Contract
Il punto di pratica professionale
La compatibilità del contratto di lavoro autonomo con lo svolgimento
di mansioni direttive
a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx - Xxxxxxxx e funzionario della DPL di Modena
e di Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx× – Responsabile U.O. Vigilanza 2 presso la DPL di Modena e membro del gruppo nazionale di esperti del MLPS che si occupa di rispondere agli interpelli
Il dinamismo della realtà produttiva, l’emergere sul mercato di nuove imprese e nuovi modelli di
organizzazione del lavoro, hanno determinato un sempre maggiore decentramento delle attività lavorative e quindi un sempre
Sembra compatibile con il ricorso al lavoro autonomo, anche in forma continuativa e coordinata, un incarico che determini l’esercizio di poteri direttivi e di spesa. Sono queste le conclusioni a cui giunge il Ministero del Lavoro rispondendo ad un interpello (il n.8/09) del 13/02/2009.
Partendo dalla disamina delle caratteristiche del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto disciplinato dal D.Lgs. n.276/03, il pezzo che segue evidenzia la resistenza di tale assetto negoziale ad un eventuale accertamento svolto dagli organi di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, nonché la sua compatibilità con lo svolgimento delle mansioni tipicamente dirigenziali.
L’articolo si conclude evidenziando gli strumenti che l’ordinamento giuridico mette a disposizione dei contraenti per realizzare un possibile scudo sui contratti di lavoro
maggiore utilizzo
dei contratti di
collaborazione continuata e coordinata. Di tali fenomeni ha preso coscienza il legislatore nel 2003, quando con il D.Lgs. n.276, ha dettato una puntuale disciplina volta a regolamentare i fenomeni di esternalizzazione, con l’intento di evitare dei risvolti elusivi delle garanzie poste a tutela dei lavoratori.
Tuttavia, a quasi sei anni dall’entrata in vigore di tale normativa e dopo vari interventi chiarificatori della giurisprudenza e della prassi amministrativa, il mercato del lavoro ha dimostrato di non aver perfettamente metabolizzato lo schema legislativo sulle collaborazioni continuate e coordinate, tant’è che, nel corso degli anni, l’attività degli organi di vigilanza, in non poche occasioni, si è imbattuta in contratti di collaborazione privi delle caratteristiche che gli sono proprie.
Dalla parasubordinazione al lavoro a progetto
Il lavoro autonomo, spesso, si presenta con caratteristiche tali da rendere la situazione del prestatore d’opera analoga a quella del lavoratore subordinato; tale situazione si concretizza quando le modalità di esecuzione della prestazione presenta le caratteristiche previste dall’art.409, n.3, c.p.c., che rappresenta il primo tentativo di definizione delle collaborazioni continuative e coordinate.
L’esigenza di una maggiore flessibilità del lavoro e fenomeni di abuso del lavoro parasubordinato hanno portato all’introduzione degli artt.61-69 del D.lgs. n.276/031, che hanno espressamente ricondotto le vecchie collaborazioni ex art.409 c.p.c nell’ambito del lavoro a progetto.
× Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero degli autori e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.
Caratteristiche del lavoro a progetto
Prima di occuparci della disciplina applicabile a tale tipologia contrattuale, occorre definire le caratteristiche e l’ambito di operatività dell’istituto in esame. Il lavoro a progetto è un vero e proprio contratto di lavoro autonomo, che si caratterizza per la continuità della prestazione lavorativa a favore del committente e per il necessario coordinamento con l’assetto organizzativo di quest’ultimo. I requisiti della continuità e del coordinamento, tuttavia, si concentrano in quello che, oggi, viene indicato come il carattere fondamentale di tale tipologia contrattuale; l’individuzione di uno specifico “progetto o programma o fase di essi”, che, si ripete, rappresenta l’ambito nel quale necessariamente deve estrinsecarsi l’attività del collaboratore. Il progetto di lavoro deve consistere in un attività umana, funzionalmente e temporalmente delimitata, protesa alla realizzazione di un chiaro risultato finale. Il termine programma, invece, allude a un’“attività volta a realizzare una nuova modalità organizzativa e temporale della struttura del committente”2. Non va sottaciuto, tuttavia, che parte della dottrina e della giurisprudenza3 ritiene che i due termini sarebbero equivalenti o, quanto meno, sarebbero da leggere congiuntamente, trattandosi di una “endiadi”; in altre parole, il legislatore avrebbe evocato due termini che, letti congiuntamente, esprimerebbero un identico concetto. Particolarmente decisivo, ai fini dell’individuazione del progetto, è la sua specificità: l’aggettivo usato dal legislatore esprime, in primo luogo, l’esigenza di una individualizzazione dei progetti, a seconda delle varie esigenze aziendali e del bagaglio professionale del collaboratore: non risulterà certo specifico un progetto standard, redatto negli stessi termini per una pluralità di lavoratori. In secondo luogo, la specificità evoca un obiettivo/risultato, che prescinde dall’attività e dagli obiettivi routinari del committente e che si realizza attraverso un peculiare apporto ideativo o professionale del collaboratore. L’imprescindibilità del progetto trova un deciso riscontro nell’art.69 del D.Lgs. n.276/03, il quale recita: “i rapporti di collaborazione continuativa e coordinata instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art.61, comma 1, sono considerati rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”. Sebbene la norma mostri una forte sensibilità del legislatore verso possibili elusioni delle garanzie poste a tutela dei lavoratori, ha generato forti discussioni sulla natura relativa o assoluta della presunzione di subordinazione in essa contenuta. Le prime xxxxxxxx0 sul punto, nonché la circolare del Ministero del Lavoro n.1/04, sono concordi nel sostenere la natura relativa di tale presunzione, sicché il committente avrà comunque la possibilità di dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo. Tale orientamento risente di quel filone dottrinale secondo cui parlare di presunzione iuris et de iure renderebbe l’art.69 incostituzionale, poiché contrastante con il principio della indisponibilità del tipo contrattuale5; “sarebbe vietato, infatti, al legislatore, qualificare come subordinato un rapporto di lavoro in effetti autonomo, neanche se a tempo indeterminato e sganciato da uno specifico progetto”6. In senso contrario sono orientate svariate sentenze della giurisprudenza di merito7, secondo cui il principio della indisponibilità sarebbe stato mal invocato, in quanto enunciato dalla Consulta nella diversa ipotesi di qualificazione come autonomo di un contratto in effetti subordinato, al fine di evitare l’inapplicabilità delle garanzie tipiche del lavoro dipendente. A sostegno della natura assoluta di tale presunzione vengono articolati tre ordini di argomentazioni: una di tenore letterale, secondo cui a fronte della rubrica della norma “Divieto di rapporti di collaborazioni coordinata e continuativa atipici”, sarebbe stato lecito attendersi dal legislatore un riferimento alla prova contraria; una teleologica, secondo cui la funzione di tale sanzione sarebbe quella di compensare il gap conoscitivo causato dall’assenza del progetto, elemento fondamentale per il collaboratore di prendere contezza, tra l’altro, dell’interesse del committente in virtù del quale sarà valutato il suo agire. Infine, v’è un’argomentazione sostanziale secondo cui il committente, dimostrando la sussistenza di un lavoro autonomo, “risulterebbe addirittura avvantaggiato dal fatto di non aver
1 L’art.61, D.lgs. n.276/03 recita: “Ferma restando la disciplina per gli agenti e rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art.409 c.p.c., n.3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”.
2 Corte d’Appello di Firenze, 29/1/2008 n.100.
3 Trib.Milano, 2/8/2006 n.2655.
4 Trib. Ravenna, 24/11/2005 e Trib.Torino, 5/4/2005.
5 Principio enunciato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.121/93.
6 Vallebona, Lavoro a progetto: incostituzionalità e circolare di pentimento, in Arg. Dir. Lav, 2004, 294.
7 Fra tutte, Trib. Milano, 8/1/2007, n.40
predisposto il progetto, a causa della compressione delle tutele del prestatore d’opera”8. La centralità del progetto si riverbera anche sulla prorogabilità del contratto: solo il mancato raggiungimento dell’obiettivo progettuale nel termine fissato giustificherebbe la proroga del contratto. In ultimo, occorre osservare che l’art.61, co.3, sancisce la non obbligatorietà del progetto per le attività rese dai percettori di una pensione di vecchiaia, ovvero rese in qualità di membro di un consiglio d’amministrazione o di controllo delle società, per le attività in cui è necessaria l’iscrizione agli albi professionali, o rese nell’ambito di associazioni sportive dilettantistiche.
Gli aspetti pubblicistici delle collaborazioni
Prima di soffermarci sugli adempimenti di natura pubblicistica che il committente deve adempiere, occorre spendere due parole sul corrispettivo dovuto al collaboratore che rappresenta la base di calcolo degli oneri previdenziali, fiscali e assicurativi. Sul tema si registra una sorta di abrogazione implicita dell’art.63 del D.Lgs. n.276/06 ad opera dell’art.1, co.772, della L. n.296/06; mentre il primo, infatti, faceva riferimento “ai compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo”, il secondo fa riferimento “ai compensi corrisposti per prestazioni di analoga professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento”. Ciò, tuttavia, non si traduce in un’applicazione diretta di un contratto collettivo ai rapporti in questione, bensì nella parametrazione della qualità e quindi della professionalità del collaboratore anche a quegli specifici valori retributivi, propri della contrattazione collettiva, volti a remunerare il profilo professionale dell’attività lavorativa.
 Aspetti contributivi: il corrispettivo del collaboratore determinerà l’imponibile su cui calcolare gli oneri contributivi9 a carico dei contraenti che la recente circolare Inps n.13/09 così quantifica:
x 25,72 % per i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie;
x 17 % per i soggetti titolari di pensione o provvisti di altra tutela pensionistica obbligatoria. L’onere contributivo è, per un terzo, a carico del collaboratore e, per due terzi, a carico del committente ed è finalizzato a “coprire” i lavoratori dagli eventi della malattia, dell’invalidità, della
maternità e della vecchiaia. Tuttavia, per vedersi accreditati i contributi per un intero anno, il committente deve versare un monte contributivo minimo di € 2.420,80 (per chi versa al 17%) e di € 3.662,53 (per chi versa al 25,72%). Diversamente, vi sarà una contrazione dei mesi accreditati, in proporzione al contributo versato.
 Aspetti fiscali: stante l’assimilazione del reddito dei collaboratori a quello dei lavoratori subordinati, generalmente le ritenute Irpef devono essere effettuate con le modalità proprie del prelievo sul reddito da lavoro dipendente.
 Aspetti assicurativi: ai sensi dell’art.5, del D.Lgs. n.38/00, anche i collaboratori, se svolgono attività protette (di cui all’art.1 del DPR n.1124/65), devono essere assicurate contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Il premio assicurativo, ripartito nella misura di un terzo a carico del collaboratore e di due terzi a carico del committente, è calcolato in base al tasso applicabile all’attività svolta. La base di calcolo per il premio assicurativo deve essere necessariamente compresa tra un minimale ed un massimale fissati in misura annua. Per il 2008 la circolare Inail n.28/08 prevede:
¾ Minimale annuo 2008: € 13.899,90 – Minimale mensile € 1.158,33
¾ Massimale annuo 2008: € 25.814,10 – Massimale mensile € 2.151,18
In ultimo va precisato che il committente dovrà preventivamente portare a conoscenza della pubblica amministrazione (Centro per l’impiego, Inps e Inail) l’assunzione del collaboratore attraverso la comunicazione obbligatoria telematica ed iscriverlo, entro il 16 del mese successivo all’assunzione, sul Libro Unico del Lavoro annotandovi ogni compenso e le ritenute periodiche effettuate. A tal proposito, la circolare n.20/08 del Ministero del Lavoro, puntualizza che, contrariamente al passato, dovranno essere altresì annotate sul Libro Unico le causali relative alle assenze dei “collaboratori autonomi”, quando queste hanno dei riflessi sugli istituti legali o prestazioni previdenziali.
8 X.Xxxx, in D&P del lavoro, Contratto a progetto: la prima sentenza di Corte d’Appello, 2008, IX.
9 La L. n.335/95, istituendo un’apposita cassa previdenziale presso l’Inps (c.d. Gestione separata), ha previsto l’obbligatorietà del versamento dei contributi anche per i collaboratori coordinati e continuativi.
Ispezioni del lavoro e verifica della genuinità delle collaborazioni coordinate e continuative
Nel prosieguo della trattazione verranno analizzati gli ambiti su cui si concentra un’indagine ispettiva volta alla verifica della corretta qualificazione di tale assetto negoziale.
In primo luogo, l’analisi ispettiva si concentrerà sul documento contrattuale. A tal proposito, non si può non osservare che il contratto in esame dovrà, ai fini della prova, avere forma scritta e contenere gli elementi descritti nell’art.62 del D.Lgs. n.276/03, come l’individuazione del progetto, la durata, il corrispettivo e le modalità per determinarlo, le forme di coordinamento e le misure di sicurezza. Se così non dovesse essere, il committente/datore di lavoro, proprio in virtù della presunzione di subordinazione scandita nell’art.69, avrà poco margine per dimostrare la natura autonoma del rapporto o, secondo le recenti interpretazioni giurisprudenziali, non ne avrà alcuno. Tuttavia, in tali casi, gli organi di vigilanza, sebbene in presenza di forti elementi indiziari circa la carenza in concreto di un’attività progettuale, sono soliti tenere in considerazione, comunque, le effettive modalità di esecuzione del contratto, al fine di una più compiuta motivazione del provvedimento. In tale direzione sembra andare la circolare n.4/08 del Ministero del Lavoro che, a tal proposito, afferma che, “in assenza una formalizzazione del contratto, ovvero di altri elementi idonei aliunde ricavabili, il personale ispettivo provvederà comunque a ricondurre la fattispecie contrattuale nell’ambito del lavoro subordinato”. Qualora il rapporto di collaborazione sia formalizzato per iscritto, gli ispettori passano all’analisi del progetto, così come dedotto in contratto, e a verificarne la sua specificità: in altre parole, procederanno alla verifica della non coincidenza della normale attività dell’impresa con gli obiettivi e le attività progettuali. È chiaro, infatti, che il progetto sarà carente di specificità qualora l’attività del collaboratore, anche se modulata in chiave di raggiungimento di un obiettivo, coincida con le tipiche mansioni che caratterizza l’organico in forza alla ditta in verifica.
Successivamente verrà analizzato il sinallagma contrattuale; considerando, infatti, che il contratto di collaborazione è sempre un rapporto di lavoro autonomo, la corresponsione del corrispettivo va relazionata al raggiungimento del risultato dedotto in progetto. Tale valutazione necessità sia di un’attenta lettura del documento contrattuale, sia di una scrupolosa istruttoria volta alla verifica della rispondenza dei fatti con quanto dedotto nelle clausole negoziali. Rimanendo nell’ambito dell’analisi del testo contrattuale, bisogna tenere in considerazione che non risulta incompatibile con lo schema del lavoro a progetto la corresponsione mensile del compenso pattuito per l’intera prestazione: tale retribuzione, tuttavia, dovrà essere rapportata ad uno stato di avanzamento dei lavori, modulato in chiave di un raggiungimento di risultati parziali e/o intermedi rispetto a quello finale. Qualora il contratto in esame dovesse riportare dei criteri di determinazione del corrispettivo, l’ispettore verificherà che una siffatta clausola abbia avuto concreta attuazione; nell’ipotesi di silenzio potrà essere, invece, l’ispettore a verificare le modalità di determinazione del corrispettivo; sicuramente incompatibile con lo schema delle collaborazioni è la determinazione del compenso solo sulle presenze del collaboratore10. A tal proposito, sarà d’uopo un esame incrociato tra le dichiarazione rese dai collaboratori nel corso degli accertamenti e il Libro Unico del Lavoro. Qualora, infatti, il collaboratore dovesse percepire delle somme mensilmente variabili, gli ispettori andranno alla ricerca dei motivi che hanno determinato tali variazioni; nel caso in cui vi sia un compenso mensile fisso, verificheranno il reale raggiungimento di quei risultati intermedi e/o propedeutici a quello dedotto in progetto.
Ai fini degli accertamenti, sarà determinante la valutazione delle modalità concrete di esecuzione del contratto. In primo luogo, l’attenzione verrà concentrata sulle mansioni effettive del collaboratore e sulla verifica che esse siano funzionalmente riferibili al progetto. Successivamente verrà presa in considerazione la reale autonomia del collaboratore: se, cioè, il potere di coordinamento del committente si traduca o meno in una eterodirezione funzionale del collaboratore. A tal proposito, risulta rilevante un’indagine sulla professionalità del collaboratore volta a capire se questi, in base alle sue pregresse esperienze, sia in grado di sviluppare in autonomia il progetto pattuito. Sono, infatti, incompatibili con i rapporti di collaborazione, oltre che le stringenti indicazioni sulle modalità di esecuzione della prestazione, anche eventuali controlli periodici e preventivi svolti sull’operato del collaboratore; al contrario risultano plausibili eventuali forme di coordinamento che consentano una verifica ex post o a consuntivo dell’attività svolta. Non va sottaciuto che, a volte, l’elemento della eterodirezionalità funzionale risulta poco
10 La circolare n.1/04 del Ministro del Lavoro cosi puntualizza: “la quantificazione del compenso deve avvenire in considerazione delle natura e durata del progetto o del programma di lavoro, e, cioè in funzione del risultato che il collaboratore deve produrre”.
decisivo ai fini di un corretto inquadramento del rapporto giuridico, soprattutto in presenza di mansioni meccaniche e ripetitive che non richiedono una specifica professionalità. In tali casi il disconoscimento della collaborazione s’incentra, per lo più, sull’incompatibilità con un’attività progettuale suscettibile di una valutazione in termini di risultato. Sempre a fini dell’accertamento dell’autonomia del collaboratore, occorrerà incentrare l’attenzione sulle modalità temporali della prestazione lavorativa. È certamente possibile che le parti concordino, in virtù di un’esigenza di coordinamento dell’attività del lavoratore a progetto con l’organizzazione aziendale del committente, la presenza fisica del collaboratore a cadenze periodiche o per fasce orarie, purché tale clausola non si traduca nell’osservanza di un vero e proprio orario di lavoro; ciò avviene quando sia predeterminato il numero di ore di lavoro, quando il collaboratore non possa scegliere a che ora iniziare e/o terminare la prestazione giornaliera e, infine, se e per quanto tempo sospendere la prestazione giornaliera11. Insomma, deve rientrare nelle facoltà del collaboratore decidere, tenendo presente il suo obbligo di coordinarsi con il committente, le cadenze temporali e i ritmi della propria prestazione lavorativa. È inoltre incompatibile con tale facoltà la sussistenza di un obbligo di presenza in capo al collaboratore che, solitamente, si estrinseca con la rilevazione delle presenze, con il conteggio dei permessi e delle ferie nonché con la loro preventiva autorizzazione da parte del committente.
Qualora l’accertamento ispettivo dovesse confluire nel disconoscimento del contratto di lavoro a progetto, l’organo di vigilanza procederà alla contestazione di tutte quelle omissioni relative agli adempimenti connessi all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, nonché alla ricostruzione dell’imponibile previdenziale e assicurativo secondo i parametri tipici del lavoro dipendente. Tuttavia, i datori di lavoro, al fine di prevenire ogni forma di contenzioso sulla qualificazione del contratto di collaborazione, potranno fare ricorso alla procedura di certificazione di cui si dirà in seguito.
Xx.Xx.Xxx.: Indici sintomatici di genuinità e legittimità | ||
Elemento del contratto da analizzare | Come dovrebbe essere | Come non dovrebbe essere |
Progetto, programma di lavoro o fase di esso | x Deve essere specifico; x deve essere riportato per iscritto nell’accordo contrattuale; x deve caratterizzare l'attività da avviare. | x Non può totalmente coincidere con l'attività principale o accessoria dell'impresa (come risultante dall'oggetto sociale) e non può ad essa sovrapporsi, ma potrà essere soltanto ad essa funzionalmente correlato; x non ci si può limitare a descrivere analiticamente il mero svolgimento della normale attività dell'azienda oppure fare una semplice elencazione del contenuto tipico dell'incarico affidato al collaboratore; x non può essere variato unilateralmente dal committente. |
Modalità di inserimento del collaboratore nel contesto aziendale | x Le forme di coordinamento tra collaboratore e committente devono essere espressamente individuate per iscritto nell’accordo contrattuale; x il collaboratore può operare all’interno del ciclo produttivo del committente; per questa ragione possono essere previste e concordate delle fasce orarie nelle quali il collaboratore deve poter agire in autonomia all’interno dell’organizzazione produttiva aziendale. | Le fasce orarie eventualmente concordate per iscritto nell’accordo contrattuale non possono essere unilateralmente modificate dal committente. |
11 In tale direzione si muove la nota del MLPS n.17.286, del 3/12/2008.
Xx.Xx.Xxx.: Indici sintomatici di genuinità e legittimità | ||
Elemento del contratto da analizzare | Come dovrebbe essere | Come non dovrebbe essere |
Contenuto della prestazione | L’attività svolta dal collaboratore deve specificatamente coincidere (o essere funzionale) al progetto, programma di lavoro o fase di esso dedotto in contratto. | x Non può essere elementare, ripetitiva e predeterminata; x non può essere generica e/o estranea al progetto, programma di lavoro o fase di esso dedotto in contratto. |
Modalità di svolgimento della prestazione | x Il collaboratore deve poter scegliere autonomamente (seppur nel rispetto delle forme di coordinamento anche temporale concordate) le modalità esecutive della prestazione in funzione del risultato ed indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa (quantità e collocazione temporale della prestazione resa); x il collaboratore deve essere libero di autodeterminare il proprio ritmo di lavoro. | x Il collaboratore non deve soggiacere ad uno specifico e serrato potere di controllo sull’attività svolta esercitato dal committente, direttamente o per interposta persona; x il collaboratore non deve richiedere preventive autorizzazioni, e non deve successivamente giustificare le proprie condotte (es. le assenze); x non può essere assoggettato ad alcun vincolo di orario; x la presenza del collaboratore non può mai essere imposta; x non deve rilevarsi alcuna forma di esercizio del potere disciplinare da parte del committente. |
Compenso | x Deve essere riferito ad un risultato enucleato nel progetto, programma di lavoro o fase di esso; x deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e, quindi, in funzione del risultato che il collaboratore deve produrre; x i criteri per la sua determinazione devono essere evidenziati nell’accordo contrattuale. | Non può essere legato esclusivamente alla durata della prestazione (compenso orario, settimanale, mensile, ecc.). |
Clausola di esclusiva (eventuale) | In linea di principio è compatibile con l’istituto contrattuale. | Non è vista con particolare favore in fase di verifica ed impone al personale ispettivo una più attenta analisi del contratto per accertare la reale autonomia della prestazione resa dal collaboratore. |
Proroga del termine e rinnovo del contratto | x È possibile la proroga del termine nel caso che il risultato pattuito non sia stato raggiunto (in tutto o in parte) nel termine fissato; x è possibile il rinnovo del contratto con lo stesso collaboratore ma sulla base di un progetto nuovo o affine a quello originario. | La proroga ed il rinnovo di un progetto identico al precedente. |
L’Interpello del Ministero del Lavoro n.8/09
Alla luce di quanto detto sopra, verrà ora analizzato l’interpello n.8/09, avente ad oggetto la compatibilità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa con l’attività di direttore amministrativo di un ente di ricerca/fondazione universitaria con poteri di spesa e di direzione sui
lavoratori alle dipendenze del committente. La risposta possibilista del Ministero del Lavoro si basa fondamentalmente su tre argomentazioni:
¾ richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, si afferma che ”qualsiasi attività lavorativa espletata per conto di un altro soggetto può dar luogo ad un rapporto di lavoro autonomo o subordinato, a seconda che ricorra o meno l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare dell’altra parte, estrinsecantesi non già in semplici direttive, ma in specifici ordini e in un’assidua opera di vigilanza e di controllo sull’esecuzione della prestazione”;
¾ con particolare riferimento alle mansioni dirigenziali, viene specificato che ”qualora l’assoggettamento del lavoratore alle altrui direttive non sia agevolmente apprezzabile in ragione del concreto atteggiarsi del rapporto, caratterizzato dalla presenza di elementi compatibili con l’uno o con l’altro tipo come avviene in caso di svolgimento di mansioni dirigenziali, il giudice non può prescindere dalla qualificazione attribuita dalle parti al rapporto, anche se tale qualificazione, di per sé, non ha di norma valore determinante, ben potendo essere disattesa qualora sia stato dimostrato che l’elemento della subordinazione sia di fatto realizzato”.
¾ in ultimo, il dicastero interpellato osserva che la disciplina del lavoro a progetto non esaurisce, in quanto tale, il ricorso al lavoro autonomo coordinato e continuativo, posto che alcune categorie di soggetti sono espressamente escluse dal relativo ambito di applicazione.
In primo luogo, si osserva come la premessa contenuta nell’interpello, secondo cui ogni attività lavorativa, (quindi anche quelle tipiche della qualifica dirigenziale), possa essere oggetto di una collaborazione continuativa e coordinata, sia condivisibile. Xxxxxxx, tuttavia, escludere la possibilità che un contratto di collaborazione si affranchi dalla individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso. Difatti la giurisprudenza più recente12 è orientata verso la tipicità delle collaborazioni continuative e coordinate, per cui, al di fuori delle ipotesi di occasionalità di cui all’art.61, co.2, del D.Lgs. n.276/03 e di quelle scandite dall’art.62, tutte le collaborazioni devono necessariamente prevedere uno specifico progetto, anche nell’eventualità di un’attività tipicamente dirigenziale. In tali casi, se da un lato la qualificazione data dalle parti al contratto rivestirà un ruolo importante, in virtù di una verosimile assenza di una parte “debole”, dall’altro sarà proprio la previsione di uno specifico progetto a determinare la corretta qualificazione della fattispecie negoziale. Tale circostanza appare maggiormente condivisibile dal momento che le concrete modalità dello svolgimento del contratto dicono ben poco ai fini della verifica delle genuinità di una siffatta collaborazione; infatti l’attività dirigenziale, per sua natura, è caratterizzata “dall’autonomia e discrezionalità decisionale, dalla mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica, nonché da un’ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla intera conduzione aziendale o di un suo ramo”13. A parere degli scriventi, inoltre, la modulazione delle mansioni dirigenziali in chiave progettuale permette di superare quello che, nella fattispecie in esame, sembra essere il maggiore problema: il potere direttivo nei confronti dei dipendenti del committente e l’autonomia di spesa, entrambi espressione dello stabile e pieno inserimento del direttore amministrativo nell’organizzazione aziendale del committente. In relazione a tale aspetto, infatti, non manca chi afferma che ”deve essere inibita al collaboratore ogni e qualsiasi forma di supremazia (gerarchica e funzionale), che possa esplicarsi in imposizioni di direttive o di ordini, o che possa sfociare in azioni di controllo, nei confronti dei dipendenti e dei collaboratori dello stesso committente. Il collaboratore non deve risultare inserito nell’organigramma strutturale e logistico dell’azienda: l’inserimento organico connaturato al lavoro a progetto, è soltanto, come detto sopra, quello funzionale di collegamento fra gli esiti attesi dalla collaborazione avviata e le finalità perseguite dall’organizzazione del committente”14. Pertanto, alla luce di quanto sopra osservato, solo la specificità dell’attività progettuale del collaboratore rispetto al ciclo produttivo del committente, potrà giustificare quell’apporto professionale tipico dei dirigenti, fermo restando la mera possibilità di avvalersi della struttura e delle risorse economiche del committente.
12 La Corte d’Appello n.100/08, in passo della sentenza afferma: “si osserva, ancora, che, anche ad accogliere la tesi della presunzione iuris tantum, a fronte della contemporanea scelta legislativa per un numero chiuso di fattispecie di collaborazioni continuative e coordinate, la prova contraria dovrebbe dimostrare la sussistenza di un rapporto autonomo ex art.2222 c.c., privo dei requisiti del coordinamento e continuità, al quale sarebbero applicabili, non già le disposizioni di cui all’art.61 e ss., ma anche del codice civile, con evidente compressione della tutela del prestatore d’opera a tutto vantaggio del committente, che risulterebbe persino avvantaggiato dal fatto di non aver predisposto di progetto o programma”.
13 Cass. 27/4/2004, n.8064.
14 P. Xxxxxx, Contratti a prova d’ispezione, in D&P del lavoro, n.15/2006, 833.
La certificazione del contratto di lavoro
In conseguenza di quanto sopra detto relativamente alle potenziali eccezioni che gli organi di vigilanza possono sollevare in ordine alla corretta qualificazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa (con o senza progetto), si fa presente che un possibile scudo contro tali accertamenti è rappresentato dalla certificazione del contratto di lavoro ai sensi dell’art.75 e ss., del D.Lgs. n.276/03.
Si rammenta, difatti, che il contratto certificato acquista “piena forza di legge“ e dispiega i propri effetti verso i terzi fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili. In pratica, per i rapporti di lavoro certificati, si ha la c.d. inversione dell’onere della prova, in ragione della quale spetta ai terzi (e fra questi anche agli organi di vigilanza) dimostrare eventualmente in giudizio che tale rapporto di lavoro è difforme dal testo certificato.
L’art.76, del D.Lgs. n.276/03 ha individuato gli organi presso i quali è possibile costituire apposite commissioni col compito di certificare i contratti. Più precisamente si tratta di:
il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale;
le Direzioni Provinciali del Lavoro quali organi periferici del Ministero del Lavoro;
le Province (enti ai quali sono state devolute le funzioni ed i compiti relativi al collocamento ed alle politiche attive del lavoro ex D.Lgs. n.469/97);
gli enti bilaterali costituiti dalle associazioni di datori e prestatori di lavoro sia nell’ambito territoriale di riferimento, sia a livello nazionale;
i consigli provinciali dell'ordine dei consulenti del lavoro;
le università pubbliche e private registrate nell'albo istituito presso il ministero del lavoro.
Con riguardo alla competenza territoriale si rammenta che le commissioni di certificazione istituite presso le Università hanno competenza territoriale generale. Innanzi alla commissione istituita presso il Ministero del Lavoro - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, possono essere, invece, certificati esclusivamente i contratti che vedono come titolare del rapporto quei datori di lavoro che abbiano le proprie sedi in almeno due province, anche di regioni diverse, ovvero quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del Lavoro stesso. Presso le commissioni istituite dai consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla L. n.12/79, possono essere certificati esclusivamente i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento.
Per quanto riguarda l’ambito territoriale di competenza degli organi collegiali istituiti presso le Direzioni Provinciali del Lavoro, l’art.77 del D.Lgs. n.276/03, analogamente a quanto previsto dall’art.413, co.2, c.p.c. in tema di competenza del giudice del lavoro, stabilisce che le stesse commissioni siano competenti a certificare esclusivamente quei contratti di lavoro che sono stipulati da aziende che hanno la sede (o una loro dipendenza) nel territorio della provincia di riferimento e presso la quale sarà addetto il lavoratore contraente.
Si precisa, infine, che le commissioni di certificazione sono riconosciute sedi di un controllo istituzionale alternativo agli organi ispettivi e che, anche per questo motivo, la recente nota ministeriale n.17.286 del 3/12/2008, nel richiamare la Direttiva sulle misure di razionalizzazione delle funzioni ispettive del Ministro Xxxxxxx, invita gli organi di vigilanza a concentrare i controlli sui contratti non certificati.
In definitiva si può arguire come gli effetti del provvedimento di certificazione siano estremamente significativi e tali, comunque, da renderne consigliabile l’adozione in tutti quei casi in cui si voglia mettere al riparo un contratto di lavoro, stipulato anche nella forma a progetto, dalle insidie degli accertamenti svolti da parte degli organi di vigilanza, sempreché, beninteso, il contratto presenti i necessari requisiti.