Contract
L’autorizzazione a svolgere un servizio di investimento o il servizio di gestio- ne collettiva del risparmio, presuppone già l’esistenza giuridica, nei tipi societari prescritti, dell’intermediario autorizzando17, poiché trattasi di autorizzazione non alla costituzione della società (art. 2329, n. 3, c.c.), bensì a svolgere uno o più ser- vizi di investimento.
All’autorizzazione consegue l’iscrizione in un apposito Albo. Ne esistono due presso le menzionate autorità di vigilanza (ciascuna competente per quello relati- vo ai soggetti dalla stessa autorizzati, cfr. artt. 20 e 35 Tuf), accessibili al pubbli- co, destinati ad assolvere funzioni di pubblicità-notizia e soggetti a revisione per- manente18. Le certezze pubbliche che gli albi in questione devono fornire, sono naturalmente quelle inerenti all’idoneità dell’intermediario a svolgere i servizi per i quali risulta abilitato. Non può nemmeno negarsi che l’iscrizione all’Albo ha funzione di ingenerare l’affidamento nel cliente che «l’intermediario svolgerà i servizi in questione con le qualità proprie delle prestazioni rese dal buon profes- sionista di quella specialità»19.
Le autorità di vigilanza negano l’autorizzazione «quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1, non risulta garantita la sana e prudente gestione e assicurata la capacità dell’impresa di esercitare correttamente i servizi o le atti-
Il rapporto “determinazione volitiva-interesse pubblico da soddisfare” è specifico ed esclusivo della discrezionalità; esso si giova della tecnica, ma non si confonde con essa» (Id., Manuale di diritto ammi- nistrativo, I, Padova, 1983, 286-287). Sulla discrezionalità tecnica nell’attività di vigilanza sull’esercizio dei servizi e attività di investimento, v. Allegri, Veronelli, La vigilanza sulle banche, etc., in Aa.Vv., Diritto della Banca e del Mercato Finanziario, I, Bologna, 2000, 175 ss.; Rabitti Bedogni, Sub art. 34, in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa-Capriglione, Padova, 1998, 362-363.
17 In tal senso Costi, Il mercato mobiliare, Torino, 2008, 130; contra, Xx Xxxxxxx, Sub art. 6, in Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di Alpa- Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 41.
18 Xxxxxxxx, Diritto Amministrativo, II, Milano, 1993, 516, 645; sulla stessa linea, per quanto attie- ne agli Albi bancari in particolare, tra molti, Colavolpe (nt. 9), 217; Xxxxxxx, Autorizzazione all’attivi- tà bancaria. Albo, in La nuova legge bancaria, a cura di Ferro Xxxxx e Gastaldi, I, Milano, 1996, 277; contra, Trib. Firenze, 20 marzo 2003 (nt. 9), 206, secondo cui con riferimento all’attività bancaria, ma con argomentazioni che appaiono riferibili anche all’autorizzazione ai servizi e attività d’investimento,
«la sola autorizzazione della Banca d’Italia non rimuove il limite all’esercizio dell’attività se ad essa non faccia seguito l’iscrizione all’albo (corsivo mio) di cui all’art. 13 d.lg. n. 385 del 1993, che condiziona l’operatività della società come banca. La mancata iscrizione in detto albo e la conseguente ricezione del codice ABI, del conto di riserva, delle chiavi crittografiche consentono per ciò stesso di qualificare una società come banca di fatto nel suo momento operativo, con conseguente impossibilità di applicazione dell’art. t.u.l.b. e conseguente dichiarazione di fallimento, una volta verificatosi lo stato d’insolvenza». Da tale statuizione sembra conseguire che anche l’iscrizione all’albo di una società d’intermediazione assuma valore costitutivo, per l’esercizio della stessa attività così come l’iscrizione agli albi professiona- li ha valore costitutivo per l’esercizio delle c.d. professioni intellettuali protette.
19 Xxxxxxx, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni “di mezzi”, in Riv. dir. comm., 1954, I, 206.
vità di investimento» (art. 19, comma 2, nel testo modificato dall’art. 3, d.lgs. n. 164 del 17 settembre 2007, con riguardo a Consob). Peraltro, nella norma omo- loga, art. 34, comma 2, Tuf, inerente ai poteri autorizzatori della Banca d’Italia è omesso il riferimento alla capacità del corretto esercizio dei servizi di investi- mento). Si può decadere dall’autorizzazione per il non esercizio dell’attività (art. 15 reg. int.) o rinunciarvi (art. 13 reg. int.): le norme sono però previste solo per le Sim. Xxxxx si dice in tema di revoca, che, però viene comunque disposta dalla Consob a seguito della dichiarazione di decadenza dall’autorizzazione a svolgere i xxxxxxx00.
2.4 Le autorità di vigilanza preposte a concederla (o a negarla)
c) L’autorizzazione allo svolgimento dei servizi di investimento è concessa dalla Consob ovvero dalla Banca d’Italia, secondo gli schemi seguenti.
Sim,
(art. 19 TUF e artt. 7 ss., reg. int.)
Schema 1
Imprese di investimento comunitarie, relativamente ai servizi non ammessi al mutuo riconoscimento, (art. 27 TUF e art. 24, reg. int.) | ||
Consob, sentita la Banca d’Italia autorizza | ||
Imprese di investimento extracomunitarie, (art. 28 TUF e artt. 17 ss., reg. int.)
Schema 2
SGR, relativamente alla gestione di portafogli
e del servizio di consulenza in materia di investimenti (art. 4 TUF e provv. Gov. B.I. 1.7.98
Consob,
sentita la Banca d’Italia
autorizza
Intermediari finanziari iscr. ex art. 107 TUF, relativamente alla negoziazione per conto proprio di strumenti finanziari derivati ed al collocamento (art. 19.4 TUF)
Banche autorizzate in Italia, (art. 19 TUF e Istr. Vig., Tit. V, Cap. 2
20 Ex plurimis, cfr. Xxxxxxxx Xxxxxx n. 12822 del 21 novembre 2000, in CONSOB Bollettino, 2000,
n. 11.
Per lo svolgimento del servizio di gestione collettiva del risparmio, invece, competente a concedere o a negare l’autorizzazione è solo la Banca d’Italia, sentita la Consob [per le Sgr, v. art. 34, comma 1, Tuf; per le Sicav21 v. art. 43, comma 1, lett. f), Tuf].
Non appare chiaro il motivo in base al quale si è ritenuto di ripartire le compe-
tenze autorizzatorie tra due distinti organi di vigilanza: Consob e Banca
d’Italia. Se è vero che, per quanto attiene all’esercizio della gestione collettiva del risparmio22, la scelta di attribuire alla Banca d’Italia il potere in parola
«riflette evidentemente l’apprezzamento della spiccata natura tecnica delle valu- tazioni da compiersi nella relativa istruttoria»23; lo stesso non sembra si possa affermare per quanto attiene alle autorizzazioni di competenza Consob. Secondo le prescrizioni dell’art. 8, comma 1, lett. l), reg. int., infatti, le Sim devono allega- re alla domanda di autorizzazione “una relazione sulla struttura organizzativa della società redatta secondo le disposizioni emanate ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, del Testo Unico”. La circostanza che i requisiti tecnici dell’operatività della Sim sono stabiliti da un’autorità per definizione ‘tecnica’, la Banca d’Italia; mentre la loro ‘valutazione’ è affidata ad un’altra autorità, la Consob, che conce- derà o negherà l’autorizzazione, sentita la Banca d’Italia, induce solo a dover constatare che la Consob non è evidentemente un’autorità “tecnica” e che ci si trova di fronte ad un inutile bizantinismo del sistema.
2.5 La portata della riserva di attività
Circa la portata della riserva di attività, essa opera quando i servizi e le attivi- tà ricompresi tra quelli previsti dal Tuf0, siano esercitati non occasionalmente, ma in via continuativa, i.e. professionalmente, e nei confronti del pubblico (artt. 18 e 33 Tuf). Non ricorrendo tali presupposti, ad es. si tratti di privati che occasional- mente negozino fra loro strumenti finanziari, si è in ambito del tutto lecito, secon- do l’indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità: l’abusivismo (art.
21 Rectius, la Banca d’Italia autorizza la costituzione delle Sicav, quando, tra le altre condizioni, lo statuto preveda come oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante offerta al pubblico delle proprie azioni.
22 Che è quella, principalmente, di istituire e gestire fondi comuni di investimento (aperti o chiusi), attività che, come si è visto, sotto le previgenti l. 23 marzo 1983, n. 77 (fondi aperti) e l. 14 agosto 1993,
n. 344 (fondi chiusi), era esercitata da società di gestione ‘specializzate’ nei detti fondi ed era autorizza- ta dal Ministro del Tesoro, acquisito il parere obbligatorio della Banca d’Italia.
23 Allegri e Veronelli (nt. 11), 181; Rabitti Bedogni (nt. 11), 362-363.
166 Tuf)24 si ha quando si è di fronte non ad un singolo episodio negoziale, bensì di fronte ad un’attività professionale d’impresa non autorizzata25; se, invece, si versi nell’ipotesi in cui la prestazione di un servizio o l’esercizio di un’attività di investimento non siano attività occasionali di una società, pur non costituendo esse l’oggetto principale della sua impresa, ma siano esercitate solo nei confronti di determinati soggetti, ad es. di una consociata, non troveranno applicazione il Tuf e le norme di attuazione, bensì il d.m. Tesoro, 26 giugno 1997, n. 329, che disciplina appunto la prestazione di servizi e attività d’investimento non esercita- ti nei confronti del pubblico26.
L’assenza di autorizzazione comporta come conseguenza civilistica la nullità del contratto stipulato con l’intermediario abusivo, come in tutti i casi nei quali la legge assoggetta a riserva l’attività d’impresa e questa sia svolta da soggetti non autorizzati al suo esercizio27.
24 Che è «reato di pericolo, inteso a tutelare l’interesse degli investitori a trattare soltanto con sogget- ti affidabili nonché l’interesse del mercato mobiliare, nel suo complesso e nei suoi singoli operatori, ad escludere la concorrenza di intermediari non abilitati», così Cass., 2 aprile 2003, n. 22419, in Cass. pen., 2004, 1957, con nota di Xxxxxxxxx, Brevi osservazioni in tema di abusivismo del promotore finanziario. 25 Così Cass., 12 febbraio 1999, n. 5118, in Cass. pen., 2000, 2397, con nota di Collesi, L’evoluzione legislativa in materia di abusivismo bancario e finanziario: difficoltà interpretative e orientamenti giuri- sprudenziali; Cass., 2 ottobre 0000, x. 0000, xx Xxxxx. xxx., 0000, XX, 000; contra, Cass., 15 dicembre 1995, n. 5009, in Giust. pen., 1996, II, 566, secondo cui un solo atto configurerebbe il reato; nello stes- so senso, in dottrina, Xx Xxxxxxx, L’abusivismo finanziario nella giurisprudenza della Suprema Corte:
un reato “imperseguibile”?, in Giust. pen., 2000, II, 105.
26 Che reca il Regolamento recante norme di attuazione e di integrazione della riserva di attività pre- vista a favore delle imprese di investimento e delle banche circa esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi di investimento, in Gazzetta Ufficiale, 30 settembre 1997, n. 228, ancora vigente ai sensi dell’art. 214, comma 5, Tuf, sin tanto che il Ministro del Tesoro non avrà emanato quello omolo- go ai sensi dell’art. 18, comma 5, lett. b), Tuf.
27 In punto, ex multis, Cass., 21 marzo 2007, n. 6677, in Guida al dir., 2007, 24, 44 (per i contratti di agenzia); Cass., 15 marzo 2001, n. 3753, in Foro it., 2002, I, 858, con nota di De Mari e Spada, Orientamenti in tema di intermediari e promotori finanziari, e Cass., 7 marzo 2001, n. 3272, in Contratti, 2002, 28, con nota di Xxxxxx, Contratti di swap: forma, autonomia, nullità e responsabilità, che dichia- rano la nullità dello swap per assenza di autorizzazione di uno dei contraenti alla prestazione di servizi d’investimento; v., altresì Trib. Milano, 19 dicembre 2002, in Banca Borsa, II, 2004, 309, con nota di Sorci, Esercizio abusivo di attività finanziaria, invalidità dei contratti e riequilibrio patrimoniale nei rapporti tra le parti (fattispecie di mutuo erogato da soggetto non iscritto all’albo degli intermediari finanziari tenuto dall’Uic ex art. 106 Tub), che ha dichiarato nullo il relativo contratto proprio a causa della mancata iscrizione dell’intermediario all’albo delle società d’intermediazione. Pur magari, non incorrendo lo stesso intermediario di fatto nel reato di abusiva attività finanziaria o bancaria ex art. 132 Tub.
CAPITOLO III
SERVIZI E ATTIVITÀ DI INVESTIMENTO
3.1 La locuzione “servizi e attività d’investimento”: è prestazione di servizi quel- la resa ai clienti; costituisce attività professionale di investimento quella effettuata nelle operazioni con controparti qualificate
Il sistema normativo previgente1 faceva riferimento solo ai “servizi” non anche alle “attività” di investimento, sì che l’introduzione della seconda parola nel det- tato normativo (art. 4, comma 1, n. 2 e nella sez. A allegato I, Mifid, nonché art. 1, comma 5 e nella sez. A allegato, Tuf) pone all’interprete il compito di accerta- re se ci si trovi di fronte ad una mera endiadi oppure ad una suddivisione giuridi- camente rilevante.
Sul punto il Tuf novellato tace, ma che si versi in quest’ultimo caso pare con- fermarlo la disgiunzione del 7° considerando Mifid, ove si precisa che «la presen- te direttiva è destinata a disciplinare le imprese la cui abituale attività consiste nel prestare servizi o effettuare attività di investimento a titolo professionale». Peraltro, la circostanza che sia la Mifid (art. 4, comma 1, n. 2) sia il Tuf (art. 1, comma 5) qualifichino le stesse prestazioni d’impresa ivi elencate come “servizi e attività d’investimento” esclude che la differenza giuridica riguardi il contenuto delle prestazioni sussunte sotto tale categoria, rimanendo così da individuare in altri ambiti gli effetti legalmente notevoli derivanti dalla suddivisione enunciata.
1 Art. 1, comma 1, n. 1, e sez. A allegato, Dir. 93/22/CEE e art. 1, comma 5, e sez. A allegato prev.,
Tuf.
Anche a questo riguardo il Tuf, ad una prima lettura, non si esprime ed è gioco- forza per il pratico riportarsi nuovamente alla Mifid, dal cui esame si rileva che l’intermediario quando operi con un cliente (al dettaglio o professionale)2 presta unicamente servizi (artt. 4, comma 1, nn. 1, 2 e 10; 19, 20, 21, Xxxxx); quando operi con “controparti qualificate” (es. banche, imprese di assicurazione ecc., art. 24, Mifid) effettua “operazioni”, in rapporto alle quali esso andrà esente dal rispetto dei c.d. doveri di protezione3 (tra i quali rientra, ad es. il dovere di accer- tarsi che l’investitore abbia ben compreso la natura del rischio inerente all’opera- zione che vuole effettuare)4, la cui osservanza è invece prescritta nei rapporti con il cliente dagli artt. 19, 21 e 22, Mifid.
Questo rilievo trova riscontro sistematico anche nella legislazione nazionale, ove l’adempimento dei richiamati doveri è previsto solo nei rapporti con i clienti, siano essi al dettaglio o professionali5, (arg. ex artt. 58, 31, 35, 40, commi 2 e 3,
2 Per l’identificazione dei quali, x. xxx. 0, xxxxx 0, xx) 1, 11, 12 e Allegato II, Mifid.
3 Con inalterata efficacia nel tempo, insegna Xxxxxxx, Obbligazioni di “risultato” e obbligazioni “di mezzi”, in Riv. dir. comm., 1954, I, 368, che «Si chiamano obblighi di sicurezza, o come dicono i tedeschi, ‘di protezione’ [ivi, nota 11, “il termine Shutzpflichten è di Xxxxx, Lehrb. des allg. Schuldrechts, Munchen, 1929, 5 ss. e 580 ss.,] oppure – giusta la terminologia del nostro art. 1175 – obblighi di ‘cor- rettezza’, gli obblighi che, in virtù del principio di buona fede, accedono al rapporto obbligatorio in vista dell’interesse di ciascuna parte a preservare la propria persona e le proprie cose dalla specifica possibili- tà di danno [nel nostro caso un investimento rovinoso per il cliente perché allo stesso non adeguato o appropriato, n.d.r.], derivante dalla particolare relazione costituitasi fra i due soggetti»; ivi, nota 12, «Gli obblighi di protezione hanno uno scopo puramente negativo, cioè di mera conservazione del patrimonio dell’altra parte, ma non per questo il loro contenuto è necessariamente negativo. Non sono rare le figure di obblighi di protezione aventi per oggetto un facere positivo, per es. obblighi di comunicazione (…). Reciprocamente gli obblighi di prestazione hanno uno scopo positivo, in quanto tendono procurare un vantaggio al creditore (normalmente un incremento patrimoniale), ma possono avere un contenuto nega- tivo»; cui adde, più di recente, Xxxxxxxxxx, voce Obblighi di protezione, in Enc. giur., XXI, Roma, 1990; Xxxxxxx, Obblighi di protezione, in Dig. disc. priv. sez. civ., VII, Torino, 1991, 226 ss.; da ultimo, Lembo, Responsabilità civile e obblighi di protezione, in Danno e resp., 2008, 129 ss.
4 Risultato cui si dovrebbe pervenire attraverso l’assunzione dalla controparte non qualificata di tutte le informazioni prescritte per definirne il profilo di rischio, onde valutare l’adeguatezza e appropriatez- za dell’operazione richiesta (v. artt. 34, 39, 40, reg. int.).
5 Da individuarsi in base all’art. 26, comma 1, lett. d ed e, nonché Allegato n. 3, reg. int. Con riguar- do ai clienti professionali va tuttavia osservato che i doveri di protezione possono subire un affievolimen- to [cfr. art. 6, comma 2-quater, lett. c), Tuf e artt. 58, 31, 35, 40, commi 2 e 3, 42, comma 2, nonché par. II.2, Allegato n. 3, reg. int.].
La qualificazione giuridica di “cliente professionale” è negoziabile: «I soggetti elencati [i clienti pro- fessionali di diritto], possono richiedere al prestatore del servizio un trattamento quale cliente al dettaglio e gli intermediari possono convenire di fornire loro un livello più elevato di protezione. (…) Spetta al cliente professionale di diritto chiedere un livello più elevato di protezione se ritiene di non essere in grado di valutare o gestire correttamente i rischi assunti. A tal fine, i clienti considerati professionali di diritto concludono un accordo scritto con il prestatore del servizio che stabilisca i servizi, le operazioni e i prodotti ai quali si applica il trattamento quale cliente al dettaglio» (così, il par. I, Allegato n. 3 cit.).
42, comma 2, reg. int.), ma non nei rapporti con le “controparti qualificate”6 (art. 58, comma 3, reg. int.) assoggettati sotto questo profilo alla normativa di diritto comune (artt. 1175, 1176, 1375, 1394, c.c.). Tanto da poter concludere che sia nella Mifid, sia nel TUF, le relazioni negoziali con i clienti costituiscono “presta- zione di un servizio”, che comporterà il rispetto, da parte dell’intermediario, dei doveri in discorso; mentre le “operazioni” con le controparti qualificate, costitui- scono “attività d’investimento” per le quali, l’intermediario sarà esonerato dall’os- servare le stesse regole7.
La qualità dei contraenti (l’intermediario e l’operatore qualificato), si rivela, dunque, come contesto giuridico tale da non doversi più far luogo all’applicazio- ne dei doveri di protezione, in quanto ognuno di essi svolge con le operazioni in elenco (art. 1, comma 5, Tuf) la propria attività d’impresa o professionale in ter- mini di mera contrapposizione di interessi, i quali non esigono una tutela maggio- re rispetto a quelli della controparte, dato che i rispettivi portatori hanno un baga- glio di conoscenze tecniche “presunte” dalla legge come paritarie e tali da rende- re tutte le parti ben avvertite dei rischi economici sottesi dalle rispettive operazio- ni di investimento8.
La spiegazione di questa doppia qualificazione normativa delle medesime attiv- ità d’impresa contemplate dall’art. 1, comma 5, Tuf, a seconda che siano svolte con controparti diversamente definite sotto il profilo legale, può forse ravvisarsi nel fatto che, nella prassi, tutte le prestazioni imprenditoriali, quando siano dirette ad appagare esigenze generali della collettività, sono denominate “servizi”9 perché soddisfano un interesse latamente pubblico (si pensi ai trasporti, alla fornitura di energia, ecc.). Nel nostro caso tale interesse potrebbe essere ravvisato nella cir-
int.
6 Da individuarsi in base all’art. 6, comma 2-quater, lett. d), Tuf e art. 58, nonché Allegato n. 3, reg.
7 Ciò, sebbene la terminologia della normativa nazionale sia incoerente rispetto a quella della Mifid:
l’art. 6, comma 2-quater, Tuf e l’art. 58 reg. int., invero, anche con riferimento alle operazioni con con- troparti qualificate parlano esclusivamente di “prestazione di servizi”.
8 In tema, con riguardo agli effetti della dichiarazione del cliente autodefinito operatore qualificato in relazione alla normativa previgente (art. 31 reg. int. prev.), Trib. Rovigo, 3 gennaio 2008, in Società, 2008, 599, con nota di Xxxxxxx Xxxxxxxxx.
9 Così Xxxx., 23 febbraio 2000, n. 2058, in xxx.xxxxxxxxx.xxx, con riferimento all’attività bancaria, ma con argomenti pienamente riferibili anche alla prestazione dei servizi d’investimento, «Nel nostro ordinamento l’attività bancaria nel suo complesso, quale comprensiva dell’esercizio del credito e della raccolta di risparmio (vedi in particolare il d.lg. n. 385 del 1993) risulta disciplinata in modo tale da con- figurare non solo una delle tante forme di esercizio di impresa, già di per sé sottoposto a particolari forme di controllo, ma soprattutto, proprio in quanto riservata in via esclusiva agli istituti di credito ed in con- formità al dato della tutela costituzionale del risparmio di cui all’art. 47 Cost. predisposta in favore della collettività, un “servizio” per il pubblico con tipiche forme di autorizzazione, di vigilanza e di “traspa- renza”».
costanza che i soggetti abilitati agevolano di fatto l’accesso del risparmio10 all’in- vestimento mobiliare. Ora, l’investimento in titoli prospetta sì, come noto, un red- dito più elevato o un aumento del valore reale del danaro investito, ma è assai più rischioso dei semplici depositi bancari, situazione che giustifica l’osservanza di specifiche norme dirette a salvaguardare, nella prestazione dei servizi in parola, l’interesse del cliente prima che quello imprenditoriale dell’intermediario11. Di qui i particolari obblighi da adempiere prima, durante e dopo il rapporto negoziale (es. artt. 18, 19, 20, 21 Xxxxx e, pedissequamente, art. 21 Tuf, e artt. 39-51 reg. int.).
3.2 La c.d. execution only
Nella prestazione dei servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti e di mera ricezione e trasmissione di ordini, c.d. execution only, tuttavia, fatta sempre salva l’osservanza degli obblighi in materia di conflitti d’interesse [art. 43, comma 1, lett. d), reg. int.], anche nei rapporti con il cliente (al dettaglio o professionale che sia) non trovano applicazione le norme sui doveri di protezione («senza che sia necessario ottenere le informazioni o procedere alla valutazione di cui al Capo II», art. 43, comma 1, reg. int.). Ciò, a condizione che: i servizi menzionati siano prestati ad iniziativa del cliente; questi sia stato chiaramente informato dall’inter- mediario di 1) non essere tenuto a valutare l’appropriatezza dell’operazione e 2) che l’investitore non beneficia della protezione offerta dalle relative disposizioni; i servizi richiesti riguardino azioni negoziate in un mercato regolamentato, stru- menti del mercato monetario (es. buoni del tesoro, certificati di deposito), obbli- gazioni o altri titoli di debito che non incorporino uno strumento derivato, OICR armonizzati o altri strumenti finanziari non complessi12.
10 Bene di rilevanza costituzionale (art. 47 Cost.), x. Xxxxxxxxxx, La c.d. tutela del risparmio, in
Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxx, Napoli, 2007, 950.
11 Come, ad es., nel caso di negoziazione per conto proprio. In punto, Maffeis, Discipline preventive nei servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in Contratti, 2008, 404 «L’intermediario abilitato agisce quale cooperatore ed è tenuto a fare l’interesse esclusivo del cliente, non il proprio (…); sicché gli obblighi informativi a carico dell’intermediario dipen- dono dalla natura stessa del rapporto e sono sempre dovuti quale complemento ex lege dell’obbligazione principale, a differenza di quanto accade per le informazioni contrattuali nei contratti di scambio».
12 Questi ultimi sono individuati dai parametri recati dall’art. 44 reg. int. che, sciolti i rimandi alle norme ivi richiamate, dà il seguente quadro normativo mostre (tra molti che il Tuf e la relativa disciplina di attuazione presentano), in base al quale uno strumento finanziario è da considerarsi non complesso se
a) non è un valore mobiliare [consistente, cioè in un titolo normalmente negoziato che permette di acqui- sire o di vendere le azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società, di partnership o di altri soggetti e certificati di deposito azionario, obbligazioni e altri titoli di debito, compresi i certificati di depo- sito relativi a tali titoli] ovvero non è uno strumento finanziario [consistente in contratti di opzione, con-
Alla luce dell’esperienza fatta da molti investitori nelle note vicende Cirio e Xxxxxxxx, non si può evitare di constatare, con sconforto, che i bonds emessi tra- mite le controllate estere di quelle società erano titoli che oggi, alla luce della nor- mativa vigente, sarebbero qualificati “non complessi” e quindi sotto questo profi- lo la loro negoziazione sarebbe esente dal rispetto delle norme sopra richiamate; si rileva altresì che, sempre nella vicenda dei bonds Xxxxx e Xxxxxxxx, l’accordo di collocamento emittente-investitore qualificato prescriveva a questi ultimi il divie- to di rivendere alla clientela retail le obbligazioni oggetto della futura emissione; divieto derogabile solo sulla base di trattative personalizzate e se l’acquisto fosse avvenuto su espressa richiesta del cliente (così come prescrive il vigente art. 45 reg. int.). È pur vero che attualmente, in base all’art. 100-bis Tuf13, gli investitori
tratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, o ad altri stru- menti derivati, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti; contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap”, accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà conse- gue a inadempimento o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto; contratti di opzione, con- tratti finanziari a termine standardizzati (“future”), “swap” e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati su un mercato rego- lamentato e/o in un sistema multilaterale di negoziazione; contratti di opzione, contratti finanziari a termi- ne standardizzati (“future”), “swap”, contratti a termine (“forward”) e altri contratti derivati connessi a merci il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante, diversi da quelli indi- cati alla lettera f), che non hanno scopi commerciali, e aventi le caratteristiche di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l’altro, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione rico- nosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini; strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito; contratti finanziari differenziali; contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardiz- zati (“future”), “swap”, contratti a termine sui tassi d’interesse e altri contratti derivati connessi a variabi- li climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche uffi- ciali, il cui regolamento avviene attraverso il pagamento di differenziali in contanti o può avvenire in tal modo a discrezione di una delle parti, con esclusione dei casi in cui tale facoltà consegue a inadempimen- to o ad altro evento che determina la risoluzione del contratto, nonché altri contratti derivati connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure, diversi da quelli indicati alle lettere precedenti, aventi le caratteristi- che di altri strumenti finanziari derivati, considerando, tra l’altro, se sono negoziati su un mercato regola- mentato o in un sistema multilaterale di negoziazione, se sono compensati ed eseguiti attraverso stanze di compensazione riconosciute o se sono soggetti a regolari richiami di margini]; b) esistono frequenti oppor- tunità di cedere, riscattare od ottenere altrimenti il corrispettivo di tale strumento a prezzi che siano pub- blicamente disponibili per i partecipanti al mercato. Tali prezzi devono essere quelli di mercato o quelli messi a disposizione, ovvero convalidati, da sistemi di valutazione indipendenti dall’emittente; c) non implica alcuna passività effettiva o potenziale per il cliente che vada oltre il costo di acquisizione dello stru- mento; d) sono pubblicamente disponibili informazioni sufficientemente complete e di agevole compren- sione sulle sue caratteristiche in modo tale che il cliente al dettaglio medio possa prendere una decisione informata in merito alla realizzazione o meno di un’operazione su tale strumento.
13 Sulla cui dubbia costituzionalità v. le considerazioni di Xxxxxxxxxx, La nuova norma sui titoli in
selling restriction: effettività e limiti, in Contr. e impr., 2008, 543.
qualificati (banche, Sim, Sgr ecc.) ove negoziassero alla clientela retail titoli non complessi (come i bonds Cirio e Parmalat), oggetto di un collocamento loro esclu- sivamente riservato, dovranno redigere apposito prospetto informativo (art. 100- bis, comma 1, Tuf) e, se ciò non facessero, sarebbero passibili oltre che delle san- zioni amministrative di rito (art. 191 Tuf) anche di subire la declaratoria di nulli- tà dei relativi contratti (sanzione che, però, potrà esser invocata solo dall’acqui- rente ex art. 100-bis, commi 2 e 3, Tuf); ma le sanzioni in discorso potrebbero essere comminate solo se gli “operatori qualificati” rivendessero quei titoli siste- maticamente nei dodici mesi successivi alla loro emissione! Ne consegue che, tra- scorsi dodici mesi dalla emissione dei titoli (non dalla negoziazione ai clienti!) le dette sanzioni non potrebbero essere più applicate. A parte il dubbio criterio della “sistematicità” adottato dal legislatore, è da osservare che il maggior numero di “vendite sistematiche” dei bonds Cirio e Parmalat, sono state effettuate proprio dopo un anno circa dal loro “collocamento” presso gli operatori qualificati.
3.3 L’amministrazione dei mezzi propri
Non va confusa l’attività di investimento professionale con l’amministrazione del patrimonio (mezzi propri) dell’impresa, cioè, con le operazioni di investimen- to in titoli che l’impresa dovesse effettuare con suo denaro per l’incremento del proprio patrimonio. Questa attività sfugge, e non poteva essere altrimenti, alla disciplina del Tuf. Di ciò si ha riscontro nell’8° considerando Mifid, ove si auspi- ca che «non dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della presente diret- tiva le persone fisiche o giuridiche che amministrano mezzi propri (patrimonio)». Sembrerebbe quindi conservare efficacia la comunicazione Consob che ben chia- risce come la negoziazione in proprio debba essere tenuta concettualmente distin- ta dall’«attività di investimento del proprio patrimonio da parte dell’intermedia- rio». Nella prima l’intermediario offre un servizio o svolge un’attività al pubblico (rispettivamente ai clienti o ad operatori qualificati); nella seconda l’intermedia- rio non presta alcun servizio o effettua alcuna attività al pubblico degli investito- ri, sì che «l’attività di investimento delle proprie disponibilità finanziarie non costituisce attività di intermediazione mobiliare» e, come tale, non è soggetta all’applicazione delle norme del Tuf e della relativa disciplina di attuazione14.
14 Consob, Comunicazione n. DAL/RM/95003079, 19 maggio 1995, in CONSOB Bollettino, 1995, n. 4, 57. Per ulteriori riferimenti, De Mari, Spada, Orientamenti in tema di intermediari e promotori finan- ziari, in Foro it., 2002, I, 569-570.
3.4 I criteri generali per la prestazione dei servizi e delle attività d'investimento. La diligenza, la trasparenza e la correttezza: se siano clausole generali
I criteri generali per lo svolgimento dei servizi e delle attività di investimento sono stati riformulati dall’art. 4 del d.lgs. n. 164 del 2007 il quale, in attuazione dei principi Mifid, ha apportato radicali cambiamenti al dettato normativo del- l’art. 21 Tuf. Se l’art. 21 nel testo previgente si limitava a prescrivere ai soggetti abilitati il generico dovere di operare con diligenza, correttezza e trasparenza, il nuovo testo, al comma 1, impone agli stessi soggetti anche di acquisire le infor- mazioni necessarie dai clienti e di operare in modo che essi siano sempre adegua- tamente informati [comma 1, lett. b)]. Obbligo cui si aggiungono altri come quel- lo di utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali corrette, chiare e non fuorvianti [comma 1, lett. c)], nonché di dotarsi di risorse e procedure anche di controllo interno idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività [comma 1, lett. d)]. È stato poi introdotto nell’art. 21 Tuf un ulteriore comma (1-bis) in materia di conflitto d’interesse e di misure idonee a salvaguar- dare una “gestione indipendente, sana e prudente” .
Le norme dei commi 1 e 1-bis, sembrerebbero, in base alla loro formulazione e ad una prima lettura, clausole generali, aventi lo scopo di fornire al giudice «una direttiva per la ricerca della norma di decisione, strumenti per la formazione giu- diziale di una regola da applicare al caso concreto senza un modello precostituito da una fattispecie normativa astratta»15. Ma la normativa secondaria di attuazione (reg. int.) delle norme richiamate pare smentire tale natura: la fissità casistica degli obblighi ritenuti dall’autorità di vigilanza idonei a realizzare i modelli di compor- tamento prescritti dalla normativa primaria hanno l’apparenza di precludere al giudice ogni ulteriore ambito valutativo, una volta verificato nel caso concreto il rispetto della casistica dettata dalla normativa regolamentare.
Prima di volgere lo sguardo al contenuto normativo degli obblighi di condotta in parola, è opportuno richiamare, per completezza, l’elaborazione dottrinale (recepita dalla giurisprudenza) sul contenuto da dare alle clausole generali, quan- do nessun legislatore aveva mai osato declinarne la sostanza con norme ad hoc, proprio per non stravolgerne la funzione.
Per quanto attiene alla diligenza, siamo nell’ambito della diligenza professio- nale prevista dall’art. 1176, comma 2, c.c., che il canone dottrinario insegnava
15 Così Xxxxxxx, Spunti per una teoria delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1986, 5; v. altresì Xxxxxxxxxx, L’avventura delle clausole generali, ivi, 21. Possiamo altrimenti qualificarle come
«principi… che… non costringono, ma orientano» il giudice nella ricerca della norma di decisione (Xxxxxxxx, Categorie del diritto romano, Napoli, 2007, 207-209).
doversi valutare da parte del giudice «con riguardo alla natura dell’attività eserci- tata, cioè a dire la diligenza comprende tutti [corsivo mio] gli atti oggettivamente richiesti dallo scopo della prestazione»16. Questa opera di ricognizione, da effet- tuarsi caso per caso, sembra oggi essere preclusa al giudice per quanto attiene alla diligenza dell’intermediario17 che pare invece debba essere valutata sulla base di parametri minuziosamente disciplinati in via amministrativa. Essi spaziano dagli obblighi di informazione agli obblighi di prevenzione di eventuali conflitti di inte- resse tra l’intermediario e il cliente o tra clienti (artt. 29-32 reg. int.).
Lo stesso è a dire del dovere di correttezza (art. 1175 c.c.), il cui concetto serve ad evocare tutti quegli obblighi ‘non espressi’ dalla normativa e dal documento contrattuale e che tuttavia nel singolo caso di specie si rivelano coessenziali alla prestazione fornita. Valga per tutti l’esempio dell’intermediario che riceva l’ordi- ne di acquistare azioni di una banca popolare, titolo non complesso alla luce del- l’art. 44 reg. int. Il contenuto della prestazione non sembra essere limitato alla mera esecuzione dell’ordine di borsa ricevuto, bensì pare ricomprendere, ad avvi- so di chi scrive, anche il dovere di far presente al cliente, magari straniero, che l’ordinamento italiano pone limiti al possesso azionario di azioni in banche popo- lari (art. 30 Tub) e che lo stesso cliente potrebbe poi trovarsi esposto alle sanzio- ni previste dalla legge ove conseguisse il possesso di una quantità di azioni supe- riore al limite consentito. Ebbene, la nuova normativa sulla mera esecuzione e ricezione di ordini non pare includere tale dovere di correttezza informativa sì che una volta verificatesi le condizioni per una execution only, ove l’informazione in parola fosse omessa l’agire dell’intermediario risulterà ciononostante “corretto”. Quanto alla trasparenza, essa rimane concettualmente configurata come chiara predeterminazione dei contenuti contrattuali18 e conoscibilità per il cliente dei mec- canismi di formazione dei prezzi relativi ai servizi prestati, nonché come obbligo per l’intermediario di predisporre le relative informazioni in modo obiettivo19. Ma, ferma questa elaborazione concettuale desumibile dal sistema, appare ormai fuori
16 Mengoni (nt. 3), 205.
17 Sulla diligenza professionale degli intermediari nella normativa previgente, tra molti, Xxxxxxx, Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Milano, 2004, 154, passim.
18 Trib. Monza, 2 agosto 2000, inedita. Si tratta di norme «dirette a disciplinare il rapporto con il cliente, al fine di garantire a quest’ultimo, contraente debole, la piena conoscibilità degli esatti termini del rapporto contrattuale instaurato [corsivo mio] e la certezza in ordine al suo futuro svolgimento [cor- sivo mio]» (Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2005, 874).
19 Alpa, richiamando in punto il pensiero di Xxxxxxxx, precisa che «quantunque polisenso [corsivo mio], con significati di dettagli che si debbono di volta in volta accertare in relazione a specifici effetti a cui con esso si alluda, il termine ‘trasparenza’ fa riferimento in modo metaforico ad una qualità, ad un modo di essere, che si contrappone alla ‘opacità’, alla illeggibilità, alla indecifrabilità, oppure alla scar- sa decifrabilità addirittura alla recettività (…) di un contratto. (…) In ambito contrattuale il termine ‘tra-
posto considerare la trasparenza come clausola generale, posto che i contenuti della normazione secondaria in tema dettano una minuziosa casistica che, anche qui, sembra esaurirne il contenuto. L’art. 6, comma 2, Tuf, infatti, impone alla Consob, sentita la Banca d’Italia, di disciplinare “gli obblighi in materia di trasparenza”, ricomprendendo nella relativa nozione (“ivi inclusi”) anche una serie di comporta- menti dovuti che, come già detto, paiono consumarne il contenuto20. Detti obblighi sono: obblighi informativi; obblighi di comportamento nella diffusione di comuni- cazioni pubblicitarie e promozionali, nonché obblighi di adozione di criteri e modalità da adottare nella diffusione di ricerche (statistiche o di mercato) di inve- stimenti. A ciò si aggiunga che nell’ambito della trasparenza il legislatore ricondu- ce anche obblighi di comunicazione ai clienti relativi all’esecuzione degli ordini, alla gestione dei portafogli, alle operazioni con passività potenziali e ai rendiconti di strumenti finanziari e delle disponibilità liquide degli investitori detenute dal- l’impresa. La novella del 2007 puntualizza ancor meglio il contenuto di questo dovere imponendo altresì all’intermediario «l’utilizzazione di messaggi pubblicita- ri e promozionali corretti, chiari e non fuorvianti» [art. 21, comma 1, lett. c), Tuf], lasciando nessuno spazio alla tutela di eventuali altri comportamenti “opachi” da parte del soggetto abilitato, che la prassi non mancherà di far conoscere.
Va, infine, rilevato che alla prestazione dei servizi e attività di investimento, al collocamento di prodotti finanziari, nonché alle operazioni e servizi che siano com- ponenti di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione, ovve- ro alle offerte al pubblico di sottoscrizione e vendita di strumenti finanziari nazio- nali e comunitari, anche diversi da quote o azioni di Oicr aperti, non si applicano le disposizioni in tema di trasparenza delle operazioni bancarie (art. 23, comma 4, Tuf), ma quelle primarie e regolamentari del Tuf: la peculiarità dei servizi in que- stione, rispetto alle operazioni bancarie e assicurative, esige norme ad hoc.
sparenza’ implica pertanto chiarezza contrapposta a opacità, correttezza contrapposta a slealtà, rivelazio- ne contrapposta a celamento, informazione contrapposta a ignoranza, e così via» (Xxxx-Xxxxxxx, Trasparenza bancaria e contratti del consumatore, in Aa.Vv., Mercato finanziario e tutela del rispar- mio, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxxxx, ILIII, Trattato Xxxxxxx, Padova, 2006, 77-78); da ultimo, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, La trasparenza nei servizi bancari di investimento, in Giur. comm., 2008, I, 220.
20 «…pare a tale stregua, conforme alla ratio delle norme citate [gli artt. 21 Tuf e 26 ss. Delibera
n. 11522/1998, n.d.r.] affermare che le disposizioni citate si pongano come integrazione e rafforzamento dei principi generali posti dal codice civile in tema di inadempimento di obbligazioni – artt. 1175 e 1375 c.c. – , fissando precisi parametri [corsivo mio] ai quali dev’essere ispirata la prestazione dei servizi d’investi- mento» (così, Trib. Milano, 25 gennaio 2007, n. 3800, in Dir. banca e merc. fin., 2008, 317). Ma i para- metri normativi sono propri delle clausole generali (su cui v. supra), che lasciano al giudice spazio di valutazione nell’ambito delle direttive contenute nelle stesse; qui, invece, abbiano veri e propri obblighi che nella loro fissità casistica quanto a modalità di adempimento, non lasciano alcuno spazio al magistra- to nella formazione giudiziale della regola e, pertanto, sembrano circoscrivere le regole da seguire, da parte dell’intermediario, in quelle espressamente previste.
In caso di violazione dei doveri di diligenza, correttezza e trasparenza, salve le sanzioni amministrative a carico degli intermediari e dei loro esponenti (art. 190 Tuf), la giurisprudenza di legittimità concede rimedi che spaziano dall’ambito risarcitorio, a quello dell’annullabilità del contratto in applicazione delle norme generali sulla reticenza dolosa inerente ad una circostanza (tra quelle ritenute rile- vanti dalla normativa regolamentare) che si aveva il dovere di comunicare21 (art. 1440 c.c.), a quello della risoluzione postulata dall’art. 1455 c.c.: è stato infatti
21 Su cui v., in part., Cass., 29 settembre 0000, x. 00000 (xx, tra le altre, Danno e resp., 2006, 25, con nota di Xxxxx e Afferni, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale; in Foro it., 2006, 1105, con nota di Xxxxxxxx, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale; in Giur. it., 2006, 1599, con nota di Xxxxxxxxx, Un buon ripensamento del supremo collegio sulla asserita nullità del contratto per inadempimento; in Giur. com., 2006, II, 626, con nota di Xxxxxxxx, Obblighi informativi degli intermediari finanziari e risarcimento del danno - La cassazione e l’interpretazione evolutiva della responsabilità precontrattuale; in Resp. civ. e prev., 2006, 1080, con nota di Xxxxx, Difetto di accordo e nullità dell’intermediazione finanziaria; ma già nella giur. di merito, x. Xxxx. Xxxxxx, 00 luglio 2005, in Danno e resp., 2005, 1227, con nota di Xxxxxxxxx, Collocamento di prodotti finanziari e regole di infor- mazione: la scelta del rimedio applicabile), che sembra recepire in toto gli approdi dottrinali di Xxxxxxx, Servizi di investimento e regole di condotta, relazione letta al Convegno tenutosi il 27-28 maggio 2005 a Napoli per iniziativa dell’Associazione Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, in Riv. soc., 2005, 1015 (Id., Gli obbli- ghi di informazione nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca Borsa, 2006, I, 372 ss.), ma nella riproduzione da xxx.xxxxxxxxx.xxx, da cui lo cito, «Derivare la nullità del contratto dalla violazio- ne di una regola di comportamento equivale, infatti, a trasformare in regole di validità norme che, di per sé, sono dirette, piuttosto, a imporre una determinata condotta nella fase delle trattative o in executivis. Nulla, tuttavia, giustifica l’operazione: non la legge, giacché manca una previsione che disponga tale con- versione (come invece avviene – in ragione del concorso di altri elementi – nel caso di annullamento per dolo e violenza, di rescissione o di nullità per abuso di dipendenza economica, ovvero – per una pura scelta “politica” del legislatore – nel caso dell’art. 117, comma 1 e 3, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, e dell’art. 23, comma 1, Tuf); non l’art. 1418, comma 1, c.c., che, a livello di elementi costitutivi della fat- tispecie, richiede tanto l’esistenza di una norma imperativa, quanto la contrarietà alla medesima del con- tratto inteso come regolamento di interessi negoziato dalle parti: con la conseguenza che, se una norma imperativa sembra potersi dire certamente ricorrere per la strumentalità al buon funzionamento del mer- cato che delle regole di comportamento è propria, altrettanto non vale per il secondo elemento di fatti- specie, attingendo nel caso in esame la violazione alla mancata conformità fra il comportamento di una delle parti e il corrispondente precetto legale». In punto si richiamano a sostegno dell’argomentazione riportata le teorie, tra gli altri, di Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, 339 ss., spec. 352, testo e nota 144; Dolmetta, Sui “limiti” di applicazione dell’art. 28 legge notarile. A proposito della violazione di norme imperative di protezione, in Contr. impr., 2004, 86; Id., I rimedi per la violazione delle norme imperative nel diritto societario prima del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5. Un frammento di storia delle idee, in Vita not., 2003, 100; e, soprattutto, l’insegnamento di Xxxxxxx (nt. 12), 9, secondo cui la violazione delle regole di comportamento (in particolare: la clauso- la generale di buona fede) non «p[uò] decidere dell’esistenza di un rapporto obbligatorio»; critico verso Cass., 29 settembre 2005, cit. (sul cui orientamento nella giur. di merito si allineano Trib. Milano, 25 gen- naio 2007, n. 3800, in Dir. banca e merc. fin., 2007, 317; Trib. Torino, 8 maggio 2007, in Corriere del merito, 2007, 996) è Alpa, La legge sul risparmio e la tutela contrattuale degli investitori, in Contratti, 2006, 929, che sottolinea «il modo sbrigativo con cui la Corte risolve il problema della nullità, dicendo che l’omessa informazione preventiva non inciderebbe sui requisiti essenziali del contratto»; come pure
respinto22 l’orientamento di cospicua giurisprudenza di merito che invece ravvisa- va nella violazione dei detti doveri la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative23 poste a tutela di non solo nell’interesse dei clienti, ma anche ‘per l’in- tegrità del mercato’ [art. 23, comma 1, lett. a), Tuf].
3.5 Gli obblighi di comportamento degli intermediari nella fase precontrattuale: i doveri di informativa preventiva
Tra i comportamenti “dovuti” che gli intermediari devono osservare nei con- fronti della clientela, particolare rilievo rivestono, dunque, gli obblighi c.d. di informativa. Già analiticamente previsti nella nuova formulazione dell’art. 6, comma 2, Tuf, la relativa minuziosa disciplina regolamentare di attuazione è stata ‘demandata’ dal legislatore alla Consob, che vi ha provveduto col nuovo reg. int. Queste informazioni debbono essere fornite al cliente in tempo utile prima della prestazione dei servizi di investimento; ma, in tempo utile prima che il cliente sia
Xxxxxxxxxx, Ancora sul conflitto d’interessi nella prestazione dei servizi finanziari: il conflitto d’inte- resse nei rapporti contrattuali d’impresa, in Contr. e impr., 2007, 306.
22 Da Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, (in, tra le altre, Guida al dir., 2008, 5, 41, con nota di Xxxxxxx; in Contratti, 2008, 221, con nota di Xxxxxxxxxxx, Inosservanza delle norme di comportamento: la cassazione esclude la nullità; in Corr. giur., 2008, 223, con nota di Mariconda; in Giur. it., 2008, 347, con nota di Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni unite: chiose, considerazioni, e un elogio dei giudici; in Foro it., 2008, I, 785, con nota di Xxxxxxxx, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le sezioni unite; in Nuova giur. civ. comm., 2008, 432, con nota di X. Xxxxxxxxx, Violazione della disciplina dell’inter- mediazione finanziaria e conseguenze civilistiche: ratio decidendi e obiter dicta delle sezioni unite; in Giur. comm., 2008, II, 604, con nota di Xxxxx e Xxxxx), che ha statuito come la violazione delle norme di comportamento da parte dell’intermediario non incida sulla validità del contratto. Le sez. un. risolvo- no così il contrasto giurisprudenziale tra le sez. semplici ravvisato da Cass., 6 febbraio 2007 (ord.), n. 3683, in Foro it., 2007, I, 2093, con nota di Xxxxxxxx, Regole di comportamento e regole di validità nei contratti su strumenti finanziari: la questione alle sezioni unite, e condividono l’orientamento di Cass., 29 settembre 2005, n. 19024 (nt. 18). In dottrina, tra i contributi più recenti che aderiscono all’orienta- mento della Suprema corte, Xxxxxxx, Il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle Sezioni unite della Cassazione, in Contr. e impr., 2008, 1; Albanese, Regole di condotta e regole di validità nel- l’attività d’intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corr. giur., 2008, 107; Xxxxxxx, La responsabilità ecc., cit., cui adde Id., Una giurisprudenza in bilico: i casi Cirio, Parmalat, bonds argentini, in Giur. it., 2006, 537; Xxxxxxxxxxx, Inosservanza delle norme ecc., cit.; contra, Xxxxxxxx, La violazione delle regole ecc., cit.; Roppo, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, in Danno e resp., 2008, 536, Xxxxxxxxxx, Le sezioni unite e la responsabilità degli intermedia- ri, ivi, 546; contra Xxxxxxx, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione (S.U.), 19 dicembre 2007, n. 26725, in xxx.xxxxxx.xx, 6; Gentili, Disinformazione e invalidità: i contratti di inter- mediazione dopo le Sezioni Unite, in Contratti, 2008, 393; Maffeis (nt. 11), 403.
23 Xxxxxxxxx nell’inosservanza dei doveri in discorso la violazione di norme imperative, con correla- tiva nullità del negozio, ex multis, Trib. Treviso, 29 agosto 2006, in Corriere del merito, 2007, 23; Trib. Brindisi, 18 agosto 2006, in xxx.xxxxxxxxx.xxx, orientamento iniziato, a quanto consta, con Trib. Milano, 20 febbraio 1997, in Banca Borsa, 2000, II, 82.
vincolato da qualsiasi contratto devono anche essere fornite informazioni circa i termini del contratto per la prestazione dei servizi richiesti (art. 34, commi 2 e 3 , reg. int., ma v. art. 29, comma 1, Dir. 2006/73/CE). Sono norme che hanno lo scopo di mettere l’investitore in grado di fare consapevolmente le proprie scelte di investimento, con cognizione dei rischi sottesi dalle operazioni di borsa prescelte.
3.6 Doveri di informativa preventiva. Ricostruzione del sistema
Gli intermediari si attengono alle disposizioni dell’art. 34 reg. int. per fornire ai clienti o potenziali clienti, in una forma comprensibile, informazioni appropria- te affinché questi ultimi possano ragionevolmente comprendere la natura del ser- vizio di investimento, del tipo specifico di strumenti finanziari interessati e i rischi ad essi connessi e, di conseguenza, possano prendere le decisioni in materia di investimenti in modo consapevole (art. 27, comma 2, reg. int.).
Tali “informazioni appropriate” devono essere fornite su un supporto duraturo o tramite sito internet (art. 34, comma 5, reg. int.). In particolare, prima della pre- stazione dei servizi di investimento, l’intermediario deve fornire in tempo utile al cliente al dettaglio o potenziale cliente le informazioni concernenti: l’intermedia- rio e i suoi servizi (art. 29 reg. int.)24, la salvaguardia degli strumenti finanziari e delle somme di denaro della clientela (art. 30 reg. int.), gli strumenti finanziari (art. 31 reg. int.) i costi e gli oneri (art. 32 reg. int.). Soggiunge poi l’art. 41 reg. int., che gli intermediari «quando prestano servizi di investimento diversi dalla consulenza… e dalla gestione di portafogli, richiedono al cliente o potenziale cliente di fornire informazioni in merito alla sua conoscenza e esperienza nel set- tore d’investimento rilevante per il tipo di strumento e di servizio proposto o chie- sto». Si tratta di «informazioni (art. 39, comma 2, reg. int.) relative alla conoscen- za ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio» (art. 30, comma 1, reg. int.) che «includono i seguenti elementi, nella misura in cui siano appropriati tenuto conto delle caratteristiche del cliente, della natura e dell’importanza del servizio da fornire e del tipo di prodotto od operazio- ne previsti, nonché della complessità e dei rischi di tale servizio, prodotto od ope- razione: a) i tipi di servizi, operazioni e strumenti finanziari con i quali il cliente ha dimestichezza; b) la natura, il volume e la frequenza delle operazioni su stru-
24 Devono essere precisati nome, indirizzo, recapiti e lingue nelle quali il cliente può comunicare con l’intermediario; metodi di comunicazione che devono essere utilizzati; dichiarazione di essere autorizza- to e indicazione dell’autorità autorizzante, natura e frequenza di rendicontazione; misure adottate per assicurare la tutela di titoli e danaro dei clienti, descrizione in forma sintetica della politica seguita in materia di conflitto d’interessi.
menti finanziari realizzate dal cliente e il periodo durante il quale queste operazio- ni sono state eseguite; c) il livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente professione del cliente (art. 39, comma 2, reg. int.)». Gli intermediari
«possono fare affidamento sulle informazioni fornite dai clienti o potenziali clien- ti a meno che esse non siano manifestamente superate, inesatte o incomplete» (art. 39, comma 5, reg. int.) e «non possono incoraggiare un cliente o potenziale clien- te a non fornire le informazioni richieste ai sensi del presente articolo» (art. 39, comma 7, reg. int.). Per il cliente in genere, non quindi solo per quello al detta- glio, se il servizio o lo strumento è “raccomandato” dall’intermediario, questi, per quanto attiene alle informazioni inerenti al livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente professione svolta, deve ottenere dal cliente anche «dati sul periodo di tempo per il quale [lo stesso cliente] desidera conservare l’investi- mento, le sue preferenze in materia di rischio, il suo profilo di rischio e le finali- tà dell’investimento, ove pertinenti» (art. 39, comma 4, reg. int.). Qualora il clien- te o potenziale cliente scelga di non fornire le informazioni di cui all’art. 41, o qualora tali informazioni non siano sufficienti, gli intermediari avvertono il clien- te o potenziale cliente, che tale decisione impedirà loro di determinare se il servi- zio o lo strumento sia per lui appropriato. L’avvertenza può essere fornita utiliz- zando un formato standardizzato (art. 42, comma 4, reg. int.)25. Ottenute le dette informazioni, l’intermediario, per i servizi diversi dalla consulenza e dalla gestio- ne di portafogli, deve verificare che il cliente abbia il livello di esperienza e cono- scenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di inve- stimento offerto o richiesto comporta (la c.d. appropriatezza26) (art. 41, comma 1, reg. int.) e qualora gli intermediari ritengano, che per il livello di esperienza e conoscenza del cliente lo strumento o il servizio non sia appropriato per il cliente o potenziale cliente, lo avvertono di tale situazione. L’avvertenza può essere for- nita utilizzando un formato standardizzato (art. 41, comma 3, reg. int.). Gli inter- mediari possono presumere che un cliente professionale abbia il livello di espe- rienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi connessi ai servizi di investimento o alle operazioni o ai tipi di operazioni o strumenti per i quali il cliente è classificato come professionale (art. 41, comma 2, reg. int.).
25 Con particolare riguardo al servizio di consulenza e di gestione di portafogli, se l’intermediario non ottiene le informazioni di cui all’art. 39 reg. int. deve astenersi dal prestare questi servizi (art. 39, comma 6, reg. int.). In questo caso, è previsto per tabulas un dovere negativo che, se violato, non sembra esau- risca la sua portata in ambito meramente risarcitorio, senza incidere sulla validità del contratto. Il legisla- tore qui “non vuole” il contratto.
26 Su cui Xxxxxxx, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutela e pro- spettive Mifid, in Riv. dir. priv., 2008, 25 ss.
3.7 Conflitto d’interessi
Il canone istituzionale insegna che si ha conflitto d'interessi quando chi deve agire nell’interesse (nell’utilità) di una persona fisica o di un ente, è portatore di un interesse (di un’utilità o vantaggio) personale in contrasto con l’interesse geri-
to. In punto, l’abrogato
Eurosim
prescriveva agli Stati membri, di elaborare
norme di comportamento che obbligassero le imprese di investimento a «sforzar- si di evitare i conflitti d’interesse e, qualora ciò non [fosse stato] possibile, a prov- vedere a che i suoi clienti [fossero] trattati in modo equo» (art. 11, comma 1, Eurosim). Conseguentemente, l’art. 21, comma 1, lett. c), Tuf, nel testo previgen- te, disponeva che i soggetti abilitati si organizzassero in modo tale «da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto [agissero] in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento».
La Consob, peraltro interveniva in via regolamentare sulla materia con una disposizione assai stringente (art. 27 reg. int. prev.) che imponeva agli intermedia- ri il divieto di porre in essere operazioni “con o per conto” della clientela, nelle quali gli stessi intermediari avessero avuto, appunto, un interesse in contrasto con quello portato dall’investitore27. La regola poteva essere derogata solo se l’investi-
27 Ad es.: una banca-collocatrice, che sia al contempo finanziatrice di una società quotata pesante- mente esposta verso la stessa banca, ha interesse a collocare le azioni (derivanti da un aumento di capi- tale), della finanziata, indipendentemente dagli apprezzamenti di borsa del titolo, perché se l’aumento viene sottoscritto si amplia almeno la garanzia patrimoniale generica della stessa finanziata ed aumenta- no le possibilità per la banca finanziatrice di recuperare il prestito, in caso di inadempienza della società. Secondo Trib. Monza, 27 gennaio 2005, in Resp. civ. e prev., 2005, 134: «Non sussiste conflitto di inte- ressi (art. 27 del reg. Consob n. 11522/98) se non nel caso in cui si provi che l’intermediario perseguiva scopi ulteriori e diversi rispetto alla realizzazione dell’interesse del cliente, quale, ad esempio, l’obbietti- vo dell’istituto di credito di eliminare rapidamente dal portafoglio di proprietà titoli presenti in sovrab- bondanza»; invece, per Trib. Firenze, 11 aprile 2005, in Contratti, 2005, 1010, «La banca la quale vanti un qualsivoglia interesse economico al collocamento dei titoli dei quali propone l’acquisto al cliente, nella veste di intermediario finanziario, opera in conflitto di interessi ed ha l’onere precontrattuale di xxx- xxxxx palese al risparmiatore». Sulla casistica in argomento, nella giurisprudenza formatasi prima della riforma del 2007 si registrano altresì pronunzie contrastanti; per quanto attiene, ad es., alla negoziazione “conto proprio”, per Trib. Roma, 13 giugno 2005, in xxx.xxxxxxxxx.xxx (s.m.) «Il conflitto di interessi non ricorre automaticamente quando l’intermediario diviene controparte contrattuale del cliente nel nego- zio avente ad oggetto gli strumenti finanziari (ad es., procedendo alla negoziazione diretta del titolo richiesto dal cliente), né allorquando l’intermediario diviene portatore dell’interesse al conseguimento della commissione (ad es., nella negoziazione per conto terzi), ravvisandosi n tali situazioni la normale contrapposizione di interessi delle controparti, che si verifica in tutti i rapporti contrattuali, ma occorre che l’intermediario abbia un interesse a trasferire al cliente quell’elevatissimo rischio che altrimenti cor- rerebbe in proprio detenendo appunto quei titoli che il cliente acquisisce», e v. pure Trib. Mantova, 3 feb- braio 2005, in xxx.xxxxxxxxx.xxx, (s.m.) «Non sussiste conflitto di interessi nell’operazione (non solle- citata dall’intermediario) in cui questi non ha agito in contropartita diretta ma si è limitato ad acquistare i titoli in conformità degli ordini ricevuti dal cliente, per conto dello stesso, senza quindi perseguire un interesse proprio ed ulteriore in conflitto con quello di quest’ultimo, agendo nel mercato come avrebbe
xxxx avesse acconsentito espressamente per iscritto all’operazione, previa debita informativa scritta da parte dell’intermediario sulla natura e l’estensione dell’inte- resse di quest’ultimo nella stessa operazione. Circostanza che portava chi scrive a ritenere, nella prima edizione di questi principi, che l’art. 27 reg. int. prev. dise- gnasse un sistema di segno contrario a quello di diritto comune (relativo, peraltro, alla rappresentanza negoziale), secondo cui, come noto, il conflitto d’interessi del rappresentante con il rappresentato, se non è conosciuto o conoscibile dal terzo, non intacca l’efficacia giuridica del contratto (artt. 1394, 1395, c.c.). In altre paro- le, per il diritto comune l’agire nell’interesse del rappresentato non è elemento essenziale per la validità del negozio; mentre dalla norma regolamentare previgen- te sembrava evincersi che l’agire nell’interesse dell’investitore si configurasse come requisito di validità del contratto di investimento, conseguendone che, ove non fosse intervenuto il consenso informato del cliente, il contratto si sarebbe con- figurato come radicalmente nullo per violazione di una norma imperativa. Il fatto stesso poi che nell’ordinamento fosse stata introdotta una norma ad hoc in tema di conflitto d’interessi deponeva a favore della natura speciale dell’art. 27 reg. int. prev. perciò derogatrice delle regole generali in materia e, quindi, deponeva a favo- re della inevitabile ripercussione sui conseguenti (più drastici) effetti sanzionatori in caso di sua violazione. Non avrebbe avuto infatti senso interpretare l’art. 27 reg. int. prev. come un “doppione” normativo della disciplina generale di diritto comu- ne, poiché, di regola, il legislatore, non pone su una stessa fattispecie norme diver- se senza perseguire un ben preciso scopo, se è vero che, specie in ambito norma- tivo, entia non sunt multiplicanda sine necessitate28.
L’interpretazione proposta era stata accolta anche dalle pronunce di merito
emesse in tema29, ma l’orientamento, come già riferito, è stato respinto dalla
fatto qualunque altro intermediario»; contra Trib. Milano, 25 luglio 2005, in Nuova giur. civ. com., 2006, I, 599, con nota di Xxxxxxxxx, Negoziazione di titoli obbligazionari e insolvenza dell’emittente: quale tutela per il risparmiatore non adeguatamente informato?, «Quando l’intermediario finanziario esegue un ordine di borsa vendendo al cliente “in contropartita diretta” titoli che si trovano nel suo portafoglio, è portatore di un interesse in conflitto con quello dell’investitore: trovano applicazione, dunque, le dispo- sizioni legislative e regolamentari che disciplinano il conflitto di interessi tra intermediari finanziari e clienti»; in dottrina, una approfondita disamina delle ipotesi di conflitto di interesse fra banche e rispar- miatori si legge in BERSANI, La responsabilità degli intermediari finanziari, Torino, 2008, 169-184.
28 Analogamente Maffeis (nt. 11), 404, che parla di «non ridondanza del principio secondo cui gli intermediari hanno il dovere di operare in modo che i clienti “siano sempre adeguatamente informati” [art. 21, comma 1, lett. b), Tuf], rispetto all’art. 1337 c.c.».
29 In tal senso, tra tante, Trib. Mantova, 18 marzo 2004, in Banca Borsa, 2004, II, 440; Trib. Firenze, 30 maggio 2004, in Giur. it., 2005, 754, con nota di Xxxxxx, Gli obblighi di comportamento degli inter- mediari al vaglio della giurisprudenza di merito, «È affetto da nullità per violazione di norme imperati- ve il contratto di investimento concluso dall’intermediario che sia emittente e collocatore degli strumen- ti finanziari negoziati con la propria clientela, qualora il contratto contenga un avviso generico [corsivo
Cassazione che, pur confermando la natura imperativa della norma, ha statuito che la contrarietà a norme imperative considerata dall’art. 1418 c.c. quale causa di nul- lità del contratto, postula che essa attenga ad elementi “intrinseci” della fattispe- cie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto, non le modalità attraverso le quali le parti sono pervenute a contrarre30. I comportamen- ti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto rimangono estranei al contratto e s'intende, allora, che la loro eventuale illegitti- mità non può dar luogo alla nullità del contratto, a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore31. Derivandone così che l’inosservanza
mio] circa l’esistenza del conflitto di interessi senza che l’investitore sia stato preventivamente informa- to per iscritto, attraverso una segnalazione graficamente evidenziata, della natura e dell’estensione del- l’interesse in conflitto»; Trib. Mantova, 12 dicembre 2004, ivi; Trib. Venezia, 22 novembre 2004, in Contratti, 2005, 5; Trib. Treviso, 26 novembre 2004, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; Trib. Venezia, 17 ottobre 2005, in xxx.xxxxxxxxx.xx, 2005; Trib. Milano, 25 luglio 2005, in xxx.xx xxxx.xx; ma già, sotto l’impero della l. n. 1 del 1991, Trib. Milano, 11 maggio 1995, in Banca Borsa, 1996, II, 442; Trib.
Milano, 20 febbraio 1997, ivi, 2000, II, 82; App. Milano, 13 giugno 2003, ivi, 2004, II, 297; in dottrina, De Nova, La responsabilità dell’operatore finanziario per esercizio di attività pericolosa, in Contratti, 2005, 709, secondo cui nell’ipotesi in esame «sul piano contrattuale il rimedio è quello della nullità e delle restituzioni»; Piazza, La responsabilità della banca per acquisizione e collocamento di prodotti finanziari “inadeguati” al profilo del risparmiatore, in Corr. giur., 2005, 1031, che, dopo aver rilevato gli «interessi pubblicistici tutelati dalle norme di settore», conclude nel senso che «qui, oltre al compor- tamento serbato nella fase formativa, è proprio il contenuto complessivo del negozio che resta intriso di contrarietà ai principi di ordine pubblico del contratto».
30 Sangiovanni, nota a Trib. Parma, 3 aprile 2008, n. 554, in Contratti, 2008, 653.
31 Così l’orientamento di Cass., 29 settembre 2005, n. 19024 (nt. 21), confermato dalle sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 24674 e 24675 (nt. 22); ma v., da ultimo, Xxxxxxxx, La violazione di “obblighi di fattispecie” da parte di intermediari finanziari, in Contratti, 2008, 81, il quale, con riguardo alla statui- zione cardine di Cass., 29 settembre 2005 (nt. 21), secondo cui «la nullità del contratto postula che la vio- lazione della norma imperativa si riferisca ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale» (in urto peraltro con Xxxx., 7 febbraio 2008, n. 2860, in xxx.xxxxxxxxx.xx, che statuisce come «l’art. 1418 c.c., cont[enga] un principio di ordine generale, diretto a prevedere proprio che, in quei casi nei quali alla vio- lazione della norma imperativa non si accompagni l’espressa previsione di nullità, sia compito del giudi- ce stabilire se la norma contraddetta dall’autonomia privata rivesta il carattere dell’imperatività, tale da meritare la massima sanzione d’invalidità prevista dall’ordinamento»), rileva che, invero, «non esiste in natura un monolite disciplinare, tout court designabile quale disciplina generale dell’azione di nullità ex art. 1418 c.c. (si pensi anche solo al settore del diritto societario ovvero a quello delle nullità per prote- zione di determinate categorie); così come non si vede perché dovrebbe esistere – sempre in natura – un solo ordine, e tipico, delle (possibili) cause di nullità»; nonché Bianca, Diritto civile, 3, Milano, 2000, 613, che già rilevava come «si assiste al prevalere di un’esigenza di controllo esterno [corsivo mio] del contratto che porta ad accentuare l’importanza della nullità come strumento di tutela diretta di interessi deboli dell’ordinamento. (…) Si comprende allora la fondatezza del criterio che ravvisa nella nullità una forma di sanzione per la tutela di interesse generale e nell’annullabilità e rescindibilità forme di invalidi- tà a tutela di interessi particolari»; né miglior argomento per la tesi che esclude(va) la nullità, rispetto alla Suprema corte, pare offrire Trib. Taranto, 11 giugno 2007, n. 1059, in Guida al dir., 2007, 48, 79, che (facendo proprio l’insegnamento, sembra, di Cass., 11 dicembre 1991, n. 13393, in Giur. it., 1992, I, 1, 1748, solo nella parte ove si statuisce che una sanzione diversa dalla nullità espressamente prevista «esau- risc[e] la reazione predisposta dall’ordinamento contro l’esercizio dell’attività vietata», ma trascurando
dell’obbligo in discorso «non è escluso possa assumere rilievo, sotto altro profilo, alla stregua dei principi stabiliti dagli artt. 139432 e 1395 c.c.»33. Ma questa, si ripe- te, è conclusione alla quale si sarebbe potuto pervenire solo se non fosse stata introdotta nell’ordinamento una norma come quella (art. 27) recata dall’abrogato reg. int.34.
Il quadro normativo vigente è mutato. La norma regolamentare richiamata è scomparsa dal nuovo reg. int. o, per lo meno, è scomparso l’esplicito divieto di
che la stessa Corte prosegue «pur potendo in altre ipotesi detta sanzione aggiungersi [corsivo mio] a quel- la della nullità (norma imperativa più che perfetta)», evidenzia come le norme inerenti ai doveri prene- goziali «prescrivono canoni di comportamento rilevanti solo nel rapporto amministrativo [corsivo mio] tra intermediario e autorità di vigilanza, ai fini dell’irrogazione di sanzioni, senza effetti diretti e imme- diati sul negozio banca-investitore [corsivo mio]». Se così fosse, però quei canoni sarebbero da qualifi- care norme di azione che individuano unicamente i presupposti e le modalità in base ai quali può essere esercitato il potere sanzionatorio della Consob e non norme di relazione che invece sono dettate per risol- vere conflitti intersoggettivi sul piano dell’ordinamento generale (su cui, per una prima informazione, Casetta, Manuale di Diritto amministrativo, Milano, 2006, 351, 357-358), con la conseguenza che i giudici ordinari non potrebbero farne applicazione per decidere le controversie civili intermediario-clien- te poiché verserebbero in difetto di giurisdizione! L’assunto, inoltre, appare discutibile soprattutto nel caso in cui una norma, sia pure di natura regolamentare, imponga all’intermediario specifici divieti di contrarre, dettati in attuazione di normativa primaria (artt. 6, comma 2, e 5, Tuf), recante, almeno così pare, principi di ordine pubblico economico (posti a tutela di interessi generali) che impongono quando siano violati, secondo gli insegnamenti istituzionali, la comminazione della nullità negoziale anche quan- do non espressamente prevista. E sembra questo essere il caso dell’art. 39, comma 6, reg. int. (o dell’art. 27 reg. int. prev.).
32 Sulla difficoltà di desumere dall’art. 1394 c.c. argomenti a favore dell’annullabiltà del contratto concluso in conflitto d’interessi tra intermediario e cliente, rimanendo in questo caso a tutela del cliente unicamente il risarcimento del danno, v. da ultimo, Xxxxxxxxxx (nt. 22), 551.
33 Così sempre Cass., 29 settembre 2005 (nt. 21) che, peraltro, in ordine alla violazione dei doveri di comportamento precontrattuali in genere, imposti agli intermediari, ammette anche la possibilità di otte- nere l’applicazione dell’art. 1440 c.c.; le citate Xxxx., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 (nt. 22), con riguardo ai divieti di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d’interessi, ammettono anche il rimedio della risoluzione contrattuale postulata dall’art. 1455 c.c., ove dette violazioni riguardino «le operazioni di investimento o disinvestimento in esecuzione [corsivo mio] dei contratti d’intermediazione finanziaria in questione». Sulla stessa linea Trib. Genova, 15 marzo 2005, in xxx.xxxxxxx.xx, che fa discendere dalla violazione di regole di comportamento degli intermediari la risoluzione del contratto, poiché l’intermediario non osservando i doveri di protezione (qui gli obblighi di informativa e tra questi, in particolare, quelli inerenti al conflitto d’interessi) che fanno parte del contenuto legale del contratto di intermediazione “entrano” a far parte dello stesso sinallagma della negoziazione pregiudicandolo. L’assunto della giurisprudenza ora richiamata non sembra, però condivisibile, con riguardo al disposto degli artt. 1394-1395 c.c., e al rimedio ivi previsto (l’annullabiltà). Se per la violazione delle norme sul conflitto d’interessi il legislatore ha previsto come rimedio esclusivamente l’annullabilità del contratto (e diversamente non avrebbe potuto per coerenza concettuale e sistematica: l’annullabilità, nel sistema vigente è considerata dal legislatore esclusivamente come rimedio per l’incapacità delle parti (artt. 1425- 1426 c.c.) e per i vizi del consenso (artt. 1427-1440 c.c.), dei quali la mancata conoscenza del conflitto d’interessi è un’ipotesi peculiare), non può il giudice, arbitrariamente dettando una nuova norma, conce- dere rimedi risolutori per la violazione delle norme sul conflitto. Qui non si discute della idoneità del con- tratto a realizzare la causa per cui fu concluso (problema risolto dalle norme sulle risoluzione), ma della circostanza rilevante che avrebbe o non avrebbe portato una delle parti a concludere il contratto.
34 V. nt. 25.
concludere contratti in conflitto d’interesse con i clienti, senza che lo stesso con- flitto sia stato debitamente rappresentato e senza che lo stesso cliente abbia espressamente acconsentito all’operazione. L’obbligo di informativa preventiva al riguardo vige ora per gli intermediari solo nel caso in cui le misure adottate per identificare i conflitti di interesse, che potrebbero insorgere con il cliente o fra clienti, non siano idonee ad evitare, con ragionevole certezza, il rischio di nuoce- re alle utilità di questi ultimi (art. 21, comma 1-bis, lett. a e b, TUF, conformemen- te alle prescrizioni contenute nel sistema della Mifid cfr. art. 18 Mifid e artt. 21, 22, 23, Dir. 2006/73/CE). «La garitta di guardia del conflitto d’interessi» è stata spostata «in avanti – o all’indietro, secondo il punto di vista», in ragione dell’in- sorgenza del conflitto prima o durante l’esecuzione del contratto e comunque l’obbligo per l’intermediario di rappresentarli all’investitore è stata riconfigurata in termini assai più permissivi rispetto alla normativa abrogata35. La fattispecie in esame sostanzialmente si configura nell’ordinamento nazionale come un affare organizzativo interno36, privo di norme specifiche suscettibili di essere interpreta- te come direttamente incidenti sul contratto e la rilevanza del conflitto torna ad essere regolata dal diritto comune in un ambito di tutela che sembra spaziare dal rimedio risarcitorio (art. 1440 c.c.)37 a quello della annullabilità del contratto (artt. 1394, 1395 c.c.)38, sino a quello della risoluzione ai sensi dell’art. 1455 c.c. In quest’ultimo caso il giudice, dopo che il contratto sia stato concluso ed eseguito dovrebbe valutare quanto incida l’inadempimento della prestazione degli obblighi
35 Le frasi tra virgolette e le considerazioni di riferimento sono di Xxxxxx Xxxxxxx, I conflitti di inte- ressi fra intermediari finanziari e clienti nella direttiva MIFID, in Banca Borsa, 2007, I, 121.
36 Tanto inducono a ritenere anche gli artt. 23 ss., Regolamento in materia di organizzazione e pro- cedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio, ema- nato con Provvedimento Banca d’Italia e Consob del 29 ottobre 2007, ai sensi dell’articolo 6, comma 2-bis, del Testo unico della finanza, in xxx.xxxxxx.xx, (d’ora in poi citato come Provv. Org. Bi e Consob), che impongono agli intermediari di adottare «ogni misura ragionevole per identificare i con- flitti d’interesse che potrebbero insorgere con il cliente o tra i clienti, al momento della prestazione di qualunque servizio e attività d’investimento o servizio accessorio o di una combinazione di tali servizi» (art. 23, comma 1, reg. cit.); di considerare per l’identificazione dei conflitti in parola i criteri di cui all’art. 24 reg. cit.; di formulare per iscritto, applicare e mantenere un’efficace politica di gestione degli stessi conflitti (art. 25 reg. cit.). Sono norme rilevanti a fini di vigilanza, sanzionate in xxx xxxxxxxxxxxx- xx (art. 190 Tuf), ma ad avviso di chi scrive, posto che attengono a regole cogenti della organizzazione (e quindi della gestione) societaria, se violate, potrebbero dar luogo all’applicazione dell’art. 70 Tub o dell’art. 2409 c.c., con conseguente rimozione degli esponenti delle banche e degli intermediari «per gravi irregolarità nella gestione».
37 È il caso in cui «si può ritenere che il contratto sarebbe stato tuttavia concluso, ma a condizioni meno svantaggiose per la parte danneggiata, il risarcimento ha sostanzialmente una funzione correttiva del contratto», Mengoni, Autonomia privata e costituzione, in Banca Borsa, 1997, I, 9, nella riproduzio- ne da xxx.xxxxxxxxx.xxx, da cui lo cito.
38 Cass., 29 settembre 2005, n. 19024 (nt. 21).
legali d’informativa sul risultato negoziale39. Ma sembra proprio che la norma richiamata, sia fuori luogo perché, se postuliamo che l’informativa sul conflitto d’interessi sia un dovere di protezione, come ogni altro obbligo della stessa spe- cie non potrebbe mai riflettersi sul funzionamento del sinallagma40. Restano ferme le sanzioni amministrative a carico dell’intermediario (art. 190 Tuf).
3.8 Il contratto normativo di intermediazione finanziaria
L’intermediario deve fornire (su supporto duraturo o nel proprio sito internet) al cliente al dettaglio o potenziale cliente in tempo utile prima che sia vincolato da qualsiasi contratto per la prestazione dei servizi di investimento o accessori (art. 34.2), le informazioni inerenti ai termini del contratto. Si tratta dei termini del c.d. contratto quadro di cui all’art. 37, reg. int. Quest’ultimo deve essere redat- to per iscritto41 (ed un esemplare deve essere consegnato al cliente), ad eccezione del caso in cui abbia per oggetto il servizio di consulenza in materia di investimen- ti (art. 23, comma 1, Tuf). La norma regolamentare (art. 37 reg. int.) ne prescrive il contenuto minimo42. Ci troviamo qui di fronte, non ad un contratto nel senso
39 Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 (nt. 22).
40 Critico Dolmetta (nt. 31), 80, n. 1, che osserva come «quanto all’eventualità della risoluzione (…) la stessa incontra problemi gravissimi di realizzabilità. Esclusa la possibilità di una risoluzione del contratto quadro, per sua natura incapace di proporre una struttura dinamica di risoluzione/restituzione, la risoluzione del singolo ordine incontra insormontabili difficoltà nell’ipotesi – normale – in cui l’inter- mediario si limiti a fungere da mandatario (occorrerebbe un intervento di legge al riguardo). Per il caso in cui l’intermediario si renda controparte diretta col cliente (c.d. operazioni in conto proprio), poi, non si può non considerare (al di là di ogni stortura sistematica) che – nella specie in esame – lo stesso non si trova inadempiente a un obbligo di prestazione, sinallagmatico, bensì di tipo diverso (secondo la ter- minologia tradizionale “accessorio”) e per di più fonte diretta e immediata nella legge (anche a tale pro- posito, insomma, si dovrebbe passare attraverso una esplicita prescrizione di legge)».
41 La sanzione è la nullità dell’atto, che solo il cliente può far valere ex art. 23, comma 3, Tuf. Prime puntuali informazioni sulla nuova normativa primaria e regolamentare del contratto quadro, da Sangiovanni, La nuova disciplina dei contratti di investimento dopo l’attuazione della MIFID, in Contratti, 2008, 173.
42 Che deve (art. 37 reg. int.): a) specificare i servizi forniti e le loro caratteristiche, indicando il con- tenuto delle prestazioni dovute e delle tipologie di strumenti finanziari e di operazioni interessate; b) sta- bilire il periodo di efficacia e le modalità di rinnovo del contratto, nonché le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso; c) indicare le modalità attraverso cui il cliente può impartire ordini e istruzioni; d) prevedere la frequenza, il tipo e i contenuti della documentazione da fornire al cliente a ren- diconto dell’attività svolta; e) indicare e disciplinare, nei rapporti di esecuzione degli ordini dei clienti, di ricezione e trasmissione di ordini, nonché di gestione di portafogli, la soglia delle perdite, nel caso di posizioni aperte scoperte su operazioni che possano determinare passività effettive o potenziali superio- ri al costo di acquisto degli strumenti finanziari, oltre la quale è prevista la comunicazione al cliente; f) indicare le remunerazioni spettanti all’intermediario o i criteri oggettivi per la loro determinazione, spe-
tecnico del termine (nonostante il vocabolo utilizzato dal legislatore), bensì ci tro- viamo di fronte a quel negozio che in dottrina ed in giurisprudenza viene definito contratto normativo o accordo normativo, con il quale le parti si limitano a con- venire la disciplina di eventuali futuri contratti, di cui fissano preventivamente il contenuto43. Detto negozio, in altri termini, «funge da reticolo di base nel quale si
cificando le relative modalità di percezione e, ove non diversamente comunicati, gli incentivi ricevuti in conformità dell’articolo 52; g) indicare se e con quali modalità e contenuti in connessione con il servizio di investimento può essere prestata la consulenza in materia di investimenti; h) indicare le altre condizio- ni contrattuali convenute con l’investitore per la prestazione del servizio; i) indicare le eventuali proce- dure di conciliazione e arbitrato per la risoluzione stragiudiziale di controversie, definite ai sensi dell’ar- ticolo 32-ter del Testo Unico. Quanto alla prescrizione di cui alla lett. b), la clausola inerente allo jus variandi, oltre che essere formulata in termini espliciti (pena la sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 190 Tuf), dev’essere specificamente approvata dall’investitore. In mancanza di specifica approvazio- ne, sotto il profilo civilistico, come noto, essa non produce effetti (art. 1341 c.c.). Per un’analisi del peri- metro applicativo dell’art. 37 reg. int., Xxxxx, Xxx contratti del mercato finanziario, prima e dopo la MIFID, in Riv. dir. priv., 2008, 497-500.
43 Sulla nozione di contratto quadro, ottimamente, ex pluribus, la risalente Cass., 12 giugno 1973, n. 1706, in Giur. it., 1974, I, 1, 773: «I ‘contratti’ o più propriamente ‘accordi’ normativi, con i quali la volontà delle parti ha riguardo a contratti da concludere successivamente, hanno per oggetto la discipli- na dei negozi giuridici eventuali e futuri, dei quali fissano preventivamente il contenuto. Essi differisco- no dai comuni contratti in quanto questi ultimi stabiliscono invece quale contenuto abbiano e quali effet- ti ed obbligazioni debbono scaturire immediatamente tra le parti in ordine ad un determinato e concreto rapporto della vita economica», cui adde Cass., 14 dicembre 1973, n. 3399, id., 1974, I, 1, 1298. Per ade- guati riferimenti dottrinari, Realmonte, Doveri d’informazione e responsabilità precontrattuale nell’at- tività di intermediazione mobiliare, in Banca Borsa, 1994, I, 631-632 e pedisseque note. Ivi sono ripor- tate le posizioni contrapposte di chi iscrive tra i contratti veri e propri (Xxxxxxx) e chi, invece, conside- ra il contratto normativo privo di natura negoziale (Carresi, ma già Messineo, voce Contratto normati- vo, in Enc. dir., IX, Milano, 1962) e come tale non soggiacente alla disciplina di cui agli artt. 1321 e ss.
c.c. Secondo Xxxxxxxxxx, Il diritto civile della legislazione nuova. La legge sull’intermediazione mobi- liare, in Banca Borsa, 1993, I, 319-320 «il rapporto di intermediazione mobiliare [ora di prestazione di servizi d’investimento, n.d.r.] sembra ascrivibile alla categoria del rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione [inserito in un contratto-cornice Rahmenvertrag, n.d.r.], come è stato chiamato nella dottrina germanica»; seguono interessanti notazioni dell’A. sulla responsabilità contrattuale deri- vante dalla violazione degli obblighi contenuti in questo tipo di negozio, quand’anche non afferenti alla prestazione vera e propria. Realmonte, op. cit., 630, osserva che il contratto cornice, richiamato da Xxxxxxxxxx, trova «sostanziale corrispondenza alla figura conosciuta dalla nostra letteratura con il nome di contratto normativo». Nella pratica, un esempio di contratto normativo può ravvisarsi nelle condizio- ni generali predisposte in sede Abi per il servizio di negoziazione, ricezione e trasmissione ordini. Ed in termini sembra anche l’orientamento Consob, Comunicazione n. DIN/5055217, 3-8-2005, in CONSOB Bollettino, 2005, n. 1.8. Ma da ultimo, contra Xxxxxxx (nt. 22), 2-4, che, ascrive il contratto di interme- diazione allo schema del conto corrente bancario di corrispondenza, giudicando «fuorviante la costruzio- ne elaborata dalla dottrina del cosiddetto ‘contratto quadro’, secondo la quale i singoli ordini dell’inve- stitore all’intermediario darebbero luogo ad altrettanti contratti di investimento, preceduti da un asserito, e non meglio identificato ‘contratto quadro’». A questo ordine di idee, secondo l’A. cit. «aderisce ora anche la sentenza resa a Sezioni unite, da Xxxx., 19 dicembre 2007, n. 26725 [(nt. 22)]», poiché nella parte motiva della sentenza si statuisce che da tale contratto «derivano obblighi e diritti reciproci dell’in- termediario e cliente. Le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente, benché possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di intermediazione». Ma il dictum richiamato non pare di per sé sufficiente a suf- fragare l’opinione dell’illustre A., posto che lì si parla «di atti di natura negoziale», che ben possono avere
inseriscono i singoli rapporti operativi (di prestazione) ogni volta che siano volu- ti dalle parti»44. Ne consegue che gli obblighi ivi contemplati, non hanno una valenza autonoma45, e non possono perciò farsi valere in giudizio con azione auto- noma, se la loro violazione non sia stata causa diretta dell’inadempimento del ser- vizio regolato. Il problema che in punto si poneva all’interprete, sin dall’emana- zione della l. n. 1 del 1991, era se la forma scritta fosse richiesta solo per il con- tratto-quadro oppure anche per le singole operazioni regolate dallo stesso. La giu- risprudenza è pacifica nel ritenere che l’obbligo della forma scritta è richiesto dalla legge esclusivamente per i cosiddetti “contratti quadro” o “normativi” aven- ti ad oggetto la regolamentazione generale del servizio prestato dall’intermediario in favore del cliente46, potendo le singole operazioni, quanto alla forma, essere disciplinate convenzionalmente.
3.9 Requisiti del contratto: rileva la forma
L’art. 37, comma 1, reg. int., è categorico: «Gli intermediari forniscono a clienti al dettaglio i propri servizi di investimento, diversi dalla consulenza in materia di investimenti, sulla base di un apposito contratto scritto […]»47. Si capisce perché la forma scritta48 è qui richiesta ad substantiam (cioè per la vali-
valenza autonoma; inoltre il contratto di conto corrente di corrispondenza, cui è stato accostato il contrat- to di intermediazione, pur non potendo essere assimilato ad un contratto quadro, al pari di quest’ultimo disciplina singoli atti negoziali che vivono di loro propria vita giuridica, come ad es. la c.d. convenzione di chéque. Così come partecipa di sue proprie regole un contratto di negoziazione per conto proprio, sti- pulato dall’intermediario col cliente. Cass., 29 settembre 2005, n. 19024 (n. 21), il cui orientamento è stato fatto proprio dalle Sezioni unite sopra richiamate, peraltro parla esplicitamente «della conclusione del contratto quadro o dei singoli contratti posti in essere tra l’intermediario e il cliente [corsivo mio]»; Roppo (nt. 42), 499, n. 16, rileva che il contratto-quadro non è riconducibile al mandato, poiché nei casi in cui i titoli ordinati dal cliente siano presenti nel portafoglio dell’intermediario, questi vendendoli al cliente «non compie nessun atto giuridico o almeno nessun atto giuridico con un terzo: una situazione incompatibile con il tipo contrattuale in questione».
44 Xxxxxxxxxx (nt. 43), 314.
45 Mengoni (nt. 3), 370.
46 Tra molte, Cass., 9 gennaio 2004, n. 111; 7 settembre 2001, n. 11495, in Foro it., 2003, I, 612, con nota di Xxxxxxxx, Ancora sugli strumenti finanziari derivati, tra forma dei contratti ed ingiustificato arricchimento.
47 È da rimarcare il “solecismo giuridico” in cui è reiteratamente incorso il legislatore sin dai tempi della l. n. 1 del 1991, quando per la prima volta [all’art. 6, lett. c)] comparve la locuzione in argomento. L’aggettivo ‘scritto’ si sarebbe dovuto correttamente riferire alla forma del contratto, non a quest’ultimo. Sul punto v. le notazioni di Castononovo (nt. 43), 300.
48 Pontiroli, Duvia, Il formalismo nei contratti dell’intermediazione finanziaria ed il recepimento della Mifid, in Giur. comm., 2008, I, 151 ss.
dità intrinseca dell’atto), come di regola avviene ogniqualvolta il legislatore ritenga doveroso «richiamare l’attenzione del contraente sull’importanza di quanto egli decida di fare» (Messineo). Non v’è dubbio, infatti, che le opera- zioni aventi ad oggetto la prestazione di servizi di investimento possono modi- ficare l’entità e la qualità del patrimonio del cliente, sicché è senz’altro oppor- tuno richiamare l'attenzione dell’investitore sulla delicatezza di tali operazioni imponendo “la scrittura” del contratto relativo. Va tuttavia rimarcato che, nella pratica, i contratti in questione sono predisposti solo dall’intermediario e con- tengono un notevole numero di clausole che il cliente raramente legge, attesa la loro complessità, ma che sottoscrive lo stesso, perché la loro sottoscrizione costituisce presupposto indefettibile per accedere ai servizi richiesti. Dimodoché, la “scrittura” del contratto, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe indurre alla trattativa ed a concordare preventivamente i diritti e gli obblighi delle parti, sì da ottenere che ciascuna di esse ponga in essere atti deri- vanti da accordi chiari e consapevoli per ognuna, quella stessa scrittura per la sua prolissità comporta il più delle volte una cieca adesione da parte dell’inve- stitore ai contratti recati da moduli predisposti, senza alcun meditato esame cri- tico del loro contenuto.
In caso d'inosservanza del requisito di forma, il contratto è nullo (art. 23, comma 1, Tuf), ma si tratta, come già anticipato49, di una nullità relativa50 che può esser fatta valere solo dal cliente (art. 23, comma 2, Tuf), perché spesso, la nullità di un contratto di intermediazione può rivelarsi un'arma a ‘doppio taglio’ per l’investitore. Si considerino, infatti, le conseguenze giuridiche della nullità: appena questa sia dichiarata, le prestazioni patrimoniali effettuate sono da ritene- re come non avvenute (le sfere giuridico-patrimoniali dei contraenti è come se non fossero state mai modificate dal contratto) e ciascuna delle parti deve resti- tuire quanto abbia ricevuto dall’altra; in caso di prestito titoli o di finanziamento per l’acquisto degli stessi titoli il cliente potrebbe perciò trovarsi nella momenta-
49 Alla nt. 41.
50 La norma di cui all’art. 23, comma 2, Tuf e l’art. 127 Tub ‘positivizzano’, una categoria di inva- lidità negoziali (le nullità relative, appunto), che era assai controversa nella risalente dottrina (sul relati- vo dibattito v., tra le voci più autorevoli: per l’ammissibilità, Messineo, Il contratto in genere, in Trattato Cicu-Messineo, XXI, t. 2, Milano, 1972, 180; contra, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del dirit- to civile, Napoli, 2002, rist. IX ed., 247-248). Prima dell’entrata in vigore delle norme richiamate, la giu- risprudenza di legittimità, già pochi anni dopo l’entrata in vigore (1942) del c.c. ammetteva la possibili- tà di individuare in via interpretativa fattispecie di nullità negoziale relativa: xx xxxxxxxx, x. Xxxx., 00 apri- le 1947, n. 554, in Foro it., 1947, I, 32, con nota di Pescatore; più di recente, Cass., sez. un., 24 novem- bre 1989, n. 5070, in Dir. e giur. agraria, 1990, 102.
nea impossibilità di provvedere alla loro restituzione, sicché è stato ritenuto opportuno rimettere alle sue determinazioni se avvalersi del potere processuale in discorso51.
51 Per il caso di mancato adeguamento del contratto quadro, stipulato anteriormente alla entrata in vigore del TUF, alle modificazioni di natura imperativa recate da quest’ultimo (e conseguente proble- matica della c.d. nullità sopravvenuta del negozio in parola) x. Xxxx. Xxxxx, 0 aprile 2008, n. 554, in Contratti, 2008, 653, con nota di Xxxxxxxxxxx, che, facendo propri gli insegnamenti di Roppo, Il con- tratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano 2001, 750, in punto statuisce: «il fenomeno ordinariamente catalogato sotto l’etichetta classificatoria di nullità sopravvenuta condensa non tanto una figura pecu- liare di invalidità del contratto bensì un problema di efficacia della legge nel tempo» sicché «la c.d. nullità sopravvenuta opera sugli effetti e non sull’atto (…) essa non ha natura di vera e propria nullità ma deve piuttosto concepirsi una diversa tecnica di reazione, assimilabile alla risoluzione del contrat- to (quadro) per impossibilità giuridica sopravvenuta siccome connessa alla sopravvenuta idoneità del contratto sottoscritto nel 1996 [il Tuf è entrato in vigore, come noto nel 1998, n.d.r.] e spiega i suoi effetti di titolo di legittimazione per le operazioni di investimento svolte con l’intermediazione del- l’istituto». In dottrina, per una approfondita disamina e puntuale ricostruzione delle teorie in argomen- to, Albanese (nt. 21), 177-179.