Contract
I CONTRATTI DI SPONSORIZZAZIONE: ASPETTI CIVILISTICI ED EVOLUZIONI FISCALI
a cura del Xxxx. Xxxx XXXXXXXX – Dottore Commercialista e Revisore Contabile in Bitonto (BA)
Diventa sempre più difficile definire la deduzione delle spese di pubblicità e sponsorizzazione sia per il trattamento applicato dall’Amministrazione Finanziaria in sede di un eventuale controllo sia per le varie prese di posizione della giurisprudenza in merito all’argomento. Sempre più imprese e professionisti devono valutare bene se far rientrare le spese in un contesto di indeducibilità sia delle spese di pubblicità che di propaganda e sponsorizzazione, per le quali viene in genere attribuita, al più, la natura di rappresentanza.
Lo studio che segue, partendo dalla definizione di sponsorizzazione e delineando i requisiti essenziali, si pone l’obiettivo di stabilire la giusta misura di deducibilità del costo in funzione del concetto di antieconomicità della stessa.
ASPETTI CIVILISTICI
Il contatto di sponsorizzazione è un contratto a prestazioni corrispettive con il quale una parte (lo sponsor) si impegna, dietro pagamento di un corrispettivo, ad associare (mostrare) pro tempore, nel corso di manifestazioni sportive, artistiche, culturali o scientifiche, il nome dello sponsor al proprio, rendendo esplicito che la manifestazione o la partecipazione dello sponsorizzato è conseguente all’onere sostenuto dallo sponsor.
Con tale definizione l’Associazione Dottori Commercialisti di Milano ha accomunato le spese per contratti di sponsorizzazione alle spese sostenute per pubblicità e propaganda, essendo ambedue sostenute specificatamente per trarre benefici alla propria attività di vendita o alla propria immagine. Con la sponsorizzazione vengono utilizzati dei veicoli di pubblicità diversi rispetto a quelli tradizionali (stampa, affissione, televisione ….), vengono così individuati nuovi media nello sport, nelle manifestazioni pubbliche di vario genere e nelle singole persone, che nell’indossare un certo abbigliamento o nell’usare un particolare prodotto, moltiplicano il messaggio per un numero indefinito di volte, con un ritorno di pubblicità a volte maggiore rispetto agli strumenti pubblicitari tipici.
Vi sono più correnti di pensiero dottrinali (contratto atipico, contratto di appalto di servizi, contratto tipico, contratti di pubblicità per inserzione), ma l’orientamento predominante è quello che riconduce i contratti di sponsorizzazione ai contratti atipici, per i quali non si rinviene nel codice civile un’autonoma disciplina, con la conseguenza che sono sottoposti alle regole generali sui contratti (art. 1323 c.c.).
I requisiti del contratto di sponsorizzazione
Il contratto di sponsorizzazione, seppur atipico e libero nella forma, presenta dei requisiti che la dottrina ha individuato con sufficiente precisione e in assenza dei quali si è in presenza di altre fattispecie giuridiche diversamente inquadrabili.
Tale contratto risulta essere un contratto a prestazioni corrispettive e a carattere oneroso.
Non è ipotizzabile, cioè, un contratto di sponsorizzazione a carattere gratuito in cui il soggetto detto sponsorizzato cede all’azienda sponsor i diritti d’abbinamento del proprio marchio, senza corrispondente richiesta di una somma di denaro o di un’utilità economica (anche sotto altre forme, come beni o servizi prodotti dall’azienda sponsor).
La sponsorizzazione è, altresì, un contratta consensuale che trova la sua perfezione con la semplice manifestazione di volontà delle parti, ed è da quel momento pienamente vigente ed operativo.
Non è richiesta la forma scritta, ma come tutte le fattispecie di accordi complessi, è consigliabile sia stipulato per iscritto almeno ai fini probatori. Ma la forma scritta appare opportuna anche per quanto attiene ai fini fiscali: infatti, in presenza di prove documentali, i costi della sponsorizzazione sono deducibili interamente nell’esercizio e detraibili per la relativa imposta sul valore aggiunto.
Contratto di sponsorizzazione quale obbligazione di mezzi e non di risultato
Atro aspetto di particolare importanza, che non sempre è rimarcato con la necessaria evidenza, è che il contratto di sponsorizzazione comporta per la società un’obbligazione di mezzi e non già di risultato.
Pertanto, chi organizza una manifestazione è tenuto a fornire allo sponsor la visibilità contrattata, rispettando gli accordi in materia di spazi promo-pubblicitari, a quest’ultima riservati, di citazione nei comunicati ufficiali, nelle brochure e presso i media se previsto e, soprattutto, realizzando l’evento con responsabilità, impegno e diligenza nella consapevolezza che eventuali errori possono causare danni, anche di grande rilevanza all’immagine dello sponsor (una tale evenienza, se provata, può comportare anche conseguenze d’ordine risarcitorio).
In disparte da questo aspetto, la società non è tenuta a garantire volume di vendite o incrementi di fatturato: una siffatta previsione contrattuale farebbe rientrare il contratto in altre fattispecie diverse dalla sponsorizzazione.
Struttura, contenuto e forma del contratto di sponsorizzazione
Come detto, tenuto conto della molteplicità e della varietà degli obblighi delle parti, il contratto di sponsorizzazione appare opportuno che sia stipulato nella forma scritta, assicurando questa maggiore certezza ai fini della prova.
Il contratto di sponsorizzazione deve contenere i seguenti elementi:
- L’indicazione delle parti che sottoscrivono l’accordo;
- Una descrizione particolareggiata del segno distintivo da diffondere;
- Un’elencazione degli obblighi pubblicitari che gravano sul soggetto sponsorizzato;
- Il corrispettivo economico;
- Le modalità di pagamento;
- La durata del contratto;
- La possibilità di rinnovo;
- Il foro competente in caso di controversie;
- L’eventuale arbitrato in caso di controversie
ASPETTI FISCALI
Le spese di sponsorizzazione rientrano nella definizione di contratti pubblicitari, il cui trattamento fiscale è contenuto nell’articolo 108, comma 2, del Tuir, laddove è previsto che “le spese di pubblicità e propaganda siano deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute ovvero in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi”.
Con la risoluzione del 5/11/74 n. 2/1016 l’Amministrazione Finanziaria aveva enunciato il principio di
carattere generale secondo cui potevano essere considerate di natura pubblicitaria le somme corrisposte a società sportive a condizione che “abbiano come unico scopo quello di reclamizzare il prodotto commerciale per incrementare i ricavi e sempre che ai contributi faccia riscontro in tal senso una somma di obblighi contrattuali, anche in fatto osservati, a carico delle società percipienti”, in mancanza di tali requisiti le somme devono essere considerate delle mere elargizioni a titolo di liberalità e, pertanto non deducibili.
Due sono i punti fondamentali, secondo la risoluzione n. 2/1016, per distinguere le sponsorizzazione
dalle liberalità e dalle spese di rappresentanza:
- Contratto bilaterale a prestazioni corrispettive: a fronte del corrispettivo versato dallo sponsor in denaro o in natura, la parte che percepisce il corrispettivo si obbliga ad effettuare determinate prestazioni pubblicitarie, attraverso la reclam durante la manifestazione sportiva o culturale o attraverso l’intermittenza di messaggi promozionali durante le riprese televisive ecc. Qualora manchi un contratto e vi sia quindi assoluta mancanza reciproca di impegni, la spesa deve ricadere tra le spese di rappresentanza.
- La sponsorizzazione ha lo scopo di reclamizzare i prodotti commerciali dello sponsor al fine di incrementarne i ricavi. Normalmente nella sponsorizzazione ciò che viene reclamizzata è la ditta nella sua globalità e non i singoli prodotti commercializzati.
L’orientamento della risoluzione n. 2/1016 è stato superato dalla risoluzione ministeriale n. 9/2014 del
17 giugno 1992, con la quale il Ministero delle Finanze ha espressamente accomunato le spese di sponsorizzazione alle spese di pubblicità, rilevando che le prime “sono connesse ad un contratto la cui caratterizzazione è costituita, di regola, da un rapporto sinallagmatico tra lo sponsor e il soggetto
sponsorizzato, in base al quale le parti interessate fissano le clausole contrattuali in relazione agli scopi che esse intendono raggiungere. Generalmente mediante tale contratto lo sponsor si obbliga ad una prestazione in denaro o in natura nei confronti del soggetto sponsorizzato che, a sua volta, si impegna a pubblicizzare e/o propagandare il prodotto, il marchio, i servizi, o comunque, l’attività produttiva dello sponsor e, pertanto, le relative spese, cui non può disconoscersi una stretta correlazione con l’intento di conseguire maggiori ricavi, rientrando nella previsione normativa di cui alla prima parte del comma 2
dell’art. 74 del TUIR, con i conseguenti riflessi in termini fiscali”.
Il comma 8 dell’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha previsto che i corrispettivi in denaro o in natura erogati in favore di società, associazioni sportive dilettantistiche, fondazioni costituite da istituzioni scolastiche, nonché di associazioni sportive scolastiche che svolgono attività nei settori giovanili riconosciute dalla Federazioni sportive nazionali o da enti di promozione sportiva, non superiori all’importo annuo di 200.000 euro, costituiscono per il soggetto erogante “spese di pubblicità”.
La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate, sempre nel limite di predetto importo, comunque di pubblicità, pertanto integralmente deducibili per il soggetto erogante.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 21/E del 22 aprile 2003 ha tuttavia chiarito che la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:
- I corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante;
- Deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima.
Il differenziale tributario tra quanto dedotto da un’impresa e quanto imponibile in capo a un’associazione sportiva dilettantistica ispira tuttavia, molto spesso, la costruzione di operazioni pubblicitarie e/o di sponsorizzazioni effettive, ma sovrafatturate e parzialmente inesistenti, ovvero generatrici di vantaggi fraudolenti.
L’Agenzia delle Entrate ha pertanto più volte cercato di porre riparo, incrociando gli elenchi clienti di una serie di associazioni con le dichiarazioni delle società che le sponsorizzavano, e ha inoltre contestato l’antieconomicità delle spese ritenendole di sovente “inutili” ai fini del conseguimento degli obiettivi aziendali.
Questo è accaduto soprattutto in relazione ad associazioni e società sportive dilettantistiche per le quali sono concesse sponsorizzazioni fino a 200.000 euro. Giacchè, come si è detto, si presume che le spese di questo tipo siano sponsorizzazioni fino a 200.000 euro, l’Amministrazione Finanziaria non potendo “riqualificare” le spese di sponsorizzazione ne ha contestato l’economicità, dunque il carattere fittizio.
Laddove l’azienda stia affrontando delle spese di sponsorizzazione, soprattutto se di importo ingente, risulta preferibile:
- Redigere in forma scritta l’accordo di sponsorizzazione fornendo ogni dettaglio in merito all’oggetto della sponsorizzazione, alle modalità di espletamento, alle prestazioni a carico delle parti, ecc.;
- Conservare tutta la documentazione ritenuta utile a prova del fatto che gli obblighi contrattuali siano stati effettivamente adempiuti (conservando, per esempio, manifesti, striscioni, magliette riportanti il logo dello sponsor, riprese televisive, ecc.), al fine di disporre di quanto necessario a provare, in sede di eventuale contestazione, l’effettività della sponsorizzazione;
- Fornire prova della ratio della sponsorizzazione effettuata e del suo legame con il programma economico imprenditoriale, specificando l’obiettivo perseguito con la spesa in questione ed evidenziando il ritorno commerciale che si spera di ottenere, In tal modo viene facilitata l’Amministrazione Finanziaria, prima, e i giudici, poi, nell’individuazione di ogni elemento utile a qualificare la sponsorizzazione quale spesa di pubblicità.
A sostegno di tali elementi è intervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14252 del 23/06/2014 secondo cui le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti previsti dalla legge, in quanto accrescono il prestigio dell’impresa, sempre che non se ne trovi un ritorno commerciale diretto. Questo è quanto emerge dall’ordinanza n. 14252 del 23 giugno 2014, nella quale la Corte, allineandosi all’indirizzo prevalente, evidenzia che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, poiché in grado di accrescere il pregio dell’impresa, laddove il contribuente non documenti che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta speranza di ritorno commerciale.
La giurisprudenza ha infatti individuato nell’aspettativa di ritorno commerciale il criterio determinante al fine di distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità: mentre le prime sono contraddistinte da un’aspettativa di un ritorno commerciale indiretto, considerato come rafforzamento delle possibilità di sviluppo dell’impresa con la crescita del merito e dell’immagine, quelle di pubblicità, invece, sono volte a un ritorno commerciale diretto con l’aumento, più o meno immediato, delle vendite.
Quanto sopra enunciato è stato stravolto dalla recente Sentenza n. 3421/67/2015 della Ctr Lombardia (sede staccata di Brescia), con cui il giudice di secondo grado, confermando la sentenza di primo grado, ha annullato l’avviso di accertamento ricevuto da una società cui era contestata l’antieconomicità delle spese di sponsorizzazione sostenute per un’associazione sportiva locale e partecipante a un campionato dilettantistico. In particolare la sentenza è fondata sui seguenti motivi:
- Che la normativa vigente parla di “aspettativa di ritorni economici” e non di “obbligo” di maggiori ricavi che devono scaturire dall’investimento effettuato in sponsorizzazione;
- Che, nonostante non vi siano stati maggiori ricavi conseguiti, la spesa sostenuta potrebbe essere stata utili quanto meno a evitare una riduzione di fatturato, tenendo conto anche dello stato di crisi economica in cui oggi versa il Paese;
- Che la spese sostenuta, nonostante non abbia portato maggiori ricavi, comunque potrebbe essere stata utile per portare a conoscenza, di un pubblico più ampio, del marchio e del prodotto aziendale;
- Che a priori, quando si è eseguita la scelta di investire in sponsorizzazione, definendo costi, tempi e modalità dell’investimento stesso, questa è stata fatta con l’obiettivo della massimizzazione del profitto senza avere “certezza” di quale ne sarebbe il ritorno economico;
- Che si tenga conto anche della realtà economica in cui opera l’impresa.
La Ctr ha quindi osservato che è solo l’imprenditore a poter decidere se e come intervenire in qualità di sponsor, valutando i costi, i tempi e i luoghi cui effettuare la pubblicità, per conseguire la massimizzazione del profitto, pur non avendo alcuna certezza dei risultati che si realizzeranno, evidenziando che, sebbene si trattasse di un’associazione dilettantistica locale, la sponsorizzazione attraverso la stampa e altri mezzi di trasmissione aveva certamente coinvolto un maggior numero di soggetti. Con riferimento all’asserita antieconomicità il giudice ha evidenziato che l’Ufficio si è limitato
a compiere dei meri raffronti tra spese e redditi/volumi d’affari della società senza rapportarli alla realtà economica. L’imprenditore, attraverso la pubblicità, ha fornito alla propria impresa un’utilità indiretta, promuovendo il proprio marchio di fabbrica attraverso il nome, l’attività e anche l’immagine durante tutti gli eventi cui l’associazione sportiva ha partecipato. In ogni caso, poi, i costi dedotti erano regolarmente documentati non solo dalle fatture emesse dall’associazione, ma anche dai relativi pagamenti registrati in contabilità. Infine, conclude il giudice sottolineando che, l’art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha introdotto una presunzione assoluta circa la natura delle spese pubblicitarie ai fini delle imposte sui redditi, ponendo il limite di 200.000 euro per la promozione dell’immagine o dei prodotti dell’operatore economico erogante, con conseguente integrale deducibilità dei relativi costi.
Il giudice ha dato importanza alla circostanza che non si può avere alcuna certezza sui maggiori ricavi conseguibili, tanto più che il riscontro sui risultati raggiunti è possibile solo a posteriori, per cui errata valutazione dell’imprenditore sulla forma pubblicitaria scelta, non può essere certamente sanzionata con l’indeducibilità fiscale.
Xxxx. Xxxx XXXXXXXX
Dottore Commercialista in Bitonto (BA)