La scelta della giurisdizione ordinaria o arbitrale nei contratti internazionali
La scelta della giurisdizione ordinaria o arbitrale nei contratti internazionali
1. Il contratto internazionale in generale.
Le problematiche connesse alle modalità di risoluzione delle controversie nei contratti internazionali richiedono uno sforzo metodologico legato alla necessità di dare una sistemazione unitaria ai diversi problemi che la tematica stessa (il contratto internazionale) pone. Infatti, nonostante le caratteristiche, ed i relativi vantaggi e/o svantaggi che le due modalità di definizione delle controversie, ossia l’arbitrato e la giurisdizione statale, costituiscano la parte centrale del presente lavoro, è innegabile che una trattazione completa richieda qualche cenno al significato ed alla attuale importanza del “contratto internazionale”.
Benché ogni tipo di contratto abbia una sua peculiarità, è innegabile che esistano dei problemi comuni al “contratto internazionale”, a prescindere dalla sua causa, dai suoi contenuti, dalla natura delle obbligazioni che ne discendono e così via.1
Il contratto internazionale, per definizione, coinvolge soggetti di diversa nazionalità e, pertanto, risulta potenzialmente soggetto a ordinamenti giuridici diversi. Tuttavia, l’approccio internazionalprivatistico di questa definizione che, sulla scorta delle
1 Cfr. Frignani, Il contratto internazionale, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Xxxxxxx, Padova, 1990, p. 121, che richiama, a titolo esemplificativo, la responsabilità precontrattuale, le penali, la risoluzione per inadempimento.
indicazioni della dottrina francese2, tende a conferire rilevanza alla distinzione fra contratto interno e contratto internazionale al solo fine di individuare, attraverso le norme di conflitto la legge applicabile allo stesso, non è del tutto soddisfacente, per tre motivi:
- esso può condurre a risultati opposti, o comunque diversi, da quelli voluti dalle parti;
- può non consentire di tener conto di tutti i collegamenti con i diversi ordinamenti che un rapporto giuridico internazionale può comportare;
- può condurre all’impossibilità della localizzazione parziale (c.d.
dépeçage).
Dunque, nel presupposto che la volontà delle parti può non essere compressa dalla scelta di una sola legge (e che, quindi, un contratto internazionale potrà essere regolato contemporaneamente anche da diversi diritti), se si fa riferimento alla prassi internazionale ci si accorge che tale autonomia si espande sovente fino a creare un proprio regolamento (del rapporto giuridico) con istituti e regole magari nuovi o estranei a tutti gli ordinamenti (nazionali) che ne risulterebbero coinvolti dalle regole di diritto internazionale privato.
Dunque, tenendo conto delle considerazioni appena svolte, una definizione piu’ adeguata di “contratto internazionale” sarà la seguente: ”ogni rapporto contrattuale non destinato a esaurirsi, nei suoi elementi oggettivi o soggettivi, esclusivamente all’interno di un solo ordinamento statuale”.3
2 Cfr. Lequette, L’evolution des sources nationales et conventionelles du droit des contrats internationaux, in L’evolution contemporaine du droit des contrats, 1986,
p.185 e ss.
3 Carbone e Luzzatto, I contratti del commercio internazionale, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxxx, XI, Torino, 1984, p. 137, i quali precisano che dovrebbero essere “normalmente considerati internazionali tutti quei contratti che presentino, dal punto di vista fattuale e sociale, collegamenti con sfere territoriali sottoposte all’autorità di Stati diversi (e dunque con ambiti entro i quali siano in
Affianco a quello della legge, rectius delle leggi, applicabili, il contratto internazionale presenta, nella prassi, altre problematiche, quali quella della lingua del testo originale -legata al fatto che le parti contraenti il piu’ delle volte, parlando lingue diverse, traducono il testo contrattuale ciascuna nella propria lingua4-, e quella del foro e della giurisdizione competenti per la risoluzione delle controversie.
Prima di passare in rassegna gli aspetti e le caratteristiche relative a quest’ultimo tema, è opportuno fare qualche ulteriore cenno, seppur rapidamente ed in via generale, alla legge regolatrice del contratto.
E’ un principio generalmente riconosciuto, anche nei paesi ad economia di Stato, che le parti aderenti ad un contratto internazionale possano liberamente scegliere a quale legge sottoporre il rapporto.5 Questa regola è ora sancita in strumenti di diritto uniforme, quali la Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile alle vendite del 1955 (ribadita nella versione firmata il 30 ottobre 1985) o la Convenzione di Roma del 1980.
La scelta di una particolare legge nazionale può essere dettata da svariati motivi, ma quello che assume maggior rilievo è senz’altro di natura psicologica: è ovvio, infatti, che ciascuna parte desidererà vedere il contratto regolato dalla legge che meglio conosce. Se, poi, una delle due parti non accede alla volontà dell’altra, si sceglie spesso la legge di
vigore sistemi giuridici differenti”.
4 Spesso le parti, per comprendersi, utilizzano o la lingua di una di esse, se comune a entrambe, oppure una lingua terza da entrambe conosciuta. Il risultato è spesso la redazione in diverse copie dello stesso contratto, una per ogni lingua in gioco: nella lingua di una parte, nella lingua dell’altra, nell’eventuale lingua terza comune ad entrambe. Cfr. Comba, Il commercio internazionale, a cura del Centro Estero Camere Commercio Piemontesi, VII ed., Il Sole 24 Ore, 2004, p. 98.
5 Cfr. Xxxxxxxx, La loi d’autonomie: le principe et sa justification théorique, in Riv.dir.int.priv.e proc., 1979, p.217 ; De Nova, voce Obbligazioni (diritto internazionale privato), in Enc. Del dir., Milano, p.460.
un paese terzo: anche in questo caso, peraltro, il desiderio di adottare una legge “neutra” è “velato” dalla stessa neutralità politica del paese.
A fronte della molteplicità delle soluzioni giuridiche elaborate, nei differenti paesi, per risolvere i problemi che possono sorgere tra le parti di un contratto commerciale, la pratica internazionale ha progressivamente adottato una risposta, quella del contratto c.d. “autoregolato”. Le parti, infatti, possono “denazionalizzare” il contratto, prevedendo per esso una disciplina il piu’ possibile esaustiva del rapporto commerciale, indicando la legge applicabile soltanto in via residuale.
Questa ipotesi rappresenta sicuramente la massima portata della “delocalizzazione” del contratto internazionale, anche se bisogna ricordare che la stessa non sarà mai assoluta, dal momento che ogni ordinamento nazionale, oltre ad avere un proprio sistema di determinazione della legge applicabile al contratto (conflict of law o diritto internazionale privato, rispettivamente, nei Paesi di common law e di civil law), contempla anche delle norme, dette di “ordine pubblico internazionale” o di “applicazione necessaria”, che i giudici di un particolare Stato devono comunque applicare, anche nei casi in cui la controversia debba essere decisa secondo la legge di un altro Stato.
Un esempio del meccanismo appena illustrato è fornito dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, con la quale gli (allora) undici Paesi della Comunità europea6 hanno uniformato le loro regole in materia di legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
Secondo tale sistema, il contratto è disciplinato dalla legge delle parti, purchè la scelta:
6 Italia, Belgio, Germania, Grecia, Lussemburgo, Francia, Irlanda, Regno Unito, Paesi Bassi, Portogallo.
- sia espressa oppure risulti in modo ragionevolmente certo dal contratto o dalle circostanze; e
- sia espressa secondo le forme richieste dallo Stato della legge scelta.
In assenza, il contratto sarà disciplinato dalla legge del Paese con il quale esso presenta il collegamento piu’ stretto.
Inoltre, per quanto riguarda le norme di ordine pubblico, la Convenzione prevede l’ applicazione, in qualsiasi caso, di quelle del Paese del giudice che decide la controversia, mentre quelle considerate tali da un Paese diverso potranno essere impiegate solo se si ritenga che
- quest’ultimo Paese presenti un forte collegamento con il contratto; e
- che le stesse norme siano, nel Paese che le ha emanate, considerate di applicazione necessaria.
Tale meccanismo, soprattutto alla luce del fatto che ogni Stato conserva propri criteri di determinazione della legge applicabile e, dall’altro lato, che i Paesi dell’Unione europea sono gli unici ad essersi dati una regola uniforme in materia di norme di applicazione necessaria, non preserva le parti dal rischio che la legge di uno Stato, sebbene non sia stata scelta, possa produrre effetti mediati o diretti sul contratto.
Al fine di evitare questi effetti, spesso non voluti quanto non prevedibili, si è registrata, nella pratica internazionale, la progressiva tendenza, sempre piu’ legittimata non solo da importanti sentenze arbitrali e giurisprudenziali, ma anche dalle leggi dei singoli Paesi, a sottoporre il contratto internazionale alla lex mercatoria, o “ai principi del diritto del commercio internazionale”, specie quando il contratto sia sottoposto ad arbitrato.
Un’ulteriore modalità che rafforza l’ambito di autoregolamentazione del contratto consiste nel ricorrere all’impiego di
contratti-tipo predisposti da enti od organizzazioni internazionali7, o ad un ulteriore strumento, elaborato da giuristi di tutto il mondo, rappresentato dai Principles for Internatrional Commercial Contracts, pubblicati nel 1994 (e recentemente aggiornati) dall’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato (Unidroit).
Gli stessi Stati, infine, hanno provveduto a fornire agli operatori strumenti che consentono di evitare l’applicazione al contratto delle singole normative interne in materia di vendita e di trasporto: basti pensare, a titolo d’esempio, alla (i) Convenzione internazionale sulla vendita di beni mobili, firmata a Vienna nel 1980; alle Convenzioni sul trasporto internazionale di merci per strada (Cmr) o per ferrovia (Cim), stipulate, rispettivamente, nel 1956 a Ginevra e nel 1970 a Berna.
La disciplina dettata da queste convenzioni presenta indiscutibili vantaggi, essendo, ad esempio, (i) comune a molti Paesi, a differenza delle rispettive leggi nazionali (con tutti gli effetti che ne derivano a livello di exequatur), nonché (ii) piu’ adatta di queste ultime a regolare le situazioni tipiche del commercio internazionale.
Dunque, i problemi legati ai principi di ordine pubblico ed all’impedimento dell’exequatur di una sentenza o di un lodo in un determinato Stato, anche se non scomparendo del tutto8, si riducono fortemente dal momento in cui la scelta di queste nuove “fonti del diritto internazionale” trovano in un numero sempre maggiore di Stati validità e riconoscimento.
E’ possibile, in effetti, che anche queste fonti non prevedano una disciplina del tutto gradita per entrambe le parti, ma tale svantaggio è
7 Si pensi, ad esempio, al contratto Fidic negli appalti.
8 E’ da respingersi, infatti, perché irrealistica, la fattispecie estremistica del contratto regolato esclusivamente dalla volontà delle parti. Cfr. Xxxxxxxxxxx, The Sources of International Trade, London, 1964, p. 3.
ampiamente ricompensato dalla quasi assoluta certezza che almeno, in caso di successiva controversia con esito favorevole, la relativa decisione non verrà vanificata dal mancato exequatur per violazione con norme di applicazione necessaria dello Stato in cui questa deve essere eseguita.
In conclusione, sembra ancora attuale quella profezia, improvvida per l’Autore (Xxxxxxxxxxx), secondo cui “an acre in Middlesex is better than a principality in Utopia”.
2. La risoluzione delle controversie. Giurisdizione ordinaria o arbitrale.
Una volta esaminati i criteri da seguire nell’elaborazione del testo del contratto internazionale, e dopo avere brevemente indicato le modalità di determinazione della legge applicabile, occorre affrontare il fondamentale problema della scelta del soggetto incaricato di decidere le eventuali controversie.
Prima di addentrarsi nella disamina delle modalità di risoluzione delle controversie è opportuno sgomberare il campo da un equivoco ancora diffuso tra gli operatori economici: la determinazione dell’organo competente a decidere le controversie che eventualmente sorgeranno e la determinazione della legge (statale o meno) che lo stesso dovrà applicare per risolverle sono problemi sostanzialmente differenti, regolati da leggi diverse e che le parti devono affrontare nel contratto internazionale in due distinte clausole. In effetti, spesso può capitare di imbattersi in questo equivoco, quando si leggono contratti internazionali, nei quali le clausole di risoluzione delle controversie danno luogo a problemi insormontabili, vuoi perché redatte con minore attenzione (queste clausole, che vengono
solitamente redatte per ultime, sono definite midnight-clauses), vuoi perché dopo un lungo periodo passato a ricercare “il punto di incontro definitivo” della volontà delle parti, si tende ad evitare di prevedere, quasi per superstizione, l’insorgere di una lite tra le stesse.
Chiarito definitivamente tale aspetto, si può ora effettuare una disamina di tutti gli aspetti e le caratteristiche proprie del giudizio ordinario e di quello arbitrale, a seguito della quale risulterà chiaro quali fra questi due, e perché, dev’essere preferito a seconda delle diverse tipologie di contratto internazionale in cui le relative clausole vengono inserite.
2.1. La scelta della giurisdizione ordinaria.
La presenza di una clausola, all’interno di un contratto internazionale, con la quale si devolve la risoluzione di una controversia derivante o comunque connessa con lo stesso, ad un giudice nazionale, è il frutto di una valutazione comparata dei vantaggi e degli svantaggi, in rapporto con una decisione arbitrale, che la scelta della giurisdizione ordinaria comporta.
Anzitutto, riprendendo l’osservazione svolta al termine del precedente paragrafo, è innegabile che la scelta del foro competente (di solito in via esclusiva, ma talvolta lasciata alla scelta dell’attore):
- può essere importante per il meccanismo della lex fori, quando le parti non abbiano espresso la loro scelta circa la legge regolatrice dell’intero rapporto;
- può rafforzare la scelta della legge regolatrice;
- può controbilanciare una scelta della legge applicabile che si reputi favorevole all’altra parte.9
9 Cfr. Xxxxxxxx, op. cit., p. 145.
In effetti, molti dei paesi che ammettono la libera scelta della legge applicabile, riconoscono alle parti anche la libertà della scelta del foro.
Va però ricordato che esistono degli ordinamenti nei quali, per singoli contratti, la deroga del foro è inefficace10, mentre molti altri sottopongono la deroga convenzionale della giurisdizione a rigide condizioni.
Il principale problema, però, che si pone nella redazione di una clausola di scelta di un giudice statale, quale giudice competente a risolvere le controversie che potranno nascere dal contratto, consiste nel controllo preventivo di quale efficacia avrà la sentenza nel Paese della controparte (nel caso, naturalmente, in cui il giudice scelto non sia il giudice del Paese della controparte).
L’unica garanzia che la sentenza che risolve la controversia nata dal contratto venga eseguita nel paese della controparte –o in quello in cui vi siano beni aggredibili sui quali soddisfarsi- è data dal fatto che i due Stati abbiano firmato un trattato sul riconoscimento reciproco delle sentenze commerciali. In caso contrario, lo Stato riconoscerà soltanto l’autorità dei propri giudici, e sottoporrà, conseguentemente, ad un complesso riesame la sentenza e gli atti di causa (con tempi ed esiti alquanto incerti).
Si deve, a tal proposito, ricordare che quest’ultima è la situazione piu’ diffusa, almeno per le sentenze rese in Italia, che ha infatti firmato trattati sul riconoscimento delle sentenze soltanto con alcuni paesi dell’area mediterranea11, con alcuni Paesi europei non appartenenti
10 Per esempio, Arabia Saudita per i contratti di agenzia, Belgio per i contratti di concessione di vendita.
11 Per esempio: la Tunisia, l’Egitto, il Libano, il Marocco, la Turchia
all’Unione europea12, nonché in America Latina, con il Brasile e l’Argentina.
Le sentenze italiane, quindi, non trovano automatico riconoscimento nella maggior parte dei paesi del mondo, ivi compresi quelli con i quali la stessa ha un importante e sempre piu’ intenso interscambio (si pensi, per esempio, agli Stati Uniti, al Canada, all’India ed al Giappone).13
Un regime agevolato è invece presente all’interno dell’Unione europea, i cui Stati aderenti, con la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, garantiscono il riconoscimento, tramite una procedura rapida e semplificata, delle sentenze commerciali emesse negli altri Stati dell’Unione.14
Peraltro, occorre ricordare che la Convenzione è stata recentemente sostituita dal regolamento (CE) n. 44/2001, il quale, in materia riconoscimento, ne riproduce sostanzialmente la stessa disciplina, di seguito brevemente esposta.
La parte contro la quale è richiesta l’esecuzione della sentenza può opporsi a tale riconoscimento solo in casi molto gravi, espressamente previsti, ossia perché la sentenza è contraria all’ordine pubblico (per esempio viola norme fiscali o penali), perchè altre precedenti sentenze hanno già deciso la stessa lite, perché nel processo non sono stati rispettati i diritti di difesa delle parti.
12 Per esempio: la Svizzera, la Norvegia, la Polonia.
13 Al contrario, le sentenze straniere troveranno in Italia un regime agevolato, grazie alla legge di riforma del diritto internazionale privato (L. 218/1995) che, estendendo i criteri della Convenzione di Bruxelles a tutti i rapporti commerciali internazionali, ha introdotto il principio del riconoscimento automatico anche verso i Paesi extracomunitari.
14 Sono escluse, però, da questo regime, le sentenze che hanno per oggetto la capacità delle persone, il regime patrimoniale dei coniugi, le successioni ed i testamenti, la previdenza sociale, le materie fiscale, doganale e amministrativa.
La Convenzione (rectius il regolamento) fissa alcune regole che i giudici dei Paesi aderenti devono rispettare, al fine di vedere riconosciuta la sentenza da loro emanata negli altri Paesi:
- il giudice che ha emesso la sentenza deve essere stato scelto da entrambe le parti quale giudice competente a decidere le eventuali controversie nascenti da quello specifico contratto;15
- nel caso in cui, invece, il giudice non sia stato scelto tra le parti, esso deve essere quello del Paese nel quale la parte contro cui si agisce in giudizio ha la sua sede o il suo domicilio, a seconda che si tratti di persona giuridica o fisica.
La Convenzione prevede, tuttavia, che, in assenza di scelta delle parti, la controversia possa essere decisa, invece che presso il foro previsto in xxx xxxxxxxx (xxxxxx xxx xxxxxxxxx):
- xx xxxxxxx di contratti, dal giudice del Paese nel quale doveva essere eseguita la prestazione oggetto della lite;
- in materia di contratti conclusi da consumatori, dal giudice del Paese del consumatore (è, questo, uno dei casi in cui non è consentito derogare alla competenza giurisdizionale)
- in materia di responsabilità extracontrattuale, dal giudice del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto;
- in materia di assicurazione, dal giudice del Paese dell’assicurato;
- le controversie in materia di società, immobili e brevetti, devono, invece, essere obbligatoriamente risolte dal giudice del Paese in
15 Tale scelta, per essere valida, deve essere scritta, oppure verbale e successivamente confermata per iscritto, o, ancora, deve essere espressa in una forma ammessa da usi del commercio internazionale che le parti conoscevano o avrebbero dovuto conoscere. Così prevedendo, il regolamento “mette fuori gioco” eventuali norme nazionali che richiedano ulteriori requisiti, come in Austria o in Danimarca, ove requisito di validità della clausola di deroga al foro è la forma scritta. Cfr. Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 giugno 1981, causa 150/80, Elephanten Schuc x. Xxxxxxxxx, in Raccolta, 1981, p. 1671.
cui ha sede la società, in cui è sito l’immobile o in cui è stata richiesta la registrazione (o il deposito) del brevetto.
Il secondo aspetto di cui si deve tenere conto, qualora si intenda affidare le cause che eventualmente nasceranno dal contratto a un giudice statale, è quello dei costi e dei tempi della causa in quel Paese.
Generalmente, i limitati costi della causa, soprattutto per le piccole e medie imprese16, rappresentano un incentivo per l’affidamento della risoluzione delle controversie alla giurisdizione di uno Stato straniero.
E’ pur vero, però, che le spese dei giudizi aumentano notevolmente nei Paesi anglosassoni, quali il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Australia, anche perché qui, al già elevato costo delle istituzioni giudiziarie (cancellieri, giudici, ecc…) si aggiunge, talvolta, la facoltà del giudice di obbligare la parte straniera a depositare, a titolo di cauzione, somme di denaro anche ingenti, a garanzia della buona fede nell’intentare l’azione.17
Sempre in questi ultimi Paesi, peraltro, l’elemento che spinge a desistere dall’iniziarvi una azione legale, sono le spese destinate ai legali (che non sempre vengono totalmente accollate alla parte che perde la causa): gli stessi avvocati americani sconsigliano una causa negli Stati Uniti quando l’importo che si rivendica è inferiore ai 100.000 dollari.
Sulla durata delle cause civili nei vari Paesi europei, alcuni studi realizzati dalla Commissione delle Comunità europee riguardo al tempo medio richiesto dai giudici statali per emettere una sentenza di primo
16 In Italia, occorre precisare, le PMI rappresentano circa il 90% della realtà economica e commerciale.
17 Cfr. Comba, op.cit., p. 104.
grado, dimostrano che, salvo rare eccezioni, la giustizia civile è giunta ad un livello ormai prossimo al collasso.18
Una valutazione altrettanto specifica non può essere effettuata, invece, nei Paesi extraeuropei, anche se spesso, oltre ai tempi necessari per una decisione, altri istituti, sconosciuti al sistema processualistico Italiano (si pensi, ad esempio, al c.d. forum non conveniens19) sconsigliano la scelta di affidarsi alla giurisdizione statale straniera.
E’ evidente, peraltro, che, qualora una valutazione equiparativa che tenga in considerazione sia i tempi che i costi di un giudizio ordinario od arbitrale sia effettuata da una società di grandi dimensioni, l’aspetto relativo al primo profilo assumerà un’importanza maggiore rispetto a quello delle spese (che nell’arbitrato, come vedremo tra breve, sono ben piu’ elevate), per cui l’opzione della giurisdizione ordinaria ben difficilmente sarà adottata.
2.2.1. In particolare: la scelta della giurisdizione ordinaria in Italia.
Con specifico riferimento agli aspetti in precedenza esaminati, se già a livello internazionale la possibilità di ricorrere al giudice statale per decidere una controversia derivante da un contratto internazionale esce
18 Si riportano di seguito i dati relativi ad alcuni Paesi europei, con la precisazione che i tempi, indicati in mesi, non tengono conto di un eventuale ricorso in Appello e in cassazione: Belgio, 12 mesi; Danimarca, 24 mesi; Germania, 6 mesi; Italia, 42 mesi (!), Xxxxxxxxxx, 00 mesi.
19 Il foro scelto dalle parti potrebbe in seguito, con l’invocazione, appunto, di questo istituto tipico del diritto statunitense e scozzese, essere contestato dalle stesse. Quando il convenuto riesce a provare che la controversia potrebbe essere più opportunamente decisa, nell’interesse della giustizia, da un’altra giurisdizione presso la quale l’azione avrebbe potuto essere intentata, il giudice adito si disveste della domanda. Cfr. De Franchis, voce Forum non conveniens, in Dizionario giuridico inglese-italiano, Milano, 1984, p. 756.
Proprio in virtù della dottrina del forum non conveniens, un giudice californiano ha affermato la propria competenza in una causa di lavoro tra due cittadini italiani, residenti in America, e la Mondatori, presso uno stabilimento milanese della quale gli stessi avevano svolto la propria attività lavorativa.
fortemente ridimensionata, calandosi nella realtà italiana, si può facilmente constatare come, in un contratto internazionale, gli elementi che possano spingere alla scelta della nostra giurisdizione siano pressoché assenti.
I problemi della giustizia civile risalgono a tempi assai remoti. Già nel 1920 Chiovenda avvertiva che “nel metodo del procedimento, come quello da cui dipendono i caratteri essenziali di ogni processo, hanno radici gli inconvenienti piu’ gravi che si deplorano nell’andamento delle nostre liti, quali la esasperata complicazione, l’interminabile durata ed il costo enorme”.
Prima delle recenti innovazioni apportate al nostro codice di rito, già la Novella del 1990 (L. n. 353/1990, modificata nel 1995) era stata caratterizzata da un sistema rigido di preclusioni, dalle ordinanze anticipatorie di condanna, dall’esecutività immediata delle sentenze di primo grado e dall’estensione del potere sostitutivo della Cassazione.
Tuttavia, è noto che dopo le ristrutturazioni del 1990 e le modifiche del 1995, la fase preparatoria del processo ordinario di cognizione era divenuta sostanzialmente piu’ lenta di quella precedente20, con specifico riferimento:
- alla sostanziale inutilità delle udienze previste dagli artt. 180, 183 e 184 c.p.c.;
20 Il riferimento è alla novella del 1950, che minò alla radice l’impianto del codice civile del 1940, introducendo, sostanzialmente, il principio dell’”elasticità” (o oralità facoltativa), che il Mortara ed il Carnelutti avevano suggerito quale contrapposto all’intransigente e coerente ideale dell’oralità-concentrazione-immediatezza, caratteristico della predicazione di Chiovenda. Fino al 1990, inoltre, il legislatore era intervenuto piu’ volte, ma solo frammentariamente e disorganicamente, su determinati settori della giustizia civile (si ricordano, tra le piu’ importanti, la L. n. 532/1977 sulla riduzione del numero dei giudici in composizione collegiale; la L. n 890/1982 in materia di notificazioni).
- alle ripetitive incombenze previste da tutto l’impianto che ha moltiplicato le scritture (comparse, memorie, note);
- alla eccessiva distanza tra la data delle udienze di prima comparizione, di trattazione e dei mezzi istruttori.
A far data dal 1990 si è assistito ad una frenetica attività di elaborazione legislativa, diretta a ricercare strumenti organizzativi tali da poter creare i presupposti per una inversione di tendenza nell’andamento della giustizia civile21, finchè, il 1° marzo 2006 sono entrate in vigore le nuove norme che rivoluzionano la procedura civile.
Si tratta di un complesso di riforme22 che investe ogni aspetto del rito civile: dalla disciplina della prima udienza ai procedimenti cautelari, dal ricorso per cassazione all’arbitrato.
La recente entrata in vigore delle modifiche al codice di procedura civile non permette, ovviamente, di compiere una valutazione circa gli effettivi miglioramenti che si avranno nel sistema giudiziario italiano, ma la pratica di tutti i giorni induce spesso sommessamente a condividere l’idea di chi ritiene che il processo civile sia diventato uno strumento per la perpetuazione dell’ingiustizia23, e che i principali problemi che affliggono la giustizia civile italiana vadano individuati soprattutto nel crescente aumento della litigiosità, nella disorganizzazione degli uffici
21 Si pensi alla L. n. 374/1991 istitutiva del giudice di pace, la modifica dell’art. 111 della Costituzione; la modifica dell’art. 375 c.p.c. introdotta dalla L. n. 89/2001, meglio nota come “legge Xxxxx”.
22 Il torrente alluvionale delle riforme del 2005 e del 2006 è iniziato con il D.l. n. 35/2005, convertito con modificazioni nella L. n. 80/2005. Sono poi intervenuti il D.l. n. 115/2005, convertito con L. n. 168/2005; la L. n. 263/2005; il D.l. n. 271/2005. L’art. 39 quater della L. n. 51/2006 ha stabilito l’entrata in vigore il 1° marzo 2006 delle norme ad efficacia differita. La L. n. 52/2006 ha ulteriormente modificato l’esecuzione per espropriazione mobliare; mentre il D. lgs. n. 40/2006 ha attuato la delega per la riforma del processo in cassazione e dell’arbitrato.
23 Cfr. Buongiorno, Problemi attuali e urgenti della giustizia civile, Relaz. Presentata al XVII Congresso nazionale dell’avvocatura italiana, reperibile presso il sito xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx/Xxxxxxxx/Xxxxxxxxx/xxxxxxxxx.xxxx.
giudiziari, nella carente formazione degli avvocati e dei magistrati onorari, nella inadeguatezza delle legislazioni, nell’eccessivo formalismo e nell’ingiustificato frazionamento delle giurisdizioni e dei riti, nella scarsa produttività, infine, dei giudici togati.
Questi sono i principali motivi per cui anche in Italia la pratica degli affari si è orientata, negli ultimi vent’anni, verso l’arbitrato, mentre la scelta verso la giurisdizione ordinaria integra quasi esclusivamente una tecnica difensiva, da attuarsi, cioè, quando, per le piu’ svariate ragioni, si teme che sia l’altra parte ad iniziare una causa nei propri confronti e (agevolati dai tempi assai lunghi) si voglia “giocare in casa”.
2.3. La scelta della giurisdizione arbitrale.
In materia contrattuale, con alcune limitazioni quali, per esempio, le controversie relative al contratto di lavoro subordinato o parasubordinato, gli ordinamenti giuridici permettono alle parti di optare per l’arbitrato.
L’arbitro è un giudice privato incaricato dalle parti di risolvere una controversia: può trattarsi di un arbitro unico oppure può trattarsi di un collegio arbitrale composto da tre membri, uno nominato da ciascuna parte e il terzo, il presidente, nominato da due arbitri.
L’espressione “arbitrato commerciale internazionale” ha portata descrittiva e atecnica prima che giuridica, poiché richiama un fenomeno di origine sociale emerso trasversalmente agli ordinamenti statuali, creato da un gruppo economico omogeneo (il ceto mercantile) per evitare il ricorso alle giurisdizioni statuali nelle liti commerciali legate a piu’ ordinamenti.
Se originariamente il fenomeno non godeva, a livello statale, di autonomia normativa, e risentiva della diffidenza che spesso si
esprimeva nella rigida regolamentazione della procedura e/o nell’ approfondito controllo del decisum, le istanze degli operatori integrate dagli interessi ad ampliare l’autonomia negoziale delle parti e ad attenuare l’ingerenza statuale sulle “liti commerciali internazionali” sono sfociate nelle due Convenzioni internazionali: quella di New York del 10 giugno 1958, e quella di Ginevra del 21 aprile 1961 che rappresentano, assieme agli ordinamenti nazionali ed alla volontà delle parti quale espressa nel particolare contratto, le fonti della disciplina dell’arbitrato internazionale.24
Va, peraltro, menzionata anche la c.d. legge modello UNCITRAL la quale, se introdotta con legge nei singoli ordinamenti, è destinata a fornire una completa ed autonoma disciplina dell’arbitrato, assicurando, allo stesso tempo, un’uniformità di regolamentazione negli ordinamenti stessi.25
Passando ad esaminare le principali caratteristiche che differenziano tale istituto dalla giurisdizione ordinaria, ci si accorgerà facilmente, nel prosieguo della trattazione, che i motivi che spingono le parti private, specie se localizzate in Paesi diversi, a derogare la competenza (o giurisdizione) del giudice ordinario e affidare ad arbitri la cognizione delle loro liti, future o già insorte, sono molteplici, e vanno dalla considerazione di aspetti peculiari delle singole vicende a ragioni piu’ ampie e generalizzate.
24 Per quanto riguarda le convenzioni internazionali, si rinvia a Luzzatto, Accordi internazionali e diritto interno in materi adi arbitrato; la Convenzione di New York del 1958, in Riv. Dir.int.priv. e proc., 1968, p. 25 e ss.; Bernin, Lezioni di diritto dell’arbitrato, Bologna, 1992, p. 12 e ss.
25 La Legge Modello è un’indicazione rivolta agli Stati per la riforma della legislazione interna in materia di arbitrato, non avendo una propria efficacia giuridica. Il testo è stato significativamente influenzato dalle soluzioni adottate nelle precedenti Convenzioni. Cfr. Cecchella, L’arbitrato, Torino, 2005, p. 308.
Cominciando da queste ultime, un assunto sempre ribadito, tanto da sembrare oggi stereotipato, quasi obsoleto, è che l’arbitrato assicura un risultato, quindi una decisione, in tempi comparativamente assai piu’ rapidi rispetto alla ordinaria giustizia civile.
Il commercio internazionale, peraltro, è fisiologicamente caratterizzato da rapidità e necessità di sollecite risposte e certo non può attendere l’esito di procedimenti giudiziari tanto lunghi quanto complessi.
In quanto giudizio che si svolge al di fuori del “pianeta giustizia” (inteso in senso di strutture ed organizzazione tecnico-burocratiche), esso è svincolato da molti dei formalismi tipici del giudizio civile ordinario, che è affidato a professionisti del settore non certo oberati da un numero eccessivo di cause (piccole o grandi che siano): proprio sotto questo aspetto l’arbitrato mostra tutta la sua potenzialità ed opportunità.26
Un altro fondamentale vantaggio della giurisdizione arbitrale è legato alla possibilità, per le parti, di incaricare direttamente un professionista esperto, non necessariamente un giurista, qualora si tratti di una controversia tecnica.
Con l’arbitrato le parti possono subito individuare la persona o le persone piu’ adatte per dirimere il loro specifico contrasto: se si tratta di un problema, in ipotesi, che impone cognizioni extragiuridiche, ben potrà il collegio arbitrale comporsi anche di ingegneri, periti e via dicendo.
Il giudice ordinario, invece, necessita spesso di un adeguato supporto tecnico, che può ottenere rivolgendosi all’ausilio di consulenti d’ufficio: ciò si traduce non solo in una ulteriore inevitabile perdita di tempo, ma anche in una più ardua (per lo stesso giudice) definizione
26 Cfr. Borio, L’arbitrato nel commercio internazionale, Milano, 2003, p. 106.
della lite poiché egli dovrà poi far proprie le conclusioni del consulente tecnico nella sentenza che andrà a pronunciare.
Agli arbitri, poi, è istituzionalmente piu’ agevole l’accesso a un giudizio c.d. equitativo, che prescinde dalla stretta applicazione delle norme di diritto per risolvere la fattispecie secondo una giustizia sostanziale piu’ che formale, tanto da riuscire spesso a riavvicinare le parti in causa fino a quello che autorevolmente è stato definito il “point of same insatisfaction”, una decisione cioè che non riuscendo a soddisfare le pretese di tutti i litiganti, nondimeno si faccia da questi accettare perché contempera i rispettivi vantaggi e sacrifici, pur individuando il torto o la ragione.27
Altro motivo tradizionale che raccomanda la scelta arbitrale è l’esigenza di mantenere quanto piu’ possibile riservate talune controversie, proprio in campo commerciale ed internazionale. In effetti la giustizia civile ordinaria questo non può (e non deve!) garantire, salvi i casi così delicati da potersi definire piu’ che marginali, con il risultato che spesso la rottura fra le parti diviene insanabile proprio perché esposta al pubblico, oppure che le situazioni di conflitto provochino reazioni indirette, non volute ma inevitabili, una volta che i terzi siano a conoscenza dell’esistenza di determinati contrasti societari.28
27 Cfr. Ago, Dai dati dell’esperienza un auspicio per il futuro, in AA.VV.,
L’arbitrato: un servizio per l’impresa, Xxxx, 0000. L’esempio classico che viene utilizzato, nei paesi anglosassoni, per evidenziare tale aspetto, è quello dell’albero di arance conteso da due parti, una delle quali opera nel settore della produzione di bevande, e l’altra in quello caseario (nella specie, produzione di marmellata). Il giudice ordinario, non potendo svolgere un ruolo “attivo” di indagine, legato com’è alle norme giuridiche, dovrebbe stabilire a chi spettano i frutti di quell’albero accertando chi è il proprietario del terreno sopra il quale lo stesso albero sorge; l’arbitro internazionale, invece, potendo indagare anche sulla volontà e sui bisogni delle parti, riuscirebbe, piu’ rapidamente, ad “allargare la torta”, stabilendo che la scorza delle arance spetterà a chi intende produrre marmellata, mentre la polpa verrà utilizzata da chi intende produrre aranciate.
28 Gli scenari sono tra i piu’ diversi: dalle quotazioni in Borsa al mercato fuori listino, da i rapporti con clienti e fornitori a quello con i creditori, al “nome” stesso di un
Least but not last, per usare un’espressione propria di quel Paese comunitario in cui si svolgono ogni anno piu’ arbitrati commerciali che in tutto il resto dell’Europa messa assieme29, un’altra ragione per la quale gli operatori ricorrono sempre piu’ frequentemente a giudici privati per la risoluzione delle controversie che derivano da contratti internazionali è quella del piu’ esteso ambito geografico di efficacia del lodo arbitrale.
Numerosissimi sono, infatti, i Paesi che hanno aderito alla piu’ importante Convenzione internazionale in materia (quella di New York): tra questi figurano, infatti, Stati Uniti e Giappone, Russia e Cina, molti Paesi africani e asiatici, Canada e Australia, i Paesi dell’Europa orientale, i Paesi dell’Unione europea.
Si deve ricordare che il lodo arbitrale internazionale ha efficacia di sentenza e non di contratto. Soltanto in Italia, e in pochi altri Stati, è infatti possibile prevedere un procedimento arbitrale (c.d. “arbitrato irrituale”) il cui lodo non decide la controversia in modo definitivo.30
Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di New York si sono impegnati ad eseguire nel proprio Paese, senza ulteriori procedimenti di delibazione, i lodi arbitrali emessi negli altri Paesi sottoscrittori.
Il riconoscimento può essere negato, secondo la Convenzione, soltanto nei seguenti casi:
- quando la scelta di sottoporre la controversia ad arbitrato non risulti da atto scritto, approvato dalle parti;
marchio o di un prodotto che rischia una forte pubblicità negativa se proveniente dalle cronache giudiziarie.
29 Cfr. Xxxx Xxxx, Opening Address, in J. Contract Law, 1992, p. 4.
30 Xxxx’arbitrato itrrituale il lodo è un contratto che le parti si impegnano a rispettare. Nel caso in cui non lo rispettino, la parte che vi ha interesse dovrà, per ottenere l’esecuzione (come per ogni inadempimento contrattuale) iniziare una causa di fronte al giudice civile di primo grado al fine di ottenere una sentenza che abbia valore esecutivo.
- quando una delle parti non aveva i poteri o la capacità di accettare tale scelta;
- quando durante il procedimento arbitrale non siano stati rispettati i diritti di una delle parti;
- quando il procedimento arbitrale risulti irregolare o tale si riveli la nomina degli arbitri;
- quando il lodo sia stato sospeso dall’autorità del Paese in cui si è svolto l’arbitrato;
- quando la materia non fosse sottoponibile ad arbitrato31;
- quando il lodo sia contrario all’ordine pubblico del Paese in cui viene richiesta l’esecuzione.
Passando ad analizzare gli aspetti negativi dell’arbitrato, occorre subito anticipare come questi si riducano essenzialmente a due:
- i costi;
- la necessità di dover tornare al giudice ordinario per gli aspetti che il legislatore gli ha imperativamente delegato e per i quali i giudici privati non hanno spazio alcuno.
Quest’ultima ipotesi si verifica, ad esempio, per l’impugnazione del lodo, per la sua coattiva esecuzione, per la concessione di rimedi cautelari in corso di procedura, per la nomina o sostituzione degli arbitri in mancanza di consenso fra le parti.
Per quel che riguarda i costi della procedura, questi sono solitamente talmente elevati da sconsigliare il ricorso all’arbitrato internazionale per liti di valore inferiore ai 150.000 dollari statunitensi.
Ad onor del vero, però, spesso le parti stesse sono costituite da importanti società e multinazionali, che, come già anticipato,
31 Riguardando, anche solo parzialmente, ad esempio, il diritto fiscale, di famiglia, ecc…
preferiscono l’elemento temporale a quello economico. Inoltre nella realtà quotidiana, la maggior parte dei lodi viene spontaneamente eseguita.
Dunque, alla luce di questi presupposti, quando le parti reputino opportuno ricorrere all’arbitrato commerciale internazionale, esse devono o pattuirlo prima della controversia, in una specifica clausola (clausola compromissoria) o anche dopo l’insorgere della stessa (c.d. compromesso).
Nella redazione della clausola compromissoria è consigliabile indicare la sede dell’arbitrato, la lingua nella quale la procedura dovrà svolgersi32, il numero degli arbitri che dovranno decidere la controversia e, infine, le modalità di nomina di tali arbitri nonché le regole secondo le quali essi dovranno condurre la procedura.
Nel caso in cui le parti intendano scegliere quale sede dell’arbitrato l’Italia, si deve qui anticipare che i motivi di impugnazione dei lodi arbitrali internazionali previsti dall’art. 838 del codice di procedura civile italiano, con la recente riforma, che ha soppresso il capo dedicato all’arbitrato internazionale, con tendenziale estensione della relativa disciplina all’arbitrato interno, sono gli stessi di quelli previsti per i lodi pronunciati in arbitri interni (art. 829-831 c.p.c.)33 i quali, a loro volta, sono piu’ limitati di quelli previsti per le sentenze civili (artt. 323- 408).
Per quanto riguarda il numero degli arbitri, le modalità di nomina degli stessi e le regole di procedura, le parti possono indicare nella
32 E’ opportuno, a tal proposito, evitare Paesi non aderenti alla Convenzione di New York.
33 Gli articoli inseriti nel codice di rito con la L. 5 gennaio 1994, n. 25, e regolanti l’arbitrato internazionale, sono stati abrogati dall’art. 28 del D. lgs. n. 40/2006.
clausola compromissoria le piu’ varie soluzioni, salvo rispettare le norme di ordine pubblico processuale del Paese in cui ha sede l’arbitrato.
I casi in cui le parti determinano autonomamente gli elementi sopra indicati vengono detti “arbitrato ad hoc”; questo tipo di arbitrato presenta un certo numero di inconvenienti, quali:
- il fatto che la conduzione della procedura arbitrale sia lasciata alla gestione di soggetti (gli arbitri) che le parti hanno scelto per le loro competenze tecniche nella materia della controversia e non per le loro abilità organizzative.35
Se ciò può non avere gravi conseguenze su di un arbitrato interno, in cui le parti e gli arbitri appartengono allo stesso ambiente, comprensibilmente maggiori saranno le difficoltà quando gli arbitri e le parti appartengono a Paesi tra loro anche molto lontani per lingua e cultura.
Per ovviare agli inconvenienti appena illustrati è possibile ricorrere all’arbitrato amministrato. Con tale espressione si intende l’arbitrato nel quale le parti affidano ad una specifica istituzione (corte arbitrale o camera arbitrale) le modalità di nomina degli arbitri, la
34 L’arbitrato ad hoc nasce e si esegue in forza di un rapporto “fiduciario” fra le parti, nel senso che se tutte si comportano correttamente, non sorgono di regola problemi. Se però così non avviene (si pensi, oltre al summenzionato caso in cui la parte non provveda a nominare il proprio arbitro, all’ipotesi della richiesta di continui rinvii, o di contemporanee azioni su piu’ fronti, arbitrali e giudiziali ordinari) questa forma di arbitrato può venire seriamente inficiata.
35 Nell’arbitrato ad hoc, che è la forma tradizionale del giudizio privato, gli arbitri risultano essere gli unici protagonisti investiti della funzione arbitrale e delle relative vicende processuali. Cfr. Xxxxx, op.cit., p. 119.
regolamentazione della procedura e l’assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi relativi all’organizzazione dell’arbitrato.
La scelta di una determinata istituzione arbitrale comporta altresì il vantaggio di garantire la serietà e la competenza degli arbitri che essa proporrà alle parti, oltre a costituire una sorta di “compromesso geografico” che consente a parti molto lontane di accettare un collegio espresso da un ente che entrambe considerano neutrale.
Tra le istituzioni arbitrali internazionali che, per la loro autorevolezza, si ritengono spesso utilizzabili per la risoluzione delle liti derivanti da contratti commerciali internazionali, spicca senz’altro la Camera di commercio internazionale (Chambre de commerce international, CCI), con sede a Parigi, dove fu fondata nel 1919.
Essa svolge nel commercio internazionale un’attività molto vasta: dalla codificazione degli Incoterms alla pubblicistica, dalla consulenza alla risoluzione delle controversie commerciali.36
Si possono poi ricordare l’American Arbitration Association, con sede in New York, la China International Economic and Trade Arbitration Commission e, nel nostro Paese, l’Associazione Italiana per l’Arbitrato (Aia) con sede in Roma, che costituisce l’ente arbitrale italiano, ad oggi, piu’ conosciuto all’estero.
2.3.1. In particolare: La scelta della giurisdizione arbitrale in Italia.
Anche nel nostro Paese, il ricorso all’istituto dell’arbitrato, per la risoluzione delle controversie commerciali, è sempre piu’ frequente ed intenso.
36 Gli organi permanenti della CCI sono la Corte di arbitrato, il Segretariato e i comitati nazionali.
Per informazioni e aggiornamenti in relazione a tariffe, regolamento e formulari è consultabile on-line il sito xxx.xxxxxx.xxx.
Con riferimento alla disciplina dettata dal nostro codice di rito, si deve subito osservare che sin dalla legge n. 25/1994 l’arbitrato non è piu’ considerato come l’antagonista del processo civile quanto, piuttosto, un percorso alternativo in grado di rispondere alla crescente domanda di giustizia in maniera piu’ flessibile.37
La recentissima riforma dell’arbitrato, appena entrata in vigore grazie al D.lgs. n. 40/2006, mostra di uniformarsi definitivamente a quest’esigenza.
Basti pensare, ad esempio, alla nuova formulazione dell’art. 824- bis, secondo cui “il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria”.38
37 Cfr. Xxxxx-Xxxxx, Diritto processuale civile, Padova, 2000, p. 876:”E’ un grossolano
errore pensare che le parti, attraverso l’arbitrato, usurperebbero una funzione propria ed esclusiva dello Stato, quale è la giurisdizione, e dedurne che solo in quanto lo Stato stesso lo riconosca, l’arbitrato è legittimo”.
38 La differenza, in termini di civiltà giuridica, rispetto all’antico art. 823, comma 4, che attribuiva al lodo non depositato “efficacia vincolante fra le parti”, è abissale. Cfr. Xxxxxxx, Il lodo arbitrale vale, dunque, come sentenza, in Contratto e impresa, 2006, p. 298.
39 In base all’art. 808- ter, c.p.c., le parti, per ottenere un lodo che abbia gli effetti di una composizione negoziale (e non di una sentenza), possono chiarire, nella convenzione di arbitrato, che intendono derogare alla normativa dell’arbitrato rituale. Tale specificazione risulta essenziale in quanto, se le parti non specificano espressamente di voler rimanere su un piano prettamente negoziale, esse saranno vincolate al rispetto della procedura e delle forme previste per l’arbitrato vero e proprio, con il palese rischio di incorrere in vizi suscettibili di ripercuotersi sul risultato utile del lodo.
Le regole applicabili all’arbitrato irrituale sono le seguenti: il lodo finale non deve e non può essere depositato, per averne la dichiarazione di esecutorietà da parte del giudice; ed è annullabile, per effetto di ordinaria azione di cognizione, per una serie tassativa di vizi: (i) convenzione di arbitrato invalida; (ii) pronuncia su conclusioni che esorbitano dai limiti della convenzione, semprechè la circostanza sia
accorge che per molti aspetti il procedimento arbitrale è stato disciplinato come un vero e proprio processo giurisdizionale.
Basti ricordare, ad esempio, che è stata disciplinata una vera e propria fase istruttoria nell’ambito del procedimento arbitrale, con facoltà espressamente attribuita agli arbitri di assumere (congiuntamente o per delega ad uno dei componenti del collegio) testimonianze40, di disporre consulenza tecnica e di chiedere alla Pubblica amministrazione informazioni scritte relative ad atti e documenti necessari nel giudizio (art. 816- ter).
Anche per il regime delle impugnazioni del lodo emerge una sensibile innovazione. Prima della riforma valeva la regola secondo cui “l’impugnazione di nullità è altresì ammessa41 se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti non li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile” (art. 829, comma 2).
Opposta regola vale per il nuovo art. 829, comma 3: ”l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge”, fatta salva solo “l’impugnazione delle decisioni per contrarietà all’ordine pubblico”.42
stata eccepita nel procedimento arbitrale; (iii) irregolarità nella nomina degli arbitri;
(iv) lodo pronunciato da soggetti che non potevano essere nominati arbitri; (v) inosservanza, ad opera degli arbitri, delle regole fissate loro dalle parti come condizione di invalidità del lodo; (vi) inosservanza del principio del contraddittorio).
40 Se un teste non compare, può essere chiesta al Presidente del Tribunale un’ordinanza che disponga la comparizione.
41 Oltre che nei casi previsti dal primo comma, tra cui (i) nullità del compromesso, (ii) lodo pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro e (iii) lodo pronunciato oltre la scadenza prevista.
42 E’ così accolto quel principio in passato vigente solo per l’arbitrato internazionale, “di non interferenza giudiziaria” (così si era espresso Xxxxxx, Assistenza e non interferenza giudiziaria nell’arbitrato internazionale, in Riv. Arbitrato, 1996, p. 481.
Dunque, anche nel nostro Paese potrà scomparire definitivamente, in giurisprudenza, quell’atteggiamento di sfavore nei confronti dell’arbitrato, che rivestirà sempre piu’ incisivamente, come nell’ambito internazionale, la qualità di strumento piu’ idoneo (e preferibile) di risoluzione delle controversie di natura commerciale.43
Dr. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx è nato a Roma il 7.5.1980.
Ha conseguito la Laurea in Giurisprudenza presso l’ Università degli Studi “La Sapienza” in Roma il 15.7.2004 con tesi in Diritto privato comparato, dal titolo “La ‘corporate governance’ alla luce della riforma del diritto societario in Italia e in Inghilterra”.
Nell’ anno accademico 2004-05, sempre presso “la Sapienza”, Facoltà di Economia e Commercio, ha seguito il Master Universitario di II livello in Diritto commerciale internazionale, con tesi finale “Tecniche difensive nelle scalate ostili”.
In agosto 2005 ha partecipato ad una Summer School in Common Law, presso l’ Università di Cambridge, in “English legal methods”.
E’ dottorando di ricerca in Diritto commerciale comparato e uniforme.
E’ iscritto all’ albo dei praticanti avvocati di Roma dal 2004 ed ha conseguito l’abilitazione nel 2005.
43 Dello stesso avviso Xxxxx, La delega sull’arbitrato, in Riv.di diritto proc., 2005, p. 962, il quale rileva che, oltre alla nuova disciplina codicistica, perché l’arbitrato italiano assuma il ruolo che gli spetta nel contesto dell’esperienza internazionale, saranno necessari spirito pragmatico e attenzione a quanto accade al di fuori dei confini del nostro Paese.