Conferimenti
Art. 2464
Conferimenti
1. Il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare globale del capitale sociale.
2. Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica.
3. Se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente, il conferimento deve farsi in denaro.
4. Alla sottoscrizione dell’atto costitutivo deve essere versato presso una banca almeno il venti- cinque per cento dei conferimenti in danaro e l’intero sovrapprezzo o, nel caso di costituzione per atto unilaterale, il loro intero ammontare. Il versamento può essere sostituito dalla stipula, per un importo almeno corrispondente, di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con le caratteristiche determinate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri; in tal caso il socio può in ogni momento sostituire la polizza o la fideiussione con il versamento del corrispondente importo in denaro.
5. Per i conferimenti di beni in natura e di crediti si osservano le disposizioni degli articoli 2254 e 2255. Le quote corrispondenti a tali conferimenti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.
6. Il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l’intero valore ad essi assegnato, gli obblighi assunti dal socio aventi per oggetto la prestazione d’opera o di servizi a favore della società. In tal caso, se l’atto costitutivo lo prevede, la polizza o la fideiussione possono essere sostituite dal socio con il versamento a titolo di cauzione del corrispondente importo in danaro presso la società.
7. Se viene meno la pluralità dei soci, i versamenti ancora dovuti devono essere effettuati nei novanta giorni *.
A ⎪Conferimenti e capitale, X. Xxxxx B ⎪Le entità conferibili, X. Xxxxxx
C ⎪I conferimenti in danaro, X. Xxxxxx
D ⎪Conferimenti in natura e immediata liberazione delle quote, X. Xxxxxxxx E ⎪Conferimenti d'opera e di servizi, X. Xxxxxx
* Per il commento del comma 7 v. supra sub art. 2462.
A
Conferimenti e capitale
X. Xxxxx
Sommario: I. Introduzione [1-6]. - II. Il principio “plutocratico” e il ruolo organizzativo del capitale nominale [7-11]. - III.
Questioni attinenti alla determinazione non proporzionale delle partecipazioni sociali: i conferimenti “atipici” [12-18].
- IV. (segue) La stima dei conferimenti non imputati a capitale [19-22]. - V. (segue) La considerazione di interessi extrasocietari e l'ipotesi del socio non conferente [23-31]. - VI. La liberazione delle quote oggetto di assegnazione non proporzionale [32-35].
I. Introduzione
1⎪ In conformità ai principi enunciati dall’art. 3, co. 2, lett. c) della legge delega 366/2001, che come noto imponevano al legislatore della riforma di dettare, nella materia delle S.r.l., una disciplina dei conferimenti tale da garantire “l’effettiva formazione del capitale sociale” e capace, al contempo, di consentire ai soci di apportare “ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale” e regolare “l’incidenza delle rispettive parteci- pazioni sociali sulla base di scelte contrattuali”, la norma contenuta nel primo comma dell’art. 2464 c.c. segna l’espresso riconoscimento dell’inesistenza di una relazione neces- saria e biunivoca tra conferimenti e capitale sociale: la tutela del capitale non è più ricercata, infatti, ponendo un rigido e indissolubile rapporto tra valore del singolo confe- rimento del socio e valore nominale delle quote che gli sono assegnate (secondo una prospettiva che, in passato, raccoglieva diffusi consensi da parte della dottrina: cfr., ad esempio, XXXXXXXX [1992], 5 ss.; ma v. tuttavia, per una critica a tale impostazione, PORTALE [1974], 34 ss.), bensì – come si legge nella Relazione di accompagnamento al decreto di riforma – “sulla base di una considerazione globale sia dei conferimenti sia del capitale stesso” (al riguardo v., per tutti, PORTALE [2002], 152; GINEVRA [2007], 116).
2⎪ Per tal via, si affida espressamente all’autonomia statutaria il compito di stabilire quali e quanti degli elementi dell’attivo conferiti dai soci in sede di costituzione della società (o in occasione di un successivo aumento del capitale) debbano effettivamente concorrere alla “copertura” della prima voce del patrimonio netto, che con l’insieme di detti elementi non deve più necessariamente identificarsi: sia per l’eventualità di apporti che per loro natura non sono a tal fine utilizzabili, pur risultando comunque utili o addirittura essen- ziali allo svolgimento dell’attività d’impresa (PORTALE [1974], 1; MIOLA [2004], 224; ID. [2004], 672), sia per l’ipotesi – ammessa implicitamente, ma in modo univoco, dalla stessa disposizione in commento – che i soci decidano di non capitalizzare una parte dei rispettivi conferi- menti, optando per l’imputazione a riserva dei corrispondenti valori, come tipicamente avviene nei casi dei versamenti in conto capitale e del sovrapprezzo (ANGELICI [2006], 76; NOTARI/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 32 ss.).
Solo apparentemente limitata all’aspetto formale o, per così dire, nominalistico (tecni- ⎪3
camente la nozione di “conferimento” può essere oggi riferita a tutta una serie di operazioni che – proprio in ragione del mancato concorso alla formazione del capitale sociale – in passato venivano sovente identificare con l’uso della più generica locuzione di “apporto”), la rilevanza dell’innovazione introdotta dal legislatore del 2003 si coglie ponendo in correlazione il precetto contenuto nel primo comma dell’art. 2464 con quello di cui al successivo art. 2468, co. 2, secondo periodo, che espressamente ammette – con una scelta che non trova precedenti nell’esperienza comparatistica (RESCIO [2003], 107) – la possibilità di prescindere, all’atto della “determinazione” delle partecipazioni sociali, da un criterio di rigida proporzionalità tra il valore della quota assegnata ai singoli soci e il concorso economico dagli stessi prestato ai fini alla formazione del capitale “reale”. Sicché tale determinazione può essere legittimamente operata – come da più parti è stato già eviden- ziato – anche secondo un criterio che si discosta dal computo del valore (reale, appunto) del conferimento e che è legato, invece, alle scelte negoziali liberamente compiute in sede
di autonomia statutaria (sul punto cfr., con varietà d’accenti in ordine ai limiti di detta autonomia, RESCIO [2003], 107 ss.; MIOLA [2004], 672 ss.; FERRO-XXXXX [2006], 583 ss.; GINEVRA [2007], 116; LO XXXXXX e MARCOZ
[2008], 307 ss.).
Quanto precede trae immediata conferma dal tenore letterale della disposizione da ⎪4 ultimo citata, in base alla quale “partecipazioni dei soci sono determinate in misura proporzionale al conferimento” solo “se l’atto costitutivo non prevede diversamente”.
La prospettiva, in sostanza, è quella di una netta separazione tra il profilo dei rapporti interni alla società, dove è consentito ai soci di gradare il peso corporativo di ciascuno indipendentemente dal valore reale dei conferimenti effettuati, e l’esigenza di assicurare comunque l’integrità e l’effettività del capitale sociale, perseguita attraverso l’imposizione di una regola che espressamente richiede la sussistenza di conferimenti di ammontare (se in denaro) o valore (se in natura o di crediti) nel loro insieme almeno pari a quello del capitale stesso (NOTARI/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 31; XXXXX [2004], 673, sulla nuova regola di integrità globale del capitale sociale v. inoltre SPOLIDORO [2004], 27 ss.; GINEVRA [2004], 496 ss.; XXXXXXXX [2004], 87).
Dal primo punto di vista, la norma appare senz’altro coerente con il generalizzato ⎪5 ampliamento dei margini di operatività dell’autonomia statutaria, e ben si concilia con quello che, in effetti, rappresentava uno dei principali obiettivi della riforma (cfr. XXXXXXXX [2006], 1 ss.; D’XXXXXXXXXX [2003], 34 ss.).
Per il secondo aspetto, invece, essa conferma (in linea con quanto già emergeva dal ⎪6 citato art. 3, co. 2, lett. c), della legge delega) la “necessaria immanenza” dell’istituto del capitale sociale all’attuale modello organizzativo della S.r.l., a prescindere dalla funzione
che ad esso si ritenga di potere o dovere assegnare (PORTALE [2002], 146 ss.; GINEVRA [2007], 110; sul tema della funzione del capitale è nota l’alternativa tra la tesi, più risalente e oggi certamente minoritaria, che assegna all’istituto il ruolo di strumento di garanzia in senso stretto per i creditori, XXXXXXXXX [1959]; ID. [1967], 227 ss.; e quella, più moderna e diffusa, che lo ricostruisce in chiave eminentemente produttiva, ravvisandone la ragion d’essere in esigenze di funzionalità ed efficienza dell’impresa societaria: così, PORTALE [1970], 33 ss.; DI SABATO [1967]; né mancano per la verità altre letture che del capitale sociale sottolineano –
avendo soprattutto riguardo al momento della “riduzione per perdite” – gli aspetti informativo-preventivi: in proposito si segnalano, in particolare, i contributi di DENOZZA [2003], 585 ss.; ID. [2006], 489 ss.; XXXXX [2005], 1208 ss.; o che addirittura ne svalutano del tutto l’utilità, suggerendone – in un’ottica di analisi economica del diritto – la radicale abolizione: è la soluzione suggerita da XXXXXXXX e XXXXX [2002], 78 ss.; per un quadro completo e ragionato delle diverse posizioni cfr., da ultimo, XXXXX xx. [2008], 749 ss.).
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II. Il principio “plutocratico” e il ruolo organizzativo del capi- tale nominale
Uno dei profili maggiormente valorizzati della separazione tra conferimenti dei soci e (partecipazione al) capitale (nominale) è quello che riguarda l’attenuazione del c.d. prin- cipio plutocratico, che, come noto, ha storicamente rappresentato come uno dei dati tipologicamente essenziali delle società di capitali: dove i poteri (soprattutto quello atti- nente alla nomina dei componenti degli organi sociali) e i vantaggi (in particolare quelli derivanti dalla distribuzione degli utili e dalla partecipazione al riparto finale di liquida- zione) sono stati da sempre parametrati all’oggettivo valore economico del conferimento effettuato (SPADA [2003], 501).
A questo proposito, si può senz’altro convenire con quanti hanno ravvisato nelle disposizioni in esame il passaggio da un sistema nel quale le prerogative sociali erano “funzione diretta dell’importo della ricchezza investita” ad uno in cui, invece, “la commi- surazione del potere, dei vantaggi e dei carichi del socio alla grandezza monetaria delle risorse apportate [...] è solo residuale” (SPADA [2003], 496 ss.): in linea con la prospettiva – già chiaramente delineata dal legislatore delegante – di parziale avvicinamento della S.r.l. alle società di persone (ZANARONE, [2003], 58 ss.), nelle quali, salvo il limite rappresentato dal divieto di patto leonino e ferma la regola di default dell’art. 2263, i soci godono della massima libertà nella determinazione della partecipazione di ciascuno agli utili e alle perdite della gestione sociale (così, CAMPOBASSO [2009], 80 ss.).
Ciò non deve tuttavia indurre a ritenere che dalle norme degli artt. 2464, co. 1, e 2468, co. 2, discenda l’ulteriore svalutazione – oltre che del ricordato principio plutocratico – del ruolo organizzativo-interno del capitale sociale nominale, inteso come parametro di riferimento per la misurazione dei diritti e dei poteri dei soci. Per questo specifico profilo, infatti, la distanza tra la nuova S.r.l. e i modelli di società a struttura personalistica è rimasta, anche dopo la riforma del 2003, sostanzialmente immutata: dovendosi allora escludere che, ad onta delle formule descrittive talvolta utilizzate, la S.r.l. rappresenti oggi una “società di persone a (piena) responsabilità limitata” (AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 51). Proprio le regole delle quali si discorre attestano, del resto, la permanente riconduci- bilità del tipo al genus delle società di capitali.
In tal senso depone anzitutto la constatazione che nella S.r.l. (come pure, in verità, negli altri tipi che insieme ad essa compongono la categoria delle società di capitali) “è socio chi
ha–e in quanto ha (o possiede o detiene) – quote del capitale sociale” (GINEVRA [2007], 112), benché poi tali quote possano essere determinate (e quindi assegnate) prescindendo – in tutto o in parte – dall’entità economica dei conferimenti realizzati. Per tale società, dunque, la legge continua ad individuare in via esclusiva nella partecipazione al capitale nominale il presupposto necessario per il riconoscimento della qualità di socio, disinteressandosi semmai, a tal fine, dall’entità del concorso prestato dai singoli alla formazione effettiva del capitale reale: laddove nella disciplina delle società di persone, la distinzione tra determi- nazione statutaria del capitale nominale e partecipazione alla sua formazione reale, non solo non è prevista dal diritto positivo, ma risulta addirittura contraddittoria rispetto alla circostanza che il primo non è mai, per tali società, “oggetto di autonome vicende” rappresentando piuttosto – come è stato recentemente osservato – “l’esito concreto della sua formazione effettiva, attraverso appunto i conferimenti” (XXXXX xx. [2008], 770 ss.).
Per altro verso, neppure va trascurato che l’istituto del capitale nominale, non solo permette di individuare i soggetti ai quali deve essere riconosciuta la qualità di soci, ma consente altresì di delimitare la rilevanza che ciascuno di essi assume all’interno dell’or- ganizzazione sociale. Ed infatti, se è vero che dopo la riforma la commisurazione dei diritti partecipativi non è più necessariamente proporzionale alla grandezza monetaria delle risorse apportate, altrettanto sicuro è, tuttavia, che ancora oggi – salvo quanto previsto dalla disposizione speciale contenuta nel terzo comma dello stesso art. 2468 (*) – tali diritti spettano se e nella misura in cui si detengano quote del capitale nominale, come del resto dimostrano le norme dettate dagli artt. 2479, 2479-bis, co. 3, e 2481-bis, co. 1, che appunto confermano l’attuale valenza organizzativa dell’istituto in parola (GINEVRA [2007], 113 ss.; MIOLA [2004], 675; AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 84).
III. Questioni attinenti alla determinazione non proporzionale delle partecipazioni sociali: i conferimenti “atipici”
Il venir meno della relazione necessaria e biunivoca tra conferimenti e capitale e la ricostruzione del connesso fenomeno della “determinazione” non proporzionale delle partecipazioni sociali pongono problemi interpretativi di non poco momento: sia sotto il profilo della selezione degli interessi che in astratto giustificano la divisione interna delle quote secondo criteri non strettamente legati al valore effettivo dei conferimenti (o, più precisamente, al valore dei beni apportati ai fini della corretta formazione del capitale reale); sia avendo riguardo ai rapporti che il meccanismo in parola viene concretamente a instaurare tra i soci conferenti, da un lato, e tra essi e la società, dall’altro.
In relazione al primo aspetto, è sicuro che la determinazione non proporzionale delle quote di partecipazione possa legittimamente poggiare su esigenze di carattere tipicamente endosocietario, legate in primo luogo all’acquisizione al patrimonio sociale di conferi- menti “atipici”, i quali, per le loro caratteristiche intrinseche, non sono imputabili né al
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capitale, né al patrimonio di bilancio: o perché “non suscettibili di valutazione sulla base di criteri oggettivi” o perché “non incrementativi, quanto meno direttamente, del patrimonio sociale” (così, XXXXXXX [0000], 152; MIOLA [2004], 224 ss.). D’altra parte, che proprio questo fosse il fine perseguito dalla riforma nella materia in esame emerge con chiarezza dalla lettura del già citato art. 3, co. 2, lett. c), della legge 366/2001, che, come accennato, invitava espressamente il legislatore delegato “a dettare una disciplina dei conferimenti tale da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale”, permettendo poi “ai soci di regolare l’incidenza delle rispettive partecipazioni sociali sulla base di scelte contrattuali”.
Da questo punto di vista, vengono allora in considerazione tutti quei valori immate- riali che, se pure caratterizzati dal requisito della patrimonialità di cui all’art. 1174 c.c., non risultano tuttavia valutabili in modo oggettivo (il riferimento corre, ad esempio, ai know how, al riconoscimento di diritti di esclusiva o ad alcune tipologie di brevetti); oppure quelle utilità che, sebbene non iscrivibili all’attivo di bilancio, servono comunque ad agevolare il perseguimento dell’oggetto sociale o in ogni caso procurano, anche indiretta- mente, risparmi di spesa (si pensi alla prestazione di garanzie, alla rinuncia allo svolgi- mento di una attività concorrente, alla fornitura di liste clienti, etc.).
Rispetto alle tipologie di beni e utilità così indicate, è indubbio che la scelta sistematica sottesa agli artt. 2464, co. 1, e 2468, co. 2 – quella, cioè, di operare una netta separazione concettuale tra il momento della formazione del capitale reale (retto dai principi di integrità ed effettività) e quello della determinazione delle quote di partecipazione dei singoli al capitale nominale (affidato in via esclusiva all’autonomia a statutaria) – superi definitivamente l’impostazione che in passato ne negava la conferibilità: consentendo appunto di remunerare, su base “negoziale” e mediante l’assegnazione di quote di capitale, apporti aventi ad oggetto entità di per sé inutilizzabili al fini della copertura reale del capitale stesso. E tale conclusione a ben vedere vale: sia nel caso in cui la non imputabilità dipenda da rischi di integrità della prestazione oggetto del conferimento (si pensi ad esempio alla dazione di beni di valore incerto o negativo), sia là dove i problemi riguardino invece l’effettività in senso stretto dell’apporto (come tipicamente avviene nelle ipotesi in cui lo stesso si sostanzi in utilità economiche insucettibili di essere prestate uno actu).
In verità, proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto, qualche perplessità è stata recentemente espressa in dottrina circa l’idoneità del meccanismo in esame a consentire – fuori dai limiti rigidamente imposti dall’art. 2464, co. 6 (*) – conferimenti aventi ad oggetto prestazioni d’opera o di servizi (STAGNO D’ALCONTRES/Comm. XXX [0000], 260; e, seppure in termini dubitativi, GINEVRA [2007], 152, nt. 144; contra però v., fra gli altri, XXXXXXXX [2004], 264; XXXXX [2004], 709; LO XXXXXX e MARCOZ [2008], 330 ss., che giustamente avvertono come il problema dell’effettività di tali
conferimenti non abbia “ad oggetto l’ingresso delle prestazioni d’opera e servizi nel patrimonio della società, ma la loro imputazione a capitale”).
Al riguardo, è sufficiente osservare che – data a monte per risolta, dalle norme in
commento, la questione della tutela del capitale sociale (recte, della sua corretta forma- zione) – nulla sembra autorizzare ad inferire automaticamente dalla struttura “capitali-
stica” della S.r.l. una rigida tipicizzazione delle modalità di acquisto della partecipazione sociale, tale da escludere l’ammissibilità di conferimenti potenzialmente ineffettivi, quand’anche gli stessi non siano destinati alla copertura della prima voce del patrimonio netto (in questa prospettiva si era del resto espresso, già prima della riforma, PORTALE [1974], 34, ove la notazione secondo cui le “locuzioni “società di persone” e “società di capitali” sono espressioni di concetti descrittivi, riassumenti una certa disciplina, alla quale [...] restano del tutto estranee le norme da cui si desumono i requisiti che devono avere le prestazioni dei soci”). Un importante argomento a supporto della tesi qui sostenuta sembra peraltro potersi trarre dalla norma dell’art. 2500-quater c.c., che, nel disciplinare l’“assegnazione di azioni o quote” in caso di trasformazione di una società di persone in società di capitali, proprio al meccanismo in esame fa riferimento ai fini della determinazione della partecipazione da riconoscere agli eventuali soci d’opera (MOSCA/Comm. MBGN-Trasf [2006], 174).
Ciò detto, occorre tuttavia chiarire quali conseguenze possano derivare – sul piano dei rapporti interni alla società – dall’eventuale concreta ineffettività del conferimento ati- pico. Posto che al tema non si adatta esattamente il dibattito sulla “mancata attuazione dei conferimenti in natura”, che tradizionalmente ha riguardato il diverso problema della reale formazione del capitale sociale in connessione con conferimenti “tipici” diversi dal denaro (PORTALE [2004], 572), la soluzione pare da orientare nel senso del venir meno della causa dell’avvenuta assegnazione della partecipazione sociale: salvo doversi poi stabilire se da ciò discenda un automatico e proporzionale accrescimento delle quote di tutti gli altri soci o se invece tale accrescimento si realizzi solo a beneficio dell’autore del conferimento (tipico) utilizzato a copertura della quota di capitale oggetto di assegnazione non proporzionale (sul punto v. LO XXXXXX e MARCOZ [2008], 331).
IV. (segue) La “stima” dei conferimenti non imputati a capitale
Sempre sul piano della realizzazione di interessi tipicamente endosocietari va poi considerata l’eventualità – cui si è già fatto cenno in apertura – che i soci decidano di non capitalizzare una parte dei conferimenti effettuati e di imputare quindi a riserva i corri- spondenti valori: secondo un schema che – tra il resto – potrebbe ben rispondere all’istanza (da altri recentemente posta all’origine della prassi dei “finanziamenti dei soci”) di evitare, specie in imprese di dimensioni ridotte e in presenza di condizioni di mercato particolarmente incerte, la necessaria adozione di un regola finanziaria che costringa ex ante i titolari dell’iniziativa ad una stabile – e a volte inutilmente costosa (si considerino al riguardo i risvolti che le scelte inerenti il livello di capitalizzazione della società hanno sul profilo della distribuzione degli utili) – immobilizzazione nel tempo dei fattori produttivi (GINEVRA [2007], 120).
Al di là, comunque, delle finalità sottese ad una scelta del tipo in discorso, il problema che concretamente essa pone è quello – a quanto consta, non ancora direttamente affron-
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tato in dottrina – della necessità o meno della valutazione dei conferimenti non imputati a capitale: se, cioè, la mancata destinazione dell’apporto alla formazione effettiva del capitale reale costituisca ragione da sola sufficiente ad escludere il ricorso alla relazione giurata di cui all’art. 2465 (*).
Atteso che la norma da ultimo citata è sicuramente rivolta alla tutela della integrità del capitale sociale (e dunque alla sua corretta formazione), il dubbio appena espresso par- rebbe per la verità non avere – prima facie – ragione di porsi. Considerando però la questione da una prospettiva più ampia, e valutando in particolare le conseguenze che dall’acquisizione di determinati beni possono derivare sulla consistenza del patrimonio sociale, l’idea di escludere tout court la verifica, da parte di un esperto, dei conferimenti non imputati a capitale non sembra del tutto tranquillante, là dove si pensi al rischio che detti conferimenti potrebbero anche avere, in ipotesi, un valore negativo tale da incidere, sia pure indirettamente, sull’integrità del capitale stesso.
Si immagini ad esempio il caso di un “conferimento d’azienda” e si consideri l’even- tualità – niente affatto remota (per un riscontro concreto v., infatti, il caso deciso da Trib. Verona 27.5.1994) – che i debiti ad essa afferenti superino l’importo complessivo delle poste attive, al punto da determinare (sia pure, come detto, solo indirettamente) l’annacquamento del capitale della società conferitaria. Proprio avendo riguardo a simili eventualità, non è da escludere che la ratio dell’art. 2465 e le esigenze di tutela ad esso sottese impongano di sottoporre anche i conferimenti “fuori capitale” al procedimento di stima o quanto meno di richiedere (ove la natura delle utilità oggetto dell’apporto lo consenta) una certificazione che attesti l’insussistenza di eventuali valori negativi.
V. (segue) La considerazione di interessi extrasocietari e l'ipo- tesi del socio non conferente
Procedendo ancora nell’ottica dell’analisi “funzionale” delle disposizioni in commento, occorre ora verificare se la determinazione (e conseguente assegnazione) non proporzio- nale delle partecipazioni sociali possa o meno prestarsi al soddisfacimento di interessi che esulino dallo stretto rapporto sociale, rispetto ai quali la società resta, dunque, idealmente estranea.
La questione attiene, in particolare, all’ammissibilità del ricorso al meccanismo in esame per il compimento da parte di un socio di una liberalità nei confronti di un altro, ovvero per la realizzazione di finalità rispetto alle quali lo stesso meccanismo appare potenzialmente alternativo ad altre figure negoziali tipiche, quali ad esempio quella del contratto a favore di terzo, del pagamento del terzo o dell’adempimento di una obbliga- zione mediante datio in solutum.
Al riguardo, la dottrina è prevalentemente orientata in senso positivo (RESCIO [2003], 107 s., AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 86 ss.; NOTARI/ivi, 43 ss.; SODI [2008]; XX XXXXXX e MARCOZ [2008], 307
ss.), ancorché poi sussistano – fra i sostenitori della tesi – divergenze d’opinioni circa la necessità che l’atto costitutivo faccia espressa menzione della ragione (id est, della “causa”) extrasociale sottesa alla scelta operata (v. ad esempio le diverse soluzioni suggerite in proposito da NOTARI/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 44 ss. e LO XXXXXX e MARCOZ [2008], 333).
Logico portato dell’orientamento in parola è la tesi che ammette la possibilità per cui in sede di costituzione della società qualcuno dei soci risulti assegnatario di una partecipa- zione sociale anche senza avere effettuato (o assunto l’impegno di effettuare) alcun confe- rimento (sia esso anche “atipico” o “fuori capitale”). In altre parole, secondo l’impostazione appena riferita, sarebbe oggigiorno possibile – proprio in virtù delle disposizione degli artt. 2464, co. 1, e 2468, co. 2 – legittimare una partecipazione a titolo gratuito al contratto di società, là dove il valore della quota assegnata al socio non conferente, sia comunque coperto dai conferimenti tipici degli altri soci.
A differenza di quanto potrebbe a primo acchito immaginarsi, l’ipotesi in discorso non pone alcun problema sul piano della violazione del divieto di patto leonino, non ravvi- sandosi nella specie i presupposti di operatività del divieto stesso: la partecipazione sociale, infatti, indipendentemente dalle ragioni che ne giustificano l’assegnazione, resta comunque soggetta, in sé, al rischio d’impresa e ai risultati (positivi e negativi) della gestione sociale (come del resto avviene anche nel caso, per il quale si tende ormai a negare l’applicabilità dell’art. 2265 c.c., dei contratti di put and call a prezzo determinato aventi ad oggetto partecipazioni sociali: cfr. in proposito BARCELLONA [2004]). Né per la verità sembrano entrare in gioco, per lo meno nell’ipotesi in cui la vicenda si realizzi in sede di costituzione della società, profili di potenziale violazione del principio di parità di trattamento tra i soci, essendo in tal caso la scelta di destinare quote di capitale a soggetti esentati dall’obbligo di conferimento frutto di una decisione assunta all’unanimità da quanti prendono parte alla stipula del contratto sociale.
Maggiori perplessità sorgono, invece, ove si ponga mente al rapporto tra le norme in discorso e la disposizione generale dell’art. 2247 c.c., la quale, nel definire la nozione del “contratto di società”, pare in realtà individuare nell’assunzione dell’obbligo di conferi- mento una condizione imprescindibile per la partecipazione allo stesso. Da questo punto di vista, è chiaro che la prospettata lettura degli artt. 2464, co. 1, e 2468, co. 2, induce a ravvisare in esse una deroga all’art. 2247, laddove invece – a prima vista – il momento dell’assegnazione delle partecipazioni sociali sembra operare su un piano logicamente (e nel caso delle S.p.A. – v. l’art. 2343 – talvolta pure cronologicamente) diverso da quello del conferimento.
Per spiegare l’assunto merita evidenziare che a supporto della tesi che ammette il ricorso al meccanismo della determinazione non proporzionale delle partecipazioni sociali sino al punto da legittimare l’eventualità che uno dei soci ottenga una quota senza effettuare alcun conferimento, viene sovente sostenuto che la gratuità dell’operazione sarebbe ravvisabile solo dal punto di vista del socio e non da quello della società, la quale riceverebbe comunque un conferimento a liberazione di tutte le quote emesse (NOTARI/ Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 45).
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Va detto, tuttavia, che nella ideale sequenza sottoscrizione del contratto, assunzione dell’obbligo di conferimento e determinazione (o assegnazione) delle quote sociali, il momento che le norme in esame paiono rendere autonomo è quello (e solo quello) che attiene alla divisione interna delle partecipazioni, non quello che invece sta, per così dire, nel mezzo della sequenza (FERRO-XXXXX [2006], 585). Non si tratta quindi di ammettere, in sede di costituzione della società e ai fini della formazione di un dato capitale sociale, la sopravvalutazione (o addirittura la radicale esclusione) di taluni conferimenti a fronte della corrispondente sottovalutazione di altri (ciò che – è stato giustamente osservato – “corri- sponderebbe ad una formulazione meramente descrittiva della fattispecie”), ma più sem- plicemente di legittimare, in presenza di un capitale già correttamente formato, una “diversa” distribuzione delle quote sociali (MIOLA [2004], 675; contra, BUSANI [2003], 162).
Vista da questa angolazione, l’operatività del meccanismo sotteso agli artt. 2464, co. 1, e 2468, co. 2, sembra allora presuppore che la determinazione non proporzionale delle partecipazioni sociali, lungi dal prescindere, debba invece trovare causa nello stesso rapporto sociale (così come delineato, in termini generali, dall’art. 2247) “e non in un diverso rapporto intercorrente, all’esterno, tra i soci o pure sussistente tra la società e i terzi beneficiari” (GINEVRA [2007], 151; XXXXXXX [0000], 1668 ss.). In linea, dunque, con le finalità della legge delega, le disposizioni in esame rispondono semplicemente all’intento “di eliminare il più possibile le rigidità imposte alla distribuzione delle partecipazioni dal sistema del capitale reale”, permettendo che essa avvenga sulla base di una valorizzazione negoziale e non reale degli apporti: i quali pertanto non potranno non essere previsti a carico di ciascun socio (come peraltro espressamente prevede – in termini leggermente dissimili da quelli contenuti nella corrispondente disposizione dettata in materia di S.p.A. – l’art. 2463, co. 2, n. 5), “pena l’invalidità della partecipazione sociale per difetto di causa” (GINEVRA [2007], 151 ss.).
VI. La liberazione delle quote oggetto di assegnazione non proporzionale
Resta solo da dire, a questo punto, della questione relativa alla liberazione quote determinate (e assegnate) secondo criteri di valorizzazione negoziale degli apporti.
A questo proposito, non si registra in dottrina un orientamento univoco. Secondo una prima impostazione – che dalla sua ha in effetti il pregio di evitare inutili complicazioni operative – le quote assegnate a fronte di apporti atipici o comunque non imputati a capitale dovrebbero essere interamente liberate all’atto della relativa sottoscrizione: ciò giustificandosi – alternativamente – o in forza della qualificazione come sovrapprezzo l’importo versato da un socio in eccedenza alla porzione di capitale da esso ricevuta e
utilizzato di fatto per la liberazione delle quote ad altri destinate (GINEVRA [2004], 502; NOTARI/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 37); o ipotizzando un’applicazione analogica dell’art. 2464, co. 5, secondo
periodo, e assoggettando così i conferimenti atipici o fuori capitale alla disciplina già prevista per i conferimenti in natura tipici (GINEVRA [2007], 162 ss.).
A tale orientamento se ne contrappone tuttavia un’altro che, nell’ottica di una maggiore
valorizzazione del ruolo dell’autonomia privata, ammettere espressamente l’eventualità che le quote di capitale assegnate ad un soggetto diverso dall’autore del conferimento (tipico) utilizzato a copertura delle medesime possano risultare anche solo parzialmente liberate (in misura comunque non inferiore al venticinque per cento), là dove tale conferimento abbia avuto ad oggetto denaro e non beni in natura o crediti (in proposito cfr., AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 86; XX XXXXXX e MARCOZ [2008], 326).
Rimane evidentemente aperto, in questa seconda prospettiva, il problema inerente l’individuazione del soggetto sul quale grava – una volta costituita la società – l’obbligo di provvedere al versamento dei centesimi residui. Al riguardo, la tesi prevalente è che tale responsabilità riguardi esclusivamente l’autore del conferimento tipico utilizzato per la formazione del capitale reale, escludendosi viceversa un obbligo del beneficiario dell’“as- segnazione non proporzionale” per la liberazione della quota da lui ottenuta (AVAGLIANO/ Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 86).
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Le entità conferibili
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Sommario: I. Genesi della norma e profili interpretativi [1-4]. - II. Portata precettiva dell'art. 2464 II c. [5-8]. - III. Requisiti di conferibilità [9-24]. - IV. Casi particolari: diritti di proprietà intellettuale, know-how, nome, immagine, “nuovi beni” [25-31].
I. Genesi della norma e profili interpretativi
1⎪ Il secondo comma dell’art. 2464 c.c. riproduce fedelmente il dettato dell’art. 7 della II direttiva CE. Tra il dettato della II direttiva e la formulazione attuale dell’art. 2464, co. 2 si colloca la l. 3.10.2001 n. 366 (legge delega), la quale all’art. 3, co. 2, lett. c) in tema di entità conferibili, con una disposizione analoga a quella dettata per le S.p.A., dispone che la disciplina dei conferimenti deve essere tale “da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale, a condizione che sia garantita l’effettiva formazione del capitale sociale”. Sia la identità testuale con la norma comunitaria che il rapporto tra l’art. 2464. co. 2 e la legge delega offrono spunti interpretativi rispetto alla disposizione in esame. In particolare, quanto alla legge delega, essa dettava disposi- zioni analoghe in tema di conferimenti tanto per la s.p.a che per la S.r.l. La diversa formulazione del testo definitivo e l’accentuazione di una disciplina differente e radical- mente innovativa per la S.r.l. è stata letta, da un lato, come divergenza in punto di modalità di attuazione di un medesimo obiettivo (realizzato nella S.p.A. con strumenti e tecniche specifiche: così XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 347); dall’altro valorizzando il diverso rilievo che già in sede di legge delega si è voluto dare non solo alla disciplina dei conferimenti ma più in generale a quella della formazione del capitale sociale e della sua funzione nella S.r.l. rispetto alla
S.p.A. (GINEVRA [2007], 104).
2⎪ Nonostante le diverse letture in merito al ruolo giocato dalla legge delega nell’accen- tuare il distacco tra la S.p.A. e la S.r.l. e nonostante il riferimento più volte accennato dal legislatore delegato alle società di persone, un punto fermo nell’interpretazione delle norme in tema di conferimenti è costituito dalla convinzione, diffusa pressoché unanime- mente, che la S.r.l. xxx, e resti, ascrivibile alla classe delle società di capitali (PORTALE [2003], 1668; SPADA [2003], 490; XXXXXX XXXXXXX xx. [2008], 282; MASI/Comm. XXX [0000], 1424), pur avendo essa
perso definitivamente il ruolo tradizionalmente assegnatole di “piccola anonima”, modu- lata sulla disciplina della S.p.A. (SPADA [2009], 13). L’accentuazione del “principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra soci” (art. 3 comma 1 lett. a) l. 366/2001) con le ricadute che da tale impostazione derivano, in primo luogo per quanto
riguarda i conferimenti, rende la disciplina della S.r.l. tendenzialmente autonoma rispetto a quella della S.p.A. (ZANARONE [2003], 75).
La coesistenza di regole sul capitale sociale, così come sulla personalità giuridica, la ⎪3 pubblicità, lo scioglimento e la liquidazione, con regole ove è più accentuato il peso della personalità del socio ed il rilievo della libertà nei rapporti reciproci tra soci (regole sui conferimenti, come anche regole in tema di decisioni) impone all’interprete di bilanciare i diversi interessi in gioco e precisamente l’interesse al mantenimento delle funzioni del capitale sociale sia rispetto ai soci che rispetto ai terzi e l’interesse alla personalizzazione e semplificazione nei segmenti della disciplina più incisivamente toccati dalla riforma (OLI-
VIERI 2008], 99; XXXXX 2004], 657). Per quanto riguarda i conferimenti si tratta di conciliare la rigidità delle regole sulla formazione e funzione del capitale sociale con la conferibilità di entità, caratterizzate da tratti personalistici e di conseguenza non sempre connotate da facilità nella valutazione ed esigibilità immediata (XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 355).
La disposizione dell’art. 2464, co. 2 c.c. è stata criticata sotto diversi profili: la sua ⎪4 formulazione fu tacciata di genericità già all’epoca della II Direttiva (OPPO [1986], 566; XXXXXXXX [1986], 549) e lo è stata nuovamente a seguito della riforma del 2003, sostenendosi che essa nulla aggiunga a quanto già ricavabile dalla nozione generale di conferimento tracciata all’art. 2247 c.c. (XXXXXXXX [2006], 154). Sul piano sistematico del diritto delle società si è rilevata soprattutto la sua singolarità di norma dal contenuto ampio e generale, tratta, appunto, dalla II direttiva in tema di società per azioni e riferita ad un contesto, quello della
S.r.l. tradizionalmente, estraneo, nonostante taluni recenti orientamenti, all’ambito di applicazione del diritto comunitario (PORTALE [2003], 1668); non sono, poi, mancate voci che hanno ribadito come la disposizione in esame non abbia risolto i problemi relativi all’in- dividuazione dei beni suscettibili di conferimento (CAGNASSO [2007], 76). È stato, inoltre, sollevato l’interrogativo se questa disposizione, creando una forte asimmetria in punto di regole relative alla formazione del capitale tra S.p.A. e S.r.l., non imponga ricadute e modifiche tali da incidere proprio sulla funzione del capitale e sul ruolo da esso giocato nei due tipi di società (XXXXXXXX [2008], 59). Altre letture considerano tale disposizione regola di carattere generale (AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 79), sostenendo per tale via la legittimità di interrogarsi non più e non tanto su quali siano le entità conferibili quanto piuttosto su quali siano, almeno con specifico riferimento alla S.r.l., le entità senz’altro non conferibili (AVAGLIANO/ Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 79 nt. 121).
II. Portata precettiva dell'art. 2464, co. 2
Talune riflessioni rispetto all’art. 2464, co. 2, c.c. meritano di essere considerate per ⎪5 cercare di attribuire una portata precettiva alla disposizione in esame, tra queste: a) la sua “singolarità” (PORTALE [2003], 1668); il fatto cioè di discendere testualmente dalla II direttiva ed essere, tuttavia, norma riferita alla S.r.l., tradizionalmente estranea all’ambito di applica-
zione del diritto comunitario; b) la progressione testuale rispetto alla quale la disposizione in esame si colloca: subito dopo la disposizione secondo la quale l’ammontare complessivo dei conferimenti non può essere inferiore al valore del capitale nominale (art. 2464, co. 1), immediatamente prima dell’elencazione delle classi di entità conferibili e della loro speci- fica disciplina.
6⎪ a) Quanto alla “singolarità” della disposizione, essa offre uno spunto interpretativo perché evidenzia l’intenzione del legislatore di ampliare il novero delle entità conferibili nella S.r.l. in ragione del diverso ruolo in essa giocato dai soci e dai rapporti tra soci e nel far ciò rafforza la convinzione che una norma di portata così ampia assolva la funzione di tratteggiare una disciplina autonoma della conferibilità nella S.r.l. (GINEVRA [2007], 108); la sostanziale identità testuale con la disposizione della II direttiva comunitaria risponde, inoltre, secondo altre letture, al ruolo di clausola generale di tale norma, riferibile a tutte le società di capitali ed atta ad attrarre all’area della conferibilità anche entità tradizional- mente ritenute non imputabili a capitale e pur tuttavia utili per l’impresa comune; le sole eccezioni a tale regola generale sarebbero, secondo tale prospettiva, quelle espressamente previste dalla legge (come i conferimenti di opere e servizi nella S.p.A.) o dall’atto costi- tutivo (AVAGLIANO/ Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 79).
7⎪ b.1) Un ulteriore rilievo interpretativo di carattere generale può ricavarsi dal fatto che tale disposizione segue nella progressione testuale la prescrizione secondo la quale il capitale sociale nominale non può essere inferiore al valore complessivo dei conferimenti (art. 2464, co. 1). In ragione di tale collocazione la norma esprime una cesura nel rapporto, considerato diretto, tra capitale, conferimenti e partecipazione sociale e lascia emergere l’idea che, stante le funzioni del capitale sociale (funzioni sulle quali oggi è vivace il dibattito) non sia più la singola entità conferita a coprire la singola quota, rilevando piuttosto il valore complessivo dei conferimenti nella formazione del capitale (PORTALE [2002], 153; XXXXXXXX [0000], 105; XXXXXXXX [0000], 282). Riguardo al tema della conferibilità questa disposizione segna forse un distacco più netto rispetto al passato tra regole sulla forma- zione del capitale e regole sui conferimenti, legittimando quella maggiore autonomia di queste ultime, evidenziata da taluni orientamenti (v. infra n. 23) già sotto il precedente regime normativo (XXXXX xx 2001])
8⎪ b.2) Altro elemento della progressione testuale da valorizzare in chiave interpretativa è quello per cui alla disposizione del II comma dell’art. 2464, co. 2 segue un elenco di classi di entità conferibili. Da ciò discende che o si considera la disposizione in esame meramente declaratoria, poiché prevede un criterio generale di conferibilità, salvo poi ritenere confe- ribili e disciplinare le sole entità menzionate ai commi successivi, oppure le si assegna la funzione di clausola generale, tale per cui l’elenco che segue è da considerarsi esemplifi- cativo, ritenendosi così conferibili anche entità ad esso non direttamente riconducibili e segnatamente ammettendosi nella S.r.l. quei conferimenti in natura atipici tradizional- mente esclusi dalla imputabilità a capitale ma rispetto ai quali in tema di S.r.l. sembrano oggi accettabili le “ipotesi ricostruttive più liberali” (PRESTI-XXXXXXXX [2009], 226). Stante, infatti, il disposto del secondo comma dell’art. 2464 si può affermare che l’elencazione che ad esso
segue di entità conferibili è esemplificativa e non tassativa, potendo essere conferite, come del resto già sostenuto dalla dottrina in tema di conferimenti in natura atipici (PORTALE [1974]), anche entità non espressamente menzionate e tradizionalmente non imputabili a capitale purché rispondenti alla funzione di accrescimento patrimoniale e purché ogget- tivamente valutabili, salvo, naturalmente, i problemi interpretativi, di qualificazione e conseguentemente di disciplina applicabile. Questa lettura è più coerente alle intenzioni del legislatore della riforma, rispondendo sia all’esigenza di differenziare più nettamente la
S.p.A. dalla S.r.l., accentuando per quest’ultima quella curvatura personalistica che ha portato all’ammissibilità anche di prestazioni tradizionalmente estranee all’area della con- feribilità, quali le opere e i servizi (infra sub art. 2464, co. 6), sia all’esigenza di ampliare senza porre vincoli troppo stringenti, in punto di oggetto come di procedura, l’ambito delle entità conferibili.
III. Requisiti di conferibilità
Prima di considerare più direttamente le condizioni di conferibilità sopra indicate è opportuno precisare l’esclusione dalla conferibilità di quelle entità che non siano di per sé, per diverse ragioni, trasferibili. Tali entità pur potendo astrattamente essere considerate quali elementi dell’attivo patrimoniale suscettibili di valutazione economica, non potendo dar luogo ad una vicenda traslativa dal patrimonio di un soggetto a quello di un altro non possono essere destinate all’iniziativa economica comune (XXXXXXXX [2008], 57). L’intrasmissi- bilità risolvendosi, infatti, nell’impossibilità di destinare una risorsa ad un certo scopo, esclude la risorsa medesima dal novero delle entità conferibili; per esemplificare possono annoverarsi tra queste ipotesi quella dei diritti intrasmissibili, come taluni diritti della personalità (i diritti morali in materia di proprietà intellettuale) o di talune concessioni amministrative, le quali essendo rilasciate all’esito di un accertamento discrezionale della Pubblica Amministrazione non possono essere trasferite ad un soggetto diverso dal richie- dente o anche il caso delle quote di S.r.l. non trasferibili o ancora quello dei beni pubblici demaniali (OPPO [2002], 500; MIOLA [2004], 55, nt. 132).
Sia la condizione di conferibilità secondo la quale la risorsa deve consistere in un elemento dell’attivo patrimoniale sia quella per cui essa deve essere suscettibile di valuta- zione economica sono state e sono tuttora oggetto di interpretazioni difformi, variandone la lettura in funzione del grado di autonomia che si assegna alle regole in tema di conferimenti rispetto ad altri segmenti del diritto delle società di capitali. In altri termini: da un lato si sostiene un rilievo autonomo del conferimento quale atto di investimento (XXXXX xx 2001], 351), dall’altro si lega più strettamente la disciplina dei conferimenti alle norme sulla formazione e funzione del capitale nominale. In quest’ultima prospettiva “la selezione delle risorse conferibili è […] da correlarsi alla funzione del capitale nominale, come congegno inteso a contrastare il sovraindebitamento e la traslazione conseguente del
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rischio sui creditori” (SPADA 2009], 10). Alla luce di questa lettura la selezione delle risorse conferibili è rigorosa nella misura in cui il capitale nominale sia chiamato a svolgere la funzione poc’anzi evocata di contrastare il sovraindebitamento; al contrario, la selezione delle risorse conferibili è meno rigorosa, nelle società di persone ove un regime del capitale nominale non è previsto, al punto che, infatti, persino l’azzeramento del patrimonio non necessariamente determina lo scioglimento della società.
Rispetto alla locuzione “elemento dell’attivo patrimoniale” è opportuno un chiari- mento: sin dai primi commenti alla II Direttiva è stato evidenziato che la locuzione “elemento dell’attivo” non può, intendersi esclusivamente come iscrivibilità in bilancio secondo le norme ad esso relative, questa essendo piuttosto una conseguenza della con- feribilità e non un presupposto della stessa (SPOLIDORO [1988], 17); al più, è stato sostenuto, l’iscrivibilità in bilancio può costituire un “mero indizio della suscettibilità di valutazione economica” (MIOLA, 2004], 50), ma, di per sé, non è ritenuta sufficiente ad integrare il requisito richiesto dalla legge. In una prospettiva meno netta di quella poc’anzi richiamata si sostiene che si danno certamente casi nei quali può mancare una corrispondenza biunivoca tra conferibilità ed iscrivibilità in bilancio (MASI/Comm. XXX 0000], 1428), come dimostra il caso delle concessioni amministrative e delle spese di impianto e di amplia- mento (XXXXXXXX 2008], 56) e che pur tuttavia ogni conferimento deve poter essere collocato in una delle voci dell’attivo dello stato patrimoniale (XXXXXXXX 2008], 56). In conclusione: “tutto ciò che è conferibile deve essere iscritto all’attivo del bilancio, a prescindere dalle regole vigenti per il bilancio d’esercizio” (SPOLIDORO, Liber Campobasso 1, 497). In termini di compara- zione merita poi di essere ricordato che sia nell’ordinamento tedesco che in quello francese la tesi del superamento della necessaria correlazione “capitale-conferimenti” e “conferibilità-iscrivibilità” è stata già da tempo sostenuta ed accolta (PORTALE [1974], 54). Se, dunque, si danno opinioni quasi concordi sul superamento dell’interpretazione che, soprattutto in passato, sosteneva la completa sovrapponibilità concettuale tra la locuzione “elemento dell’attivo patrimoniale” e iscrivibilità in bilancio, restano ulteriori divergenze interpretative sul significato dell’espressione in esame.
In merito all’interpretazione della locuzione “elementi dell’attivo patrimoniale” si rin- tracciano due diversi orientamenti: a) si sostiene che tale espressione vada limitata a quelle entità in grado di dotare la società dei mezzi finanziari idonei a realizzare l’oggetto sociale, ritenendosi “non tranquillante” seppur astrattamente ammissibile, l’imputabilità a capitale di prestazioni che consistano in un vantaggio indiretto, sostanzialmente, in una riduzione del passivo (GINEVRA [2007], 138). Secondo tale interpretazione restano escluse dalla conferi- bilità nella S.r.l. prestazioni di non facere o obblighi di non concorrenza (FERRARA jr-CORSI [2009], 935). Questa lettura, come accennato, trae gli argomenti per arrivare alla conclusione descritta soprattutto dalla funzione produttivistica assegnata al capitale sociale (MIOLA 2004], 657); b) in una prospettiva parzialmente differente si ammette una nozione più ampia di elemento dell’attivo patrimoniale tale, per esemplificare, da comprendere sia entità consi- stenti in prestazioni negative come anche i c.d. “conferimenti indiretti” (ZANARONE [2010], 287). In realtà, anche rispetto alla conferibilità di tali entità le opinioni sono divise: tra le
prestazioni negative vengono considerati da taluni conferibili gli obblighi di non fare, come ad esempio, un obbligo di non concorrenza e non conferibili i cc.dd. conferimenti indiretti, quali la rinuncia di un socio ad un credito verso la società (XXXXXXXX [2008], 57; GINEVRA [2007], 152), mentre da altri sono ritenuti conferibili entrambi gli ordini di prestazioni (MIOLA 2004], 657).
La difformità di opinioni al riguardo è, naturalmente, da imputarsi al diverso significato attribuito all’idea di elemento dell’attivo patrimoniale e più in generale, ancora un volta, alle funzioni assolte dal capitale sociale: la ricostruzione più restrittiva dando rilievo al dato testuale, che si riferisce agli “elementi dell’attivo”, considera (v. sub a) tali solo le presta- zioni che incrementano effettivamente ed immediatamente il patrimonio sociale, renden- dosi disponibili per il “funzionamento” dell’impresa sociale ed escludendo quelle risorse che consistano unicamente in una riduzione di poste del passivo o in mere probabilità di futuri accrescimenti patrimoniali; questi ultimi, infatti, pur potenzialmente apportando un incremento di valore patrimoniale, tuttavia non garantiscono quella spendibilità imme- diata necessaria per “avviare” l’impresa comune (GINEVRA [2007]); la ricostruzione più liberale considera, infine, elemento dell’attivo tutto ciò che permette il finanziamento dell’impresa sociale, sia pure indirettamente e sia pure rinviando al futuro la disponibilità effettiva dell’entità conferita.
Quanto alla discussa possibilità di considerare anche le prestazioni negative quali elemento dell’attivo patrimoniale merita di essere evidenziato che il superamento del divieto del conferimento di opere e servizi nella S.r.l. legittima l’argomento, già discusso in relazione alle società di persone e poi alla II Direttiva (SPOLIDORO [1988], 22), che se le prestazioni negative si riconducessero alla categoria dei “servizi” (servizi intesi, in tal caso, quali forme di astensione dallo svolgere una certa attività) la caduta del divieto di confe- ribilità di questi ultimi renderebbe oggi certamente conferibili anche le prestazioni nega- tive, alle quali potrebbe essere applicata la disciplina prevista per il conferimento di servizi (art. 2464, co. 6, c.c.): il regime “assicurativo” bilanciando in tal caso rischi ed incertezze, sia a carico della società che dei terzi, legate a tali conferimenti.
Discussa, ma con esisti tendenti per lo più all’esclusione è la questione della qualifica- bilità come conferimenti di promesse di pagamento o finanziamento o impegni del socio a prestare garanzie per obbligazioni della società. In tali casi si sostiene che il problema non è solo di incertezza o difficoltà nella valutazione, ma di mancanza dell’oggetto stesso del conferimento rispetto all’esigenza primaria di avviare l’attività di impresa; in tali casi, verrebbe, infatti, a mancare l’incremento immediato e certo dell’attivo patrimoniale della società, essendo l’utilità conferita non già presente (seppure di incerta valutazione), ma solo programmata (SPOLIDORO [1988], 22; XXXXXXXX [2008]).
Controversa a seconda dell’interpretazione più o meno restrittiva di “elemento dell’at- tivo patrimoniale” è anche la questione dei cespiti gravati da debiti, per esemplificare, un’azienda. La conferibilità dell’azienda il cui valore risultante dalla stima sia negativo da un lato è ritenuta ammissibile qualora comunque da tale conferimento la società potrebbe trarre un qualche vantaggio anche indiretto (come potrebbe accedere per un complesso
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aziendale gravato sì dai debiti, ma non facilmente sostituibile) (AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 123, nt. 298), dall’altro si dubita dell’ammissibilità di tale conferimento evidenziando il rischio di sbilancio patrimoniale (MIOLA, 2004], 48, nt. 108). In realtà, i principi del valore complessivo dei conferimenti, della non proporzionalità tra entità del conferimento e partecipazione e soprattutto il regime “assicurativo” previsto per i conferimenti in natura dovrebbero poter risolvere, in termini positivi, le criticità sia finanziarie che organizzative legate ad un simile conferimento.
Discussa, ma risolta in termini prevalentemente favorevoli, è poi la conferibilità di entità che pur potendo comportare un accrescimento patrimoniale in termini positivi e quindi, almeno in linea di principio, tali da poter essere considerate elementi dell’attivo patrimoniale comportino, però, un’attribuzione non definitiva alla società o che per essere dalla stessa fruibili necessitino della collaborazione del conferente, come può, per esem- plificare, accadere rispetto all’attribuzione di beni in godimento (tanto materiali che immateriali) o per il know-how (GINEVRA [2007], 138). In realtà in tali casi, come si accennerà in seguito a proposito della suscettibilità di valutazione economica e come si può ricavare dalla novità forse più consistente in tema di conferimenti nella S.r.l., ovverosia dalla ammissibilità di conferimenti di opere e servizi, il problema dei conferimenti che impli- chino un’attribuzione alla società a titolo non definitivo (conferimento in godimento, conferimento avente ad oggetto prestazioni di durata) consiste nel rendere il bene dispo- nibile alla società in una “misura” (XXXXX xx 2001], 385) certa, ossia nell’individuare un tempo determinato di durata della prestazione che ne permetta una valutazione obiettiva e proporzionata in termini economici. Se, tuttavia, la durata può agevolmente essere definita per il conferimento di determinati beni in godimento, non altrettanto agevole può esserlo per altri; per esemplificare: nel caso di conferimento in licenza di un diritto di proprietà industriale non titolato (art. 2 CPI; x. xxxxx x. 00) il valore economico del bene dipende dalla durata del vantaggio concorrenziale che la società può trarre da esso; tale durata è, tuttavia, subordinata non solo alla volontà delle parti, ma anche al persistere di una condizione di fatto, il mantenimento del segreto, elemento quest’ultimo del tutto indipendente dalla volontà del conferente.
Come già evidenziato all’epoca della II Direttiva il requisito della suscettibilità di valutazione economica è ancora più “sfuggente” (SPOLIDORO [1988], 20) e “problematico” di quello di elemento dell’attivo patrimoniale (ZANARONE [2010], 289). Anch’esso può essere letto in prospettive differenti connesse, anche in tal caso, al maggiore o minore grado di autonomia che si assegna alle regole in tema di conferimenti rispetto alle regole sulla formazione e funzione del capitale e al bilanciamento che, relativamente alla formazione di quest’ultimo, si ritiene di operare tra gli interessi dei soci (ad acquisire elementi utili per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale) e gli interessi dei creditori. Il punto di equilibrio tra questi diversi interessi è stato, nel tempo, collocato a livelli differenti. Una prima interpretazione è quella che ha sostenuto la coincidenza tra valutazione economica ed espropriabilità dei beni conferibili. Secondo tale prospettiva una risorsa intanto è valuta- bile economicamente in quanto possa essere oggetto di esecuzione forzata; tale prospet-
tiva, cronologicamente più risalente, è sbilanciata sulla funzione di garanzia del capitale, secondo la quale assume rilevanza che i beni ad esso imputati possano soddisfare i creditori sociali. Il superamento della tesi della suscettibilità di valutazione economica come assoggettabilità alle regole in tema di esecuzione forzata sembra oggi confermato nella S.r.l. proprio alla luce dell’ammissibilità del conferimento di opere e servizi. Se, infatti, in passato l’esclusione di tali entità dal novero delle entità conferibili nelle società di capitali ha costituito uno dei principali argomenti a sostegno della tesi della necessaria espropriabilità dei beni conferibili – si sosteneva cioè che l’esclusione di tali entità fosse giustificata in ragione proprio delle difficoltà di esecuzione forzata delle medesime – oggi, alla luce delle modifiche del dettato normativo, proprio la conferibilità di opere e servizi nella S.r.l., legittima il superamento argomentativo di questa tesi. In termini di ricadute applicative questa lettura non ammetteva la conferibilità di entità quali i diritti di proprietà intellettuale, il know-how, l’avviamento in ragione, appunto, delle difficoltà di un’even- tuale procedura esecutiva.
Una seconda lettura, che colloca il punto di equilibrio tra le diverse istanze in gioco tenendo maggiormente conto dell’interesse dei soci ad acquisire determinate entità, è quella che ha proposto – segnatamente in materia di S.p.A. – di leggere la suscettibilità della valutazione economica come realizzabilità delle risorse da conferire o in altri termini, attitudine allo scambio delle medesime (XXXXXXXX [1989], 71). Tale lettura è confortata soprat- tutto dall’analisi dei lavori preparatori in sede di predisposizione della II Direttiva (XXXXXXXX [1989], 58) ed è stata ulteriormente confermata dal fatto che il legislatore della riforma del 2003 abbia richiamato proprio il dettato dell’art. 7 della II direttiva (ZANARONE [2010], 289). Ritenere che la suscettibilità di valutazione economica coincida con la realizzabilità per- mette di ampliare il novero delle entità conferibili rispetto alla prospettiva più conservativa dell’espropriabilità, considerando conferibili anche i diritti di proprietà intellettuale, il know-how, l’avviamento, i diritti che permettono l’utilizzazione di beni o servizi (materiali o immateriali), le cessioni di contratti (di leasing, di factoring o di appalto) (XXXXXXXX [2008], 56); in realtà a tale interpretazione (o meglio alla sua prima formulazione) (XXXXXXXX 1989]) è stata mossa la critica per cui essa consisterebbe in un “ammodernamento della teoria tradizio- nale del capitale come garanzia dei creditori” o, in altri termini, in una versione aggiornata della lettura secondo la quale i conferimenti diversi dal danaro dovrebbero comunque consistere in beni suscettibili di espropriazione forzata (PORTALE [2004], 23, nt. 38; XXXXXXXXX 0000], 502).
Una terza lettura del requisito della suscettibilità di valutazione economica è quella che sposta ancor più il punto di equilibrio tra interesse dei soci e dei terzi verso i primi, sostenendo la funzione produttivistica del capitale sociale e ritenendo perciò che esso possa essere costituito da qualsiasi elemento utile per procurare le risorse necessarie all’iniziativa economica programmata. Questa lettura supera sia il riferimento all’espro- priabilità delle risorse conferibili sia quello della loro realizzabilità, ritenendo decisiva la possibilità di attribuire ad ogni entità un valore certo ed obiettivo, privilegiando in tal modo una considerazione più dinamica del capitale sociale. In tale prospettiva è stato
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sostenuto che la valutazione economica delle entità conferibili può coincidere, oltre che con il valore di scambio (come affermato dai sostenitori della realizzabilità) anche con il valore d’uso del bene, ossia con il vantaggio economico-finanziario che la società trae dalla disponibilità del medesimo e dalla sua destinazione all’attività produttiva (XXXXX xx [2001], 358; XXXXX [2004], 46). In termini di ricadute applicative questa teoria è la più liberale, ammet- tendosi la conferibilità di qualsiasi entità a condizione che ad essa sia possibile attribuire un valore certo ed oggettivo. Un’applicazione coerente di tale lettura dovrebbe condurre a ritenere suscettibile di valutazione economica qualsiasi risorsa, essendo effettivamente difficile immaginare, se non ricorrendo a casi di scuola, che si diano entità rispetto alle quali sia del tutto impossibile una valutazione economica, soprattutto alla luce dei pro- gressi fatti in tal senso dalla scienza aziendalistica (XXXXXXXX [2008], 58). Rispetto alle prospet- tive più liberali si pone, tuttavia, l’interrogativo su chi gravi in ultima istanza il rischio della imputazione a capitale di entità che difficilmente potrebbero soddisfare i creditori sociali (XXXXXXXX [2008], 59).
Ulteriore interpretazione di carattere generale in tema di conferimenti è quella che ne sostiene l’autonomia della disciplina rispetto ad altri segmenti del diritto delle società di capitali e segnatamente rispetto alle regole ed al relativo dibatto sulle funzioni del capitale sociale. In tale prospettiva si ritiene centrale considerare il problema della conferibilità in termini di “valutabilità”, ossia di individuazione dei criteri attraverso i quali si opera la selezione delle risorse conferibili (FERRI jr [2001], 351). Si sostiene, cioè, che “l’unica entità propriamente conferibile è […] il valore”. Alla luce di questa lettura nessuna entità è di per sé inconferibile, così come anche nessuna entità ha in sé i requisiti di conferibilità, trattandosi unicamente di verificare, all’esito di un processo che può essere più o meno complesso, quale sia il valore da assegnare ad un determinato bene. In questa prospettiva, criteri di determinazione del valore del conferimento sono considerati, come accennato (§ 20), oltre quello tradizionale del valore di cambio, anche quello del valore d’uso che il bene può acquisire per la società. Tra questi due criteri quello del valore di scambio ha valenza generale, mentre quello del valore d’uso varia in ragione delle specificità di ciascuna società (FERRI jr [2001], 360).
Infine, merita di essere evidenziato, seppure in estrema sintesi, un orientamento secondo il quale il requisito della suscettibilità di valutazione economica non è da confon- dere con quello della patrimonialità della prestazione ex art. 1174 c.c. (SPOLIDORO [1988], 15; XXXXX [2004], 38), il richiamo alla patrimonialità ex art. 1174 c.c. non aggiungendo alcunché in punto di valutazione economica del conferimento (FERRARA jr-CORSI [2009], 935). A questo proposito si è, inoltre, affermato che se l’art. 1174 x.x. xxxxxx xxxxxxx xxxxxxxx x xx xxxxx xxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx tra le espressioni utilizzate dalle due norme (artt. 1174 e 2464, co. 2, c.c.) non vi sarebbe stata ragione di ripeterne il contenuto per i conferimenti, né si giustificherebbe il riferimento al solo tipo della S.r.l. (ZANARONE [2010], 291).
In conclusione, la suscettibilità di valutazione economica non assolve la funzione di criterio selettivo delle singole entità in quanto tali, ma costituisce, come autorevolmente sostenuto, “un argine di sbarramento della conferibilità” (PORTALE [1974], …), argine che, nella
prospettiva più liberale, oggi, non preclude l’imputazione a capitale di conferimenti un tempo ritenuti atipici a condizione di renderne certo, seppure in taluni casi dipendente dalla collaborazione del socio (XXXXXXXX [2006], 54), il valore “assicurandolo”.
La considerazione dell’art. 2464, co. 2, c.c. quale clausola generale, che amplia la sfera della conferibilità, legittima, infine, l’interrogativo se si possano imporre in via analogica le soluzioni previste per “assicurare” conferimenti d’opera e servizi a risorse non espressa- mente previste nell’elenco predisposto dall’art. 2464 (XXXXXXXX [2008], 58 nt. 42). In altri termini: la soluzione proposta dal legislatore della riforma di “assicurare” le risorse di più difficile valutabilità o esigibilità (a seconda delle prospettive) potrebbe essere soluzione applicabile in via analogica ogniqualvolta si diano condizioni di difficile valutazione o esigibilità a fronte di entità che tuttavia sarebbe utile acquisire all’impresa. Naturalmente, molti e diversi sono i dubbi che tale soluzione potrebbe sollevare: se si tratti di regola eccezionale e quindi non applicabile in via analogica o se l’oggetto della prestazione non si sposti in tal modo dalla risorsa in sé alla garanzia o al suo valore (GINEVRA [2007], 140; SCIUTO [2008], 677) o se, infine, la tecnica dell’assicurazione del capitale non finisca “per favorire […] la creazione d’imprese senza capitale” (XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 349). Sul piano gene- rale, infatti, la tecnica assicurativa predisposta per il conferimento d’opera o servizi e forse estensibile anche ad altre entità di difficile valutazione o esigibilità viene letta come “spia” di quelle tendenze, in crescente diffusione nei vari Stati comunitari, alla ammissibilità di “società di capitali senza capitale sociale”, alimentando così il dibattito tra i sostenitori della persistente attualità del capitale sociale (PORTALE [2010], 1237) e coloro che, invece, ne pro- clamano il superamento.
IV. Casi particolari
Nell’ambito del dibattito sulle entità conferibili si danno casi rispetto ai quali maggiori sono state le divergenze interpretative in passato e recenti ed incisive le novità legislative di settore. In talune ipotesi, alla luce delle riforma e dell’apertura offerta dall’ampia previsione dell’art. 2464, co. 2 non sembrano esservi più dubbi quanto alla conferibilità in sé, potendo piuttosto porsi problemi di qualificazione della fattispecie e, conseguentemente, di regole da applicare; si tratta di ipotesi di difficile o comunque incerta riconducibilità all’una o altra di quelle espressamente previste e disciplinate all’art. 2464 e rispetto alle quali, come accennato (n. 24) si pone l’interrogativo se si possa attingere alle soluzioni previste per i conferimenti d’opera e servizi (la polizza di assicurazione o la fideiussione). Tra i casi rispetto ai quali per un certo periodo vi è stata incertezza circa la conferibilità in sé e rispetto ai quali sono intervenute modifiche legislative decisive vi è certamente quello dei diritti di proprietà intellettuale, del know-how e del diritto al nome e all’immagine.
Per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale ed il know-how non sembrano ormai esservi dubbi sulla loro conferibilità in società quali beni in natura. Le incertezze
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interpretative in merito a tali entità derivavano sia dalla difficoltà di valutazione economica legata all’innovatività (e conseguente imprevedibilità del successo commerciale) dei risul- tati, sia, in particolare, dalla considerazione della suscettibilità di valutazione economica come espropriabilità. Il rilievo crescente di tali beni nella c.d. “economia della conoscenza” ha accelerato la necessità di individuare criteri di misurazione del valore certi ed obiettivi sia in sede di conferimento, che di costituzione di garanzie (CIAN [2009], 40), come pure in sede di liquidazione dei danni da violazione (RENOLDI [2007]). In tal senso le indicazioni più innovative rispetto alla misurazione del valore vengono dagli studi messi a punto nell’am- bito del diritto della concorrenza per determinare la quota di mercato che tali beni possono garantire al loro titolare (RENOLDI [2007], 18). Rispetto al tema della valutazione economica e quindi della conferibilità di tali beni la riforma del Codice della Proprietà Industriale del 2005 (d.lgs. 10.2.2005, n. 30 e poi d.lgs. 13.8.2010 n. 131 c.d “correttivo”) ha introdotto una categoria del tutto nuova, quella dei diritti di proprietà industriale non titolati (art. 2, art. 98 CPI).
Nel panorama dei diritti di proprietà industriale si distingue oggi tra diritti titolati, che si ottengono a seguito di una procedura amministrativa di rilascio di un titolo attraverso la registrazione o brevettazione e diritti non titolati, ossia situazioni giuridiche di fatto, tutelate però, anch’esse – ed in ciò consiste la novità – attraverso la tecnica del diritto esclusivo. Prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice i marchi non registrati, le inven- zioni non brevettate, le conoscenze tecniche aziendali alle quali è, almeno in parte, riconducibile il know-how, erano tutelate attraverso la disciplina della concorrenza sleale, che offriva una tutela di carattere personale ed obbligatoria, ovverosia una tutela solo rispetto a comportamenti contrari alla lealtà e correttezza professionale. Con l’entrata in vigore del nuovo codice sia i marchi non registrati, che le invenzioni non brevettate sono state equiparate dal punto di vista della tecnica di tutela alle invenzioni brevettate e ai marchi registrati; anch’essi sono, infatti, oggi, tutelati attraverso la tecnica del diritto esclusivo che permette di agire giudizialmente verso chiunque utilizzi o sfrutti il medesimo trovato, salvo il caso in cui – opportuna correzione introdotta dal d.lgs. 13.8.2010 n. 131
– “esse siano state conseguite in modo indipendente dal terzo” (art. 99 CPI). In altri termini, pur dandosi differenti condizioni di accesso alla protezione (con o senza proce- dimento amministrativo) la tecnica di tutela utilizzata è in entrambi i casi quella del diritto esclusivo.
Da parte le critiche che tale opzione legislativa sollecita sulle ricadute concorrenziali (ROMANO [2010], 599), dal punto di vista della conferibilità di tali entità e segnatamente dei diritti non titolati, certamente si assiste ad un incremento decisivo del grado di certezza soprattutto in termini in circolazione e conseguentemente in termini di valutazione eco- nomica di tali diritti (SPOLIDORO [2006], 498). La tutela tramite il diritto esclusivo anche di situazioni di fatto ne agevola, infatti, la circolazione, offrendo maggiore protezione soprat- tutto nelle vicende traslative, che in passato esponevano il titolare del diritto ai rischi legati alla divulgazione del segreto; oggi questi rischi sono in larga parte ridimensionati e ciò senz’altro incide sulla suscettibilità di valutazione economica di tali diritti (XXXXXXXX [2009],
2993), offrendo così argomenti a supporto di quelle interpretazioni che già in passato ne sostenevano la conferibilità (XXXXXXXX [1989]; XXXXXXXXX [1988]).
Alcune argomentazioni sostenute per i diritti di proprietà intellettuale e alcune delle ricadute della riforma del CPI accennata (§ 27) valgono anche rispetto al tema della conferibilità del know-how, discussa già all’epoca dell’entrata in vigore della II direttiva, soprattutto in ragione della eterogeneità di contributi che vengono ricondotti alla nozione di saper fare. Incertezze si davano allora sulla qualificabilità del know-how, ora come bene in natura, qualora esso consistesse prevalentemente in conoscenze tecniche segrete, ora come servizio qualora esso consistesse prevalentemente in abilità oggettivamente identi- ficabili, rimesse tuttavia alla capacità personale del conferente. Certamente, i problemi di qualificazione in parte persistono, potendo ricondursi al termine know-how un insieme non sempre facilmente districabile di conoscenze e abilità, ma oggi le “informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali” sono discipli- nate agli artt. 98 e 99 CPI e sono tutelate attraverso un diritto esclusivo non titolato di proprietà industriale (art. 2 CPI); tale soluzione offre margini più ampi di certezza rispetto ad eventuali rischi di violazione del segreto e conseguente dispersione dell’innovazione. Inoltre, per quanto riguarda il saper fare considerato come capacità o abilità personale nello svolgere determinate attività esso può, dal punto di vista della disciplina applicabile, essere ricondotto alla prestazione di un servizio, così come già in parte proposto nell’am- bito del dibattito sull’argomento (SPOLIDORO [1988], 24) assistito, oggi, dalle relative “assicu- razioni”.
Tema connesso a quello dello sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale e del know-how è poi quello della conferibilità del diritto all’uso del nome civile (XXXXXX XXXXXXX xx [2008], 287; SPADA [2009], 11) o dell’immagine di personaggi noti e particolarmente accreditati. Anche in tal caso si tratta di entità certamente riconducibili alla nozione tracciata all’art. 2464, co. 2, ed in particolare alla classe dei conferimenti in natura, rispetto ai quali i dubbi del passato sono stati parzialmente risolti da interventi legislativi di settore. Per quanto riguarda sia lo sfruttamento del nome che dell’immagine di un personaggio noto l’art. 8 del CPI ammette, infatti, ormai, la possibilità di registrare come marchio il ritratto, il nome e altri segni; conseguentemente sarà possibile conferire in godimento o cedere alla società secondo la disciplina dei conferimenti in natura anche i diritti relativi a tali segni (XXXXXXXX [2008], 56, nt. 27), realizzando per tale via uno degli obiettivi della riforma consistente nell’offrire ai soci la possibilità di “personalizzare” l’apporto e la partecipazione all’impresa sociale.
Un ultimo cenno in tema di entità conferibili deve, infine, essere concesso ai c.d. “nuovi beni”, entità spesso di ancora incerta qualificazione giuridica, non assistite da specifici diritti esclusivi e quindi da un regime proprietario che ne agevoli la circolazione e la tutela, ma che sono, tuttavia, economicamente appetibili anche sotto il profilo dell’esercizio in comune dell’attività di impresa (MASI/Comm. XXX [0000], 1429). Così, per esemplificare, ci si domanda se e a quali condizioni siano conferibili in una società a responsabilità limitata i diritti di utilizzazione economica di un “format” televisivo o ancora se e come siano
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conferibili diritti su eventi sportivi di particolare rilievo o su un’idea pubblicitaria. Rispetto a questi “nuovi beni” dottrina e giurisprudenza oscillano nel riconoscere ora una tutela di stampo proprietario, ora una tutela di natura obbligatoria (RESTA [2011]); il fatto che tali beni si ritengano assistiti da un diritto esclusivo o meno non incide, in realtà, tanto sulla loro conferibilità, lo snodo cruciale essendo, piuttosto, quello dell’assegnazione a tali beni di un valore certo e dell’“assicurazione” di tale valore all’impresa sociale attraverso i congegni a tal fine predisposti dalla legge. Come già accennato in tema di diritti di proprietà indu- striale titolati e non titolati (n. 27), il fatto che a difesa, ancora per esemplificare, di una licenza esclusiva su un evento sportivo (che si intenda conferire in società) si possa agire attraverso rimedi di carattere assoluto e reale (inibitoria, sequestro, etc.) previsti per tali diritti o, al contrario, avvalersi unicamente di una tutela risarcitoria, incide decisamente sul regime di circolazione e conseguentemente sul valore economico da assegnare a tali “nuovi beni”.
C
I conferimenti in danaro
X. Xxxxxx
Sommario: I. Introduzione [1-3]. - II. L'esecuzione dei versamenti iniziali [4-18]. - III. Le garanzie sostitutive: la genesi della disposizione [19-25]. - IV. Ambito di applicazione delle garanzie [26-29]. - V. Funzione della fideiussione bancaria e della polizza assicurativa [30-43]. - VI. Il contenuto e la disciplina delle garanzie [44-59]. - VII. Valutazione della norma [60-63].
I. Introduzione
La norma ribadisce il principio, già presente nella disciplina originaria delle S.r.l., ⎪1 secondo cui i conferimenti a favore della società devono essere eseguiti in denaro, salvo che non sia diversamente disposto nell’atto costitutivo (in particolare, le indicazioni
in merito al contenuto dell’atto costitutivo sui conferimenti dei soci sono esposte nell’art. 2463, co. 2, n. 5, c.c.).
Rispetto alla disciplina vigente prima della riforma del 2003, le novità su cui è oppor- ⎪2 tuno richiamare l’attenzione riguardano la riduzione della percentuale del capitale sottoscritto che deve essere versata al momento della stipulazione dell’atto costitutivo, e
la disciplina delle garanzie con cui il legislatore consente la “sostituzione” di tali versa- menti, che presenta numerosi profili di incertezza ed ambiguità.
Dal canto suo, la legge delega 3.10.2001, n. 366 non contempla alcuna previsione ⎪3
particolare relativamente ai conferimenti in denaro e alle modalità della loro effettuazione. Il suo art. 3, co. 2 si limita infatti semplicemente a richiedere che sia determinata la misura minima del capitale sociale, che la stessa sia “in coerenza con la funzione economica del modello” (art. 3, co. 2, lett. b), l. 366/2001) e che sia consentita “l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale”, fermo restando il princi- pio della effettività del capitale sociale (art. 3, co. 2, lett. c), l. 366/2001).
II. L'esecuzione dei versamenti iniziali
Al momento della stipulazione dell’atto costitutivo, il legislatore impone che i soci ⎪4 abbiano versato almeno il 25% dei conferimenti in denaro sottoscritti e la totalità dell’eventuale sovrapprezzo previsto. La percentuale dei versamenti iniziali obbligatori
è quindi ridotta rispetto a quanto stabilito in precedenza (l’art. 2329, co. 2, n. 2, c.c. richiamato dall’art. 2475, co. 2, c.c. pre-riforma del 2003 imponeva il versamento di
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almeno i tre decimi del capitale sottoscritto) e sotto questo aspetto la modifica si allinea alla nuova disciplina introdotta per le società per azioni dall’art. 2342, co. 2, c.c.
Al contempo, mentre per la società per azioni la riduzione della soglia minima dei versamenti (corrispondente a quanto previsto dall’art. 9 della II direttiva comunitaria in materia societaria – 77/91/CEE del 13.12.1977) è controbilanciata dall’aumento del capi- tale sociale minimo (da centomila euro a centoventimila euro: art. 2327 c.c.), nella disciplina della società a responsabilità limitata il capitale minimo è rimasto invariato all’importo, per vero molto modesto, di diecimila euro (art. 2463, co. 2, n. 4, c.c.).
Ne risulta un obbligo di prestare alla società una dotazione iniziale di mezzi propri in misura inferiore rispetto al passato. Questa circostanza, unita al meccanismo della “sosti- tuibilità” dei versamenti iniziali con la stipulazione di una garanzia bancaria o assicurativa (cfr. infra n. 19 ss.), costituisce un elemento a conferma della complessiva svalutazione della rilevanza della effettività dei mezzi propri della società a responsabilità limitata, quanto meno all’atto della sua costituzione, operata dal legislatore della riforma del 2003. Resta invece invariato rispetto al passato l’obbligo di eseguire integralmente i versa- menti dovuti nel caso di socio unico, allo scopo di tutelare l’integrità del capitale sociale. Infatti, la presenza di un solo quotista accrescerebbe il rischio per la società di non riuscire successivamente ad ottenere i versamenti che non fossero stati eseguiti contestualmente alla costituzione della società, potendo fare affidamento sul patrimonio di un unico
debitore.
Si è osservato che l’esecuzione dei versamenti iniziali non sarebbe più una delle condizioni per la costituzione della società, a differenza di quanto disposto dalla disciplina precedente alla riforma del 2003 (XXXXXXXXXX/Comm. CBCM [2004], 1756). In effetti, nel sistema previgente, l’art. 2475, co. 2, c.c. rinviava all’art. 2329 c.c., il cui comma secondo, n. 2 prevedeva espressamente quale condizione di costituzione della società che fossero “ver- sati presso un istituto di credito almeno i tre decimi dei conferimenti in denaro”.
L’attuale art. 2463, ultimo comma, c.c., che sostituisce il precedente art. 2475 c.c., conserva il rinvio all’art. 2329 c.c., in cui però non è più contemplato espressamente l’obbligo della esecuzione dei versamenti iniziali. Inoltre, le prescrizioni relative ai conferimenti, la cui osservanza è imposta dal n. 2 del citato art. 2329 c.c., devono intendersi non quelle espressamente richiamate nella norma, che si riferiscono alla società per azioni (tra cui l’art. 2342 c.c., il cui comma secondo richiede il versamento del 25% dei conferimenti presso una banca), bensì le disposizioni della S.r.l. (artt. 2464 e 2465 c.c. – XXXXXXXXX/Comm. MA [2007], 980). In realtà, nonostante le modifiche del testo di legge sopra descritte, è opinione dominante che l’esecuzione dei versamenti iniziali sia rimasta una condizione di costituzione della società, la cui necessità trova conferma anche nel tenore letterale dell’attuale art. 2464, co. 4, prima parte, c.c. (ROSAPEPE/Comm. SS [2003], 28; MASI/Comm. XXX [0000], 1431; AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 97).
Il legislatore non si è neppure preoccupato di meglio stabilire il momento in cui i versamenti debbano essere effettuati, ossia se obbligatoriamente prima della sottoscrizione dell’atto costitutivo redatto dal notaio, ovvero anche ad una data successiva, purché
comunque precedente alla iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle imprese (XXXXXXXXXX/Comm. CBCM [2004], 1756).
È prevalente in dottrina e in giurisprudenza, nonché seguito dalla prassi consolidata, l’orientamento secondo cui il versamento presso la banca debba essere eseguito prima della stipulazione dell’atto notarile, trattandosi appunto di assolvere una delle condi- zioni per la costituzione della società, non per la sua iscrizione nel registro delle imprese, la cui sussistenza deve quindi essere accertata dal notaio al momento della redazione del relativo atto.
Non mancano tuttavia autorevoli voci favorevoli alla tesi opposta, le quali rinvengono in alcune modifiche introdotte dalla riforma del 2003 – quali l’esplicito riferimento al momento della “sottoscrizione dell’atto costitutivo” contenuto nell’art. 2464, co. 4 c.c. e la circostanza che l’omissione del versamento sia stata espunta dall’elenco delle cause di nullità della società (su cui cfr. infra n. 13 ss.) – nuovi spunti a conferma della loro posizione (sul punto, XXXXXXXXX [0000], 316 ss.; XXXXXXXX [0000], 299, nt. 43).
Secondo l’orientamento prevalente, il notaio rogante avrebbe dunque l’obbligo di rifiutare di redigere l’atto costitutivo, in assenza della documentazione attestante l’ese- cuzione dei versamenti dovuti (SALAFIA [2003], 6; MALTONI/Comm. MA [2007], 205; XXXXXXXXX/Comm. MA
[2007], 243; AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 97). Al contempo, l’omissione di tali versa- menti, se è comunque seguita dalla iscrizione dell’atto costitutivo nel registro delle im- prese, non costituisce causa di nullità della società, non ricadendo nella scarna casistica elencata nell’art. 2332, co. 1, c.c., cui del pari rinvia l’art. 2463, ultimo comma, c.c. (MASI/Comm. XXX 0000], 1431; MALTONI/Comm. MA [2007], 217; XXXXXXXX [0000], 301).
Invero, tale situazione configurerebbe una violazione di legge, di cui sarebbe respon- sabile in primo luogo il notaio, nella sua qualità di garante della legalità del procedimento costitutivo della società (MALTONI/Comm. MA [2007], 206 ss.) e che, successivamente, darebbe luogo anche a responsabilità degli amministratori, qualora non intervenissero con tempe- stività a chiedere ai soci l’integrazione dei versamenti in conformità alle disposizioni di legge.
La precisazione dell’obbligo di versare integralmente l’eventuale sovrapprezzo costi- tuisce una novità, rispetto alla disciplina vigente prima della riforma del 2003, che imponeva espressamente tale adempimento solo con riferimento alle azioni o quote da liberarsi tramite conferimenti in natura (art. 2343, co. 1, c.c. pre-riforma 2003). Va notato che una precisazione corrispondente a quella ora introdotta dall’art. 2464, co. 4, c.c. non è operata nell’ambito della disciplina della società per azioni, cosicché si è prodotta una apparente discordanza tra due situazioni altrimenti del tutto analoghe (XXXXXXXXXX/Comm. CBCM [2004], 1757 ss.).
Si deve tuttavia tenere a mente che, anche in assenza di esplicite previsioni di legge, l’obbligo di versare integralmente l’eventuale sovrapprezzo contestualmente alla ese- cuzione di tutti i conferimenti dovuti al momento della costituzione della società, non solo di quelli consistenti in beni in natura o crediti, costituiva principio generalmente accolto anche prima delle modifiche in commento (XXXXXXXXX/Comm. MA [2007], 243), cosicché,
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sotto questo aspetto, nonostante la discutibile carenza di coordinamento tra le norme dei due principali tipi di società di capitali, non dovrebbe ritenersi intervenuta alcuna modi- fica sostanziale né per le società a responsabilità limitata, né per le società per azioni (contra MIOLA [2004], 671).
Non è espressamente disciplinata, benché sia generalmente risolta in senso negativo, la questione dell’ammissibilità della compensazione dei crediti vantati dalla costituenda società per l’esecuzione dei versamenti iniziali con controcrediti vantati dai soci nei confronti della società stessa. A sostegno di tale posizione, si osserva che la compensazione sarebbe sia vietata ex lege (art. 1246, n. 5, c.c.), stante l’obbligo tassativo di depositare i versamenti iniziali presso una banca (SPOLIDORO [2004], 418; XXXXXXXXX X.X., Xxxxx Xxxxxxxxxx, 0, 531 ss.; Cass., 4236/1998), sia – sul piano fattuale e giuridico – addirittura impossibile, in ragione della inesistenza di uno dei due soggetti tra cui essa dovrebbe operare, ossia la società, nel momento in cui la compensazione dovrebbe dispiegare il proprio effetto (Cass. 2367/1996; Cass. 4236/1998; sul punto, in generale, CAPELLI [2006], 74).
È invece di gran lunga prevalente l’opinione secondo cui la compensazione sia ammissibile in sede di aumento di capitale, mentre maggiormente discussa è la que- stione della compensabilità dei crediti della società per i versamenti residui da effettuarsi dai soci successivamente alla costituzione e riguardanti la sottoscrizione di capitale iniziale (a favore: GRIPPA [1998], 528 ss.; XXXXXXXXX F.S. [2006], 533; contra, Xxxx. 2367/1996; contrario in generale alla compensabilità dei crediti nel contesto dei conferimenti societari, VIDIRI [1998], 2823 ss.).
III. Le garanzie sostitutive: la genesi della disposizione
Il punto più innovativo della attuale disciplina della società a responsabilità limitata si caratterizza, da un lato, per essere anche il più controverso, dall’altro lato, per non essere stato ancora oggetto di applicazione concreta, in assenza della disciplina attuativa di fonte secondaria richiesta dalla legge. Ci si riferisce alla previsione della “sostituibilità” del versamento iniziale con la stipula di una fideiussione bancaria o di una polizza assicura- tiva, le cui caratteristiche dovrebbero essere determinate con un decreto del presidente del consiglio dei ministri, che però non è mai stato emanato.
L’antecedente della garanzia prevista nella disposizione in esame è costituito dall’art. 6 l. 18.10.2001, n. 383 (“Primi interventi per il rilancio dell’economia”). Il collegamento tra le due norme è confermato dalla Relazione ministeriale al d.lgs. 17.1.2003, n. 6, ove la previsione del 2001 è espressamente richiamata come modello ispiratore del legislatore (Relazione ministeriale, n. 11). Tra le due disposizioni, tuttavia, si rinvengono alcune significative differenze, benché la regola ora dedicata alla società a responsabilità limitata non superi integralmente né le riserve sollevate nei confronti della precedente disciplina, né le ambiguità ivi riscontrate.
La normativa del 2001 aveva introdotto per tutte le società di capitali il principio della “sostituibilità” (l’utilizzo del virgolettato sarà chiarito tra poco) in tutto o in parte della sottoscrizione del capitale sociale con la stipula di garanzie bancarie o assicura- tive. Intento dichiarato del legislatore, nell’introdurre tale innovazione, era l’agevolazione della nascita di imprese con investimenti di capitale minimi, avendo preso atto che nella “nuova economia” l’elemento essenziale su cui deve fondarsi l’impresa non è costituito dal capitale finanziario, ma dalle idee, dalle risorse intellettuali (DIAFERIA [2001], 1436; MIOLA [2004], 691). Premesse le dovute riserve in merito alla disinvolta sicurezza con cui il legislatore del 2001 dichiarava ormai superata l’esigenza di attribuire ad un’im- presa di nuova costituzione una dotazione sia pur modesta di mezzi finanziari propri, si ricorda che, così disponendo, la norma si era esposta a radicali e fondate censure di legittimità.
In particolare, il riferimento letterale alla sostituibilità della “sottoscrizione” del capitale sociale mediante la concessione di garanzie si poneva in palese contrasto con i principi- base del diritto delle società di capitali, secondo cui la sottoscrizione era condizione per la costituzione della società (art. 2329, co. 1, n. 1, c.c. per le società per azioni, cui rinviava l’art. 2475, co. 2, c.c. per le società a responsabilità limitata nel testo pre-riforma del 2003) e l’omessa indicazione del capitale sottoscritto costituiva causa di nullità della società (art. 2332, co. 1, n. 5, c.c. pre-riforma, cui inviava l’art. 2475, co. 2, c.c. dedicato alle società a responsabilità limitata).
L’unica via per pervenire al “salvataggio” della norma del 2001 consisteva nel forzare la lettera della legge e interpretarla sostituendo il concetto di sottoscrizione con quello di versamento del conferimento (DIAFERIA [2001], 1436). Anche in questo modo, tuttavia, la disposizione appariva in conflitto con i principi sulla formazione del capitale sociale sanciti dall’art. 9, II direttiva comunitaria in materia societaria e obbligatori per le società per azioni, così da risultare inevitabilmente contra legem (PORTALE [2002], 157 ss.; ID. [2010], 1237 ss.; XXXXXXXXXX/Comm. CBCM [2004], 1759).
Sul piano pratico, la disposizione del 2001 non ha comunque potuto confrontarsi con gli eventuali problemi applicativi, in quanto la disciplina secondaria che avrebbe dovuto indicare le caratteristiche delle garanzie non è mai stata emanata, forse anche alla luce delle critiche che avevano colpito la norma di fonte primaria.
Attualmente, l’omessa espressa adozione dell’istituto delle garanzie sostitutive per le società per azioni da parte del legislatore della riforma del 2003 e, al contempo, la sua previsione nell’art. 2464 c.c. inducono a concludere per un’implicita abrogazione della disciplina del 2001. Essa è ora correttamente esclusa per le società per azioni e invece ridelineata per le società a responsabilità limitata, nei cui confronti non si pongono questioni di compatibilità con la II direttiva CEE in materia societaria che, in assenza di un obbligo di fonte sovranazionale, il legislatore italiano ha optato di non applicare al tipo di società in esame (Relazione ministeriale, n. 11; MALTONI/Comm. MA [2005], 205).
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IV. Ambito di applicazione delle garanzie
La lettera della legge sembra indicare che le garanzie, cioè la fideiussione bancaria e la polizza assicurativa, possano essere concesse esclusivamente con riferimento ai versa- menti iniziali da eseguirsi in sede di costituzione del capitale sociale. Non ci sono peraltro ragioni per escludere che la garanzia sia concessa solo per una parte del valore dei predetti versamenti, essendo l’importo residuale immediatamente liberato in denaro. Inoltre, il principio si applica anche ai conferimenti dovuti all’atto della sottoscrizione dell’aumento di capitale, come espressamente previsto dall’art. 2481-bis, co. 4, c.c.
Secondo la dottrina prevalente, e in conformità con il dettato letterale della disposi- zione, nel caso di società costituita per atto unilaterale, la garanzia può sostituire il versamento dell’intero conferimento in denaro dovuto, senza pregiudizio della re- sponsabilità limitata dell’unico socio, qualora siano soddisfatti tutti gli altri requisiti previsti dall’art. 2462, co. 2, c.c. (MIOLA [2004], 694; XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 371).
Non manca tuttavia chi esclude che nel caso di società costituita unilateralmente possa considerarsi soddisfatto il requisito dell’integrale effettuazione del conferimento, sottoli- neando la non coincidenza tra la stipulazione delle garanzie e l’effettivo adempimento dell’obbligo di liberare integralmente i decimi di capitale sottoscritti. Di conseguenza, secondo tale orientamento, il socio unico che si avvalesse della facoltà di stipulare una delle garanzie previste dall’art. 2464, co. 4, c.c., in luogo di versare l’intero conferimento in denaro sottoscritto, non potrebbe godere del beneficio della responsabilità limitata (ROSAPEPE/Comm. SS [2003], 31).
Non pare ammissibile, invece, che la garanzia sia concessa anche relativamente ai versamenti residui da effettuarsi successivamente alla sottoscrizione del capitale sociale iniziale, al momento in cui essi saranno “richiamati” dagli amministratori in ragione delle esigenze della società. Il testo di legge è infatti decisamente chiaro, sia nella norma dedicata ai conferimenti di capitale in sede di costituzione della società, sia nella norma dedicata all’aumento di capitale (art. 2481-bis, co. 4, c.c.), nel riferire la deroga in questione esclusivamente ai versamenti iniziali. L’interpretazione restrittiva che si propone, tra l’altro, è maggiormente conforme alle esigenze di effettività del capitale sociale che carat- terizzano globalmente il sistema delle società di capitali.
V. Funzione della fideiussione bancaria e della polizza assicu- rativa
Del tutto controverso è il punto, in realtà fondamentale, della individuazione della funzione giuridica della fideiussione bancaria e della polizza assicurativa. Le teorie elaborate sono, come si vedrà, molto varie e trovano il proprio fondamento su elementi vuoi letterali, vuoi di sistema, nonché sul dibattito sviluppatosi riguardo alla precedente l.
383/2001. Con molteplici sfumature, esse si ripartiscono fra l’attribuzione alle figure in esame della funzione di garanzia, della funzione solutoria, e il riconoscimento della loro natura peculiare ed eccezionale.
Dal canto suo, la relazione ministeriale al d.lgs. 6/2003 non fornisce chiarimenti significativi, limitandosi a sottolineare la ritenuta opportunità di “consentire la costitu- zione della società pur nell’attuale mancanza di valori oggettivamente accertabili”, attri- buendo la facoltà di sostituire il versamento dei decimi iniziali con la “prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria che ne garantisca l’esecuzione” (Relazione ministerale, n. 11). Il fugace richiamo alla funzione di garanzia operato nella relazione a commento al d.lgs. 6/2003 non ha quindi impedito l’elaborazione di diverse teorie finalizzate a chiarire la questione, muovendo dagli orientamenti interpretativi svi- luppati a commento dell’art. 6 l. 383/2001. Al fine della esposizione che segue, si precisa comunque che, a prescindere dalla qualificazione giuridica loro riconoscibile, i contratti di cui trattasi, quando considerati collettivamente, continueranno ad essere designati come “garanzie”.
Una prima posizione, come anticipato, riconosce alla fideiussione bancaria e alla polizza assicurativa il ruolo tipico di “garantire l’effettività del capitale sottoscritto” e tutelare la società rispetto ad eventuali inadempimenti del socio, consentendo in tal modo il differimento ad un momento successivo dell’esecuzione del conferimento in denaro. Il versamento dei decimi previsti dall’art. 2464, co. 4, c.c. costituisce quindi un’obbligazione ad effetti differiti e, in buona sostanza, la funzione della fideiussione e della polizza non si differenzia rispetto a quella svolta dalle garanzie previste al co. 6 della medesima norma (AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 99; XXXXXXXX [0000], 307, nt. 64).
Nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore, è tuttavia di gran lunga prevalente in dottrina l’opposto orientamento secondo cui la fideiussione bancaria e la polizza assicurativa non siano qualificabili come garanzie dell’adempimento dei soci.
In precedenza, con riferimento all’art. 6 l. 383/2001, si era giunti ad ipotizzare che la fideiussione e la polizza svolgessero una funzione direttamente solutoria, di pagamento, sostitutiva del versamento e allo stesso equivalente, analoga a quella caratterizzante l’interposizione della banca nelle operazioni di credito documentario (XXXXX xx [2002], 1367 ss.). Il richiamo al credito documentario non era stato però generalmente condiviso, stante la non completa equivalenza tra le due operazioni di pagamento e di concessione della garanzia, e tra le posizioni del beneficiario di un’apertura di credito documentario e quella del beneficiario di una garanzia, quand’anche quest’ultima fosse autonoma e a prima domanda (MIOLA [2004], 699; XXXXXXX, [0000], 92 ss.). Si osservava inoltre che se la concessione della garanzia avesse avuto anche funzione solutoria, la sua stipulazione avrebbe dovuto essere qualificata come conferimento di bene in natura e confrontarsi con la relativa disciplina (PORTALE [2002], 158 ss.), aspetto su cui invece il legislatore taceva.
Con riferimento all’attuale art. 2464 c.c., la dottrina che rigetta la tesi della funzione di mera garanzia è però divisa sul punto, già dibattuto relativamente all’art. 6, l. 383/2001 (cfr. supra n. 34), se la stipulazione dei contratti ivi previsti a favore della società comporti o meno
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liberazione definitiva del socio dall’obbligo di eseguire il conferimento in denaro, e quindi se svolga o meno funzione pienamente sostitutiva-solutoria. Va anche sottolineato che la conseguenza della liberazione del socio dall’obbligo dei versamenti comporterebbe l’in- tegrale trasferimento del rischio relativo ai conferimenti in capo alla società (JAEGER- DENOZZA-TOFFOLETTO [2010], 533).
Ambiguo risulta, sulla questione in esame, il coordinamento con il successivo art. 2466 c.c., che si riferisce genericamente alle garanzie previste dall’art. 2464 c.c., prevedendo (ultimo comma) l’applicazione della disciplina del socio moroso quando le stesse siano scadute o divenute inefficaci, salva la loro sostituzione con il versamento della corrispon- dente somma di denaro. Al proposito, sul piano letterale il combinato disposto degli artt. 2464 e 2466 c.c. deporrebbe a favore della teoria secondo cui la stipulazione della garanzia non comporta liberazione del socio dall’obbligo di eseguire il versamento in denaro (ROSAPEPE/Comm. XX [0000], 30; XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 370 ss.; AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 99;
XXXXXXXX, [0000], 393). Tuttavia, questo fattore, singolarmente considerato, non è determi- nante per superare ogni dubbio.
Un ulteriore argomento opponibile alla tesi della completa sostituibilità tra il conferi- mento e la stipulazione del contratto di garanzia riproduce un’obiezione già formulata riguardo all’art. 6 l. 383/2001 (cfr. supra n. 34) e valorizza il fatto che l’operazione si qualificherebbe come un conferimento in natura – secondo alcuni della garanzia stessa, secondo altri del credito verso la banca o l’impresa assicuratrice rappresentato dalla garanzia – mentre in questo caso il legislatore non richiede alcuna relazione di stima ai sensi dell’art. 2465 c.c. (XXXXXXX [2003], 92; XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 369; AVAGLIANO/Comm. MBGN-
S.r.l. [2008], 101). Al tempo stesso, la circostanza dell’assenza di un obbligo di valutazione delle garanzie ex art. 2465 c.c. è da altri interpretata come elemento a conferma della loro equiparazione al denaro ad opera del legislatore (XXXXXXXX [2004], 97).
Risulta invece difficilmente contestabile l’aspetto della non equivalenza e non fungi- bilità giuridica ed economica tra le due operazioni consistenti nel versamento diretto di una somma di denaro e nella prestazione di una delle garanzie contemplate (ROSAPEPE/Comm. XX [0000], 30; XXXXXXX [0000], 92; XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 369), ammesso anche da chi attribui- sce alle figure in esame funzione sostitutiva-solutoria (XXXXXXXX [2004], 97).
Su di un altro piano, sempre nell’ambito dello schieramento che propugna la funzione sostitutiva-solutoria delle garanzie in questione, si sottolinea la presenza di alcune incon- gruenze tra il disposto dell’art. 2466, co. 2 e ultimo, c.c. e quello dell’art. 2464, co. 4, c.c., che renderebbero inapplicabile alla situazione in cui siano stati stipulati i contratti in esame la procedura del socio moroso. Più precisamente, si rileva un conflitto tra, da un lato, le “facoltà” riconosciute in capo al socio di stipulare una garanzia a favore della società in luogo di provvedere al versamento del denaro (art. 2464, co. 4, c.c.) e di sostituire la garanzia con una somma di denaro al fine di evitare la vendita forzata della quota del socio moroso (art. 2466, ultimo comma, c.c.) e, dall’altro lato, la facoltà della società di pro- muovere un’azione esecutiva contro il socio o, alternativamente, il “dovere-potere” degli amministratori di vendere coattivamente le quote del socio (art. 2464, co. 2), nel caso di
violazione dell’obbligo di eseguire i conferimenti (cfr. XXXXXXX [0000], 95 ss.; infra VALZER, sub art. 2466). Nell’ottica della tesi qui ricordata, l’esclusione dalla procedura prevista per il socio moroso del quotista che fosse ricorso alla polizza o alla fideiussione a favore della società confermerebbe quindi che tali contratti libererebbero il socio stesso dall’obbligo di effet- tuare successivamente i versamenti in denaro.
Peraltro, la posizione illustrata da ultima non pare del tutto persuasiva, in quanto la norma in questione sembra potersi più linearmente leggere nel senso di ammettere l’applicazione della procedura del socio moroso in via residuale, qualora la società non fosse più in condizione di avvalersi della garanzia prestata ex art. 2464, co. 4, c.c., e quest’ultima non fosse sollecitamente sostituita da un’altra garanzia o dalla somma di denaro di importo corrispondente. D’altro canto, sullo stesso tema, altra dottrina, che accoglie la tesi della funzione sostitutiva-solutoria, ammette l’operatività della disciplina del socio moroso, sia pure intendendo la inefficacia della garanzia esclusivamente come riferentesi ad una sua “condizione giuridica” (XXXXXX-XXXXXXX-TOFFOLETTO [2010], 533).
In posizione più sfumata si colloca un’ulteriore teoria, secondo cui la fideiussione bancaria e la polizza assicurativa si qualificano come conferimenti alternativi ai versamenti di denaro, con funzione cauzionale, senza alcuna finalità indennitaria dei danni in ipotesi causati alla società dall’eventuale inadempimento del socio (MIOLA [2004], 695 ss.).
Infine, si segnalano alcune tesi che riconoscono all’istituto un carattere prettamente peculiare. In questo senso, si osserva che la prestazione delle garanzie consente il rinvio dell’esecuzione dei conferimenti in denaro, traducendosi in un’agevolazione di tipo finanziario ai soci e in una “deroga parziale al principio di effettività del capitale” (XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 370). È evidente, peraltro, che l’agevolazione conosce un limite, là dove la escussione della garanzia da parte della società comporterebbe la proposizione dell’azione di regresso del garante verso il socio.
Nel medesimo solco, un’altra tesi sottolinea che la funzione di garanzia si affianca a quella solutoria e costituisce una soluzione eccezionale, ammissibile solo in quanto prevista dalla legge e certamente non suscettibile di applicazione analogica (XXXXXXXXX/ Comm. MA [2005], 83). Al riguardo, la previsione di un modello vincolante di fideiussione e di polizza comproverebbe la peculiarità dell’istituto, rispetto alle tecniche di copertura del rischio e di garanzia di tipo tradizionale (MASI/Comm. XXX [0000], 1433).
VI. Il contenuto e la disciplina delle garanzie
Quanto al contenuto delle garanzie in esame, la sua determinazione, come già accennato (cfr. supra n. 43) è rimessa ad un provvedimento di fonte secondaria, ossia un decreto del presidente del consiglio dei ministri. Nonostante siano ormai trascorsi parecchi anni dalla modifica dell’art. 2464 c.c., simile provvedimento – di cui è stata elaborata esclusivamente una bozza nel xxxxx xxx 0000 (XXXXXXX [0000], 3 ss.; XXXXXXXXX [2007], 85, nt. 26)–
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non è mai stato emanato, impedendo quindi alla norma di fonte primaria di entrare in vigore. Nel frattempo, la dottrina ha avuto modo di elaborare una serie di indicazioni in merito alle caratteristiche più appropriate della fideiussione bancaria e della polizza assicurativa.
Si ritiene in generale – ma non unanimemente (XXXXXXXXX [2007], 84) – che la fideiussione e la polizza debbano soddisfare il requisito dell’astrattezza, in modo da impedire che il garante o il socio debitore possano opporre qualunque eccezione o comunque ostacolarne in qualunque modo l’escussione da parte della società. Si richiama pertanto l’apposizione della clausola di pagamento a prima domanda; più correttamente, altra dottrina rinvia allo schema del contratto autonomo di garanzia, che è comunque figura giuridica diversa rispetto sia alla fideiussione, sia alla polizza assicurativa.
Altri aspetti relativi alla disciplina delle garanzie di cui sarebbe auspicabile il regola- mento tramite normativa di fonte secondaria e che, in difetto, devono essere affrontati per via contrattuale, attengono alla durata del contratto, ai presupposti della sua escussione, alla sua sorte nel caso di cessione della quota e di liquidazione volontaria o coatta della società e al recesso del socio.
Quanto alla durata dei contratti, essa è in via di principio dipendente dalla durata della società. Quindi, se la società fosse costituita a tempo indeterminato, dovrebbero esserlo anche le garanzie, benché tale caratteristica potrebbe rendere più complessa la loro disciplina contrattuale. Si porrebbe infatti la questione del diritto di recesso ad nutum del garante e delle sue conseguenze, che sarebbero equiparabili alla scadenza della garanzia ex art. 2466 c.c. (MIOLA [2004], 697). Non si potrebbe escludere, tuttavia, che lo statuto stabilisca una durata della garanzia più breve rispetto a quella della società, obbligando quindi il socio ad effettuare il versamento in denaro alla scadenza del contratto. Xxxxxx previsione sarebbe particolarmente coerente con il riconoscimento alla garanzia della funzione di differire l’obbligo di eseguire il conferimento in capo al socio, senza pertanto sostituirlo definitivamente.
Conformemente, la sostituibilità della garanzia scaduta o divenuta inefficace con una somma di denaro di valore pari a quello dell’obbligazione garantita – cioè, l’esecuzione dei versamenti – o con una nuova garanzia valida ed efficace non pare agevolmente compati- bile con la teoria che riconosce alla stipulazione dei contratti in essere una funzione solutoria e definitivamente liberatoria dell’obbligo di effettuare i versamenti in denaro iniziali.
Il garante avrebbe diritto di recedere dal contratto nell’ipotesi di mancato paga- mento delle relative commissioni o premi da parte del socio. Per evitare questo rischio, ci si è spinti a proporre che la società si renda obbligata solidalmente, sia pur in via sussidiaria, con il socio, per l’adempimento dei suoi obblighi verso il soggetto emittente le garanzie (DE ANGELIS [2004], 329). La bozza del d.p.c.m. del 2004 si limitava invece a stabilire che il garante dovesse ottenere copia dei documenti societari comprovanti il ricorso al meccanismo sostitutivo della fideiussione o della polizza (cfr. infra n. 52), nonché trasmettere alla società copia della documentazione riguardante la garanzia concessa.
L’operatività della fideiussione e della polizza assicurativa dovrebbe essere slegata rispetto a qualunque onere di preventiva escussione del socio. La questione non si pone qualora ai predetti contratti fosse riconosciuta funzione sostitutiva-solutoria. Detto onere di preventiva escussione del socio non sussisterebbe neppure qualora le figure in esame fossero qualificate come garanzie, sia in forza dell’applicazione del principio generale di cui all’art. 1944, co. 2, c.c. – che impone di accertare preventivamente l’inadempimento del debitore principale solo se espressamente previsto nel contratto – sia, e a maggior ragione, nell’ipotesi in cui, come auspicabile, si valorizzasse l’elemento della autonomia della garanzia stessa. Deve anche segnalarsi, tuttavia, la diversa posizione riconducibile alla tesi che considera il meccanismo in esame come “agevolazione finanziaria” (cfr. supra n. 42) e che ritiene coerente con tale qualificazione la circostanza di imporre alla società di richiedere in primo luogo al socio di eseguire i versamenti dovuti (XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 371).
Nell’ambito dell’orientamento che riconosce ai contratti in esame funzione sostitutiva- solutoria, si precisa che la richiesta di pagamento al soggetto terzo “garante” dipende- rebbe dalla decisione discrezionale degli amministratori, conformemente al loro po- tere generale di richiamare i decimi mancanti nel momento in cui lo ritenessero opportuno o necessario, oltre che nel caso di liquidazione della società (XXXXXXXX [2004], 99). Per quanto detto in precedenza (cfr. supra n. 50), deve ritenersi che il medesimo meccanismo si appli- cherebbe anche qualora le figure di cui si tratta fossero ricondotte alla fattispecie delle garanzie.
Quanto al regime di pubblicità, nel silenzio della legge, pare decisamente opportuno che i contratti in questione siano allegati allo statuto o, quantomeno, che essi vi siano menzionati, con l’indicazione delle loro caratteristiche essenziali di durata e di valore, così da essere pienamente conosciute dai terzi (AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 108). Sulla stessa linea era la bozza di d.p.c.m. elaborata nel 2004, che richiedeva la menzione nell’atto costitutivo della concessione delle garanzie e del loro valore.
Nel caso di trasferimento della quota, si pone la questione di conservare la validità della garanzia. Allo scopo, la fideiussione o la polizza dovrebbe prevedere il subentro nel contratto da parte dell’acquirente, anche tenendo conto che oggetto del trasferimento potrebbe essere solo una porzione della quota inizialmente sottoscritta. In caso contrario, la quota non sarebbe trasferibile in assenza della concomitante esecuzione del versamento ovvero della stipulazione di un nuovo contratto di garanzia (MIOLA [2004], 719).
Simile alternativa “secca” sarebbe invece evitata, se si aderisse alla tesi secondo cui, sulla base della previsione della responsabilità solidale dell’alienante con l’acquirente per l’ese- cuzione dei versamenti ancora dovuti prevista dall’art. 2472 c.c., anche la garanzia di cui si discute conserverebbe validità per tre anni successivamente alla cessione (ZANARONE [2010], 311).
Infine, si tratta di stabilire se e con quali modalità il socio possa esercitare il diritto di recesso, non avendo ancora effettuato il versamento del denaro. La questione si pone, ancora una volta, qualora si ritenga che la concessione delle garanzie non comporti
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liberazione del socio dall’obbligo di eseguire i conferimenti in denaro. La liquidazione della quota dovrebbe senz’altro tenere conto del valore del credito vantato dalla società, salvo che la società non opti per seguire un iter più complesso, consistente nel riscuotere la garanzia e liquidare la quota del socio comprensiva del valore del versamento ottenuto, scelta che comporterebbe però il successivo obbligo per il socio di rimborsare il garante escusso.
Nel caso in cui non fosse azionata la garanzia, si ritiene che la fattispecie sarebbe assimilabile all’ipotesi del recesso del socio, esercitabile successivamente alla esecuzione del conferimento in natura, qualora il valore di quest’ultimo risultasse inferiore di oltre un quinto rispetto al valore attribuitogli in sede di costituzione di una S.p.A. ex art. 2343, ultimo comma, c.c., piuttosto che alla fattispecie generale del recesso del socio prevista dall’art. 2473 c.c. (MIOLA [2004], 720, testo e nt. 164).
Resta incerto il rapporto tra le garanzie di cui si tratta al comma quarto e quelle previste in coincidenza con l’assunzione dell’obbligo di conferire prestazioni d’opera o di servizi dall’art. 2464, co. 6, c.c. La lettera dell’art. 2464 c.c. distingue le due fattispecie, prevedendo solo per le garanzie facoltative disposte dal comma quarto in esame la predi- sposizione di un modello standard normativo. Da tale circostanza, come illustrato, sono ricavabili argomenti per sostenere il carattere del tutto peculiare dei contratti di cui si tratta, nonostante la terminologia adottata dal legislatore, e per sottolineare la radicale differenza tra le fattispecie contemplate dal co. 4 e quelle previste dal co. 6 dell’art. 2464 c.c.
Non manca tuttavia chi ha auspicato che le caratteristiche indicate dal provvedimento attuativo prescritto dal comma 4 siano adottate anche per le garanzie relative alle presta- zioni di opera o di servizi previste dall’art. 2464, co. 6 (AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 141), benché ciò sia estraneo alle espresse indicazioni del legislatore.
Dal canto suo, la bozza di d.p.c.m. del 2004 stabiliva regole intese ad applicarsi ad entrambi i gruppi di garanzie previsti dall’art. 2464 c.c., ma tale impostazione è stata censurata dal Consiglio di Stato, proprio in quanto l’estensione del provvedimento alle garanzie previste dall’art. 2464, comma 6, c.c. eccedeva i limiti fissati dalla norma sovraor- dinata (XXXXXXXXX [2007], 85, nt. 26).
VII. Valutazione della norma
Complessivamente, l’attuale disciplina dei conferimenti in denaro non pare piena- mente soddisfacente. Il suo aspetto più innovativo, vale a dire il meccanismo di sostitui- bilità dei versamenti con la stipulazione di una garanzia, che non conosce equivalenti negli altri ordinamenti comunitari, da un lato è destinatario di una disciplina incerta, dall’altro lato non può trovare applicazione, in assenza della normativa attuativa di rango inferiore. Il suo scopo è chiaramente di limitare i costi iniziali di avvio dell’attività d’im-
presa e, unitamente all’istituto della prestazione d’opera e di servizi, di facilitare l’accesso all’imprenditoria di soggetti dotati di capacità intellettuali, ma privi di mezzi finanziari.
Per la ragione sopra indicata, tra le numerose teorie elaborate al fine di individuare la qualificazione dell’istituto, sembrano maggiormente aderenti allo spirito della norma quelle che valorizzano la funzione di meccanismo di dilazione dell’adempimento del- l’obbligo di esecuzione dei versamenti (senza liberazione dei soci), e quindi del tutto eccezionale rispetto al sistema complessivo del diritto societario. Sul tema, è stato notato che il cumulo di tale meccanismo con la facoltà di determinare il valore della quota assegnata a ciascun socio in maniera non proporzionale al conferimento eseguito esalte- rebbe il ruolo del socio non capitalista (MIOLA [2004], 694).
Su di un piano meramente pratico, occorre chiedersi quale utilità possa rinvenirsi nella facoltà concessa ai quotisti di sostituire con la stipulazione di garanzie l’esecuzione dei versamenti iniziali, in considerazione dell’esiguo valore dei conferimenti minimi richiesti dalla legge all’atto della costituzione di una società a responsabilità limitata e dei costi e tempi lunghi dell’istruttoria per pervenire alla stipulazione di simili contratti con una banca o una compagnia di assicurazioni (si pensi alla delicatezza del caso della garanzia da concedersi a tempo indeterminato).
Quanto all’effetto di consentire la nascita di società a responsabilità limitata dotate di capitali propri scarsissimi o addirittura nulli, se apprezzato da alcuni (XXXXXXXXX [2007], 83), esso suscita del pari notevoli perplessità (PORTALE [2002], 157 ss.; FERRARA jr-CORSI [2009], 936). Al riguardo, la dottrina più severa critica recisamente la carenza di meccanismi volti ad agevolare la raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI ed esprime preoccupazione per la combinazione del beneficio della responsabilità limitata con il ricorso esclu- sivo a capitali di terzi per il finanziamento dell’attività d’impresa, che la nuova disciplina della S.r.l. rende possibile (XXXXXXXX, Liber Campobasso, 3, 374). Sotto questo aspetto, solo la perdurante assenza del provvedimento attuativo della disposizione codicistica ha finora scongiurato il verificarsi di simili situazioni.
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Conferimenti in natura e immediata liberazione delle quote
X. Xxxxxxxx
Sommario: I. Applicabilità e inderogabilità del principio consensualistico nei conferimenti in società [1-3]. - II. L'immediata liberazione delle quote [4-9]. - III. Conseguenze applicative della mancata liberazione delle quote [10-11]. - IV. La violazione dell'obbligo di liberazione immediata [12-14]. - V. Le garanzie della perdurante disponibilità del bene [15-21]. - VI. I conferimenti “obbligatori”: introduzione [22-24]. - VII. La previsione legale dei conferimenti di opere e servizi e la proposta di interpretazione analogica o estensiva a tutti i conferimenti obbligatori [25-27].
I. Applicabilità e inderogabilità del principio consensualistico nei conferimenti in società
1⎪ In linea di principio, con riguardo, cioè, alla disciplina dei conferimenti in generale (conferimenti in danaro, conferimenti non in danaro), i conferimenti dei soci possono consistere nel trasferimento immediato del diritto o nell’assunzione di un obbligo di successivo apporto, come accade appunto nel caso del conferimento in danaro (FERRI [1988], 356). I conferimenti non in danaro, inoltre, sempre in linea di principio, possono consistere sia nel trasferimento del diritto su una cosa che nell’attribuzione di diritti di credito nei confronti di terzi o nell’assunzione di obblighi da parte del conferente stesso, aventi ad oggetto una futura prestazione (come oggi viene specificamente riconosciuto in caso di conferimento di opere o servizi dall’art. 2464, co. 6). In questo senso si può affermare che l’apporto del socio si configura anche in caso di assunzione di un obbligo, oltre che in caso di trasferimento del diritto. In tutti i casi, tuttavia, il diritto sul bene o al conseguimento della prestazione sorge contestualmente alla sottoscrizione.
2⎪ Anche per i conferimenti consistenti nel trasferimento di un diritto reale, peraltro, una risalente opinione assegnava al conferimento natura obbligatoria, negando l’applicabilità in materia di società del principio consensualistico di cui all’art. 1376 c.c. (x. Xxxx. 999/1965; in dottrina, tra altri, XXXXXXXXX [0000], 72 ss.). La tesi è stata confutata dalla dottrina successiva, con la precisazione che il principio consensualistico deve ritenersi inderogabile nelle società di capitali, e ciò a garanzia dell’effettività del capitale sociale (v. PORTALE [1970], 913 ss., spec. 944 ss.). Benché la tesi più antica debba ritenersi oggi del tutto abbandonata, essa riemerge tuttavia in talune affermazioni giurisprudenziali, come quando si individua un “atto di conferimento... autonomo e distinto rispetto al contratto di costituzione della società
stessa” (Xxxx. 2817/1995; Trib. Xxxxxx 00.0.0000; contra App. Milano, 3.9.1991; altri riferimenti in XXXXXXX [0000], 642; MIOLA [2004], 63 ss. nt. 150; in dottrina si v. altresì, per taluni spunti critici in merito all’appli- cazione del principio consensualistico, sull’assunto – di cui peraltro si rileva da altri autori la contrarietà agli artt.
2344 e 2466: XXXXXXXXXX [0000], 74, nt. 38 – dell’insuscettibilità di esecuzione forzata in forma specifica dell’obbligo di conferire, XXXXX xx [2001], 219 ss., 292 ss.).
L’affermata applicabilità del principio consensualistico al contratto di società comporta ⎪3
il passaggio del rischio della perdita della cosa alla società dal momento in cui appunto si verifica il trasferimento e la liberazione delle quote, e cioè al momento dell’iscrizione della società nel registro delle imprese (FERRARA jr-CORSI [2006], 411) ovvero al momento del confe- rimento stesso [in tal caso configurandosi la società come persona giuridica costruttiva, giuridicamente capace anche se non ancora iscritta (v. sul tema PORTALE [1994] 1; MIOLA [2004], 63 ss.)].
II. L'immediata liberazione delle quote
La regola della liberazione immediata introdotta nell’art. 2464, co. 5 (in materia di ⎪4 S.p.A., v. art. 2342, co. 3), e in precedenza dedotta dal principio consensualistico (PORTALE [1970]), deve distinguersi da quest’ultimo principio, come dimostra anche la circostanza
che essa è conosciuta in sistemi cui è invece estranea la regola del consenso traslativo, come quello germanico (MIOLA [2004], 76).
Tal regola risale all’art. 9, co. 2, della seconda direttiva, ove tuttavia si prevedeva la possibilità di imporre la liberazione entro cinque anni dalla costituzione della società, mentre il legislatore italiano dell’attuazione (d.p.r. 30/1986) e poi quello della riforma hanno introdotto la regola della liberazione immediata sia per le S.p.A. (alle quali soltanto si applica la norma comunitaria) che per le S.r.l.
L’interpretazione conforme del diritto interno (che nella disposizione in commento si ⎪5
riferisce ai conferimenti di beni in natura e di crediti) al diritto comunitario (che negli artt. 9, co. 2, e 10, co. 1, della seconda direttiva, n. 77/91, si riferiva ai conferimenti non in contanti), in una alla esigenza di tutela dell’effettività del capitale a garanzia dei creditori sociali (cfr. MIOLA [2004], 29 ss.), suggerisce di considerare l’espressione “beni e servizi” esemplificativa dei conferimenti non in contanti (CAGNASSO [2007], 76; XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1767) e quindi l’ambito di applicazione della regola esteso a tutti i conferimenti diversi non solo da quelli in danaro (di cui al quarto comma) ma altresì da quelli d’opera o di servizi, che trovano specifica disciplina nel sesto comma (ZANARONE [2010], 313).
La regola di immediata liberazione non appare rivolta a selezionare le entità conferibili, ⎪6 come risulta, in oggi, della larga previsione contenuta nell’art. 2464, co. 2, in merito alla conferibilità di tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica, ma “opera esclusivamente sul piano delle modalità attraverso le quali tali entità, la cui ammis- sibilità deve essere di volta in volta ricavata da altre norme e da altri principi, devono essere conferite” (XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1766; nel senso invece che la regola serva ancora a delimitare l’area
del conferibile: MASI/Comm. XXX [0000], 1433).
Può quindi affermarsi che l’immediata liberazione deve avvenire secondo il regime proprio di circolazione giuridica del particolare conferimento (in caso di crediti, ad es.,
essa si realizzerà con la notificazione al debitore o l’accettazione ex art. 1265), e, per altro verso, conformemente alle regole che ne consentono l’ammissibilità tra le entità conferibili. La regola di liberazione immediata non richiede quindi l’acquisizione del valore reale del conferimento integralmente e definitivamente al momento della sottoscrizione (come aveva sostenuto XXXXXX XXXXXXXXXXXX [1994], 89, che ne deduceva incisive limitazioni delle entità conferibili), o il conferimento uno actu, e cioè l’esaurimento della prestazione e l’estinzione delle corre- lative posizioni di obbligo al momento del conferimento (in questo senso DI SABATO [1995], 277; XXXXXX XXXXXXXXXXXX, [1994], 118 ss.), come dimostrano anche le norme di rinvio degli artt. 2254 e 2255 (XXXXXXXX [1989], 37), quanto la messa a disposizione effettiva ed irrevocabile dell’utilità conferita, intendendosi per messa a disposizione sia la disponibilità giuridica che quella materiale, onde consentire alla società di utilizzare “il bene ai fini del proficuo svolgimento dell’attività sociale” (ZANARONE [2010], 315 ss.; GINEVRA [2007], 137 nt. 91; XXXXXXXXX/Comm. MA [2005],
1767; XXXXX [2004], 72; XXXXXXXX [0000], 10 ss.; XXXXXXXX [1990], 1020).
7⎪ Non può, quindi, in linea di principio, escludersi l’ammissibilità di conferimenti che determinano perduranti posizioni obbligatorie in capo al socio conferente, come accade del resto anche nel conferimento in proprietà quanto alle garanzie per l’evizione e per i vizi o in caso di conferimento di crediti per la garanzia del nomen bonum (v. su tale regola nelle società di capitali, anche per riferimenti, PORTALE [2004], 580 nt. 19); ne consegue che non possono escludersi, assolutizzando il principio dell’integrale liberazione, i conferimenti di beni che comportano posizioni obbligatorie del socio o di terzi (v. al riguardo XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1767 ss.; XXXXX [2004], 67 ss., 75 ss.; XXXXX xx [2001], 307 ss.; XXXXXXXX [1990], 1020; PORTALE [1970], 946 ss.).
8⎪ Le quote di capitale attribuite in corrispettivo dell’opera o dei servizi che formano oggetto di conferimento ai sensi dell’art. 2464, co. 6 non sono suscettibili di immediata liberazione, come dimostra anche la collocazione topografica del precetto in discorso al quinto comma, prima della previsione dei conferimenti d’opera o servizi al successivo sesto comma (PORTALE [2003], 1671; ma v. in contrario XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1779, il quale osserva tra l’altro che la sottoposizione dei conferimenti d’opera alla regola della immediata liberazione è compatibile con la moderna ricostruzione di tale regola secondo cui è sufficiente il trasferimento del diritto, ed eventual- mente la sua disponibilità economica, ma non preclude il permanere di obblighi in capo al conferente), salvo ritenere che la liberazione immediata debba ritenersi avvenuta con la prestazione della garanzia prevista dall’art. 2464, co. 6, e ciò indipendentemente, per un verso, dalla contrastata affermazione della stessa garanzia o del valore come oggetto immediato del conferimento (tesi sostenuta da PORTALE [2002]; contra XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1777 ss.), e, per altro verso, dall’opinione, anch’essa contrastata, dell’autonomia di tale previsione rispetto al rinvio all’emanando decreto del Presidente del Consiglio in ordine alle caratteristiche della garanzia medesima, come esplicitamente indicato (solo) nel quarto comma dell’art. 2464 (nel senso della liberazione immediata delle quote mediante la prestazione della garanzia, x. XXXXX [0000], 712; GINEVRA [2007], 143; BUSI, [2007], 104).
9⎪ Xxxxxxx invece escludersi quei conferimenti che richiedono un comportamento obbli- gatorio del conferente successivo alla sottoscrizione “per consentire l’acquisto della pro- prietà da parte della società, come si verifica nel caso del conferimento di beni futuri o
altrui, ovvero di cose generiche” ovvero dipendente “da un negozio astratto, esecutivo di un’obbligazione di dare assunta con il contratto di società” (CAMPOBASSO [2009], 190; MIOLA [2004], 73; PORTALE [1970], 946 ss.: x xxx xxxxx xxxxx, x. 00 ss.).
III. Conseguenze applicative della mancata liberazione delle quote
Dalla impostazione del problema della liberazione immediata delle quote emesse a fronte di conferimenti di opera o servizi (v. supra, n. 8), può trarsi per un verso la conclusione della illimitata responsabilità dell’unico quotista (x. XXXXXXXX/Comm. SS [2003], 33; contra XXXXXXXX [2004], 271; XXXXXXX [0000], 1671) e per altro verso l’esclusione di un successivo aumento di capitale a pagamento ex art. 2481, co. 2 (DE ANGELIS [2004], 323; contra, nel senso dell’ammissibilità di aumenti di capitale, poiché la disposizione dell’art. 2481, co. 2, andrebbe riferita solo ai conferimenti suscettibili in astratto di immediata liberazione, PORTALE [2003], 1671; pure a favore della possibilità di aumento del capitale, sul diverso assunto che il conferimento dovrebbe considerarsi liberato, anche se la prestazione deve essere ancora esaurita, XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 128, il quale del pari ritiene possibile la riduzione del capitale ex art. 2482 con rimborso ai soci in denaro o con altre modalità stabilite in sede di deliberazione).
In assenza di una norma di divieto o di clausole limitative, le quote devono ritenersi liberamente trasferibili, anche prima dell’integrale esecuzione dell’opera o del servizio conferiti (CAGNASSO [[2007], 88; contra MIOLA [2004], 718; CARESTIA [2003], 102), nel qual caso l’obbligo resta in capo all’alienante (CAGNASSO [[2007], 88; XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1783 ss.) ovvero, secondo alcuni, dovrebbe gravare in solido, secondo la regola generale dell’art. 2472, sull’alienante e sull’acquirente che subentra nella posizione di socio, salvo però che si tratti di obblighi infungibili (XXXXXXXX [2008], 66 ss.) sempre che la società, con la sua adesione, non provveda a liberare il cedente (MENTI [2006], 236 ss.; XXXXXXXX [0000], 88).
IV. La violazione dell'obbligo di liberazione immediata
Il rispetto del principio di liberazione immediata dei conferimenti di cui all’art. 2464, co. 5, è condizione per la costituzione della società, soggetta al controllo notarile prima del deposito dell’atto costitutivo (artt. 2329, n. 2, e 2330 richiamati dall’art. 2463, co. 3).
L’inadempimento dell’obbligo di liberazione immediata, in ipotesi non rilevato in sede di costituzione, rileva come tale e quindi solo a fini costitutivi di responsabilità in capo al socio (e dell’eventuale risoluzione della partecipazione) ed eventualmente agli ammini- stratori, restando esclusa (x. XXXXXXXX [0000], 328 ss.), la nullità della società (a mente dell’art.
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2332), e altresì l’invalidità della singola sottoscrizione (SCIUTO, Liber Campobasso, 1, 438; GINEVRA 2001, 247 ss.).
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V. Le garanzie della perdurante disponibilità del bene
Per i conferimenti non in contanti si applicano gli artt. 2254 e 2255, che rinviano alle norme sulla vendita, sulla locazione e sulla cessione dei crediti per regolare il passaggio dei rischi e le garanzie dovute dal socio a fronte, rispettivamente, del conferimento di beni in proprietà o in godimento e di crediti.
Diversamente da quanto si prevede per il caso dei contratti di scambio, nei conferi- menti non in contanti le garanzie per l’evizione e i vizi, così come la garanzia della solvenza del debitore ceduto (che nella cessione di credito non è elemento naturale del negozio e nel conferimento
diviene invece elemento essenziale: v. al riguardo RIMINI [1993], 76 ss.; XXXXXXXX [1988], 326 ss.; TESTI [1972]; diversamente l’isolata opinione di FRÈ-SBISÀ/Comm. SB [1997], 162, secondo cui il socio risponderebbe solo del nomen verum) e le garanzie manutentorie dei diritti personali di godimento, non sono
suscettibili di deroghe convenzionali, e ciò a tutela dell’effettività del capitale sociale (v.
PORTALE [2004], 580 nt. 19, 594).
L’inserimento dei beni conferiti nel processo produttivo dell’attività sociale, peraltro, determina una limitazione degli obblighi accessori gravanti sul conferente rispetto a quelli previsti nei contratti di scambio (nel conferimento di diritti personali di godimento dovrebbe quindi applicarsi solo la garanzia di pacifico godimento e non quella di mantenimento della cosa in stato da servire all’uso convenuto: x. XXXXX [0000], 123 nt. 294).
Il riferimento alla disciplina dell’evizione nella compravendita non appare, inoltre, del
tutto idoneo a regolare le peculiarità dell’apporto del bene in società: così i rimedi che vi sono previsti, vale a dire la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, non tengono conto delle peculiari esigenze di tutela che si manifestano in caso di inattuazione del conferimento del socio e in particolare l’esigenza di conservazione della società (PORTALE
[2004], 582 ss., che censura a più riprese il testo normativo, ritenuto “intrinsecamente infelice”, ed ivi letteratura; RIMINI [1993], 43).
Così, sulla scia della più moderna dottrina precodicistica e delle acquisizioni già allora
conseguite circa le profonde differenze tra i contratti di scambio e il “contratto di organiz- zazione” (AULETTA [1937], 45 ss., 132 ss., 136; DALMARTELLO [1939], 155), il rinvio alle norme sulla vendita e sulla locazione serve ad individuare la fattispecie ma non compiutamente i rimedi, che devono adattarsi alle peculiarità del contratto di società (PORTALE [2004], 588).
Circa i rimedi, in ossequio alle esigenze di conservazione del rapporto si ritiene applicabile al caso di evizione o di vizi il solo risarcimento del danno (FRÈ/Comm SB [1982], 147 s.; FRÈ-SBISÀ/Comm. SB [1997], 158; nelle società di persone: XXXXXXX [1972], 153) e solo in caso di ulteriore inadempimento i rimedi risolutori (PORTALE [2004], 585 ss.), fermo restando, comunque, il ricorrere di una causa di scioglimento ex art. 2484, n. 2, qualora il conferimento del socio
fosse essenziale al perseguimento dello scopo sociale (PORTALE [2004], 589). Altri afferma tuttavia la possibilità per la società di sciogliere il rapporto (XXXXXXX/Comm. SB. [1992], 92) in applicazione delle disposizioni dettate ora dall’art. 2466, co.2e3 per il caso dell’inadem- pimento all’obbligo di eseguire il conferimento, che consentono di agire alternativamente per l’esecuzione ovvero di provvedere alla vendita della quota “a rischio e pericolo del [socio] medesimo per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato” o in difetto di provvedere all’esclusione del socio, con conseguente riduzione del capitale; tali rimedi appaiono applicabili laddove l’interesse sociale non possa dirsi adeguatamente soddisfatto dalla prestazione per equivalente (RIMINI [1993], 31, 98, 133, e ciò sia in caso di evizione totale che in caso di evizione parziale, in tale ipotesi però salvo che la società abbia interesse a continuare il rapporto, nel qual caso la parte mancante può convertirsi in prestazione per equivalente; XXXXXXX [1997], 170 ss.; contra, ritenendo privilegiata l’esigenza di integrità del capitale sull’esigenza di strumentalità del conferimento, PORTALE [2004], 59 ss.; cfr. anche XXXXXXXX [0000], 36 ss., per cui il socio può offrire una prestazione per equivalente).
Circa i rischi del perimento della cosa che forma oggetto del conferimento, occorre distinguere a seconda del diritto conferito, e quindi tra le ipotesi di conferimento in proprietà o di diritti reali di godimento, il conferimento di crediti e il conferimento di altri diritti personali.
Per il diritto di proprietà il rischio deve ritenersi passato alla società con la sottoscri- zione, di talché il perimento della cosa si traduce in una perdita suscettibile di dar luogo all’esigenza di riduzione del capitale sociale ex art. 2482 (e analoga soluzione deve applicarsi in
caso di conferimento di diritti reali: PORTALE [2004], 594 ss., ed ivi in nt. 59 letteratura; contra, per i diritti reali di godimento, ritenendo che il rischio gravi sul conferente, XXXXXXXXXX [0000], 75; COTTINO [1999], 49 ss.; XXXXXXXX [1989], 217 ss.)
Per quanto invece attiene ai diritti personali di godimento (il cui conferimento è ritenuto
ormai ammissibile, come dimostra il rinvio al’art. 2254, co. 2: v. supra, sub art. 2464, co. 2, e xxxxxxx XXXXX [2004], 112 ss.; CAMPOBASSO [2009], 190, ed ivi letteratura; contra, per tutti, XXXXXX XXXXXXXXXXXX [1994], 117 ss.), il relativo rischio incombe sul socio, che, in caso di perimento, ha facoltà di sostituire il bene ovvero di prestare la differenza non goduta del conferimento originario (PORTALE [2004], 594 ss.), in difetto applicandosi le norme in tema di inadempimento (art. 2466).
VI. I conferimenti “obbligatori” : introduzione
Se è vero che il principio dell’immediata liberazione mira, tra l’altro, a salvaguardare l’effettività del capitale e a prevenire che esso sia formato solo da crediti nei confronti dei soci (XXXXXXXX [1985], 241; MIOLA [2004], 74), possono tuttavia ritenersi ammissibili i conferi- menti che, pur avendo contenuto obbligatorio, consentano di rispettare il principio della liberazione immediata delle quote (v. sul punto, in materia di S.p.A. ma prima dell’introduzione del divieto di conferimento di opere o servizi, PORTALE [1970], 949 nt. 82; in oggi, MIOLA [2004], 77). Non può
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quindi affermarsi in termini assoluti l’inammissibilità di conferimenti in natura di carattere obbligatorio (così invece XXXXXXXXX [0000], 660 nt. 20).
Al fine di accentuare l’apporto e il carattere personale della partecipazione nella S.r.l., il d.lgs. 6/2003 ha determinato un notevole ampliamento del novero delle entità conferibili (v. supra, sub art. 2464, co. 2*), prevedendo che possa formare oggetto di conferimento ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’attività sociale, anche se non direttamente rilevante per la tutela dei creditori, purché suscettibile di valutazione economica, così segnandosi il positivo rigetto delle risalenti tesi (XXXXXXXXX [1959], 33 ss., anche in relazione al conseguimento della limitazione di responsabilità attraverso la attribuzione della personalità giuridica) in merito alla necessaria suscettibilità di espropriazione forzata (o, in una successiva versione,
alla sua specifica realizzabilità) delle entità conferibili a fronte di quote del capitale (v. sul punto, per tutti, ZANARONE [2010], 290 ss., con riferimento ad una lettura “ampliata” della tesi della realizzabilità, intesa come idoneità dell’apporto a risultare realizzabile, se non di per sé, almeno in caso di cessione del- l’azienda; in precedenza la tesi era stata respinta in dottrina: x. XXXXXXX [0000], 34 ss.).
Come si è già accennato (supra, n. 4-9), dall’accoglimento in termini rigidi del principio
di immediata liberazione dei conferimenti non in contanti discende nel nostro ordina- mento l’inammissibilità del conferimento obbligatorio (cose future, altrui, generiche, acquisti condizionati o a termine: MIOLA, [2004], 196; FRÈ-SBISÀ/Comm. SB [1997], 140; XXXXXX XXXXXXXXXXXX [1994], 113;
diversamente, con riguardo alle cose generiche, x. XXXXXXXXX [0000], pp. 30, 38, con il vincolo però dell’indi- viduazione al momento dell’iscrizione del registro delle imprese). Si ritengono invece suscettibili di integrale liberazione i conferimenti consistenti nella cessione di un contratto a prestazioni corrispettive da eseguirsi da entrambe le parti e la proposta irrevocabile proveniente da un terzo e i conferimenti alternativi (MIOLA [2004], 199 ss., 205 ss.), mentre è dubbia la conferibi- lità, a fronte di quote del capitale nominale (e quindi al di là dei casi di conferimenti non
corrispondenti a quote di capitale, c.d. conferimenti atipici) di prestazioni negative (per l’affermativa, sia con riferimento alle S.r.l. che alle S.p.A., x. XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1768 ss., che si riferisce alle obbligazioni di non fare, quali il divieto di concorrenza, di acquisto o cessione, o di particolari modalità di uso di beni, quali ad esempio l’edificazione di un immobile, sia pure nei limiti in cui secondo il diritto comune tali obblighi possono essere assunti: ad es. nei limiti di tempo previsti dall’art. 2596 quanto al patto di non
concorrenza e dall’art. 1379 quanto al divieto di alienazione).
VII. La previsione legale dei conferimenti di opere e servizi e la proposta di interpretazione analogica o estensiva a tutti i conferimenti obbligatori
Il legislatore – disciplinando i conferimenti in danaro, in natura, di crediti e infine di opere o servizi – non prende esplicitamente posizione in merito alla possibilità dei confe- rimenti di capitale non rientranti nelle categorie espressamente ammesse. Diversi elementi sollecitano oggi una rinnovata considerazione del tema dei conferimenti obbligatori, di cui
qui si può solo far cenno, attraverso la quale verificare la tenuta delle affermate limitazioni all’ammissibilità dei conferimenti da prestarsi in futuro e, per altro verso, la misura del distacco che la riforma del 2003 ha introdotto tra la disciplina delle S.r.l. e la disciplina delle S.p.A. anche sotto questo profilo (v. al riguardo XXXXXXXX [2006], 54 ss., secondo cui tale distacco, anche in merito al tema in esame, “non potrebbe essere più netto”). A tal riguardo rilevano, da un lato, la più elastica interpretazione del principio di immediata liberazione (v. supra, n. 4-9), anche alla luce dell’espressa ammissibilità dei conferimenti di opere e servizi (v. infra, n. 26 e sub art. 2464, co. 6*), e, d’altro lato, la possibilità di conferire “tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica” (art. 2464, co. 2, 2*), conformemente all’indicazione della legge delega per “una disciplina dei conferimenti tale da consentire l’acquisizione di ogni elemento utile per il proficuo svolgimento dell’impresa sociale” (art. 3, co. 2, lett. c), l. 366/2001) – sia pure realizzato attraverso il “singolare” inserimento nella disciplina delle
S.r.l. della disposizione in merito alla conferibilità di ogni elemento dell’attivo patrimo- niale che sia suscettibile di valutazione economica – disposizione che era stata prevista nella II direttiva, per le S.p.A., al fine di superare la vecchia tesi della necessaria espropria- bilità dei conferimenti e di chiarire la conferibilità del know-how e poi non espressamente ripresa in xxxx xx xxxxxxxxxx xxx x.x.x. 00/0000 (x. in proposito PORTALE [2003], 1668) – consi- derando altresì la concreta idoneità delle garanzie bancarie o assicurative (si v. al riguardo Xxxx. 3947/2010; XXXXXXXX [2008], 132 ss.) a garantire l’effettività del capitale (cui pure si riferisce l’art. 3 co. 2 lett. c) l. 266/2001) “la cui tutela rimane uno dei capisaldi della disciplina dettata in materia di conferimenti” (XXXXXXXX [2008], 122).
Dall’introduzione della possibilità di conferire opere o servizi (ma solo per chi intende che oggetto del conferimento sia la prestazione del socio e non già – come invece XXXXXXX [0000], 1668 – il valore in sé considerato; v. diffusamente XXXXXXXXX/Comm. MA [2005], 1770 ss.), riuscirebbe intanto ridimen- sionata la tradizionale obiezione contro l’ammissibilità dei conferimenti “obbligatori”, obiezione consistente nella loro insuscettibilità di immediata liberazione, che veniva posta a base dell’inammissibilità dei conferimenti di opere o servizi ora invece esplicitamente consentiti (con la cautela dell’obbligatoria prestazione di idonee garanzie bancarie o assicurative).
Xxxxxx interpreti ne traggono una parificazione della garanzia bancaria o assicurativa all’immediata liberazione (v. in questo senso XXXXXXXX [2003], 101 ss.; AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l.
[2008], 157 ss.; in forma dubitativa XXXXXXXX [2008], 59 nt. 42; contra XXXXX [2004], 713, il quale osserva che la norma si limita a prevedere l’ammissibilità di conferimenti di opere o servizi, quindi di prestazioni di fare, e non consente l’estensione a prestazioni di dare differite nel tempo, di cose generiche, future e altrui e prestazioni di non facere, come quelle di non concorrenza; una posizione intermedia e interlocutoria assume ZANARONE [2010], 319, che ritiene possibile solo l’applicazione analogica e non quella diretta, condizionata alla verifica del
carattere non eccezionale della norma e della ricorrenza dell’eadem ratio).
All’ammissibilità del conferimento di “tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valu- tazione economica” viene poi ricondotto da taluna dottrina – che per non limitarsi ad un sia pure suggestivo rilievo sembra richiedere tuttavia una più articolata e compiuta verifica
– il fondamento di tutte le diverse categorie di conferimenti, sia che ricevano nell’art. 2464
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una specifica disciplina (danaro, crediti, beni, opere e servizi), sia che restino estranei alla considerazione normativa (obbligazioni differite o periodiche di dare, crediti nei confronti dei soci, prestazioni di non fare), indicandosi nell’art. 2464, co. 2, il contenitore delle diverse tipologie “residuali” di apporti “non specificamente descritte nei commi dal terzo al sesto” dell’art. 2464 (x. XXXXXXXXX/Comm. MBGN-S.r.l. [2008], 157 ss.; CAPELLI/Comm. BP [2006], 76)– e quindi i conferimenti con effetti obbligatori o differiti, quali i conferimenti sottoposti a termine, condizione, ovvero relativi a beni futuri, altrui, di genere o individuati in via alternativa, tutti accomunati dalla insorgenza in capo al socio conferente di obblighi relativi alla prestazione principale e non di carattere accessorio o relativo a modalità del rapporto o, ancora, a garanzie.
L’ammissibilità di tali conferimenti obbligatori sarebbe dimostrata (sempre ad avviso di AVAGLIANO/ Comm.MBGN-S.r.l. [2008], 160 ss.), per un verso, dalla circostanza che specifici casi di conferimento obbligatorio sarebbero previsti dall’art. 2464 con riguardo al denaro (quarto comma) e alle opere o servizi (sesto comma), e, per altro verso, dal correlativo principio che la garanzia del conferimento equivalga alla realizzazione dello stesso, confinandosi l’ambito di applicazione del principio di immediata liberazione dei conferimenti al- l’espressa previsione dei conferimenti di beni in natura e di crediti (categoria, tuttavia, idonea a
sua volta, come si è visto supra n. 5, a comprendere tutti i conferimenti diversi dal denaro, disciplinati dal comma quarto, e dalle opere e servizi, disciplinati dal comma sesto), con la mitigazione – ipotizzata, tuttavia, più che conseguita in via interpretativa da tale dottrina – della relazione di stima e della garanzia (prevista nei commi quarto e sesto) a tutela dell’effettività del capitale.
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Conferimenti d'opera e di servizi
X. Xxxxxx
Sommario: I. Premesse storiche e introduttive [1-4]. - II. La formulazione legislativa e la qualificazione del conferimento di opere e servizi [5-9]. - III. Profili attuativi del conferimento di opere e servizi [10-14]. - IV. Patologia del conferimento e quadro delle vicende societarie interferenti con il conferimento di opere e servizi [15-19]. - V. Regime contabile e circolazione della quota cui accedono conferimenti di opere e servizi [20-23].
I. Premesse storiche ed introduttive
L’art. 2464 co. 6 c.c. segna la definitiva caduta dello spartiacque concettuale che ⎪1 separava società di capitali dalle società di persone in ordine alle entità conferibili: ciò in virtù del riconoscimento della conferibilità nella S.r.l. anche delle opere e dei servizi; si pone così storicamente termine ad una vicenda (ROMAGNOLI, [1967], 4) i cui contorni risultano
in larga parte sovrapposti con il tema della imputazione a capitale delle entità conferite (PORTALE [1974], 24 e 45), anche con riferimento alla società di persone (DI SABATO [1967], 155,
[1987], 46; [2003], 247 contra XXXXXXXXX, [1959], 335; XXXXXXXXX [0000], 4; XXXXXXX [0000], 50; XXXXXXX,
[1980], 65; WEIGMANN [1986], 70; XXXXXXXXX, [0000], 811) nelle quali peraltro, mai si è disconosciuta l’ammissibilità di apporti in opere o servizi.
Tale vicenda trovò consacrazione legislativa all’esito del recepimento della seconda ⎪2 direttiva comunitaria [d.p.r. 10.2.1986, n. 30 in attuazione della Direttiva CEE 13.11.1976, n. 77/91/ CEE] che – nonostante la direttiva impedisse il conferimento di opere e servizi nelle sole
S.p.A. – incluse nel perimetro del divieto tutte le società di capitali.
Tuttavia la soluzione adottata dal legislatore italiano in occasione del recepimento della ⎪3 direttiva comunitaria, oltre che per l’esito draconiano, risultava ultronea per due distinte ulteriori ragioni; in primo luogo non dava evidenza all’emergere di entità conferibili – diverse da quelle usualmente prese in conto – ma di valore equivalente se non maggiore (PORTALE [1974], 49; XXXXXXX [1986], 58; XXXXXX XXXXXX [2009], 11 ss.) ed ulteriormente comprimeva le potenzialità di adattamento tipologico della S.r.l., già presenti prima della riforma (ZANARONE 1985], 179), di cui, non a caso, si avevano evidenze successive per il tramite della S.r.l. artigiana (art. 13 l. 5.3.2001, n. 57; ALLEGRI [2007], 9 ss.).
Procedendo da tali premesse risultò coerentemente impostato l’orientamento della ⎪4 legge delega alla riforma del diritto societario ad attuare la stessa secondo previsioni autonome rispetto alla disciplina del capitale sociale della S.p.A. attribuendo rilievo centrale alla figura del socio ed ai rapporti contrattuali con gli altri soci (GINEVRA [2007], 103
ss.). Tuttavia la concreta operatività, nella prassi societaria, della costituzione o dell’au- mento di capitale attuato attraverso conferimenti di opere e servizi appare del tutto priva di riscontro. Infatti, ostano all’utilizzo di tale strumento, per quanto disponibile ai soci di
S.r.l., i vincoli connessi alla rigidità del capitale sociale che rendono disponibili ai soci i soli
– ed incerti – flussi economici dei dividendi; mentre i soci potrebbero con certezza trovare remunerazione alle opere ed ai servizi prestati alla società partecipata attraverso contratti di prestazione di servizi dai soci alla società stessa: tutto ciò nel contesto di un tipo societario che prevede contenuti requisiti di capitale minimo agevolmente disponibili ai costituenti e senza gli ulteriori costi conseguenti al rilascio di garanzie.
II. La formulazione legislativa e la qualificazione del conferi- mento di opere e servizi
5⎪ L’esito legislativo del contenuto della delega non appare, dal punto di vista della formulazione linguistica, tra i più felici secondo il comune riconoscimento (XXXXXXXX [2004], 1453; XXXXXXXXX [2004], 85; XXXXXX XXXXXX [2009], 44) e tale promiscuità espressiva ha avuto effetto anche con riguardo alla ricostruzione sistematica del conferimento di opere e servizi delineato dalla norma.
6⎪ Infatti, procedendo, alla qualificazione dell’oggetto di tale tipo di conferimenti, la dizione “il conferimento può anche avvenire mediante la prestazione di una polizza di assicurazione o di una fideiussione bancaria” ha condotto, in una prima battuta, ad identificare quale oggetto diretto del conferimento la polizza o la fideiussione mede- sima e, solo indirettamente, la prestazione di opere e servizi (CASSOTTANA-POLLIO [2003], 373; XXXXXXX [0000], 5) e la cui sostenibilità testuale appare seriamente minata dall’ultimo capo- verso della norma medesima (ONZA [2008], 174, nota 289).
7⎪ Tuttavia, fuori delle tesi suggestive, la qualificazione di tali conferimenti non appare affatto materia di comune consenso. Tra gli interpreti, certamente, riscuote maggiore sostegno la tesi secondo cui oggetto del conferimento siano le opere ed i servizi; tale tesi muove dalla predicabilità, nelle S.r.l., in forza dell’art. art. 2464, co. 2, della conferibilità per tutte le entità suscettibili di valutazione economica. Quindi si estende, in forza del disposto dell’art. 2464, co. 6, la classe delle entità conferibili anche alle opere ad ai servizi: pertanto anche servizi ed opere sono oggetto del conferimento – parallelamente al denaro, ai beni in natura ed ai crediti – (citazioni in XXXXXX XXXXXX [2009], 45 nt. 108) e la polizza assicurativa o la fideiussione rappresentano soltanto negozi a carattere accessorio del conferimento stesso.
8⎪ A tale formulazione vengono però affiancate alcune varianti. La prima che estende l’escutibilità della garanzia prestata dal conferente ogniqualvolta si riscontri un minor valore rispetto a quello imputato a capitale (MIOLA [2004], 706); una ulteriore tesi procede, invece, alla dissociazione del conferimento distinguendo tra l’esecuzione del conferimento ed il completamento del valore economico dello stesso che, ove non raggiunto anche in caso di adempimento del promesso conferimento, esporrebbe il conferente all’escussione della garanzia (ONZA [2008], 174).
Vi è, poi, chi assume, in coerenza con l’impostazione assunta in ordine alla funzione del capitale sociale (PORTALE [1974], [2003], 1669), che il conferimento di opere e servizi debba intendersi come apporto di valore dallo stesso conferimento rappresentato che trova la propria rappresentazione quantitativa nella garanzia prestata. L’approccio funzionali stico del capitale sociale espresso da tale teoria pone l’accento sul valore che è strumentale all’attuazione del programma societario che può declinarsi nel compimento dell’opera o nell’esecuzione del servizio ovvero mediante attribuzione alla società del suo controvalore economico; la giustificazione di ciò starebbe nella responsabilità assunta dal socio confe- rente in relazione al minor valore apportato rispetto a quello imputato a capitale ovvero nella natura di obbligazione alternativa prevista dall’art. 2464, co. 6, c.c. (PORTALE [2003], 1669; seguito da GIANNELLI [2004], 260; MENTI [2006]; GINEVRA [2007], 140).
III. Profili attuativi del conferimento di opere e servizi
Al pari di ogni altro conferimento diverso dal denaro, il conferimento di opere e servizi presuppone che esso sia espressamente previsto e consentito dall’atto costitutivo della
S.r.l. conferitaria; a ciò si deve aggiungere che le previsioni statutarie debbono, inoltre, indicare il tipo di garanzia accettata dalla società in forza di quanto previsto dall’art. 2464, co. 6, c.c. potendo prevedere anche la sostituzione della garanzia bancaria o assicurativa con la cauzione. Evidentemente l’autonomia statutaria consente ulteriori specificazioni sia in ordine ai conferimenti ammessi (potendo essi essere limitati alle sole opere o ai servizi o, ancora, ulteriormente identificati) nonché limitarne il regime, quanto alla durata, all’entità in relazione alla restante parte del capitale sociale od introdurre ulteriori limita- zioni. Tali contenuti eventuali si possono spingere fino ad una minuta regolamentazione del rapporto tra socio e società al pari di quanto accade – nelle S.p.A. – per le azioni con prestazioni accessorie (SANTONI [2009], 1195) anche funzionalmente alla esatta segmentazione ed alla inequivoca distinzione tra tali conferimenti ed i rapporti di natura subordinata. Non dissimili risultati possono altresì pospettarsi sotto il profilo dei diritti sociali ed ammini- strativi attribuiti dallo statuto al socio di industria sia per quanto concerne, ad esempio, l’entità di partecipazione non proporzionale rispetto al conferimento che con riguardo alla distribuzione degli utili, quanto ai secondi, ovvero ai diritti relativi all’amministrazione della società, quanto ai primi (BLANDINI [2009]).
Il tema primario che deve essere affrontato concerne la necessità o meno che opere e servizi oggetto del conferimento debbano essere stimati; in realtà la domanda implicita deve essere suddivisa in due distinte questioni. La prima attiene – in senso proprio – alla necessità di assistere il conferimento da una stima di valore, necessità che si deve dedurre dall’appartenenza della S.r.l. alla classe delle società di capitali per le quali tutti i conferimenti diversi dal numerario debbono essere assoggettati a tale incombente: né tale necessità potrebbe essere esclusa dalla sussistenza della garanzia, soprattutto ove si acceda
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alla tesi che oggetto del conferimento è direttamente il facere poiché in caso di impossibilità del conferimento essa non potrebbe essere escussa (XXXXXXXX [2007], 360; XXXXXX XXXXXX [2009], 96). La seconda domanda concerne, invece, quali criteri di valutazione debbano presiedere alla stima. Essa comprende rilevanti questioni valutative rispetto alle quali si è indicato il riferimento al prezzo di mercato delle identiche prestazioni (DELL’ATTI [2004], 187) ovvero l’applicazione – in analogia al conferimento di azienda – di metodologie reddituali [NIEDDU ARICCA [2009], 99) senza tenere in debito conto che ben potrebbe verificarsi il conferimento di opere o servizi a carattere infungibile (e quindi prive di parametri di mercato verificabili) ovvero che siano difficilmente applicabili gli usuali criteri di valutazione reddituali basati sull’atttualizzazione dei flussi di cassa attesi. Tali considerazioni rendono evidente il rischio implicito che corre la stima in relazione all’attuazione del conferimento esponendo il conferente, pur esattamente adempiente, alla discordanza con il valore stimato e capi- talizzato, e gli amministratori alla valutazione di tale corrispondenza (MENTI [2006], 171).
Il richiamo da parte dell’art. 2463, ult. co., c.c. agli artt. 2329 e 2330 x.x. xxxxxx xx xxxxxx xx xxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxx o della polizza assicurativa che rappresenta una condizione necessaria per la costituzione della società (NIEDDU ARICCA [2009], 102) nonché allegazione all’atto e successivo deposito della stessa presso il registro delle imprese. Non vi è, invece, alcuna interferenza tra la garanzia prevista dall’art. 2464 co. 4 c.c. rispetto alla garanzia prevista dall’ultimo comma della norma citata rendendo pertanto operativa quest’ultima disposizione indipendentemente dall’attuazione della prima (MIOLA [2004], 694; MENTI [2006], 204; XXXXXX XXXXXX [2009], 105). Tuttavia il linguaggio del legislatore nasconde che non si sia in presenza di comuni polizze assicurative o garanzie bancarie, quanto piuttosto di garanzie atipiche che, a seconda dei casi, potranno assumere la natura di garanzie autonome (MONTICELLI [2004], 266 contra ma coerentemente con l’impostazione assunta in ordine all’oggetto del conferimento PORTALE [2003], 1671 nonché AVAGLIANO/Comm. MBGN-S.r.l. [2008],142).
Tra le caratteristiche necessarie della garanzia apprestata dal conferente opere e servizi ricorre quella della durata della garanzia stessa che deve coprire l’arco temporale neces- sario all’esecuzione da parte del socio del conferimento dell’opera o del servizio. Peraltro il tema della durata della garanzia non appare del tutto banale ove si pensi alla più diverse circostanze che possono ricorrere durante conferimento nonché l’estensione potenziale dei tipi di opere o servizi astrattamente deducibili in conferimento. Tutto ciò rende estrema- mente complesso fornire la semplice indicazione di equivalenza di durata tra garanzia e conferimento; a tacere del fatto che, inevitabili ragioni pratiche, inducono a supporre che la durata della garanzia debba inevitabilmente eccedere la durata del conferimento se non altro per il fatto che è necessario agli amministratori, una volta terminata l’opera o la prestazione dei servizi valutare la conformità degli stessi a quanto promesso dal socio ovvero procedere alla verifica dell’equivalenza di valore degli stessi rispetto a quanto portato a capitale. Analoghe ragioni hanno portato a contestare che la garanzia possa assumere valore decrescente o scalare in relazione al trascorrere del tempo ed all’ese- cuzione del conferimento (NIEDDU ARICCA [2009], 118) come, al contrario, prospetta altra parte della dottrina (XXXXXXXX [2005], 3265): ma il tema, qui, appare piuttosto improntato l’automa-
ticità o meno della riduzione dell’importo garantito. Come, appena sostenuto, tali pro- spettazioni non tengono in dovuto conto la varietà dei possibili conferimenti di opere e servizi ed, in particolare, di dover combinare la specifica disciplina del contratto attraverso il quale esse vengono prestate alla società con riferimento – ad esempio – al regime delle garanzie il quale implica inevitabilmente una diversa morfologia sia della durata temporale della garanzia che del relativo ammontare.
Alternativamente al rilascio di garanzia bancaria o di polizza di assicurazione la norma in commento prevede, altresì, la possibilità a favore del conferente, ove sia ammesso dallo statuto, di procedere al deposito di una cauzione cioè di un ammontare equivalente al conferimento. Nella sua fenomenologia la disposizione è stata interpretata come peggio- rativa (PORTALE [2006], 3477); tuttavia tale lettura non può essere assunta acriticamente: infatti la possibilità di ottenere il rilascio di garanzie bancarie (soprattutto se autonome) ovvero di polizze assicurative che potrebbero avere durata temporale prolungata presuppone, da un lato, un agevole accesso ai canali di finanziamento bancario o al mercato assicurativo. Ove ciò non ricorresse il garantito dovrebbe costituire presso la banca garante o la compagnia assicurativa una controgaranzia di pari importo. Sotto altro profilo, anche l’ottenimento di garanzie a favore di terzi costituisce per il garantito un costo. Tali considerazioni inducono a mitigare l’interpretazione sopra prospettata, rilevando, invece, che il deposito della cauzione, soprattutto per conferimenti di non elevato ammontare potrebbe costituire un risparmio conseguente alla disintermediazione del canale creditizio o assicurativo; analo- gicamente si è rilevato che l’inadempimento al conferimento di opere e servizi si presenta più gravoso nel caso di conferente garantito da banca o assicurato presso una compagnia assicurativa sia in ragione del regresso che della riduzione del merito di credito (MENTI [2006], 52). Si deve, ancora, rilevare che l’estensione dell’utilizzo della cauzione potrebbe spingersi oltre il confine costituito dal deposito di somme di denaro e ricomprendere anche il deposito di titoli del debito pubblico ovvero – in ipotesi – ad allinearsi a quanto previsto in materia dall’applicazione delle norme sulla cauzione in materia processuale che possono assumere – se autorizzati dal giudice – anche la forma della garanzia reale. Maggiori perplessità potrebbe, invece, destare – in ragione della formulazione legislativa che fa espresso riferimento al socio – la possibilità che sia un terzo a depositare la cauzione in favore del socio, generandosi una rapporto analogo a quello che si ottiene mediante il rilascio di garanzie. Non sembra, al contrario, generare particolari problematiche la pos- sibilità che nel corso del tempo garanzia e cauzione di sostituiscano alternativamente tra loro.
IV. Patologia del conferimento e quadro delle vicende societa- rie interferenti con il conferimento di opere e servizi
L’area della patologia del conferimento di opere e servizi mostra diretta dell’affianca-
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mento al conferimento del rilascio di garanzie o deposito della cauzione. Tale duplicità di scenario si rammostra nell’ambito della disciplina contenuta nell’art. 2466 c.c. (*) relativa alla mancata esecuzione dei conferimenti nella quale ricorre la necessità di integrare la disciplina anche con riferimento alla vigenza delle garanzie apprestate dal socio di indu- stria al momento del conferimento.
Accanto ai fenomeni di in attuazione del conferimento da parte del debitore-conferente vi sono, ancora fenomenologie societarie che interferiscono, in conseguenza di decisioni sociali, con il conferimento di opere e servizi. Per la rilevanza del fenomeno occorre muovere dalla relazione esistente tra tali tipi di conferimenti e l’oggetto sociale. In materia occorrerebbe coordinare due distinti profili che, nella più gran parte delle tratta- zioni restano disgiunti cioè quello della nozione ed estensione di opere e servizi conferibili (MENTI [2006], 209) con l’altro relativo alla funzionalizzazione del conferimento rispetto all’oggetto sociale dedotto (NIEDDU ARICCA [2009], 187). Tali elementi costituiscono – anche – gli estremi opposti della potenziale interrelazione tra tipologia del conferimento e interferenza dell’oggetto sociale e vanno valutati con riferimento all’impostazione assunta in materia di oggetto del conferimento di opere e servizi. In linea astratta si dovrebbe assumere che le teorie che assumono un profilo valoristico del conferimento debbano, coerentemente, estendere l’area delle entità conferibili in relazione al fatto che l’opera o il servizio promesso dal conferente sono soltanto il riflesso concreto del vero e proprio apporto del socio costituito dall’equivalente economico (MENTI [2006], 216); per converso, assumendo la pro- spettiva che oggetto del conferimento sia il facere, si dovrebbe riscontrare una maggiore interrelazione funzionale tra conferimento ed oggetto sociale. Ma, anche accogliendo tale dicotomia, si compierebbe una semplificazione posto che taluni servizi possono essere utilmente conferiti in qualunque società appartenendo alle c.d. attività di staff (come accade per i servizi amministrativi o contabili, le tecniche commerciali etc.). Ne consegue che il mutamento dell’oggetto sociale non costituisce necessariamente una ipotesi di impossibilità sopravvenuta a conferire dovuta al creditore che, se deliberata dalla società, comporta l’esercizio del diritto di recesso ex art. 2473 c.c. (*) ovvero, ove non esercitato, l’escussione della garanzia (NIEDDU ARICCA [2009], 187) dovendosi valutare caso a caso il permanere della compatibilità tra conferimento promesso ed oggetto sociale modificato. Atteso quanto appena rilevato, allora, neppure è immediatamente possibile accogliere la tesi secondo cui la società potrebbe, attraverso, il mutamento dell’oggetto sociale liberarsi del conferimento ritenuto non più utile.
In via gradata vengono in luogo le ipotesi relative a modificazioni in incremento e diminuzione del capitale sociale. Per quanto riguarda i casi di aumento del capitale sociale viene in evidenza il caso dell’aumento di capitale da liberarsi mediante conferi- mento di opere e servizi senza che lo statuto consenta l’ablazione del diritto a sottoscrivere: il tema rinvia alla disciplina dell’art. 2481 c.c. (*) ed, in particolare all’eventuale richiamo, analogamente al caso di aumento da liberarsi in natura, dell’art. 2441 comma 4 c.c. – Per quanto attiene al fenomeno opposto delle riduzione facoltativa, non si rinviene nell’art. 2482 c.c. (*) una disciplina specifica degli effetti di una simile riduzione sugli obblighi del
socio; è evidente che il caso assume rilievo ove la prestazione d’opera o di servizi non sia stata ancora integralmente eseguita (NIEDDU ARICCA [2009], 190) e si prospetti una riduzione dell’entità dell’opera o dei servizi da prestare ed i conseguenti effetti sulla garanzia prestata: evidentemente ove si acceda alla tesi dell’ammissibilità della garanzia gradata tale ipotesi costituirà anche evento che riduce automaticamente l’importo garantito; assumendo, invece, l’impostazione opposta si dovrebbe ammettere, in questo caso, la facoltà del socio di sostituire la garanzia con altra garanzia il cui disegno sia coerente alla nuova conforma- zione quantitativa e temporale del conferimento in esito alla riduzione, senza che tuttavia, tutto ciò, abbia virtù condizionante della riduzione. Al contrario si dovrebbe ritenere che, per il caso dell’impiego della cauzione, in luogo della garanzia bancaria o della polizza assicurativa, faccia luogo vero e proprio obbligo della società di restituire l’ammontare di denaro eccedente l’ammontare del conferimento così cauzionato dal socio.
Profili di particolare cautela deve, al contrario, indurre l’accostamento del conferi- mento di opere e servizi e la disciplina del diritto di recesso non potendosi accogliere la tesi secondo cui l’interesse della società prevarrebbe su quello del socio il cui conferimento non fosse ancora completamente eseguito e la cui prestazione promessa per la propri infungibilità non fosse trasferibile (NIEDDU ARICCA [2009], 190): tale prospettazione compie una ultronea applicazione dell’assunto secondo cui oggetto del conferimento sia costituito dal facere mentre, al contrario, deve darsi spazio ad una applicazione di principi valoristici che consentano l’applicazione della compensazione tra debito del conferente con il credito verso la società per la liquidazione del socio receduto (CASSOTTANA-POLLIO [2003], 382) poiché, nell’ipotesi del recesso, viene meno la ricaduta teorica delle differenze di impostazione relativamente all’oggetto del conferimento, attesa l’implicito – nella decisione comportante il recesso – attestazione del difetto di interesse della società a ricevere il facere.
Infine resta da esaminare la più complessa tra le ipotesi costituita dallo scioglimento della società allorché il conferimento risulta parzialmente ineseguito. L’assenza di dispo- sizioni normative di regolazione della fattispecie rende il caso oltremodo controverso. Si tende ad escludere la possibilità di procedere al trasferimento del credito verso il confe- rente, se del caso mediante cessione dell’azienda (MIOLA [2004], 714; MENTI [2006], 253); per converso neppure si ammette che tale ipotesi costituisca valida ragione per l’escussione della garanzia o l’incameramento di parte della cauzione (SALAFIA [2003], 1580; contra ONZA [2008], 189) né, ancora, per converso potrebbe ritenersi verificato il caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione (XXXXXX XXXXXX [2009], 196).
V. Regime contabile e circolazione della quota cui accedono conferimenti di opere e servizi
La novità dei conferimenti di opere e servizi ha importato anche rilevanti problemi qualificatori in ordine alla disciplina contabile applicabile. Sono state rappresentate
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plurime ipotesi quanto alla corretta allocazione di tali conferimenti. Una prima ipotesi qualificatoria propone l’allocazione di tali conferimenti nell’ambito dei risconti attivi supponendo che in applicazione del principio di competenza i costi relativi al conferi- mento vadano collocati per tutto l’arco di durata del conferimento: tutto ciò sull’assunto, alquanto discutibile che tale conferimento costituisca un costo per la società (DELL’ATTI [2004], 192; MENTI [2006], 225) e con indubbi effetti in ordine alla distribuzione degli utili che favorirebbe i soci a scapito dei terzi creditori. Viene, quindi, proposta la qualificazione di tale conferimento quale immobilizzazione immateriale ovvero di un credito verso soci (AGENZIA ENTRATE, Ris. 18.3.2003 n. 35/E).
Problemi relativi al regime applicabile concernono anche i fenomeni di circolazione della quota sottoscritta dal socio che si è obbligato al conferimento di opere e servizi. Anche per questo tema l’assenza di una disciplina specifica ha consentito svariate ipotesi; oviamente l’incidenza del tema è subordinata a due distinte condizioni: la prima costituita dall’assenza di uno specifico regime di circolazione disciplinato dallo statuto, la seconda che il conferimento non sia stato ancora completamente seguito. Le soluzioni più liberiste muovono da un principio di libera circolazione subordinato unicamente al fatto che il cessionario si sostituisca al cedente nelle garanzie o nella cauzione (MIOLA [2004], 718). Un parziale allontanamento dal principio di libera circolazione avviene ove si ritenga che il socio cedente non sia liberato dall’obbligo di prestare l’opera o i servizi (XXXXXXXX [2007], 363; XXXXXXXXXX-XXXXXX [0000], 382 ) in applicazione di un principio di dissociazione tra libero trasferimento e obbligo di conferimento. Ancora si prospetta la possibilità di considerare rilevante il consenso o meno della società al trasferimento ed, in questo secondo caso, si avrebbe in capo al socio l’escussione della garanzia prestata (ONZA [2008], 201). Infine, assumendo una distinzione tra conferimenti fungibili ed infungibili si predicherebbe per i secondi il caso del vincolo di intrasferibilità per la quota cui essi accedono (NIEDDU ARICCA [2009], 208) mentre nel primo caso la circolazione sarebbe libera. È di tutta evidenza che, anche in questo plesso di problemi, acquisisce rilievo l’individuazione dell’oggetto del conferimento poiché tanto minore è il vincolo tra oggetto del conferimento e il facere tanto maggiore dovrebbe essere l’adesione a principi di libera circolazione attesa la protezione del valore di conferimento conseguente alla garanzia bancaria o alla polizza assicurativa. Ben più complesso si rappresenta il tema della circolazione della quota mortis causa.
Infatti in tale area vengono in luogo distinte interferenze sia successorie che attinenti al regime della quota caduta in comunione ereditaria ex art. 2468 c.c. (*); a tutto ciò deve assommarsi la possibilità statutaria di individuare specifici regimi di circolazione in caso di successione ereditaria, prospettandosi, anche, una applicazione analogica del regime delle partecipazioni in società di persone ove la S.r.l. abbia un rilevante profilo personalistico. Tutto ciò rende astratta una descrizione aprioristica dei possibili regimi applicabili.