UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO”
DIPARTIMENTO DI AFFERENZA RELATORE: DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DI CRITICA DEL DIRITTO
CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA
PROVA FINALE
“IL CONTRATTO DI FRANCHISING: POSIZIONE DI ASIMMETRIA TRA I CONTRAENTI E OBBLIGHI DI INFORMAZIONE DI CUI ALLA LEGGE N. 129 DEL 2004”
RELATORE:
XX.XX XXXX.XXX XXXXXXXXXX XXXXXX
LAUREANDA: XXXXXXX XXXXXX
MATRICOLA N. 1136040
ANNO ACCADEMICO 2018 – 2019
IL CONTRATTO DI FRANCHISING: POSIZIONE DI ASIMMETRIA TRA I CONTRAENTI E OBBLIGHI DI INFORMAZIONE DI CUI ALLA LEGGE N. 129 DEL 2004
INDICE INTRODUZIONE
CAPITOLO 1: L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONTRATTO DI FRANCHISING
1.1 Un’origine discussa
1.2 La legislazione europea
1.3 La legislazione nazionale: la Legge n. 129/2004 quale legge speciale e il relativo iter parlamentare
CAPITOLO 2: UN INQUADRAMENTO GENERALE DEL FRANCHISING ANALIZZANDO LA LEGGE N. 129 DEL 2004
2.1 Le principali classificazioni del contratto di franchising e la sua (frammentata) disciplina ad opera dei codici di condotta
2.2 La Legge n. 129/2004: la disciplina prevista dalla legge italiana. Forma e durata, nullità e annullabilità del contratto
2.3 Uno strumento per le controversie: la conciliazione
CAPITOLO 3: LA POSIZIONE DI ASIMMETRIA TRA I CONTRAENTI E I RIMEDI (PARZIALI) PREVISTI DALLA LEGGE N. 129/2004
3.1 L’asimmetria tra le parti contraenti
3.2 La disciplina della fase delle trattative e la disclosure precontrattuale: la l. n. 129/2004 quale disclosure law
3.3 Gli obblighi a carico dell’affiliante e gli obblighi a carico dell’affiliato
3.4 Il caso “Eco Store Srl”. Informazioni ingannevoli da parte del franchisor e poteri dell’AGCM
CONCLUSIONI
FONTI BIBLIOGRAFICHE
Bibliografia Fonti di soft law
Fonti normative e giurisprudenziali Sitografia
INTRODUZIONE
Il fenomeno del franchising, che in italiano prende il nome di affiliazione commerciale, è presente in ogni settore economico, dall’abbigliamento alla ristorazione, dai servizi bancari, assicurativi e immobiliari fino al ramo del beauty, cura e benessere della persona1. A confermarlo è l’Associazione Italiana del Franchising che dal 2008, in collaborazione con l’Osservatorio Permanente sul Franchising2, analizza le reti attive nel territorio italiano allo scopo di redigere un documento (Rapporto Assofranchising) in cui ne vengono evidenziati i trend statistici. Nel 2017, tra le categorie trainanti spicca la ristorazione, con un aumento delle reti attive del +5,8% rispetto al 2016; in crescita anche il settore del beauty, cura e benessere della persona e quello della grande distribuzione organizzata (GDO). Particolare attenzione si riserva a quest’ultima perché, nonostante rappresenti solo una piccola porzione rispetto al totale del sistema franchising (4,7%), è il settore che incide maggiormente sul fatturato totale (38%). In calo, invece, il settore dell’abbigliamento e dei servizi che registra una diminuzione delle reti pari al -10,7% (26 in meno) rispetto al 2016.3 In totale, grazie agli oltre 52.000 punti vendita degli affiliati e un’occupazione di circa 200.000 addetti, il sistema franchising genera un giro d’affari pari a 25 miliardi di euro, in crescita del 2,6% rispetto al 2016. Anche Xxxxxxx Xxxxxxx
– presidente del Salone Franchising Milano, la fiera professionale numero uno in Italia che quest’anno giunge alla sua 34° edizione – sottolinea come gli espositori, nel 2017, siano aumentati del 15% e i metri quadri ad essi dedicati del 18%, accogliendo anche operatori esteri come la Chic Investment Group, gruppo cinese che si occupa di sviluppo retail e mall4.
Giuridicamente, con il contratto di franchising due soggetti, economicamente e giuridicamente indipendenti, avviano una collaborazione diretta alla commercializzazione e alla distribuzione di beni e/o servizi che abbiano i medesimi segni distintivi. Se da una parte vi è il franchisor o affiliante, dall’altra si trova il franchisee o affiliato: il primo, essendone il proprietario, concede al secondo la disponibilità di un marchio, di un’insegna, di un know-how o, in generale, di un insieme di diritti di proprietà intellettuale o industriale, dietro il pagamento di una serie di corrispettivi. Quest’ultimi, suddivisi in entry fee, versati una tantum a titolo d’ingresso, e royalties, con cadenza periodica. Entrambi rappresentano l’obbligazione pecuniaria posta in capo all’affiliato come contropartita a quanto gli è concesso dall’affiliante.
1 Anche l’art. 1, comma 2, della legge n. 129 del 2004, stabilisce che “il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività economica”.
2 Istituto di ricerca dell’Università “La Sapienza” di Roma.
3 Tutti i dati qui riportati sono estrapolati dal “Rapporto Assofranchising 2018 – Strutture, Tendenze e Scenari”.
4 Scarci E. 2017.
È per queste ragioni che il contratto di affiliazione commerciale è definito quale contratto a prestazioni corrispettive, in quanto ciascuna delle due parti assume la propria obbligazione esclusivamente se, a sua volta, l’altra si obbligherà ad eseguire una prestazione in suo favore: le prestazioni dovute sono, pertanto, tra loro connesse (Villafrate A., 2018). Si instaura quindi una rete contrattuale ad integrazione verticale, la cui essenza s’identifica nella concessione del franchisor ai vari franchisees di un metodo produttivo e/o distributivo: le imprese affiliate utilizzano infatti, nell’esercizio della propria attività economica, il metodo imprenditoriale dell’affiliante (Xxxxxxxxxx C., 2016).
L’importanza e il successo dell’affiliazione commerciale, tale da essere considerata uno dei modelli di business più dinamico e diffuso a livello mondiale, non sono casuali ma si spiegano grazie alle molteplici potenzialità che tale strumento offre alle imprese. È un contratto flessibile poiché si adatta alle più disparate realtà economiche, consentendo al franchisor una più efficace penetrazione di quei mercati che, egli stesso, per ragioni economiche o distributive, non sarebbe mai riuscito a servire. Grazie a uno sviluppo tradizionale, ossia sfruttando l’apertura di punti vendita gestiti direttamente dall’affiliante, non si realizzerebbe quella crescita esponenziale tipica dell’affiliazione (snowball effect), misurata in termini di clienti raggiungibili e di quota di mercato detenuta. Dunque, il franchising permette all’azienda madre
– il franchisor – di intensificare e migliorare la distribuzione dei propri prodotti e servizi, aumentando il valore del proprio brand e mantenendo gli standard qualitativi e professionali che contraddistinguono la sua fama. Tutto ciò ha senza dubbio un effetto positivo anche per gli affiliati i quali, a fronte del sostenimento di una serie di costi, potranno godere e utilizzare un modello di business e un patrimonio di conoscenze ed esperienze imprenditoriali già sperimentate con successo sul mercato. In tal modo, per i franchisees si riducono notevolmente gli investimenti e i rischi legati all’avviamento di una nuova attività imprenditoriale, godendo, ancor prima di dare vita alla propria impresa, di una buona reputazione aziendale (Sommacal A., 2015). Se da un lato i franchisee vedono ridursi gli investimenti in costi organizzativi e di marketing, dall’altro per l’affiliante si può parlare di ripartizione parziale del rischio d’impresa: rimangono infatti in capo a ciascun affiliato gli investimenti in costi fissi e i costi di gestione dell’attività, quali, a titolo d’esempio, l’investimento iniziale per gli spazi dedicati al punto vendita, i costi per la scelta della location e quelli legati alla gestione del personale. L’accollo di questi costi stimola senz'altro gli affiliati ad una maggiore attenzione alle relative decisioni imprenditoriali.
Fra gli scopi principali del franchising vi è quello di uniformare l’intera rete di vendita in modo tale che per il consumatore finale, ai fini della qualità del bene acquistato e/o del servizio ricevuto, sia irrilevante il punto vendita in cui rivolgersi, assicurando una situazione di
indifferenza tra l’affiliante e uno qualsiasi degli affiliati. In questo modo, agli occhi dell’cliente si crea un’immagine omogenea della rete, in cui però è necessario definire accuratamente le clausole contrattuali. Ogni franchisee è tenuto ad applicare rigorosamente tutte le direttive impartitegli dal franchisor: l’arredamento del locale, l’abbigliamento del personale di vendita, le tecniche di distribuzione e le campagne pubblicitarie, per esempio, sono tutte imposte dall’affiliante. Questo potere unilaterale di definizione delle strategie attribuito al franchisor, nonostante sia una peculiarità propria di questa formula contrattuale e quindi assolutamente legittima, ha inevitabilmente delle ricadute sull’autonomia dell’affiliato nella gestione della propria impresa5: si crea un certo grado di dipendenza dall’affiliante e dalle sue politiche, con conseguenti sensibili ricadute sulle attività e sui risultati di ogni franchisee. Per queste ragioni, si può affermare che il metodo imprenditoriale è trasmesso dal franchisor a ogni singola azienda affiliata secondo un procedimento di tipo top-down, “come se calasse dall’alto”. Al contrario, in un procedimento di tipo bottom-up, “dal basso”, le imprese in essa partecipanti operano in una posizione di sostanziale parità e collaborano per l’accrescimento della rete stessa, come in un contratto di rete. Anche in capo all’affiliante vigono determinati obblighi funzionali a garantire l’omogeneità della rete: all’affiliato dovranno essere riconosciute consulenza e assistenza tecnica costanti, nonché l’affiancamento e la formazione continua del personale dei propri punti vendita. Un’azienda modello è McDonald’s, la quale organizza per le nuove imprese affiliate un corso della durata di due settimane presso la Hamburger University, negli Stati Uniti, per spiegare ai rispettivi dipendenti come utilizzare le attrezzature in modo adeguato e per aiutarli ad apprendere le modalità di gestione del punto vendita. La costituzione di una rete in franchising richiede quindi investimenti significativi in termini di aggiornamento e formazione, supervisione delle imprese franchisees e un’attenta valutazione delle capacità professionali e imprenditoriali dei propri partner.
Come tutte le realtà economiche, anche quella dell’affiliazione commerciale presenta alcune criticità. Il Professor Xxxxxx Xxxxx sostiene che “dalla casistica giurisprudenziale non affiora quella che può fondatamente ritenersi, almeno nel nostro Paese, la principale causa della conflittualità [tra franchisor e i possibili franchisee]: l'impossibilità … di conseguire i risultati economici attesi dall’affiliato” (Milano, 2005). Infatti, una bad performance dell’affiliato genera indirettamente effetti negativi anche sull’immagine del brand di cui l’affiliante è proprietario. Una accurata pianificazione e check-up periodici dell’intero sistema
5 Vi possono essere, per esempio, clausole che impongono limitazioni alla disciplina dei prezzi praticati per la vendita.
sono quindi elementi la cui presenza è incontestabile per la realizzazione di una rete funzionale alle esigenze di entrambe le parti.
Il presente elaborato cerca di studiare il fenomeno adottando uno spirito critico, evidenziandone le problematicità della sua parziale regolamentazione e le relative soluzioni previste dalla normativa nazionale e dalle Organizzazioni internazionali e Associazioni private. A tal proposito, con l’introduzione si sono esposte, a titolo non esaustivo, le ragioni per le quali due soggetti economici siano spinti alla stipulazione di tale contratto, sottolineando la necessità di una attenta analisi delle potenzialità e dei rischi ad esso connessi. Nel primo capitolo verrà descritta l’evoluzione storica del contratto di franchising a partire dalle sue origini, ancora oggi discusse, analizzandone la sua regolamentazione in Europa e in Italia, soffermandosi in particolare sull’iter parlamentare che portò alla promulgazione della Legge Italiana n. 129 del maggio 2004. Il secondo capitolo mira ad individuare le principali classificazioni del contratto in esame e, contemporaneamente, analizza il contenuto della disposizione nazionale con riguardo a forma, durata, nullità ed annullabilità. Infine, nel terzo capitolo si evidenzierà la rilevanza dell’informazione precontrattuale e i conseguenti obblighi di informazione a carico delle parti previsti dalla normativa italiana, per ovviare alle cosiddette situazioni di asimmetria.
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONTRATTO DI FRANCHISING
1.1 Un’origine discussa
1.2 La legislazione europea
1.3 La legislazione nazionale: la Legge n. 129/2004 quale legge speciale e il relativo iter parlamentare
1.1. Un’origine discussa
L’origine del contratto di affiliazione commerciale non è riconducile ad un preciso avvenimento storico, il suo primo utilizzo risale al Medioevo quando, con questo termine, si indicavano le concessioni e le libertà economiche riconosciute a Stati o a cittadini da parte del Sovrano: in questo modo si diventava “franchi”, cioè indipendenti economicamente dalle decisioni del regnante. Il termine inglese “franchising” deriva dal francese “franchise”, la cui traduzione italiana è “franchigia”. La sua prima apparizione con le caratteristiche simili a quelle che oggi conosciamo risale, invece, agli inizi dell’Ottocento con il “contratto della birra”6, diffuso nel Nord Europa e negli Stati Uniti proprio nel XIX secolo (Zanelli E., 1977).
Come spiega il Professor Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, per rinvenire al luogo di nascita di questa formula contrattuale gli esperti si muovono lungo due direzioni: per alcuni l’affiliazione commerciale prende vita negli Usa, per altri, invece, le prime forme di franchising nascono in Francia. I sostenitori dell’origine americana vedono come pionieri i “gerenti associati”7, facenti capo all’imprenditore statunitense Xxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, e le grandi società americane, quali Singer, General Motors e Coca Cola. Queste, con lo scopo di raggirare le normative antitrust che tra le altre cose impedivano agli imprenditori di integrarsi verticalmente a valle, stipulavano contratti con i loro rivenditori per creare un’unica rete commerciale che vendesse prodotti e servizi identici agli occhi del consumatore. La tesi francese sostiene invece che il fenomeno sia nato quando l’imprenditore Xxxx Xxxxxxxx, titolare del lanificio di Roubaix, creò insieme al suo team la prima catena di magazzini specializzata nella vendita di lane da lavorare a maglia, la “Laines du Pingouin”8. I contratti stipulati con i piccoli dettaglianti indipendenti
6 Il c.d. contratto della birra veniva stipulato tra i produttori di birra olandesi e scozzesi e i rivenditori e/o distributori locali: questo permetteva ai primi l’entrata nel mercato statunitense, indicando i soli punti vendita oltreoceano autorizzati per la commercializzazione dei prodotti europei.
7 Un gerente è colui che gestisce un ufficio, un’impresa o un’attività altrui o, in generale, chi amministra beni o affari di altri.
8 All’inizio della Seconda guerra mondiale, la rete Pingouin contava ben 350 franchisees (P. Devasini, 1990).
garantivano l’esclusività del marchio in una determinata zona territoriale, richiamando alcune peculiarità proprie del franchising. L’unico elemento in comune è il periodo: i primi contratti si riscontrano negli anni ’30 del XX secolo.
In Italia, tuttavia, l’affiliazione commerciale appare solamente negli anni ’70, grazie all’azienda di distribuzione Gamma D.I. che nel 1970, a Fiorenzuola d’Arda (Piacenza), inaugurò il primo punto vendita gestito direttamente da un affiliato. Lo schema contrattuale adottato dalla società in questione rimanda a elementi tipici dell’attuale contratto come l’assistenza tecnica in favore dell’affiliato per l’allestimento del negozio e la formazione del personale direttivo e di vendita. La società Gamma selezionava attentamente i potenziali affiliati, richiedendo che i loro negozi avessero una superficie di vendita di almeno 350m2 e la loro attività un capitale iniziale di 25/30 milioni di lire (Società Quadrante-franchising).
1.2. La legislazione europea
A livello comunitario, il fenomeno del franchising è stato in più occasioni analizzato dagli Organi competenti in materia al fine di individuarne le caratteristiche essenziali. Una sua definizione, forse anche la più completa, è contenuta nel Regolamento CEE n. 4087 del 30 novembre 1988, il quale definisce l’accordo di franchising come “un accordo col quale un'impresa, l'affiliante, concede ad un'altra, l'affiliato, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising9 allo scopo di commercializzare determinati tipi di beni e/o servizi”10. L’articolo prosegue indicando alcuni degli obblighi in capo ai contraenti che devono essere necessariamente presenti nel contratto11.
La Commissione europea fu spinta all’identificazione di norme che regolassero il fenomeno grazie al contributo della Corte di giustizia europea. In mancanza di un’accurata disciplina, gli accordi di affiliazione commerciale sarebbero potuti essere in contrasto con il principio della libera concorrenza, punto fermo e inviolabile del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TUFE): la libertà di iniziativa economica è sensibilmente difesa
9 Regolamento n. 4087/88, art. 1, n. 3, lett. a): “per franchising si intende un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d'autore, know-how o brevetti da utilizzare per la rivendita di beni o per la prestazione di servizi ad utilizzatori finali”.
10 Regolamento n. 4087/88, art. 1, n. 3, lett. b).
11 Regolamento n. 4087/88, art. 1, n. 3, lett. b): “esso [il rapporto di franchising] comprende almeno gli obblighi connessi:
- all'uso di una denominazione o di un'insegna commerciale comune e di una presentazione uniforme della sede e/o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto,
- alla comunicazione da parte dell'affiliante all'affiliato di un know-how,
- alla prestazione permanente, da parte dell'affiliante all'affiliato, di un'assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell'accordo”.
all’articolo 101, il quale evidenzia come siano “vietati tutti gli accordi tra imprese, …, e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune …”. La pressione esercitata dalla Corte europea nacque in seguito al caso “Pronuptia” del gennaio 1986. La società tedesca di Francoforte sul Meno, operante nel settore degli abiti nuziali, a seguito del mancato pagamento delle royalties da parte di una delle sue società affiliate, decise di adire l’autorità giudiziaria per richiederne la condanna al pagamento. In risposta, la società affiliata, la Pronuptia de Paris Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx, sita ad Amburgo, invocava la violazione in tema di libera concorrenza, lamentando un eccessivo controllo da parte del franchisor. Interrogata sulla questione, la suprema Corte concluse ritenendo che determinate restrizioni intimate dalla casa madre fossero legittime, vale a dire necessarie per la configurazione del sistema. Per esempio, il contratto stabiliva che “la concessionaria [società affiliata] è tenuta a considerare i prezzi suggeriti dalla concedente [società affiliante] … ai fini della rivendita, restando tuttavia libera di fissare i prezzi di rivendita”: per la Corte, non si tratterebbe di una restrizione della concorrenza in quanto non vi è una esplicita previsione del prezzo effettivo. La Corte indicò contemporaneamente anche le clausole considerate contrarie alla normativa, sostenendo che “le clausole che ripartiscano i mercati fra concedente e concessionari o fra concessionari costituiscono restrizioni della concorrenza”. Con questa sentenza, i Giudici comunitari stabilirono la non applicabilità del TUFE agli accordi di franchising, aggiungendo che “in ogni caso”, continua la sentenza, “la compatibilità dei contratti … dipende dalle clausole che essi contengono e dal contesto economico nel quale essi si inseriscono”.
Minore importanza è attribuita al successivo Regolamento n. 2790 del 22 dicembre del 1999, con il quale si provò a regolamentare tutti gli accordi verticali di distribuzione (franchising compreso) e di semplificare le normative esistenti in materia, ritenendo che il comportamento del franchisor ha senza alcun dubbio notevoli influenze sul comportamento degli altri ad esso sottoposti.
0.0.Xx legislazione nazionale: la Legge n. 129/2004 quale legge speciale e il relativo iter parlamentare
Il fenomeno del franchising prende piede nel quadro normativo italiano a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il 24 maggio 2004, della Legge n. 129 del 6 maggio 2004 recante “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”. La Giurisprudenza e la realtà economica del tempo dimostrano tuttavia come il fenomeno fosse già diffuso nel Paese. Il
procedimento legislativo, o iter legis, fu avviato su iniziativa dei senatori Xxxxxx, Gruosso, Xxxxxxxx e Xxxxxx “allo scopo di offrire un quadro di regole che consentissero, in primo luogo, la trasparenza nei rapporti di franchising e per evitare il rischio della moltiplicazione di situazioni gestionali e finanziarie non solide che potessero coinvolgere decine di piccoli imprenditori, se non opportunamente tutelati” (Disegno di legge n.19/2000, Senato della Repubblica). Xxxx portò all’introduzione della l. n. 129/2004 come legge speciale: secondo l’ordinamento giuridico italiano, per legge speciale si intende quella legge che regola particolari situazioni o materie generalmente rivolte a una categoria di soggetti ben identificata12.
In Italia, il franchising si era sviluppato in assenza di un quadro legislativo di riferimento: la conseguente esigenza di una regolamentazione nacque soprattutto per rispondere alle difficoltà avvertite dal mondo delle imprese. Il sopracitato d.d.l. si compone di nove articoli: l'articolo 1 si occupa di enucleare alcune definizioni come il concetto di franchising, affiliante e affiliato, know-how, diritto d'ingresso e royalties; l'articolo 2 detta le norme per la costituzione di una rete di franchising, al fine di evitare che l’affiliante immetta la propria formula sul mercato senza averla sperimentata a sufficienza, definendone alcuni contenuti essenziali a pena di nullità; l'articolo 3 istituisce l'elenco delle imprese con attività di franchising presso le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; l'articolo 4 stabilisce gli obblighi dell'affiliante mentre l’articolo 5 fissa gli obblighi in capo all'affiliato; infine, gli articoli 6, 7, 8 e 9 sono dedicati al comportamento di lealtà e correttezza che devono adottare le parti, alla conciliazione in caso di controversie, all'annullamento del contratto ed alle norme transitorie. Tale proposta di legge fu oggetto di continue modifiche da parte delle Camere prima di giungere alla sua forma definitiva. L’argomento sul quale si incentrò un acceso dibattito legislativo riguardò l’articolo 2 del d.d.l., oggi articolo 3 con rubrica “Forma e contenuto del contratto”. Le disposizioni stabiliscono che “per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale”13, non precisando però per quanto tempo: si rischia così di introdurre nel sistema reti in franchising il cui insuccesso è probabile già dalla loro costituzione. Al contrario, il d.d.l. n.19/2000 richiedeva espressamente due anni di esperienza e due punti vendita come requisito per la costituzione di
12 Per legge ordinaria, invece, si intende l’atto normativo adottato dall’organo legislativo, secondo la procedura costituzionalmente prevista. Il rapporto tra leggi speciali e ordinarie è regolato dal principio de “lex specialis derogat legi generali, lex posterior generalis non derogat legi priori speciali”: la legge speciale deroga quella generale, la legge generale posteriore non deroga la precedente legge speciale, proprio perché la ratio è quella di istituire leggi preposte a regolare una particolare circostanza.
13 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 3, numero 2.
una nuova rete14. Questa previsione non è stata mantenuta nel testo definitivo di legge, forse perché troppo gravosa per gli affilianti, anche se molto garantista per gli affiliati (Visconti G., 2012). Nel suo breve commento alla normativa per la disciplina dell’affiliazione commerciale15, la Dott.ssa Xxxxx Xxxxxxxxx, Coordinatrice Nazionale della Federazione Italiana Franchising o Federfranchising, spiega come l’eliminazione del termine minimo di sperimentazione potrebbe entrare in contrasto con altre esplicite previsioni della legge in oggetto: l’articolo 1, comma 3, lettera b), prevede che l’affiliato al momento della stipula del contratto versi una cifra a titolo di diritto d’ingresso16, e contemporaneamente, lo stesso articolo alla lettera c), stabilisce che l’affiliante può richiedere all’affiliato anche il pagamento delle royalties17. Risulterà però estremamente difficile e pericoloso quantificare e specificare le modalità di calcolo di tali somme senza aver sufficientemente sperimentato una formula di franchising sul mercato. Inoltre, l’articolo 4 alla lettera a) ed e) obbliga l’affiliante a comunicare all’affiliato alcuni dati economici (quali la copia del suo bilancio d’esercizio e l'indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati) relativi ad almeno tre anni di esercizio precedenti18: non è chiaro perché inserire questo riferimento temporale quando, in relazione alla sperimentazione, non vi è alcun richiamo agli anni necessari per la costituzione di una nuova rete.
Anche l’European Franchise Federation (EFF)19 identifica il business format del contratto di franchising come “the reiteration/duplication of a successful formula that implies that the formula has first been tested through a pilot/outlet setup by the franchisor or with his support, on a relevant market before being sold as a business proposition; that it has proven itself to be transferable and successfully operable an independent business
14 D.d.l. 30 maggio 2000, n. 19, art. 2, co. 3: “per la costituzione di una rete di franchising l'affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale per un periodo minimo di due anni e con almeno due unità, metà delle quali gestite da affiliati pilota. Nel periodo di sperimentazione, che non può eccedere i tre anni, si applicano i principi stabiliti nella presente legge”.
15 L’elaborato della Dott.ssa è disponibile nel sito ufficiale della Federazione italiana Franchising.
16 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 1, co. 3, lett. b): “nel contratto di affiliazione commerciale si intende: per diritto di ingresso, una cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo della rete, che l'affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale”.
17 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 1, co. 3, lett. c): “nel contratto di affiliazione commerciale si intende: per royalties, una percentuale che l'affiliante richiede all'affiliato commisurata al giro d'affari del medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche”.
18 La Legge stessa prevede che, qualora l’attività dell’affiliante non abbia tre anni di sperimentazione sul mercato, tali comunicazioni debbano essere fornite dalla data di inizio dell'attività stessa.
19 Sul sito ufficiale dell’EFF si legge: “La Federazione Europea del Franchising rappresenta il principale difensore dell'industria del franchising in Europa (…); è la sola piattaforma di adesione europea di e per le associazioni di franchising nazionali impegnate (…) a condividere le migliori pratiche tra le varie associazioni di franchising accreditate” (mia traduzione).
entrepreneur/operator”20. Al contrario, alcuni autori ritengono che il Legislatore non avrebbe potuto definire previamente la durata della sperimentazione in quanto questa varia anche in relazione alle aspettative dell’affiliato; in ogni caso, il limite minimo di sperimentazione potrebbe dirsi non rispettato quando l’iniziativa commerciale è preceduta esclusivamente da una mera indagine di mercato (Cian M., 2004).
Il Legislatore conosce la sperimentazione circa il prodotto e/o servizio che si intende distribuire e circa la gestione dell’intera rete. Questa può essere condotta personalmente dall’affiliante o ci si può avvalere di soggetti terzi, in questo caso si parla di sperimentazione attuata tramite il contratto di pilotage. Grazie all’apertura di un punto vendita pilota il (potenziale) franchisor mette alla prova la propria formula imprenditoriale verificandone la validità, analizzando il mercato in cui intende lanciarla soffermandosi in particolare sull’andamento della potenziale domanda e sulla reazione della concorrenza, nonché mettendo a punto, per esempio, la politica dei prezzi e le strategie di approvvigionamento.
20 In aggiunta, la Federazione stabilisce che “successful implies that the formula/system has been tested with success and affords tangible opportunities of success to its franchisees”.
CAPITOLO 2
UN INQUADRAMENTO GENERALE DEL FRANCHISING ANALIZZANDO LA LEGGE N. 129 DEL 2004
2.1 Le principali classificazioni del contratto di franchising e la sua (frammentata) disciplina ad opera dei codici di condotta
2.2 La Legge n. 129/2004: la disciplina prevista dalla legge italiana. Forma e durata, nullità e annullabilità del contratto
2.3 Uno strumento per le controversie: la conciliazione
2.1 Le principali classificazioni del contratto di franchising e la sua (frammentata) disciplina ad opera dei codici di condotta
In relazione all’attività economica in concreto esercitata dall’impresa affiliata si possono individuare tre principali classificazioni del franchising. Nel franchising di distribuzione, l’affiliato si limita a distribuire al consumatore finale i prodotti precedentemente realizzati e fornitigli dall’affiliante, dietro il pagamento di un corrispettivo. Le grandi aziende automobilistiche, per esempio, accordano a imprenditori la licenza per la vendita della proprie auto. Allo stesso modo, il franchising di servizi prevede che il franchisee eroghi autonomamente un determinato servizio alla clientela seguendo però attentamente le direttive impartite dal franchisor, il quale ne progetta le caratteristiche. Rientrano in questa tipologia il franchising bancario, della consulenza e intermediazione immobiliare, nonché quello alberghiero e della ristorazione fast-food. Infine, nonostante la sua poca diffusione, esiste anche il franchising industriale o di produzione con il quale l’affiliato si impegna a produrre un determinato bene che rispetti le indicazioni dall’affiliante al quale sarà in seguito esclusivamente venduto il prodotto.
Il fenomeno del franchising può essere analizzato anche osservando i rapporti che intercorrono tra la casa madre e i singoli franchisees. Quando il franchisor desidera espandere la propria rete – spiegano il Professor Xxxxxxx-Xxxxx X., la Prof.ssa Xxxxxx Xxxxxxxx X. e il Professor Xxxxxxx X. – può stipulare un nuovo contratto con un nuovo franchisee oppure potrebbe concedere l’apertura di un nuovo negozio ad un franchisee già esistente21. La prima
21 Nell’elaborato “Multi-unit versus single-unit franchising: assessing why franchisors use different ownership strategies” si legge: “When franchisors decide to expand their networks through franchised units, two alternatives arise: a franchisor may grant a new outlet to a new franchisee (single-unit franchising (SUF)) or a new outlet to an existing franchisee (multi-unit franchising (MUF))”.
strategia, denominata Single-Unit Franchising (SUF), la più semplice e diffusa, prevede che l’affiliante abbia rapporti diretti con i singoli affiliati, mantenendo un controllo sull’operato di quest’ultimi relativamente basso. Per ovviare a tale problematica, il franchisor potrebbe incaricare direttamente un unico franchisee di controllare determinati punti vendita operanti tutti in una medesima area geografica, come un’intera provincia o regione: seguendo questo modello chiamato Multi-Unit franchising (MUF), un singolo affiliato possiede a sua volta più punti vendita (point of sales), realizzando un rete generalmente più uniformata agli standard richiesti.
Oltre che per le caratteristiche del servizio prestato, del bene prodotto e distribuito ovvero delle strategie adottate per espandersi, il contratto di affiliazione commerciale è classificabile in ragione del particolare atteggiarsi del rapporto rispetto al modello più diffuso nella pratica (Toscano G., 2010). Il master franchising è il contratto stipulato tra un affiliante, o master franchisor, il quale concede dietro corrispettivo il diritto di sfruttare un’affiliazione commerciale, e un affiliato principale, o master franchisee: quest’ultimo è tenuto ad agire in nome e per conto dell’affiliante per stipulare nuovi contratti di affiliazione con soggetti terzi. Vi sono quindi due livelli su cui si sviluppa l’affiliazione: il primo è quello rappresentato dal contratto principale tra affiliante e affiliato principale il quale diventa a sua volta affiliante rispetto ai terzi con cui stipula altri contratti di franchising, formalizzanti il secondo livello. In questo modo si crea una sottorete facente capo all’affiliato principale, nonostante venga sfruttata la formula commerciale propria dell’affiliante principale. Questa formula viene chiamata anche franchising internazionale perché utilizzata dall’affiliante che, per supplire alla scarsa conoscenza dei mercati esteri e dei diversi ordinamenti giuridici, decide di affidarsi a un soggetto in loco. Per contro, il corner franchising, o franchising parziale, presuppone che l'affiliato abbia già un'attività commerciale esistente e che all’interno della stessa venga individuata un’area destinata alla vendita esclusiva di prodotti e/o servizi dell’affiliante. La l.
n. 129/2004 stabilisce che a entrambe le classificazioni sopra descritte si applicano le disposizioni in tema di affiliazione commerciale22.
Il franchising rappresenta oggi una realtà in continua crescita ma non interamente regolamentata. Lo dimostra la nascita di molteplici codici deontologici adottati dalle Associazioni degli imprenditori e degli Ordini professionali allo scopo di dettare le regole di
22 Art. 2 Ambito di applicazione della legge: “Le disposizioni relative al contratto di affiliazione commerciale, come definito all'articolo 1, si applicano anche al contratto di affiliazione commerciale principale con il quale un'impresa concede all'altra, giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un'affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi, nonché al contratto con il quale l'affiliato, in un'area di sua disponibilità, allestisce uno spazio dedicato esclusivamente allo svolgimento dell’attività commerciale di cui al comma 1 dell'articolo 1”.
condotta a cui gli associati si devono attenere. Un codice deontologico, chiamato anche codice di autodisciplina o di comportamento, è proprio un codice a cui i professionisti, nel caso in esame i franchisor e i franchisees, devono conformarsi nell’esercizio della loro professione. Questi codici rientrano tra le cosiddette fonti di soft-law e per questo non sono dotati di alcuna efficacia vincolante diretta: non essendo il frutto di una formale procedura normativa non rientrano nel sistema delle fonti del diritto. Questi documenti si prefiggono l’obiettivo di individuare gli obblighi a carico dei soci e regolano il contratto di franchising nelle sue parti.
Nella stesura del proprio codice di autodisciplina ogni associazione è libera di predisporre il modello che più la rappresenta, ma di norma ci si ispira al Codice deontologico europeo del Franchising redatto dall’EFF, il quale rappresenta “il codice di autodisciplina del settore specifico a disposizione di tutti gli attori europei dell’industria del Franchising, che cercano una guida di riferimento a livello generale”23. È importante evidenziare come i principi generali, chiari e inequivocabili, di etica contenuti nel documento non sono in contrasto con alcuna legge internazionale e con i diritti fondamentali dell’individuo tutelati dall’Unione Europea24, ma puntano alla creazione di un contesto più efficace e dinamico per il franchising: la stipulazione del contratto improntato su buona fede, fiducia e equità richiede indiscutibilmente la correttezza, la trasparenza e la lealtà tra le parti. Un altro esempio è l’Associazione Italiana del Franchising, chiamata anche AIF o Assofranchising, nata in Italia nel 1971, il cui scopo è quello di rappresentare e difendere i franchisor nel loro insieme e il cui codice deontologico si pone l’obiettivo di adottare regole di comportamento inspirate a principi di correttezza e professionalità per favorire l’instaurazione e lo svolgimento di un corretto rapporto25. Anche in questo caso, la disciplina integra e non sostituisce né si pone in contrasto con le normative di legge e/o di autoregolamentazione26. In Italia, anche Federfranchising con il suo Codice deontologico si impegna a garantire che i propri Soci attengano ai principi fondamentali della cooperazione, del dialogo e dell’equilibrio di diritti e doveri delle parti27.
Infine, a livello mondiale ricoprono un ruolo importante sia il World Franchise Council28, nella cui premessa del Codice deontologico si legge come i principi debbano
23 Art. 4, Premessa del Codice etico del Franchising europeo. 24 Art. 5, Premessa del Codice etico del Franchising europeo. 25 Premessa del Codice deontologico dell'AIF.
26 La Premessa del Codice deontologico di AIF, comma 4, prevede che “Il presente Codice Deontologico integra
- ma non sostituisce né si pone in contrasto con - le normative di legge e/o di autoregolamentazione, vigenti a livello nazionale ed europeo, che devono quindi continuare ad essere scrupolosamente osservate dai Soci”.
27 Premessa Codice deontologico – Federfranchising.
28 Sul sito ufficiale della WFC si legge: “Il World Franchise Council è l'organizzazione globale delle associazioni in franchising che supporta lo sviluppo e la protezione del franchising, promuove la crescita internazionale del
indirizzare a una buona condotta professionale tutti gli attori del sistema franchising29, sia l’Istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato (Unidroit)30, il cui fine è quello di raggiungere l’armonizzazione del diritto internazionale privato.
2.2 La Legge n. 129/2004: la disciplina prevista dalla legge italiana. Forma e durata, nullità e annullabilità del contratto
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 129/2004, anche il contratto di franchising rientra tra i contrati tipici dell’ordinamento nazionale italiano. Questa classificazione indica uno schema contrattuale la cui disciplina è espressamente dettata dal Codice civile o da una Legge speciale, attribuendo alla regolamentazione giuridica un carattere dispositivo. Le regole contenute nel testo di Xxxxx o negli articoli del Codice si applicano alla fattispecie qualora le parti, nell’ambito della loro piena autonomia contrattuale, non ne abbiano stabilite di diverse; tuttavia, all’interno di alcune discipline contrattuali vi sono anche norme inderogabili, cioè regole che non sono in alcun modo modificabili dalle parti.
La definizione di affiliazione commerciale è oggi identificata della Legge n. 129/2004 il cui articolo 1 definisce il contratto di franchising come “il contratto, comunque denominato, tra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti d’autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. Con questa delucidazione il testo normativo tipicizza anche quelle reti che, pur non denominandosi in “franchising”, utilizzano tutti gli elementi tipici ad esso riconducibili.
Una particolare posizione è ricoperta dai c.d. manuali operativi poiché rappresentano gli strumenti grazie ai quali gli affiliati vengono a conoscenza del modus operandi necessario per replicare l’attività dell’affiliante. A questi è affidato il compito di individuare e descrivere
franchising e mira a facilitare le pratiche migliori nella gestione dell'associazione in franchising tra i suoi membri. Mira anche a favorire e incoraggiare lo sviluppo delle associazioni in franchising in Nazioni in cui tale associazione attualmente non esiste” (mia traduzione).
29 I – Preamble of the World Franchise Council’s Principles of Ethics: “they describe good professional conduct amongst the actors in franchising around the world”.
30 Articolo 1 dello Statuto di Unidroit: “The purposes of the International Institute for the Unification of Private Law are to examine ways of harmonising and coordinating the private law of States and of groups of States, and to prepare gradually for the adoption by the various States of uniform rules of private law”.
“in modo sufficientemente esauriente” il know-how31, elemento essenziale in un contratto di franchising: l’affiliato riceve l’esperienza necessaria per competere sul mercato, mentre l’affiliante trova nel know-how le conoscenze indispensabili per l’affermazione del suo brand (Xxxxx Xxxxxxxxx). Tuttavia, sia la dottrina aziendalistica sia la dottrina giurisprudenziale attribuiscono sempre meno rilevanza al suo trasferimento: soprattutto nelle reti che hanno ad oggetto la prestazione di servizi, l’entità dei segni distintivi, quindi di risorse immateriali, prevale sulle tecniche e sulle procedure operative, poiché la sola loro conoscenza ha già un elevato potenziale di attrazione del pubblico. In ragione di ciò, la sentenza n.11256 della Suprema Corte del 10 maggio 2018 nega l’importanza del know-how nel franchising ritenendo che, in seguito ad una interpretazione letterale degli artt. 1 e 3 della l. n. 129/2004, il contratto di affiliazione commerciale debba avere ad oggetto la concessione della disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale (c.d. franchise package) all'affiliato, che può includere o meno il know-how. Una decisione di questo calibro ha generato scompiglio tra gli esperti del settore perché, da un lato, l’art. 3 della l. n. 129/2004 richiama la centralità del know-how prevedendo, tra gli altri, l'obbligo di indicare nel contratto di franchising il know- how fornito dall'affiliante all'affiliato32; dall’altro si è sempre ritenuto che la mancanza di tale indicazione nel contratto comportasse la nullità dello stesso per indeterminatezza dell’oggetto. In relazione alla durata, quest’ultima potrebbe essere indeterminata ma la legge stabilisce che “qualora il contratto sia a tempo determinato, l'affiliante dovrà comunque
31 L. 6 maggio 2004, n. 129, art. 1, comma 3, lett. a) si intende: “per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall'affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il know-how, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi elementi, non è generalmente noto ne' facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende conoscenze indispensabili all'affiliato per l'uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l'organizzazione dei beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità”.
32 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 3, comma 4: “il contratto deve inoltre espressamente indicare:
a) l'ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l'affiliato deve sostenere prima dell'inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l'eventuale indicazione di un incasso (fatturato) minimo da realizzare da parte dell'affiliato (è, quest’ultima, una clausola contrattuale a volte molto gravosa per gli affiliati);
c) l'ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali (commerciali, per esempio quello telematico via Internet) ed unità di vendita direttamente gestiti dall'affiliante;
d) la specifica del know-how fornito dall'affiliante all'affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell'apporto di know-how da parte dell'affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall'affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso”.
garantire all'affiliato una durata minima sufficiente all'ammortamento dell'investimento e comunque non inferiore a tre anni”33.
La nullità del contratto34 è la soluzione più estrema che possa essere prevista in quanto, giuridicamente, è come se questi non fosse mai esistito. Secondo quanto previsto dalla l. n. 129/2004, la mancanza della forma scritta nella redazione del contratto invalida lo stesso35: la forma solenne diventa quindi un requisito sostanziale (forma scritta ad substantiam) per garantire maggiore trasparenza al contratto e ridurre il disequilibrio tra le parti.
La fiducia è uno degli elementi caratterizzanti un qualsiasi rapporto economico duraturo e sano. Per questo motivo, la l. n. 129/2004, articolo 8, contempla anche i casi di annullabilità del contratto: qualora uno dei contraenti violi gli obblighi di informativa precontrattuale, fornendo all’altro false informazioni, quest’ultimo può richiedere l’annullamento del contratto ai sensi dell’articolo 1439 del Codice civile36, unitamente al risarcimento del danno quando ne ricorrano i presupposti37. L’annullamento può essere chiesto sia quando una parte trasmette informazioni false (condotta attiva), sia quando non vengono divulgate informazioni rilevanti per la conclusione del contratto (condotta omissiva). Tuttavia, il caso in cui le informazioni siano espresse in modo lacunoso e incompleto non viene individuato dalla legge in oggetto come suscettibile di annullamento, ma l’interpretazione estensiva della dottrina permette di ricondurre tale fattispecie all’istituto dell’annullabilità.
2.3 Uno strumento per le controversie: la conciliazione
La Legge n. 129/2004 regola anche le controversie che possono incombere tra le parti introducendo un tentativo di conciliazione non obbligatorio: è rimessa ai contraenti la volontà di inclusione di tale clausola nel contatto, per questa ragione i franchisor intenzionati ad esperirla dovranno specificatamente indicarlo. Designando come competente la Camera di
33 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 3, comma 3.
34 C.c., art. 1418: “il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa [1343], l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge.”
35 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 3, comma 1: “il contratto di affiliazione commerciale deve essere redatto per iscritto a pena di nullità”.
36 C.c., art. 1439, comma 1: “il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri messi in atto da uno dei contraenti siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe concluso il contratto”.
37 Si parla di responsabilità extracontrattuale sancita dal C.c., art. 2043: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”
Commercio nel cui territorio ha sede l’affiliato, si cerca di evitare, ove possibile, il ricorso all’arbitrato o alla magistratura ordinaria38.
Anche a livello internazionale, prima di adire la magistratura si preferisce seguire vie alternative: l’International Franchising Association (IFA), riconoscendo le ostilità che possano sorgere tra le parti, ha costituito un organo terzo e indipendente (IFA Ombudsman program) con il compito di assistere gli affilianti e gli affiliati per una maggiore collaborazione, un miglior dialogo e per risolvere i conflitti stessi39.
38 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 7: “per le controversie relative ai contratti di affiliazione commerciale le parti possono convenire che prima di adire l’autorità giudiziaria o ricorrere all'arbitrato, dovrà essere fatto un tentativo di conciliazione presso la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui territorio ha sede l'affiliato. […]”.
39 Nel Codice deontologico di IFA si legge: “IFA's members are realistic about franchise relationships, and recognize that from time to time disputes will arise in those relationships. […] IFA members believe that franchise systems should establish a method for internal dispute resolution and should publicize and encourage use of such dispute resolution mechanisms. For these reasons, the IFA has created the IFA Ombudsman program, an independent third-party who can assist franchisors and franchisees by facilitating dialogue to avoid disputes and to work together to resolve disputes”.
CAPITOLO 3
LA POSIZIONE DI ASIMMETRIA TRA I CONTRAENTI E I RIMEDI (PARZIALI) PREVISTI DALLA LEGGE N. 129/2004
3.5 L’asimmetria tra le parti contraenti
3.6 La disciplina della fase delle trattative e la disclosure precontrattuale: la l. n. 129/2004 quale disclosure law
3.7 Gli obblighi a carico dell’affiliante e dell’affiliato
3.8 Il caso “Eco Store Srl”. Informazioni ingannevoli da parte del franchisor e poteri dell’AGCM
3.1 L’asimmetria tra le parti contraenti
Una rete in franchising può essere definita come una rete contrattuale, poiché nasce e si organizza solo in seguito alla stipulazione di un contratto, e non gode di soggettività autonoma nei rapporti con i terzi: ciascun negozio della rete è esclusivamente di proprietà dell’affiliato e non dell’affiliante e per questo i terzi hanno azione soltanto nei confronti del singolo franchisee con il quale instaurano un rapporto contrattuale, e non già nei confronti degli altri affiliati o dell’affiliante (Pandolfini V., 2015). È una rete “a raggiera”, in quanto è dalla figura del franchisor che si sviluppano i rapporti con i diversi franchisees; ma soprattutto una rete asimmetrica, dal momento che il titolare della formula imprenditoriale oggetto del contratto, l’affiliante, si trova in una posizione di supremazia nei confronti degli altri soggetti appartenenti alla rete, tanto da detenere un potere di ingerenza, più o meno rilevante, nella gestione della loro impresa.
Una situazione di asimmetria informativa è difatti caratterizzata dall’assenza di rispondenza quantitativa e qualitativa fra le obbligazioni poste in capo all’una e all’altra parte: questo squilibrio tra i contraenti permette di individuare la parte forte del contratto, il franchisor, e la parte debole, il franchisee. Tali circostanze sono tipiche di ogni mercato, nel quale uno o più operatori economici dispongono di maggiori, o più precise, informazioni rispetto ad altri soggetti e, per questo, ne potrebbero abusare e trarre vantaggio.
Come vedremo, le disposizioni della l. nazionale sull’affiliazione commerciale rimediano alle situazioni di asimmetria imponendo alle parti determinati obblighi informativi anteriori alla sottoscrizione del contratto, sebbene non venga comunque garantita l’eguale entità.
3.2 La disciplina della fase delle trattative e la disclosure precontrattuale: la
l. n. 129/2004 quale disclosure law
La fase delle trattative, cioè quella che precede il perfezionamento del contratto, è fondamentale e particolarmente delicata per garantire al potenziale franchisee una scelta consapevole, fondata su elementi concreti attinenti l’attività del franchisor. La disposizione nazionale prevede precisi obblighi informativi (duty of disclosure) in capo alle parti allo scopo di assicurare trasparenza al rapporto e tutelare il contraente debole. Il Legislatore italiano ha infatti recepito il modello di policy legislativa adottato Oltralpe ed Oltreoceano. Francia, Spagna, Stati Uniti e Messico – spiega la Dott.ssa Xxxxxxxxx – hanno preferito legiferare seguendo la così chiamata disclosure law, ritenendo cioè che il tema dell’affiliazione non dovesse essere regolamentato dal punto di vista strettamente contrattuale. Al contrario, il contenuto della legge stessa deve essere incentrato sull’insieme delle informazioni che l’affiliante ha l’obbligo di fornire all’affiliato prima della sottoscrizione del contratto. In Francia, per esempio, la “Loi Doubin”40 pone a carico di “qualsiasi soggetto che metta a disposizione di altri un nome commerciale, un marchio o un insegna, … , l’obbligo, prima della sottoscrizione del contratto … , di fornire all’altra parte un documento contenente informazioni sincere che gli consentano la sottoscrizione dello stesso conoscendone la causa41”. Anche l’IFA ritiene che le informazioni divulgate durante la fase precontrattuale siano l’elemento fondamentale e critico per la creazione di un sistema improntato su fiducia e lealtà42 e, contemporaneamente, sono “the basis for successful and mutually beneficial franchise relationships”. Unidroit, da parte sua, prevede che ogni futuro affiliato debba ricevere le informazioni necessarie per permettergli di effettuare una decisione di investimento informata.43
La legge italiana sul franchising è dunque definita quale disclosure law in quanto su un totale di nove articoli quattro sono diretti, o in qualche modo relativi, all’individuazione degli obblighi di informazione gravanti sulle parti: l’articolo 3 prescrive il contenuto contrattuale, l’articolo 4 prevede gli obblighi dell’affiliante, l’articolo 6 concerne gli obblighi precontrattuali
40 Legge n. 89-1008 del 31 dicembre 1989 "Developpement des entreprises commerciales et artisanales et amélioration de leur environment économique, juridique et social", pubblicata sul Journal Officiel de la Republique il 2 gennaio 1990. Oggi è riunificata nel Code de Commerce.
41 Code de commerce, versione consolidata del 01 agosto 2019, art. 330-3 (mia traduzione).
42 IFA, Code of Ethics, Preface: “IFA’s members believe that the information provided during the presale disclosure process is the cornerstone of a positive business climate for franchising, and is the basis for successful and mutually beneficial franchise relationships”.
43 Nell’explanatory report della Model Franchise Disclosure Law si legge: “the Model Law ensures that the prospective franchisees who intend to invest in franchising receive material information about franchise offerings, thus permitting them to make an informed investment decision”.
di comportamento e, infine, come già visto, l’articolo 8 contempla l’annullamento del contratto per dolo in seguito alla divulgazione di false informazioni.
3.3 Gli obblighi a carico dell’affiliante e dell’affiliato
Lo spirito della disciplina della disclosure precontrattuale è incentrato sulla tutela del contraente debole e, in tale direzione, l’articolo 4 della l. n. 129/2004 stabilisce che “almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale l'affiliante deve consegnare all'aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere” in modo tale che quest’ultimo disponga di un periodo di tempo sufficiente ad effettuare tutte le valutazioni che ritenga necessarie (c.d. cooling-off period). Questa formulazione fa sorgere il problema relativo alle potenziali modifiche del contratto operate durante tale periodo. C’è chi sostiene che, parallelamente alla consegna della copia, si concludano anche le trattative tra le parti, di modo che il contratto consegnato e quello effettivamente sottoscritto siano uguali; mentre in una prospettiva più flessibile, si ritiene che solo le eventuali modifiche sostanziali del contratto attiverebbero nuovamente il termine dei trenta giorni previsti.
La disposizione in esame prevede inoltre una serie di allegati che devono essere consegnati al potenziale affiliato quali, in via non esaustiva, i “principali dati relativi all'affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell'aspirante affiliato, copia del suo bilancio …”, “l'indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o della licenza concessa all'affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi …” ovvero “una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l'attività oggetto dell'affiliazione commerciale”. Tuttavia, l’intento protettivo si spegne quando lo stesso articolo stabilisce che gli allegati “per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza” non vengano consegnati al futuro affiliato, allo scopo di tutelare informazioni oggettivamente personali circa l’affiliante stesso o terze parti. Quest’ultimo può quindi esimersi dalla divulgazione di tali informazioni, ma il diniego deve essere motivato a norma del comma 2, articolo 6.
In tema di obblighi precontrattuali, l’articolo 6 ripartisce differentemente i doveri di informazione: le obbligazioni gravanti sull’aspirante franchisee risultano infatti più incisive rispetto a quelle poste in capo al franchisor, creando uno scenario contraddicente lo spirito della disciplina della disclosure fondata sulla tutela del contraente debole. Nonostante entrambi siano tenuti a adottare un comportamento improntato a lealtà, correttezza e buona fede, l’affiliante deve fornire tempestivamente ogni dato o informazione che vengano richiesti dall’affiliato, mentre questi deve fornire, non solo tempestivamente, ma anche in modo esatto e completo, ogni dato o informazione che oggettivamente risultino necessari o utili per valutare la
convenienza dell’operazione, anche al di là di una richiesta in tal senso dell’affiliante (Xxxxxxxxxx C., 2016). Così, è “il futuro affiliato ad essere onorato dell’iniziativa44” per ottenere le informazioni che ritiene necessarie o utili, “rimettendo alla sua diligenza e avvedutezza la piena realizzazione della disclosure precontrattuale45”.
Stipulato il contratto di affiliazione commerciale, le prestazioni cui è tenuto l’affiliante possono classificarsi in prestazioni pecuniarie (entry fee e/o royalties) e prestazioni di facere di vario tipo. Fra quest’ultime rientrano l’obbligo di compliance poiché il franchisee si impegna ad operare esattamente come stabilito nel contratto; l’obbligo di trasmettere al franchisor i feed- back, tra cui reclami o lamentele, ricevuti dalla clientela; l’impegno ad osservare rigorosamente tutte le disposizioni in tema di privacy per la tutela dell’attività oggetto dell’affiliazione.46
Infine, anche l’EFF propone una propria classificazione, meramente illustrativa, degli obblighi, diritti e doveri reciproci in capo ai contraenti. I franchisees devono garantire al consumatore finale il miglior servizio possibile rispettando gli standard e le procedure del format stabilito nel contratto, nonché devono pagare tutte le somme richieste dall’affiliante. Al contempo il franchisor deve dirigere l’intera strategia di sviluppo della rete, garantendo una adeguata promozione del brand tramite appropriate campagne pubblicitarie, e deve inoltre garantire agli affiliati una formazione e un’assistenza continua lungo tutto il rapporto47.
3.4 Il caso “Eco Store Srl”. Informazioni ingannevoli da parte del franchisor
e poteri dell’AGCM
La posizione di rilievo assunta dalla fase delle trattative e della disclosure precontrattuale presenta forti collegamenti con la disciplina della pubblicità ingannevole. In Italia, l’organo incaricato ad accertare la correttezza, la completezza e la non ingannevolezza di messaggi pubblicitari posti in essere, nel nostro caso dagli affiliati, è l’Autorità Garante della Concorrenza
44 Xxxx M, 2004, pag. 1177.
45 Toscano X., 2010, pag. 131.
46 L. 6 Maggio 2004, n. 129, art. 5, punto 2: “l'affiliato si impegna ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell'attività oggetto dell'affiliazione commerciale”.
47 Nel sito ufficiale dell’Associazione si legge che i franchisees devono:
- meet the franchise format’s standards and procedures
- guarantee the end-customer the best possible service
- pay the fees. Il Franchisor deve:
- steer the business’s overall development strategy
- ensure the promotion of the brand on the market through appropriate advertising campaigns
- develope and improve its start-up and continued assistance to the franchisee in the course of the agreement.
e del Mercato (AGCM), istituita il 10 ottobre 1990, con legge recante "Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”. La AGCM è una Autorità amministrativa indipendente, dispone di poteri investigativi, collabora con la Guardia di Finanza, può imporre agli operatori che violino determinate regole il divieto di diffondere certi messaggi e può irrogare sanzioni amministrative pecuniarie fino ad un importo massimo di Euro 500.000,0048. L’Autorità ha il compito di tutelare “qualsiasi persona fisica che agisca per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale49” e, contemporaneamente, chiunque agisca per fini che rientrano nel citato quadro o “in nome o per conto di un professionista50”.
La pubblicità rientra nelle c.d. pratiche commerciali cioè “qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale … , posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori51”. Per pubblicità ingannevole, invece, il d. lgs. n. 145 del 2 agosto 2007 intende “qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente52”.
La Società “Eco Store Srl”, specializzata nella vendita di consumabili per stampanti, in particolare di rigenerati e compatibili53, opera tramite una rete di vendita in franchising e nel 2014 si è vista irrogare una sanzione di Euro 150.000,00 a seguito del provvedimento n.24982 deliberato il 30 giugno 2014 (delibera PS8234) dell’AGCM54. L’Autorità garante, come dichiarato nel provvedimento stesso, accusa la società di “aver diffuso messaggi pubblicitari ingannevoli su alcuni aspetti essenziali dell’affiliazione alla rete commerciale” tramite la brochure “Entra nel mondo Eco Store”. In particolare, il messaggio pubblicitario fu contestato per la natura inesatta e/o fuorviante delle informazioni in esso contenute. Per esempio, l’affermazione “trend di crescita: 20% annuo” dovrebbe essere rappresentativa del reale
48 D. lgs. n.145/2007, art. 8, comma 9.
49 Definizione di “consumatore” secondo il d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 recante “Codice del Consumo”, art. 18, comma 1, lett. a), oggi modificato dall’art. 1 del d. lgs. 2 agosto 2007, n. 146.
50 Definizione di “professionista” secondo il d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 recante “Codice del Consumo”, art. 18, comma 1, lett. b) oggi modificato dall’articolo 1 del d. lgs. 2 agosto 2007, n. 146.
51 D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206 recante “Codice del Consumo”, art. 18, comma 1, lett. d), oggi modificato dall’art. 1 del d. lgs. 2 agosto 2007, n. 146.
52 D. lgs. n.145/2007, art. 2, comma 1, lett. b).
53 Come si legge nel Sito ufficiale della società alla voce “chi siamo”.
54 Il provvedimento è scaricabile gratuitamente dal Sito ufficiale dell’AGCM: <xxxxx://xxx.xxxx.xx/>.
andamento della rete, evidenziandone la solidità e la crescita effettiva; purtroppo però, a seguito delle indagini effettuate, “i dati dimostrano, dal 2002 al 2013, un andamento sostanzialmente discontinuo e in netto peggioramento rispetto agli anni iniziali di lancio della rete”. Inoltre, in questo calcolo non veniva considerato il numero di punti vendita chiusi nel periodo di riferimento, elemento che incide negativamente sulla percentuale di crescita stessa. In relazione alle affermazioni circa la concessione di un finanziamento agevolato per l’avviamento dell’attività, la brochure riportava “Finanziamento: sì. Eco Store è in grado di offrirle un finanziamento tramite una convenzione agevolata Unicredit fino ad un massimo di
€ 20.000”, illudendo i futuri affiliati della possibilità di ottenere tale somma senza ulteriori requisiti, quando invece la sua concessione era subordinata alla valutazione dell’istituto creditizio.
L’Autorità garante dedicò particolare attenzione alle affermazioni concernenti la natura e la gratuità dei servizi offerti agli affiliati. Si leggeva: “un lavoro che fa crescere professionalmente grazie ai corsi di formazione gratuiti”, così come “in ogni fase dell’attività un team professionale segue costantemente l’affiliato”. Dalle ricerche effettuate, nonché dalla documentazione fornita dalla società stessa, tutte queste spese erano, in realtà, a carico degli affiliandi, poiché incluse nella entry fee di Euro 45.000,00.
Inoltre, la Scheda tecnica descriveva l’affiliazione alla rete come un “lavoro redditizio perché dopo la fase di avviamento di 18 mesi, un punto vendita Eco Store porta un fatturato medio di 260.000 euro l’anno, con un ricarico sui prodotti Eco Store dell’80/90%”, eliminando quella componente variabile che caratterizza il successo e il raggiungimento di tali obiettivi, come “l’attitudine individuale del singolo imprenditore e dalla situazione del mercato anche locale55”. In aggiunta, come precisa il provvedimento, “il raggiungimento dell’indicato risultato economico … è in realtà un dato del tutto incerto e che lo stesso è stato effettivamente realizzato solo da un esiguo numero di punti-vendita nell’intero periodo 2002-2013”, aggravando la falsità dell’informazione divulgata.
In considerazione di tutti questi avvenimenti e sentito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, l’AGCM in virtù dei suoi poteri ha sanzionato la società Eco Store ritenendo il suo comportamento non conforme alla diligenza professionale ragionevolmente richiesta. Per concludere, la situazione era aggravata dallo status dei destinatari del messaggio: “gli aspiranti affiliati sono per lo più imprenditori di piccole
55 Così si è espressa l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni, che “svolge funzioni di regolamentazione e vigilanza nei settori delle telecomunicazioni, dell'audiovisivo, dell'editoria e, più recentemente, delle poste” (xxxxx://xxx.xxxxx.xx/xxx-xxx-x-x-xxxxxxxx), il cui parere è stato domandato ai sensi dell’art. 8, comma 6, del d. lgs. n.145/2007.
dimensioni … che possono necessitare di forme di tutela56” e, come tali, simili ai consumatori, soggetti ai quali si riserva maggiore tutela.
56 Come è possibile leggere nella sezione V “Valutazioni conclusive” del provvedimento n. 24982.
CONCLUSIONI
È lecito accostare la parola franchising all’insieme degli strumenti giuridici che lo regolamentano, focalizzandosi quindi sull’aspetto meramente giuridico, giustificati dal fatto che, a norma di legge, solo a seguito della stipulazione del contratto si individuano tre fondamentali elementi dello stesso57. L’instaurazione di una collaborazione tra due soggetti imprenditoriali giuridicamente autonomi, il pagamento di una serie di corrispettivi e la possibilità di sfruttamento, da parte dell’affiliato, di risorse immateriali di proprietà dell’affiliante solo a fronte del trasferimento di un metodo imprenditoriale. Tuttavia, come abbiamo visto, la parola franchising rimanda all’importanza delle relazioni che il franchisor instaura con ogni suo collaboratore, nonché al supporto continuo che il primo soggetto garantisce a quest’ultimi. La costituzione di una rete di affiliazione commerciale presuppone inoltre l’esistenza di un brand idoneo a creare e mantenere relazioni con i propri clienti, i quali credono fortemente nei valori che esso comunica: il franchising, infatti, pone attenzione anche alla consumer loyalty and satisfaction cercando di garantire ai consumatori gli standard tipici dell’offerta che caratterizzano l’intera rete.
Nessuna Legge, Associazione privata o Organizzazione internazionale sarà mai in grado di eliminare i vantaggi e le minacce connesse alla stipulazione del contratto: quest’ultimo è pur sempre un investimento e, come tale, in esso sono insite le caratteristiche tipiche di un’attività imprenditoriale. Per queste ragioni, gli esperti del settore sottolineano la centralità della fase delle trattative nella quale, se necessario, ci si deve affidare a chi è competente in materia58. A grandi opportunità corrispondono sempre grandi responsabilità e molteplici rischi, e per questo il successo del franchising risiede nella correttezza e nella trasparenza dei rapporti tra le parti che sono tra loro fortemente interconnesse: “franchisors cannot be successful unless their franchisees are also successful, and conversely, franchisees will not succeed unless their franchisor is also successful59”.
57 Xxxxxxxxxx C., 2016.
58 Nel sito ufficiale dell’International Franchising Association si legge: “Franchising is about Relationship that the franchisor has with its franchisees; is about Brands … because consumers have trust in the brand to meet their expectations; is about Systems and Support, great franchisors provide systems, tools and support so that their franchisees have the ability to live up to the system’s brand standards and ensure customer satisfaction; and is also a Contractual Relationship so before you select any franchise investment and sign any franchise agreement, do your homework, understand what the franchise system is offering and get the support of a qualified franchise lawyer ”.
59 IFA, Code of Ethics, art. 3.
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