Teorie del contratto
Teorie del contratto
Il contratto è l’accordo tra due o più parti volto a regolare rapporti patrimoniali. In questa scheda verranno prese in considerazione e confrontate due impostazioni teoriche: i contratti come promesse e come trasferimenti di titolo.
Le impostazioni utilitarista e pragmatista intendono i contratti come convenzioni volte a realizzare le aspettative delle persone. Il diritto contrattuale di conseguenza diventa uno strumento per proteggere le parti in quanto esse confidano nei vantaggi derivanti dalle promesse altrui.
I giuristi che invece appartengono alla tradizione filosofica dei diritti naturali o che in generale asseriscono i diritti a priori, interpretano i contratti come strumenti attraverso cui i diritti sui beni (presenti e futuri) sono assegnati, trasferiti o scambiati. La teoria libertaria sostiene questa seconda interpretazione.
Attualmente il diritto contrattuale è in prevalenza influenzato dal primo approccio.
Nell’Inghilterra prenormanna la proprietà era intesa in termini di possesso fisico. Ogni debito era inteso alla stregua di un pegno su un determinato insieme di beni mobili, con un prestatore che resta il proprietario per il periodo del prestito e con restituzione a una data concordata. Se il debitore era insolvente, veniva citato in giudizio per appropriazione indebita. Tale circostanza era considerata un illecito analogo all’ingresso abusivo in una proprietà (trespass upon land). L’inadempienza dunque era considerata di natura delittuosa, non contrattuale. Se il bene era costituito da uno specifico ammontare di denaro, l’azione era il debt.
Questa impostazione presentava due problemi. Innanzi tutto, le persone possono non essere in grado di accordarsi ora per assegnare il titolo alla proprietà dei beni a una certa data futura; di conseguenza, i creditori non avevano un diritto di prelazione sui beni futuri del debitore, qualora questi si trovasse sprovvisto di denaro al momento della scadenza del debito. In secondo luogo, l’enfasi sul possesso fisico conduceva alla seguente debolezza: dopo la conclusione di un contratto di vendita, il venditore non aveva il diritto di esigere per legge il denaro dovutogli, giacché esso non era stato precedentemente in possesso del venditore e pertanto non poteva essere interpretato come un pegno, sebbene l’acquirente potesse agire per via legale per farsi consegnare i beni. Fu in parte grazie a tali difetti della teoria del contratto che, dopo la conquista normanna, poté imporsi il modello fondato sulla promessa.
Tale modello ha le sue origini storiche nell’assumpsit del common law medievale, un tipo di azione volta a tutelare tutti i tipi di accordo contrattuale a titolo oneroso. Se il convenuto si era assunto un determinato obbligo ma non lo aveva adempiuto o lo aveva adempiuto male, aveva arrecato un danno all’attore; di conseguenza il convenuto doveva essere sanzionato con l’obbligo del risarcimento del danno (era invece esclusa l’azione di esecuzione forzata in forma specifica). L’assumpsit, che enfatizza la violazione di una promessa, soppianta l’azione per debt, che invece considera la violazione del contratto una forma di furto.
Anche nel diritto canonico e nel diritto dei mercanti le semplici promesse erano considerate vincolanti.
Secondo i critici della teoria del contratto orientato sulle promesse, il mancato rispetto delle promesse può risultare immorale e pregiudicare la reputazione di chi ne sia protagonista ma non deve essere oggetto del diritto. Gli individui non hanno un diritto di proprietà sulle proprie aspettative, che sono stati mentali soggettivi. La stabilità e la prevedibilità facilitano senz’altro la vita sociale, ma a tali scopi può provvedere con efficienza il mercato. Schemi di tipo assicurativo possono fronteggiare i rischi; performance bond possono garantire in caso di inadempienze contrattuali.
Il modello alternativo al contratto orientato sulle promesse è il contratto come trasferimento di titolo, di cui Xxxxxxxx Xxxxxxx0 e Xxxxxxxx Xxxx0 sono stati importanti interpreti. Secondo tale teoria i contratti sono semplicemente strumenti tramite i quali sono assegnati o trasferiti i titoli riguardanti i beni; quelli alienabili, come i beni materiali, non quelli inalienabili come la volontà. «Gli unici contratti esecutivi (cioè quelli sostenuti dalla sanzione della coercizione legale) sono quelli il cui mancato rispetto da parte di uno dei contraenti implica il furto della proprietà dell’altro. In sintesi, un contratto è esecutivo solo quando la sua violazione costituisce un furto implicito. Ma questo può essere vero solamente se partiamo dall’assunto che i contratti esecutivi sussistano solo quando il titolo di proprietà è già stato trasferito, e perciò quando la violazione dei termini del contratto significa che la proprietà di un contraente resta nelle mani della parte colpevole, senza il consenso della prima (furto implicito)»3. Da cui la definizione del contratto come “trasferimento di titolo”.
Ad esempio, in un contratto di permuta (il tradizionale baratto), nel quale il soggetto A ha trasferito un cane al soggetto B in cambio di una gallina, B, dopo aver ricevuto il cane, si rifiuta di consegnare la gallina. In questo caso il trasferimento di titoli ha avuto luogo, e dunque il contratto è effettivo, precisamente nel momento in cui A ha consegnato il cane. B dunque non possiede più il titolo alla gallina, anche se questa fisicamente resta in suo possesso. Il crimine di B quindi è la detenzione della gallina, non del cane; dunque il reato è il furto della gallina.
Similmente, nel contratto di compravendita, se l’acquirente ha ricevuto il bene e non cede in cambio la somma di denaro, ha commesso un furto implicito, e dunque deve essere costretto a pagare; infatti il venditore aveva già trasferito il suo titolo di proprietà all’acquirente, e lo aveva fatto nel momento della consegna del bene4.
Un esempio su un contratto di natura diversa, il prestito, aiuta a illustrare con maggior chiarezza la teoria in esame. «Supponiamo che Xxxxx e Xxxxx concludano un contratto, secondo il quale Xxxxx cede adesso 1000 dollari a Xxxxx in cambio di un “pagherò” di 1100 dollari con scadenza a un anno. Quello che è successo e che Xxxxx ha trasferito il suo titolo di proprietà attuale sui 1000 dollari in cambio dell’assicurazione che Xxxxx, entro un anno, trasferirà a Xxxxx il titolo su 1100 dollari. Supponiamo che alla scadenza del xxxxxxxxx Xxxx rifiuti di pagare. Perché il diritto libertario dovrebbe far rispettare l’impegno di pagare? Il diritto vigente […] sostiene che Xxxxx debba pagare 1100 dollari perché ha “promesso” di pagare e che tale promessa ha fatto nascere in Xxxxx l’“aspettativa” di ricevere il denaro. La nostra tesi è che le semplici promesse non costituiscono un trasferimento di un titolo di proprietà, ossia che, anche se mantenere le proprie promesse può certamente essere un comportamento morale, l’imposizione della moralità (nel nostro caso del rispetto delle promesse fatte) non è, e non può essere, la funzione della legge (cioè della violenza legale) in un sistema libertario. La nostra tesi è che Xxxxx debba versare 1100 dollari a Xxxxx perché egli ha già accettato
1 Xxxxxxx critica la focalizzazione sulla promessa. Le parole “io prometto” non sono una parte essenziale del contratto. Ad esempio, l’obbligo di restituire una somma di denaro deriva dal mero fatto che il prestatore ha trasferito la somma con la chiara comunicazione che non fosse un regalo; non c’è bisogno che il beneficiario faccia promesse formali di restituzione. X. Xxxxxxx, Poverty: Its Illegal Causes (1846), in The Collected Works of Xxxxxxxx Xxxxxxx, vol. 0, X&X Xxxxx, Xxxxxx, XX, 0000.
2 I. Xxxx, The Philosophy of Law: An Exposition of the Fundamental Principles of Jurisprudence as the Science of Right, T&T Xxxxx, Edimburgo, 1887, p. 101. «Sfortunatamente, la posizione di Xxxx era viziata da due importanti difetti. In primo luogo, egli presumeva che trasferimenti volontari di proprietà dovessero aver luogo nel quadro dell'obbedienza alla volontà generale imposta della società civile. Ma la libera scelta e questa obbedienza civile sono intrinsecamente in contraddizione. In secondo luogo, Xxxx evidenziava come i contratti siano volontari quando le condizioni soggettive delle parti contraenti sono in accordo. Ma come potrebbe un tribunale determinare le condizioni mentali soggettive delle parti di un accordo? Per la teoria libertaria del contratto è decisamente preferibile sostenere che, quando due parti trasferiscono titoli di proprietà e nessuna delle due lo fa sotto la minaccia di violenza, allora il contratto può essere ritenuto volontario, consensuale e valido. In breve, il consenso delle parti può essere determinato dal fatto che le loro azioni non vengono svolte in condizioni di coercizione». M.N. Xxxxxxxx, L’etica della libertà (1982), Liberilibri, Macerata, 1996, p. 255.
3 M.N. Xxxxxxxx, op. cit., p. 201.
4 Anche le garanzie su un prodotto in tale teoria hanno riconoscimento giuridico: non perché una o più caratteristiche del prodotto siano state promesse ma perché sono state trasferite all’acquirente. Se non sono come descritte, allora si configura la frode.
di trasferire il suo titolo di proprietà: il mancato pagamento significherebbe che Xxxxx sarebbe un ladro, che avrebbe rubato la proprietà di Xxxxx. In sintesi: il trasferimento originario dei 1000 dollari da parte di Xxxxx non era assoluto, ma condizionale, dipendeva cioè dal fatto che Xxxxx restituisse entro un anno 1100 dollari. Quindi il mancato pagamento costituisce un furto implicito della legittima proprietà di Xxxxx»5.
Le implicazioni della teoria, oggi prevalente, del contratto basata sulla “promessa” o sull’“aspettativa” possono essere chiarite attraverso il seguente esempio. «Supponiamo che A prometta di sposare B; quest’ultimo appronta i preparativi per il matrimonio, incorrendo in tutti i costi che ne derivano. All’ultimo minuto, A cambia idea, violando così il presunto “contratto”. Quale dovrebbe essere il ruolo di un’agenzia d’imposizione della legge in una società libertaria? È logico che chi crede inflessibilmente nella teoria contrattuale basata sulla “promessa” dovrebbe ragionare come segue: A ha volontariamente espresso a B una promessa di matrimonio; ciò ha fatto nascere in B l’aspettativa di sposarsi, pertanto questo contratto deve essere fatto rispettare. A deve essere obbligato a sposare B.
Per quanto ne sappiamo, nessuno ha mai sostenuto fino a questo limite estremo la teoria della promessa. Il matrimonio obbligatorio è in modo così chiaro ed evidente una forma di schiavitù involontaria che nessun teorico, per non parlare poi di un libertario, si è mai spinto fino a queste conseguenze logiche. Chiaramente, la libertà e l’imposizione della schiavitù sono del tutto incompatibili, anzi sono diametralmente opposte. Ma perché non si dovrebbe giungere a questo punto, se è vero che tutte le promesse sono contratti vincolanti?
Nel nostro sistema giuridico, tuttavia, è stata impiegata una forma più lieve per far rispettare le promesse di matrimonio. L’azione legale per “rottura di promessa (di matrimonio)” esistente in passato obbligava chi non avesse rispettato la propria promessa a pagare le spese nelle quali era incorsa l’altra parte a causa dell’aspettativa di sposarsi. Ma questo, anche se non si spinge fino alla servitù involontaria, non è ugualmente valido. Infatti non può esservi alcuna proprietà delle promesse o delle aspettative; si tratta semplicemente di condizioni mentali soggettive, che non comportano trasferimenti di proprietà e che quindi non sottintendono un furto implicito. Pertanto non dovrebbero essere vincolanti e, almeno negli ultimi anni, le cause per “rottura di promessa” non sono più state accolte dai tribunali. Il punto importante è che, anche se per il libertario l’imposizione del pagamento di danni non è mostruosa come l’imposizione del rispetto della promessa di prestare un servizio, essa nasce dallo stesso principio errato.
Esaminiamo più a fondo la nostra tesi, secondo la quale le semplici promesse o le aspettative non dovrebbero essere vincolanti. La ragione fondamentale è che l’unico trasferimento di titoli di proprietà valido in una società libera si verifica quando la proprietà è, nella realtà delle cose e secondo la natura umana, alienabile dall’uomo. Tutti i beni materiali posseduti da una persona sono alienabili, cioè possono essere effettivamente ceduti o trasferiti sotto il possesso e il controllo assoluto di un’altra persona. Posso cedere o vendere ad altri le mie scarpe, la mia casa, il mio denaro, eccetera. Ma vi sono alcune cose essenziali che, nella realtà dei fatti e secondo la natura umana, sono inalienabili, cioè non possono essere cedute, neppure volontariamente. Più specificamente, una persona non può alienare la propria volontà, ovvero il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente. Xxxxxx ha il controllo della propria mente e del proprio corpo. Ciascuno controlla la propria persona e la propria volontà e, se vogliamo, è “costretto a convivere” con questa proprietà connaturata e inalienabile. Così come la volontà e il controllo sulla persona sono inalienabili, altrettanto lo sono i diritti di controllo su quella stessa volontà e quella stessa persona. Su questa base si fonda la famosa asserzione della Dichiarazione d’Indipendenza, secondo la quale i diritti naturali dell’uomo sono inalienabili, cioè non possono essere ceduti anche nel caso si desiderasse farlo.
Come rileva Xxxxx, le difese filosofiche dei diritti umani «si fondano sul dato naturale che ciascun essere umano è proprietario della sua volontà. Partire da diritti come proprietà e libertà di contratto,
5 M.N. Xxxxxxxx, op. cit., pp. 201-202.
fondati sulla proprietà assoluta della volontà, e impiegare quindi i diritti da essi derivati per smantellare i loro stessi fondamenti è filosoficamente scorretto»6.
Da ciò discende l’inapplicabilità nella teoria libertaria dei contratti di schiavitù volontaria. Supponiamo che Xxxxx concluda con la Xxxxx Corporation il seguente accordo: per il resto della sua esistenza Xxxxx obbedirà a tutti gli ordini, accettando qualunque condizione piaccia alla Xxxxx Corporation. Nella teoria libertaria non vi è alcunché che possa impedire a Xxxxx di stringere questo patto, di servire la Xxxxx Corporation, e di obbedire per un periodo indefinito agli ordini di quest’ultima. Il problema insorgerebbe se, in un momento successivo, Xxxxx dovesse cambiare idea e decidesse di licenziarsi. Dovrebbe essergli imposto di rispettare i termini della sua precedente promessa, prestata volontariamente? La nostra tesi, fortunatamente accettata anche dal diritto vigente, è che la promessa di Xxxxx non rappresenta un contratto valido (cioè, non è esecutivo). Nell’accordo stretto da Xxxxx non si è verificato alcun trasferimento di proprietà, giacché il controllo di Xxxxx sul proprio corpo e sulla propria volontà sono inalienabili. Siccome il controllo non può essere alienato, l’accordo non è un contratto valido e quindi non dovrebbe essere considerato esecutivo. L’accordo di Xxxxx è semplicemente una promessa, che moralmente dovrebbe essere tenuto a mantenere, ma che non può essere legalmente vincolante.
In effetti, far rispettare forzatamente una promessa rappresenterebbe imporre una servitù volontaria, esattamente come si verificava nel caso del matrimonio obbligato esaminato in precedenza. Ma allora, si potrebbe almeno esigere da Xxxxx il pagamento dei danni alla Xxxxx Corporation, calcolati sulla base dell’aspettativa di un servizio vitalizio che si era formata la Xxxxx Corporation stessa? Anche in questo caso, la risposta è negativa. Xxxxx non ha commesso alcun furto implicito. Egli non ha goduto di nessuna legittima proprietà della Xxxxx Corporation, in quanto egli ha sempre avuto titolo sul proprio corpo e sulla propria persona.
Che dire delle aspettative deluse della Xxxxx Corporation? La risposta dev’essere la stessa del caso del pretendente o della promessa sposa xxxxxx. La vita è sempre incerta, sempre rischiosa. Alcuni sono “imprenditori” migliori di altri, cioè sanno prevedere con maggiore successo le azioni umane e gli eventi nel mondo. La sposa o lo sposo delusi, o la Xxxxx Corporation, sono il giusto locus del rischio in questi esempi; se le loro aspettative vengono deluse, vuol dire che sono stati cattivi giudici e trarranno beneficio da questa esperienza se in futuro dovessero trovarsi a trattare di nuovo con Xxxxx o con il promesso sposo fedifrago.
Ammesso che le semplici promesse o le aspettative non possono essere vincolanti, a differenza dei contratti che prevedono il trasferimento di titoli di proprietà, possiamo ora esaminare l’applicazione delle differenti teorie contrattuali a un importante caso della vita reale: i disertori dell’esercito, che siano volontari o coscritti, meritano un’amnistia totale per la loro azione? I libertari, essendo contrari alla leva, considerata una forma di schiavitù involontaria, non hanno nessuna difficoltà a sostenere l’esonero totale da qualsiasi colpa per i coscritti disertori. Ma che dire di chi si è arruolato volontariamente (trascurando il caso di chi si è arruolato soltanto come alternativa alla coscrizione)? Il teorico della “promessa” deve, secondo logica, sostenere la punizione dei disertori e il loro ritorno obbligato nelle forze armate. Il teorico del trasferimento di titoli, al contrario, sostiene che ogni uomo ha il diritto inalienabile al controllo del proprio corpo e della propria volontà, giacché nella realtà dei fatti egli possiede tale controllo, e che quindi l’arruolamento non è stato che una semplice promessa e non può essere vincolante, giacché ognuno ha il diritto in qualsiasi momento di cambiare idea sul modo di disporre del proprio corpo e della propria volontà. Come si può vedere, differenze nella teoria del contratto, apparentemente astruse e di poca importanza, possono comportare differenze di importanza vitale nel campo della politica pratica.
Nell’America contemporanea, tranne la vistosa eccezione delle forze armate, chiunque ha il diritto di lasciare il proprio posto di lavoro, indipendentemente da qualsiasi promessa o “contratto” precedentemente concluso. Sfortunatamente, tuttavia, i tribunali, pur rifiutandosi di esigere specifiche
6 W.M. Xxxxx, Toward a Reformulation of a Law of Contracts, in “Journal of Libertarian Studies”, vol. 1, n. 1, inverno 1977, p. 7.
prestazioni personali in virtù di un contratto d’impiego (in breve, pur rifiutandosi di sanzionare la schiavitù del lavoratore), gli proibiscono di svolgere la stessa mansione per conto di un altro principale, almeno per il periodo coperto dal precedente contratto. Se qualcuno ha firmato un contratto per lavorare per cinque anni come ingegnere presso la ARAMCO e quindi lascia il posto, la legge gli impedisce di lavorare alle dipendenze di un’altra società operante nello stesso campo per il resto dei cinque anni. Dovrebbe essere chiaro che questa proibizione non è molto distante dalla schiavitù forzata e che, in una società libertaria, sarebbe del tutto inammissibile. I datori di lavoro, allora, non hanno alcun modo di rivalersi su chi cambia idea? Ovviamente lo hanno. Se lo desiderano, possono accordarsi per porre sulla lista nera il lavoratore poco affidabile e rifiutarsi di dargli lavoro. Questo rientrerebbe perfettamente nei loro diritti in una società libertaria. Quello che non rientra nei loro diritti è usare la violenza per impedirgli di lavorare volontariamente per qualcun altro.
Sarebbe ammissibile anche un secondo tipo di rivalsa. Supponiamo che Xxxxx, al momento di concludere il suo accordo di obbedienza volontaria per tutta la vita alla Xxxxx Corporation, abbia ricevuto da essa la somma di un milione di dollari come pagamento dei servizi che ci si aspetta da lui in futuro. Chiaramente, allora, la Xxxxx Corporation avrebbe trasferito il titolo sul milione di dollari non assolutamente, ma a condizione della prestazione da parte di Xxxxx di un servizio per tutta la vita. Xxxxx ha il diritto assoluto di cambiare idea, ma non ha il diritto di tenersi il milione di dollari. Se lo facesse, sarebbe un ladro nei confronti della proprietà della Xxxxx Corporation; pertanto, egli deve essere obbligato a restituire la somma con gli interessi. Infatti, naturalmente, il titolo sul denaro era e rimane sempre alienabile.
Esaminiamo un caso apparentemente più difficile. Supponiamo che un noto attore cinematografico accetti di comparire in un teatro ad una certa data. Per una qualunque ragione, egli non si presenta. Dovrebbe essere obbligato a comparire in quella data, o in una data futura? Certamente no, perché sarebbe un esempio di servitù involontaria. Dovrebbe essere almeno obbligato a ricompensare i proprietari del teatro per le spese di pubblicità e di altro tipo che hanno sostenuto in preparazione dell’evento? Di nuovo no, perché il suo accordo era una semplice promessa relativa alla sua inalienabile volontà, che egli ha il diritto di cambiare in qualsiasi momento. Per esprimersi in modo diverso, giacché l’attore non ha ancora ricevuto nessun bene di proprietà dei padroni del teatro, egli non ha commesso alcun furto a loro danno (o a danno di nessun altro) e quindi non può essere obbligato a pagare un indennizzo. Il fatto che i proprietari del teatro abbiano fatto notevoli piani e investimenti nell’aspettativa che l’attore rispettasse l’accordo può essere una iattura per loro, ma fa parte dei rischi connaturati alla loro attività. I proprietari del teatro non dovrebbero aspettarsi di poter obbligare l’attore a pagare per la loro scarsa chiaroveggenza e le loro carenze imprenditoriali. Essi pagano per avere dato eccessiva fiducia all’attore. Mantenere le promesse può essere considerato più morale che non rispettarle, ma l’imposizione a forza di questo codice morale, che va oltre la proibizione del furto e dell’aggressione, è di per sé una violazione dei diritti di proprietà dell’attore e quindi è inammissibile in una società libertaria.
Anche in questo caso, naturalmente, se l’attore avesse ricevuto un pagamento anticipato dai proprietari del teatro e volesse tenersi il denaro senza rispettare la sua parte del contratto, ciò costituirebbe un furto implicito a danno dei proprietari e l’attore dovrebbe essere obbligato a restituire la somma.
Xxxx utilitaristi che si trovassero a disagio per le conseguenze di questa dottrina, facciamo notare che in una società libertaria molti, se non tutti, i problemi potrebbero essere facilmente risolti da chi riceve la promessa: basterebbe inserire nell’accordo originario una garanzia di adempimento da parte di chi promette. In breve, se i proprietari del teatro volessero tutelarsi dal rischio che l’attore non si presenti, potrebbero rifiutarsi di firmare l’accordo a meno che l’attore non accetti di produrre una garanzia di adempimento. In questo caso, l’attore, accettando di comparire in teatro in futuro, accetta anche di trasferire una certa somma di denaro ai proprietari qualora non si dovesse esibire. Siccome il denaro, naturalmente, è alienabile e siccome un contratto di questo tipo rispetterebbe il nostro criterio di trasferimento di titoli, esso sarebbe perfettamente valido ed esecutivo. Infatti equivarrebbe alla seguente dichiarazione da parte dell’attore: «Se non mi esibirò nel teatro X in tal data, trasferirò
in quella data la somma di Y dollari ai proprietari del teatro stesso.» Il mancato pagamento della garanzia di adempimento costituirebbe un furto implicito. Se, dunque, il proprietario del teatro non richiede una garanzia di adempimento come parte dell’accordo, non può che pagarne le conseguenze. In effetti, in un importante articolo, A.W.B. Xxxxxxx ha mostrato che le garanzie di adempimento costituivano la norma nel Medioevo e agli inizi del periodo moderno, non solo per i contratti che richiedevano un servizio personale, ma per ogni tipo di contratto, compresa la vendita di terreni e i debiti in denaro7. Queste garanzie di adempimento si sono evolute, assumendo la forma di penali volontarie, o garanzie penali, per mezzo delle quali il contraente si impegna al pagamento di una somma, solitamente pari al doppio di quella dovuta, in caso di mancato pagamento del suo debito o di mancato assolvimento dei termini del contratto. La penale contrattata volontariamente funge da incentivo affinché egli rispetti i termini del contratto. Nel caso di un debito in denaro, definito common money bond, chi deve 1000 dollari accetta di pagarne 2000 al creditore qualora non saldi il proprio debito entro una certa data (più precisamente, l’obbligo di pagare 2000 dollari è condizionale al pagamento di 1000 dollari da parte del debitore entro una certa data. Da ciò deriva l’espressione “garanzia penale condizionata”). Nell’esempio di un contratto per la prestazione di un servizio personale, supponiamo che la mancata esibizione dell’attore costi ai proprietari del teatro 1000 dollari in danni; in tal caso, l’attore firmerebbe, ovvero “perfezionerebbe” una garanzia penale condizionale, accettando di pagare 2000 dollari ai proprietari del teatro qualora non dovesse essere presente alla data prevista. In questo tipo di contratto il proprietario è protetto e non si verifica la scorretta imposizione del rispetto di una semplice promessa (naturalmente, la penale concordata non deve necessariamente essere pari al doppio del valore stimato; il suo ammontare è pari a qualunque cifra sulla quale si accordino le parti. La somma doppia era la consuetudine nell’Europa medievale e
dell’inizio dell’èra moderna).
Nel suo articolo, Xxxxxxx corregge l’interpretazione storica prevalente sullo sviluppo del moderno diritto contrattuale, cioè che la teoria dell’assumpsit (che consiste nel fondare l’obbligo del rispetto di un contratto sulla semplice promessa, sia pure non in modo rigido), in aggiunta al poco sviluppato concetto di diritti di proprietà della common law, sia stata necessaria per creare un sistema capace di imporre il rispetto dei contratti. Xxxxxxx dimostra come l’affermarsi dell’assumpsit nell’Inghilterra dei secoli sedicesimo e diciassettesimo non sia stata la conseguenza della rinnovata attenzione nei confronti del mondo dei contratti commerciali, bensì un rimedio al rapido declino della garanzia penale di adempimento, che aveva soddisfatto per secoli le necessità degli affari. Xxxxxxx mette in evidenza che la garanzia di adempimento si è dimostrata uno strumento assai flessibile per la gestione di contratti e accordi, dai più semplici ai più complessi. Inoltre, la garanzia di adempimento aveva un carattere sufficientemente formale da fungere da garanzia contro la frode, e tuttavia la sua applicazione era abbastanza semplice da non costituire un ostacolo alle transazioni commerciali. Per di più, durante i secoli in cui è stata in auge, quasi nessun creditore si è preso il disturbo di intraprendere un’azione legale per “danni” (in un “contratto formale”), giacché i “danni” erano già stabiliti in anticipo nel contratto stesso. Come scrive Xxxxxxx,
dal punto di vista del creditore, un contratto che stabilisca in anticipo una penalità ha un’ovvia attrattiva, specie quando l’alternativa è la valutazione dei danni da parte di una giuria…8
Ma qual è stata allora la causa del declino della garanzia penale? Questo declino è cominciato quando i tribunali hanno smesso di farla rispettare. Che la ragione sia stata un malinteso “umanitarismo” o che abbiano invece pesato più sinistri motivi di difesa di privilegi particolari, sta di fatto che i tribunali hanno iniziato a esitare di fronte alla durezza della legge, di fronte alla considerazione che stavano facendo rispettare appieno i contratti. Infatti, la garanzia significava che “qualsiasi mancanza nella prestazione comporta la perdita della penale”. Inizialmente, nell’epoca elisabettiana le Courts of Chancery intervenivano per soccorrere il debitore (cioè, chi era obbligato)
7 A.W.B. Xxxxxxx, The Penal Bond with Conditional Defeasance, in “The Law Quarterly Review”, luglio 1966, pp.
392-422.
8 A.W.B. Xxxxxxx, op. cit., p. 415.
nei casi di “estrema privazione”. Verso l’inizio del diciassettesimo secolo questo soccorso fu esteso a tutti i casi nei quali l’obbligato veniva colpito da una qualche disgrazia e pagava comunque il capitale (la somma pattuita) con un lieve ritardo; in questi casi, egli doveva pagare soltanto l’ammontare del debito, più quelli che i tribunali definivano “danni ragionevoli”, abbandonando così l’obbligo di pagare la penalità stabilita. L’intervento si ampliò ulteriormente negli anni successivi finché, negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta del diciassettesimo secolo, le Chancery Courts semplicemente dichiararono completamente illegale il pagamento della penalità per qualsiasi contratto, e imposero soltanto che il contraente che non avesse mantenuto i propri impegni o il debitore moroso pagassero il capitale con gli interessi, assieme a “danni ragionevoli” valutati dal tribunale, solitamente da una giuria. Questa regola fu rapidamente adottata dai tribunali di common law negli anni Settanta del secolo e fu poi formalizzata da appositi statuti all’inizio del diciottesimo secolo. Naturalmente, giacché i tribunali non imponevano più il pagamento delle penalità di garanzia, l’istituzione della garanzia penale di adempimento scomparve rapidamente.
La malaugurata soppressione della garanzia di adempimento fu la conseguenza dell’erronea teoria del rispetto dei contratti sposata dai tribunali. Tale teoria si fondava sull’idea che imporre il rispetto dei contratti equivalga a risarcire il creditore, ovvero l’obbligatario, per l’inadempienza del debitore, cioè renderlo non meno ricco di quanto sarebbe stato se non avesse mai concluso il contratto. Nei secoli precedenti, i tribunali ritenevano che il “risarcimento” consistesse nel far rispettare la garanzia penale; per i tribunali non fu difficile cambiare idea e decidere che “danni” valutati dal tribunale rappresentassero un risarcimento sufficiente, alleggerendo la “durezza” delle penali stipulate volontariamente. La teoria dell’imposizione del rispetto del contratto non dovrebbe avere niente a che fare con il “risarcimento”; il suo fine dovrebbe essere sempre quello di far rispettare i diritti di proprietà e di difenderli dal furto implicito rappresentato dalla violazione di contratti che trasferiscono il titolo di proprietà su beni alienabili. La difesa dei titoli di proprietà, e solo questa, spetta alle agenzie d’imposizione legale.
Xxxxxxx descrive acutamente la «tensione tra due principi. Da una parte abbiamo l’idea che la reale funzione delle istituzioni contrattuali sia quella di assicurarsi, per quanto è possibile, che gli accordi vengano rispettati» (per esempio, con l’imposizione della garanzia penale). «Dall’altra, abbiamo l’idea che basti che la legge preveda il risarcimento per le perdite subìte a causa della mancata prestazione sulla quale ci si era accordati.» Questo secondo punto di vista tempera in non lieve misura l’entusiasmo con il quale si richiede l’adempimento; inoltre, nei contratti per servizi personali (come nel caso dell’attore del nostro esempio precedente), «viene attribuito un valore positivo al diritto di violare il contratto, almeno finché la parte inadempiente viene obbligata a pagare un risarcimento»9.
Che dire inoltre dei contratti che comportano un dono? Dovrebbero essere legalmente vincolanti? Ancora una volta, la risposta dipende dal fatto che sia stata prestata una semplice promessa o che nell’accordo abbia avuto luogo un vero e proprio trasferimento di un titolo di proprietà. Se A dice a B: «Con il presente atto ti assegno 10.000 dollari», allora il titolo sulla proprietà del denaro è stato trasferito e il dono è esigibile; inoltre, in seguito A non potrà esigere legittimamente la restituzione del denaro. Ma se A dice: «prometto di darti 10.000 dollari entro un anno», si tratta di una semplice promessa, quella che nel diritto romano veniva chiamata nudum pactum, e quindi non è corretto ritenerla vincolante. Il beneficiario deve assumersi il rischio che il donatore non mantenga la promessa. Ma se, al contrario, A dice a B: «Con il presente atto accetto di trasferirti 10.000 dollari entro un anno», allora si tratta della dichiarazione di un trasferimento di titolo di proprietà in qualche data futura, che è vincolante.
Dovremmo sottolineare che non si tratta di un semplice gioco di parole, per quanto in taluni casi particolari possa sembrarlo. Infatti la domanda fondamentale è sempre la medesima: è stato trasferito un titolo di proprietà su un bene alienabile o è stata semplicemente fatta una promessa? Nel primo caso l’accordo è vincolante, perché l’inadempienza comporterebbe un furto della proprietà trasferita;
9 Ivi, p. 420.
nel secondo, si tratta di una semplice promessa che non ha trasferito alcun titolo di proprietà, una promessa che potrà anche essere moralmente impegnativa, ma che non può essere legalmente vincolante per chi l’ha prestata.
Xxxxxx non sta facendo un semplice gioco di parole quando ha scritto:
Le sole parole, se sono per l’avvenire e contengono una semplice promessa, sono un segno insufficiente del libero dono, e perciò non sono vincolanti. Infatti, se sono per un tempo avvenire, come Domani darò, sono un segno che io non ho ancora dato, e per conseguenza il mio diritto non è ancora trasferito, ma resta a me fin quando lo trasferirò con qualche altro atto. Ma, se le parole sono pel presente o per il passato, come Ho dato, o Ho concesso che domani si dia, allora domani sarà mio il diritto abbandonato oggi… E vi è una grande differenza di significato tra queste parole: Voglio che ciò sia tuo domani e Xxxxxx darò: poiché nel primo caso è un atto presente della volontà, nel secondo la promessa di un atto nel futuro, e perciò la prima frase trasferisce nel presente un diritto futuro, la seconda, essendo al futuro, non trasferisce niente.10 (I corsivi sono di Xxxxxx).
Applichiamo ora le due teorie opposte a un accordo che comporti esclusivamente un dono anziché uno scambio. Un nonno promette di pagare l’università al nipote; dopo un anno o due il nonno, a causa di rovesci finanziari o per qualsiasi altra ragione, decide di revocare la sua promessa. Sulla base della promessa il nipote è incorso in diverse spese per avviare la propria carriera universitaria e ha rifiutato svariate offerte di lavoro. Dovrebbe dunque avere la possibilità di intraprendere un’azione legale per costringere il vecchio a mantenere la sua promessa?
Secondo la nostra teoria del trasferimento di titoli, il nipote non ha alcun diritto alla proprietà del nonno, giacché quest’ultimo ha sempre conservato il titolo al proprio denaro. Una semplice nuda promessa, così come l’aspettativa soggettiva di chi ha ricevuto la promessa, non può conferire alcun titolo di proprietà. I costi affrontati dal nipote rappresentano giustamente il suo rischio imprenditoriale. D’altra parte, se il nonno avesse trasferito il proprio titolo, allora parleremmo della proprietà del nipote e questi avrebbe il diritto di adire le vie legali per riottenerla. Tale trasferimento avrebbe avuto luogo se il nonno avesse scritto: «Con questo atto trasferisco a te (nipote) 8000 dollari», oppure: «Con questo, ti trasferirò 2000 dollari a ciascuna delle seguenti date: 1° settembre 1975, 1° settembre 1976, eccetera».
D’altro canto, sulla base della teoria del modello contrattuale dell’aspettativa, esistono due possibili varianti: il nipote potrebbe rivendicare un diritto legalmente vincolante nei confronti del nonno a causa della semplice promessa, oppure il nipote potrebbe rivendicare il rimborso delle spese nelle quali è incorso aspettandosi che la promessa venisse mantenuta.
Xxxxxxxxxx, tuttavia, che l’affermazione originaria del vecchio non sia stata una semplice promessa, bensì uno scambio condizionale: per esempio, che il nonno accettava di pagare le spese universitarie del nipote purché questi presentasse al nonno rapporti settimanali dei propri progressi. In tal caso, secondo la nostra teoria dei trasferimenti di proprietà, il nonno avrebbe concluso un trasferimento condizionale di titolo di proprietà: egli avrebbe accettato di trasferire tale titolo in futuro a condizione che il nipote svolgesse certi servizi. Se il nipote li avesse effettivamente prestati e continuasse a prestarli, allora il pagamento delle sue spese universitarie sarebbe sua proprietà ed egli dovrebbe avere legalmente diritto ad esigerli dal nonno»11. C’è un fatto che si verifica, la stesura di rapporti settimanali da parte del nipote e dunque il nonno è giuridicamente obbligato al pagamento della retta. Nel modello di contratto come trasferimento del titolo gli accordi restrittivi sono possibili e leciti. Ad esempio, «A può vendere a B un bene […] con il vincolo che esso in futuro non sia mai venduto o affittato a non-cattolici»12.
Secondo la teoria del contratto come trasferimento di titolo, la frode dovrebbe essere perseguibile per legge, in quanto consiste «nel mancato adempimento di un trasferimento di proprietà
00 X. Xxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxx-Xxxx, 0000, cap. 14.
11 M.N. Xxxxxxxx, op. cit., pp. 202-215.
12 W.M. Xxxxx, op. cit., p. 7.
volontariamente accettato e pertanto costituisce un furto implicito. Se, per esempio, A vende a B un pacchetto che, a dire del primo, contiene una radio mentre in realtà contiene soltanto della ferraglia, allora A ha ricevuto il denaro di B e non ha rispettato le condizioni stabilite per questo trasferimento, che prevedevano la consegna di una radio. A, quindi, ha sottratto la proprietà di B. La stessa cosa vale nel caso del mancato rispetto della garanzia di un qualsiasi prodotto. Se, ad esempio, un venditore afferma che un pacco contiene 5 once del prodotto X, mentre in realtà ciò non è vero, allora il venditore ha ricevuto del denaro senza rispettare i termini del contratto; in effetti, egli ha rubato il denaro dell’acquirente. Ancora una volta, le garanzie dei prodotti dovrebbero essere legalmente vincolanti, non perché siano “promesse”, ma perché descrivono una delle entità del contratto sul quale ci si accorda. Se l’entità non risponde alla descrizione del venditore, allora hanno avuto luogo una frode e un furto implicito»13.
Per quanto riguarda il diritto fallimentare, in un sistema giuridico libertario sarebbe inammissibile in quanto le sue norme «sono una sorta di affievolimento dei debiti liberamente contratti dal debitore e quindi violano i diritti di proprietà dei creditori. Il debitore che rifiuta di pagare il proprio debito deruba il suo creditore. Se il debitore può pagare, ma nasconde i propri beni, allora il suo evidente furto viene aggravato dalla frode. Ma, anche se il debitore inadempiente non è in grado di pagare, egli resta ancora un ladro dei beni del creditore, in quanto non adempie alla consegna pattuita della proprietà del creditore. La funzione del sistema giuridico, dunque, dovrebbe essere quella di imporre il pagamento al debitore, per esempio vincolando il suo reddito futuro al pagamento del debito, degli interessi accumulati e dei danni. Il diritto fallimentare, che libera dal debito, facendosi beffe dei diritti di proprietà del creditore, praticamente conferisce al debitore la licenza di rubare. Nell’epoca premoderna il debitore inadempiente era solitamente trattato come un ladro e obbligato a pagare man mano che accumulava nuovi introiti. Indubbiamente l’incarcerazione per debiti era una pena di gran lunga sproporzionata ed eccessiva; ma almeno la vecchia pratica legale assegnava alla responsabilità il posto che le competeva: essa imponeva al debitore l’adempimento dei suoi obblighi contrattuali e di completare il trasferimento della proprietà dovuta al creditore-proprietario. Uno storico del diritto fallimentare americano, sebbene sia un sostenitore di tale normativa, ha ammesso che essa calpesta i diritti di proprietà dei creditori:
Se il diritto fallimentare si fondasse sui diritti legali degli individui, non esisterebbe l’esonero dei debitori dal pagamento dei loro debiti per tutta la durata della loro vita o finché continuassero ad avere un patrimonio… il creditore ha dei diritti che non devono essere violati, anche nel caso che la causa del fallimento sia l’avversa fortuna. Le pretese [del creditore] sono parte della sua proprietà.14
A difesa delle leggi sul fallimento, l’economista utilitarista potrebbe replicare che, dal momento che queste leggi si trovano sui codici, il creditore sa cosa può accadergli, che egli può garantirsi dal rischio aggiuntivo esigendo un maggiore tasso di interesse e che, pertanto, le azioni di diritto fallimentare non dovrebbero essere considerate espropri della proprietà del creditore. Che il creditore sia a conoscenza delle leggi e che di norma egli esiga un maggiore tasso di interesse, è vero. Ciò che non segue la logica, tuttavia, è quel “pertanto”. Indipendentemente dalla conoscenza preventiva o dal preavviso, il diritto fallimentare resta una violazione e, di conseguenza, un esproprio dei diritti di proprietà del creditore. Nel mercato esistono innumerevoli situazioni nelle quali le vittime potenziali possono agire in modo da minimizzare il rischio di furto istituzionalizzato al quale si espongono. Il furto non viene reso minimamente più morale o legittimo da queste lodevoli precauzioni»15.
Inoltre, come ha osservato Xxxxxx Xxxxx, la stessa argomentazione utilitaristica potrebbe essere usata in relazione a crimini come la rapina o lo scasso. Invece di deplorare i crimini commessi ai danni dei negozianti in certune zone della città, potremmo (da buoni economisti utilitaristi) ragionare come segue: dopotutto, i negozianti sapevano a che cosa andavano incontro. Prima che aprissero i
13 M.N. Xxxxxxxx, op. cit., p. 215.
14 F. Xxxxx Xxxx, A History of the Bankruptcy Clause of the Constitution of the Unites States of America, dissertazione di dottorato, Catholic Xxxxxxxxxx xx Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 0000.
15 M.N. Xxxxxxxx, op. cit., pp. 215-217.
loro negozi conoscevano il tasso di criminalità in quel quartiere, e hanno potuto adeguare di conseguenza l’ammontare della loro assicurazione e organizzare l’attività commerciale. Dovremmo dire, dunque, che la rapina ai negozianti non dev’essere deplorata, o neppure messa fuorilegge?
«In sintesi, il crimine è crimine e le violazioni di proprietà restano violazioni di proprietà. Perché i proprietari lungimiranti che adottano misure preventive per alleviare gli effetti del crimine dovrebbero essere privati di una difesa giuridica dei loro legittimi averi? Perché la legge dovrebbe penalizzare la virtù della lungimiranza?
Il problema dei debitori inadempienti può essere affrontato in un altro modo: il creditore, tenendo conto dell’onesto tentativo di pagare da parte del debitore, può decidere volontariamente di condonare in parte o del tutto il debito. In questo caso, è importante sottolineare che, in un sistema libertario che difende i diritti di proprietà, ciascun creditore può condonare soltanto il proprio debito, può cedere solo i propri diritti sul debitore. Quindi, non può esistere una situazione giuridica nella quale una maggioranza di debitori obbliga una minoranza a “condonare” quanto le è dovuto.
Il condono volontario di un debito può verificarsi dopo l’effettiva inadempienza, oppure può essere incorporato nel contratto originario che ha dato luogo al debito. In tal caso, A potrebbe prestare 1000 dollari a B adesso, in cambio di 1000 dollari da restituire dopo un anno, prevedendo che, se si dovessero verificare certe condizioni di irrimediabile insolvenza, A condonerebbe a B il debito del tutto o in parte. Presumibilmente, A esigerebbe un tasso di interesse più alto, per compensare il rischio aggiuntivo di non rientrare in possesso del proprio denaro. Ma la cosa importante da rilevare è che, in queste situazioni di condono legittimo, l’esonero dal debito è stato stipulato volontariamente, nell’accordo originario o dopo l’inadempienza, dal singolo creditore.
Il condono volontario assume il carattere giuridico-filosofico di un dono del creditore al debitore. Stranamente, mentre i teorici del trasferimento di titoli ritengono che un dono di questo tipo sia un accordo di trasferimento del titolo sul denaro dal creditore al debitore perfettamente legittimo e valido, la dottrina giuridica corrente ha messo in dubbio la validità di un tale accordo di condono come contratto vincolante. Infatti, nella teoria attuale un contratto vincolante deve essere una promessa in cambio di un “corrispettivo” e, nel caso del condono, il creditore non riceve in cambio alcun corrispettivo. Ma secondo il principio del trasferimento di titolo non vi è alcun problema nella remissione dei debiti: «L’atto con il quale il creditore condona un debito è dello stesso tipo di quello di un qualsiasi trasferimento di titolo di proprietà. In entrambi i casi, l’atto è semplicemente la manifestazione dell’assenso del proprietario del diritto.»16,17
Un ulteriore punto importante: nel nostro sistema di trasferimento di titoli di proprietà, una persona dovrebbe poter vendere non solo il pieno titolo di proprietà su un bene, ma anche parte di tale titolo, serbando il resto per sé o per cederlo o venderlo ad altri. Quindi, come abbiamo visto, nel diritto comune il diritto d’autore ha fondamento in quanto rappresenta la vendita, da parte dell’autore o dell’editore, di tutti i diritti sulla sua proprietà, tranne quello di rivenderla. Altrettanto validi ed esecutivi sarebbero i patti che pongono vincoli sulla proprietà come, ad esempio, il caso della vendita da parte di uno speculatore immobiliare di tutti i diritti su una casa o un terreno, tranne il diritto di costruire una casa più alta di un certo limite o diversa da un particolare stile. L’unica avvertenza è che, in ogni momento, deve esistere qualche proprietario di tutti i diritti su una particolare proprietà. Nel caso di un patto soggetto a vincoli, per esempio, deve esistere qualcuno che possiede il diritto di costruire una casa più alta del limite stabilito; se non si tratta dello speculatore, allora deve essere qualcuno che ha acquistato o ricevuto in dono questo diritto. Se questo diritto riservato è stato abbandonato e non è posseduto da alcuno, allora si può ritenere che il proprietario della casa abbia homesteaded tale diritto e che quindi egli possa costruire una casa più alta del previsto. I patti e altri vincoli, in sintesi, non possono semplicemente “essere allegati alla proprietà” per sempre, calpestando così i desideri di tutti i possessori viventi della proprietà in esame.
16 X. Xxxxxx, The Rational Basis of Contracts, Foundation Press, Brooklyn, 1949, p. 159.
17 Per la regolazione dei debiti in una società libertaria e le critiche al diritto fallimentare v. anche L.H. White,
Bankruptcy as an Economic Intervention, in “Journal of Libertarian Studies”, vol. 1, n. 4, 1977, pp. 281-288 [N.d.A.].
Questa avvertenza esclude dai diritti che è possibile far rispettare il lascito soggetto a vincolo di inalienabilità. Secondo i termini del lascito, un proprietario può lasciare in eredità le sue terre ai propri figli o nipoti, con l’avvertenza che nessun proprietario futuro possa venderle a persone estranee alla famiglia (si tratta di un atto tipico del feudalesimo). Ma questo significa che i proprietari viventi non potrebbero vendere la proprietà, che sarebbero governati dalla mano di un morto. Ma tutti i diritti su qualsiasi proprietà devono essere nelle mani di persone viventi, realmente esistenti. Si potrebbe pensare che conservare la terra nelle mani della famiglia rappresenti un obbligo morale per i discendenti, ma certo questo non può essere considerato un obbligo legale. I diritti di proprietà devono essere accordati e devono essere goduti soltanto dai vivi.
Esiste almeno un caso nel quale il modello delle “aspettative dovute a una promessa” si trova in grave contraddizione interna, a seconda del rilievo che nella teoria viene dato alla “promessa” o alla “aspettativa”. Si tratta del problema giuridico di decidere se “l’acquisto interrompe l’affitto”. Supponiamo che Xxxxx possegga un tratto di terreno e che lo affitti per la durata di cinque anni a Xxxxx. Xxxxx, tuttavia, ad un certo punto vende il terreno a Xxxxxxxx. Questi, dunque, è obbligato a rispettare i termini del contratto d’affitto, oppure può sfrattare immediatamente Xxxxx? Secondo la teoria della promessa, solo Xxxxx ha prestato la promessa di affittare il terreno; Xxxxxxxx non ha promesso nulla del genere e pertanto egli non è obbligato a rispettare il contratto d’affitto. Secondo la teoria dell’aspettativa, l’accordo ha generato in Xxxxx l’aspettativa di poter disporre del terreno per cinque anni. Pertanto, fondandosi sulla prima teoria, l’acquisto interrompe l’affitto, cosa che non avviene se si privilegia invece l’aspettativa. La teoria del trasferimento di titolo, invece, evita il problema. Nel nostro modello, Xxxxx, il locatario, detiene l’uso della proprietà per il periodo di cinque anni sancito dal contratto; cinque anni di uso della proprietà sono stati trasferiti a Xxxxx. Pertanto, Xxxxxxxx non può interrompere il contratto d’affitto (a meno che, naturalmente, nei termini del contratto non fosse espressamente contemplata la sua interruzione qualora si fossero verificate le condizioni del nostro problema)»18.
Per quanto riguarda i choses in action, cioè i diritti, alla proprietà o al possesso, che possono essere fatti valere solo attraverso un’azione legale, essi possono essere ceduti. Nella teoria della promessa non è chiaro perché l’obbligazione personale legata alla promessa dovrebbe essere cedibile.
La teoria dei contratti come trasferimenti di titolo sostenuta dal libertarismo ha un’importante implicazione politica: «fa a pezzi tutte le varianti della teoria del “contratto sociale” come giustificazione per l’esistenza dello Stato. Anche senza considerare il problema storico del fatto che un tale contratto abbia mai effettivamente avuto luogo, dovrebbe essere evidente che il contratto sociale, che si tratti della completa cessione dei propri diritti di Xxxxxx o della cessione del diritto di autodifesa di Xxxxx, o di qualsiasi altro tipo, non è che una semplice promessa di tenere in futuro un certo comportamento (volontà futura) e non è in alcun modo una cessione di titoli di proprietà alienabile. Certamente, nessuna promessa fatta in passato può vincolare le generazioni future, ma neanche chi ha effettivamente prestato tale promessa»19.
In conclusione, «il diritto contrattuale corrente è una rudimentale miscela degli approcci basati sul trasferimento di titoli e sull’aspettativa dovuta a una promessa, nella quale il modello dell’aspettativa ha predominato in seguito all’influenza esercitata dal positivismo giuridico e dal pragmatismo del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Una teoria dei diritti di proprietà libertaria e giusnaturalistica, pertanto, dovrebbe ricostituire la teoria del contratto sulla corretta base del trasferimento di proprietà»20.
18 M.N. Xxxxxxxx, op. cit., pp. 217-220.
19 Xxx, pp. 220-221.
20 Ibidem.
Bibliografia essenziale
I. Xxxx, The Philosophy of Law: An Exposition of the Fundamental Principles of Jurisprudence as the Science of Right, T&T Xxxxx, Xxxxxxxxx, 0000.
X. Xxxxxxx, Poverty: Its Illegal Causes (1846), in The Collected Works of Xxxxxxxx Xxxxxxx, vol. 0, X&X Xxxxx, Xxxxxx, XX, 0000.
W.M. Xxxxx, Toward a Reformulation of a Law of Contracts, in “Journal of Libertarian Studies”, vol. 1, n. 1, inverno 1977, pp. 1-13.
M.N. Xxxxxxxx, L’etica della libertà (1982), Liberilibri, Macerata, 1996, cap. 19, pp. 201-221.