UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO, ITALIANO E COMPARATO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
CICLO XXVI
TITOLO DELLA TESI
POTERE DI SEGREGAZIONE E LIMITI POSTI ALL’AUTONOMIA PRIVATA DAGLI ARTT. 2740 E 2741 C.C. E ATTI DI DESTINAZIONE EX ART. 2645 TER
TUTOR DOTTORANDO
Xxxxx.xx Prof. Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxx.ssa Xxxxxx Xx Re
ANNO 2013
INDICE
Introduzione
PARTE PRIMA
POTERE DI SEGREGAZIONE E LIMITI POSTI ALL’AUTONOMIA PRIVATA DAGLI ARTT. 2740 E 2741 C.C.
CAPITOLO PRIMO
PATRIMONI AUTONOMI E PATRIMONI SEPARATI
1. Unità del patrimonio e destinazione dei beni.
2. Patrimoni autonomi, patrimoni separati ed effetti del potere di segregazione
3. Precisazioni in tema di patrimoni separati.
CAPITOLO SECONDO
FATTISPECIE DI “SEPARAZIONE PATRIMONIALE” NELL’ATTUALE QUADRO NORMATIVO
1. Fattispecie di “separazione patrimoniale” nell’ambito del codice civile.
2. Il vincolo di destinazione nelle persone giuridiche: le fondazioni.
3. Patrimoni destinati ad uno specifico affare.
4. Ulteriori fattispecie di “separazione patrimoniale” previste dall’ordinamento.
5. Il fondo d’investimento ed il principio della «doppia separazione patrimoniale».
PARTE SECONDA
GLI ATTI DI DESTINAZIONE DISCIPLINATI DALL’ART. 2645-ter C.C. CAPITOLO PRIMO
GLI ATTI DI DESTINAZIONE EX ART. 2645 TER
1. Negozio fiduciario, trust e atto di destinazione.
2. Il problema della meritevolezza degli interessi dell’atto di destinazione di beni ad uno scopo previsto dall’art. 2645-ter c.c.
3. L’attuazione della destinazione.
4. Applicazioni giurisprudenziali dell’art. 2645 ter.
CAPITOLO SECONDO
ISTITUTI A CONFRONTO
1. Atti di destinazione e fondo patrimoniale: istituti a confronto.
2. Cenni di comparazione tra destinazione a favore di terzo fondata sulla fiducia e contratto di xxxxxxx.
3. Cenni di comparazione con la legislazione spagnola e con il codice civile catalano.
CONCLUSIONI
INTRODUZIONE
La dissertazione che segue ha ad oggetto l’analisi del potere di segregazione concesso ai privati e dei relativi limiti posti all’autonomia privata dagli artt. 2740 e 2741 c.c., con contestuale approfondimento dell’istituto degli atti di destinazione ex art. 2645 ter in relazione ai recenti orientamenti di dottrina e giurisprudenza.
La trattazione è divisa in due parti.
La Prima Parte, di natura compilativa, concerne lo studio dei patrimoni destinati nella legislazione vigente nonché nelle elaborazioni della dottrina.
La disamina si concentra sullo studio delle elaborazioni dottrinali in ordine alla definizione dei patrimoni destinati con i limiti posti dall’ordinamento al potere di segregazione dei privati, a tutela delle ragioni dei terzi e dei creditori.
Nel Secondo Capitolo, invece, vengono passate in rassegna una serie di ipotesi normative, positivamente previste dal nostro ordinamento in tema di patrimoni destinati.
La Seconda Parte, invece, concerne la disamina della nozione di patrimoni destinati ai sensi dell’art. 2645 ter c.c., quale risultato delle più recenti speculazioni dottrinali e delle più attuali applicazioni giurisprudenziali dell’istituto in parola.
L’art. 2645-ter, rubricato “Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche”, pone, infatti, una serie di questioni giuridiche dogmatiche e pratiche su cui il presente lavoro è incentrato.
In particolare, l’inserimento nel Codice civile dell’art. 2645-ter, in vigore dal 1° marzo 2006, è il risultato di un complesso iter parlamentare, che, attraverso numerosi rimaneggiamenti del testo della norma, ha portato alla formulazione attuale, fonte di numerose diatribe dottrinali e giurisprudenziali.
La norma prevede che il vincolo non possa avere durata superiore a novanta anni, che debba risultare da atto avente forma pubblica e che possa essere trascritto ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi. Per la realizzazione dello scopo può agire, oltre al disponente, anche qualsiasi altro interessato. La conseguenza normativamente prevista dell’apposizione del vincolo è che i beni destinati alla finalità ed i loro frutti possono essere oggetto di esecuzione – salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, c.c. – per i soli debiti contratti per tale scopo.
L’indagine teorica condotta si è incentrata, in primis, sulla nozione e sulla funzione degli atti di destinazione, in virtù dei quali un soggetto, definito “conferente”, può sottrarre uno o più “beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri” appartenenti al suo patrimonio alla
garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c., imprimendo su di essi un vincolo di destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela riguardanti beneficiari determinati, a favore dei quali sia tali beni che i loro frutti devono essere impiegati.
Alla luce dell’analisi svolta, ben può affermarsi che attorno a questi cardini si strutturino le grandi direttrici delle questioni più problematiche della normativa in parola.
Al riguardo, tra le questioni giuridiche di maggiore problematicità si pongono il tema del significato del termine “destinazione”, il rapporto tra la liceità e la meritevolezza dell’interesse perseguito, le ricadute sul piano della validità e dell’opponibilità ai terzi, gli aspetti redazionali, l’attuazione dell’interesse perseguito.
Altro tema che, in virtù degli immediati effetti operativi che sortisce, merita un approfondimento è il valore precettivo di una norma inserita nel titolo dedicato alla trascrizione pur avendo riguardo indubbiamente ad elementi di diritto sostanziale (durata del vincolo soggetti beneficiari, azione di adempimento).
Al riguardo, in assenza di un dato normativo certo, le difficoltà incontrate dalla dottrina nell’esprimere posizioni dotate di un certo grado di stabilità, hanno influenzato in modo determinante l’orientamento delle corti che, in mancanza di una griglia concettuale
entro cui elaborare i rapporti tra atti di destinazione, vincoli
all’autonomia patrimoniale e il principio di tassatività dei diritti reali hanno proceduto secondo propri percorsi alla predisposizione di regole e modelli giudiziali da seguire.
La circolazione di tali regole e di tali modelli, affidata alla forma e ai limiti dei precedenti giurisprudenziali costituisce un dato estremamente significativo a disposizione dell’interprete, onde una ricognizione preliminare ne appare tutt’altro che inutile, anche al fine di evidenziare, oltre alle numerose aporie che la materia esibisce nelle sue applicazioni pratiche, anche i problemi più rilevanti sui quali si è soffermata la riflessione teorica.
Ai fini dell’indagine in oggetto non si prescinderà, infine, da un’analisi comparata della disciplina di cui all’art 2645 ter c.c. con istituti affini di diversi sistemi giuridici europei, che suscitano gli spunti di riflessione maggiormente interessanti ai fini delle questioni giuridiche sollevate.
L’intenzione del legislatore sottesa all’emanazione dell’art. 2645- ter c.c., con riguardo al tenore letterale della norma stessa, infatti, sembra quello di non aver voluto introdurre nel nostro ordinamento l’istituto del trust, proveniente dai Paesi di common law, bensì qualcosa di diverso.
Da un confronto, anche sommario, tra le due figure giuridiche emergono, infatti, numerose differenze sostanziali non trascurabili.
Ciò non esclude, tuttavia, che, in casi particolari, i due istituti possano presentare caratteristiche talmente simili da divenire pressoché equiparabili.
Il Capitolo conclusivo, invece, tenta di fornire una disamina sistematica dell’istituzione dei patrimoni destinati così come congeniati dal Legislatore, al fine di verificarne la compatibilità con le esigenze di elasticità del mercato.
PARTE PRIMA
POTERE DI SEGREGAZIONE E LIMITI POSTI ALL’AUTONOMIA PRIVATA DAGLI ARTT. 2740 E 2741 C.C.
CAPITOLO PRIMO
PATRIMONI AUTONOMI E PATRIMONI SEPARATI
SOMMARIO: 1. Unità del patrimonio e destinazione dei beni. 2. Patrimoni autonomi, patrimoni separati ed effetti del potere di segregazione.
3. Precisazioni in tema di patrimoni separati.
1. Unità del patrimonio e destinazione dei beni.
Il termine patrimonio (dal giustinianeo patrimonium) designa “un’entità composita, formata dall’insieme di situazioni suscettibili di valutazione economica (intesa come estimabilità pecuniaria) e unificate dalla legge in considerazione della loro appartenenza ad un soggetto o alla loro destinazione unitaria”1.
1 DURANTE V., voce “Patrimonio (dir. civ.)”, in Enciclopedia giuridica Treccani, Vol. XXII, 1990, p.1.
La nozione di patrimonio ingloba in sé una pluralità di situazioni e soluzioni, che data la loro eterogeneità soprattutto nelle finalità, non appaiono affatto riconducibili ad un unitario schema teorico.
La disciplina codicistica, pur non definendo espressamente il concetto di patrimonio, tuttavia offre significativi elementi da cui è possibile rintracciare la nozione in parola.
Difatti nel codice civile sono contenute norme che, contemplando il concetto di patrimonio, impiegando espressioni come ad esempio le universalità di beni, tutte le proprie sostanze, tutti i beni.
Ciascuna delle suddette norme, in ossequio all’orientamento del legislatore del 1942, costruisce la nozione di patrimonio in termini di alterità rispetto al soggetto titolare sia esso persona fisica o giuridica o gruppo organizzato 2.
E’ pacifico3, ormai il principio secondo cui con riferimento alla nozione composita di patrimonio sia riconosciuto particolare rilievo e considerazione alle sole entità suscettibili di valutazione economica e a cui si lega un’utilità economica.
Si annoverano tra tali entità i diritti reali, il possesso, i diritti su
res incorporales, i diritti di credito e debiti.
Il patrimonio, quindi, individuato quale insieme di rapporti attivi e passivi, economicamente rilevanti, viene imputato ad un soggetto che ne è titolare nella sua interezza, realizzando in tal senso la riconduzione dello stesso patrimonio ad unità giuridica.
Tale concezione unitaria ed indivisibile del patrimonio è disciplinata dall’art. 2740 c.c. che, in tema di responsabilità
2 Ibid.
3 Ibid.
patrimoniale, fissa la regola dell’assoggettabilità di tutti i beni presenti e futuri alle pretese e azioni dei creditori.
L’art. 2740, comma 2, c.c. sancisce che: “Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge” .
Pertanto, le suddette limitazioni alla generalità dei beni del debitori saranno ammissibili concepibili se riflettenti una speciale destinazione impressa ad una parte del patrimonio purchè prevista dalla legge.
La concezione del patrimonio inteso nella sua unitarietà in funzione del soggetto proprietario non sembrerebbe, tuttavia, essere conforme alle esigenze della realtà e dei fini intrinseci a qualunque vicenda giuridica.
Di qui il riferimento al concetto di patrimonio separato che fu introdotto dalla dottrina tedesca, con la elaborazione della Zweckvermoegentheorie ad opera di Xxxxx Xxxxx nella sua reazione alle ricostruzioni c.d. finzionistiche della persona giuridica4.
Con tale elaborazione si tentava, da un lato, di portare alla luce complessi patrimoniali caratterizzati da discipline speciali in tema di circolazione dei beni e di responsabilità, quali il patrimonio navale, il fedecommesso, la dote nel diritto di famiglia, dall’altro, si provava a
4 BRINZ A., Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxx, Xxxx XXX, 0, Xxxxxxxx, 1884, p. 453 e ss. Nella dottrina italiana, critico nei confronti della teoria di Xxxxx a dar conto del fenomeno della personalità giuridica si veda F. FERRARA, Teoria delle persone giuridiche, Xxxx - Xxxxxx - Xxxxxx, 0000, p. 153 e ss. X. XXXXXX, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996. p. 116 sottolinea oggi come il contesto culturale giuridico in cui emerse tale teoria era ambivalente; su un piano esso viveva infatti la contrapposizione tra “una visione di stampo romanistico aliena da qualsiasi procedimento di astrazione e una visione più moderna che enfatizza la difficoltà di inserire situazioni di aggregazioni di persone o di beni diverse dall’uomo in un sistema tutto imperniato sulla nozione di soggettività fisica”.
disciplinare nel modo più adeguato il patrimonio dell’imprenditore e il fallimento5.
Nel diciannovesimo secolo, poi, lo sviluppo di un nuovo sistema economico fece sorgere la necessità di isolare, sotto il profilo della responsabilità patrimoniale, l’attività dell’impresa rispetto alle vicende dell’imprenditore attraverso regole specifiche.
Tale concezione prese le mosse dall’idea secondo cui l’unificazione del patrimonio non si realizzasse in dipendenza dell’imputazione soggettiva, bensì della “destinazione ad uno scopo” (Zweckvermöegen).
In questa ottica, operandosi valutazioni anche nel panorama normativo del codice civile italiano, iniziò a ritenersi come il dettato dell’art. 2740 c.c. fosse espressione di una forma di destinazione dei beni al soddisfacimento dei creditori o di una determinata categoria di essi.
La responsabilità patrimoniale ex art. 2740 non si pone, pertanto, a sostegno dell’unità del patrimonio ma è l’espressione di una specifica finalità impressa ai beni6.
2. Patrimoni autonomi, patrimoni destinati ed effetti del potere di segregazione.
5 XXXXXX X., Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 118 - 121.
6 XXXXXX F., Unità del patrimonio e destinazione dei beni, in AA.VV., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, Xxxxxxx, Milano, 2007.
Il soggetto di diritto ha la possibilità di organizzare il proprio patrimonio in masse giuridicamente separate (o segregate) per la realizzazione di determinati scopi, attraverso le due, diverse, tecniche della creazione di un autonomo soggetto di diritto (che diviene) titolare del patrimonio ‘destinato’, a mezzo delle quali il patrimonio si articolerà in più masse separate facenti capo ad un medesimo soggetto, concorrendo così alla costituzione di ‘patrimoni di destinazione’7.
La prima ipotesi, come è noto, è caratterizzata da una rigida tipizzazione del potere di autonomia privata, riconducibile alla nozione di patrimonio autonomo.
Tale fattispecie è da intendersi come un “fondo” costituito con i contributi di una pluralità di soggetti e che rintraccia la propria peculiarità nell’indivisibilità e nella funzione di garanzia per i debiti legati allo scopo con esso perseguito (si pensi ai fondi delle associazioni non riconosciute, ai patrimoni delle società personali). Inoltre, trova fondamento nel distacco di una massa patrimoniale da più patrimoni
7 In tal senso, già SIMONETTO, Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova 1959, p. 62 ss.; da ultimo, GAMBARO, Segregazione e unità del patrimonio, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 156. In termini di «equivalenza funzionale tra personalità giuridica e articolazione di un patrimonio in compendi separati» (considerate dal punto di vista dalle «regole» di responsabilità patrimoniale), cfr. SPADA P., Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Xxx. xxx. xxx. , 0000, I, p. 842 ss.; ma, al riguardo, si vedano le notazioni di GUIZZI G., Patrimoni separati e gruppi di società (articolazione dell’impresa e segmentazione del rischio: due tecniche a confronto), in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 647 ss. Sottolineano, in particolare, le divergenze d’ordine lato sensu applicativo (anche sulla scia della Relazione al d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, p. 112 ss.), ZOPPINI A., Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 570 ss.; IAMICELI P., Unità e separazione dei patrimoni, Padova 2003, p. 201 ss.; e XXXXXX R., La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli 2004, p. 184 ss.
di “provenienza” per la costituzione di un fondo di un ente, da destinare alla realizzazione degli scopi sociali.
Il patrimonio dell’associazione non appartiene ad un ente come tale, ma ai singoli membri e soprattutto è separato dal patrimonio personale dei soci nonchè destinato allo scopo dell’associazione.
I beni, quindi, si trovano in una condizione di autonomia, perché, pur continuando a far parte del patrimonio dei soggetti, sono il punto di riferimento d’un regime giuridico differenziato per via della destinazione.
Secondo le elaborazioni teoriche che si susseguirono i gruppi non riconosciuti, erano intesi quali soggetti di secondo grado o di grado meno evoluto, scorgendo nel patrimonio autonomo un più netto distacco rispetto al patrimonio separato.
La determinazione di uno scopo specifico vale infatti, a trasferire al gruppo unitario e soggettivamente complesso la titolarità e disponibilità del fondo patrimoniale, in modo tale da costituire una comunione di tipo germanico8.
Tuttavia, non potrà ritenersi il fondo patrimoniale come appartenente a più soggetti e, nello stesso tempo, autonomo e separato rispetto al loro patrimonio.
8 La comunione, in base all’art. 1101 c.c. è caratterizzata dalla ripartizione del diritto afferente all’oggetto della relazione giuridica, vale a dire della cosa sulla quale essa incide, in quote ideali, indivise, di appartenenza individuale X. XXXXXXX F., Diritto privato, Padova, 1994, p.168. Questa configurazione del fenomeno della contitolarità per quote della proprietà o degli altri diritti reali corrisponde alla comunione di tipo romano, anche definibile di tipo individualistico. Ad essa si oppone la comunione di tipo germanico, anche definita “a mani riunite”, di tipo collettivistico, connotata dall’ assenza di determinazione di una quota specificamente riconducibile a ciascun soggetto partecipe: la cosa appartiene al gruppo come tale e non ai singoli Cfr. XXXXXXX D., Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, p. 573.
La formula verbale, invero vale a descrivere solo l’insensibilità del patrimonio del gruppo ai debiti dei membri9.
La legge prevede, però, anche la possibilità che un soggetto separi nel proprio patrimonio alcuni beni da altri, in ragione della destinazione che viene loro impressa, dando così vita a patrimoni separati o destinati, di cui il soggetto è pur sempre titolare (ad esempio, nel caso di eredità giacente, eredità accettata con beneficio di inventario, eredità devoluta allo Stato, patrimonio del nascituro, fondo patrimoniale, patrimonio sottoposto a liquidazione concorsuale) ma in cui i gruppi di beni costituiti sfuggono alla regola generale dell’art. 2740 c.c., in quanto tali beni potranno essere aggrediti solo con riferimento alle obbligazioni contratte in ragione della destinazione impressa.
Ne consegue come i creditori del soggetto titolare del patrimonio si distingueranno in categorie: patrimoni destinati e non destinati.
La separazione o destinazione è disciplinata, caso per caso, dalla legge con regole anche diverse, a tutela dei creditori esclusi.
Essa opera sia su un doppio binario, nel senso che i creditori per crediti funzionali alla destinazione sono garantiti solo dai beni destinati e gli altri creditori dagli altri beni (come nel caso dell’art. 2447 quinques, peraltro in parte derogabile, o, in punto di separazione tra patrimonio ereditario e patrimonio personale dell’erede, dell’art. 490 c.c.)sia in senso unico, in favore dei soli creditori per crediti funzionali, potendo essi rivalersi anche su beni non destinati, senza nemmeno sussidiarietà (art. 170 e 2645 ter c.c.).
La creazione di patrimoni separati (alias ‘patrimoni di destinazione’) costituenti patrimonio separato del soggetto, percorre
9 DURANTE V., voce “Patrimonio (dir. civ.)”, in Enciclopedia giuridica Treccani, Vol. XXII, 1990, p. 5.
una direzione che pur conservando i tratti della tipizzazione, risulta sgombero da un giudizio di meritevolezza prefissato ex lege.
Nel nostro codice civile, rientrano in questo novero, le ipotesi di
«patrimonio familiare» e, successivamente, del «fondo patrimoniale» (artt. 167 ss. c.c.), dei «fondi speciali per la previdenza e l’assistenza» (art. 2117 c.c.) – oggetto, nel corso degli anni novanta, di una complessa e articolata disciplina speciale (d.lg. 21 aprile 1993, n. 124, modificato dal d.lg. 30 dicembre 1993, n. 585 e dalla l. 8 agosto 1995, n. 335; e, ancora, d.lg. 5 dicembre 2005, n. 252) –, e, ora, dei «patrimoni destinati a un specifico affare» (art. 2447 bis c.c.) e dei «finanziamenti destinati a uno specifico affare» (art. 2447 decies c.c.), che pongono in rilievo il distacco di beni da una più ampia massa patrimoniale facente capo ad un soggetto, per deputarla alla realizzazione di scopi specifici, conservando in capo al titolare una proprietà formale e quiescente sugli stessi.
Questa categoria di separazione patrimoniale reca con sé il limite generale, posto dalla legge al privato, di selezionare autonomamente la sfera di interessi intorno a cui aggregare una massa patrimoniale per dar vita a patrimoni separati, a prescindere dalla natura perfetta o imperfetta della separazione10; limite, questo, che, preclude alla massa patrimoniale destinata di divenire patrimonio separato del soggetto11 .
10 Cfr. XXXXX X., Trusts, Milano 2001, p. 565 ss.
11 Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, l’art. 1379
c.c. costituisce “un paradigma normativo nel cui ambito ricondurre (ai fini, s’intende, della formulazione di un giudizio in termini di inefficacia) anche le pattuizioni contenenti un vincolo di destinazione”, cfr. Cass. 11 aprile 1990, n. 3082, in Riv. dir. comm. , 1992, II, p. 485, con nota di XXXXXXX P.; e, xxxxxxxxx, Xxxx. 14 febbraio 1997, n. 1411, in Fallimento, 1998, p. 17, con nota di XXXXXX; e, ancora, Xxxx. 17 novembre 1999, n. 12769, in Contratti, 2000, p. 456.
Come si è detto, accanto a questa categoria di segregazione patrimoniale, si rinviene quella dei patrimoni autonomi, che ricorre in tutti i casi di formazione di una massa patrimoniale per effetto del conferimento di più soggetti (associati) diretto alla costituzione di un ente di fatto, destinato alla realizzazione di specifici scopi sociali.
La titolarità della massa patrimoniale apparterrà pur sempre gli associati, atteso il difetto della personalità giuridica.
Il ricorso all’una o all’altra tecnica, personalità giuridica o articolazione del patrimonio, non è equivalente né alternativo sotto il profilo della garanzia patrimoniale.
In considerazione dell’inevitabile interferenza con il principio della illimitata responsabilità patrimoniale del debitore, sancito nell’art. 2740 c.c., il fenomeno dei patrimoni separati, quali forme dirette a garantire l’insensibilità di una massa di beni rispetto al residuo patrimonio di uno stesso soggetto senza che ne venga creato uno nuovo, vanno ricostruiti in termini di compatibilità con la disciplina codicistica che riserva alla legge il potere di dar vita a forme di separazione patrimoniale12.
La dottrina tradizionale, tuttavia, a metà degli anni 50 dello scorso secolo, ha riconosciuto che la separazione di beni e rapporti giuridici dal patrimonio di un soggetto finalizzata alla costituzione di un centro autonomo di imputazioni giuridiche, rispetto al quale vige un regime differenziato di responsabilità, per quanto distinte figure, entrambe, p sono caratterizzate dalla presenza di un vincolo di destinazione del compendio patrimoniale alla realizzazione di un certo scopo.
12 In questi termini, x. XXXXXXXXXXXX B., L’atto di destinazione tra codice civile italiano e modelli europei di articolazione del patrimonio, in Rivista del Notariato, fasc. 2, 2012, pag. 319.
Successivamente, a seguito del consolidamento della tesi della soggettività giuridica dell’ente di fatto che, seppur privo di personalità giuridica costituiva un centro autonomo di imputazioni giuridiche, il patrimonio costituito dai conferimenti degli associati, si ritenne di pertinenza esclusiva del nuovo soggetto di diritto e, perciò, del tutto sganciato dalla precedente titolarità degli stessi13.
Resta inteso, tuttavia, che, in assenza di una separazione bilaterale dei beni con la creazione di un regime di specializzazione della responsabilità che deroghi al principio sancito dall’art. 2740 x.x. x xxxx’xxx. 0000 x.x., xxx xxxx ammessi da specifiche previsioni normative, i casi di patrimoni autonomi si verifica il solo effetto dell’insensibilità del patrimonio del gruppo ai debiti dei membri14.
3. Precisazioni in tema di patrimoni separati.
Il concetto di separazione patrimoniale può essere, sotto alcuni aspetti, assimilato a quello di autonomia patrimoniale, purchè venga tenuto in debita considerazione la circostanza per cui la separazione sia riferibile al patrimonio di una stessa persona o di uno stesso ente (in questi casi una persona o un ente isola una parte del suo patrimonio imprimendogli una certa destinazione).
13 Di qui la svalutazione della figura del patrimonio autonomo e la sostanziale identificazione con quella del patrimonio separato, accomunati dal comune denominatore della destinazione ad uno scopo.
14 DURANTE V., voce “Patrimonio (dir. civ.)”, in Enciclopedia giuridica Treccani, Vol. XXII, 1990, p. 5.
L’autonomia patrimoniale, invece, fa riferimento al rapporto tra più patrimoni appartenenti a soggetti diversi.
Per tale ragione, parlare di separazione significa specificamente riferirsi alla destinazione ad un certo scopo di un patrimonio ritagliato da un patrimonio più ampio.
Parlare invece di autonomia patrimoniale significa riferirsi al rapporto tra due patrimoni.
La conseguenza è, però, sempre la stessa, ovvero poter opporre legittimamente ai creditori, in presenza di determinati presupposti, la condizione di separazione o di autonomia15.
L’esigenza di una separata organizzazione all’interno di un patrimonio facente capo ad un unico titolare si avverte già nella disciplina degli enti non profit, laddove è prevista la possibilità per l’ente di svolgere anche un’attività d’impresa, strumentale alle finalità principali, purché si provveda a mantenere una separata organizzazione e contabilità di tale attività.
Una separazione di beni all’interno del patrimonio generale dell’imprenditore è stato, altresì, consentito con l’introduzione della società a responsabilità limitata unipersonale, regime in base al quale l’imprenditore risponde solo con i beni della società, divenuta nuovo soggetto giuridico d’imputazione per effetto dell’iscrizione nel registro delle imprese.
Non dovrà creare stupore come alcune ipotesi di separazione patrimoniale possano definirsi interventi di politica economica, trovando inequivocabilmente in essi la propria ratio16.
15 XXXXXXX-XXXXXXXXXX F., Dottrine generali del diritto civile, 7. ed. Napoli, 1962, p. 86.
Secondo diverso orientamento invece, la separazione patrimoniale si presenta non come uno strumento a disposizione della autonomia privata, piuttosto, come disciplina legata indissolubilmente alla stessa autonomia:17: per svolgere una determinata attività il soggetto economico dovrà mantenere distinti determinati portafogli, che resteranno insensibili alle obbligazioni del loro comune titolare.
Tali considerazioni consentono di segnare la misura tra la legislazione commerciale, societaria o finanziaria e la legislazione più strettamente civile. Infatti, la legislazione civile ha revisionato in senso restrittivo le ipotesi di destinazione patrimoniale con effetto di separazione, limitando dunque il numero delle deroghe al principio dell’art. 2740 c.c.: si pensi, in proposito, alla abolizione della dote, al rimodellamento del patrimonio familiare nel fondo patrimoniale, nonché, alla riforma dell’istituto del fedecommesso che ne ha ristretto i presupposti oggettivi e soggettivi18.
16 ZOPPINI A., Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 546, nonché, più di recente, da XXXXX X., Il patrimonio finalizzato, in Riv. dir. civ., 2007, p. 494 e ss.. BUONFRATE A., Patrimonio destinato e separato, in Digesto delle discipline civilistiche, sezione civile, aggiornamento **, II, Torino, 2007, ravvisa gli estremi della separazione patrimoniale anche con riferimento alla disciplina del project financing di cui al d.lgs. 163/2006 artt. 153/156. Ad avviso dell’Autore, infatti, “con la costituzione della società di progetto, una società veicolo che ha come oggetto sociale la realizzazione e gestione del progetto da finanziare, si persegue lo scopo di isolare il progetto rispetto alle altre attività dei promotori, con benefici sia per i destinatari dei finanziamenti che per i finanziatori”.
17 Si tratta della disciplina della cartolarizzazione, dell’art. 22 del d.lgs. 58/1998, dell’art. 117 del d.lgs. 209/2005.
18 Il testo originario dell’art. 692 c.c. disponeva, infatti, che “è valida la disposizione con la quale il testatore impone al proprio figlio l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte in tutto o in arte i beni costituenti la disponibile a favore di tutti i figli nati e nascituri dall’istituito o a favore di un ente pubblico. È valida ugualmente la disposizione che importa a carico di un fratello o di una sorella del testatore l’obbligo di conservare e restituire i
Coerente con tale impostazione legislativa sono il mantenimento dell’art. 2117 c.c. (fondi speciali per la previdenza e l’assistenza), l’art. 1881 c.c. - che pure rende disponibile all’autonomia privata la limitazione di responsabilità per la tutela di esigenze personalissime del beneficiario della xxxxxxx00 - l’art. 1923 c.c., quest’ultimo probabilmente giustificabile fronte della funzione prevalentemente previdenziale della assicurazione sulla vita nell’impostazione originaria20.
Dissonanti, invece, rispetto al suddetto disegno appaiono le disposizioni sull’eredità beneficiata e sulla cessione dei beni ai creditori.
xxxx ad essi lasciati a favore di tutti i figli nati e nascituri da essi o a favore di un ente pubblico”.
19 L’art. 1881 c.c. dispone infatti che “quando la rendita vitalizia è costituita a titolo gratuito, si può disporre che essa non sia soggetta a pignoramento o a sequestro entro i limiti del bisogno alimentare del creditore”. Sul punto x. XXXXXXXXX E., La rendita perpetua e la rendita vitalizia, Milano, 1961, p. 237 che, durante i lavori preparatori della redazione del codice civile del 1942, si levarono molte critiche nei confronti della corrispondente norma (art. 1800) del codice del 1865 che non prevedeva limiti a tale clausola di impignorabilità. Nota questo Autore che con la limitazione della efficacia della clausola entro i limiti del bisogno alimentare del creditore “fu ristretta la sfera di eccezione al principio che la responsabilità patrimoniale si estende a tutti i beni del debitore(art. 2740); si è cercato da un lato di ovviare alle fondate critiche ispirate alla tutela del credito, d’altro lato si è ritenuto che la sanzione della impignorabilità entro i limiti del bisogno alimentare del vitaliziato rispondesse ad una esigenza ancora meritevole di tutela”.
20 X. XXXXXXX F., Persone giuridiche, Bologna Roma, 2006, p. 430 secondo cui l’art. 32 c.c. giustificherebbe l’ammissibilità delle fondazioni non riconosciute nel nostro ordinamento. Lo stesso autore osserva tuttavia che in ogni caso l’onere reale che grava sui beni relitti di cui all’art. 32 c.c. è giustificato solo in virtù dello scopo di pubblica utilità perseguito dal conferente. X. XXXXXX X., Destinazione di beni senza personalità giuridica, Napoli, 1971, p. 52, XXXXXXX A., Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995, p. 289. Se ne deduce che anche nel caso dell’art. 32 c.c. la limitazione di responsabilità, seppure senza assumere le forme della personalità giuridica, sarebbe giustificata dal particolare rilievo dello scopo di pubblica utilità perseguito dalla destinazione dei beni.
Con riferimento all’eredità beneficiata – di cui taluno mette in dubbio la natura di patrimonio separato21– è possibile individuarne il fondamento nell’esigenza di tutela e salvaguardia della libertà e autonomia privata dell’erede22.
La cessione dei beni ai creditori, invece, trova la propria ratio nel fine perseguito, quale quello di ottenere ad una più spedita e sicura soddisfazione dei creditori aderenti, senza che risulti di pregiudizio agli interessi dei creditori non aderenti23.
21 Sul punto v. XXXX X., Successioni per causa di morte, Milano, 1961, p. 267,
n. 10. Secondo XXXXXXXXX XXXX L., Patrimonio autonomo e separato, in Enc. Diritto, vol. XXXII, Milano, 1982, p. 289 e XXXXXX U., L’amministrazione dei beni ereditari, II, Milano, 1969, p 118 l’accettazione beneficiata è da ricondurre alla categoria dei patrimoni separati.
22 X. XXXX A., Successioni per causa di morte, p. 266 secondo cui ”la limitazione di responsabilità sia effetto di diritto sostanziale conseguente ad una alterazione verificantesi nel rapporto sostanziale di debito. L’alterazione è (…) dovuta al fatto che l’erede che accetta col beneficio d’inventario dichiara di non volere rispondere personalmente dei debiti ereditari. Il che significa che egli non intende assumere come propri questi debiti, chè altrimenti ne conseguirebbe l’obbligo di adempierli ed in caso di inadempimento la responsabilità con tutto il suo patrimonio”.
23 Al riguardo, l’art. 1980, comma 2, c.c.: “i creditori anteriori alla cessione che non vi hanno partecipato possono agire esecutivamente anche su tali beni”. Sulla ratio dell’istituto x. XXXXX F., Della cessione dei beni ai creditori, in Commentario del codice civile a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Bologna, Roma, 1962, p. 246 secondo cui “(…) è esperienza comune che la procedura” esecutiva “pubblica presenta non lievi svantaggi sia per il debitore che per il creditore, in quanto essa non porta quasi mai a realizzare il valore esatto del bene posto all’incanto, producendo anzi ulteriori spese, mentre il soddisfacimento delle ragioni creditorie non può essere rimandato a lunghissime scadenza. A questi innegabili inconvenienti, si può invece ovviare, quando l’accordo delle parti interessate trovi il modo, attraverso una liquidazione privata, di non produrre ulteriore aggravio al patrimonio dell’obbligato e parimenti di non rendere più incerto e più lontano il soddisfacimento dei creditori. La cessione dei beni ai creditori è appunto lo strumento giuridico che nella sostituzione della procedura pubblicistica permette la realizzazione dei fini suddetti”. Parimenti, IUDICA G., Cessione dei beni ai creditori, in Digesto delle Discipline Privatistiche,Torino, vol. II, Torino, 1988, p. 279.
In questo quadro si colloca l’art. 2645 ter c.c. che dispone: “gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione”.
Il contesto in cui si colloca la norma è delimitato – tutt’ora – dall’art. 2740 c.c. e dalle ipotesi di separazione patrimoniale già tipizzate dal legislatore.
La individuazione di ipotesi (tipiche) di separazione del patrimonio, da un lato sembra rinsaldare la chiusura del sistema a forme atipiche di ‘patrimoni di destinazione’ costituenti patrimonio separato del soggetto; parallelamente, però, la legge riconosce al soggetto, in piena autonomia, di selezionare un determinato assetto di
«interessi meritevoli di tutela», combinando, con effetto segregante, una parte del proprio patrimonio per l’attuazione di quegli interessi.
CAPITOLO SECONDO
FATTISPECIE DI “SEPARAZIONE PATRIMONIALE” NELL’ATTUALE QUADRO NORMATIVO
SOMMARIO: 1. Fattispecie di “separazione patrimoniale” nell’ambito del codice civile. 2. Il vincolo di destinazione nelle persone giuridiche: le fondazioni. 3. Patrimoni destinati ad uno specifico affare. 4. Ulteriori fattispecie di “separazione patrimoniale” previste dall’ordinamento. 5. Il fondo d’investimento ed il principio della «doppia separazione patrimoniale».
1. Fattispecie di “separazione patrimoniale” nell’ambito del codice civile.
I patrimoni di destinazione o patrimoni destinati ad uno scopo conglobano una pluralità di figure, tra loro eterogenee, tipiche ed atipiche, cui l’ordinamento giuridico appresta ampia tutela.
La peculiarità di tali istituti giuridici, quale comune denominatore tipologico, si riscontra nella circostanza per cui, attesa la destinazione di uno o più beni ad un determinato scopo, i beni medesimi vengono sottratti alla generale responsabilità patrimoniale del loro titolare, con riferimento a posizioni debitorie sorte per finalità estranee allo scopo di destinazione.
Come dire che i patrimoni destinati, peraltro sempre più diffusi, si pongono in deroga ai principi della responsabilità patrimoniale del
debitore (art. 2740, 1° co., c.c.) e della par condicio creditorum (art. 2741 c.c.), tanto da rivoluzionare, come autorevolmente sostenuto dalla dottrina, il fondamento logico sistematico in materia di responsabilità patrimoniale, in quanto le singole ipotesi di patrimoni destinati non assurgono a mere eccezioni dei suddetti principi, bensì i presupposti fondanti del fenomeno volto alla specializzazione della responsabilità patrimoniale in atto.
Re melius perpensa, il principio della responsabilità patrimoniale, secondo cui, il debitore deve rispondere dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, viene disatteso in senso derogatorio con l’introduzione nel sistema positivo dell’art. 2645 ter c.c. dei patrimoni destinati ad uno scopo24, assumendo, conseguentemente, la connotazione di vero e proprio principio generale, atteso il ribaltamento del consolidato principio della responsabilità patrimoniale generale del debitore e di quello sulla par conditio creditorum.
Il nostro sistema normativo codicistico offre una molteplicità di figure costituenti forme di separazione patrimoniale.
Nello specifico, l’art. 512 c.c., inserito nel Libro secondo, Capo sesto, in materia di separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede, disciplina la separazione dei beni dell’erede da quelli del defunto, affinchè le esposizioni debitorie del de cuius possano essere risanate con il solo patrimonio del defunto.
24 La norma è inserita nel Libro sesto, Titolo primo, Capo primo, in materia di trascrizione, quale ius novum che ammette la trascrivibilità degli atti di destinazione relativi a beni immobili e beni mobili registrati, al fine di rendere opponibile a terzi il vincolo destinatorio, rectius ai creditori la separazione dal restante patrimonio dei beni destinati, come verr5à meglio approfondito infra.
La ratio di tale norma risiede nella volontà del Legislatore di salvaguardare i beni degli eredi, in modo da impedire che gli stessi vengano aggrediti dai creditori.
Pertanto, gli eredi potranno esercitare il diritto discendente dal dettato dell’art. 512 c.c. e richiedere la separazione dei beni del defunto da quelle dell’erede in modo da assicurarsi con i beni del defunto il soddisfacimento dei loro crediti a preferenza dei creditori dell’erede.
Il medesimo meccanismo diretto ad evitare la confusione tra patrimoni è contemplato con riferimento alla figura del curatore.
Difatti, quando l’erede non ha ancora accettato l’eredità e il tribunale abbia nominato un curatore per l’eredità giacente, trova applicazione nei confronti del curatore lo stesso principio di separazione del patrimonio del curatore dell’eredità e i beni ereditari (art. 531 c.c.).
E ancora, la disciplina codicistica individua una forma di separazione patrimoniale tra i beni ereditari e quelli dell’amministratore.
L’art. 643 c.c. prevede che quando all’eredità sia chiamato un concepito (art. 462, 1° co., c.c.) o – in caso di successione testamentaria (art. 462, ult. co., c.c.) – un nascituro non ancora concepito ma figlio di una persona vivente, verificandosi una situazione per cui si rende necessaria la nomina di un amministratore, l’amministrazione spetta rispettivamente ai genitori o alla persona vivente futuro genitore del nascituro.
Il patrimonio dei genitori amministratore sarà separato da quello ereditario.
Una situazione analoga si verifica anche in caso di donazione a favore di un concepito o a favore di un nascituro (art. 784 c.c.).
Il codice civile prevede, altresì, i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza (art. 2117), che costituiscono un esempio tipico di separazione patrimoniale in senso proprio.
Nell’art. 2117 c.c., secondo cui “I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro”, la separazione è funzionale al vincolo di destinazione e dalla segregazione del patrimonio così come costituito, che non può essere aggredito da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro.
Poi vi sono i patrimoni destinati ad uno specifico affare, introdotti in materia societaria, con l’art. 2447 bis c.c. in esecuzione di quanto previsto nell’art. 4, 4° co., lett. b) della l. 3 ottobre 2001, n. 366).
Tutte le figure sin ora richiamate appaiono finalizzate a tutelare l’integrità dei patrimoni destinati.
Sostanzialmente, viene favorito il ricorso al credito attraverso la costituzione di un separato patrimonio o, alternativamente, una fonte di rientro del credito specifica e separata, caratterizzata, quest’ultima, dalla circostanza per cui è strumento di separazione all’interno del fenomeno societario, ove cioè “l’operazione economica cui l’entità separata è destinata non è prefissata dalla legge, ma è individuata dall’autonomia privata”25.
25 TERRUSI F., I patrimoni delle società per azioni destinati a uno specifico affare: analisi della disciplina e verifica degli effetti, in Giustizia civile, n. 3, 2005, p. 105.
2. Il vincolo di destinazione nelle persone giuridiche: le fondazioni.
Le fondazioni sono enti destinati dalla volontà di un soggetto alla cura di beni legati ad una determinata opera, in cui il perseguimento di uno scopo è insito nella creazione stessa di una persona giuridica per il perseguimento di un dato scopo. Si tratta di un istituto di origine medievale considerato strumento di conservazione e trasmissione della ricchezza e, per l’effetto, un possibile ostacolo per il libero mercato26.
Il Codice civile italiano disciplina in modo espresso le fondazioni, prevedendo una serie di limiti, quali quelli relativi al riconoscimento, all’amministrazione (art. 25 c.c.), alla trasformazione (art. 28 c.c.), nonché in ordine agli scopi che la fondazione deve necessariamente perseguire.
Secondo la ratio legis, infatti, la fondazione deve perseguire finalità utili alla società, scopi di pubblica utilità, tali da escludere che gli scopi della fondazione possano andare ad esclusivo vantaggio del fondatore o di determinati beneficiari, in modo tale che lo scopo di pubblica utilità costituisca la condicio sine qua non per rimuovere
26 Inizialmente nel Code civil l’unico riferimento alla fondazione è presente in via indiretta nell’art. 910: «Les dispositions entre vifs ou par testament, au profit des hospices, des pauvres d’une commune, où d’établissements d’utilité publique, n’auront leur effets qu’autant qu’elle seront autorisées par une ordonnance royale». L’elaborazione della figura fu pertanto opera di dottrina e giurisprudenza e solo con legge 87-571 del 23 luglio 1987 venne introdotta una definizione di fondazione: «La fondation est l’acte par le quel une ou plusieurs persone physique ou xxxxxxx décident l’affectation irrévocable de biens droits ou ressources à la réalisation d’une oeuvre d’intéret générale et à but non lucratif». Infine con la legge 90-559 del 4 luglio 1990 si è introdotta la c.d. fondazione d’impresa.
l’ostilità dell’ordinamento verso l’immobilizzazione della ricchezza che la fondazione realizza27.
Il vincolo di destinazione trova la sua fonte in un atto di autonomia privata consistente nell’atto di fondazione, attraverso cui vengono funzionalizzati determinati beni al perseguimento di altrettanti determinati scopi, affinché il vincolo di destinazione così impresso sul patrimonio dell’ente abbia natura reale e possa essere opposto ai terzi (proprio perché il motivo che giustifica l’attribuzione patrimoniale è il perseguimento degli scopi cui i beni sono asserviti, ovvero vincolati).
Il vincolo di destinazione personificato appare particolarmente forte in ragione di una serie di indici, quali ad esempio, la circostanza per cui si considera nulla la delibera di smobilizzo assunta in contrasto con le modalità stabilite nello statuto28; dal fatto che vengono reputate valide le clausole di inalienabilità perpetue, rimuovibili solo attraverso lo scioglimento della fondazione per impossibilità dello scopo e consequenziale devoluzione dei beni ad altro ente (artt. 28 e 31 c.c.)29; o, ancora, dalla circostanza che il vincolo di destinazione, poi, non può cessare né per volontà del fondatore né per deliberazione degli amministratori né, fino a quando lo scopo sia attuabile, per provvedimento dell’autorità governativa30.
27 ZOPPINI A., Considerazioni sulla fondazione ecc., op. cit., p. 586.
28 Cfr. articolo 25 c.c. e XXXX G., Sulla validità della clausola di inalienabilità perpetua contenuta in un atto di fondazione, in Foro pad., 1980, II, p. 10.
29 Nella fondazione è implicita una destinazione assoluta e perpetua; assoluta perché è rinvenibile una indisponibilità completa dei beni della fondazione, vale a dire che essi sono inalienabili; perpetua perché la natura stessa della fondazione riposa sulla perpetuità. XXXXXX X., Fondazioni e fondazioni non riconosciute anche alla luce dell’art. 2645 ter x.x., xx Xxxxxxx xxx xxxxxxxxx, 0000, Xxx. 00, Xxxx. 6, p. 1427.
30 Giova ricordare che alcuni beni rientranti nel patrimonio della fondazione possano venire alienati; tuttavia il vincolo di destinazione si estenderebbe, in questi
Secondo l’opinione dominante, la fondazione dovrebbe necessariamente soddisfare interessi ultraindividuali, collettivi e in cui sia riconoscibile una pubblica utilità31, non essendo ammissibile, al contrario, il perseguimento di interessi meramente lucrativi o egoistici del solo fondatore o di determinati beneficiari.
D’altronde l’art. 28 c.c. precisa che quando lo scopo della fondazione è divenuto di scarsa utilità (da intendersi in termini di scarsa utilità sociale)32 l’autorità governativa può provvedere, là dove possibile, alla trasformazione della fondazione.
Diverso è il caso delle fondazioni familiari, in quanto in questo caso è dato ravvisare un affievolimento dell’interesse pubblico che si è soliti considerare la caratteristica precipua delle fondazioni; sembra
casi, al bene ottenuto in corrispettivo o comunque il ricavato dovrebbe essere destinato allo stesso scopo. Si ha, pertanto, un’ipotesi di surrogazione reale.
31 XXXXXXXX X., voce Fondazione, op. cit., ibidem; C.M. XXXXXX, xxx. op. cit.,
p. 343; IUDICA G., Fondazioni, fedecommesserie, trusts e trasmissione della ricchezza familiare, in Xxxxx xxxx. xxx. xxxx., 0000, XX, x. 00; DE GIORGI M.V., Scopo della fondazione e fondazioni di famiglia, in Giur. it., 1980, I, p. 881.
32 V., contra, XXXXX X., Fondazione e impresa, in Riv. dir. civ., 1968, I, p. 1, ad avviso del quale “la fondazione potrebbe essere utilizzata per perseguire gli scopi più diversi, tra cui anche quelli meramente egoistici del fondatore; se è vero - si continua - che la fondazione persegue di solito scopi altruistici ed è a questi che indubitabilmente il legislatore pensava quando regolò l'istituto, è altrettanto vero, però, che non c'è nessun dato normativo che esplicitamente imponga una alterità tra fondatori e beneficiari, potendo quindi i primi riservare a se stessi i vantaggi derivanti dalla fondazione; il carattere altruistico della fondazione è perciò un dato normalmente presente, ma più sociologico che giuridico: infatti l'articolo 28 c.c. si limita a richiedere la «non scarsa utilità» dello scopo e non necessariamente l'utilità pubblica”. Più recentemente l'opinione che la fondazione non debba necessariamente perseguire scopi di pubblica utilità è stata ripresa da CARRABBA A.A., Scopo di lucro e autonomia privata: la funzione nelle strutture organizzative, Xxxxxx, 0000.xxxxxxx cui: «La necessità di perseguire con la fondazione solo scopi di utilità pubblica non pare [ ...] poter essere giustificata né con i divieti in tema di sostituzione fedecommissaria né con i principi relativi allo sfruttamento delle risorse e alla libera circolazione dei beni, tipici della [ ...] ideologia liberale. La posizione del legislatore del '42 pertanto è sicuramente da abbandonare. In questa diversa prospettiva [ ...] l'utilità dello scopo del fondatore [ ...] non necessariamente deve essere pubblica, sociale, collettiva o generale».
potersi ammettere, infatti, che l’interesse nelle fondazioni familiari sia un quid minus rispetto all’interesse pubblico tipico delle fondazioni.
A corroborare tale rilievo deputerebbe il comma terzo dell’art. 28
c.c. che esclude l’applicazione dell’articolo 26 c.c. e del primo comma dello stesso art. 28 c.c. alle fondazioni familiari, i quali escludono, rispettivamente, il coordinamento ovvero l’unificazione e la trasformazione delle fondazioni familiari.
Secondo la dottrina, benché non possa parlarsi di interessi pubblici, non potrebbe negarsi che sempre di interesse generale debba trattarsi, posto che già il fatto stesso che si parli di famiglia permette di mettere da parte l’interesse egoistico del solo fondatore e che gli interessi coinvolti trascendono quelli egoistici del fondatore33.
Sul punto, come precisato dalla Suprema Corte di Cassazione34 la fondazione, anche di famiglia, deve perseguire un fine di pubblica utilità, così che i beneficiari della fondazione non possono essere i membri di una famiglia in quanto tali, bensì soltanto in quanto si trovino in particolari situazioni soggettive (es. meritevolezza, indigenza) che il negozio di fondazione abbia preso in considerazione. Secondo la richiamata pronuncia, “l’eventuale avvantaggiamento di membri della famiglia, discendenti del fondatore, appare quindi come un risultato mediato dal perseguimento di interessi di pubblica utilità, che è, invece, lo scopo immediato che la fondazione si propone”.
33 CEOLIN M., Fondazioni e fondazioni non riconosciute anche alla luce dell’art. 2645 ter x.x., xx Xxxxxxx xxx xxxxxxxxx, 0000, Xxx. 00, Xxxx. 6, p. 1427.
34 Cfr. Cass. 10 luglio 1979, n. 3969, in Giur. it., 1980, I, p. 882, con commento di
M.V. De Giorgi, Scopo della fondazione e fondazioni di famiglia là dove viene dichiarata l'insussistenza, per contrarietà all'ordinamento vigente, di un fedecommesso perpetuo costituito nel 1792 ed avente sostanzialmente lo scopo di regolare la successione ereditaria del fondatore.
I rilievi sin ora svolti in tema di scopo della fondazione, oggi impongono una rivisitazione alla luce della nuova disciplina dettata in tema di riconoscimento , ai sensi del D.P.R. 361/2000, a tenore della quale, al fine di ottenere il riconoscimento è sufficiente la semplice liceità e possibilità dello scopo della fondazione.
Per tale ragione, alcuni Autori35 supera l’opinione tradizionale secondo cui la fondazione dovrebbe perseguire scopi pubblicistici, affermando, in contrario, che «il rispetto del divieto di distribuzione degli utili e la possibilità e liceità dello scopo requisiti sufficienti al fine di accedere alla personificazione»36.
D’altronde, la disciplina positiva che prevede le sanzioni sopra richiamate, non è che il punto finale di un processo di graduale allontanamento dagli scopi di «pubblica utilità», per addivenire ad una
c.d. neutralizzazione della forma giuridica rispetto allo scopo perseguito37, essendo sufficiente al riguardo rammentare la figura delle fondazioni bancarie38.
35 V. COSTI R., Fondazione e impresa, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 00, x. 00; XXXXXXXX P., Fondazione e impresa, in Riv. soc., 1967, p. 832; XXXXXXX A., in DE GIORGI, XXXXXXXXXX, ZOPPINI, (cura di), Il riconoscimento delle persone giuridiche, Milano, 2001: «La possibilità e liceità dello scopo sono requisiti sufficienti al fine di accedere alla personificazione»; MAGGIOLO M., Il tipo della fondazione non riconosciuta nell'atto di destinazione ex art. 2645-ter x.x., xx Xxxxxxxxx xxxxxx, 0/0000, p. 1150.
36 In questi termini, ZOPPINI A., in Il riconoscimento delle persone giuridiche, a cura di Xx Xxxxxx, Xxxxxxxxxx, Zoppini, Milano, 2001, p. 19.
37 BIANCA M., Xxxxxxx ecc., op. cit., p. 146; PALERMO G., Le istituzioni prive di riconoscimento, in Quadr., 1990, p. 579; XXXXXXXX P., Le società intermedie, in Persona e comunità, I, Padova, 1987, p. 45.
38 RAGUSA MAGGIORE G., La fondazione bancaria. Luci ed ombre, in Dir. fall., 1993, I, p. 365; CAPRIGLIONE F., Le fondazioni bancarie e la legge sulla privatizzazioni, in Xxxxx xxxx. xxx. xxxx., 0000, XX, x. 00; ANELLO P. - XXXXXXX XXXXXXXXX S., Fondazioni bancarie: verso un definitivo riassetto, in Le soc., 1995, p. 756.
Alla luce di quanto sin ora argomentato, in definitiva, potrebbe concludersi che nemmeno il vincolo di destinazione «entificato» in una persona giuridica, quale è la fondazione, debba trovare giustificazione in un interesse pubblico e/o superindividuale.
3. Patrimoni destinati ad uno specifico affare.
Con la riforma del diritto societario - entrata in vigore a far data dal 1° gennaio 2004 - è stata dettata una disciplina specifica per i cosiddetti “patrimoni dedicati”, intendendosi con tale espressione quei complessi patrimoniali sottratti all’ordinaria gestione aziendale e destinati al compimento di specifici affari.
La relativa disciplina è contenuta nella nuova sezione XI (articoli 2447-bis e seguenti) del capo V del titolo V, introdotta nel libro V del Codice civile a opera del D.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, attuativo della riforma organica delle società di capitali e delle società cooperative39.
Nonostante alcune forme di “segregazione patrimoniale” fossero già riscontrabili nell’ordinamento, la codificazione specifica dell’istituto dei patrimoni destinati ad uno specifico affare ex art. 2447 bis rappresenta, indubbiamente, un elemento innovativo degno di nota.
39 Sul tema, DI SABATO, Sui patrimoni dedicati nella riforma societaria, in Società, 2002, 665; FERRO XXXXX, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, 121; RABITTI BEDOGNI, Patrimoni dedicati, in Riv. not., 2002, I, 121; ZOPPINI A., Autonomia e separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, 545; XXXXXXX, Il regime dei patrimoni dedicati di s.p.a. tra imputazione atipica dei rapporti e responsabilità, in Società, 2002, 960; INZITARI B., I patrimoni destinati ad uno specifico affare, ivi, 2003, 295; LAMANDINI, I patrimoni «destinati» nell’esperienza societaria. Prime note sul d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, 490.
I patrimoni in questione fondano la loro rilevanza giuridica proprio nell’ autonomia patrimoniale che li caratterizza, tale da renderli assimilabili a una “società nella società”40, nel senso che la suddetta autonomia costituisce uno strumento «operativamente equivalente alla costituzione di una società, col vantaggio della eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa».
La scelta operata dal Legislatore della riforma si è diretta verso l’adozione di un modello operativo assai snello, utilizzabile ogni qual volta si intenda conferire autonomia a un determinato complesso di rapporti giuridici, senza per questo arrivare a costituire un nuovo soggetto societario. Il ricorso a tale strumento consentirebbe, infatti alle società di ampliare e diversificare i propri canali di finanziamento.
In particolare, gli imprenditori, data l’elevata autonomia patrimoniale riconosciuta al patrimonio riservato, avrebbero la possibilità di ottenere con più facilità i mezzi finanziari necessari ancorando il rimborso di un determinato prestito ai proventi derivanti dall’affare per la cui realizzazione il prestito stesso è richiesto.
Ciò in quanto, verrà esplicitato nel prosieguo, i finanziatori “particolari” non dovranno temere la concorrenza, sulle somme “vincolate” al compimento dell’affare, dei creditori “generali” della società.
L’aspetto centrale della disciplina dei patrimoni separati è, infatti, costituito dalla responsabilità patrimoniale sancita dall’articolo 2447-quinquies c.c., per effetto della quale «i creditori della società non possono far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare,
40 SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, p. 183: «La prospettiva della riforma non è stata comunque quella di creare una società nella società, ma, anche in ossequio al principio di semplificazione, quella di coniugare la funzionalità dell’istituto con strumenti giuridici non troppo costosi e complicati con riferimento alla costituzione, al mantenimento ed alla estinzione».
né, salvo che per la parte spettante alla società (n.d.r., qualora l’affare sia gestito in compartecipazione con altri soggetti), sui frutti o proventi da esso derivanti».
La costituzione del patrimonio destinato si pone, pertanto, quale vicenda derogatoria rispetto al principio della responsabilità patrimoniale sancito, in via generale, dall’articolo 2740 c.c. (secondo cui, lo si ripete, «Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri»).
Tale meccanismo, sebbene sia tipicamente previsto per le società per azioni, è stato esteso ed adottato anche dalle società a responsabilità limitata41; tale ampliamento dell’ambito soggettivo non sembrerebbe infatti violare i principi generali del nostro ordinamento giuridico, né le norme inderogabili poste a tutela del sistema.
Tuttavia la menzionata impostazione, non solo non trova alcun riscontro testuale positivo, ma ha dato adito a numerose perplessità sia sotto il profilo della tutela dei creditori sociali che della stabilità della società.
Infatti, le considerazioni mosse con riferimento ai suddetti aspetti farebbe, decisamente, propendere per l’inapplicabilità della nuova disciplina alle società a responsabilità limitata42, giusta le seguenti ragioni:
i) la legge delega prevedeva i patrimoni destinati con esclusivo riferimento alla società per azioni (articolo 4, comma 4, lettera b), della legge 366/2001);
41 “Patrimoni dedicati” non configurabili come soggetti autonomi passivi di imposta, in Guida Normativa, 18.11.2006 - n. 44.
42 Ibid.
ii) il decreto delegato di attuazione ha previsto i patrimoni destinati come modalità operativa delle sole società per azioni: la disciplina dei patrimoni destinati è, infatti, contenuta all’interno della disciplina dettata per le Spa;
iii) nell’ambito della normativa dedicata alle società a responsabilità limitata nei nuovi articoli del Codice civile manca un espresso richiamo all’articolo 2447-bis e seguenti c.c.
Degna di considerazione, a livello sia formale che sostanziale, inoltre, è la circostanza per cui il nuovo strumento dei patrimoni destinati è stato concepito dal Legislatore della riforma quale peculiarità propria delle società per azioni, finalizzata ad incentivare il ricorso degli imprenditori a tale particolare struttura societaria.
L’inapplicabilità di tali istituti all’impianto societario delle s.r.l. trova fondamento nel carattere spiccatamente personalistico che connota tale tipologia di struttura societaria, nonché l’intera disciplina della nuova società a responsabilità limitata.
La S.r.l. post riforma, infatti, è stata concepita come tipo societario a tutti gli effetti a sé stante, nel cui ambito la figura del socio ed i rapporti contrattuali tra soci hanno grande rilievo.
Anche considerazioni di ordine pratico conducono alla inapplicabilità alla categoria delle società a responsabilità limitata di uno strumento ideato e concepito per le società per azioni.
Si pensi, infatti:
- alla previsione del comma 2 dell’articolo 2447-bis, secondo cui i patrimoni destinati al compimento, in via esclusiva, di uno specifico affare, «non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società» di destinazione; nonché
- alla previsione del comma 3 dell’articolo 2447-quinquies, secondo cui - in deroga alla regola, ordinaria per i patrimoni separati, di responsabilità circoscritta all’ammontare del patrimonio riservato - la società di destinazione va incontro, in ogni caso, a responsabilità illimitata «per le obbligazioni derivanti da fatto illecito».
La portata di tali ultime previsioni, unitamente alla considerazione dell’esiguità del capitale minimo previsto per le S.r.l. (pari a 10.000 euro, come stabilito dal nuovo articolo 2463, comma 2, n. 4), c.c.), rende sufficientemente palese l’inidoneità della particolare disciplina dettata per i patrimoni separati ad estendersi analogicamente a tale categoria societaria.
Un’ultima considerazione che rafforza la conclusione per cui non possa essere estesa alle società a responsabilità limitata la possibilità di costituire patrimoni separati, discende dall’esame dell’ordinamento comunitario e, più precisamente, della dodicesima direttiva del Consiglio Ce in materia di diritto delle società (21 dicembre 1989, 89/667/Cee, relativa alle S.r.l. con un unico socio).
In tale ambito, infatti, la S.r.l. unipersonale è stata individuata quale strumento per limitare la responsabilità dell’imprenditore individuale, in posizione alternativa rispetto alla costituzione di
«imprese a responsabilità limitata ad un patrimonio destinato ad una determinata attività» (articolo 7 della direttiva).
Dal momento che l’attuazione interna della citata direttiva (avvenuta per mezzo del D.lgs. 3 marzo 1993 n. 88) ha comportato l’introduzione nel nostro ordinamento dell’istituto della società a responsabilità limitata con un unico socio, la previsione dell’utilizzabilità dello strumento dei patrimoni destinati da parte delle
S.r.l. si risolverebbe in una violazione del descritto principio di alternatività tra i due istituti.
Il Legislatore della riforma ha previsto per il nuovo istituto due diverse configurazioni: una cosiddetta “industriale”, avente a oggetto la costituzione di uno o più patrimoni riservati, in via esclusiva, alla realizzazione di uno specifico affare (articolo 2447-bis, comma 1, lettera a), c.c.) e una “finanziaria”, relativa alla possibilità per la società di destinazione di convenire, all’atto della conclusione di un contratto avente a oggetto il finanziamento di uno specifico affare, che il relativo rimborso avvenga, in misura totale o parziale, sulla base dei proventi generati da quest’ultimo, o, in ogni caso, di parte di essi (articolo 2447- bis, comma 1, lettera b), c.c.).
Un terzo modello di patrimonio separato sarebbe ricavabile dal dettato dell’articolo 2447-ter che, nel dar conto del contenuto minimo della deliberazione costitutiva, prevede l’obbligo di specificare la
«possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare, con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono» (articolo 2447-ter, comma 1, lettera e), c.c.).
E’ evidente come tale particolare modalità di finanziamento individuato per il compimento dello specifico affare caratterizza tale ultima ipotesi di patrimonio separato, atteso che concorrerebbero apporti di terzi privi della qualifica di socio.
L’assenza dello status di socio tuttavia renderà l’apporto privo dei caratteri del conferimento e pertanto:
- i finanziatori riceveranno in contropartita strumenti finanziari diversi dalle azioni;
- la relativa remunerazione, in quanto indipendente dal risultato complessivamente conseguito dalla società di destinazione, sarà legata prettamente ai risultati dello specifico affare.
Come anticipato, l’elemento distintivo del nuovo istituto si sostanzia nella separazione patrimoniale e la conseguente specializzazione della responsabilità.
Difatti, la costituzione di un patrimonio destinato, consente alla società di comprimere le ragioni dei propri creditori “generici”, sottraendo una parte del proprio patrimonio alla garanzia di questi ultimi per destinarla a tutela dei creditori particolari dello specifico affare.
Si assiste, pertanto, ad un mutamento del complessivo quadro delle garanzie poste a tutela dei creditori, mutamento che assume, con ogni evidenza, caratteri diversi a seconda del particolare modello di patrimonio separato prescelto, ovvero a seconda che la segregazione abbia a oggetto direttamente il patrimonio sociale o, al contrario, i frutti della specifica attività (ossia i proventi dell’affare vincolati, in tutto o in parte, al rimborso del finanziamento contratto per la sua realizzazione).
Xxx potrebbe affermarsi come, per effetto dell’introduzione di tale istituto, le società siano divenute titolari di due diverse forme di finanziamento: una fonte interno al proprio patrimonio, di natura esclusiva in quanto sottratta alla garanzia (e alla potenziale aggressione) degli altri creditori (“generici”), e una fonte di finanziamento esterno, con diritto di prelazione a favore del finanziatore per il rimborso totale o parziale del finanziamento43.
Entrambe le indicate configurazioni presentano quale comune denominatore l’opponibilità a terzi sia della segregazione patrimoniale (con conseguente limitazione della responsabilità sociale alla quota del patrimonio destinato all’affare), sia del vincolo di destinazione (dei
43 Così, DI SABATO, Diritto della società, Milano, 2003, pag. 174.
proventi ricavati dall’affare) al rimborso del finanziamento specificamente contratto.
La complessiva vicenda legata alla costituzione e all’operatività dei patrimoni destinati, attesa l’evidente compressione dei diritti di terzi, soggiace a precisi obblighi informativi e di pubblicità che, ove violati, riducono (sino ad annullarla) la limitazione di responsabilità di cui viene a godere la società destinante.
Al riguardo sono, infatti, espressamente previsti:
a. sotto il profilo degli obblighi di pubblicità, il deposito e l’iscrizione (a norma dell’articolo 2436 c.c.) della delibera di costituzione nel registro delle imprese (articolo 2447-quater, comma 1, c.c.): in mancanza, l’effetto della specializzazione della responsabilità patrimoniale non potrà prodursi e la società sarà chiamata a rispondere delle obbligazioni sorte in relazione all’affare anche con il proprio patrimonio residuo;
b. sotto il profilo degli obblighi informativi, in ogni atto compiuto in relazione allo specifico affare dovrà essere espressamente menzionato il vincolo di destinazione, con l’avvertenza che in mancanza ne risponderà la società con il proprio patrimonio residuo (articolo 2447-quinquies, ultimo comma, c.c.).
I creditori sociali, tuttavia, attesa l’indiscutibile compressione delle tutele da apprestare per garantire il soddisfacimento delle proprie pretese creditorie provocata dalla costituzione del patrimonio separato potranno, in ogni caso, proporre opposizione contro l’iscrizione della delibera costitutiva nel termine, certamente ristretto, di due mesi dalla data di iscrizione della medesima nel registro delle imprese.
Il tribunale, peraltro, anche in ipotesi di opposizione, potrà rendere esecutiva la delibera di costituzione, «previa prestazione da parte della società di idonea garanzia» (articolo 2447-quater, comma 2, c.c.).
I creditori sociali “generici, nel momento in cui la segregazione patrimoniale abbia acquistato piena efficacia,” verranno privati di qualunque possibilità di rivalersi sui beni costituenti il patrimonio oggetto di separazione, ovvero sui frutti o proventi derivanti dall’affare, fatta eccezione per la quota di spettanza della società o di terzi (situazione ricorrente tanto nell’ipotesi di patrimonio destinato “finanziario” di cui all’articolo 2447-bis, comma 1, lettera b), qualora non sia stato previsto l’integrale assoggettamento dei proventi al vincolo di destinazione, quanto in quella di patrimonio destinato “industriale” caratterizzato dall’emissione di «strumenti finanziari di partecipazione all’affare», possibilità prevista dal citato articolo 2447- ter, comma 1, lettera e).
L’effetto preclusivo connesso al decorso del termine in esame conosce, tuttavia, un’eccezione (seppur di carattere necessitato, in quanto discendente dal particolare regime di pubblicità proprio dei trasferimenti immobiliari o assimilati): qualora, infatti, nel patrimonio riservato siano inclusi beni immobili o beni mobili registrati, i creditori sociali “generici” potranno far valere i propri diritti sul patrimonio separato sino a quando «la destinazione allo specifico affare non è trascritta nei rispettivi registri» (articolo 2447-quinquies, comma 2, c.c.).
Con specifico riferimento ai finanziamenti destinati di cui all’articolo 2447-bis, comma 1, lettera b), la relativa disciplina risulta concentrata nel solo articolo 2447-decies, sintomo evidente della diversa importanza riconosciuta dal Legislatore a tale ulteriore configurazione di patrimonio destinato.
Tuttavia, sotto il profilo della tutela dei creditori, il regime seguito è il medesimo dei patrimoni destinati “industriali”, con la differenza che in tale particolare ipotesi la segregazione ha ad oggetto i proventi dell’affare, pertanto, esclusivamente questi ultimi
«costituiscono patrimonio separato da quello della società e da quello relativo ad ogni altra operazione di finanziamento» (art. 2447-decies, comma 3, c.c.).
Tale effetto potrà realizzarsi solo se sussistono determinati requisiti, quali:
- il deposito del contratto di finanziamento (al cui rimborso sono vincolati i proventi dell’affare) per l’iscrizione presso il registro delle imprese;
- l’adozione di sistemi di incasso e di registrazione contabile in grado di individuare, in qualsiasi momento, i proventi dell’affare e di tenerli separati (in considerazione del predetto vincolo di destinazione) dal restante patrimonio sociale.
Solamente se tali necessarie condizioni risulteranno soddisfatte, potrà prodursi l’effetto segregativo tipico della separazione patrimoniale, con la conseguenza che:
a. i creditori sociali “generici” non potranno avanzare alcuna pretesa sui frutti dell’affare, almeno sino a quando non sia avvenuto il rimborso del finanziamento o sia scaduto il termine massimo a tal fine stabilito, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di azioni conservative
«sui beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione» (ai sensi del comma 5 dell’art. 2447-decies);
b. i creditori “particolari” potranno rivalersi (al fine di ottenere il rimborso del prestito concesso) esclusivamente sui proventi della specifica operazione.
Comunemente, nei patrimoni separati, la destinazione di scopo, ne determina l’indisponibilità-indistraibilità nonché la modifica del loro regime amministrativo e gestorio; ma soprattutto esclude la responsabilità per debiti privi di connessione con lo scopo.
Tra gli altri, la nota differenziale della figura44, si rintraccia nella inespropriabilità ed insequestrabilità relativa o, se si vuole, l’imputabilità di debiti propri, incidente sulla regola dell’art. 2740 c.c. (sebbene a soggettività invariata)
Ciò posto, ne consegue come i patrimoni di cui all’art. 2447 bis, 1° comma, lett. a) possano elevarsi a paradigma di patrimonio separato, atteso che i creditori «generali» della società non possono esperire azioni esecutive aventi ad oggetto, per il soddisfacimento delle pretese creditorie, il patrimonio destinato allo specifico affare, nonché i frutti o proventi da esso derivanti, «salvo che per la parte spettante alla società» (art. 2447 quinquies, 1° comma, c.c.); al contrario, i creditori «particolari» potranno soddisfarsi esclusivamente sul patrimonio destinato45, salva la responsabilità illimitata (e sussidiaria) della società tanto per i fatti illeciti dell’art. 2043 c.c. (3° comma), quanto per gli atti (leciti ma) compiuti senza menzionarne la destinazione allo specifico affare (4° comma).
La limitazione della responsabilità, secondo il dettato dell’art. 2447 quinquies, terzo comma, c.c. che esordisce con una riserva, opera,
44 XXXXXXX, I patrimoni separati, Città di Castello, 1941, p. 173; FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, I, 1, Roma, 1921, 877, in cui il tema della responsabilità limitata viene assunto quale criterio discretivo che, meglio d’ogni altro, esprime l’essenza della massa separata, quale patrimonio «che ha propri debiti, in cui si localizzano le obbligazioni e responsabilità che da esso nascono, e che non risente gli effetti di obblighi diversi del soggetto del patrimonio».
45 Al pari dei creditori del defunto e dei legatari che, in caso d’accettazione con beneficio d’inventario, non potranno pretendere più di quanto corrisponda al valore dell’eredità.
in ossequio al principio di testualità del capoverso dell’art. 2740 c.c.,
«qualora la deliberazione prevista dall’art. 2447 quater non disponga diversamente».
La valenza suppletiva della ricordata norma induce a ritenere che la costituzione del patrimonio destinato, in luogo della società controllata ad hoc (ovvero d’altre special purpose entities), sia da preferire ogni qual volta lo specifico affare viene intrapreso senza l’apporto di terzi ovvero con l’apporto di terzi privi di quella forza contrattuale (dovuta al maggior spessore economico e patrimoniale, se non a mere contingenze) che avrebbe altrimenti imposto alla società l’assunzione d’una responsabilità illimitata46.
In ogni caso, l’applicazione dell’art. 2740 c.c. alle obbligazioni contratte nella realizzazione dello specifico affare darebbe luogo, con l’unica eccezione, delle obbligazioni che traggono origine da fatto illecito, ad una segregazione asimmetrica o imperfetta, poiché sul patrimonio destinato comunque non potrebbero rivalersi i creditori della società.
L’effetto prodotto, dunque, è quello d’una limitazione della responsabilità che, per quanto innovativa, annovera già analoghi precedenti.
Ad esempio, sul fronte interno, il codice della navigazione ammetterebbe una limitazione non della responsabilità47 bensì del debito dell’armatore il quale, in occasione di ciascun viaggio, risponderebbe nel limite d’una somma pari al valore della nave e
46 POTITO, Patrimoni destinati…all’insuccesso?, in Società, 2006, 549.
47 BARBIERA, Responsabilità patrimoniale, nel Cod. civ. commentario diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1991, p. 60.
all’ammontare dei proventi che il viaggio gli procuri (artt. 275 e ss. c. nav.)48.
Invero, oltre confine, e precisamente nelle cosiddette offshore jurisdictions, la disciplina delle protected cell companies da tempo consente la scindibilità del patrimonio sociale in masse autonome e distinte, come tali prodttivi di debiti e crediti propri, alla stessa stregua d’una società controllata49: per questo il fenomeno è stato assimilato, quale tecnica di specializzazione della responsabilità, ad una sorta di scissione o gruppo endosocietario.
Il vincolo di destinazione contemplato dall’art. 2447 bis concerne cespiti già appartenenti alla società conferente di cui dispone unilateralmente e che vengono assoggettati ad un diverso regime di responsabilità, come avviene nel trust auto-dichiarato50.
48 XXXXXXX F., Diritto civile e commerciale, III, 2, Padova, 2004, p. 19.
49 La prima disciplina organica delle Protected Cell Companies (PCCs) risale al 1° febbraio del 1997, e segnatamente alla Protected Cell Companies Ordinance (ordinance No. V of 1997, amended by No. XV of 1998) di Guernsey, un’isola sul canale della Manica (cui s’aggiungeranno, nel 2001, le Protected Cell Companies - Special Purpose Vehicle - Regulations), che nella parte prima (Formation & attributes) accolse un concetto di separazione patrimoniale a soggettività invariata speculare a quello dell’art. 2447 bis c.c., stabilendo, nella sezione 1.2, che (a) «a protected cell company is a single legal person», e che (b) «the creation by a protected cell company of a cell does not create, in respect of that cell, a legal person separate from the company».
50 LUPOI M., I trust nel diritto civile, in Tratt. di dir. civ. diretto da Xxxxx, Torino, 2004, p. 250, in cui è dato rinvenire la distinzione tra patrimonio destinato di cui all’art. 2447 bis e ss. dal trust, che si identificherebbe nell’assenza d’un rapporto fiduciario (né, s’aggiunge, la massa societaria separata prefigurerebbe un «trust di scopo», nel quale non fosse specificamente indicato il beneficiario), «aggravata dal modo tipico di procedere del legislatore italiano, il quale prevede una serie di procedimenti di pubblicità, assemblee dei possessori degli strumenti finanziari che siano stati emessi in relazione all’affare che ha dato causa alla costituzione del patrimonio separato e altre garanzie procedimentali o formali, le quali tutte presuppongono una contrapposizione di interessi fra la società e i terzi, apportatori o finanziatori».
La forma di segregazione biunivoca e perfetta che ne deriva è priva di riscontro nei modelli di società di persone, dove il socio risponde illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali,. Tuttavia sarà possibile distinguere il patrimonio destinato allo specifico affare dal fondo patrimoniale, rispetto al quale i creditori potranno soddisfarsi anche sui beni personali dei coniugi, salvo il beneficium excussionis, che nei loro confronti potrebbe esser fatto valere, in via surrogatoria (art. 2900 c.c.), dai creditori generali o personali (quelli, per meglio intendersi, non legittimati ex art. 170 c.c.) per escluderne, almeno medio tempore, il pari concorso.
Per quanto riguarda il finanziamento destinato ad uno specifico affare, quale fattispecie di patrimonio destinato, il contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare può prevedere che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati, in via esclusiva, tutti o parte dei proventi dell’affare stesso. La segregazione in via esclusiva di tutti o parte dei proventi dell’affare non implica necessariamente che al rimborso non possa concorrere in tutto o in parte anche la società perché è previsto che la società possa offrire garanzie.
La separazione patrimoniale attiene ai proventi dell’operazione, che costituiscono patrimonio separato da quello della società e da quello relativo ad ogni altra operazione di finanziamento.
Sui proventi, sui frutti di essi e sugli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso al finanziatore non sono ammesse azioni da parte dei creditori sociali.
La separazione si estende anche ai beni strumentali. I creditori sociali, fino al rimborso del finanziamento, possono esercitare esclusivamente azioni conservative sui beni strumentali destinati alla realizzazione dell’operazione.
Tuttavia anche questa forma di separazione non è perfetta a ponderare che il il fallimento della società potrebbe impedire la realizzazione o la continuazione dell’operazione, conseguentemente cesserebbero le limitazioni all’azione dei creditori sociali e il finanziatore avrebbe diritto di presentare istanza di insinuazione al passivo.
Alla luce di tali rilievi è possibile rilevare come in entrambe le fattispecie di patrimoni destinati, la disciplina sia, in larga parte, lasciata all’autonomia privata.
Peraltro per effetto dell’autonomia privata la stessa limitazione di responsabilità della società potrebbe addirittura mancare.
E’ evidente, quindi, come siamo di fronte a figure molto duttili, tipologicamente prossime all’istituto del trust51.
4. Ulteriori fattispecie di “separazione patrimoniale” previste dall’ordinamento.
Nell’ultimo decennio la tecnica della separazione patrimoniale ha conosciuto crescenti applicazioni soprattutto nella normativa di settore.
I termini “patrimonio separato”, “patrimonio autonomo” o “patrimonio distinto” vengono impiegati dal legislatore per definire e regolare fattispecie diverse, le quali sono accomunate dalla circostanza per cui, per effetto del principio della limitazione della responsabilità,
51 LAMANDINI, I patrimoni «destinati» nell’esperienza societaria. Prime note sul d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, 490.
su determinati beni o complessi di beni detenuti o posseduti da un determinato soggetto possono essere soddisfatti soltanto o, quanto meno, in via prioritaria determinati creditori.
Il linguaggio legislativo impiegato, tuttavia, è con riferimento specifico in materia di diritto societario e finanziario, dove le fattispecie di patrimoni separati, variamente definiti, si sono via via moltiplicate.
Il richiamo va alla normativa sui fondi comuni di investimento, mobiliari (L. 23 marzo 1983, n. 77) e immobiliari chiusi (L. 25 gennaio 1994, n. 86). La separazione patrimoniale si ritrova in sede di disciplina delle forme pensionistiche complementari (L. 8 agosto 1995, n. 355). L’impiego della cartolarizzazione, con la necessaria creazione di patrimoni separati (L. 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti), si è esteso anche al settore dei crediti di imposta e contributivi (L. 23 novembre 2001, n. 409) e del patrimonio immobiliare pubblico (L. 23 novembre 2001, n. 410). Il profilo della separazione emerge, altresì, nella disciplina sulla società a capitale pubblico per il finanziamento delle infrastrutture (art. 8, comma 4, D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito
dalla L. 15 giugno 2002, n. 112.
Si tratta di fattispecie normative rispondenti a determinate esigenze socio-economiche, tipizzate dal legislatore e contenute in una legislazione speciale che opera in deroga ai principi dettati in materia dal codice civile, ma sempre nel rispetto del capoverso dell’art. 2740 c.c.
Unica eccezione in tal senso, prima dell’entrata in vigore dell’art. 2645-ter c.c., poteva essere ravvisata nella disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare delle società per azioni, in cui si pone in rilievo, quale elemento della fattispecie, solo la specificità dell’affare
programmato52 mentre difetta ogni forma di tipizzazione dell’interesse dell’operazione economica.
La suddetta qualificazione della fattispecie non è, tuttavia, sempre agevole. Lo stesso legislatore, infatti, si limita, frequentemente, a definire e regolare la destinazione di determinati beni al soddisfacimento delle ragioni di determinati creditori, sicchè la portata della norma potrà essere desunta, peraltro con molti dubbi, soltanto dalle sue finalità53.
Un caso palese di diritto di prelazione si rinviene nel “patrimonio separato” (così come definito dal legislatore) costituito dagli atti iscritti nel Registro delle attività a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione ex art. 42 codice delle assicurazioni.
In ambito assicurativo, infatti, con specifico riferimento alle condizioni di esercizio di cui le imprese assicurative devono costantemente dotarsi per poter svolgere l’attività assicurativa secondo quanto prescritto nel Codice delle assicurazioni, le riserve tecniche, che corrispondono a particolari fondi alimentati esclusivamente dai premi versati dagli assicurati ben possono essere catalogate quali ipotesi di separazione patrimoniale.
Tali riserve tecniche sono, sostanzialmente, strumenti attraverso i quali le imprese di assicurazione si pongono nelle condizioni di adempiere alle obbligazioni assunte nel momento in cui si verificheranno gli eventi indicati nel contratto.
52 Sul punto, cfr. ZOPPINI A., Autonomia e separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 545 ss.
53 In questi termini cfr. VOLPE PUTZOLU G., Fattispecie di “separazione patrimoniale” nell’attuale quadro normativo, in M. BIANCA (a cura di), La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p.183 e ss.
Peraltro, costituiscono voci autonome inserite nel bilancio d’esercizio come poste reali situate tra i debiti e sono controbilanciate, nell’attivo, da particolari fondi volti alla copertura delle riserve secondo un particolare vincolo di destinazione.
Infatti l’impresa di assicurazione è obbligata ad utilizzare i suddetti fondi solo ai fini di copertura delle riserve tecniche.
Non ha quindi la libertà e la facoltà di disporre di questi attivi a proprio vantaggio o piacimento, ma solo per adempiere alle obbligazioni assunte e dedotte nella polizza assicurativa.
Tale impostazione, prescritta anche dall’art. 42 del Cod. ass., consente la costituzione di una separazione patrimoniale, tesa alla tutela degli assicurati, in quanto impedisce agli eventuali creditori dell’impresa di assicurazione di aggredire il patrimonio destinato al soddisfacimento di soggetti sottoscrittori di polizze assicurative.
Al riguardo il legislatore ha posto una distinzione tra le riserve che devono essere costituite per esercitare l’attività assicurativa nel ramo vita e quelle da costituire per esercitare l’attività nel ramo danni.
Rispettivamente, l’ art. 36 contiene le indicazioni relative alla costituzione delle riserve necessarie per operare nel ramo vita, mentre nell’art. 37 sono specificate quelle relative al ramo danni.
Entrambe le fattispecie, nonostante la disciplina codicistica tenda a mantenerle separate, trovano un comune denominatore, che si evince, peraltro, ai sensi dell’art. 36, secondo comma, nella circostanza per cui ove la valutazione sulla sufficienza e sull’adeguatezza delle riserve tecniche è riservata ad un attuario incaricato dall’Autorità di Xxxxxxxxx, il quale ha anche una funzione di controllo sull’impresa di assicurazione.
Nell’esercizio della sua funzione, l’attuario incaricato ha il compito, o meglio l’obbligo, di informare l’organo amministrativo e di controllo se sussistono delle condizioni che ostacolano la possibilità di formulare un giudizio sulla sufficienza e adeguatezza delle riserve tecniche.
La fattispecie normativa sin ora descritta, nonostante il legislatore definisca tale fattispecie come “patrimonio separato”, costituisce un palese caso di diritto di prelazione, là dove, in caso di insufficienza delle riserve tecniche a tutelare i diritti di credito degli assicurati, la società di assicurazione risponde con il restante patrimonio.
Le riserve tecniche, infatti, sono costituite per garantire l’adempimento degli impegni assunti dall’impresa ma non si tratta di gestione di beni per conto degli assicurati54.
In altri casi il legislatore riferisce l’espressione di separazione patrimoniale alla limitazione di responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., come nel caso previsto dall’art. 6 d.lgs. 5 dicembre 2005,
n. 25255, recante la disciplina delle forme pensionistiche complementari.
54 Ibid.
55 Art. 6 Regime delle prestazioni e modelli gestionali. – 1-8. omissis. 9. I fondi pensione sono titolari dei valori e delle disponibilità conferiti in gestione, restando peraltro in facoltà degli stessi di concludere, in tema di titolarità, diversi accordi con i gestori a ciò abilitati nel caso di gestione accompagnata dalla garanzia di restituzione del capitale. I valori e le disponibilità affidati ai gestori di cui al comma 1 secondo le modalità ed i criteri stabiliti nelle convenzioni costituiscono in ogni caso patrimonio separato ed autonomo, devono essere contabilizzati a valori correnti e non possono essere distratti dal fine al quale sono stati destinati, né formare oggetto di esecuzione sia da parte dei creditori dei soggetti gestori, sia da parte di rappresentanti dei creditori stessi, né possono essere coinvolti nelle procedure concorsuali che riguardano il gestore. Il fondo pensione è legittimato a proporre la domanda di rivendicazione di cui all’articolo 103 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Possono essere rivendicati tutti i valori conferiti in gestione, anche se non individualmente determinati o individuati ed anche se depositati presso terzi, diversi dal soggetto gestore. Per l’accertamento dei valori oggetto della domanda è ammessa ogni prova documentale, ivi compresi i rendiconti
In questo caso la separazione non incide sulla titolarità, neppure formale, delle risorse, salvo eccezioni.
Difatti, il fondo pensione resta titolare dei valori e delle disponibilità conferite in gestione, fatta eccezione per il caso in cui il gestore garantisca la conservazione del capitale, nel qual caso la titolarità può essere attribuita al gestore.
La norma prevede due fattispecie diverse. La garanzia di conservazione del capitale trasferisce sul gestore il rischio che il risultato della gestione sia inferiore ai contributi versati.
Tale effetto, tuttavia, è la conseguenza dell’assunzione della garanzia.
Difatti, è l’assunzione della garanzia che rende necessario, non soltanto eventuale, il passaggio della titolarità e del potere di scelta degli investimenti, quanto meno entro certi limiti, in capo al gestore. In questo caso, in altre parole, la gestione non è svolta soltanto nell’interesse del fondo, ma anche nell’interesse del gestore a disporre delle somme necessarie per far fronte all’impegno di garantire la conservazione del capitale.
Si tratta, quindi, di una fattispecie “ibrida”56, nel primo caso la separazione ha natura di ordine esclusivamente gestionale (gestione del patrimonio di terzi).
redatti dal gestore o dai terzi depositari. 10. Con delibera della COVIP, assunta previo parere dell’autorità di vigilanza sui soggetti convenzionati, sono fissati criteri e modalità omogenee per la comunicazione ai fondi dei risultati conseguiti nell’esecuzione delle convenzioni in modo da assicurare la piena comparabilità delle diverse convenzioni. 11- 14. omissis.
56 In questi termini cfr. VOLPE PUTZOLU G., Fattispecie di “separazione patrimoniale” nell’attuale quadro normativo, in M. BIANCA (a cura di), La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p.184.
Nel secondo caso la separazione assorbe aspetti che esulano dal piano gestionale.
Il gestore risponde con tutto il suo patrimonio della garanzia prestata. Si tratta sostanzialmente di un diritto di prelazione57.
Sempre sul piano della gestione opera la separazione prevista dal
T.U. dell’intermediazione finanziaria, in ordine agli strumenti finanziari e somme di denari di singoli clienti a qualunque titolo detenute dall’impresa di investimento o dalla Società di gestione del risparmio (art. 22 TUF)58, sia che l’impresa agisca in nome dei clienti, sia che agisca in nome proprio.
Come si vedrà più approfonditamente nel paragrafo che segue, più problematica è, invece, la separazione patrimoniale prevista dall’art. 36 TUF (fondi comuni d’investimento), atteso che ciascun
57 Ibid.
58 Ai sensi dell’art. 22 dell’indicata normativa, rubricato, separazione patrimoniale, “1. Nella prestazione dei servizi di investimento e accessori gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dall’impresa di investimento, dalla SGR, dalla società di gestione armonizzata o dagli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del T.U. bancario, nonché gli strumenti finanziari dei singoli clienti a qualsiasi titolo detenuti dalla banca, costituiscono patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell’eventuale depositario o sub-depositario o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori dei singoli clienti sono ammesse nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi. Per i conti relativi a strumenti finanziari e a somme di denaro depositati presso terzi non operano le compensazioni legale e giudiziale e non può essere pattuita la compensazione convenzionale rispetto ai crediti vantati dal depositario o dal sub- depositario nei confronti dell’intermediario o del depositario. 3. Salvo consenso scritto dei clienti, l’impresa di investimento, la SGR, la società di gestione armonizzata, l’intermediario finanziario iscritto nell’elenco previsto dall’articolo 107 del T.U. bancario e la banca non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, gli strumenti finanziari di pertinenza dei clienti, da essi detenuti a qualsiasi titolo. L’impresa di investimento, l’intermediario finanziario iscritto nell’elenco previsto dall’articolo 107 del T.U. bancario, la SGR e la società di gestione armonizzata non possono utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, le disponibilità liquide degli investitori, da esse detenute a qualsiasi titolo”.
fondo o ciascun comparto dello stesso fondo costituisce un patrimonio autonomo, come tale distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla stessa società.
In tutti i sopra richiamati casi, in ogni caso, trovano applicazione le regole che, in qualche modo, si ricollegano ai principi del mandato ed, in particolare, al principio di cui all’art. 1707 c.c., in tema di mandato senza rappresentanza
Ne consegue come i creditori del mandatario non possono far valere le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquisito in nome proprio. La peculiarità di tale situazione che sorge dal contratto di mandato senza rappresentanza non delinea una ipotesi di limitazioni di responsabilità in senso proprio, come è stata, per lungo tempo, ravvisata nell’art. 2117 c.c.
Nell’art. 2117 c.c., sancisce che “I fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che l’imprenditore abbia costituiti, anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati e non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro”.
Pertanto, la suddetta separazione è funzionale al vincolo di destinazione ed alla segregazione del patrimonio così come costituito, tanto da non poter formare oggetto di esecuzione da parte dei creditore dell’imprenditore o del prestatore di lavoro.
Questa norma ha trovato origine sulla base del dettato della normativa sulle forme pensionistiche complementari, la cui disciplina, con riferimento ai fondi costituiti nell’ambito di una società o ente, si limita a stabilire che il fondo è un patrimonio di destinazione, separato e autonomo, nell’ambito della stessa società o ente, con gli effetti di cui
all’art. 2117 c.c.
Nulla, invece, viene sancito in merito alla responsabilità del del datore di lavoro rispetto al restante patrimonio, qualora la consistenza patrimoniale del fondo sia insufficiente a far fronte agli impegni previdenziali e assistenziali.
L’art. 2117 c.c., infatti, non sancisce nulla in ordine ad una limitazione di responsabilità patrimoniale dell’imprenditore ma individua solo la riserva del fondo, costituito con i contributi dei lavoratori e dell’imprenditore o solo di quest’ultimo, aggredibile ai fini del soddisfacimento delle ragioni di credito dei lavoratori e degli altri crediti contratti per la gestione del fondo.
Anche la Legge 130 del 1999 in tema di cartolarizzazione di crediti si limita a stabilire che i crediti relativi a ciascuna operazione di cartolarizzazione costituiscono un patrimonio separato da quello della società veicolo e da quello relativo ad altre operazioni della specie.
Su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei titoli stessi. La società deve destinare in via esclusiva le somme corrisposte dai debitori ceduti al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto.
Tuttavia dal tenore letterale del dettato della Legge in esame non è dato desumere se la separazione sia disposta soltanto a favore dei creditori (c.d. segregazione unilaterale) o se comporti anche una limitazione di responsabilità della società (c.d. segregazione bilaterale), a differenza della disposizione, apparentemente più chiara, dell’art. 2447-quinquies c.c. in tema di patrimonio destinato dalla società per azioni in via esclusiva ad uno specifico affare.
Secondo tale ultima norma citata la segregazione è bilaterale, salvo che la delibera costitutiva disponga diversamente.
Opera, ad ogni modo la deroga alla disciplina ex art. 2740, sebbene la limitazione di responsabilità non sia perfetta.
Difatti, la separazione patrimoniale perdura anche quando l’affare è stato realizzato o è divenuto impossibile e non siano integralmente soddisfatte le obbligazioni contratte. Al verificarsi di tali circostanze i relativi creditori potranno chiedere la liquidazione, restando comunque salvi i diritti sul patrimonio separato.
E’ fatta salva, però, come visto in precedenza, la responsabilità della società per le obbligazioni derivanti da fatto illecito.
5. Il fondo d’investimento ed il principio della «doppia separazione patrimoniale».
Una particolare figura di patrimonio separato, come si è accennato nel paragrafo che precede, è il fondo d’investimento ex l. 6 febbraio 1996, n. 52 - l. 2 gennaio 1991, n. 2 - d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58
– in attuazione della direttiva CEE 93/22, art. 10.
Con l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico, con la legge 23 marzo 1983, n. 77, dei fondi comuni di investimento mobiliare aperti, il legislatore ha inteso istituire lo strumento idoneo a convogliare, nel mercato dei valori mobiliari, il risparmio delle famiglie.
Successivamente, con le modifiche introdotte con il D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 83 è stata modificata la disciplina dei fondi comuni nel senso del loro adeguamento alle direttive europee in tema di organismi di investimento collettivo in valori immobiliari, rimanendone peraltro inalterati sia la ratio che il significato medesimo.
Successivamente il panorama normativo è stato esteso con altre disposizioni volte a prevedere i fondi chiusi e quelli di investimento immobiliare, fino all’entrata in vigore della normativa vigente che costituisce la disciplina dei fondi contenuta nel Testo Unico della finanza, TUF, di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni e alle disposizioni secondarie emanate in base allo stesso.
Nello specifico, l’art. 36, in tema di fondi comuni di investimento, precisa che la società di gestione istitutiva del fondo comune gestisce il medesimo fondo ovvero è gestito da altra società di gestione del risparmio (la quale, peraltro, può gestire sia fondi di propria istituzione sia fondi istituiti da altre società).
Il patrimonio della società di gestione del risparmio è distinto a tutti gli effetti da ciascun fondo, o ciascun comparto di uno stesso fondo, che costituisce patrimonio autonomo, nonché da quello di ciascun partecipante e da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società.
Ebbene, su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell’interesse degli stessi; le azioni dei creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi.
Tele impostazione normativa stabilisce il principio della c.d.
«doppia separazione patrimoniale», introdotto nel nostro sistema positivo, dall’art. 17 della l. 2 gennaio 1991, n. 2, e definitivamente regolamentato nel t.u. d.lg. 24 febbraio 1998, n. 58, in cui si individua un patrimonio proprio della società da quello gestito per conto e nell’interesse dei clienti e all’interno di quest’ultimo, la separazione dei beni e valori e, quindi dei patrimoni, riferibili ai singoli clienti.
La società di gestione del risparmio, pur dovendo osservare le norme di legge e regolamentari in materia di criteri e vincoli relativi all’attività gestoria, esercita un potere di decisione autonomo e discrezionale in ordine agli investimenti e ai disinvestimenti delle risorse e dei valori mobiliari .
Alla luce di tale regime, i sottoscrittori delle quote di partecipazione al fondo comune di investimento sopportano il rischio della gestione non disponendo di alcun potere gestorio sul patrimonio investito .
Difatti, solamente la società di gestione è competente a compiere ogni atto, anche dispositivo, utile per la valorizzazione del fondo o del patrimonio sociale. Ciò in quanto chi investe in una gestione collettiva, sia al momento in cui sottoscrive certificati di partecipazione al fondo, sia successivamente alla suddetta sottoscrizione, non ha alcun diritto di intervento sull’attività gestoria nonché alcuna facoltà di impartire istruzioni specifiche relative al patrimonio investito.
Pertanto, il partecipante al fondo comune dovrà ritenersi titolare del solo diritto della distribuzione dei proventi di periodo, atteso il diritto di poter chiedere in qualsiasi tempo il rimborso delle quote sulla base del valore del momento.
Ciò posto, chi investe in una gestione collettiva non potrà vantare alcun diritto sui beni oggetto della gestione, poiché il disinvestimento risulta regolato con riferimento a un saldo liquidabile tramite pagamento di una somma di denaro.
Tale argomento in ordine alla natura della gestione è stato fortemente dibattuto in dottrina fino ad arrivare all’accoglimento di un orientamento volto a disconoscere valore in sé ai singoli a cespiti ed a riconoscerne invece l’idoneità alla produttività del reddito e almeno al
mantenimento del reale valore dell’investimento59 sintomo, peraltro, di un’amministrazione dinamica e produttiva del fondo.
Ulteriore questione dibattuta è stata quella relativa al problema della titolarità del fondo.
Ciò per la difficoltà di conciliare opposte esigenze, rappresentate, da una parte, dalla necessità di assicurare alla società di gestione la piena autonomia e un incisivo potere di disposizione sui beni che costituiscono il patrimonio del fondo, e dall’altra, dall’esigenza di indirizzare l’attività al perseguimento e al soddisfacimento dell’interesse dei partecipanti e attribuire loro i risultati economici della gestione60.
Il ricorso all’istituto del Trust, noto negli ordinamenti di common law, ha consentito di poter contemperare le suddette diverse esigenze, realizzando la coesistenza, su un unico patrimonio, di un
59 LENER A., Costituzione e gestione dei fondi comuni, in Foro italiano, 1985, V, pag. 201; GADO, «Le clausole sulla gestione nei regolamenti dei fondi comuni», in Riv. soc., 1990, 1418, pag. 26; COSTI, Autonomia e responsabilità delle società di gestione, in Dir. ed econ., 1988, pag. 224; FERRO XXXXX, I contratti associativi, Milano, 1976, pag. 188; D’XXXXXXXXXX, L’attività di sollecitazione del pubblico risparmio, Sistema finanziario e controlli: dall’impresa al mercato, Milano, 1986, pag. 98; XXXXXXXXXX, I contratti di intermediazione mobiliare, Milano, 1992, pag. 30; XXXXXXXXX, Il controllo sui fondi comuni: intermediazione nel credito e tutela del risparmiatore, in Banca, borsa, tit. cred., 1985, I, pag. 255.
60 Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 11 maggio 1999, n. 608, in cui il Supremo Consesso rileva che la titolarità dei beni, facente parte dei fondi, spetta agli stessi fondi quali centri autonomi di interessi, in base ai peculiari caratteri a essi espressamente attribuiti dalle norme di legge (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), salve le necessarie annotazioni riguardanti il vincolo gestorio esistente, anch’esso fissato in modo espresso dalla normativa vigente in materia; secondo la richiamata pronuncia, «la sottoscrizione di quote dei fondi di investimento immobiliare, subordinata all’apporto dei beni immobili, è parte di un negozi bilaterale a prestazioni corrispettive, dalla quale derivano effetti traslativi in ordine alla titolarità dei beni destinati all’istituzione dei fondi immobiliari stessi».
ordine duplice di diritti di proprietà. Tale strumento, purtroppo, non trova effettiva e costante applicazione negli ordinamenti di civil law.
L’ ostacolo al ricorso al trust può rintracciarsi sostanzialmente, nel principio del numerus clausus dei diritti reali e dell’inammissibilità di due distinti diritti di proprietà sul medesimo complesso di beni61.
Analogamente, anche l’individuazione della natura giuridica stessa dei, risulta essere poco agevole. La difficoltà risiede nella circostanza per cui parallelamente agli stessi fondi comuni d’investimento (mobiliari o immobiliari) vengono gestiti a monte apporti economici provenienti da una pluralità di investitori, ciascuno dei quali risulta essere titolare di una quota di partecipazione.
Il legislatore, come si è riferito, non ha suggerito indicazioni specifiche al riguardo.
Fino ad ora la giurisprudenza non ha avuto modo di pronunciarsi estesamente sul punto.
Tuttavia, giova richiamare l’art. 1, comma 1, lett. j), TUF, che individua nel fondo un patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti, gestito in monte, e l’art. 36, comma 6, in base al quale ciascun fondo comune costituisce patrimonio autonomo distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società.
Alla luce della disciplina dettata dai suddetti articoli di legge I fondi comuni vengono annoverati (art. 1, comma 1, lett. da m a q; art. 36, comma 1) nella categoria degli organismi di investimento collettivo
61 Xxxxx figura del trust, ex plurimis, LUPOI M., Introduzione ai trusts, Milano, 1994, e, in particolare, sull’investiment trust, XXXXXXXX B., Holding e investimenti trust, Milano, 1958.
del risparmio, Oicr, e la loro istituzione e organizzazione rientra tra i compiti delle società autorizzate, le società di gestione del risparmio, SGR.
Tali società - che possono gestire il patrimonio dei fondi sia di propria istituzione che altrui -, possono assumere sia la veste di società promotrice del fondo - ovvero di società con compiti di promozione, istituzione e organizzazione del fondo, oltre che di amministrazione dei rapporti con i partecipanti -, sia la veste di gestore con compiti di gestione del patrimonio del fondo e che provvede agli investimenti relativi.
Ai sensi dell’art. 36, comma 6, TUF, sul patrimonio del fondo non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell’interesse della stessa, mentre ai creditori dei partecipanti è consentito rivalersi solo sulle quote di partecipazione dei rispettivi debitori.
I beni del fondo comune, sostanzialmente, di distinguono da quelli della società di gestione62.
La stessa società di gestione, infatti, non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti.
L’art. 36, comma 5, TUF, stabilisce, inoltre, che la società promotrice e il gestore assumono solidalmente verso i partecipanti al fondo gli obblighi e le responsabilità del mandatario.
62 FAZZUTTI, Profili della responsabilità per la gestione dei fondi comuni di investimento, in Quadrim., 1984; XXXXXXXX, XXXXX, Le gestioni mobiliari: profili giuridici, Tendenze e prospettive del risparmio gestito, a cura Xxxxx e Xx Xxxxxxxx, Bologna, 1998; PAGNONI, PIATTI, Gestione di patrimoni e tutela degli investimenti, Consob, Quaderni di Finanza, XIX, 1997.
E’ evidente l’interesse, perseguito dalla norma, di assicurare una tutela forte agli interessi degli investitori che partecipino al fondo, evitando loro il rischio di vedere intaccato il patrimonio del fondo da possibili azioni di terzi.
Ciò in quanto tale patrimonio non può assolvere contemporaneamente, la natura di strumento di garanzia a beneficio di creditori della società di gestione di altri soggetti estranei a quella destinazione.
La dottrina, nel tentativo di un’esatta individuazione giuridica della fattispecie, ha inizialmente ricondotto la figura del fondo a quella della comunione.
Tale ricostruzione, tuttavia, riconoscendo che i beni del fondo sarebbero appartenuti pro quota a ciascuno dei partecipanti, esula dallo scopo perseguito con la costituzione dello stesso fondo che è, peraltro, completamente differente da quello tradizionale della comunione.
In particolare, la suddetta divergenza si sostanzia nella circostanza per cui il rapporto che si instaura tra i comunisti ed i beni in comunione rispetto a quello sussistente tra i partecipanti e i valori di cui il fondo è composto, ed in quanto i poteri esercitabili dai soggetti sui beni ed il tipo di utilità che si intende ricavarne63 sono diversi.
63 Cfr. Cass. 14 luglio 2003, n. 10990, in cui la Corte ha affermato che «la partecipazione a un fondo comune di investimento, in mancanza di un certificato individuale, autonomo e separato, costituisce un credito e non un titolo di credito nei confronti del fondo stesso, giacché il certificato cumulativo non incorpora il diritto alla prestazione, né può circolare limitatamente a uno dei soggetti partecipanti al fondo, e l’investitore acquisisce soltanto un diritto di credito, rappresentato dall’obbligo della società di investimento di gestire il fondo e di restituirgli il valore delle quote di partecipazione. Pertanto, deve ritenersi legittimo il pegno costituito sulla quota di partecipazione al fondo secondo la disciplina prevista per il pegno di crediti dall’art. 2800 del codice civile. I partecipanti al fondo hanno veste di creditori nei confronti della società di gestione , conseguentemente deve escludersi la loro qualifica di comproprietari dei beni del fondo».
In precedenza, era stata avanzata anche la tesi secondo cui il fondo comune di investimento avesse una propria soggettività distinta sia da quella dei partecipanti, sia da quella della società di gestione che lo ha istituito, ma a tale configurazione ostava allora e osta tuttora un’espressa previsione normativa64.
È vero, infatti, che, anche in assenza del formale riconoscimento di personalità, un ente può essere considerato centro di imputazione di rapporti giuridici e titolare di obblighi e diritti, anche sul piano processuale , si pensi, per esempio, alle associazioni non riconosciute ed alle società di persone, pur tuttavia è da ritenere comunque necessario l’espresso dettato normativo.
Nel nostro ordinamento giuridico sussistono una molteplicità di figure giuridiche in cui una parte del patrimonio di un soggetto rimane vincolato a un determinato scopo e, in virtù di ciò, resta sottratta al regime della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.
Le attività, negoziali o processuali, compiute in nome del titolare perseguono l’interesse del patrimonio separato e producono effetti che si producono direttamente sul patrimonio separato.
In tale contesto la Corte di Cassazione, nella sentenza 15 luglio 2010, n. 16605, colloca i fondi comuni di investimento.
I giudici di legittimità, nella pronuncia indicata, con riferimento alle espressioni di Autonomia e separazione, ritengono che, poiché per “autonomia” si intende il potere di un soggetto di autodeterminare le proprie scelte e i criteri della propria azione, ne deriva come i fondi comuni siano privi, se non integralmente di detta autonomia.
In particolare ciò che ostacolerebbe la configurazione del fondo comune quale autonomo soggetto di diritto è, secondo i giudici di
64 Cfr. Cons. Stato parere n. 108/1999.
legittimità, l’assenza di una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna, quale per esempio si riscontra nelle associazioni o nelle società di persone, come pure nei fondi speciali di previdenza e di assistenza costituiti a norma dell’art. 2117 cod. civ.
Difatti, il fondo non è in possesso di quegli strumenti che consentano allo stesso di porsi direttamente in relazione con i terzi. Di qui la necessità di richiedere l’intervento della società di gestione.
Nel nostro ordinamento giuridico per ragioni di praticità ed opportunità , il fondo viene considerato alla stregua di un patrimonio separato, attesa la circostanza per cui non è ammissibile l’esistenza di non di un patrimonio privo di titolare.
La separazione dei patrimoni, infatti, assicurerebbe ampia tutela ai partecipanti al fondo, i quali sono i proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, mentre la titolarità formale dei beni rimane in capo alla società di gestione che lo ha istituito.
E’ evidente l’intento del legislatore di individuare una forma di autonomia del patrimonio del fondo comune al fine di assicurare la tutela preminente degli interessi degli investitori che partecipano al fondo.
L’effetto che ne deriva è quello di esporre ad azioni legali esterne da parte di terzi il patrimonio del fondo.
Ciò in quanto il patrimonio conferito in gestione dai singoli clienti costituisce patrimonio distinto, sia da quello della società intermediaria, sia dal patrimonio degli altri clienti.
Su questi patrimoni non è ammessa l’azione dei creditori della società di intermediazione, laddove, peraltro, è ammessa, l’azione del creditore particolare del singolo cliente.
Si tratta, infatti, della separazione del patrimonio proprio della società da quello da essa gestito per conto e nell’interesse dei clienti, ed all’interno di quest’ultimo, si fonda la reciproca separazione dei beni e valori costituenti i singoli patrimoni riferibili individualmente a ciascun cliente.
Con riferimento all’attività di gestione di patrimoni mediante operazioni aventi ad oggetto valori mobiliari, la normativa in materia stabiliva espressamente che sia tali valori, sia le somme oggetto della gestione dovessero essere depositati in conti presso la stessa SIM cui era fatto obbligo di predisporre «conti individuali a nome dei singoli clienti», tali da consentire in qualsiasi momento l’individuazione dei «beni di loro proprietà».
Quanto esposto è stato foriero di un intenso dibattito in ordine all’esatta configurazione giuridica dei rapporti e dei diritti relativi ai beni mobili ed al denaro gestiti dall’intermediario per conto dei clienti65.
La ratio a fondamento della doppia separazione patrimoniale trova fondamento nell’obiettivo del Legislatore di garantire in maniera più efficace la posizione degli investitori, con la sottrazione dei beni conferiti nel fondo da azioni espropriative del patrimonio del gestore.
I Punti cardine di tale separazione si rilevano nella circostanza per cui la suddetta doppia separazione patrimoniale garantisce in modo più efficace la tutela degli investitori, (purchè il prescritto regime di separazione dei patrimoni sia stato effettivamente rispettato66) sottraendo alla liquidazione concorsuale i beni dai quali i patrimoni
1475).
65 Cfr. Cass., sez. I, 11 marzo 2005, n. 5383, GI, 2006, 1, 55; GC, 2005, f, 1, I,
66 Cfr. Cass., sez. I, 11 marzo 2005, n. 5383, GI, 2006, 1, 55; G
C, 2005, f, 1, I, 1475
separati dei clienti sono costituiti e consentendone l’immediato e completo recupero da parte dei rispettivi titolari.
Sul rispetto di tale regime opera il controllo innestato dal sistema di vigilanza cui gli intermediari autorizzati sono sottoposti .
Può accadere, infatti, che l’intermediario abbia confuso il proprio patrimonio con quello gestito per conto del cliente, non realizzandosi in tal modo alcuna separazione di patrimoni tra gestore- intermediario e conferente.
In tale ipotesi, essendo stati confusi i patrimoni dei singoli clienti- conferenti, così da non potersi distinguere i beni o valori monetari specificamente appartenenti all’uno o all’altro di essi, il patrimonio indiviso viene esposto alle concorrenti pretese creditorie ogni volta che il patrimonio si rivelasse insufficiente a consentire la restituzione a tutti gli aventi diritto.
Ne deriva come i clienti, distinti dai creditori dell’intermediario, e perciò, concorreranno con detti creditori per l’intero qualora non sia stata rispettata la separazione del loro patrimonio da quello dell’intermediario, e verranno iscritti in una sezione separata dello stato passivo67.
67 Cfr. Cass., sez. I, 11 marzo 2005, n. 5383, GCM, 2005, 3; GC, 2005, f, 1, I, 1475;
GI, 2006, 1, 55.
PARTE SECONDA
GLI ATTI DI DESTINAZIONE DISCIPLINATI DALL’ART. 2645-ter
C.C. CAPITOLO PRIMO
GLI ATTI DI DESTINAZIONE EX ART. 2645 TER
SOMMARIO: 1. Negozio fiduciario, trust e atto di destinazione. 2. Il problema della meritevolezza degli interessi dell’atto di destinazione di beni ad uno scopo previsto dall’art. 2645-ter c.c. 3. L’attuazione della destinazione.
1. Negozio fiduciario, trust e atto di destinazione.
L’unitarietà del patrimonio68, intesa quale fusione organica tra soggetto e patrimonio costituisce un concetto ormai oscurato, all’esito di una lunga evoluzione storica, dalla diffusione del fenomeno della pluralità di patrimoni riconducibili ad un unico soggetto.
Tale fenomeno può trovare terreno fertile secondo una duplice direzione: sia con la creazione di un autonomo soggetto di diritto, che diviene titolare del patrimonio destinato, sia con l’articolazione di un patrimonio in più masse separate, la cui titolarità spetta sempre ad un medesimo soggetto.
68 Le fasi che hanno condotto all’emersione dei patrimoni separati sono state oggetto d’approfondita analisi in BIANCA M., Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 97 ss. v. anche XXXXXXXXXX A., Xxxxx note a proposito di
«soggetto giuridico» e di «patrimoni separati», in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 1253 ss.
Queste due tecniche evidenziate, della personalità giuridica o dell’articolazione del patrimonio, con riferimento al profilo della garanzia patrimoniale non possono considerarsi nè equivalenti né alternative.
La peculiarità del fenomeno dei patrimoni destinati si rintraccia nel dato per cui i medesimi patrimoni separati attivano un meccanismo che rende insensibile la massa di beni rispetto al residuo patrimonio appartenente ad uno stesso soggetto. Ciò renderebbe incompatibile tale fenomeno con il principio della illimitata responsabilità patrimoniale del debitore, sancito nell’art. 2740 c.c., che riserva alla legge il potere di dar vita a forme di separazione patrimoniale.
Il negozio fiduciario e l’atto di destinazione, quali strumenti di articolazione del patrimonio, hanno trovato applicazione nel sistema giuridico italiano.
Il primo, di tradizione romanistica, è stato coniato dalla dottrina e non ha mai trovato fondamento positivo, ma solo ampio riconoscimento giurisprudenziale69.
Nello specifico, il negozio fiduciario è un accordo a mezzo del quale cui una parte (fiduciante) trasferisce la proprietà di un bene alla controparte (fiduciario) con il vincolo a farne un determinato uso, oppure a trasferirlo, in un futuro, al fiduciante stesso o a un terzo.
Di qui la sensibile differenza con il modello anglosassone del trust, a ponderare che fra i beni fiduciati ed il restante patrimonio del
69 Cfr. Cass., 10 maggio 2010, n. 11314, in Xxxxxxxxx, 2010, p. 989 ss.; Cass., 2 aprile 2009, n. 8024, in Foro it., 2010, I, c. 551 ss.
fiduciario difetta ogni forma di separazione patrimoniale70. Inoltre, un’ulteriore differenza si rintraccia con riferimento agli effetti.
Difatti, secondo la tradizione romanistica, recepita dall’ordinamento italiano, il negozio fiduciario ha effetti solo obbligatori e, come tale, pertanto, non sarà opponibile a terzi, e nell’ipotesi in cui il fiduciario slealmente abbia alienato, il fiduciante non potrà più recuperare il bene.
Al contrario, secondo la tradizione germanistica, recepita dall’ordinamento anglosassone, invece, il negozio fiduciario ha effetti reali, garantendo maggiormente la figura del fiduciante.
Non potrà sfuggire all’accorto lettore la «debolezza» del modello italiano di negozio fiduciario, in quanto la destinazione ad uno scopo si
70 Per la dottrina italiana risulta difficile ammettere, in deroga al principio del numerus clausus dei diritti reali, una proprietà meramente fiduciaria intesa come proprietà funzionalizzata che dovrebbe coesistere con una proprietà di diritto comune sul medesimo bene, giungendo così ad un dualismo di situazioni dominicali, incompatibile con il principio di unità del dominio. Se per PUGLIATTI S., Fiducia e rappresentanza indiretta, in Id., Diritto civile. Metodo. Teoria. Pratica. Xxxxx, Milano, 1951, p. 272 ss., inammissibile sarebbe tanto la proprietà fiduciaria quanto il negozio che le dà vita, poiché il concorso dell’effetto reale ed obbligatorio in un unico negozio produce l’acquisto di una proprietà atipica, in violazione del principio di tipicità dei diritti reali, a conclusioni opposte perviene chi, reputando prevalente il profilo giuridico su quello economico e dunque l’elemento reale su quello obbligatorio (X. Xxxxxxx Xxxxxxx, I negozi fiduciari, Padova, 1933, p. 29), ritiene che la proprietà fiduciaria sia piena e irrevocabile, giacché l’obbligo del fiduciario non incide sull’essenza della situazione giuridica, non potendosi ammettere nell’ordinamento forme atipiche di dominio. L’attribuzione al fiduciario di un diritto pieno e illimitato dal punto di vista reale, e dunque la prevalenza dell’elemento reale su quello obbligatorio, conduce ad affermare che la categoria del negozio fiduciario sarebbe caratterizzata da una eccedenza del mezzo rispetto allo scopo (per tutti, ancora, CARIOTA FERRARA L., op. cit., p. 25). Diversamente, si sottolinea come non si possa parlare di sproporzione fra mezzo e scopo, giacché l’effetto reale è indispensabile per il conseguimento dello scopo prefissato, rispondendo proprio all’intento economico delle parti (GRASSETTI C., Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico, in Riv. dir. comm., 1936, I, p. 345 ss., spec. pp. 348 e 355).
attua attraverso un rapporto fiduciario privo di un rilievo reale71, differentemente, come sopra specificato, dal trust.
Negli ordinamenti fondati sul common law è ammessa la libera, lecita frazionabilità della proprietà72, in quanto, differentemente dal nostro ordinamento non esiste il numerus clausus dei diritti reali e quindi la necessità di tipicizzare i diritti reali.
Pertanto attraverso il trust potrà operarsi il trasferimento dei beni oggetto del trust dal settlor al trustee al quale è riconosciuta, però, una proprietà solo fiduciaria, atteso l’effetto di segregazione patrimoniale.
Difatti, i beni, di cui risulta intestatario il trustee, costituiscono, una massa distinta e separata dal restante patrimonio del medesimo (c.d. segregazione dei beni del trust).
L’altro modello accolto dall’ordinamento italiano è quello dell’atto di destinazione, figura che trae di origine dalle elaborazioni della teoria pandettistica dei patrimoni destinati ad uno scopo73.
71 In tal senso, X. XXXXXX, Trustee e figure affini nel diritto italiano, in Riv. Not., 2009, I, p. 557 ss., spec. p. 565.
72 Sul tema della frazionabilità della proprietà nel diritto anglosassone x. XXXXXX F.H. e XXXXXX B., The law of Property 3, Xxxxxx, 0000, p. 16 ss., nonchè XXXXXX B., Economic Theory vs. Property Law: The numerus Clausus Problem, in Oxford Essays on Jurisprudence3, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxx, Oxford, 1987, p. 244 ss.
73 Come già evidenziato nella Prima parte del presente lavoro, per l’elaborazione della categoria del «patrimonio ad uno scopo» (Zweckvermögen) x. XXXXX A., Lehrbuch der Pandekten, Band I, Erlangen, 1884, § 59, p. 222. All’origine della teoria è dato rinvenire la necessità di astrarre il regime giuridico dei beni dalle regole della titolarità e appartenenza all’interno di sistemi che non avevano altri soggetti di diritto se non le persone fisiche. Il distacco dalle precedenti teorie avviene solo quando, risolto il problema della concettualizzazione della persona giuridica, si giunge a elaborare il patrimonio destinato ad uno scopo come articolazione del patrimonio riconducibile ad uno stesso soggetto. In Italia, in un primo momento, la categoria dei patrimoni separati ha carattere meramente descrittivo, mancando al livello normativo gli elementi necessari per fondarla, sul punto v. FERRARA F.,
L’atto di destinazione, differentemente dal modello anglosassone del trust74, non è tipicamente un atto ad efficacia traslativa. Al contrario il compimento di un atto di destinazione produce la separazione della massa destinata ad uno scopo dal restante patrimonio, che rimane tuttavia in capo allo stesso destinante.
Tale modello è previsto dal legislatore italiano, sia con riferimento a destinazioni tipiche (il fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167 e ss. c.c., i patrimoni destinati ad uno specifico affare delle società per azioni, previsti dall’art. 2447-bis e ss. c.c.), sia come figura di portata generale nell’art. 2645-ter c.c.
Quest’ultima norma contempla un atto (negoziale) diretto alla costituzione temporanea di un vincolo di destinazione che congloba uno o più beni e soprattutto, differentemente dal negozio fiduciario, opponibile a terzi tramite trascrizione.
La meritevolezza degli interessi perseguiti costituisce l’unico limite applicabile a tale fattispecie.
Alla luce dei rilievi mossi sarà possibile individuare come atto di destinazione e trust siano modelli profondamente differenti.
Trattato di diritto civile italiano, I, Dottrine generali. Parte I, Il diritto - I soggetti - Le cose, Roma, 1921, p. 865 ss.; PINO A., Il patrimonio separato, Padova, 1959, p. 19 ss.
74 Il tratto del trasferimento della proprietà dal settlor al trustee sembra confermato dalla Convenzione de L’Aja, sebbene i riferimenti in essa contenuti non offrano indicazioni sicure e univoche. La definizione di trust, secondo il testo dell’art. 2, è assai generica e atta a ricomprendere tutte quelle ipotesi in cui i beni siano posti sotto il controllo di un trustee, sia attraverso un trasferimento, sia tramite una semplice intestazione.
Difatti, l’atto di destinazione è finalizzato alla organizzazione del patrimonio di un soggetto, mentre il negozio fiduciario genera una forma di appartenenza dei beni 75di stampo fiduciario.
Tuttavia, comune denominatore di entrambi gli istituti, da un punto di vista funzionale, è quello di essere ambedue strumenti in deroga al regime della responsabilità patrimoniale.
Ciò posto, non potrà destare stupore come la discussione circa la ammissibilità del trust c.d. interno in Italia abbia preso le mosse proprio dalle limitazioni, nel nostro ordinamento, previste in tema di autonoma e libera istituzione dei patrimoni separati76.
Al riguardo, l’intervento in ratifica del legislatore italiano con la legge 16 ottobre 1989, n. 364, della Convenzione de L’Aja del 1º luglio 1985 sulla «legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento», non può avere alcun apporto positivo nel seno dell’ammissibilità, attesa la natura internazional-privatistica della Convenzione e della relativa legge nazionale di ratifica77.
75 Sul punto x. XXXXX X., Il patrimonio finalizzato, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x.
000 ss., p. 511.
76 Il principale, anche se non unico, ostacolo all’ammissibilità del c.d. trust interno nell’ordinamento italiano è stato ravvisato, infatti, nell’esistenza di un limite generale, posto dalla legge al privato, nel secondo comma dell’art. 2740 c.c., a istituire liberamente e autonomamente patrimoni separati. Sul tema cfr. XXXXXXXXXXX P., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, in AA.VV., Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, Milano, 2002, p. 183; GAZZONI F., Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista «non vivente» su trust e trascrizione), in Xxx. Xxx., 0000, X,
x. 00 xx., x. 00; contra, XXXXX M., Xxxxxxx gestori e dominicali, segregazione: «trust» e istituti civilistici, in Foro it., 1998, I, c. 3391, ad avviso del quale il limite posto dall’art. 2740 c.c. non riguarderebbe il trust, là dove il profilo della gestione dei beni sarebbe prevalente su quello del trasferimento di proprietà al trustee.
77 La legge di ratifica non ha introdotto l’istituto nel nostro ordinamento, né ha modificato il diritto interno, attesa la funzione di diritto internazionale privato della Convenzione, volta a risolvere conflitti di leggi e a individuare il diritto applicabile per la loro soluzione. Sul punto, x. XXXXXXXX P., Notazioni a chiusura di un
Difatti, le c.d. norme di salvaguardia, contenute nella Convenzione, sono preordinate ad impedire l’elusione di norme inderogabili in determinate materie (art. 15 Conv.) ovvero un contrasto con l’ordine pubblico (art. 18 Conv.)78, pertanto, non consentono il riconoscimento del trust negli ordinamenti estranei al common law.
Con riferimento specifico al nostro ordinamento, quanto sopra specificato consente di poter giungere alla conclusione per cui il modello del trust sia incompatibile con i principi del nostro ordinamento.
Tale incompatibilità si sostanzierebbe sui limiti, vigenti nel nostro ordinamento, relativamente all’autonoma e alla libera istituzione di forme di patrimoni separati79, nonché sul dato del numerus clausus dei diritti reali, tassativamente indicati dalla disciplina codicistica80 mentre rispetto alle operazioni negoziali aventi ad oggetto immobili il limite si riscontrerebbe sulla necessaria tipicità degli atti soggetti a trascrizione81 ex art. 2643 c.c.
seminario sul trust, in Eur. dir. priv., 1998, p. 456; XXXXXXXXXX C., Il trust e
«sostiene Lupoi», ivi., 1998, p. 441 ss.
78 Per un quadro di sintesi dell’intera problematica e per una soluzione affermativa circa il riconoscimento, in base alla Convenzione, del trust c.d. interno, x. XXXXX X., I trusts nel diritto civile, 2, Diritti reali, in Tratt. dir. civ. Xxxxx, Torino, 2004, p. 263 ss.
79 Sul punto, cfr. gli scritti di XXXXXXXX P., op. loc. cit. e XXXXXXX A., Un argomento a due gobbe in tema di trascrizione del trustee in base alla Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 919.
80 GAZZONI F., op. cit., p. 15 ss.
81 Il carattere tassativo e di ordine pubblico delle norme sulla pubblicità porta ad escludere, infatti, la trascrivibilità del trust in assenza di apposita previsione. Il principio di tipicità degli effetti su cui si fonda il sistema della trascrizione (v., per tutti, GAZZONI F., La trascrizione immobiliare2, I, in Cod. civ. Comm. Xxxxxxxxxxx, Milano, 1998, p. 589 ss.) conduce, peraltro, a non ammettere la trascrizione del trust immobiliare in base al disposto dell’art. 2643, n. 1, c.c. — che si riferisce ai contratti che
Ad ogni modo, nonostante la sussistenza delle suddette limitazioni, il trust ha trovato, nell’ordinamento giuridico italiano, ampio riconoscimento nella prassi.
Ciò, tuttavia, ha richiesto il riferimento, nell’atto costitutivo, ad una legge straniera che lo preveda espressamente 82.
Con riferimento all’accoglimento giurisprudenziale dell’istituto del trust interno giova precisare come manchino pronunce giurisprudenziali di legittimità che diano riconoscimento a tale modello83.
trasferiscono la proprietà dei beni immobili —, in ragione della diversità della proprietà del trustee da quella del normale acquirente o del fiduciario e della separazione del bene costituito in trust dal restante patrimonio del trustee (sul punto XXXXXXXXXXX P., op. cit., p. 184; XXXXXXX F., Tentativo dell’impossibile, cit., p. 17). Sulla trascrivibilità del trust cfr. invece XXXXXXX A., Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000. Maggioritaria la giurisprudenza di merito che, adita in sede di reclamo, ha imposto ai conservatori dei registri immobiliari di trascrivere i trust immobiliari in base all’art. 2643, n. 1, c.c. (Trib. Bologna, 18 aprile 2000, in Trusts, 2000, p. 372 ss.) o in analogia con il vincolo che nasce dal fondo patrimoniale (Trib. Milano, 29 ottobre 2002, ivi, 2002, p. 355 ss.; ma, per la critica a tale assimilazione, x. XXXXXXX F., Il cammello, la cruna dell’ago e la trascrizione del trust, in Rass. dir. civ., 2003, p. 953 ss. p. 957). In senso contrario alla trascrivibilità del trust, seppur minoritari, Trib. Belluno, decr. 25 settembre 2002, ivi, 2003, p. 255 ss.; App. Napoli, 27 maggio 2004, in Trusts, 2004, p.
570 ss.
82 Sulla problematica concernente l’obbligo di conoscenza da parte del notaio della legge straniera, i termini del rinvio alla stessa nell’atto notarile, nonché i profili di responsabilità connessi x. XXXXXXXXX C., Il trust nella prospettiva notarile, in Riv. dir. priv., 2008, p. 213 ss.
83 Non possono considerarsi tali, infatti, né la decisione di Xxxx., 13 giugno 2008, n. 16022, in Trusts, 2008, p. 522 ss., riguardante un trust istituito in Inghilterra, da due cittadini italiani, in sede di separazione consensuale, né la recente sentenza della Cassazione penale che ha ammesso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni del trust istituito con evidenti finalità elusive delle ragioni creditorie di terzi (Cass. pen., 30 marzo 2011, n. 13276, in Xxx. xxxx. xxxx., 0000, 0, x. 000 xx.). Per un panorama della giurisprudenza in materia di trust x. XXXXXXXXX A., La giurisprudenza italiana sui trust interni, in Trusts, 2007, p. 10 ss., nonché, per
2. Il problema della meritevolezza degli interessi dell’atto di destinazione di beni ad uno scopo previsto dall’art. 2645-ter c.c.
L’art. 2645-ter c.c. consente di compiere «atti in forma pubblica con cui beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela».
La norma, inoltre, prevede che i beni destinati e i loro frutti debbano trovare impiego esclusivamente con riferimento allo scopo per cui vengono posti in essere ma soprattutto tali beni possono essere aggrediti dai creditori se non per il soddisfacimento dei debiti contratti per la realizzazione di quella stessa finalità.
L’art. 2645 ter c.c. è inserito nel Libro sesto, Titolo primo, Capo primo, in materia di trascrizione, ha portata innovativa in quanto inserisce nel panorama normativo italiano la trascrivibilità degli atti di destinazione relativi a beni immobili e beni mobili registrati, ai fini della opponibilità a terzi del vincolo di destinazione.
La collocazione della suddetta norma nel Libro sesto del Codice civile dedicato alla tutela dei diritti è, però, in contrasto con la sua portata reale e ciò per la scelta del legislatore di fondere la disciplina sostanziale con le regole sulla pubblicità.
un’ampia e aggiornata rassegna delle sentenze di merito, relative all’utilizzazione del trust e del negozio di destinazione ex art. 2645 ter c.c. nell’ambito del diritto di famiglia e delle persone, v. X. XXXXXXX, Trust e atto di destinazione nel diritto di famiglia e delle persone, Milano, 2011, p. 441 ss.
Il prodotto di tale fusione fa si che parallelamente all’individuazione normativa dei requisiti in presenza dei quali gli atti di destinazione sono trascrivibili, la fattispecie dell’atto di destinazione venga in realtà tipizzata84.
Tuttavia l’intento del legislatore di tipizzare l’istituto degli atti di destinazione ha investito per lo più il modello e non il contenuto, che non è chiaramente determinato in virtù del rinvio all’art. 1322 c.c.
La norma in esame, delinea, infatti, uno schema negoziale a causa generica, che sia rispondente ad un normo tipo ai fini della meritevolezza degli interessi concretamente perseguiti dal destinante.
Il quadro, quindi, che si presenta all’interprete italiano risulta allora complesso e articolato.
In conformità quindi, al dettato del secondo comma dell’art. 2740
c.c.85. si pone necessario un intervento normativo per la creazione di
84 In questo senso cfr., per tutti, GAZZONI F., Osservazioni sull’art. 2645 ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, p. 165 ss. Per un quadro articolato delle diverse posizioni interpretative v. X. Xxxxxx, Destinazione e vincoli di destinazione nel diritto privato, Padova, 2010, p. 149 ss.
85 Come più ampiamente argomentato nel secondo capitolo, parte prima del presente lavoro, il richiamo va alla normativa sui fondi comuni di investimento, mobiliari (L. 23 marzo 1983, n. 77) e immobiliari chiusi (L. 25 gennaio 1994, n. 86). La separazione patrimoniale si ritrova in sede di disciplina delle forme pensionistiche complementari (L. 8 agosto 1995, n. 355). L’impiego della cartolarizzazione, con la necessaria creazione di patrimoni separati (L. 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti), si è esteso anche al settore dei crediti di imposta e contributivi (L. 23 novembre 2001, n. 409) e del patrimonio immobiliare pubblico (L. 23 novembre 2001,
n. 410). Il profilo della separazione emerge anche nella disciplina sulla società a capitale pubblico per il finanziamento delle infrastrutture (art. 8, comma 4, D.L. 15 aprile 2002, n. 63, convertito dalla L. 15 giugno 2002, n. 112. Si tratta di fattispecie normative rispondenti a determinate esigenze socio-economiche, tipizzate dal legislatore e contenute in una legislazione speciale che opera in deroga ai principi dettati in materia dal codice civile, ma sempre nel rispetto del capoverso dell’art. 2740
c.c. Unica eccezione in tal senso, prima dell’entrata in vigore dell’art. 2645-ter c.c., poteva essere ravvisata nella disciplina codicistica dei patrimoni destinati ad uno
nuove figure di patrimonio separato attesa la proliferazione delle ipotesi tipiche di separazione del patrimonio che non ha avuto inciso sul principio di responsabilità patrimoniale.
La norma dell’art. 2645-ter c.c., tuttavia, ha una portata dirompente rispetto alle altre ipotesi normative di separazione patrimoniale, poichè codifica un meccanismo di separazione estraneo al disegno di tipizzazione ex lege della meritevolezza degli interessi perseguiti.
Tale meccanismo, infatti, consente al soggetto destinante di selezionare autonomamente un determinato assetto di interessi meritevole di tutela, eludendo la norma imperativa in tema di responsabilità patrimoniale.
Il fulcro del problema è, dunque, quello del rapporto fra autonomia privata e separazione patrimoniale e trova condizionamento nel rinvio alla norma generale dell’art. 1322 c.c. e l’indicazione esemplificativa dei possibili beneficiari degli atti di destinazione, disabili e pubblica amministrazione.
La suddetta problematica, tuttavia, troverebbe soluzione aderendo alla tesi secondo cui il rinvio all’art. 1322 c.c., e dunque ad un giudizio di meritevolezza, consente di riconoscere la liceità86 della
specifico affare delle società per azioni, in cui non c’è una tipizzazione dell’interesse dell’operazione economica, rilevando, quale elemento della fattispecie, solo la specificità dell’affare programmato (sul punto, cfr. X. Xxxxxxx, Autonomia e separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 545 ss.).
86 Per la coincidenza fra immeritevolezza e illiceità, nella vasta letteratura, v.
G.B. Xxxxx, Meritevolezza dell’interesse ed utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, p. 87 ss.; X. XXXXXXXX, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 799 ss. In giurisprudenza, fra le più recenti, Cass., 6 febbraio 2004,
n. 2288, in Xxxxxxxxx, 2004, p. 801 ss. Nel senso, invece, di riconoscere piena autonomia al giudizio di meritevolezza rispetto a quello di liceità, X. Xxxxxxxxxx, I contratti. Parte
fattispecie, potendo, così, ritenere meritevole di tutela qualunque interesse lecito87.
Tale soluzione sembrerebbe non essere in contrasto con il riferimento della norma agli interessi dei disabili e pubbliche amministrazioni.
Dovendo Operare una corretta interpretazione dell’art. 2645-ter c.c., lo stesso processo ermeneutico dovrà dirigersi verso l’interesse dei creditori alla conservazione della garanzia patrimoniale.
Pertanto, prendendo le mosse dalla tesi secondo la quale la meritevolezza costituisce sinonimo di liceità, l’atto di destinazione
generale3, Torino, 2009, p. 209 s., ove si riferisce il giudizio alla futilità o inutilità dell’interesse perseguito; riconduce, invece, il giudizio alla conformità degli interessi ai principi di rango costituzionale e comunitario, X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo comunitario delle fonti3, Napoli, 2006, p. 346 ss. Il giudizio di meritevolezza accerta la volontà delle parti di giuridicizzare il contratto e attiene quindi ad una valutazione sul tipo e non sul profilo causale per X. XXXXXXX, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 62 ss. La situazione di incertezza in ordine alla definizione del concetto di interessi meriteveli di tutela è sottolineata nel recente saggio di X. XXXXXX, Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi, in Riv. dir. civ., 2011, I, p. 789 ss. Per una rassegna critica delle sentenze in materia di immeritevolezza cfr. L.M. Xxxxxxx, L’utilizzo giurisprudenziale del concetto di «meritevolezza», in Obbl. contr., 2006, p. 50 ss.
87 Nel senso che la meritevolezza dell’art. 2645 ter c.c. coincida con la liceità, tra gli altri, G. PALERMO, Configurazione dello scopo, opponibilità del vincolo, realizzazione dell’assetto di interessi, in M. BIANCA (a cura di), La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 74 ss.; X. XXXXXXX, La destinazione patrimoniale. Un contributo della categoria generale allo studio delle fattispecie, in Riv. dir. priv., 2010, p. 49 ss., spec. p. 66 ss., nella prospettiva di una equiparazione, sotto il profilo del controllo della meritevolezza, fra atti di destinazione comportanti separazione patrimoniali e atti di alienazione (per una critica a tale impostazione v. già X. Xxxxxx, La destinazione patrimoniale, Napoli, 2004, p. 337 e, con riferimento all’art. 2645 ter c.c., ORESTANO A., Atto di destinazione e interessi rilevanti, in X. Xxxxxx, XXXXXXX A., XXXXXXXXX S. e XXXXX A., Diritto privato. Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx, 3, Torino-Milano, 2009, p. 614 s.; XXXXXXXXXXXX B., Destinazione di beni ad uno scopo e rapporti gestori, Napoli, 2011, p. 86 ss.).
potrebbe trovare fondamento in qualunque interesse, di ordine patrimoniale e non, purché non contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume.
Tale impostazione avrebbe un effetto rivoluzionario l’art. 2645- ter c.c., perché darebbe origine ad un meccanismo generatore di uno schema aperto di separazione patrimoniale, in contrasto con il principio dell’art. 2740 c.c.88.
L’ esame completo dell’art. 2645 ter c.c., tuttavia, consente di operare la riflessione per cui il generico riferimento della norma ad altre persone o enti non possa annullare la menzione dei disabili e della pubblica amministrazione, a tal punto da riferire l’interesse meritevole di tutela a qualunque interesse lecito.
Al riguardo gli interventi parlamentari succedutisi, quali la Proposta di legge (XIV Legislatura) n. 3972 in tema di destinazione di beni in favore di soggetti portatori di gravi handicap per favorirne
88 Questo ragionamento è ora accolto da un recente provvedimento del Trib. Vicenza 31 marzo 2011, in Corr. giur., 2012, p. 397 ss., secondo il quale «gli interessi meritevoli di tutela richiamati dalla norma sono quelli attinenti alla “solidarietà sociale” e non gli interessi dei creditori di una società insolvente in quanto, diversamente opinando, si consentirebbe ad un atto di autonomia privata, per di più unilaterale, di incidere sul regime inderogabile della responsabilità patrimoniale (artt. 2740 e seguenti c.c.) al di fuori di espresse previsioni normative». Nel caso di specie, il Tribunale ha rigettato il piano di liquidazione concordataria con il quale una società, ammessa alla procedura di concordato preventivo, aveva imposto un vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. su un compendio immobiliare, per garantire ai creditori sociali il ricavato netto conseguito dalla cessione della nuda proprietà dei beni, con pregiudizio degli altri creditori. Nel senso dell’inammissibilità, e precisamente della nullità, ex art. 15, comma 1, lett. e) Conv. L’Aja, di un trust liquidatorio interno, in quanto volto all’elusione delle regole imperative dettate dal nostro ordinamento per la gestione dello stato di insolvenza, si veda Trib. Milano, 16 giugno 2009, in Corr. giur., 2010, p. 522 ss., nonché, Trib. Milano, 22 ottobre 2009, in Corr. mer., 2010, p. 388 ss.
l’autosufficienza, sottolineano l’incompatibilità della tesi esposta con la volontà del legislatore di perseguire scopi «eticamente forti»89.
Difatti, l’indicazione di «altre persone o enti» estende i margini operativi della meritevolezza a finalità più ampie di quelle riconducibili ai soli disabili e alla pubblica amministrazione.
Occorrerà, quindi, accertare in cosa consista il quid pluris. Sul punto, si sono sviluppate una pluralità di teorie.
Tra le più significative vi è la teoria della meritevolezza nella solidarietà sociale ricondotta alla nozione di pubblica utilità90 sostenuta da coloro che hanno inteso nell’espresso riferimento ai disabili «il paradigma di ogni finalità solidaristica e in quello alle pubbliche amministrazioni il paradigma di ogni interesse superindividuale»91.
Il parametro della solidarietà, però, è un criterio molto restrittivo che potrebbe dare vita ad una forma interpretativa di chiusura di una legge che vuole invece essere aperta all’esercizio responsabile dell’autonomia privata.
89 Eloquenti al riguardo la Proposta di legge (XIV Legislatura) n. 3972
«Disciplina della destinazione di beni in favore di soggetti portatori di gravi handicap per favorirne l’autosufficienza» e la Proposta di legge (Legislatura XIV) n. 5414
«Disposizioni in materia di destinazione di beni a favore di persone con gravi disabilità e di discendenti», che indicano, come possibili beneficiari del vincolo sui beni destinati, solo una ristretta categoria di soggetti.
90 GAZZONI F., Osservazioni sull’art. 2645 ter x.x., xxx., x. 000 xx.; nello stesso senso X. Xxxxx, Il patrimonio finalizzato, cit., p. 504.
91 Cfr. SPADA P., Articolazione del patrimonio da destinazione iscritta, in Aa.Vv., Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Milano, 2007, pp. 120 ss., 126, il quale richiama i fini di utilità sociale che emergono dall’art. 2, comma primo, del D.Lgs. n. 155/2006 quali l’assistenza sociale, quella sanitaria e socio-sanitaria, l’educazione, formazione e istruzione, la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la valorizzazione del patrimonio culturale, il turismo sociale, la formazione di grado elevato, i servizi culturali, la formazione extrascolastica.
Al contrario, il criterio di pubblica utilità sembrerebbe avere una portata meno restrittiva, sebbene sia stato accantonato dallo stesso legislatore.
Inquadrando l’intera vicenda in un contesto sistematico di più ampio respiro, i valori costituzionali sono stati individuati quali i referenti della meritevolezza92, riconoscendo «meritevolezza costituzionale» anche finalità al di fuori dei criteri di utilità sociale o pubblica utilità nonché finalità meramente individuali93.
La destinazione risulterebbe, dunque, meritevole di tutela nella misura in cui realizzi non solo un interesse collettivo, ma anche un interesse individuale di ordine non patrimoniale, purchè rispondente a valori della persona costituzionalmente garantiti.
Solo evidenziando la discontinuità fra meritevolezza e liceità, sarà possibile impedire non solo forme di limitazioni dell’autonomia
92 Cfr. XXXXXXXXX X., Vincoli di destinazione importanti separazione patrimoniale e pubblicità nei registri immobiliari, in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 321 ss., p.
332. Richiamano gli interessi costituzionali al fine di orientare la tipizzazione di finalità meritevoli di tutela coerenti con tali valori X. XXXXX, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in M. BIANCA (a cura di), La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 65 ss.; e analogamente XXXXXX X., Novità e continuità dell’atto negoziale di destinazione, in Ead., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 35, seppur in una più ampia prospettiva di individuazione di modelli di meritevolezza nelle norme già presenti nel sistema.
93 Sul punto XXXXXXXXXXXX B., Destinazione di beni ad uno scopo e rapporti gestori, cit., p. 92 ss. A titolo esemplificativo, basti pensare che ove si destini un immobile a sede gratuita di un partito politico si realizza un interesse (la libertà di associazione) meritevole di tutela costituzionale, ma al di fuori dei parametri di utilità sociale precedentemente elencati. A sua volta, il riferimento alle persone con disabilità, se riguardato nella prospettiva dei valori costituzionali, indicherebbe non un’unica ipotesi, bensì un insieme di casi in cui la destinazione è meritevole in quanto espressione del principio di solidarietà, e andrebbe interpretato, dunque, quale rinvio ad ogni situazione di debolezza o disagio in cui si trovi il beneficiario (disabile, emarginato, indigente), che esprima un interesse di natura non patrimoniale, riferibile ad un valore della persona costituzionalmente garantito.
privata94, m anche che la meritevolezza si risolva in valutazioni soggettive, avulse da precisi parametri ordinamentali di riferimento scongiurando, in caso di esito negativo del giudizio di meritevolezza, la nullità dell’atto95 e non semplicemente l’inopponibilità a terzi del vincolo destinatorio96.
La meritevolezza degli interessi perseguiti incide ai fini della distinzione tra atto di destinazione e trust interno, considerato ammissibile, purché, abbia una causa lecita97.
Ciò posto, rileva come l’orientamento giurisprudenziale di merito abbia attribuito all’art. 2645-ter c.c., l’individuazione di di requisiti necessari che si pongono quale limite all’ingresso incondizionato del trust98, nel nostro ordinamento, con particolare
94 Cfr. X. Xxxxxxx, Le destinazioni patrimoniali atipiche, cit., p. 17, secondo il quale la valutazione in chiave di meritevolezza che superi il limite della liceità rischia di legittimare giudizi di ordine etico e ideologico, risolvendosi così la nuova norma nell’affermazione «di un nuovo paternalismo, di uno spezzone di Stato etico».
95 In tal senso cfr. GAZZONI F., Osservazioni, cit., p. 173; nonché X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., p. 100 ss., ed ivi per una analisi delle conseguenze, sul piano operativo, riconducibili all’esito negativo di tale controllo.
96 La meritevolezza costituisce requisito di (trascrivibilità e) opponibilità del vincolo e non di validità del negozio di destinazione per X. Xxxxx, op. cit., p. 66.
97 In dottrina, propone un’applicazione trasversale del giudizio di meritevolezza ad ogni strumento che realizzi una destinazione con effetto di separazione patrimoniale e dunque anche al trust, facendo leva sulla disciplina della Convenzione, nonché sul più recente orientamento giurisprudenziale XXXXXX X., Trustee e figure affini nel diritto italiano, cit., p. 566. Diversamente X. Xxxxxxxxx, Xxxxx note sull’art. 2645 ter, in Contr. impr., 2006, p. 134 ss, il quale, sul presupposto di ammissibilità del trust, considera illogico che, mentre per la sua istituzione sia sufficiente la liceità della causa, la destinazione di beni ex art. 2645 ter c.c. venga sottoposta al giudizio di meritevolezza.
98 Trib. Trieste, 7 aprile 2006, in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 524 ss.
riguardo alle ipotesi di trust istituito con finalità esclusivamente egoistiche e patrimoniali99 .
La peculiarità dell’atto di destinazione previsto dall’art. 2645-ter
x.x. 000 xx xxxxxxxxxx xxx xxxxx della trascrizione, e quindi dell’opponibilità a terzi del vincolo di destinazione.
Ciò è il dato che distingue nettamente l’atto di destinazione dal trust interno, relativamente alla trascrivibilità dei trust immobiliari, in quanto manca di una norma che ne preveda la pubblicità.
Il difetto di una previsione normativa, nel nostro ordinamento, in tema di trascrivibilità del trust interno, fonda la propria ratio nella rigidità delle norme in materia pubblicitaria, e della tipicità degli effetti su cui si fonda il sistema della trascrizione.
Tale rigida impostazione non consente, quindi, di applicare l’art.
2645-ter c.c. al trust.
Ne consegue quale ulteriore differenza tra gli istituti in esame, sul piano delle tutele, che l’atto di destinazione, ex art. 2645 ter c.c.,
99 Trib. Trieste, Giud. tav., 19 settembre 2007, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 692 ss. Tuttavia, gli stessi giudici hanno ridimensionato il valore di tale affermazione, precisando come, anche in assenza di valori di rilevanza primaria o costituzionale, o in presenza di interessi esclusivamente egoistici e patrimoniali, non è detto si debba dare risposta negativa in termini generali ed astratti all’ammissibilità di un trust: «anche un trust attuato per la semplice ragione di protezione del proprio patrimonio, per fini non dichiaratamente illeciti, potrebbe meritare, quindi, l’apprezzamento, in forza della più volte ribadita presunzione di legittimità delle pattuizioni negoziali e ciò sempre che lo strumento negoziale consenta di perseguire ulteriori obiettivi non altrimenti raggiungibili con gli strumenti ordinari».
100 In proposito BIANCA C.M., Conclusioni, in XXXXXX X. (a cura di), La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, cit., p. 196 s.; tale conclusione accenna anche XXXXX X., op. cit., p. 515. Al contrario per X. Xxxxxxx, Configurazione dello scopo, cit., p. 86 l’introduzione della nuova norma renderebbe priva di senso la discussione sul trust interno, in considerazione dell’esistenza di una specifica disciplina di diritto interno che risulterebbe dall’art. 2645 ter c.c.
essendo trascrivibile, assicura una tutela forte al vincolo di destinazione e dunque ai creditori destinati.
La trascrizione del vincolo consente, infatti, di opporre ai creditori personali del conferente la separazione dei beni destinati dal restante patrimonio del destinante.
Pertanto, i creditori destinati, poiché la separazione patrimoniale opera solo a vantaggio di tale categoria di creditori, potranno rivalersi anche sui restanti beni del destinante, mentre i creditori personali di quest’ultimo non sono ammessi a soddisfarsi sui beni destinati101anche qualora
Abbiamo contratto un credito in data anteriore alla trascrizione dell’atto di destinazione, ma abbiano proceduto alla trascrizione del pignoramento successivamente alla trascrizione di quest’ultimo,
101 In mancanza di una diversa indicazione da parte dell’art. 2645 ter c.c., la cui formula si limita a stabilire che i beni destinati rispondono dei debiti contratti per lo scopo destinatorio, la riconduzione a una separazione unilaterale è prevalente tra gli autori: tra i molti, GAZZONI F., op. ult. cit., p. 181 ss.; QUADRI R., L’art. 2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contr. impr., 2007, p. 1720; X. Xxxx, Brevi note sulla trascrizione di atti di destinazione (art. 2645 ter c.c.), in Riv. dir. civ., 2007, I, p. 3 ss. L’art. 2645 ter c.c. non prevede, peraltro, nessun meccanismo di sussidiarietà e, in mancanza di tale previsione, si è ritenuto che i creditori destinati possano rivalersi liberamente e immediatamente sul restante patrimonio del destinante, privilegio, questo, loro accordato in ragione del favor del legislatore verso le destinazioni di pubblica utilità (GAZZONI F., Osservazioni, cit., p. 181 ss.). L’opinione contraria, secondo cui opererebbe, invece, un meccanismo di sussidiarietà, è autorevolmente sostenuta, fra gli altri, da chi individua l’esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di sussidiarietà, valevole in tutte le ipotesi in cui vi sia un patrimonio specificamente destinato al soddisfacimento delle pretese del creditore, e ricava l’esistenza di tale principio sia dalle regole in tema di società personali, che dagli artt. 2911 e 190 c.c. (OPPO G., op. cit., p. 3 ss.). In questa prospettiva si reputa irragionevole, peraltro, l’interpretazione che attribuisce ai creditori della destinazione il potere di aggredire direttamente il patrimonio generale del destinante, ponendosi in concorrenza con i creditori personali i quali già vedono diminuire la propria garanzia.
secondo il combinato disposto degli artt. 2645-ter c.c. e 2915, comma 1,
c.c.102 .
Dibattuta103 è, invece, la circostanza per cui l’opponibilità del vincolo, a seguito della trascrizione dell’atto di destinazione, assicuri al beneficiario una tutela più incisiva anche in caso di alienazione del bene destinato.
3. L’attuazione della destinazione.
I beni oggetto degli atti di destinazione previsti dall’art. 2645-ter c.c., pur essendo separati dal restante patrimonio del destinante, al fine di garantire la realizzazione dello scopo cui sono destinati, rimangono
102 Non può non sottolinearsi, al riguardo, la mancanza di una adeguata tutela per i creditori personali del conferente. La pubblicità assicurata dalla trascrizione dell’atto non solo non è funzionale ad una (non prevista) opposizione del creditore alla destinazione, come accade invece per i patrimoni endosocietari destinati ad uno specifico affare, ma rende, altresì, opponibile la separazione, oltre che ai creditori personali del conferente successivi alla destinazione, anche a quelli con credito di data certa anteriore all’atto costitutivo, ove abbiano trascritto il pignoramento in data successiva alla trascrizione del vincolo destinatorio. Unico strumento di tutela delle loro ragioni, in caso di incapienza del patrimonio residuo del conferente, rimane l’azione revocatoria (art. 2901 c.c.), caratterizzata, tuttavia, da un breve termine prescrizionale e da non indifferenti difficoltà probatorie. Su questi profili x. XXXXXXXXXXXX B., Destinazione di beni ad uno scopo e rapporti gestori, cit., p. 124 ss. Sui rimedi a tutela delle ragioni dei creditori del destinante si sofferma X. Xxxxxxx, Atti di destinazione del patrimonio e tutela del creditore nell’art. 2645 ter c.c., in XXXXX X. (a cura di), Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, cit., p. 89 ss., spec. p. 101 ss.
103 Xxxxx (ammissibilità della) circolazione dei beni del patrimonio destinato e, in particolare, sulla soluzione del problema del regime di opponibilità del vincolo di destinazione a terzi acquirenti, x. XXXXXXXXXXXX B., Destinazione di beni ad uno scopo e rapporti gestori, cit., p. 207 ss., ed ivi per le diverse impostazioni citate.
nella titolarità del conferente medesimo. Pertanto, la costituzione di un atto ex art. 2645 ter c.c. non comporta né il trasferimento dal costituente al beneficiario della massa di beni destinata, tantomeno, qualora realizzato lo scopo perseguito, l’attribuzione della diritto di proprietà o di altro diritto reale nella sfera giuridica del beneficiario.
La separazione patrimoniale, inoltre, produce determina l’espropriabilità dei beni vincolati solo per crediti sorti in funzione dello scopo medesimo.
Giova, inoltre, precisare come la circostanza per cui negozio di destinazione ex art. 2645-ter c.c. non comporti, di per sé, trasferimenti di diritti tra destinante e beneficiario, non preclude la circolazione del bene destinato.
Difatti, il vincolo di destinazione non è sinonimo di inalienabilità dei beni oggetto dell’atto di destinazione.
Il bene destinato, la cui titolarità, come sopra specificato, rimane in capo al conferente, può essere trasferito in qualunque momento ad un terzo, nei cui confronti, attesa la trascrizione del vincolo di destinazione, lo stesso sarà opponibile.
Il bene destinato, infatti, potrebbe essere trasferito fiduciariamente ad un terzo a scopi gestori.
Tipiche, al riguardo sono le ipotesi di destinazione d’uso quale, a titolo esemplificativo, la destinazione di un immobile a residenza di un anziano familiare indigente, ovvero ipotesi quali la cui attuazione richiede, invece, la destinazione di un’area a parco giochi per bambini disabili che richiede una attività organizzativa e gestoria che lo stesso destinante potrebbe non voler riservare a sé, ma affidare ad un terzo.
A tal riguardo l’art. 2645-ter c.c. si limita a dettare il modello della istituzione del vincolo, ma non quello della sua attuazione.
Nell’esigenza, quindi, di rintracciare una disciplina di riferimento e volgendo l’attenzione alle figure tradizionali di interposizione gestoria e di proprietà nell’interesse altrui, potrà essere adottata la regolamentazione in materia di mandato e il negozio fiduciario .
Nel mandato, differentemente dal negozio fiduciario, la gestione dell’attività non ha origine attraverso una investitura «reale» preventiva.
Il mandatario, infatti, nell’interesse altrui ma in nome proprio, non ha la titolarità dei beni che gestisce, salvo l’ipotesi del mandato con rappresentanza che comporta la contemplatio domini.
Con riferimento ad atti conservativi sul bene ed acquisizione delle utilità da devolvere al beneficiario quali le attività connesse alla destinazione patrimoniale, la mera amministrazione dei beni è compatibile con un contratto di mandato.
Al contrario, rispetto ad atti di alienazione nonché di acquisto, il mandato si dimostra strumento inadeguato.
Tuttavia, è discussa la legittimazione del mandatario a disporre in nome proprio di un diritto altrui e la trascrivibilità di un mandato ad alienare beni immobili .
Parallelamente, il negozio fiduciario, relativamente ad un’attività avente ad oggetto l’ amministrazione dei beni, attraverso atti di disposizione, si configura quale strumento giuridico senz’altro più efficace.
Alla luce dei rilevi che precedono, pertanto, potrà concludersi come la costituzione di un patrimonio ad uno scopo può dar seguito, anche nello stesso contesto documentale, ad un trasferimento di natura
-fiduciaria del bene destinato a favore di un terzo, il quale si obbliga, nei confronti del fiduciante-alienante, ad attuare lo scopo destinatorio .
Il fiduciario, per effetto del suddetto trasferimento diviene titolare dei beni destinati, quale patrimonio separato dal suo restante patrimonio.
Difatti, Il vincolo cui i beni sono preordinati, essendo trascritto sarà opponibile ai terzi, pertanto, saranno soggetti ad una limitazione di responsabilità per i soli debiti contratti per la realizzazione dello scopo destinatorio .
Ciò posto, sembrerebbe che nella stessa persona si possano fondere sia la titolarità dei beni destinati, separati dal restante patrimonio del fiduciario, sia l’obbligo di agire nell’interesse altrui.
Di qui l’accostamento, secondo parte della dottrina , con la figura del trustee. Tuttavia tale tesi è stata ampiamente confutata a ponderare che il fenomeno della separazione patrimoniale, cui dà vita l’atto istitutivo ex art. 2645 ter c.c. si pone in posizione di autonomia rispetto all’ eventuale trasferimento fiduciario al gestore.
Diversamente, il trust, si caratterizza per l’identità causale tra l’atto istitutivo del trust , c.d. declaration of trust e l’atto dispositivo. Peraltro, il trasferimento della massa destinata a favore del trustee costituisce l’elemento essenziale ai fini della costituzione dello stesso vincolo di destinazione, da cui discende l’effetto segregante.
Ciò detto, è possibile individuare ulteriori profili che sottolineano i tratti distintivi fra le due situazioni.
In primo luogo, la separazione dei beni destinati è differente dalla nozione di segregazione che si realizza nel trust.
In particolare, nel trust la gestione ed amministrazione dei beni spetta al trustee, il quale non diviene titolare del patrimonio amministrato, poiché si tratta di un patrimonio segregato.
La separazione tra patrimonio personale del trustee e patrimonio destinato che gli è stato trasferito ai fini di amministrazione e di gestione dello stesso è bilaterale e perfetta.
Ne consegue come il trustee risponderà delle obbligazioni contratte per l’attuazione del trust solo con i beni in esso costituiti.
Diversamente, nella destinazione dell’art. 2645-ter c.c. la separazione patrimoniale è imperfetta e unilaterale.
Pertanto, i beni del patrimonio personale del destinante o del fiduciario sono esposti alle azioni esecutive dei creditori per le obbligazioni inerenti alla destinazione .
Il negozio fiduciario, avente ad oggetto il trasferimento dei beni preordinati ad un determinato scopo ad un soggetto terzo, che agisca per l’attuazione dello scopo, presenterebbe profili problematici nell’ipotesi in cui le direttive del disponente non venissero eseguite, con particolare riguardo agli strumenti cui potrebbe avvalersi lo stesso disponente in tali casi.
La differenza rispetto alla disciplina del trust è, al riguardo, evidente.
Negli ordinamenti anglosassone, attraverso lo strumento giuridici del trust, il rapporto fiduciario trova ampia la tutela all’interno di un sistema giudiziario che trova fondamento nell’apparato dell’Equity .
Ciò posto, in caso in cui il trustee compia atti di illegittima disposizione dei beni del trust, il beneficiario potrà agevolmente rintracciare i beni distolti dallo scopo ben potendo riuscire a boicottare
l’acquisto del terzo acquirente, con il solo limite della buona fede e del titolo oneroso .
Nel sistema italiano, invece, mancano rimedi a carattere reale e recuperatorio come quelli sopra esposti, che consentano di dare rilevanza esterna al rapporto fiduciario .
Tuttavia, l’obbligo di gestire nell’interesse altrui e di ritrasferire rileva solo nei rapporti interni con il fiduciario, determinando solo una tutela risarcitoria e la coercibilità ex art. 2932 c.c.
Di qui il problema della c.d. patologia rimediale del negozio fiduciario, così ben descritta nella formula della «eccedenza del mezzo rispetto allo scopo» .
Difatti, il solo rimedio del risarcimento del danno per violazione del pactum fiduciae non consentirebbe di per sé di poter assicurare l’esecuzione dell’operazione fiduciaria, mentre l’azione ex art. 2932 c.c., quale esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre non riguarderebbe il caso in cui il fiduciario alieni i beni, in violazione del pactum fiduciae.
In tale contesto si inserisce anche l’ art. 2645-ter c.c ove si precisa che «per la realizzazione degli interessi possono agire il disponente e qualsiasi altro interessato».
Tale azione, tuttavia, pur consentendo di poter agire sia per il risarcimento del danno, coazione all’adempimento, esclude una tutela recuperatoria .
Ne consegue come, qualora il fiduciario-gestore abbia trasferito ad un soggetto terzo i beni oggetto del vincolo di destinazione in violazione del medesimo vincolo, l’originario destinante ed il beneficiario non potranno agire in via recuperato ria dei beni, difettando nel nostro ordinamento una tutela a carattere reale.
Ciò segna la marcata linea di differenza rispetto al trust.
5. Applicazioni giurisprudenziali dell’art. 2645 ter.
Le difficoltà incontrate dalla dottrina nel fornire un definizione univoca degli atti di destinazione ex art. 2645 ter sembra aver influenzato in modo determinante anche l’orientamento delle corti, di tal ché occorrerà una disamina del formante giurisprudenziale sul tema al fine di verificare gli ambiti oggettivi di presumibile maggiore applicazione dell’istituto nell’avvenire.
Una delle prime pronunce che contiene in riferimento all’art. 2645-ter c.c. è la sentenza del Tribunale di Trieste 7 aprile 2006 104 è stata però acutamente definita in dottrina una non-applicazione105.
Secondo tale arresto, la norma in parola viene a introdurre nell’ordinamento solo un particolare tipo di effetto negoziale, quello di destinazione (che per i beni immobili e mobili registrati postula il veicolo formale dell’atto pubblico), accessorio rispetto agli altri effetti di un negozio tipico o atipico cui può accompagnarsi.
Ad avviso del Tribunale di Trieste, con essa non si è voluto introdurre nell’ordinamento un nuovo tipo di atto a effetti reali, un atto innominato, che diventerebbe il varco per l’ingresso del tanto discusso
104 Trib. Trieste 7 aprile 2006 (in Riv. not., 2007, 367 ss., con nota di Xxxxxx, I profili di assolutezza del vincolo di destinazione. Uno spunto ricostruttivo delle situazioni giuridiche protette).
105 CINQUE, L’interprete e le sabbie mobili dell’art. 2645-ter c.c.: qualche riflessione a margine di una prima (non) applicazione giurisprudenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 526 ss.
negozio traslativo atipico, non costituisce la giustificazione legislativa di un nuovo negozio la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, in quanto non è dato rinvenire alcun indizio da cui desumere che sia stata coniata una nuova figura negoziale, di cui non si sa neanche se sia unilaterale o bilaterale, a titolo oneroso o gratuito, a effetti traslativi od obbligatori.
Le motivazioni della sentenza lambiscono i limiti dell’interpretatio abrogans, avendo negato ogni valore negoziale alla fattispecie degli atti di destinazione, qualificandola alla stregua di una mera norma sugli effetti106.
La dottrina non ha esitato a criticare la ricostruzione della corte triestina107, osservando che ogni effetto — per operare — presuppone una causa108, di tal ché ove l’art. 2645-ter c.c. fosse una mera norma sugli effetti occorrerebbe implicitamente ammettere nel nostro ordinamento la vigenza della categoria concettuale generale degli atti di destinazione. Tale assunto non sembrerebbe però affatto scontato.
Questo perché difficilmente si potrebbe configurare un atto di destinazione in assenza degli elementi distintivi della fattispecie (ossia
106 XXXXX, Le destinazioni atipiche e l’art. 2645-ter c.c., in Nuova giur. civ. comm., 2007, 238 ss.; XXXXX, La norma sulla trascrizione di atti di destinazione è, dunque, norma sugli effetti, ivi, 2006, 630 ss.; DI XXXXX, Considerazioni sull’art. 2645-ter c.c.: destinazione di patrimoni e categorie dell’iniziativa privata, in Rass. dir. civ., 2007, 946 ss.
107 GENTILI, Le destinazioni patrimoniali atipiche. Esegesi dell’art. 2645-ter c.c., in Rass. dir. civ., 2007, 12 ss.
108 Scrive un Autore che «se il negozio esprime una regola privata, la causa è l’elemento che collega l’operazione economica oggettiva ai soggetti che ne sono autori; e che quindi la causa è l’indice di come il regolamento negoziale di interessi sia l’espressione oggettiva di talune finalità soggettive» FERRI G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, cit.,p. 372.
la separazione e la segregazione patrimoniale), che derivano proprio dalla trascrizione ai sensi della sopra citata norma.
E infatti nelle successive pronunce sia la medesima sia altre corti di merito109 hanno privilegiato una differente impostazione, riconoscendo il valore negoziale dell’art. 2645-ter c.c.
Lo stesso scetticismo ha animato l’interprete nelle prime applicazioni dell’istituto nei differenti ambiti: a) della protezione degli incapaci; b) della separazione dei coniugi; c) della tutela dei minori.
Di particolare interesse risultano le intersezioni fra la novella in esame e un’altra innovativa figura: l’amministrazione di sostegno110 introdotta nel nostro ordinamento con la l. 9 gennaio 2004 n. 6.
Detto istituto trova il proprio presupposto in una condizione di infermità psichica o fisica del soggetto, tale da impedirgli di provvedere ai propri interessi, e si sostanzia nella limitazione della capacità di agire del beneficiario solo in ordine ad alcuni atti. Di conseguenza il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria
109 Cfr. Trib. Trieste 19 settembre 2007, in Foro it., 2009, I, 1555; Trib. Reggio Xxxxxx 26 marzo 2007 (in Dir. fam., 2008, 194, con nota di XXXXXX, Sull’effetto distintivo, e non traslativo, della separazione ex art. 2645-ter c.c.), per cui « Poiché è impensabile che il legislatore abbia voluto esautorare il contratto (apparentemente escluso dalla norma che riguarda esplicitamente i soli atti) e, cioè, lo strumento principe attraverso il quale si esprime l’autonomia negoziale, il riferimento letterale agli atti dell’art. 2645-ter c.c. deve intendersi limitato al requisito formale richiesto per la trascrizione, la quale deve essere effettuata sulla scorta di un atto pubblico, ai sensi dell’art. 2699 c.c. Proprio per la centralità riconosciuta all’autonomia negoziale privata, la locuzione impiegata all’inizio dell’art. 2645-ter x.x. xxxx, xxxxxx, xxxxxx xxxxxxxx xx xxxxx xxx xxxxxx (xxxx e contratti) volti ad imprimere vincoli di destinazione ai beni, purché stipulati in forma solenne; del resto, il successivo richiamo all’art. 1322, comma 2, c.c. dimostra che la norma concerne certamente anche i contratti ».
110 cfr. XXXXXXX, Amministrazione di sostegno o interdizione? Una scelta difficile, in Giur. it., 2010, I, 317 ss.
dell’amministratore di sostegno. Pertanto l’amministrazione di sostegno condivide con gli atti di destinazione la medesima duttilità, perché si sostanzia in una cornice normativa a contenuto atipico, modulabile in relazione alle esigenze del beneficiario.
In una prospettiva di protezione dei soggetti incapaci, particolarmente sensibile alle concrete esigenze dell’individuo, ben si comprende come i due istituti potrebbero interagire proficuamente.
A tal riguardo, infatti, agevolmente si può constatare come ad uno strumento di tutela personale e patrimoniale di segno negativo (l’indicazione degli atti che il beneficiario dell’amministrazione di sostegno non può compiere se non con l’assistenza dell’amministratore) può aggiungersene uno a carattere positivo (l’eventuale destinazione delle rendite derivanti dalla locazione di un immobile a far fronte ai bisogni del beneficiario di amministrazione di sostegno), di tal ché il decreto istitutivo dell’amministrazione di sostegno sarebbe un atto in forma pubblica che — ai sensi dell’art. 2645-ter c.c. — potrebbe contenere un negozio di destinazione collegato al provvedimento principale.
Ad onore del vero, tuttavia, deve segnalarsi che, sul punto, è dato rinvenire marcate oscillazioni giurisprudenziali, ove ad un iniziale tendenza di carattere nettamente involutivo111, hanno fatto seguito significative aperture112.
111 Trib. Roma 8 settembre 2008, in Dir. fam., 2009, 697.
112 App. Roma 4 febbraio 2009, in Dir. fam., 2009, 665, per cui «Ritenuto che, per volontà autentica, è consentito, in via ordinaria e preventiva, a chiunque di avere esatta contezza dell’esistenza di limiti alla circolazione dei beni immobili, per temporanea o parziale diminuita capacità del titolare del relativo potere dominicale, l’art. 2645-terc.c. consente la trascrizione nei registri immobiliari, al fine di rendere opponibile a terzi il vincolo di destinazione degli atti in forma pubblica con cui beni immobili siano destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela e riferibili a persona, con disabilità, beneficiaria di amministrazione di sostegno».
A sostegno della tendenza involutiva, possono leggersi pronunce che si sono focalizzate sul mero aspetto pubblicitario del divieto di alienazione dell’immobile, senza alcun riferimento alle esigenze sopra richiamate.
In senso negativo, può richiamarsi una sentenza del Tribunale di Roma113, secondo cui « ritenuto che, qualora sia stata accordata l’amministrazione di sostegno, al provvedimento del giudice tutelare sono collegate specifiche forme di pubblicità, e che le pur comprensibili esigenze cautelari prospettate dall’amministrazione di sostegno sono già assicurate dalla legge citata, con la possibilità di annullare gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle pertinenti disposizioni di legge o del decreto che ha concesso l’amministrazione di sostegno, possibilità che prescinde totalmente dalle formalità della trascrizione immobiliare e dello stato soggettivo dell’eventuale acquirente, appare superfluo e ultroneo ogni richiamo all’art. 2645-ter c.c. ».
A decisioni contrarie ad interpretazioni più aperte ed estensive della norma in parola si aggiungono casi in cui l’art. 2645 ter ha trovato proficua applicazione, come, ad esempio, là dove sia stato utilizzato dalla famiglia del beneficiario in alternativa, e non congiuntamente, all’applicazione di una misura di protezione114.
In tal modo, l’istituto consentirebbe ai familiari del soggetto debole di attuare una pianificazione patrimoniale senza dover ricorrere all’autorità giudiziaria e senza un’attribuzione diretta del bene al beneficiario (come avviene, ad esempio, in ipotesi di donazione o di lascito testamentario), comportando dei costi inferiori rispetto alla possibilità di istituire una fondazione fiduciaria nell’interesse del beneficiario, con il connesso vantaggio, per il disponente, di potersi
113 Trib. Roma 8 settembre 2008, in Dir. fam., 2009, 697.
114 Di Xxxxxx, La protezione dei soggetti deboli tra misure di protezione, atti di destinazione e trust, in Trusts, 2009, 493 ss. Cfr., altresì, Xxxxxxx, Trustin luogo di amministrazione di sostegno e con finalità successorie, ivi, 2007, 643 ss.
riservare il diritto di modificare nel tempo sia i soggetti preposti alla gestione del patrimonio sia il numero o l’identità dei beneficiari, graduando, in tal modo, il vincolo patrimoniale in relazione agli interessi concretamente emergenti nel tempo.
Ulteriore ambito oggettivo in cui l’applicazione giurisprudenziale dell’art. 2645-ter c.c. ricorre con una certa frequenza è quello relativo ai profili patrimoniali coniugali in ipotesi di separazione personale o divorzio.
La tendenza che è dato riscontrare, concerne l’esigenza di accordare sempre maggiore tutela alla prole — in ossequio al dovere di mantenimento ex art. 143 ss. c.c.115.
Alcune corti116 hanno riconosciuto l’opportunità dell’apposizione del vincolo di destinazione su determinati beni immobili, anche in
115 L’ammissibilità del contributo al mantenimento dei figli mediante trasferimento di determinati beni è stata, in precedenza, sostenuta da Xxxx. 21 dicembre 1987 n. 9500 (in Giustizia Civile, 1988, I, 1237, con nota di Costanza, Art. 1333 c.c. e trasferimenti immobiliari solutionis causa; in Giur. it.,1988, I, 1, 1560; in Corr. giur., 1988, 144, con nota di MARICONDA, Articolo 1333 c.c. e trasferimenti immobiliari; inRiv. not., 1989, 210; in Riv. dir. civ., 1989, II, 233, con nota di Chianale, Obbligazione di dare e atti traslativi solvendi causa); v., inoltre, App. Milano 6 maggio 1994, in Fam. dir., 1994, 667; Trib. Siracusa 14 dicembre 2001, in Arch. civ., 2002, 728.Contra, Trib. Catania 1º dicembre 1990, inDir. fam., 1991, 1010. Sul punto, x. XXXXXXXXX, Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi, in Commentario al codice civile a cura di XXXX, OPPO E TRABUCCHI, II, Padova 1992, 720, che ritiene consentita nella separazione consensuale, quanto ai rapporti patrimoniali, un’ampia gamma di pattuizioni; Brienza, Attribuzioni immobiliari nella separazione consensuale, in Riv. not., 1990, 1409 ss.; CECCHERINI, Separazione consensuale e contratti tra coniugi, in Giustizia Civile, 1996, II, 377 ss.; XXXXXXXXX, La causa degli accordi traslativi in occasione della separazione consensuale tra coniugi, in Giur. it.,1999, 890 ss.
116 Cfr. Trib. Reggio Xxxxxx 26 marzo 2007, cit., per cui «Condizioni della separazione non sono soltanto quelle regole di condotta destinate a scandire il ritmo delle reciproche relazioni per il periodo successivo alla separazione o al divorzio, bensì anche tutte quelle pattuizioni alla cui conclusione i coniugi intendono comunque ancorare la loro disponibilità per una definizione consensuale della crisi coniugale. Sotto il profilo causale,
funzione di modifica del regime patrimoniale divisorio precedentemente instaurato.
In particolare, l’opponibilità erga omnes degli atti di destinazione offrirebbe ai minori una significativa protezione sotto un duplice aspetto: da un lato, gli consentirebbe infatti di utilizzare i frutti dei beni (destinati al mantenimento), dall’altro, renderebbe inalienabile il cespite vincolato, rendendo così maggiormente sicura la percezione dei predetti frutti.
dunque, i contratti della crisi coniugale (e, segnatamente, i negozi traslativi di diritti tra coniugi in crisi) si caratterizzano per la presenza della causa tipica di definizione della crisi stessa. Con la trascrizione nei registri immobili ex art. 2645-terc.c. (sulle modalità con cui eseguire la formalità si richiama la circolare dell’Agenzia del Territorio 7 agosto 2006 n. 5), il vincolo di destinazione risulta opponibile erga omnes, offrendo così ai minori una significativa tutela, sia con riguardo ai frutti dei beni (da destinare al mantenimento), sia con riguardo all’inalienabilità. Mentre l’impignorabilità per debiti contratti per scopi estranei o differenti rispetto a quelli individuati nell’atto di destinazione dei beni (e dei relativi frutti) conferiti ai sensi del nuovo art. 2645-terc.c. appare assoluta, l’art. 170 dello stesso codice assoggetta a esecuzione i beni del fondo patrimoniale anche per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, a condizione che il creditore non sia a conoscenza di tale ultima circostanza. L’art. 2645-terc.c. (norma successiva e speciale), nel prevedere l’opponibilità ai terzi della predetta inalienabilità (ove trascritta nei registri immobiliari), scardina il disposto dell’art. 1379 c.c., il quale sancisce (rectius, sanciva) che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti»; Trib. Reggio Xxxxxx 23 marzo 2007, in Corr. merito, 2007, 701, secondo cui « È valido, in quanto avente causa lecita, l’accordo tra coniugi, raggiunto in sede di verbale di separazione consensuale, con il quale l’uno trasferisce all’altro, in adempimento dell’obbligo di mantenimento dei figli minori, talune porzioni immobiliari, con l’impegno di quest’ultimo di non alienarle prima della maggiore età dei beneficiari e di destinarne i frutti in loro favore, e detto accordo, ove trascritto ai sensi dell’art. 2645-terc.c., è opponibile erga omnes»; per Trib. Bologna 5 dicembre 2009 (in Civilista, 2010, n. 9, p. 93, con nota di XXXXXXXXXXXX, La destinazione di un cespite immobiliare al mantenimento della prole soddisfa un interesse certamente meritevole di tutela), « In sede di separazione personale, è valido l’accordo con cui un coniuge si impegna ad apporre un vincolo di destinazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645-terc.c., sugli immobili di sua esclusiva proprietà, obbligandosi a non cedere l’immobile a terzi per tutta la durata del vincolo. La costituzione del vincolo sugli immobili e la natura della finalità perseguita impongono di per sé sole il divieto di alienazione ex art. 2645-terc.c.».
A ciò si aggiunga che la trascrizione dell’atto di destinazione determinerebbe l’impignorabilità assoluta per debiti contratti per scopi estranei o differenti rispetto a quelli individuati in tale atto dei beni (e dei relativi frutti) ivi conferiti. Ciò a differenza di quanto previsto in tema di fondo patrimoniale ove — ex art. 170 c.c. — è ammissibile l’esecuzione nei confronti dei beni del fondo patrimoniale anche per debiti contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, purché il creditore ignori siffatta circostanza. Una tutela, quindi, che seppure sembra ripetere la disciplina già pensata per il fondo patrimoniale, in realtà se ne differenzia per la previsione di una più piena ed efficace garanzia117.
117 DI PROFIO, Vincoli di destinazione e crisi coniugale, in Giur. merito, 2007, I, 3189. Sul punto anche XXXXXX, Vincoli di destinazione ex art. 2645-terc.c. e rapporti patrimoniali tra coniugi, in Familia, 2006, 181 ss., il quale rileva che « ai sensi dell’art. 2645-tersarà quindi ipotizzabile la costituzione di un vincolo nell’interesse della famiglia più “forte” di quello del fondo patrimoniale, per via dell’opponibilità nei confronti di tutti i creditori dei coniugi, anche a prescindere dalla ricorrenza delle condizioni, per così dire “soggettive” descritte dall’art. 170 c.c., nonché per la diversa ripartizione dell’onus probandi delle condizioni “oggettive” »; cfr. anche Quadri, L’art. 2645-tere la nuova disciplina degli atti di destinazione, in Contratto impresa, 2006, 6: «Quanto al connotato caratteristico delle ipotesi di separazione patrimoniale, l’art. 2645-terrisulta presentare un grado di separazione maggiore rispetto alla formula contenuta nell’art. 170 c.c., che lascia dipendere la separazione non solo dalla pertinenza del debito rispetto ai bisogni della famiglia, ma altresì dallo stato soggettivo del creditore»; BARALIS, Prime riflessioni in tema di art. 2645-ter, in Negozio di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata (Atti del Convegno organizzato dalla Fondazione italiana per il notariato tenutosi a Rimini il 1º luglio 2006), in I quaderni della Fondazione italiana per il notariato, Milano 2007, 153, «La norma è particolarmente efficace (tutela del vincolo di destinazione) nel senso che ciò che conta è il rapporto oggettivo fra debito e finalità del vincolo prescindendo da ogni stato di buona o mala fede dei creditori, come invece è previsto per il fondo patrimoniale».
In pratica la giurisprudenza ha ritenuto il verbale d’udienza — in quanto atto pubblico ai sensi dell’art. 2699 c.c. — idoneo alla costituzione del negozio di destinazione118.
Occorre rilevare come tale applicazione sembrerebbe porre gli atti di destinazione in un rapporto di consecuzione logico-giuridica rispetto all’istituto del fondo patrimoniale di cui agli art. 167 ss. c.c.
Mentre, infatti, il fondo patrimoniale consente di creare un patrimonio separato in una fase fisiologica della comunità familiare (ossia anteriormente e successivamente alla celebrazione del matrimonio), l’istituto di cui all’art. 2645-ter c.c. potrebbe altresì facoltizzare una forma di segregazione patrimoniale anche in pendenza di una fase patologica della vita familiare (ossia la separazione personale o il divorzio) oppure in relazione a rapporti familiari c.d. «di fatto». Tale prospettazione si inquadra in quella linea evolutiva — sottolineata da attenta dottrina119 — del c.d. «rapporto familiare di fatto», transitato da una nozione più risalente di concubinato — velata
118 Con riguardo alla natura di atto pubblico dell’accordo di separazione inserito nel verbale di udienza, redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è attestato, cfr. Cass. 15 maggio 1997 n. 4306 (in Fam. dir., 1997, 417, con nota di XXXXXXXXXXX, Trasferimenti immobiliari nella separazione consensuale tra coniugi; in Vita not., 1997, 842; in Riv. not., 1998, 171; in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, 278, con nota di ZANUZZI, I trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione consensuale); in senso conforme, nella giurisprudenza di merito, Trib. Cagliari 2 ottobre 2000 (in Riv. giur. sarda, 2001, 785, con nota di ANEDDA, Causa e forma dei negozi traslativi tra coniugi in sede di separazione e divorzio), il quale, dalla considerazione che il Tribunale, recependo la volontà dei coniugi di compiere un trasferimento immobiliare, svolge una funzione analoga a quella dell’ufficiale rogante, fa discendere la nullità dell’atto qualora dal verbale non risultino gli estremi della concessione edilizia o, in mancanza, il rispetto delle prescrizioni previste dall’art. 40, comma 2, l. 28 febbraio 1985 n. 47. Sul punto, PETTI, Atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e separazione consensuale dei coniugi, in Obbligazioni e contratti, 2008, n. 3, p. 233 ss.
119 TRIMARCHI G., Negozio di destinazione nell’ambito familiare e nella famiglia di fatto, in Notariato, 2009, p. 432.