggetti non residenti invece, che non realizzano quindi il criterio soggettivo, viene applicato il criterio oggettivo della fonte e quindi nascono i presupposti per la doppia imposizione. Lo “Stato della fonte”, avendo una potestà impositiva limitata, può tassare i redditi dei non residenti solamente se hanno la “fonte” nel territorio dello Stato stesso e nei limiti del reddito prodotto in tale Stato.
Un’ulteriore problematica, legata ai concetti appena espressi, che può sorgere in merito alla nascita di doppie imposizioni è quando entrambi gli Stati considerano il soggetto fiscalmente residente nel proprio territorio oppure quando entrambi gli Stati considerano la fonte del reddito situata nel loro territorio non riuscendo, quindi, a stabilire correttamente dove una certa attività produttiva sia stata svolta20.
1.2 LA CONVENZIONE
1.2.1 Nascita e caratteristiche generali di Convenzione
Per risolvere il problema del concorso di potestà impositive è permesso ad ogni Stato di poter stipulare con altri Stati convenzioni bilaterali o multilaterali.
Le convenzioni sono delle fonti scritte che presuppongono un accordo tra Stati; queste vengono stipulate tra Stato della residenza e Stato della fonte, chiamati anche Stati Contraenti21.
19 GARBARINO C., Manuale di tassazione internazionale, IPSOA, 2008
20 VALENTE P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016
21 POZZO, L’interpretazione delle Convenzioni internazionali contro la doppia imposizione, in Diritto tributario internazionale (coordinato da UCKMAR), Padova, 2005
Esse si formano sulla base di un negoziato tra rappresentanze diplomatiche e successivamente questo negoziato viene firmato e ratificato. In Italia, ad esempio, la ratifica avviene con firma del Presidente della Repubblica dopo il voto favorevole delle camere. Per poter diventare norma di legge operante negli Stati deve avvenire lo scambio degli strumenti di ratifica; da questo momento in poi la convenzione produce effetti giuridici vincolanti per gli Stati.
Per quanto riguarda l’interpretazione delle convenzioni bisogna fare riferimento alla Convenzione di Vienna del 1969 la quale stabilisce che le convenzioni vanno stipulate con il principio di “buona fede” attribuendo ai singoli termini il significato più coerente che essi hanno nel contesto in cui vengono collocati e, inoltre, considerando l’oggetto e il fine della convenzione.
La Convenzione di Vienna disciplina, tra le altre, anche i numerosi casi in cui le convenzioni vengono redatte in più lingue in cui le parole potrebbero assumere un significato diverso; in questi casi bisogna cercare di interpretare le parole in modo tale da far convergere il significato dei due testi.
Anche la Convenzione di Bruxelles (Convenzione multilaterale che è entrata in vigore il 1°gennaio 1995) tratta il tema della doppia imposizione a livello comunitario.
Gli Stati che hanno aderito a quest’ultima hanno istituito delle regole per evitare la doppia imposizione che può scaturire in particolare nei casi di transfert pricing; infatti quando uno Stato modifica la tassazione del ricavo anche l’altro Stato deve fare un aggiustamento corrispondente in modo da eliminare le doppie imposizioni derivanti da rettifiche di utili e prezzo di trasferimento tra le imprese associate22. Attraverso la Convenzione di Bruxelles è possibile tracciare il percorso delle operazioni di scambio tra società appartenenti allo stesso gruppo ed in questo modo è possibile risolvere i dissidi tra amministrazioni finanziarie dei vari Stati in tema di determinazione dei prezzi di trasferimento.
Gli Stati contraenti nello stipulare una convenzione si ispirano a dei modelli: quest’ultimi propongono delle clausole standard che gli Stati possono utilizzare
22 TOSI L., BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, CEDAM, 2016
come “matrice” o “linea guida” per formulare le loro convenzioni e sono spesso accompagnati da commentari.
Ogni Trattato tra due o più Stati contraenti risulterà unico perché avrà delle particolarità che lo differenzieranno dagli altri in quanto gli Stati sono liberi di decidere quali clausole inserire a seconda delle loro esigenze.
Il modello non è considerato una legge ma ha valenza di supporto cioè di “soft law” ovvero una “legge morbida” che ha solo un valore di persuasione. Quindi, per vedere la reale disciplina in vigore, si deve considerare solo ed esclusivamente la convenzione effettivamente stipulata tra gli Stati contraenti.
Il modello utilizzato in Europa è il Modello OCSE23 che rappresenta gli interessi dei Paesi industrializzati.
Per quanto riguarda invece i Paesi in via di sviluppo viene utilizzato come base il Modello ONU; la sua particolarità consiste nel contenere al suo interno delle clausole più favorevoli per la parte più “debole”. In questo modo si cerca di tutelare i Paesi in via di sviluppo come, ad esempio, in materia di transfert pricing si cerca di suddividere i profitti realizzati attraverso le esportazioni tra Paese produttore e Paese importatore in modo tale che non ci siano delle condizioni più sfavorevoli per il Paese in via di sviluppo.
In America viene utilizzato invece il Modello Americano contro le doppie imposizioni denominato United States Model Income Tax Convention.
La seguente tesi si occupa di analizzare il Trattato stipulato tra l’Italia e gli Stati Uniti che utilizza come base il Modello OCSE e il Modello Americano per permette di evidenziare quale dei due modelli “prevale” e quali clausole tipiche di una o dell’altra convenzione vengono inserite nel Trattato Italia – Usa.
Come visto, è importante sottolineare come le norme convenzionali sono fondamentali per riuscire a risolvere o quantomeno limitare il problema della doppia imposizione in quanto riescono a stabilire a quale dei due Stati contraenti spetti la potestà impositiva non imponendo degli obblighi di tassazione24.
23 OCSE acronimo di Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
24 MAISTO G., Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni, Giuffrè, Milano, 2015
L’importanza della convenzione deriva principalmente dalle seguenti funzioni che essa svolge e che verranno approfondite nei prossimi capitoli:
• Risolve i casi di doppia residenza, riservando la residenza al paese in cui la società è amministrata;
• Elimina la doppia imposizione mediante il metodo del credito d’imposta o dell’esenzione;
• Limita le ritenute alla fonte sui flussi di dividendi, interessi e royalties;
• Prevede la procedura amichevole tra gli Stati quando la convenzione non risulta efficace. Attraverso la procedura amichevole le autorità degli stati coinvolti hanno l’obbligo di attivarsi presso le autorità dell’altro Stato per assegnare una tassazione conforme a quanto prevede la convenzione alla persona. Inoltre le procedure amichevoli hanno la funzione di far coordinare gli Stati nel dare interpretazioni univoche ai termini usati nella convenzione;
• Permette lo scambio di informazioni tra gli Stati per combattere l’evasione fiscale.
È importante sottolineare come le convenzioni non eliminano completamente la doppia imposizione in quanto spesso per determinate categorie di reddito viene prevista la tassazione concorrente (anche se limitata) tra i due Stati. Di qui l’esigenza di adottare specifici metodi per eliminare le doppie imposizioni che verranno analizzate nei prossimi paragrafi.
1.2.2 Rapporto tra normativa interna e Convenzione
Garbarino nel suo libro illustra questo criterio: “Poiché le norme convenzionali prevalgono sulle norme interne, allora in relazione alle diverse fattispecie, si applicano i criteri di collegamento previsti dalle norme convenzionali, con la conseguenza che, in base ad esse, la potestà impositiva spetta allo Stato contraente
nei riguardi del quali si verifica il criterio di collegamento previsto dalle norme convenzionali stesse”25.
Questo concetto esprime che le norme convenzionali prevalgono sulle norme interne.
Tuttavia le norme convenzionali e le norme interne non entrano in competizione tra loro; infatti se la norma interna di uno Stato non prevede la tassazione per un determinato reddito, anche se la convenzione attribuisce a quello Stato il potere di tassare quel reddito, quel reddito non viene tassato26. Ad esempio se ci si imbatte in un caso di doppia imposizione tra Germania ed Italia in cui la norma convenzionale stabilisce che la potestà impositiva spetti solo ed esclusivamente alla Germania e, quest’ultima non esercita la tassazione perché la norma interna non lo prevede, allora il componente in oggetto non risulterà tassato in nessuno Stato.
La convenzione deriva da un accordo tra due Stati sovrani che viene recepita con uno strumento interno (ad esempio in Italia con la legge) ed entra in vigore soltanto dopo lo scambio degli strumenti di ratifica tra i due Paesi27.
Tuttavia possono venire applicate, se più favorevoli per il contribuente, le disposizioni interne: in Italia questa clausola di favore è prevista dalla norma contenuta nell’Art 169 del Testo Unico.
Nel valutare l’eventuale assoggettamento a tassazione di un provento conseguito in un altro Stato risulta più conveniente considerare prima cosa dispone la normativa interna in merito all’esistenza della tassazione per quella determinata fattispecie. Se è prevista, si andrà a confrontare la normativa interna con la normativa convenzionale. Perché vi sia tassazione, quindi, vi deve essere sia il requisito sancito dal criterio di collegamento della norma convenzionale sia della norma interna28.
25 GARBARINO C., Manuale di tassazione internazionale, IPSOA, 2008
26 MAISTO, Le interrelazioni tra “diritto tributario comunitario” e “diritto tributario internazionale”, in Riv. dir. trib., 2006
27 VIAL E., Fiscalità internazionale in pratica,, Gruppo 24 ore, 2012
28 CATALDI, Rapporti tra norme internazionali e norme interne, in Dig. Disc. Pubbl., 1997
La convenzione, pertanto, non preclude l’applicazione di una disposizione di maggiore favore prevista dalla norma interna. Ad esempio, la convenzione tra l’Italia ed il Lussemburgo prevede che i dividendi in uscita dall’Italia non possono scontare una ritenuta superiore al 15% mentre la normativa interna prevede che, nel rispetto di determinate condizioni, non si deve applicare la ritenuta. In questo caso, quindi, essendo la norma interna più favorevole per il contribuente quest’ultimo potrà applicare la norma interna.
Differente risulta il rapporto tra norme interne e norme convenzionali negli Stati Uniti. Le convenzioni stipulate dagli Stati Uniti sono fortemente influenzate dalle norme interne statunitensi in quanto il rapporto tra un trattato e le leggi federali sono di pari grado e quindi una legge federale successiva in contrasto con un trattato internazionale può derogare quest’ultimo29. Questo però non permette agli Usa di venire meno dagli obblighi derivanti da un trattato internazionale. Anche negli Stati Uniti, come in Italia, la convenzione non può creare un nuovo presupposto di tassabilità oppure introdurre aliquote d’imposta più alte di quelle imposte dalle normative interne. La convenzione non può essere più svantaggiosa per il contribuente rispetto alla legge interna e nel caso fosse più svantaggiosa non verrebbe applicata.
1.2.3 Clausole preferenziali e concorrenziali
Generalmente le clausole convenzionali non sono mai radicali, infatti difficilmente prevedono che la potestà impositiva spetti esclusivamente ad un solo Stato in via esclusiva, ma tendenzialmente vengono inserite clausole di tipo “concorrenziale” o “preferenziale”.
Con il termine clausole concorrenziali si identificano quelle clausole che attribuiscono la tassazione solitamente allo Stato della fonte ma non escludono la tassazione da parte dello Stato della residenza. I due Stati vengono cosi messi “in
29 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito, in Bollettino tributario, 2009, pagg. 852
competizione” e non viene risolto il problema della doppia tassazione in quanto non vengono posti dei limiti e nemmeno indicato quale dei due Stati può tassare esclusivamente.
Per clausole preferenziali, invece, si intendono le clausole che prevedono che la tassazione di un certo componente reddituale competa ad uno dei due Stati, in particolare, allo Stato della residenza. La convenzione però non esclude che la tassazione possa essere esercitata anche dallo Stato della fonte fissando però per quest’ultimo un limite massimo alla potestà di tassazione30.
Ad esempio, per quanto riguarda un dividendo pagato da una società spagnola ad un socio residente negli Stati Uniti, la tassazione del dividendo avviene in USA ma la Spagna può trattenere una ritenuta del 5% o al massimo del 15% sul dividendo in uscita quando questo viene pagato all’estero. In questo caso quindi la clausola di tassazione preferenziale non elimina ma limita la doppia imposizione; la limitazione è data dalla parziale tassazione prevista dalla convenzione per lo Stato della fonte.
1.2.4 Metodi di eliminazione della doppia imposizione
Nei casi in cui si verifica la doppia imposizione sono presenti norme interne nei diversi ordinamenti o convenzioni che hanno la funzione di eliminarla.
Se gli Stati nella loro norma interna non hanno clausole per evitare la doppia imposizione internazionale e, invece, uno di questi metodi è previsto dalla convenzione, gli Stati sono obbligati ad applicare la norma convenzionale per evitare la doppia imposizione. In questo modo si andrà a ridurre o ad eliminare la doppia imposizione rimanente dopo che sono state applicate le clausole precedenti nel caso fossero presenti.
Queste norme, siano esse interne o convenzionali, adottano i seguenti tre metodi:
• Metodo dell’esenzione: con questo metodo lo Stato della residenza non considera tassabili i redditi prodotti all’estero dai propri residenti e
30 GARBARINO C., Manuale di tassazione internazionale, IPSOA, 2008
attribuisce unilateralmente allo Stato della fonte l’esercizio esclusivo della potestà impositiva. Questo metodo cristallizza la tassazione sul livello della fonte e il reddito di un residente che produce reddito all’estero rimane tassato soltanto con l’aliquota estera. Il prelievo a cui è assoggettato il soggetto residente che produce reddito estero può essere maggiore o minore rispetto al medesimo reddito prodotto da un soggetto residente che produce reddito interno a seconda che l’aliquota dello Stato della fonte sia maggiore o minore di quella dello Stato della residenza;
• Metodo della deduzione: con questo metodo le imposte estere sono assimilate agli altri costi inerenti alla produzione del reddito ammessi in deduzione. Attraverso l’applicazione di tale metodo non viene conseguita la completa eliminazione della doppia imposizione ma quest’ultima viene solamente attenuata attraverso la riduzione dell’onere fiscale complessivo gravante sul soggetto che consegue redditi di fonte estera;
• Metodo del credito d’imposta: con questo metodo viene concesso al contribuente la possibilità di detrarre le imposte pagate all’estero sui redditi ivi prodotti dall’imposta sul reddito. Quindi, con tale procedimento, si tende ad omologare il livello di tassazione sull’aliquota dello Stato della residenza. Quando la convenzione regola il credito d’imposta viene previsto che nel momento in cui un residente di uno Stato contraente produce dei redditi che sono imponibili anche nell’altro Stato contraente, il primo Stato concede un ammontare pari all’imposta sul reddito pagata nell’altro Stato come deduzione d’imposta sul reddito del soggetto residente. Tale deduzione non può eccedere la quota d’imposta sul reddito calcolata prima di effettuare la riduzione.
Ad esempio se un soggetto in Italia ha un aliquota del 43 % e all’estero su quel reddito ci ha pagato il 30 % di aliquota, al massimo in Italia questo soggetto potrà avere un credito d’imposta del 30 %. Quindi il reddito estero rimarrà tassato in Italia al 13 % e per il restante 30 % all’estero.
Una regola da tenere in considerazione è quella che disciplina che le imposte all’estero vanno considerate nella stessa proporzione in cui il reddito estero
partecipa alla formazione del reddito italiano, ad esempio, come vedremo in seguito, i dividendi. Inoltre, le imposte estere che si possono scomputare sono quelle pagate a titolo definitivo e bisogna fare il conteggio per ogni Paese separatamente.
È importante sottolineare che gli Stati Uniti sono stati i precursori nell’adottare misure per eliminare la doppia imposizione nel loro ordinamento interno attraverso il credito d’imposta. Chiaramente la detrazione delle imposte estere non può eccedere la quota d’imposta corrispondente il rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al netto di eventuali perdite dei precedenti periodi d’imposta.
Anticipando solo per un momento quello che sarà il tema dei prossimi paragrafi, vengono ora introdotti alcuni aspetti del credito d’imposta del Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni.
L’Italia ha previsto come disposizione unilaterale la disciplina, appena descritta, del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero31. Lo stesso è previsto dalle norme interne degli Stati Uniti.
L’eliminazione della doppia imposizione è disciplinata nell’art. 23 del Trattato Italia – Usa.
Il comma 2 di tale articolo disciplina il credito d’imposta che gli Usa applicano ai propri residenti per i redditi provenienti da fonti italiane. Tra questi redditi è importante inquadrare l’IRAP tra le imposte sul reddito in modo da permettere l’accredito negli Stati Uniti. Questo tema verrà approfondito nel paragrafo relativo all’ambito oggettivo del Trattato Italia – Usa.
Il comma 3 del medesimo articolo prevede invece il credito d’imposta previsto per un residente italiano con redditi da fonte statunitensi e tale formulazione corrisponde a quella descritta precedentemente in cui “l’ammontare della deduzione non può eccedere la quota della predetta imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.
31 TOSI L., BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, CEDAM, 2016
Nella seconda parte del comma 3 viene concesso il credito d’imposta nel caso in cui la ritenuta a titolo d’imposta non è opzionale bensì obbligatoria32.
1.3 INTRODUZIONE ALLA CONVENZIONE ITALIA-USA CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI SUL REDDITO
1.3.1 Modello OCSE
Il Modello OCSE contiene le linee guida e le clausole esemplificative di cui gli Stati contraenti tengono generalmente conto nella stesura delle convenzioni stipulate con altri Stati. Quest’ultimi, quindi, si ispirano al Modello OCSE quando vanno a redigere una convenzione contro le doppie imposizioni pur rimanendo liberi di modificare il modello33.
Il primo modello di Convenzione Ocse fu pubblicato nel 1963 e da subito ha assunto una notevole importanza sulla negoziazione, applicazione ed interpretazione delle convenzioni e non solo tra i paesi aderenti34.
Pur non essendo inclusa tra le fonti del diritto, la Convenzione Ocse è divenuta una guida comunemente accettata per l’applicazione e interpretazione delle disposizioni dei trattati vigenti e la sua valenza in quest’ambito è stata riconosciuta dalla stessa Amministrazione Finanziaria in diverse occasioni35.
Le funzioni del Modello Ocse e delle convenzioni bilaterali che su di esso si basano sono principalmente:
32 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito, in Bollettino tributario 2009, pagg. 863
33 CERRATO, La rilevanza del Commentario Ocse ai fini interpretativi: analisi critica dei più recenti indirizzi giurisprudenziali, in Riv. dir. trib., 2009
34 VIAL E., Fiscalità internazionale in pratica,, Gruppo 24 ore, 2012
35 Si citano tra le varie: Ris. 21.04.2008, n 167/E, 10.04.2008, n 141/E, 03.04.2008, n 128/E, 05.11.2007, n. 312/E, 28.05.2007, n. 119/E
• Eliminare la doppia imposizione internazionale: questa è la funzione primaria del Modello Ocse;
• Risolvere le controversie: il Modello Ocse si occupa di trovare delle soluzioni ai problemi interpretativi e applicativi delle convenzioni. Anche per questo motivo viene prevista la procedura amichevole;
• Evitare l’evasione fiscale: si tratta di un obiettivo indiretto della convenzione. Questo scopo si realizza attraverso lo scambio di informazioni, mutua assistenza nella riscossione dei crediti e altre forme di cooperazione36.
La struttura del Modello Ocse è articolata in tre parti:
• La prima parte comprende gli articoli dall’1 al 5 e contiene l’ambito di applicazione della convenzione che riguarda i soggetti residenti di uno degli Stati;
• La seconda parte, che comprende gli articoli dal 6 al 17, è relativa all’imposizione sul reddito;
• La terza parte, comprendente gli articoli fino al 30, è relativa alle disposizioni particolare e finali.
Il Modello Ocse è composto inoltre da dei Commentari che, pur non costituendo uno strumento giuridicamente vincolante, rappresentano un importante aiuto per l’interpretazione delle convenzioni concluse dagli Stati anche se non vengono annessi ai Trattati veri e propri.
Essi sono il risultato di discussioni collettive in cui i rappresentati degli Stati contrenti hanno il diritto di porre determinate riserve37.
36 AMATUCCI, La discriminazione di trattamento nel Modello OCSE, in Riv. Dir. trib., Padova, 1999
37 HEINRICH, MORITZ, Interpretation of Tax Treaties, in European Taxation, 2000
1.3.2 General Scope del Modello americano
Anche il Modello americano viene usato come modello nei trattati stipulati contro le doppie imposizioni, in particolare il modello usato dagli Stati Uniti con altri Stati contraenti.
Il nuovo Modello americano contro le doppie imposizioni, United States Model Income Tax Convention, è entrato in vigore il 17 febbraio 2016 e rispetto al precedente modello sono state fatte solo delle piccole modifiche.
Il United States Model Income Tax Convention è preceduto da un Preambolo il quale introduce la Convenzione e sottolinea le maggiori novità entrate in vigore.
La struttura del Modello americano contro le doppie imposizioni è molto simile a quella del Modello OCSE pur presentando degli aspetti differenti per quanto riguarda il contenuto che influenzeranno il Trattato stipulato tra l’Italia e gli Stati Uniti.
La Convenzione inizia con l’art.1 in cui vengono analizzati i General Scope. Tale articolo non ha un corrispondente nel Modello OCSE in quanto quest’ultimo nell’articolo 1 descrive solamente i soggetti a cui si applica la Convenzione.
Secondo l’art. 1 del Modello americano contro le doppie imposizioni, la presente Convenzione si applica soltanto alle persone che sono residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, except as otherwise provided in this Convention, quindi ad eccezione di quanto diversamente previsto nella presente Convenzione. Nel paragrafo 2 viene stabilito che la Convenzione non limita in alcun modo i benefici secondo la normativa interna degli Stati contraenti o secondo qualsiasi altro accordo di cui entrambi gli Stati contraenti siano parte.
Nei paragrafi successivi vengono delineati i campi di applicazione della Convenzione.
1.3.3 Convenzione Italia - Usa contro le doppie imposizioni
La nuova Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Usa è entrata in vigore il 1°gennaio 2010. Tale Convenzione era stata siglata tra i due Stati il 25
agosto 1999 e lo scambio degli strumenti di ratifica è avvenuto un decennio dopo, il 16 dicembre 2009. Con l’introduzione di questa Convenzione è stata abrogata la Convenzione del 17 aprile 1984.
A causa dell’iter di ratifica molto lungo, il contenuto della “nuova” Convenzione non considera alcuni importanti sviluppi degli ultimi anni sia a livello internazionale sia a livello delle legislazioni nazionali dei due Stati.
Tale percorso di ratifica, come sottolineato, si è contraddistinto per la particolare lunghezza e complessità con un elevato scambio di note diplomatiche. Nonostante questo le modifiche che sono intervenute tra il testo firmato a Washington nel 1999 e il testo della Convenzione ratificato in Italia nel 2009 sono state limitate e hanno riguardato sostanzialmente l’eliminazione, su richiesta americana, delle disposizioni sul main purpose test. Quest’ultima è una clausola antiabuso che impediva al contribuente di ottenere i benefici convenzionali qualora lo scopo di questo fosse stato esclusivamente quello di ottenere tali benefici. Secondo gli Stati Uniti questa disposizione presentava una natura eccessivamente soggettiva che avrebbe dato luogo ad incertezze in capo ai contribuenti.
Lo scambio di note con l’Italia riguardante questo tema è avvenuto tra il 10 aprile 2006 e il 27 aprile 2007 ed ha riguardato anche un chiarimento in merito alla posizione interpretativa dell’art. 26 sullo Scambio di informazioni.
La Convenzione risulta abbastanza articolata e complessa in quanto gli Stati Uniti seguono il proprio modello di convenzione che si differenzia dal Modello OCSE. La nuova Convenzione Italia - Stati Uniti ha portato delle innovazioni riguardanti l’ambito di applicazione soggettivo e la modifica delle aliquote di ritenuta alla fonte sui dividendi, sugli interessi ed analoghi benefici applicabili in materia di royalties. Inoltre è stata introdotta la possibilità di adottare una procedura di composizione delle controversie mediante arbitrato e sono state introdotte le clausole di LOB, ovvero limitations on benefits. Tutti questi aspetti verranno affrontati ed approfonditi nella seguente tesi.
Il Trattato Italia-Usa non segue la ripartizione in capitoli del Modello OCSE anche se la struttura formale risulta essere molto simile ad esso.
Oltre al testo della Convenzione, anche il Protocollo fa parte del Trattato Italia – Usa contenente delle precisazioni al testo della Convenzione stessa ed introduce delle discipline assenti nel testo della Convenzione, come le norme antiabuso.
A far parte della Convenzione ci sono, inoltre, lo Scambio di Note del 27 febbraio 2007 con l’allegato Memorandum d’Intesa.
Notevole importanza nell’interpretazione della Convenzione assumono invece le Relazioni Governative, l’Explanation e le Technical Explanations da parte degli Stati Uniti.
L’Explanation è predisposto dall’organo istituzionale di consulenza legislativa del Congresso, il Joint Committee on Taxation, ed è un documento tecnico per l’interpretazione della Convenzione e per l’indirizzo degli operatori.
Le Technical Explanations invece sono un commento alla Convenzione predisposto dall’Internal Revenue Service.
Da parte italiana tuttavia non esiste un corrispondente commentario.
Il campo di applicazione oggettivo della Convenzione viene definito nell’art. 2 e tale articolo ha la finalità di definire quali imposte rientrano nell’ambito del Trattato Italia - Usa.
Si inizia con l’analisi del comma 1: “La presente Convenzione si applica alle imposte sul reddito prelevate per conto di uno Stato contraente“.
Differentemente dall’art. 2 comma 1 del Modello OCSE in questa formulazione non vengono considerate le imposte prelevate dalle suddivisioni politiche dello Stato o dai suoi enti locali.
L’art. 2 comma 1 è in linea con i Trattati stipulati dagli Stati Uniti nei quali sono considerate solo le imposte federali; rimangono cosi escluse le imposte prelevate dai singoli Stati. Essi godono di una forte autonomia impositiva lasciata loro dai principi costituzionali degli Stati Uniti e questa situazione può generare una doppia imposizione.
Pertanto l’esclusione dell’imposta locale dal Trattato Italia - Usa comporta alcuni effetti in entrambi gli Stati contraenti.
Per quanto riguarda lo Stato della fonte esso applica le limitazioni previste dalla Convenzione solo per le imposte nazionali mentre l’imposta locale viene applicata in ogni caso secondo le leggi interne.
Lo Stato della residenza, invece, interviene per evitare la doppia imposizione concedendo un credito d’imposta per le imposte locali pagate dal soggetto nello Stato della Fonte.
Nel Trattato Italia – Usa si deve riporre particolare attenzione alla questione dell’IRAP38che è un’imposta locale italiana. Gli Stati Uniti non hanno ritenuto rilevante distinguere la natura locale o nazionale dell’IRAP, ma solo di definire tale imposta; infatti gli Usa concedono il credito d’imposta anche per le imposte locali pagate all’estero. Quello che è importante stabilire ai fini della concessione dell’accredito dell’IRAP in Usa è la sua natura d’imposta sul reddito oppure no, e infatti, come specificato in nota, l’IRAP si applica sulle attività produttive generando una situazione poco chiara.
Affinché tale imposta venga definita come imposta sul reddito negli Stati Uniti dovrebbe soddisfare tre requisiti: realizzazione39, ricavi lordi40 e reddito netto41. L’IRAP soddisfa i primi due requisiti ma per quanto riguarda il reddito netto sorge una problematica collegata alla non deducibilità dei costi e spese inerenti alla produzione del reddito come il costo del lavoro e come alcune poste di conto economico riferite alla gestione finanziaria e straordinaria.
Su questo tema sono nate varie discussioni per capire se l’IRAP sia un’imposta sul reddito o meno; il 31 Marzo 1998 è stato stipulato un accordo nel quale si considera definitivamente l’IRAP come imposta sul reddito e questo è ribadito nell’art. 2 comma 2 lettera a) e nell’art. 23 comma 2 lettera c) della Convenzione Italia – Usa.
38 IRAP acronimo di Imposta Regionale Attività Produttive.
39 La realizzazione si concretizza con l’applicazione di un tributo estero nei confronti di fattispecie che originano un reddito imponibile.
40 Il requisito dei ricavi lordi si soddisfa quando un tributo viene applicato ad una base imponibile calcolata principalmente su ricavi lordi e/o sui corrispettivi seguiti dal contribuente che rispecchiano il valore normale dei beni scambiati.
41 Il reddito netto si ottiene applicando il tributo ad una base imponibile determinata attraverso la sottrazione di costi e spese inerenti alla produzione dai ricavi lordi.
Pertanto se un soggetto statunitense viene sottoposto a tassazione IRAP egli può godere del credito d’imposta negli Usa.
Per quanto riguarda il campo di applicazione soggettivo di questo Trattato esso risulta essere parecchio complesso per via di una serie di limitazioni basati sulla policy americana. Il campo di applicazione soggettivo quindi non è delineato solamente dagli art. 1, 3 e 4 della Convenzione. Le limitazioni alle quali facciamo riferimento sono le cosiddette LOB ovvero limitations on benefits le quali hanno lo scopo di garantire che i benefici della Convenzione vengano riservati solo ai soggetti “meritevoli”. Le limitations on benefits sono contenute nell’art. 2 del Protocollo ed erano presenti anche nella precedente Convenzione Italia – Usa solo che in maniera estremamente semplificata e in un ambito di applicazione più limitato. I soggetti per poter beneficiare della Convenzione devono verificare non solamente i presupposti ordinariamente previsti ma anche il superamento di specifici tests che hanno lo scopo di determinare l’effettivo radicamento nel Paese della residenza42. Queste limitazioni intendono evitare che i residenti di Stati terzi costituiscano entità giuridiche in Italia o negli Stati Uniti con lo scopo principale di ottenere i benefici previsti dalla Convenzione.
Con i sopra citati tests sono state identificate delle condizioni oggettive che permettono di determinare le ragioni di insediamento senza ricorrere a valutazioni soggettive.
Le clausole LOB sono tipiche della prassi statunitense, mentre per l’Italia rappresentano una novità, ma nella Convenzione vengono applicate anche dall’Italia in modo simmetrico rispetto agli Stati Uniti.
Il tema delle LOB e dei tests verrà ripreso nel capitolo dedicato alle disposizioni antiabuso attuate dalla Convenzione.
Inoltre, differentemente rispetto al Modello OCSE, vengono considerate esplicitamente come persone, nell’art. 3 comma 1 lettera a, anche la società di persone, i trust e i patrimoni ereditari (estate).
Vengono considerati inoltre persone:
42 ROLLE G., TURINA A., Condizioni applicative e profili temporali della Convenzione Italia-Usa, in Corriere tributario 2010, pagg. 891
• Gli enti governativi riconosciuti. Per l’Italia sono compresi: la Banca d’Italia, l’Istituto per il Commercio con l’Estero e l’Istituto per l’Assicurazione del Credito all’Esportazione.
Per gli Stati Uniti: le Federal Reserve Banks, la Export-Import Corporation, la Overseas Private Investment Bank;
• Le persone giuridiche esenti da imposte aventi scopo religioso o di beneficienza e i Fondi Pensione.
Un’altra importante novità del Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni, che viene approfondito in questo paragrafo, riguarda la procedura amichevole43 disciplinata nell’art. 25.
Grazie alle novità introdotte, i contribuenti possono richiedere l’intervento delle autorità competenti anche nei casi in cui fossero già scaduti i termini per presentare ricorso secondo la normativa interna degli Stati contraenti44.
Il comma 1 dell’art. 25 continua presentando un termine triennale (dalla data della prima notifica) entro il quale il contribuente, legittimato a richiedere l’avvio della procedura, deve sottoporre il caso alle autorità. Tale termine si discosta dal Modello americano mentre è in aderenza con il Modello OCSE. Questo viene confermato dalle Technical explanations che rivelano che gli Usa sarebbero favorevoli a non imporre alcun limite temporale ma l’Italia adotta tale limite di tre anni in conformità con il Modello OCSE e quindi si è deciso di inserirlo nel Trattato.
Inoltre sono state introdotte delle novità per sopperire al maggior limite della procedura amichevole ovvero il fatto che le Amministrazioni dei Paesi contraenti sono obbligate a “fare del loro meglio” per risolvere le problematiche richieste dal contribuente e di conseguenza le Amministrazioni non sono obbligate a risolvere le istanze presentate45. Tuttavia, secondo statistiche pubblicate dall’autorità
43 La procedura amichevole, disciplinata dall’art. 25, è una procedura che il contribuente che ritenga di aver subito una doppia imposizione può presentare all’autorità competente dello Stato di cui è residente.
44 ADELCHI ROSSI A., PERIN L., La procedura amichevole e l’arbitrato nella Convenzione tra Italia e Stati Uniti contro le doppie imposizioni, in il Fisco, 2002, pagg. 7646
45 ADAMI, LEITA, La procedura amichevole nelle convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni, in Riv. dir. trib., 2000
competente americana, l’85 % dei casi presentati sono stati risolti con successo dall’Amministrazione statunitense. Pur in mancanza di dati ufficiali, non si può dire lo stesso circa l’Amministrazione italiana che risulta più inefficiente rispetto a quella americana.
A tal fine l’art. 25 del Trattato intende incoraggiare la comunicazione informale tra le due Amministrazioni fiscali. Per snellire la procedura le autorità competenti possono creare apposite commissioni per arrivare ad un accordo senza passare per i canali diplomatici46.
Si tratta quindi di un processo per rendere più veloci ed efficaci i meccanismi di risoluzione delle controversie tra Stati e per far questo si procede ad un approccio definito da tre distinte fasi: innanzitutto ogni Stato dovrebbe eliminare ogni forma di imposizione in contrasto con la convenzione applicabile. La seconda fase permette di migliorare le modalità di accesso e il funzionamento delle procedure amichevoli. Come ultima fase dovrebbero essere previste misure in grado di verificare e monitorare costantemente l’implementazione da parte di ciascuno Stato riguardo queste procedure.
Sempre al fine di arrivare ad un accordo tra i due Stati viene introdotto nel comma 5 del medesimo articolo la procedura arbitrale. Questo rappresenta una novità in cui il caso sotto procedura amichevole viene rimesso (se le autorità competenti e il contribuente sono d’accordo) ad una Commissione arbitrale che garantisce il raggiungimento di un accordo vincolante per le parti, entro un termine prestabilito, ed evitando cosi eventuali inerzie delle Amministrazioni dei due Stati47. Il ricorso alla procedura arbitrale è subordinato al precedente tentativo di risoluzione della problematica attraverso procedura amichevole ed inoltre il contribuente deve impegnarsi per iscritto a rispettare la decisione che verrà presa dalla Commissione arbitrale.
La procedura arbitrale del Trattato Italia – Usa non prevede alcun requisito temporale differentemente da quella presentata dal Modello OCSE in cui è
46 LA COMMARA, NUZZOLO, L’istituto della procedura amichevole come strumento di cooperazione internazionale tra le Amministrazioni fiscali, in Il Fisco, 1998
47 ADELCHI ROSSI A., PERIN L., La procedura amichevole e l’arbitrato nella Convenzione tra Italia e Stati Uniti contro le doppie imposizioni, in il Fisco, 2002, pagg. 7647
previsto il ricorso alla procedura arbitrale quando le autorità competenti non sono in grado di raggiungere un accordo amichevole entro due anni dalla sottoposizione del caso all’autorità competente48. L’inserimento di questa procedura nel Trattato Italia – Usa, come testimoniato dalle Technical explanations, è stato voluto fortemente dai negoziatori americani.
Attraverso la procedura arbitrale le autorità competenti dei due Stati hanno la possibilità di raggiungere accordi in tempi brevi49 e questo fattore aumenta la convenienza per i contribuenti italiani (o statunitensi) di ricorrere alle autorità competenti per risolvere i dubbi interpretativi del Trattato ed evitare così i casi di doppia imposizione in Italia e negli Usa.
48 VALENTE P., Convenzione Italia – Usa: rassegna delle principali novità, in il Fisco, 2010, pagg. 5678
49 PARK, L’arbitrato nei Trattati sulle imposte sui redditi, in Riv. Dir. Trib., 2003
CAPITOLO 2: LA RESIDENZA
2.1 LA RESIDENZA NEL MODELLO OCSE
La residenza nel Modello OCSE è affrontata nell’art. 4, il quale articolo nel comma 1 definisce come residente di uno Stato contraente “ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta a motivo del suo domicilio, della sua residenza o della sede della sua direzione”.
Con il termine persona si intendono sia le persone fisiche, sia società che ogni altra associazione di persone. Non vengono esplicitamente incluse le società di persone, un patrimonio ereditario e i trust che verranno invece considerate persone nella Convenzione Italia-Usa.
Quando, in base alla disposizione del comma 1 dell’art. 4 del Modello OCSE, una persona fisica è considerata residente in entrambi gli Stati contraenti la sua situazione viene determinata nel seguente modo:
a) “Detta persona è considerata residente solo nello Stato nel quale ha un’abitazione permanente”. Se detta persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, si andrà a considerare lo Stato in cui questa persona ha il centro degli interessi vitali, quindi delle relazioni personali ed economiche più strette;
b) Se non si riesce a determinare nemmeno quale sia il centro degli interessi vitali, la persona fisica si considera residente nello Stato in cui soggiorna abitualmente;
c) Se soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati o in nessuno di essi, la persona è considerata residente nello Stato in cui ha la nazionalità;
d) Se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati o in nessuno dei due, le autorità degli Stati contraenti dovranno trovare un accordo per definire dove sia considerata residente la persona fisica50.
La residenza delle persone fisiche in Italia è disciplinata dall’art.2 del TU che è già stato approfondito nel capitolo 1.1.4 in relazione ai criteri di collegamento.
Il comma 3 dell’art. 4 del Modello OCSE si occupa di determinare la residenza di una persona diversa da una persona fisica che sia residente in entrambi gli Stati contraenti in base alle disposizioni del paragrafo 1. Si ritiene che “essa è residente solo nello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva”.
Il concetto di residenza in Italia dei soggetti passivi di IRES sono disciplinati nell’art. 73 del TU; questo aspetto è stato approfondito nel capitolo 1.1.4 in relazione ai criteri di collegamento.
Nel Commentario al Modello OCSE viene definito il termine “direzione effettiva” come il luogo dal quale partono gli impulsi volitivi della società, dove vengono assunte decisioni di gestione e controllo quindi il luogo dove normalmente si riuniscono gli amministratori. Il Commentario aggiunge che nel caso non fosse possibile determinare la sede di direzione effettiva, la residenza della società viene determinata in relazione alla residenza dell’alta direzione e nel caso in cui le relative persone dovessero avere doppia residenza si applicheranno i criteri riportati nel paragrafo 2.
In particolare, il significato dell’OCSE di “direzione effettiva” tende a coincidere con il significato di sede dell’amministrazione che si incontra nella normativa interna italiana del Testo Unico e quindi questo può essere oggetto di complicazioni.
In Italia con il termine “direzione effettiva” non si individua soltanto il luogo dal quale partono gli impulsi volitivi della società, ma anche in quale Stato è localizzato l’oggetto principale dell’attività e questi due luoghi possono non
50 MARINO, La residenza, Corso di diritto tributario internazionale (coordinato da UCKMAR), Padova, 1999
coincidere. Per questa ragione possono sorgere fenomeni di esterovestizione51 in quanto i criteri per individuare la residenza fiscale sono più di uno52. In questa tesi non verrà approfondito il concetto di esterovestizione ma verrà fatto solo un breve accenno su come l’amministrazione fiscale italiana ha contrastato questo fenomeno. Nella legislazione italiana, con una disposizione contenuta nell’articolo 73 comma 5-bis, si inverte l’onere della prova quindi sarà la società che dovrà dimostrare di avere la sede della direzione all’estero e non in Italia.
Per venire considerata fiscalmente residente in Italia una società estera deve verificare i seguenti elementi:
• La società estera deve possedere partecipazioni di controllo in una o più società italiane attraverso la maggioranza dei voti esercitabili oppure l’influenza dominante in assemblea;
• La società estera deve essere controllata a sua volta da soggetti residenti in Italia, oppure essere amministrata da un consiglio di amministrazione composto prevalentemente da persone residenti in Italia.
Un’ulteriore precisazione che va fatta è che, nei casi di gruppi di imprese, non si va a vedere dov’è localizzata l’impresa capogruppo che amministra le controllate seno’ quest’ultime risulterebbero sempre localizzate nello Stato della capogruppo. Questo concetto è stato sottolineato dalla recente “Sentenza Dolce e Gabbana”.
Infine è importante sottolineare la recente tendenza del Modello OCSE che considera sempre meno il concetto di direzione effettiva ma analizza i casi case by case per evitare i fraintendimenti appena descritti.
In conclusione, anticipando il capitolo 2.3.1, si noti che il concetto di direzione effettiva non è presente nella Convenzione Italia - Usa ma è compito delle autorità competenti degli Stati contraenti di risolvere la questione della doppia residenza.
51 l’esterovestizione è quel comportamento nel quale si fa apparire un soggetto o una società come se fosse fiscalmente residente all’estero mentre in realtà la società è fiscalmente, in questo caso, in Italia.
52 CERRATO M., Sui confini tra esterovestizione societario e stabile organizzazione, in Rivista di diritto tributario, 2013
2.2 LA RESIDENZA NEL MODELLO AMERICANO CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI
Il termine resident of a Contracting State nel Modello americano contro le doppie imposizioni viene affrontato nel art. 4 ed identifica, come descritto nel comma 1, “qualsiasi persona che, secondo le leggi dello Stato contraente, venga tassata in base al domicilio, residenza, cittadinanza, luogo di lavoro o altri criteri simili, a condizione che:
a) Tale espressione non comprenda le persone che sono imponibili in questo Stato soltanto per il reddito prodotto da fonti situate in detto Stato;
b) Nel caso di redditi realizzati o pagati da una partnership, da un estate o da un trust, tale espressione si applichi soltanto nei limiti in cui il reddito derivante da tali entità sia assoggetto ad imposizione in detto Stato, in capo a detti soggetti o in capo ai loro soci o beneficiari.”
Differentemente dalla residenza nel Modello OCSE, sono disciplinati i casi riguardanti in particolare le partnership e i trust che verranno approfonditi nel proseguo del seguente capitolo.
Infine, in questo comma, viene specificato che con il termine residente vengono esclusi coloro che nel loro Paese hanno un aliquota di tassazione fissa.
Nel comma 2 differentemente dal Modello OCSE con il termine residente vengono incluse le persone giuridiche esenti da imposte aventi scopo religioso o di beneficienza e i Fondi Pensione. Queste persone giuridiche vengono considerate tale anche nel Trattato Italia-Usa.
Nel comma 3 viene determinato quando un individuo ha la doppia residenza:
a) L’individuo è residente solo nello Stato contraente quando possiede una casa di cui egli abbia la disponibilità. Se questo individuo possiede una casa per ogni Paese contraente dovrà essere residente solo nel Paese contraente con il quale le sue relazioni personali ed economiche siano più strette (centro vitale degli interessi);
b) Se non possono essere determinati né il centro vitale degli interessi né un’abitazione disponibile, si andrà a valutare in quale Paese il soggetto ha una dimora abituale;
c) Nel caso non fosse possibile attribuire la dimora abituale a nessuno dei due Stati, l’individuo sarà ritenuto residente nello Stato contraente in cui ha la nazionalità;
d) Se l’individuo ha la nazionalità di entrambi o di nessuno Stato, le autorità competenti risolveranno la questione con un mutuo accordo.
Questo comma rispecchia sia il contenuto sia la struttura del rispettivo art.4 comma 2 del Modello OCSE.
Il comma 3 del Modello OCSE in cui si fa riferimento alla direzione effettiva non è presente nel Modello americano e nemmeno, come detto in precedenza, nel Trattato Italia - Usa. Rispetto al Modello OCSE, vengono aggiunti due commi nell’articolo 4.
Nel comma 4 viene disciplinato il caso in cui la società residente in entrambi gli Stati contraenti non possa scegliere lo Stato di residenza.
Nel comma 5 viene trattato il caso della persona fisica, residente in entrambi gli Stati, che non può decidere in che Stato verrà tassata.
2.3 LA RESIDENZA NELLA CONVENZIONE ITALIA - USA
2.3.1 La residenza fiscale delle persone
Il concetto di “residenza” va analizzato insieme al concetto di “persona” ai fini dell’applicazione soggettiva della Convenzione poiché una persona che non sia residente non può beneficiare della Convenzione cosi come per un residente che non rientri nella definizione di persona.
La qualifica di persona residente viene negata anche ai soggetti che sono imponibili in uno Stato solo per i redditi da fonti situate in tale Stato.
In Italia questo concetto corrisponde alla tassazione dei soggetti non residenti. Nella Convenzione, cosi come nel Modello OCSE, non è contenuta una definizione di residenza ma si rinvia alla legittimità dell’imposizione allo Stato sul quale si crea un criterio di collegamento personale con il territorio.
Per la legge italiana abbiamo già approfondito questo argomento nel capitolo 2.1. Perché una persona invece sia considerata residente negli Stati Uniti, ai fini convenzionali, questa deve essere effettivamente presente nel territorio degli Stati Uniti oppure deve disporre, sempre negli Usa, di un’abitazione permanente oppure deve soggiornare abitualmente in tale Stato. Una persona per essere considerata residente negli Stati Uniti non è sufficiente che gli sia stata concessa una residenza permanente attraverso il rilascio della green card53ovvero il permesso di soggiorno americano.
La Convenzione, come detto, nel definire la residenza fiscale rinvia alla legge nazionale dei due Stati e quindi talvolta la persona risulta residente in entrambi gli Stati contraenti. Questa evenienza è molto frequente nei rapporti con gli Stati Uniti in quanto quest’ultimi, per effetto della loro Costituzione, prevedono
53 La green card, formalmente denominata Permanent Resident Card, è il permesso permanete di soggiorno statunitense e viene rilasciato dallo U.S. Citizenship and Immigration Services. La “carta verde” consente di entrare ed uscire dagli Usa senza limitazioni e di lavorarci; può essere ottenuta tramite un parente americano o tramite un datore di lavoro. La green card ti consente, inoltre, di poter richiedere la cittadinanza americana
l’imposizione illimitata non solo per le persone fisiche residenti ma anche per i cittadini americani residenti all’estero e per le società.
Perché la Convenzione risulti efficace essa deve attribuire la residenza della persona a solo uno degli Stati contraenti. Qualora i presupposti soggettivi di imponibilità trovano riscontro in entrambi gli ordinamenti giuridici dei due Stati allora la Convenzione prevede l’adozione di vari criteri per risolvere queste situazioni conflittuali e poter attribuire ad un solo Stato la residenza54.
Questi criteri sono chiamati tie break rules e sono utilizzati nei casi di doppia residenza55.
Le Convenzioni che derivano dal Modello OCSE disciplinano sia i casi di doppia residenza per le persone fisiche sia per le persone giuridiche mentre la Convenzione Italia - Usa disciplina solo il caso di doppia residenza delle persone fisiche, nell’art. 4 comma 2. Per le società invece la Convenzione Italia - Usa non fornisce la soluzione adottata nell’art. 4 comma 3 del Modello OCSE nel quale si fa riferimento alla ”direzione effettiva” come soluzione al problema della doppia residenza per le società.
La soluzione di questa problematica, nel Trattato Italia – Usa, viene riservata alle autorità competenti degli Stati contraenti come enunciato nell’art. 4 comma 3.
Quest’ultimo recita cosi: “le autorità competenti.. faranno del loro meglio per risolvere la questione di comune accordo..”; quindi per giungere ad un accordo le autorità degli Stati contraenti, sulla questione della doppia residenza della società, avvieranno una procedura amichevole e se questa non risolvesse la questione si giunge ad una procedura arbitrale.
Quando nemmeno quest’ultima risolve il problema della doppia residenza delle società si può avere, ad esempio, un caso in cui per una società costituita negli Stati Uniti e con sede amministrativa in Italia, gli Stati Uniti non vogliono cedere la residenza all’Italia dove la società è considerata residente per effetto della sede amministrativa.
54 MARINO G., La residenza nel diritto tributario, CEDAM, 1999
55 VOGEL K., On Double Taxation Conventions, Kluwer Law International, 2015
Un’altra particolarità del Trattato Italia-Usa, che verrà ora approfondita, è il cosiddetto saving clause che si sviluppa nel rapporto tra Stato della residenza e Stato della fonte.
Le saving clause sono presenti in tutti i trattati stipulati dagli Stati Uniti in quanto sono clausole contenute nel Modello Usa delle Convenzioni. In linea generale quando una persona è residente nello Stato di residenza, lo Stato della fonte tassa in capo a questa persona solo i redditi conseguiti nel proprio territorio. Con le saving clause gli Stati Uniti si riservano il diritto di tassare i propri residenti e i propri cittadini secondo la legge interna Usa, come se la Convenzione non esistesse56.
Queste clausole sono applicabili anche agli ex cittadini americani e ai residenti negli Usa a lungo termine (10 anni) solo se la perdita di tale status aveva lo scopo quello di evitare la tassazione negli Stati Uniti.
Quindi gli Stati Uniti in questo modo tassano il reddito ovunque conseguito non solo dai propri residenti ma anche dai propri cittadini non residenti. Tale clausola nasce dall’idea degli Stati Uniti secondo cui una convenzione può solo ridurre l’imposizione dei cittadini stranieri non residenti negli Usa ma non l’imposizione dei propri cittadini non residenti, che devono essere tassati su tutti i redditi ovunque conseguiti.
Nel Trattato Italia - Usa tale clausola vale per entrambi gli Stati differentemente dagli altri trattati stipulati dagli USA in cui generalmente tale clausola è valida solo per gli Stati Uniti.
Tuttavia l’applicazione delle saving clause in Italia rimangono molto limitate. Questo è dettato dal fatto che la cittadinanza ai fini fiscali italiani non ha rilevanza e quindi si limitano tale clausole alla sola residenza.
Invece differente sarà il caso in cui la persona sia un cittadino americano. Anche se gli Stati Uniti risultano essere lo Stato della fonte, con la residenza della persona in Italia, la tassazione Usa del reddito prodotto da fonti Usa concorrerà a formare l’imponibile per la tassazione mondiale dei cittadini americani non tenendo conto dei limiti della Convenzione. Tale reddito sarà tassabile anche in
56 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito, in Bollettino tributario 2009, pagg. 855
Italia dando luogo ad una doppia imposizione che verrà parzialmente evitata dagli Stati contraenti, in particolare l’Italia concederà di un credito d’imposta. Nonostante la presenza delle saving clause vengono comunque applicate le clausole convenzionali relative al credito d’imposta e anche altre clausole della Convenzione che permettono di ottenere dei benefici come, ad esempio, le regole speciali degli assegni alimentari per il coniuge e i figli, i contributi ad un fondo pensione, le regole sulla non discriminazione e la procedura amichevole.
2.3.2 Le Partnership
Come accennato nel precedente capitolo in riferimento al campo di applicazione soggettivo della Convenzione Italia-Usa, nell’art. 3 comma 1 vengono considerate tra le persone le società di persone, o partnership, risultando in linea con la normativa interna degli Stati Uniti. In questo caso il Modello di Convenzione americano risulta preponderante ed innovativo rispetto al Modello OCSE.
Il termine partnership nella normativa fiscale statunitense comprende qualunque tipo di organizzazione non societaria tra due o più persone57. Questa definizione ai fini fiscali risulta essere molto ampia infatti possono essere inclusi organizzazioni, gruppi, consorzi, joint ventures e altre organizzazioni irregolari.
In Italia, invece, non esiste una definizione di società di persone ai fini fiscali ma questa può essere dedotta dall’art. 5 del TU relativo al principio di trasparenza in cui viene sancita l’applicabilità alle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato.
In Italia quindi, rispetto agli Stati Uniti, il termine “società di persone” è più vincolante e di portata più ristretta.
Nella Convenzione Italia - Usa non viene fornita una definizione del termine partnership quindi non risulta chiaro se lo Stato della fonte del reddito della società di persone dovrà accettare la definizione fornita dall’altro sistema fiscale
57 GARBARINO C., Convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni commentario, EGEA, 2001
oppure potrà utilizzare le proprie norme interne in modo da identificare un corretto trattamento fiscale.
Quindi il problema fondamentale che sorge è quello di identificare se le società di persone, costituite secondo le norme di uno dei due Stati contraenti, o di altri Stati terzi, rientrano e si possono considerare tali anche nell’altro Stato contraente ai fini fiscali.
L’ordinamento giuridico statunitense prevede di classificare certe tipologie di società, costituite in altri Stati, come società di persone ai fini fiscali in America se sono presenti almeno due delle quattro caratteristiche tipiche delle corporate:
• Continuity of life, ovvero la durata della società è indipendente da eventi come la morte, il fallimento o il recesso di un socio;
• La libera trasferibilità delle quote;
• Gestione centralizzata;
• Responsabilità limitata.
Il fatto di soddisfare almeno due di questi requisiti permette alle società italiane di essere tassate per trasparenza come le partnership americane.
In Italia, a differenza degli Stati Uniti, le società di persone estere rientrano nell’art. 87 comma 1 lettera d del TUIR pertanto assoggettate all’IRES come enti non residenti quindi non viene mai applicato il principio di trasparenza per questo tipo di società. In Italia permane la differenza ai fini fiscali tra società di persone residenti e società di persone estere.
Nascono delle problematiche, quindi, dal momento che la persona per rientrare nella Convenzione deve essere residente e le società di persone non sono considerate un soggetto d’imposta né in Italia né negli Usa. Il reddito conseguito dalle società di persone viene tassato in capo ai soci per trasparenza. I soci possono essere soggetti residenti nello stesso Stato in cui la società ha la sede amministrativa, residenti nell’altro Stato contraente oppure anche in uno Stato terzo.
Per fare luce su questo punto bisogna considerare l’art. 4 comma 1 della Convenzione il quale può risultare poco chiaro quindi è necessario puntualizzare alcuni aspetti.
Si possono presentare due situazioni opposte: la prima situazione che può verificarsi è quando l’Italia è lo Stato della fonte mentre l’Usa è lo Stato della residenza quindi la Partnership americana produce redditi in Italia ma è considerata residente negli Usa pertanto viene tassata negli Stati Uniti. Il reddito prodotto da tale partnership viene tassato in capo alla società o ai soci.
Qualora siano presenti nella Partnership americana anche soci non residenti in Usa per quest’ultimi la Convenzione non opera. Questo crea un problema allo Stato Italiano della fonte perché deve riuscire ad individuare qual è la parte di reddito imputabile ai soci non residenti e qual è quella imputabile ai soci americani, i quali rientrano nell’ambito della Convenzione. Quindi il problema fondamentale che sorge quando si hanno soci residenti in Usa tassati in Usa e soci non residenti non assoggettati alla tassazione in Usa è individuare la parte di reddito che non può beneficiare della Convenzione.
Il secondo caso prevede che lo Stato della fonte sia l’Usa e lo Stato della residenza sia l’Italia quindi la partnership produce redditi in Usa ma viene tassata in Italia. In questo caso il problema precedentemente riscontrato non sussiste infatti l’Italia prevede la tassazione in capo ai soci a prescindere dalla residenza dei soci stessi.
Le Technical Explanations hanno provato a chiarire ulteriormente il testo dell’art. 4 comma 1 della Convenzione. In linea generale stabiliscono che se una società di persone consegue un reddito, questo reddito si considera imputato ad un soggetto fiscalmente trasparente se la legge dello Stato in cui è residente lo prevede. Nell’ordinamento interno americano è prevista una differenza di trattamento tra i soci residenti negli Stati Uniti e i non residenti in relazione alla tassazione per trasparenza nelle società di persone.
Per comprendere meglio questo concetto ribadito dalle Technical Explanations si può considerare il seguente esempio: nel caso di una partnership americana la legge interna americana prevede, appunto, che il reddito conseguito dalla società viene imputato solamente ai soci residenti quindi i soci della partnership non residenti in Usa non possono beneficiare della Convenzione sui dividenti pagati.
Un altro aspetto da considerare, affrontato nell’art. 4 del Protocollo, riguarda la situazione particolare in cui si ha un socio di una partnership americana residente in Italia con cittadinanza negli Stati Uniti. La società di persone Usa consegue redditi da fonti italiane e in Italia è soggetta a tassazione IRES. Il cittadino Usa residente in Italia dato che ha la cittadinanza statunitense, risulta essere un socio fiscalmente trasparente in Usa e quindi assoggettato a tassazione negli Stati Uniti sulla quota di utili a lui imputati. L’Italia quindi deve concedere un credito d’imposta sul reddito nei confronti dell’IRES pagato dalla partnership americana solo in riferimento alla quota attribuibile al socio che rientra in questa particolare categoria. Quanto disciplinato dall’art. 4 del Protocollo equivale alla situazione in cui l’Italia considera la società di persone estera come fiscalmente trasparente ai fini della tassazione e ciò si pone in contrasto con la norma interna italiana che considera le società di persone estere come soggetti passivi di IRES, quindi non trasparenti. La conseguenza è che la quota dei redditi che il socio italiano ottiene da tale società vengono considerati come redditi di capitali imponibili in Italia al momento della percezione58.
La “Relazione Tecnica Italiana” si è espressa in merito a questo tema cercando di chiarire se una norma convenzionale potesse derogare a tal punto una norma interna italiana. La conclusione è che la legge italiana attuale non ammette la possibilità di considerare la società di persone estere trasparente ai fini fiscali.
Le ragioni per le quali si verifica questa impossibilità d’applicazione, oltre alla incostituzionalità rispetto alle norme italiane, sono principalmente due: la prima riguarda la distribuzione dei dividendi di fonte estera ai quali la legge italiana non può concedere una detrazione d’imposta. La seconda ragione riguarda l’aspetto temporale; infatti l’art. 4 del Protocollo prevede che l’IRES pagato dalla società estera in Italia e il credito d’imposta concesso al socio residente dovessero riferirsi allo stesso periodo d’imposta. Questa coincidenza è impossibile che si verifichi perché c’è uno sfasamento temporale tra i due periodi d’imposta.
58 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito, in Bollettino tributario 2009, pagg. 857
L’Italia, ad eccezione di questa problematica, rimane comunque aperta all’applicazione e alla concessione di agevolazioni convenzionali qualora l’Italia si presenti come Stato della fonte.
2.3.3 I Trust
Un’importante particolarità nell’ambito del Trattato Italia – Usa è rappresentata dai trust in quanto, come visto nel precedente capitolo, sono stati inseriti tra le persone dell’art. 3 alle quali si applica la Convenzione.
Prima di analizzare nello specifico come vengono trattati i trust nella Convenzione si andranno ad introdurre brevemente questi istituti giuridici.
Il concetto di trust è stato importato dal mondo del Common law e negli ultimi anni si è notevolmente sviluppato anche nei Paesi di Civil law.
Il trust è “un negoziato giuridico mediante il quale un soggetto (settlor) trasferisce la titolarità di un complesso di diritti (trust fund) ad un altro soggetto (trustee) al fine di perseguire uno scopo o di beneficiare dei soggetti (beneficiaries)59”. L’oggetto del trust quindi non sono solo i beni ma anche i diritti ad essi relativi.
Il trustee risulta essere l’unico proprietario dei beni in trust e quest’ultimi costituiscono un patrimonio separato rispetto alla totalità dei beni del trustee in modo che eventuali creditori di quest’ultimo non possano rivalersi su questo patrimonio.
Il trustee si impegna a gestire il patrimonio che gli è stato trasferito secondo le indicazioni ricevute dal settlor nell’interesse dei beneficiari. Il trust può avere molti utilizzi come per esempio la gestione del trustee di un patrimonio destinato in un secondo momento ai figli del settlor oppure la gestione di un patrimonio in modo che i proventi vengano devoluti ad enti di beneficienza.
Generalmente quindi un trust è formato da beni capaci di produrre reddito e di conseguenza tassabili.
59 SALVIATI A., Il trust nel diritto tributario internazionale, in Rivista Diritto Tributario, 2003
Dalla prospettiva del diritto italiano assume particolare rilevanza la Convenzione de l’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento definendoli nell’art. 2 come “rapporti giuridici istituiti da una persona (il costituente) qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario”.
Questa definizione, essendo di parecchi anni fa, non tiene conto di molti aspetti e caratteristiche che i trust hanno sviluppato negli ultimi decenni come, ad esempio, il fatto che i trust possono esistere sia senza beneficiari sia addirittura senza un disponente.
Nel 1998 il Secit60ha provato ad inquadrare il trust nell’ambito delle norme impositive nazionali facendolo rientrare tra i soggetti dell’art. 87 del Tuir considerandolo, quindi, come un autonomo soggetto d’imposta. Il rinvio a questo articolo presuppone che il trust può considerarsi residente in Italia se la sua sede amministrativa si trova in Italia oppure se la maggioranza dei beni del trust sono detenuti in Italia. In questo caso il trust è soggetto ad IRES in relazione a tutti i redditi ovunque conseguiti mentre un trust non residente è soggetto a IRES solamente in relazione ai redditi prodotti in Italia.
Quanto emerge da questa analisi il trust, secondo la normativa interna italiana, non viene considerato come fiscalmente trasparente.
Il trust nell’ordinamento interno degli Stati Uniti può assumere diverse tipologie e venire utilizzato per differenti scopi. Con la legge finanziaria proposta dal Presidente Clinton nel 1996 si è cercato di chiarire questo tema inserendo il trust tra le persone degli Stati Uniti alle seguenti condizioni:
• Nel caso in cui una Corte degli Stati Uniti sia in grado di esercitare una “supervisione primaria” sull’amministrazione del trust. Questo avviene quando nell’atto istitutivo del trust viene previsto che quest’ultimo non possa essere amministrato al di fuori degli Stati Uniti ma deve essere amministrato effettivamente ed esclusivamente negli Stati Uniti. Inoltre il trust non deve
60 Secit acronimo di Servizio Centrale degli Ispettori Tributari
essere soggetto ad una clausola di trasferimento automatico della residenza. Questo requisito è chiamato court test;
• Una o più persone cittadine o residenti degli Stati Uniti hanno l’autorità di controllare tutte le decisioni sostanziali del trust.
Questo requisito è chiamato control test.
Il trust viene considerato foreign nel caso in cui non si verificassero entrambe queste condizioni.
Le norme impositive statunitensi inoltre considerano il trust come un’entità separata sia dalle persone che lo costituiscono sia dai beneficiari e di conseguenza come un’entità soggetta ad imposizione sui redditi.
In contrapposizione con questo regime impositivo, la section 279 dell’Internal Revenue Code considera il settlor come titolare di una “porzione” del trust nei casi in cui esso mantiene il potere di reintestare degli asset conferiti in trust. Quest’ultima tipologia di trust, chiamato grantor (settlor) trust, viene considerato quindi fiscalmente trasparente. In tali fattispecie il reddito conseguito risulta direttamente imputabile al settlor e nel caso in cui venga distribuita una parte di questo reddito ai soggetti beneficiari questa non è soggetta ad imposizione diretta in quanto è già stata applicata al settlor.
Queste norme valgono sia quando il settlor è cittadino o residente negli Stati Uniti sia quando è straniero e non residente dando luogo a comportamenti elusivi; sono sorti numerosi casi di settlor residenti in Paesi a bassa fiscalità che potevano beneficiare del fatto che la normativa interna americana li considerasse al pari dei cittadini americani nei grantor trust. Quindi succedeva che i redditi conseguiti da un trust venivano tassati per trasparenza in capo ad un settlor residente in un Paese a bassa fiscalità anche quando questi flussi venivano successivamente distribuiti a beneficiari residenti o cittadini degli Stati Uniti.
Per contrastare questo fenomeno l’Amministrazione fiscale americana, con la section 672, ha consentito esclusivamente ai settlor cittadini o residenti degli Stati Uniti di essere assoggettati a tassazione per trasparenza nei grantor trust.
Nel Modello OCSE i trust non vengono menzionati all’interno della Convenzione, a differenza del Modello Usa che li menziona nel primo paragrafo dell’art. 3.
Questo non implica il fatto che i trust non possono dar luogo ad una doppia imposizione; possono emergere più pretese impositive, ad esempio, quella dello Stato della fonte a causa del collegamento territoriale con la fonte del reddito, quella dello Stato di residenza del trust e quella dello Stato di residenza dei beneficiari61.
I trust, come già detto in precedenza, non sono presenti nell’art. 3 del Modello OCSE tra le persone alle quali si applica la Convenzione ma questo non pregiudica l’applicazione ai redditi da essi prodotti nei vari Trattati contro le doppie imposizioni stipulati da Paesi che utilizzano il Modello OCSE.
I trust non possono essere inseriti tra le any other body of persons dell’art. 3 in quanto incompatibili perché nei trust l’elemento patrimoniale è predominante rispetto all’elemento personale. A questo fatto si può ovviare non considerando l’elencazione delle persone dell’art. 3 come tassativa e quindi che non siano presenti nell’elenco di tale articolo tutti i soggetti giuridici che possono godere delle disposizioni convenzionali.
Il trust inoltre assumerebbe soggettività a fini convenzionali attraverso una disposizione interna di uno Stato contraente62.
Un altro modo per considerare i trust come persone dell’art. 3 dell’OCSE è quella di considerare il trustee o il body of trustees tra le persone in quanto la tassazione del trust avviene in capo a questi: il trustee sia come persona fisica sia come persona giuridica mentre il body of trustees tra le any other body of persons.
Di conseguenza per determinare la residenza del trust bisogna individuare la residenza delle persone che compongono il body of trustees.
Nel caso in cui i trustees siano delle persone fisiche o persone giuridiche la residenza del trust coinciderà con la maggior parte delle residenze dei trustees.
61 SACCHETTO C., Brevi note sui trusts e le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni sul reddito, 2000
62 GARBARINO C., Trust trasparenti ed opachi nell’ambito dei Tax treaties, in Trust e attività fiduciarie, 2001
Se invece il trustee si presenta come un ufficio giuridico, il trust assume la residenza dello Stato in cui è situato il place of management and control63. Quest’ultimo viene definito come il luogo in cui vengono prese le decisioni sulla gestione del trust quindi il luogo dell’amministrazione effettiva. Si viene a creare cosi un allineamento del place of management and control di un trust con le regole sulla residenza delle società.
Non è rilevante in questo caso la residenza delle persone fisiche che compongono il trustee risolvendo in questo modo la problematica che potrebbe sorgere nel caso in cui i trustees avessero residenze diverse tra di loro.
Nel Modello Usa contro le doppie imposizioni, in base all’art. 4, un trust viene considerato residente se i redditi prodotti nell’altro Stato contraente sono imponibili in capo al trust o ai suoi beneficiaries residenti in quel Paese64.
Nel Trattato Italia – Usa, in linea con il Modello Usa, la residenza dei trust è disciplinata nell’art. 4 lettera b.
In tale comma viene determinata la residenza delle entità trasparenti e, come appena visto, secondo le normative interne degli Stati Uniti alcuni tipi di trust hanno questo tipo di natura.
Per questa tipologia di trust “l’espressione residente in uno Stato contraente si applica soltanto nei limiti in cui il reddito conseguito dalle stesse venga assoggettato ad imposizione nello Stato della residenza come reddito conseguito da soggetti residenti sia in capo alle entità medesime che in capo ai rispettivi soci o beneficiari65”.
Questa norma non chiarisce il fatto che il beneficiario debba essere residente nel detto Stato. La Convenzione degli Stati Uniti risulta più chiara su questo punto in cui nell’art. 4 specifica che: “nel caso di reddito realizzato o pagato da un trust il termine residente in uno Stato contraente si applica nei limiti in cui il reddito
63 GARBARINO C., La soggettività del trust nelle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in Dir. Prat. Trib., 2000
64 VOGEL K., Double taxation conventions, Kluwer Law Intl, 2014
65 GARBARINO C., Convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni commentario, EGEA, 2001
realizzato da tale entità sia tassato in detto Stato come reddito conseguito dai residenti, sia in capo al trust stesso che ai suoi beneficiari66”.
Da questa norma si può dedurre che la residenza del trust viene determinata sulla base di quella del beneficiario del trust stesso. Ad esempio, nel caso in cui un reddito sia conseguito da una persona, beneficiaria di un’entità trasparente, residente negli Stati Uniti secondo la normativa interna di quest’ultimi non è chiaro se lo status di residente sia soddisfatto solamente con il possesso della green card o sia necessario che la persona sia anche effettivamente presente negli Stati Uniti. Secondo le Technical explanations non basta il solo possesso della green card.
Invece nel caso in cui il trust non è considerato fiscalmente trasparente, l’Internal Revenue Service americano ha determinato due requisiti necessari affinché tale trust sia considerato residente negli Stati Uniti (come già analizzato in riferimento alla normativa interna americana) e quindi poter beneficiare della Convenzione: il court test e il control test.
Il primo viene verificato quando una Corte degli Stati Uniti riesce ad esercitare vigilanza primaria sull’amministrazione del trust mentre il secondo viene verificato nel momento in cui uno o più soggetti statunitensi hanno il potere di controllare le decisioni rilevanti del trust67.
Riassumendo quindi quanto detto sulla residenza del trust nel Trattato Italia – Usa: nel caso in cui il trust è trasparente allora il Trattato si applica solo se i beneficiari sono residenti ai fini convenzionali. Se il trust non è trasparente, la Convenzione viene applicata al trust solo se quest’ultimo è residente ai fini convenzionali integrando il court test ed il court test. In questo secondo caso il reddito sarà imputato ai trustees.
Vengono analizzati, infine, qui di seguito dei casi di eccezione previsti dal Protocollo in relazione alla residenza dei vari soggetti che compongono il trust.
Quindi nel caso in cui una società residente in Italia distribuisce un dividendo ad un trust trasparente secondo la normativa interna americana, questo dividendo
66 Articolo 4, lettera b della Convenzione degli Stati Uniti contro le doppie imposizioni
67 CORASANITI G., Il Modello OCSE di convenzione bilaterale contro la doppia imposizione e i trusts,
in AA. VV., Padova, 2002
viene considerato realizzato da un residente americano solamente nella parte in cui le norme americane attribuiscono il reddito a uno o più beneficiari residenti negli Stati Uniti. La parte di dividendo percepita dal trust relativa a beneficiari non residenti negli Usa non viene regolata dal Trattato Italia – Usa.
Alla stessa conclusione si giunge nel caso in cui, per esempio, un residente italiano costituisce un trust con trustees residenti negli Stati Uniti e con beneficiari residenti in un Paese terzo. In questo caso, secondo la normativa interna americana, il reddito del trust viene imputato in capo al settlor residente in Italia in quanto il trust non viene considerato residente negli Stati Uniti. Il trust non potrà essere considerato residente nemmeno in Italia nel momento in cui i trustees, residenti negli Stati Uniti, svolgono in quest’ultimi la loro attività di amministrazione.
Un altro caso che è importante analizzare è quello che riguarda i grantor trusts. Come analizzato precedentemente, nei grantor trusts l’imposizione dei redditi va a gravare in capo al grantor (settlor) e non direttamente sul trust o sui beneficiari e quindi se la Convenzione Italia – Usa fosse letta in modo estremamente formale questa tipologia di trust, anche se residente negli Stati Uniti, secondo la normativa interna americana non viene considerata come persona residente ai fini convenzionali. Questo è dato dal fatto che il reddito non viene imputato direttamente per trasparenza al trust stesso o ai suoi beneficiari come richiesto dalla Convenzione.
Ulteriori complicazioni possono sorgere andando ad analizzare un trust residente in Italia. Come esposto nel paragrafo precedente, ai fini della determinazione della residenza di tale trust, secondo la normativa interna italiana, bisogna considerare il luogo dell’amministrazione del trust o la residenza del trustee. Questa situazione rende possibile l’esistenza di trust residenti in Italia costituiti in base alla legislazione interna o di altri Paesi68.
Si può avere quindi un trust residente in Italia, costituito in base al diritto americano, da un settlor, né cittadino né residente Usa, con beneficiari
68 MAISTO G., The Taxation of Trust in Civil Law Countries, in European Taxation, 1998
statunitensi. Tale trust assume una doppia residenza: negli Stati Uniti in cui sono residenti i beneficiari e in Italia dov’è residente il trust.
Le Technical explanations propongono l’esempio in cui si presenta questa situazione. Un soggetto X residente in Italia crea un trust statunitense e nomina come beneficiari dei soggetti residenti in un altro Paese terzo.
Subentra un contrasto tra le norme interne statunitensi e quelle italiane; le prime considerano il grantor (residente in Italia) come soggetto a cui applicare la tassazione, mentre le seconde non lo considerano tale.
In Italia si tassa questo soggetto (grantor italiano) solo se risulta colui che amministra il trust americano.
Si deve esporre un’ultima considerazione in merito al trattamento dei trust nella Convenzione Italia – Usa riguardante il fatto che esso venga assimilato alle partnership.
L’unico punto in cui differiscono riguarda l’art 4 del Protocollo, precedentemente analizzato, in cui si ha un socio di una società di persone statunitense che è residente in Italia e cittadino americano. L’Italia in questo caso deve concedere al socio un credito d’imposta pari all’IRES pagato in proporzione alla sua quota di partecipazione alla società. Questo particolare trattamento non è valido per i trust, infatti nel caso in cui un cittadino statunitense e residente in Italia percepisca utili da un trust americano, l’Italia come Stato della fonte non è obbligata a garantire il credito d’imposta a tale soggetto. In questo caso si devono quindi applicare le norme generali della Convenzione Italia – Usa.
In conclusione, non è stato sufficiente l’inserimento dei trust tra le persone ai fini convenzionali per eliminare le problematiche dovute al differente trattamento tributario riservato ai trust nelle normative interne dei due Stati con riferimento all’imputazione del reddito ed alla determinazione della residenza.
2.3.4 La stabile organizzazione
Strettamente collegato alla residenza è il concetto di stabile organizzazione ed è disciplinato dall’art. 5 in tutti e tre i Modelli considerati (OCSE, Modello americano contro le doppie imposizioni e Trattato Italia – Usa).
La stabile organizzazione è un concetto molto attuale siccome per via della globalizzazione le aziende operano in qualsiasi parte del mondo ed è un concetto fondamentale per poter radicare in un determinato Stato la fonte del reddito d’impresa.
La stabile organizzazione nella normativa interna italiana è disciplinata nell’art.
162 del TU in cui “designa una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte un’attività nel territorio dello Stato”.
L’elemento caratterizzante dalla stabile organizzazione è il fatto di essere una sede fissa nel senso di stabilità con un determinato territorio ed idonea a consentire l’esercizio d’impresa69. In quest’ottica anche, ad esempio, un macchinario ovvero un server potrebbero costituire stabile organizzazione.
In riferimento ai server però la normativa intera italiana si discosta dalla normativa OCSE. La norma interna afferma che un server in Italia non costituisce automaticamente una stabile organizzazione mentre le indicazione dell’OCSE sono quelle di dire che se esiste un server, come struttura autonoma nel territorio dello Stato, la sua esistenza è sufficiente per far scattare la stabile organizzazione. È importante che attraverso la sede fissa si svolga l’attività principale dell’impresa e non le attività preparatorie ed ausiliarie70. Inoltre, come disciplinato nel comma 4, la sede fissa non costituisce stabile organizzazione anche quando viene utilizzata a fine di deposito ovvero al solo fine di acquistare merci.
Nel comma 2 di tale articolo vengono comprese nel concetto di stabile organizzazione (sempre se nelle seguenti strutture venga esercitata l’attività
69 BORIA P., L’individuazione della stabile organizzazione, in Rivista di diritto tributario, 2014
70 FANTOZZI A., La stabile organizzazione, in Rivista di diritto tributario, 2013
d’impresa): una sede di direzione, una succursale, un ufficio, un’officina, un laboratorio, una miniera, un giacimento.
Una particolare attenzione viene riservata ai cantieri che vengono trattati separatamente; per la normativa italiana essi vanno a costituire una stabile organizzazione soltanto se hanno durata superiore ai tre mesi nel territorio italiano.
Nel Modello OCSE la durata dei cantieri, affinché costituiscano stabile organizzazione, deve essere superiore ai dodici mesi.
Nel Trattato Italia – Usa la tempistica dei cantieri ricalca il Modello OCSE, quindi dovrà essere di almeno dodici mesi.
Quindi, ed esempio, nel caso di una società americana che ha un cantiere in costruzione in Italia con durata di sei mesi, tale cantiere non verrà considerato stabile organizzazione in quanto la Convenzione prevale sulle norme interne (quando le norme convenzionali sono più favorevoli rispetto alle norme interne). La stabile organizzazione talvolta può essere realizzata anche da una persona; questo avviene quando un soggetto abitualmente conclude in nome dell’azienda estera contratti diversi da quelli di acquisto di beni nel territorio dello Stato.
Se tale azienda estera si avvale di un intermediario residente in Italia il quale gode di uno status indipendente rispetto all’impresa, pur agendo nell’interesse e per conto di essa, non scatta la stabile organizzazione per la società estera.
L’art. 162 del TU collega la nozione di stabile organizzazione strettamente alle imprese come risulta chiaro dal testo dell’articolo.
In particolare, si andrà a verificare se ci sono i presupposti di una stabile organizzazione nei casi di società ed enti commerciali non residenti.
In Italia la stabile organizzazione è disciplinata anche dall’art. 152 del TU nel quale articolo si enuncia che tutti i redditi che la società commerciale non residente, avente stabile organizzazione, ha prodotto in Italia diventano redditi della stabile organizzazione e tassati come reddito d’impresa. Questo vale, quindi, anche per redditi provenienti da altre fonti che non stanno nella stabile organizzazione ma vengono attratti da quest’ultima.
Decisamente più limitata appare la forza attrattiva della stabile organizzazione che viene attribuita dal Modello OCSE71. Infatti, come emerge dall’art. 7 della Convenzione, lo Stato della fonte può tassare gli utili della stabile organizzazione ma solamente quelli attribuibili a questa. Gli altri redditi prodotti nello Stato verranno tassati separatamente se i beni che hanno generato tali redditi non sono iscritti nell’inventario della stabile organizzazione.
Se invece viene a mancare la stabile organizzazione, i redditi sono tassati come redditi delle singole categorie reddituali.
Di conseguenza, questo implica che l’impresa viene tassata nello Stato in cui si verificano i presupposti della stabile organizzazione solo per il reddito attribuibile alla stabile organizzazione e non per la totalità del reddito prodotto da quell’impresa nel mondo.
Sorgono delle problematiche nel momento della quantificazione del reddito prodotto dalla stabile organizzazione soprattutto in riferimento alle operazioni che intercorrono tra la casa madre e la stabile organizzazione, ad esempio, una controllata; questi rapporti vengono contabilizzati al valore normale come disciplinato dall’art. 7 della Convenzione. Quindi, ad esempio, se la casa madre trasferisce delle merci alla stabile organizzazione quest’ultima dovrà contabilizzare un costo anche se non ha pagato niente, pari al valore normale dei beni che ha acquisito e viceversa con i ricavi.
Con il concetto di stabile organizzazione non viene eliminata la doppia imposizione ma è un concetto utile ad attribuire e quantificare il reddito prodotto nello Stato della fonte. A riguardo, il Modello OCSE attribuisce il potere di imposizione allo Stato della fonte senza escludere il potere di imposizione dello Stato della residenza.
Viene adesso analizzata la stabile organizzazione nel Trattato Italia – Usa in particolare approfondendo che soglia di penetrazione economica un soggetto italiano dovrà avere affinché venga assoggettato a tassazione dal Governo degli Stati Uniti.
71 SANTACROCE B., AVOLIO D., Progetto BEPS, stabile organizzazione e attività preparatorie o ausiliarie, in Corriere tributario
Attraverso un’adeguata pianificazione, un’impresa italiana potrebbe evitare una stabile organizzazione negli Stati Uniti sia penetrando nel territorio statunitense con le attività escluse dalla stabile organizzazione dall’art. 5 del Trattato72 (che ricalcano quelle del Modello OCSE) sia utilizzando un agente indipendente evitando in questo modo la tassazione federale Usa.
Tuttavia, sorgono delle problematiche dal momento che gli Stati Uniti costituiscono un sistema federale in cui gli Stati membri mantengono una forte autonomia legislativa.
Quindi oltre all’imposizione prevista dal Governo federale si aggiungono le imposizioni previste dagli Stati americani e dalle diverse amministrazioni locali.
Le giurisdizioni locali e statali agiscono generalmente con imposte tra il 4 % e il 9
% sul reddito delle società a differenza delle imposte federali che sono decisamente più alte; quest’ultime possono variare dal 15 % al 35 %.
Le imposte statali e locali sono interamente deducibili dall’imponibile federale73. Nella pratica accade spesso che una società italiana, pur essendosi tutelata dalla doppia imposizione generata dall’imposizione federale degli Stati Uniti, incorre in una doppia imposizione causata dalla tassazione statale.
Questo accade, come detto, per la forte autonomia impositiva lasciata dagli Stati Uniti ai suoi Stati ed è prassi degli Usa non contrastare l’autorità statale in materia tributaria nonostante la loro Costituzione ponga sullo stesso livello le Convenzioni internazionali con le leggi federali e quindi in grado di contrastare una legge statale.
Questa prassi è rafforzata dal fatto che nel Trattato stipulato tra l’Italia e gli Stati Uniti contro le doppie imposizioni nell’art. 2 viene stabilito che tale Trattato si
72 Articolo 5 comma 3 Trattato Italia – Usa: “Non si considera che vi sia una stabile organizzazione quando: a) si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti all’impresa; b) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini di deposito, di esposizione e di consegna; c) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa; d) una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per l’impresa; e) una sede fissa di affari è utilizzata, per l’impresa, ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario.”
73 ADELCHI ROSSI A., PERIN L., Convenzione Italia – Usa e tassazione in assenza di stabile organizzazione, in Fisco, 2006, pagg. 7362
applica solamente alle imposte sul reddito a livello federale e non a quelle a livello statale.
Il concetto di stabile organizzazione a livello statale si identifica nel concetto di nexus. Tuttavia, la soglia di penetrazione economica che permette la creazione del nexus è inferiore a quella richiesta per la stabile organizzazione.
Può accadere che per alcune giurisdizioni statali possano costituire nexus l’utilizzo di agenti indipendenti, il mantenimento di merce in deposito, la partecipazione a fiere oppure addirittura attraverso il mero sfruttamento di diritti immateriali all’interno del territorio di riferimento.
Il governo degli Stati Uniti ha provveduto a disciplinare almeno il caso degli agenti di commercio con la seguente regolamentazione: “uno Stato non può imporre un’imposta sul reddito su una società costituita al di fuori della propria giurisdizione, la cui unica attività all’interno dello Stato sia la vendita di prodotti tramite agenti indipendenti”.
Le condizioni affinché questa normativa sia applicabile sono che le attività all’interno dello Stato siano limitate alla raccolta di ordini e che quest’ultimi, ai fini dell’approvazione, siano inoltrati al di fuori dello Stato. Inoltre le altre condizioni prevedono che le spedizioni devono essere effettuate al di fuori dello Stato mentre la consegna all’interno dello Stato deve avvenire con un mezzo terzo.
Tale legge non si applica alle società costituite al di fuori degli Stati Uniti ed a ciascuno Stato è riservata la facoltà di estendere o negare (come la California) tale protezione alle società estere.
Quanto emerge da quest’analisi permette di comprendere come i non uniformi concetti di nexus e di stabile organizzazione provochino dei danni alle ipotetiche società italiane che operano negli Stati Uniti. Ad essere esposte a tassazione statale non sono solamente le società italiane ma anche le società controllate statunitensi di gruppi italiani che operano in uno Stato degli Usa diverso da quello di costituzione74.
74 ADELCHI ROSSI A., PERIN L., Convenzione Italia – Usa e tassazione in assenza di stabile organizzazione, in Fisco, 2006, pagg. 7364
Secondo la legge degli Stati Uniti nel caso in cui una società non presenti la dichiarazione dei redditi in un determinato Stato, le Amministrazioni finanziarie dello Stato in questione possono agire con le dovute azioni di accertamento e tali azioni non sono soggette ad alcun termine di prescrizione. Quindi anche a distanza di diversi anni una società si può vedere costretta a pagare le relative sanzioni derivanti da una mancanza di dichiarazione dei redditi nello Stato di competenza.
Una soluzione a questa problematica è stata offerta dal National Nexus Program della Multi-State Tax Commission la quale soluzione prevede una sorta di concordato con il Fisco in cui alle società coinvolte è consentito regolarizzare la propria posizione fiscale contemporaneamente con più amministrazioni statali, prima che uno Stato notifichi un avviso di accertamento, al fine di avere una riduzione di sanzioni e interessi.
Come si è potuto osservare, da quanto analizzato, risulta chiaro che le divergenze nelle definizioni tra i diversi Stati di nexus e di base imponibile danno luogo ad aggravi fiscali per le imprese ma allo stesso tempo, con un’accurata pianificazione fiscale, si possono creare delle interessanti opportunità per gli investitori stranieri. Si procede ora con un esempio per chiarire meglio questo concetto.
Si ipotizzi che una società italiana, che verrà chiamata AEG, operante nel settore dell’abbigliamento debba avere la necessità di poter di disporre di un magazzino per i propri prodotti nello Stato di New Jersey per ottimizzare le operazioni di logistica della società nel territorio americano. Questo fatto non costituisce stabile organizzazione per l’art. 5 della Convenzione Italia – Usa e di conseguenza AEG non sarà assoggetta ad imposizione sul reddito a livello federale.
Tuttavia AEG sarà soggetta ad imposizione sul reddito in New Jersey siccome questo Stato considera nexus la presenza su base regolare di un magazzino sul territorio dello Stato.
Nell’ipotesi in cui tale magazzino venisse collocato nel limitrofo Stato di New York il risultato sarebbe diverso e, grazie ad un’esenzione, AEG potrebbe detenere merce in deposito nello Stato di New York senza incorrere in una doppia imposizione. Questo può avvenire a patto che l’attività di AEG sia limitata a
fornire all’interno del territorio, tramite una società terza indipendente, i seguenti servizi:
• Accettazione di ordini per posta (ordinaria o elettronica);
• Corrispondenza con i clienti;
• Fatturazione e incasso crediti;
• Spedizione di prodotti tenuti in deposito.
Un’altra problematica che sorge su questo tema è derivante dal fatto che le diverse definizioni di base imponibile degli Stati fanno si che le società estere operanti negli Stati Uniti siano soggette all’imposta sul reddito statale con riferimento ad una parte del suo reddito complessivo a livello mondiale.
Di conseguenza, la società italiana sarà costretta a riclassificare il proprio bilancio mondiale in dollari e a seguire i principi contabili statunitensi. Oltre all’ingente impegno di tempo e denaro per assolvere quest’obbligo, la società italiana sarà anche assoggettata al controllo delle Amministrazioni finanziarie degli Usa per quanto riguarda la contabilità e la documentazione da presentare.
Per evitare tutto questo, le società italiane per svolgere l’attività negli Usa ricorrono nella maggior parte dei casi alla costituzione di una controllata statunitense.
In conclusione, l’applicazione del Trattato Italia – Usa solamente alle imposte federali rappresenta un forte limite all’utilità pratica del Trattato stesso; queste limitazioni possono essere superate solo parzialmente attraverso un’attenta pianificazione fiscale mentre nella maggior parte dei casi le imprese italiane, cosi come quelle di altre nazionalità, incorrono in doppie imposizioni internazionali.
Superare la forte indipendenza di cui godono gli Stati negli Usa non appare possibile in quanto si tratta di un’indipendenza molto radicata.
È molto importante tenere presente che ogni Stato degli Usa è rappresentato nel Senato statunitense da due voti e che tutti i Trattati internazionali devono essere ratificati dal Senato americano prima di entrare in vigore. Affinché un Trattato venga approvato sono necessari i due terzi dei voti e quindi è necessaria una maggioranza qualificata di Stati.
Per questa ragione le problematiche affrontate in questo capitolo relativo alla stabile organizzazione sono destinate a perdurare.
CAPITOLO 3: LE CATEGORIE DI REDDITO
3.1 I DIVIDENDI
3.1.1 La tassazione dei dividendi secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE
Si inizia l’approfondimento sui dividendi75 andando ad analizzare brevemente come questi vengono tassati in Italia.
Dalla prospettiva di un soggetto non residente, i dividendi percepiti da tale soggetto sono imponibili in Italia quando sono pagati da un soggetto residente in Italia, come disciplinato dall’art. 23 del TU.
Tale dividendo in uscita dall’Italia verso l’estero, qualsiasi sia il soggetto ricevente, viene tassato con una ritenuta del 26 % (al di fuori di un‘eventuale stabile organizzazione); lo Stato italiano, se il soggetto non residente dimostra di essere stato tassato su quel dividendo anche nel suo Stato, rimborsa a tale soggetto fino agli 11/26 della ritenuta operata, come disciplinato dall’art. 27 del TU. Quindi è lo Stato della fonte, l’Italia in questo caso, che si preoccupa di limitare la doppia imposizione. Questa è una misura adottata per attrarre gli investimenti dall’estero nel territorio italiano.
Esiste una deroga a questa legge: nel caso in cui il percettore del dividendo è una società o un ente che risiede in un altro Stato membro dell’Unione Europea o appartenente all’accordo sullo Spazio Economico Europeo, la ritenuta che l’Italia preleva sui dividendi in uscita non può superare l’1.375 %.
Questo valore corrisponde alla tassazione che subiscono le società italiane sui dividendi erogati da un’altra società italiana quindi questa norma è stata introdotta
75 Il dividendo in economia è quella parte di reddito che viene distribuita da una società ai suoi azionisti.
per evitare delle discriminazioni delle società non residenti rispetto alle società italiane.
Ulteriore deroga all’art. 27 del TU è rappresentata dalla ritenuta zero applicata sui dividendi in uscita nella direttiva madre-figlia76 quando le due società sono considerate fiscalmente residenti in due diversi Stati e sono assoggettate negli Stati di residenza all’applicazione dell’imposta sul reddito. Inoltre la società madre deve conservare la partecipazione nella società figlia per un periodo ininterrotto di almeno due anni. Al verificarsi di queste condizioni, lo Stato della figlia, che è lo Stato che paga il dividendo, non può applicare alcuna ritenuta al dividendo in uscita.
Viene analizzata adesso la tassazione di un dividendo in entrata, quindi dall’estero verso l’Italia.
Nel caso in cui il dividendo sia percepito da una persona fisica bisogna distinguere a seconda che la partecipazione sia qualificata o non qualificata.
Se la partecipazione è qualificata77, il dividendo erogato dalla società estera a favore della persona fisica residente in Italia concorre alla formazione dell’imponibile della persona fisica sul 49,72 % dell’ammontare percepito.
Avviene una ritenuta del 26 % sul 49,72 % a titolo d’acconto all’ingresso in Italia dell’incasso del dividendo. Tale imposta viene scomputata dall’imposta complessiva.
Se la partecipazione è non qualificata viene operata una ritenuta del 26 % a titolo d’imposta e in questo caso è il soggetto intermediario (generalmente una banca italiana) ad effettuare la ritenuta. Invece, se il dividendo non viene incassato
76 una società si qualifica come società madre di un’altra quando questa possiede partecipazioni per almeno il 10 % del capitale della società figlia
77 Per partecipazione qualificata, ai sensi dell’art. 67 del TU, si intende una partecipazione societaria che presenti i seguenti requisiti:
Società quotata in mercati regolamentati italiani o esteri: possesso superiore al 2 % dei diritti di voto in Assemblea ordinaria oppure possesso superiore al 5 % del capitale sociale;
Società non quotata in mercati regolamentati: possesso superiore al 20 % dei diritti di voto in Assemblea ordinaria oppure possesso superiore al 25 % del capitale sociale o patrimonio.
tramite un intermediario italiano, tale dividendo viene assoggettato ad imposta sostituiva del 26 % sul netto frontiera cioè sulla somma che arriva in Italia.
Nel caso in cui, invece, il dividendo sia percepito da una società di capitali il dividendo sarà escluso dall’imponibile per il 95 % dell’ammontare percepito.
Sia che il precettore sia una persona fisica, sia che sia una società di capitali si devono verificare due condizioni affinché il reddito percepito dall’erogazione del dividendo sia considerato nella categoria dei redditi di capitale: la partecipazione deve essere legata risultati economici e ci deve essere l’impossibilità di potersi dedurre un costo a fronte del pagamento del dividendo per la società erogatrice.
Viene adesso analizzato quanto previsto dal Modello OCSE in relazione ai dividendi. Quest’ultimi vengono disciplinati nell’art. 10 il quale articolo enuncia che i dividendi pagati da una società residente in uno Stato ad un residente dell’altro Stato contraente, sono imponibili in detto altro Stato. Tuttavia, tali dividendi possono essere tassati anche nello Stato in cui la società che paga i dividendi è residente ma nel caso in cui “l’effettivo beneficiario”78 dei dividendi è un residente dell’altro Stato contraente l’imposta applicata non può eccedere il 5
%79 oppure il 15 %80.
Quindi il Modello OCSE prevede la tassazione preferenziale dello Stato della residenza del soggetto che percepisce i dividendi con la possibilità di tassazione concorrente dello Stato di residenza della società che paga il dividendo (Stato della fonte); in quest’ultimo caso viene imposta una limitazione.
78 Il concetto di “beneficiario effettivo” ricorre spesso nel modello OCSE e viene precisato che non è beneficiario il soggetto che percepisce gli interessi in qualità di mero intermediario. Gli elementi che devono essere verificati sono se il soggetto può effettivamente disporre del reddito e se il soggetto assume il rischio di gestione dell’attività che svolge. Il concetto di “beneficiario effettivo” è stato introdotto per evitare che tra due soggetti si interponga un soggetto appartenente ad un network favorevole e di conseguenza per impedire che avvenga un abuso dei trattati.
79 Articolo 10 comma 2 paragrafo a: “il 5 % dell’ammontare lordo dei dividendi se l’effettivo beneficiario è una società (diversa da una società di persone) che detiene direttamente almeno il 25 % del capitale della società che distribuisce i dividendi.”
80 Articolo 10 comma 2 paragrafo b: “il 15 % dell’ammontare lordo dei dividendi in tutti gli altri casi.”
3.1.2 La tassazione dei dividendi nel Trattato Italia - Usa
Nel Trattato Italia – Usa i dividendi sono disciplinati nell’art. 10.
La Convenzione tratta la tassazione dei dividendi conformemente a quanto previsto dal Modello OCSE quindi, come appena analizzato, prevedendo la tassazione preferenziale dello Stato di residenza del beneficiario senza escludere la possibilità di tassazione concorrente dello Stato di residenza della società che eroga i dividendi. Questa tassazione avviene in conformità alla legislazione interna dello Stato della fonte; sia l’Italia che gli Stati Uniti, come Stati della fonte, prevedono nelle loro normative interne la tassazione del dividendo distribuito a soggetti non residenti in forma di ritenuta alla fonte. Quest’ultima è per gli Stati Uniti il 30 % mentre per l’Italia il 27 %.
La seconda parte del secondo comma dell’art. 10 contiene le limitazioni nel caso in cui “l’effettivo beneficiario dei dividendi sia un residente nell’altro Stato contrante”. Tali limitazioni sono uguali a quelle previste dal Modello OCSE ovvero del 5 % e del 15 % con la precisazione, all’interno dell’art. 10 comma 2 paragrafo a, che la partecipazione debba essere posseduta minimo “… per un periodo di 12 mesi avente termine alla data alla quale i dividendi sono dichiarati.” La condizione di beneficiario effettivo (beneficial owner) è richiamata esplicitamente soltanto in riferimento alla limitazione del 5 % ma si deve ritenere che tale condizione sia valida anche in riferimento alla limitazione del 15 %.
Con l’inserimento di beneficial owner nella Convenzione, lo scopo è quello di evitare che vengano applicati i benefici convenzionali a soggetti “intermedi” che non siano i reali aventi diritto dei dividendi erogati.
Non è presente nella Convenzione Italia – Usa una definizione di beneficial owner e di conseguenza tale concetto va interpretato secondo la legge dello Stato della fonte. Secondo le Technical Explanations il beneficial owner è “la persona alla quale il dividendo è imputabile secondo la legge dello Stato della fonte”.
Su questo punto sorge una problematica: in linea con quanto appena esposto, la normativa interna degli Stati Uniti da prevalenza alla legge dello Stato della fonte per l’imputazione del dividendo al beneficial owner mentre l’amministrazione
italiana tende a far dipendere tale qualificazione dalla legge dello Stato della residenza.
La legge italiana considera tutte le società estere, a prescindere dalla forma giuridica, come soggetti d’imposta IRES. Infatti, nel caso in cui l’Italia sia Stato della fonte, le società di persone estere verrebbero considerate, secondo i criteri italiani, come soggetti autonomi d’imposta. Per evitare problematiche in questo senso, l’Italia, come Stato della fonte, riconosce la qualifica effettuata dallo Stato di residenza del soggetto trasparente81.
Viene analizzato adesso il beneficiario effettivo che può godere della limitazione del 5 % sull’imposizione del dividendo. Tale beneficiario deve essere una società con una partecipazione di almeno il 25 % delle azioni con diritto di voto della società che paga i dividendi.
La quota di percentuale della partecipazione si riferisce quindi ai diritti di voto e non al capitale, in linea con quanto prevedono le norme interne degli Stati Uniti.
Questo trattamento, inoltre, è riservato solamente per le persone giuridiche e su questo punto si aprono nuove problematiche legate alla diversa qualificazione del soggetto fra Stato della fonte e Stato della residenza; ad esempio può succedere che il beneficiario del dividendo sia considerato dal punto di vista dell’Italia, come Stato della residenza, come soggetto autonomo d’imposta mentre dal punto di vista degli Stati Uniti, come Stato della fonte, come soggetti trasparenti. In questo caso, da quanto descritto in precedenza, sarà l’Italia ad adeguarsi agli Usa.
Il terzo comma dell’art. 10 del Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni definisce il termine “dividendo” ovvero redditi derivanti da:
• Azioni o diritti di godimento, quote minerarie e quote di fondatore;
• Altre quote di partecipazione agli utili, esclusi i crediti;
• Redditi che secondo la legge fiscale dello Stato della fonte sono assoggettati al medesimo regime fiscale delle azioni.
81 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito (parte seconda), in Bollettino tributario 2010, pagg. 498
La maggior parte della disciplina quindi è rinviata alla normativa interna dello Stato della fonte, cioè lo Stato in cui è residente la società che distribuisce il dividendo.
Il quarto comma contiene la “riserva della stabile organizzazione” che consiste nel negare, nello Stato della fonte, le limitazioni della tassazione dei dividendi nei casi in cui la partecipazione che genera i dividendi si ricolleghi ad una stabile organizzazione che il beneficial owner intrattiene nello Stato della fonte.
In questo caso lo Stato della fonte tassa i dividendi secondo la propria normativa interna.
Nel caso in cui l’Italia sia lo Stato della fonte, la riserva della stabile organizzazione non crea effetti negativi per la società statunitense avente stabile organizzazione in Italia se la partecipazione è compresa nel patrimonio della stabile organizzazione.
Il dividendo, in questo caso, non viene soggetto ad alcuna ritenuta alla fonte ed a livello della stabile organizzazione italiana esso può beneficare dell’esclusione del 95 %82.
La società americana avente stabile organizzazione in Italia non incorre in nessuna conseguenza negativa nemmeno nel caso in cui la partecipazione non facesse parte del patrimonio della stabile organizzazione ma fosse detenuta direttamente dalla casa madre della stabile organizzazione in Italia.
In questo caso la società americana ha diritto alla limitazione della tassazione (con la ritenuta al 5 % o 15 %) nonostante la società italiana, erogatrice del dividendo, può assoggettare il dividendo ad una ritenuta del 27 %.
82 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito (parte seconda), in Bollettino tributario 2010, pagg. 500
3.1.3 L’imposizione dei Ric e Reit
Il Trattato Italia – Usa prevede delle regole speciali per i dividendi distribuiti da una RIC83oppure da un REIT84nel caso in cui gli Usa siano lo Stato della fonte.
Come disciplinato dall’art. 10 comma 9, ai dividendi distribuiti da tali enti non viene mai applicata la ritenuta del 5 % (come nei casi precedentemente analizzati). I dividendi pagati da una RIC possono beneficiare di un’aliquota del 15 % senza ulteriori condizioni. I dividendi distribuiti da un REIT invece possono beneficare di un’aliquota del 15 % solo dopo il superamento di una serie di condizioni alternative85; in caso contrario la ritenuta sui dividendi sarà del 30 %.
In particolare, le RIC, negli Stati Uniti, sono utilizzate per la gestione di fondi d’investimento aperti in valori mobiliari; esse sono società esentate dalla tassazione dei proventi distribuiti ai soci sia che essi siano residenti negli Stati Uniti sia che non lo siano. Con questa norma quindi si è voluto evitare che un residente italiano acquisisca partecipazioni in imprese statunitensi attraverso l’interposizione di una RIC per poter beneficiare del regime favorevole di tassazione sui dividendi.
Il REIT, invece, è un organismo d’investimento collettivo che può essere rivestito da società per azioni, trusts o associazioni residenti che rispondano a determinati requisiti. Il REIT gode, per l’ordinamento fiscale americano, di un regime fiscale di trasparenza all’imposta sul reddito delle persone giuridiche; esso infatti può dedurre dalla base imponibile gli utili distribuiti ai soci. L’intento del legislatore,
83 RIC acronimo di Regulated Investment Company
84 REIT acronimo di Real Estate Investment Trust
85 I dividendi possono godere del tasso convenzionale del 15 % al ricorrere di almeno una delle seguenti tre condizioni:
• Il beneficial owner dei dividendi deve essere una persona fisica che possiede una partecipazione non superiore al 10 % nel REIT;
• Nel caso in cui le azioni sono quotate, il beneficial owner può anche essere una
persona diversa da una persona fisica ma la partecipazione non deve superare il 5 %;
• Oppure se il beneficial owner è una persona che possiede una partecipazione non superiore al 10 % in un REIT diversificato.
in questo caso, è quello di evitare che il REIT possa venire impiegato come una “società veicolo” dagli azionisti residenti in Italia al fine di conseguire un vantaggio fiscale in termini di tassazione alla fonte.
3.1.4 Branch Profit Tax
La Branch Profit Tax rappresenta una novità nel Trattato Italia – Usa ed è disciplinata nell’art. 10 comma 6 all’interno della disciplina sui dividendi.
La Branch Profit Tax rappresenta una novità anche per il nostro sistema fiscale essendo un’imposta tipicamente statunitense.
Tale tassa quindi avvicina il Trattato Italia – Usa maggiormente all’Usa Model rispetto al modello OCSE.
La Branch Profit Tax ha permesso di eliminare la disparità di trattamento tra le imprese italiane che operavano negli Stati Uniti tramite una branch86 e quelle che invece operavano tramite una subsidiary87.
Con l’introduzione di tale tassa nella Convenzione quindi si è posto fine al vantaggio fiscale di cui godevano le società italiane che svolgevano attività d’impresa negli Stati Uniti tramite stabile organizzazione88.
Attraverso la lettura dell’art. 10 comma 6 del Trattato Italia – Usa si deduce che la Branch Profit Tax è un’imposta aggiuntiva concessa agli Stati contraenti sugli utili della stabile organizzazione di una persona giuridica residente nell’altro Stato. Questa introduzione è stata necessaria in quanto, con la precedente Convenzione, le imprese italiane operanti negli Usa attraverso una stabile organizzazione godevano di un vantaggio fiscale non essendo soggette, a differenza delle società che operavano tramite una corporate americana, ad una ritenuta alla fonte (withholding tax) al momento della distribuzione dei dividendi
86 Branch acronimo di ramo d’azienda
87 Subsidiary acronimo di società controllata
88 RIZZO MARULLO F., Branch Profit Tax negli Stati Uniti, in Fiscalità & commercio internazionale, 2013, pagg. 25
alla controllante italiana. A causa di questa disparità di trattamento venivano rilevate delle perdite in entrata per il fisco statunitense.
L’Internal Revenue Code statunitense osservò che gli utili rimpatriati dalla branch alla casa madre estera sfuggivano alla tassazione, in quanto il rimpatrio costitutiva un mero trasferimento all’interno della stessa corporate e non un dividendo89; inoltre non risultava chiaro nemmeno l’individuazione del momento impositivo. Per questo motivo è stata introdotta una ritenuta alla fonte del 30 % (come le società straniere che operano negli Stati Uniti tramite subsidiary americana) che non va a colpire direttamente i dividendi ma bensì il reddito rimpatriato o non reinvestito negli asset della stabile organizzazione. Precedentemente tali utili rimpatriati erano considerati come un mero trasferimento all’interno della corporate e non come distribuzione di dividendi.
La Branch Profit Tax può essere considerata quindi come un sostituto della ritenuta alla fonte sui dividendi.
La base imponibile della Branch Profit Tax è costituita dalla quota degli utili d’impresa attribuibili all’attività imputabile alla stabile organizzazione negli Usa al netto delle imposte; tale base imponibile aumenta o diminuisce in seguito alle modifiche del patrimonio netto costituito dalla differenza tra gli asset e le passività della branch.
Il parallelismo approfondito in questo capitolo tra la Branch Profit Tax e la ritenuta alla fonte sui dividendi è evidenziato dal fatto che entrambi questi tipi di tassazione sono soggetti alle medesime riduzioni sancite dai trattati contro le doppie imposizioni sui dividendi. Nell’art. 10 viene concessa la possibilità per l’Italia (in questo caso) di sottoporre a tassazione i dividendi, consentendo anche agli Stati Uniti di imporre una ritenuta alla fonte, o in alternativa la Branch Profit Tax se sussiste stabile organizzazione, attraverso un aliquota ridotta al 5 %.
Con l’introduzione della Branch Profit Tax nel Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni è meno conveniente per le società italiane penetrare il mercato americano tramite una branch ed è necessaria una ancora più attenta pianificazione fiscale.
89 RIZZO MARULLO F., Branch Profit Tax negli Stati Uniti, in Fiscalità & commercio internazionale, 2013, pagg. 28
3.2 GLI INTERESSI
3.2.1 La tassazione degli interessi secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE
L’analisi delle categorie di reddito viene focalizzata ora sugli interessi e come essi vengono tassati in Italia.
Si parte analizzando il caso in cui il percettore degli interessi sia un soggetto non residente in Italia. La maggior parte di questi interessi, pagati da soggetti italiani a soggetti non residenti in Italia, non sono assoggettati a tassazione vista l’esenzione quando essi sono pagati a soggetti residenti in Paesi con cui c’è lo scambio di informazioni. In questi casi, l’Italia, come Stato della fonte, non effettua nessuna tassazione e quest’ultima è spostata nello Stato di residenza del precettore.
Non viene operata nessuna ritenuta nemmeno nei casi di interessi obbligazionari ed interessi su conti corrente bancari e postali.
Negli altri casi, ad esempio gli interessi pagati tra privati anche nel caso in cui il creditore risiede in un Paese che scambia informazioni, l’Italia opera una tassazione con l’aliquota del 26 %.
Esiste un altro caso in cui l’Italia non opera nessuna ritenuta alla fonte sugli interessi e questo si verifica quando una società residente in Italia paga interessi ad una società residente in un altro Stato dell’UE al verificarsi delle seguenti condizioni:
• Tra la società erogante e quella percepiente ci sia un rapporto di partecipazione diretta superiore o uguale al 25 % dei diritti di voto;
• Tale partecipazione sia detenuta per almeno un anno;
• Il soggetto percettore sia il beneficiario effettivo degli interessi quindi che non sia un intermediario, che possa disporre del reddito e che si assuma il rischio di gestione dell’attività svolta.
Vengono analizzati adesso gli interessi percepiti da un soggetto residente in Italia e pagati da un soggetto residente in un altro Stato.
Nel caso in cui il percettore degli interessi, derivanti da conti correnti bancari o postali, sia una persona fisica residente in Italia e tali interessi vengono incassati in Italia tramite un intermediario quest’ultimo applica una ritenuta del 26 %.
Se invece gli interessi non vengono incassati tramite un intermediario, il contribuente deve indicare tali interessi nella dichiarazione dei redditi e applicarci l’imposta sostitutiva (sempre del 26 %).
Quando invece il percettore degli interessi è una società italiana, sia essa di persone o di capitali, sugli interessi in entrata non viene applicata nessuna ritenuta. Gli interessi, in questo caso, concorrono a formare la base imponibile IRES o la base imponibile della società di persone in Italia.
Secondo il Modello OCSE gli interessi sono tassati con una regola di tassazione concorrente simile a quella per i dividendi. Gli interessi, come disciplinato dall’art. 11, sono tassati tendenzialmente dallo Stato della residenza ma anche lo Stato della fonte può applicare una ritenuta se “l’effettivo beneficiario degli interessi è un residente dell’altro Stato contraente”90; tale ritenuta non può superare il 10 % dell’ammontare lordo degli interessi.
Secondo il Modello OCSE il termine “interessi” comprende i redditi derivanti da:
• Crediti di ogni tipo;
• Titoli del debito pubblico, buoni e obbligazioni, compresi i premi annessi.
3.2.2 La tassazione degli interessi nel Trattato Italia - Usa
Gli interessi, nel Trattato Italia – Usa, sono disciplinati nell’art. 11.
La disciplina ricalca quella del Modello OCSE appena esposta quindi avviene una tassazione preferenziale dello Stato della residenza e, come disciplinato dal
90 Articolo 11 comma 2 del modello OCSE
secondo comma, viene permesso allo Stato della fonte di tassare gli interessi secondo la norma interna di tale Stato con una limitazione del 10 %.
Nel primo comma, in riferimento alla tassazione degli interessi nello Stato di residenza, viene usata la formulazione “sono imponibili soltanto” in tale Stato91. Il termine “soltanto” non è presente nel testo inglese e non rappresenta alcuna importanza concreta nella Convenzione.
Il secondo comma, come detto, permette allo Stato della fonte di tassare gli interessi secondo la normativa interna di tale Stato. Chiaramente, su certi tipi di interessi, esclusi dalla tassazione nei confronti di soggetti non residenti secondo le norme interne dello Stato della fonte, non potrà essere esercitata la tassazione dello Stato della fonte. Nel caso dell’Italia tali interessi sono, come visto nel precedente paragrafo, gli interessi su depositi e conti correnti bancari, interessi su titoli di Stato e su obbligazioni dei grandi emittenti; nel caso degli Stati Uniti invece tali interessi sono, per esempio, i cosiddetti portfolio interests.
La limitazione della tassazione dello Stato della fonte è del 10 % dell’ammontare lordo degli interessi; con l’applicazione di questa aliquota la Convenzione deroga alle leggi nazionali dell’Italia, che applica il 12,5 % o il 27 %, e degli Usa, che applicano il 30 %.
Nel terzo comma sono disciplinati i casi di esenzione della tassazione dello Stato della fonte e di conseguenza gli interessi possono essere soggetti ad imposizione soltanto nello Stato di residenza del beneficiario. Nei seguenti casi è prevista l’esenzione totale nello Stato della fonte (per le prime due ipotesi è prevista l’esenzione soltanto se il soggetto percettore sia l’effettivo beneficiario degli interessi):
• Per gli interessi corrisposti ad un ente governativo che detiene meno del 25
% del capitale della persona che paga gli interessi;
• Per gli interessi su prestiti garantiti da un ente governativo e pagati ad un residente dell’altro Stato;
91 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito (parte seconda), in Bollettino tributario 2010, pagg. 501
• Per gli interessi su crediti per forniture di merci, servizi e attrezzature industriali e commerciali.
In merito all’ultimo punto, riguardante gli interessi dovuti per dilazione di pagamento, risulta essere una novità assoluta del Trattato Italia - Usa92, anche se tale esenzione è già presente in altre Convenzioni stipulate dall’Italia. Si tratta invece di una novità rispetto alla normativa interna americana.
Strettamente collegato a questo tema è l’esclusione dalle limitazioni ed esenzioni previste nei primi tre commi dell’art. 11 dei residual interests93 in relazione a un Remic94, come disciplinato dall’art. 1 del Protocollo del Trattato Italia – Usa. Tali interessi sono imponibili nei due Stati contraenti secondo le proprie normative interne. Tale normativa è stata introdotta sotto forte pressione degli Stati Uniti per via del forte inasprimento delle disposizioni antielusive negli Usa che verranno approfondite in seguito.
In questo caso, quindi, i redditi attribuibili ai portatori non residenti di un residual interest in un Remic devono essere soggetti alla ritenuta piena del 30 % come previsto dalle normative interne americane, senza poter beneficiare delle riduzioni ed esenzioni previste dalla Convenzione.
Il quarto comma definisce il termine “interessi” e lo fa fornendo alcuni esempi concreti95 e per tutti gli altri tipi di interessi rinvia alle leggi interne dello Stato della fonte. Quest’ultima definizione non vincola lo Stato della residenza; ad esempio, può succedere che quello che gli Stati Uniti, come Stato della fonte, qualificano come “interessi” non corrisponde alla qualifica che viene attribuita a tali interessi dall’Italia come Stato della residenza.
92 VALENTE P., Convenzione Italia – Usa: rassegna delle principali novità, in il Fisco 2010, pagg. 5683
93 Residual interests acronimo di interessi residui
94 Remic acronimo di Real Estate Mortage Investment Conduit
95 Articolo 11 comma 4: “.. redditi dei titoli del debito pubblico, delle obbligazioni di prestiti, garantiti o non da ipoteca e portanti o meno una clausola di partecipazione agli utili, crediti di qualsiasi natura.”
Il quinto comma tratta l’argomento della “riserva della stabile organizzazione”. La formulazione è tendenzialmente la stessa usata per i dividendi solamente che in questo caso il collegamento con la stabile organizzazione non è rappresentato da una partecipazione bensì da un “credito generatore degli interessi”. Quando sussiste questo presupposto gli interessi concorrono a formare il reddito imponibile della stabile organizzazione96.
In tutte le altre situazioni in cui, ad esempio, una società americana con stabile organizzazione in Italia che allo stesso tempo riceve interessi da fonti italiane ma il “credito generatore” di tali interessi non è imputabile alla stabile organizzazione, gli interessi in questione (pagati da fonti italiane alla società americana) possono rientrare nella Convenzione e di conseguenza beneficiare della limitazione nella tassazione in Italia con ritenuta del 10 %.
All’interno del comma sette è disciplinato il principio dell’at arm’s lenght97, ripreso dal Modello OCSE. Secondo tale principio, nel caso di “particolari relazioni esistenti tra debitore e il beneficiario effettivo o tra ciascuno di essi e terze persone, la disciplina agevolativa prevista dall’articolo in esame si applica solo agli interessi pagati non eccedenti quelli che sarebbero stati convenuti tra soggetti indipendenti, in condizioni di libera concorrenza”.
La parte che eccede rispetto al valore normale è tassata nello Stato della fonte secondo la propria normativa interna. Questo fenomeno accade in virtù di particolari rapporti tra creditore e debitore che sfociano in pagamenti di interessi eccessivi.
96 VALENTE P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016
97 GARBARINO C., Convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni commentario, EGEA, 2001
3.3 LE ROYALTIES
3.3.1 La tassazione delle royalties secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE
Le royalties, ovvero i canoni, rappresentano le somme di denaro pagate per poter sfruttare brevetti, marchi, software, opere dell’ingegno o comunque tutto quello che è definito il know-how di un’azienda, ovvero le conoscenze e le abilità operative necessarie per svolgere una determinata attività.
Anche per l’analisi delle royalties si parte dalla prospettiva del soggetto non residente in Italia. Come disciplinato dall’art. 23 del TU, le royalties si considerano prodotte in Italia quando sono corrisposte da un soggetto residente in Italia e di conseguenza lo Stato italiano avrà la potestà d’imposizione su essi.
Sulle royalties percepite da non residenti e pagate da soggetti residenti in Italia viene applicata una ritenuta del 30 % a titolo d’imposta.
Viene adesso analizzato il caso in cui il percettore delle royalties, derivanti da fonti estere, è un soggetto residente in Italia. In questo caso le royalties vanno a costituire reddito di lavoro autonomo, quando il soggetto che beneficia di esse ne è l’inventore, oppure reddito diverso, quando il soggetto che ne beneficia è un soggetto diverso dall’inventore.
Secondo il Modello OCSE la tassazione delle royalties avviene esclusivamente (a differenza degli interessi e dei dividendi) nello Stato di residenza del beneficiario. Infatti, l’art. 12 del Modello OCSE recita cosi: “I canoni provenienti da uno Stato contraente e il cui beneficiario effettivo è un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili solo in detto altro Stato.”
Viene evitata in questo caso l’imposizione concorrente tra i due Stati contraenti e in questo modo si ha la certezza che non si possa verificare una doppia imposizione.
È presente inoltre un caso di esenzione quando si verifica un rapporto tra due società qualificabili come madre – figlia al sussistere della condizioni elencate per tale direttiva negli interessi. In questo caso i canoni pagati da una società residente in uno Stato membro dell’Unione Europea ad una società dell’altro Stato membro dell’Unione Europea non sono assoggettati a ritenuta a prescindere da convenzioni eventualmente in atto tra i due Stati e a prescindere dalle norme interne dei due Stati.
3.3.2 La tassazione delle royalties nel Trattato Italia – Usa
Differentemente da quanto appena visto per il Modello OCSE, nel Trattato Italia – Usa viene concessa la possibilità di tassazione anche allo Stato della fonte, come disciplinato dal secondo comma dell’art. 12. Avviene quindi un’imposizione concorrente tra i due Stati contraenti come visto per i dividendi e gli interessi; tale tassazione applicabile dallo Stato della fonte è soggetta ad una limitazione del 5 % o 8 % del compenso lordo se la persona (sia essa persona fisica o società) che percepisce i canoni è l’effettivo beneficiario98.
Le Technical explanations, conformemente al Modello OCSE, disciplinano il caso in cui il canone viene ricevuto da un agente residente di uno Stato per conto di una persona non residente nello stesso Stato; in questo caso il canone non può beneficiare della Convenzione. Contrariamente, se il canone viene ricevuto da un agente per conto di un residente dello stesso Stato esso può beneficiare della Convenzione.
Per quanto riguarda i limiti del 5 % e dell’8 % essi, oltre a non essere presenti nel Modello OCSE, non lo sono nemmeno nel Modello americano contro le doppie imposizioni e rappresentano una deroga alle legislazioni nazionali di entrambi gli Stati; infatti in Italia come visto nel precedente capitolo, è prevista una ritenuta alla fonte del 30 % sui canoni corrisposti a soggetti non residenti. La stessa aliquota è prevista dagli Stati Uniti.
98 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito (parte seconda), in Bollettino tributario 2010, pagg. 503
La limitazione del 5 % viene applicata “nel caso di canoni corrisposti per l’uso o la concessione in uso di software per computer, o di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche99”.
La limitazione dell’8% invece si applica in tutti gli altri casi come ad esempio: canoni per l’uso di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti e know-how.
Nel terzo comma vengono elencati i casi di esclusione della tassazione nello Stato della fonte sempre se la persona che percepisce i canoni sia il beneficiario effettivo. Essi sono: canoni “per l’uso o la concessione in uso di un diritto d’autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche (ad esclusione dei canoni relativi al software per computer, alle pellicole cinematografiche, alle pellicole, ai nastri magnetici o altri mezzi di registrazione per trasmissioni radiofoniche o televisive)100”.
Il quarto comma contiene una definizione propria di royalties, senza rinviare alla definizione nella legge nazionale dello Stato della fonte come con i dividendi e gli interessi. Tale definizione di canoni del quarto comma è desumibile dai primi tre commi ed essi sono rappresentati dall’elenco svolto in tali commi.
Il quinto comma (riguardante la riserva della stabile organizzazione) e il sesto comma (che definisce la fonte dei canoni) contengono la stessa disciplina vista per gli interessi.
99 Articolo 12 comma 2 paragrafo b) del Trattato Italia – Usa contro le doppie imposizioni.
100 Articolo 12 comma 3 del Trattato Italia – Usa.
3.3.3 L’applicazione dell’art. 12 del Trattato Italia – Usa con riguardo alle
royalties maturate dai produttori fonografici
Viene adesso analizzato un caso pratico partendo dalla sentenza n. 21220 emanata dalla Corte Suprema di Cassazione il 29 settembre 2006.
Il caso in questione riguarda i canoni percepiti da una casa discografica degli Usa per la concessione ad una controllata italiana dei diritti di sfruttamento su registrazioni incluse nel suo catalogo.
Con tale sentenza la Corte di cassazione ha respinto il ricorso della consociata italiana volto a dichiarare l’assoggettamento dei canoni corrisposti alla casa madre negli Usa (a fronte dello sfruttamento economico in Italia delle registrazioni appartenenti al catalogo) allo stesso regime fiscale previsto per i redditi da diritto d’autore101.
La problematica dalla quale è partito il processo appena descritto è il fatto che nel Trattato Italia – Usa non trovano specifica collocazione i diritti connessi dei produttori fonografici e se essi dovevano essere compresi tra i diritti d’autore.
La Corte ha respinto il ricorso della consociata italiana in quanto nel sistema legislativo italiano esiste una distinzione tra diritti d’autore e diritti connessi (ai quali appartengono i diritti dei produttori fonografici in questione) e di conseguenza tali diritti dovevano avere un trattamento fiscale diverso.
Inoltre, a causa della diversa qualificazione dei diritti d’autore per il diritto interno statunitense, veniva riconosciuto un credito d’imposta corrispondente alla ritenuta operata dall’Italia e quindi, nel caso essa fosse inferiore al tributo pagato in Italia, si poteva generare una doppia imposizione risolvibile soltanto attraverso il meccanismo della procedura amichevole.
Come appena osservato, i problemi interpretativi sono nati in conseguenza della diversa qualificazione giuridica dei diritti sulle registrazioni musicali in Italia e negli Usa.
Tale diversa qualificazione giuridica nasce dalla differenza tra i due sistemi adottati: il civil law per l’Italia e il common law per gli Stati Uniti. Nel sistema del common law i diritti sulle registrazioni musicali sono inclusi nell’area del copyright mentre nel sistema del civil law tali diritti non godono della tutela del diritto d’autore ma rientrano nell’ambito dei diritti connessi al diritto d’autore.
Nello specifico, come appena analizzato, per il sistema normativo italiano i diritti d’autore e i diritti connessi al diritto d’autore sono disciplinati come due categorie diverse di reddito.
Per quanto riguarda i diritti connessi al diritto d’autore, essi non presuppongono necessariamente dell’esistenza di un’opera dell’ingegno e godono di una protezione meno forte rispetto ai diritti d’autore. Tali diritti connessi al diritto d’autore sono relazionati alla fornitura di prodotti o servizi collegati ad opere dell’ingegno (quest’ultimi protetti dai diritti d’autore).
Il copyright statunitense, invece, ha una portata più vasta rispetto al diritto d’autore italiano in quanto disciplina anche i diritti connessi al diritto d’autore. In Usa quindi si può dedurre che il diritto tende a tutelare di più la riproduzione di un’opera dell’ingegno piuttosto che alla sua creazione intellettuale.
In conclusione, il Trattato Italia – Usa non sembra risolvere del tutto i contrasti interpretativi riguardanti la tassazione dei canoni maturati dai produttori fonografici per via delle forti divergenze che rimangono nelle normative interne dei due Stati102.
3.3.4 La problematica legata alla qualificazione del software
Attorno alla tematica del software si è generata una discussione sulla qualificazione dei proventi derivanti da essi come reddito d’impresa o come canone.
Come visto nel precedente paragrafo, per i canoni relativi al software è prevista l’aliquota concorrenziale dello Stato della fonte con la limitazione del 5 %.
Intanto è importante sottolineare come la nuova Convenzione abbia incluso i
software tra i diritti d’autore ponendo fine a delle discussioni sul tema.
Per quanto riguarda invece l’attribuzione dei proventi derivanti dal software come reddito d’impresa (o di lavoro autonomo) oppure come canoni risulta molto importante in quanto nel caso essi siano classificati come redditi d’impresa (o di lavoro autonomo) avverrebbe la tassazione del reddito esclusivamente nel Paese del percipiente. Nel caso invece i proventi derivanti dal software siano classificati come canoni, anche lo Stato della fonte ha la facoltà di imposizione attraverso una ritenuta prevista dalla Convenzione103.
Facendo riferimento alle indicazioni fornite dal commentario del Modello OCSE i compensi relativi al software sono classificabili in differenti modi in base alla natura dei diritti trasferiti e in base dei contratti stipulati relativi all’uso e allo sfruttamento dei programmi. Di conseguenza i compensi derivanti dal trasferimento di software possono dar luogo a più situazioni solo alcune delle quali originano canoni.
Quest’ultimo caso è rappresentato dai compensi derivanti dalla concessione del diritto di sfruttamento economico del software e di conseguenza disciplinato secondo l’art. 12. Il diritto di sfruttamento in questione comprende il diritto di riproduzione, distribuzione e di sviluppo del software.
Nel caso in cui nel contratto stipulato per disciplinare l’utilizzo del software per fini personali o commerciali è presente una clausola che vieta la riproduzione di programmi, i relativi proventi costituiscono reddito d’impresa (o lavoro autonomo).
103 GARBARINO C., Convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni commentario, EGEA, 2001
Quindi, secondo l’interpretazione del Modello OCSE accettata anche dalla disciplina italiana, i proventi derivanti dal software costituiscono royalties se viene trasferito qualcosa di meno della piena proprietà del software mentre se si tratta di mero utilizzo personale e commerciale tali compensi vengono classificati come redditi d’impresa.
La posizione fiscale statunitense si allinea a quella appena descritta fornita dal Modello OCSE. Di conseguenza è stato confermato che l’acquisto di software per l’uso personale o commerciale non implica il pagamento di royalties anche nel caso in cui viene concesso il diritto di riproduzione senza quello di commercializzazione. Infatti il diritto di riproduzione risulta rilevante solo quando è possibile collegarlo con il diritto di vendere al pubblico le copie riprodotte.
Le Technical explanations del Trattato Italia – Usa si allineano anch’esse alla posizione appena descritta dal Modello OCSE affermando che i compensi derivanti da software possono essere classificati sia come redditi d’impresa sia come royalties in relazione alle circostanze che hanno generato tali compensi.
3.4 GLI UTILI DI CAPITALE
3.4.1 La tassazione delle plusvalenze azionarie secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE
L’analisi degli utili di capitale (capital gains104) viene focalizzata in questo paragrafo sulle plusvalenze azionarie.
Si parte dalla prospettiva del soggetto non residente in Italia. In questo caso bisogna analizzare a quali condizioni si considera prodotta in Italia la plusvalenza realizzata dal soggetto non residente in Italia derivante dalla vendita di
104 Il termine capital gain sta per utile di capitale ed è un termine che viene usato per indicare la differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario, come ad esempio le azioni.
partecipazioni in società italiane. Per rispondere a questa domanda bisogna considerare l’art. 23 del TU che dice che tale plusvalenza “si considera prodotta in Italia quando riguarda partecipazioni in società residenti in Italia, escluse le partecipazioni non qualificate in società quotate”.
Se tale plusvalenza è realizzata da una persona fisica bisogna distinguere se la partecipazione è qualificata o meno. Nel caso la partecipazione fosse qualificata, la persona fisica in questione è assoggettata all’IRPEF in Italia sul 49,72 % della plusvalenza realizzata. Nel caso invece la partecipazione fosse non qualificata, la persona fisica viene tassata con imposta sostitutiva in Italia del 26 % sull’intera plusvalenza.
Invece, se la plusvalenza è realizzata da una società bisogna andare ad individuare la presenza o meno di una stabile organizzazione in Italia. Se non è presente la stabile organizzazione, la plusvalenza realizzata dalla società estera è tassata nello stesso modo in cui vengono tassate le plusvalenze realizzate dalle persone fisiche nel modo appena analizzato. Nel caso ci sia stabile organizzazione invece, la plusvalenza viene attratta dai redditi dalla stabile organizzazione e tassata con le regole previste per i soggetti IRES.
L’analisi adesso viene spostata sul soggetto residente in Italia che realizza una plusvalenza derivante da una partecipazione in una società estera.
Se il soggetto è una persona fisica, esso viene tassato sul 49,72 % dell’ammontare imponibile nel caso di partecipazione qualificata; se quest’ultima invece è non qualificata viene applicata l’imposta sostitutiva.
Nel caso in cui il soggetto che realizza la plusvalenza sia una società, vi è l’applicazione della regola PEX (quindi esenzione sul 95 %) nel caso in cui la plusvalenza non sia realizzata in un Paese paradiso fiscale.
Per quanto riguarda il Modello OCSE bisogna considerare l’art. 13 intitolato “Utili di capitale”, ed in particolare il paragrafo 4 relativo alle azioni. Infatti il paragrafo 1 si riferisce agli utili derivanti l’alienazione di immobili, il paragrafo 2 di beni mobili e il paragrafo 3 è relativo agli utili derivanti dall’alienazione di navi e aeromobili.
Secondo il Modello OCSE, vi è la tassazione esclusiva dello Stato di residenza del soggetto alienante105.
3.4.2 La tassazione delle plusvalenze immobiliari secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE
L’analisi sugli utili di capitale procede con le plusvalenze immobiliari, ovvero le plusvalenze che derivano dalla vendita di immobili.
Si parte sempre dalla prospettiva del soggetto non residente in Italia. Quando tale soggetto, che può essere sia una persona fisica sia una società senza stabile organizzazione, vende un bene immobile che possiede nel territorio italiano e realizza una plusvalenza esso produce un reddito diverso tassabile in Italia. Esiste una deroga a questa regola ovvero quando tra l’acquisto e la vendita dell’immobile intercorrono più di cinque anni, o meno di cinque anni quando si dimostra che per la maggior parte del periodo d’imposta l’immobile è stato destinato ad abitazione principale del proprietario o di un suo famigliare: in questo caso le plusvalenze immobiliari non vengono tassate. Questa regola non è valida per le aree fabbricabili.
Per i soggetti residenti in Italia, senza fini speculativi, valgono le stesse regole descritte per i soggetti non residenti.
La plusvalenza realizzata da una persona fisica si cumula agli altri redditi imponibili IRPEF oppure può avvenire la tassazione tramite imposta sostitutiva del 20 %. In questo caso è sempre conveniente per il contribuente adottare l’imposta sostitutiva in quanto sicuramente minore anche del primo scaglione IRPEF (23 %).
Nel caso la plusvalenza immobiliare sia realizzata da una società residente in Italia, tale reddito diverso sarà tassato tramite IRES.
105 TOSI L., BAGGIO R., Lineamenti di diritto tributario internazionale, CEDAM, 2016
Il Modello OCSE, come disciplinato dall’art. 13 comma 1106, prevede la tassazione concorrente dei due Stati contraenti. La Convenzione attribuisce allo Stato in cui è localizzato il bene che viene venduto la potestà di imposizione (Stato della fonte) ma non esclude l’imposizione dello Stato di residenza del soggetto che realizza la plusvalenza.
In questo caso, rispetto a quanto previsto dal Modello OCSE per i dividendi e per gli interessi, avviene una prevalenza di tassazione dello Stato della fonte, pur senza escludere la tassazione dello Stato della residenza.
3.4.3 La tassazione degli utili di capitale nel Trattato Italia - Usa
La seguente tesi nella trattazione della tassazione degli utili di capitale nel Trattato Italia – Usa si concentrerà principalmente sulle plusvalenze realizzate dall’alienazione di beni immobili e di azioni.
Il primo comma dell’art. 13 riguarda le plusvalenze immobiliari. Esse sono tassabili nello Stato in cui tali immobili sono situati (Stato della fonte) ma non in via esclusiva concedendo anche allo Stato di residenza del soggetto la tassazione. Tale disciplina è identica a quella prevista nel Modello OCSE.
Quindi la tassazione avviene secondo le norme interne dello Stato della fonte e può accadere che secondo le norme interne di tale Stato non venga prevista alcuna tassazione per plusvalenze realizzate da soggetti non residenti. Questo può avvenire proprio in merito all’Italia al verificarsi delle condizioni viste nel precedente paragrafo.
È importante ora definire il termine “alienazione”. Nel Trattato Italia – Usa questo termine non è spiegato per cui anche in questo caso bisogna andare a vedere cosa dice la normativa interna dello Stato della fonte. Nel caso in cui quest’ultimo sia rappresentato dall’Italia, il seguente articolo trova applicazione in tutti i casi che
106 Articolo 13 comma 1 del modello OCSE: “Gli utili che un residente di uno Stato contraente deriva dall’alienazione di beni immobili di cui all’articolo 6 situati nell’altro Stato contraente, sono imponibili in detto altro Stato.
rientrano nel concetto di “cessione a titolo oneroso di beni immobili” effettuata dal soggetto residente negli Stati Uniti e avente ad oggetto immobili in Italia107.
Nel definire invece il termine “beni immobili” l’Italia include i beni immobili dell’art. 6108 del Trattato Italia – Usa e le partecipazioni (anche di patrimoni ereditari) in società ed enti il cui patrimonio consiste principalmente in beni immobili locati in Italia.
Per gli Usa invece il termine real property, beni immobili, vale anche per un real property interest ovvero un diritto di proprietà o di uso, che può essere sia diretto sia indiretto, su un immobile negli Stati Uniti.
Il comma 4 del Modello OCSE relativo alle plusvalenze azionarie invece è stato unito al comma 5 che riguarda “l’alienazione di ogni altro bene” nel Trattato Italia-Usa. Quindi in quest’ultimo Trattato non è presente un comma solamente dedicato alla disciplina delle plusvalenze generate dall’alienazione di azioni.
Tale quarto comma attribuisce la tassazione esclusiva della plusvalenza realizzata da “ogni altro bene” allo Stato della residenza del soggetto cedente. Le modalità di tassazione, in quanto non disciplinate nel Trattato Italia – Usa, vengono determinate in conformità alle disposizioni di diritto interno italiano e americano. Siccome per questo comma viene prevista la tassazione esclusiva dello Stato della residenza, non si potranno verificare casi di doppia imposizione e di conseguenza non sarà necessario ricorrere alle disposizioni sull’eliminazione della doppia imposizione dell’art. 23 del Trattato.
107 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito (parte seconda), in Bollettino tributario 2010, pagg. 504
108 L’art. 6 del Trattato Italia – Usa definisce beni immobili i seguenti beni:
• accessori ai beni immobili;
• scorte morte o vive delle imprese agricole e forestali;
• diritti che secondo il diritto privato dello Stato della fonte riguardano la proprietà fondiaria;
• usofrutto di beni immobili;
• diritti relativi a canoni fissi o variabili per lo sfruttamento di giacimenti minerari, sorgenti ed altre risorse naturali.
Tale quarto comma si riferisce ai capital gains derivanti dalla cessione di tutti i beni diversi da quelli analizzati negli altri commi del seguente articolo (beni immobili; beni mobili, appartenenti ad una stabile organizzazione; navi o aeromobili, o beni mobili a questi relativi).
Dunque il quarto comma dell’art. 13 riguarda anche i capital gains su partecipazioni e su titoli non partecipativi (per esempio i titoli obbligazionari) ed riguarda inoltre anche i capital gains derivanti da investimenti finanziari. Inoltre, in quanto tale quarto comma rappresenta una disposizione residuale rispetto ai commi precedenti, si ritiene che sono considerati all’interno di questo comma anche gli eventuali utili da fusione, scissione e delle altre operazioni straordinarie ed anche i capital gains da cessioni di beni immateriali, dell’usufrutto e dei crediti.
Viene adesso analizzato qualche caso specifico. Tale analisi inizia con i capital gains realizzati da soggetti residenti negli Stati Uniti in seguito alla cessione di partecipazioni in società italiane: essi non sono imponibili in Italia109ma negli Stati Uniti in quanto Stato di residenza del soggetto cedente.
Esiste una particolarità prevista dall’art. 1 paragrafo 12 del Protocollo della Convenzione110per cui i capital gains realizzati da un soggetto residente in Usa sulla cessione di partecipazioni in società italiane il cui patrimonio consiste principalmente in beni immobili locati in Italia sono imponibili in Italia come se, al posto delle partecipazioni, fossero ceduti gli immobili e di conseguenza tassati in Italia secondo le normative interne italiane. Quest’ultime prevedono la non imponibilità per i capital gains realizzati dal soggetto americano sulla cessione di partecipazioni immobiliari italiane (sia quotate che non) bensì non qualificate.
Nel caso esse siano qualificate, risultano imponibili.
109 PIAZZA M., L’applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni con procedura diretta o mediante istanza di rimborso, in Rivista di diritto tributario, 1999
110 Art. 1 paragrafo 12 del Protocollo: “Ai fini del paragrafo 1 dell’art. 13 della Convenzione, l’espressione beni immobili per quanto concerne l’Italia comprende le azioni o partecipazioni analoghe in una società o altra associazione di persone, il cui patrimonio consiste interamente o principalmente in beni immobili situati in Italia”.
Viene ora analizzato il caso relativo a capital gains realizzati da soggetti residenti in Italia in seguito alla cessione di partecipazioni in società statunitensi. Secondo la regola generale tali redditi dovrebbero essere imponibili solamente in Italia come Stato della residenza del soggetto cedente.
L’art. 1 paragrafo 12 del Protocollo è valido anche in questo caso e di conseguenza i capital gains realizzati da un soggetto residente in Italia sulla cessione di partecipazioni in beni immobili degli Usa sono imponibili anche negli Stati Uniti. In questo caso quindi è prevista l’imposizione concorrente dei due Stati contraenti.
3.5 IL LAVORO DIPENDENTE
3.5.1 La tassazione del lavoro dipendente secondo la normativa italiana e secondo il Modello OCSE
L’analisi viene ora focalizzata sulla tassazione del lavoro dipendente.
Un soggetto viene tassato in Italia per lo svolgimento di lavoro dipendente quando questo è prestato nel territorio italiano, quindi anche nel caso in cui il soggetto prestatore di lavoro sia un soggetto non residente. Dunque non si va a vedere dove risiede il soggetto che paga il lavoratore ma si va a vedere il luogo in cui è svolta la prestazione.
La normativa del Modello OCSE, contenuta nell’art. 15111, legittima lo Stato della fonte (in cui viene svolta l’attività) ad esercitare la potestà d’imposizione in via concorrente con lo Stato della residenza; questa formula è già stata incontrata
111 Articolo 15 paragrafo 1 del modello OCSE: “…i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente.”
per altre categorie di reddito analizzate e può dar luogo ad una doppia imposizione.
Nel Modello OCSE è prevista una deroga rispetto alla regola generale di tassazione del lavoro dipendente ed essa riguarda i “lavoratori distaccati”. Quest’ultimi sono lavoratori di un’impresa che vengono mandati con una certa stabilità a lavorare per quell’impresa in un altro Stato. La deroga in questione prevede la tassazione solamente dello Stato della residenza se si verificano le seguenti condizioni:
• Il lavoratore soggiorna nell’altro Stato per meno di 183 giorni l’anno;
• Le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non risiede nell’altro Stato;
• L’onere delle remunerazioni non viene sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
In sintesi quando non si creano particolari legami di carattere territoriale, né dal punto di vista della permanenza né dal punto di vista del pagamento, allora il reddito di quel soggetto può essere tassato soltanto nello Stato di residenza del lavoratore.
3.5.2 La tassazione del lavoro dipendente secondo il Trattato Italia – Usa
La disciplina del lavoro dipendente del Trattato Italia – Usa ricalca quella analizzata nel Modello OCSE. Quindi vi è una tassazione dello Stato di residenza del lavoratore con la facoltà di tassazione dello Stato della fonte nel caso in cui l’attività è ivi svolta.
L’art. 15 del Trattato Italia – Usa non si applica per i compensi e gettoni presenza (art. 16), pensioni (art. 18), funzioni pubbliche (art. 19), professori ed insegnanti (art. 20) e studenti ed apprendisti (art. 21).
Nel primo comma dell’art. 15 è contenuto un elenco dei redditi ai quali si applica questa disciplina ed essi sono i salari, gli stipendi e altre remunerazioni analoghe come corrispettivo di un’attività dipendente. Questi non sono definiti da tale
comma quindi bisogna andare a vedere la definizione di questi nelle leggi interne dello Stato che applica la Convenzione.
Non risulta importante ai fini dell’attribuzione dello Stato della tassazione né la residenza del datore di lavoro né il momento in cui avviene il pagamento.
Il secondo comma è identico a quello previsto nel Modello OCSE in cui è disciplinato il caso dei “lavoratori distaccati”. Al verificarsi delle condizioni previste per questo specifico caso, l’Italia come Stato della fonte non può tassare il reddito di lavoro dipendente di un dipendente residente negli Stati Uniti svolto in Italia; questa non-tassazione deroga la legge interna italiana.
Invece, nel caso in cui le condizioni non sono soddisfatte, l’Italia può tassare il reddito secondo la sua norma interna.
Il terzo comma esclude in ogni caso la tassazione nello Stato della fonte per le remunerazioni percepite per lavoro dipendente svolto a bordo di navi ed aeromobili utilizzati da un’impresa di uno Stato contraente in traffico internazionale112.
Nel Modello OCSE invece si va a vedere in che Stato è situata la sede della direzione effettiva dell’impresa.
112 MAYR S., La Nuova convenzione Italia-Usa contro le doppie imposizioni sul reddito (parte seconda), in Bollettino tributario 2010, pagg. 507
CAPITOLO 4: LA DISCIPLINA ANTI-ABUSO
4.1 LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE INTERNAZIONALE
4.1.1 Introduzione alla lotta all’evasione fiscale internazionale nel Modello OCSE e nel Modello statunitense contro le doppie imposizioni
Fino a questo momento la tesi si è concentrata nell’analizzare e cercare di risolvere i problemi legati alla doppia imposizione ma altrettanto importante risulta non permettere comportamenti che danno luogo ai fenomeni di evasione ed elusione fiscale.
In linea con le disposizioni del Modello OCSE, il nuovo Modello statunitense di Convenzione contro le doppie imposizioni113riserva particolare importanza alle disposizioni volte a contrastare il fenomeno dell’abuso dei trattati.
Su tale argomento si è di recente occupata l’OCSE con il Progetto BEPS114; la maggior parte degli interventi di questo Progetto sono indirizzati a contrastare il treaty abuse, ovvero l’abuso sui Trattati, che si manifestano quando i soggetti coinvolti “abusano” delle clausole previste dalle convenzioni contro le doppie imposizioni in riferimento ai canoni, interessi, dividendi, residenza115 e tutti gli altri aspetti che la tesi ha analizzato nei precedenti capitoli.
113 La versione aggiornata al 2016 del nuovo Modello statunitense di Convenzioni contro le doppie imposizioni è stato pubblicata dal Dipartimento del Tesoro statunitense il 17 febbraio 2016 e rappresenta per gli Stati Uniti il testo di riferimento per la negoziazione e conclusione dei Trattati bilaterali stipulati dal governo americano. L’attuale versione sostituisce quella del 2006.
114 BEPS acronimo di Base Erosion and Profit Shifting
115 PISTONE P., L’abuso delle convenzioni internazionali in materia fiscale, in Corso di Diritto Tributario Internazionale a cura di Uckmar, Padova, 1999
L’OCSE ha dato quindi un forte segnale in merito alla volontà degli Stati contraenti di contrastare i fenomeni di elusione ed evasione fiscale ed in particolare i fenomeni di treaty shopping116.
In tal senso, come accennato in precedenza, l’OCSE al suo interno ha introdotto le cosiddette LOB (che sono state inserite anche nel Trattato Italia – Usa); esse hanno la finalità di contrastare i fenomeni fin’ora descritti attraverso la definizione puntuale dei requisiti necessari per l’inserimento come qualified persons117 ai quali si applica la Convenzione118. Le LOB erano già presenti in molti trattati bilaterali contro le doppie imposizioni stipulate dagli Stati Uniti.
Inoltre, nei Trattati ispirati all’OCSE è stata inserita una clausola anti-abuso che disciplina il caso in cui l’obiettivo perseguito dal soggetto sia quello di trarre un vantaggio da una data disposizione convenzionale: in questo caso tale soggetto non ha diritto ad usufruire dei benefici derivanti dalla convenzione.
Come detto, anche il Modello statunitense contro le doppie imposizioni ha seguito la direzione intrapresa dal modello OCSE su questo tema. In particolare, con riferimento al treaty abuse il nuovo Modello americano nega i benefici riguardanti la deducibilità dei pagamenti effettuati nei confronti di entità localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata.
Al fine di conseguire questi obiettivi è molto importante una collaborazione tra gli Stati contraenti e difatti nell’art. 28 del Modello americano è presente una disposizione che obbliga gli Stati contraenti a consultarsi periodicamente su questo tema per, eventualmente, modificare il Trattato.
Un’altra disposizione del Modello americano per prevenire fenomeni di abuso delle disposizioni convenzionali è presente nell’art. 1 comma 8 riguardante il General Scope di tale Modello. Viene disciplinato il caso in cui un reddito viene
116 Il treaty shopping è una fattispecie elusiva a carattere internazionale ideata dal contribuente per sottrarsi o minimizzare l'obbligo tributario in un certo Stato. Tale fenomeno consiste nell'impiego distorto di una Convenzione stipulata tra due Stati per l'eliminazione della doppia imposizione internazionale.
117 La definizione di qualified person viene fornita dal paragrafo 2 delle LOB clause facendo riferimento alla natura delle diverse categorie di reddito: tutti i soggetti rientranti in questo paragrafo possono beneficiare della Convenzione.
118 VALENTE P., Lotta all’evasione fiscale internazionale nel Modello statunitense di Convenzione contro le doppie imposizioni del 2016, in Fisco, 2016, pagg. 1861
escluso dalla base imponibile dello Stato della residenza e attribuito ad una stabile organizzazione situata in uno Stato terzo, il quale non ha un trattato in vigore con lo Stato della fonte.
Infine, particolarmente rilevanti risultano essere le modifiche relative all’art. 22 sulle LOB (Limitation on Benefits) per prevenire il treaty shopping da parte dei residenti di Stati terzi i quali non sono da ritenersi beneficiari del trattato.
Il tema delle LOB e del treaty shopping saranno oggetto di approfondimento nei seguenti due paragrafi.
In conclusione, il nuovo Modello statunitense contro le doppie imposizioni ha seguito le indicazioni fornite dal Modello OCSE nel contesto del Progetto BEPS per rendere efficace la lotta all’evasione ed elusione internazionale. Per perseguire questo obiettivo con ancora maggior efficacia è importante che vengano limitati la sottoscrizione di accordi contro le doppie imposizioni con Paesi a fiscalità privilegiata o che adottano una politica fiscale non cooperativa.
4.1.2 Treaty shopping
Il fenomeno del treaty shopping è stato introdotto nel precedente paragrafo ed è un fenomeno che l’OCSE sta provando a contrastare all’interno dell’operazione dell’Action 6 del Progetto BEPS119. Con questo documento viene evidenziata la necessità di inserire all’interno del preambolo delle convenzioni bilaterali una forte volontà degli Stati contraenti di contrastare i fenomeni di elusione fiscale e di treaty shopping120.
Uno dei requisiti principali per poter beneficiare di una convenzione contro le doppie imposizioni è la residenza ovvero il soggetto deve essere residente in uno dei due Stati contraenti. Attraverso il fenomeno del treaty shopping un soggetto non residente in nessuno degli Stati contraenti riesce comunque ad accedere ai benefici previsti dalle disposizioni bilaterali. Tale fenomeno si realizza quando un
119 BEPS Action 6: preventing the granting of treaty benefits in innappropiate circumstances.
120 VALENTE P., Elusione Fiscale Internazionale, IPSOA, 2014
soggetto residente nello Stato A vuole investire nello Stato B anche se i due Stati A e B non hanno stipulato un Trattato contro le doppie imposizioni. Il soggetto, per aggirare questa problematica, costituisce un ente in uno Stato terzo il quale abbia stipulato una Convenzione con lo Stato A e lo Stato B. La scelta del soggetto sarà orientata ad una giurisdizione che permetta di massimizzare i vantaggi fiscali nel caso di espatrio di redditi dallo Stato B allo Stato terzo e, successivamente, da questo allo Stato A in modo da sfruttare il treaty network dello Stato terzo121.
L’OCSE per contrastare questo fenomeno ha identificato tre diversi approcci:
• Primo approccio: inclusione nel preambolo dei trattati contro le doppie imposizioni di una dichiarazione che attesti l’impegno degli Stati contraenti di prevenire e contrastare l’elusione, l’evasione e il treaty shopping;
• Secondo approccio: inclusione nei trattati fiscali delle cosiddette LOB che già erano utilizzate nelle convenzioni bilaterali stipulate dagli Stati Uniti;
• Terzo approccio: inclusione nei trattati fiscali di una disposizione anti- abuso generale al fine di contrastare le situazioni di treaty shopping che il punto precedente non è stato in grado di eliminare.
Ognuno degli approcci appena descritti presenta dei vantaggi e degli svantaggi ed ognuno si adatta meglio nel contesto di alcuni ordinamenti giuridici122.
4.1.3 Ulteriori casi di abuso delle Convenzioni
Oltre ai casi di treaty shopping fin qui analizzati possono generarsi ulteriori situazioni che creano elusioni fiscali ed è per contrastare queste situazioni che nascono le LOB clauses.
In particolare, qui di seguito, saranno analizzate alcune di queste situazioni individuate dal Modello OCSE. Alcune di queste sono già state introdotte con la
121 CASERTANO G., Le clausole anti-abuso nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, in Sistemi fiscali a confronto, Milano,1998
122 SCHWARZ J., Tax Treaties, Kluwer Law International, 2013
seguente tesi ed altre verranno approfondite più dettagliatamente nei prossimi paragrafi. Tali situazioni sono:
• La durata dei cantieri: secondo il Modello OCSE un cantiere costituisce stabile organizzazione solo nei casi in cui la sua permanenza superi i dodici mesi nel territorio di uno Stato. Al fine di non far figurare il cantiere come stabile organizzazione molte imprese suddividono i contratti in diverse parti in modo da far risultare la loro permanenza inferiore ai dodici mesi;
• Il dividend transfert transactions: molte convenzioni prevedono una bassa o addirittura assente tassazione dei dividendi dal momento che la detenzione di essi sia avvenuta per un determinato periodo di tempo. Per aggirare questa norma sono state costituite delle cosiddette intermediary entities in un determinato Stato per poter beneficiare della ridotta tassazione alla fonte nelle convenzioni stipulate da tali Stati;
• La doppia residenza: ci sono casi in cui un soggetto può essere considerato residente in entrambi gli Stati contraenti. Questo avviene quando i due Stati adottano criteri differenti per la determinazione della residenza. Nel Modello OCSE si è deciso di guardare, per quanto riguarda le imprese, al luogo della sede di direzione effettiva;
• I Paesi a fiscalità privilegiata: il trasferimento di azioni a stabili organizzazioni costituite in Stati a fiscalità privilegiata dovrebbero essere contrastate dai Trattati in quanto quest’ultimi concedono la possibilità allo Stato della residenza di prevedere un’esenzione o una riduzione di imposizione dei profitti derivanti da stabili organizzazioni collocate in Stati terzi quando lo Stato della fonte non concede benefici fiscali su tali redditi.
4.1.4 Limitations on Benefits clause
Una disposizione che caratterizza le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dagli Stati Uniti e che, anche nell’ambito del Trattato Italia – Usa assume particolare rilevanza, è rappresentata dalle cosiddette LOB (Limitation on Benefits clause). Tale disposizione è contenuta nell’art. 22 del Modello statunitense e nell’art. 2 del Protocollo per quanto riguarda il Trattato Italia – Usa; nel paragrafo 1 di tale articolo è descritto il principio generale che subordina l’applicabilità di tutte le disposizioni convenzionali al soddisfacimento delle condizioni previste dalle LOB. Quest’ultime pur essendo, come detto, clausole tipicamente facenti parte della prassi statunitense, nel Trattato Italia – Usa sono usate in modo simmetrico dagli Stati Uniti e dall’Italia. Quindi anche l’Italia può negare i benefici della Convenzione ai soggetti residenti negli Stati Uniti che però non soddisfano le condizioni richieste123.
Lo scopo di tali clausole è quello di prevenire i fenomeni di treaty shopping, in particolare quelli in cui un soggetto di uno Stato terzo fa un investimento negli Usa per mezzo di un’impresa residente in uno Stato contraente che però non possiede un sufficiente collegamento economico effettivo con lo Stato contraente stesso124.
Dunque, in sintesi, le Limitation on Benefits clause sono clausole antiabuso di carattere generale che prevedono la non applicabilità dei benefici del Trattato Italia – Usa ai soggetti che, purché residenti in uno degli Stati contraenti, non abbiano instaurato con questo un sufficiente collegamento economico effettivo e, anzi, rappresentano soggetti che hanno interessi di natura fiscale a operare nel territorio del medesimo Stato125.
123 ROLLE G., TURINA A., Condizioni applicative e profili temporali della Convenzione Italia-Usa, in Corriere tributario 2010, pagg. 893
124 MCDANIEL P.R., AULT H.J., REPETTI J.R., Introduction to United States International Taxation,
Kluwer Law International, 2005
125 DELL’ANESE L., L’evoluzione della disciplina antiabuso nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dagli Stati Uniti, in Diritto e pratica tributaria, 1998
Il contribuente può usufruire dei benefici convenzionali solo una volta superato almeno uno dei sei tests previsti dall’art. 2 del Protocollo; l’onere della prova è a carico del contribuente. I tests hanno lo scopo di determinare se il soggetto residente nello Stato terzo (rispetto a questo specifico caso all’Italia e agli Stati Uniti) abbia un’effettiva ragione economica per sviluppare una struttura in Italia o Stati Uniti oppure se tale struttura viene creata al solo fine di poter beneficiare della Convenzione126. Con l’adozione di tali tests specifici è aumentata l’oggettività di valutazione che ha permesso di ridurre il margine di discrezionalità lasciato alle Autorità competenti degli Stati contraenti. In verità, come si vedrà analizzando il paragrafo 4 dell’art. 2 del Protocollo, le Autorità degli Stati contraenti mantengono un certo grado di discrezionalità e, ponendosi in quest’ottica, le LOB clause rappresentano una tutela per il contribuente.
Entrando nel merito dell’art. 2 del Protocollo, l’accesso ai benefici della Convenzione può essere integrale (paragrafo 2), parziale (paragrafo 3) e discrezionale (paragrafo 4)127.
In particolare, per quanto riguarda il paragrafo 2, un residente di uno degli Stati contraenti è legittimato ad usufruire dei benefici convenzionali, e quindi essere considerato una qualified person, se è:
a) Una persona fisica;
b) Un ente governativo riconosciuto;
c) Una società che soddisfi il cosiddetto publicly traded test o il cosiddetto
subsidiary of publicly traded test;
d) Una persona giuridica esente da imposta costituita in base alle leggi di uno Stato contraente avente scopo religioso, benefico, pedagogico, scientifico o simili;
e) Un fondo pensione;
f) Una persona, diversa da una persona fisica, che soddisfa sia l’ownership test sia il base erosion test.
126 VALENTE P., Lotta all’evasione fiscale internazionale nel Modello statunitense di Convenzione contro le doppie imposizioni del 2016, in Fisco, 2016, pagg. 1863
127 ROLLE G. – TURINA A., Condizioni applicative e profili temporali della Convenzione Italia - Usa, in Corriere tributario 2010, pagg. 893
Vengono ora analizzati i test del punto c). Per quanto riguarda le società residenti in uno degli Stati contraenti si è visto che il primo dei due test alternativi che devono superare è il publicly traded test per poter beneficiare della Convenzione. Tale test prevede che le azioni rappresentanti il 50 % più uno delle azioni aventi diritto di voto e del capitale sociale della società siano oggetto di una regolare negoziazione in una borsa valori riconosciuta128. Nel caso in cui la società abbia un’unica classe di azioni, il publicly traded test viene applicato a tutte le azioni della società.
Il Trattato Italia – Usa non definisce la nozione di “regolare negoziazione” e dunque la sua interpretazione deve essere ricavata dalla legislazione interna italiana e americana. In tal senso, secondo la normativa interna americana, una classe di azioni è regolarmente negoziata se si verifica il cosiddetto de minimis trading (una negoziazione minima) per almeno 60 giorni durante il periodo d’imposta ed il numero di azioni negoziate durante l’anno è almeno pari al 10 % del numero medio di azioni in circolazione nello stesso periodo.
Nel Trattato Italia – Usa invece è definito il termine “borsa valori riconosciuta” nel paragrafo 5 dell’art. 2 del Protocollo.
Nel caso in cui la società non superi il publicly traded test essa deve superare il subsidiary of publicly traded test; per far questo bisogna che la società sia controllata (per almeno il 50 % di ogni sua classe di azioni), direttamente o indirettamente, da non più di cinque società quotate, residenti in uno dei due Stati contraenti e legittimate a beneficiare della Convenzione in virtù del publicly traded test, le cui azioni sono negoziate in borse valori riconosciute. Nel caso in cui il controllo sia esercitato indirettamente è necessario che i soggetti intermedi coinvolti abbiano il diritto ad usufruire anch’essi della Convenzione. Tale test quindi non viene superato da un gruppo con a capo una società madre (quotata e residente in uno degli Stati contraenti) che controlla indirettamente, attraverso società intermedie residenti in Stati terzi, una società residente nell’altro Stato contraente129.
128 VALENTE P., Convenzione Italia – Usa: rassegna delle principali novità, in il Fisco 2010, pagg. 5686
129 DOOLEY B., International Taxation in America, AuthorHouse, 2011