DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEL LAVORO XXIV CICLO
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEL LAVORO XXIV CICLO
RETRIBUZIONE FLESSIBILE E
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
TESI IN DIRITTO DEL LAVORO
SETTORE SCIENTIFICO DISCIPLINARE IUS/07 SETTORE CONCORSUALE 12/B2
Relatore Presentata da
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxx Xxxx Xxxxx Xxxxx
Coordinatore
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx
Esame finale anno 2012
“In effetti nella vita forse non c’è tanto di peggio: bestemmiare e sudare e soffrire per arrivare a un traguardo e d’un tratto scoprire che è solo la partenza”.
P. Grossi, Incanto
INDICE
Limiti e fonti della retribuzione flessibile..............................................................
1. L’art. 36 Cost.: il diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente 11
1.1. La determinazione giudiziale della retribuzione ex art. 36 Cost. 13
1.2. L’art. 36 Cost. come limite ad una diversa ripartizione del rischio nel contratto di lavoro subordinato 17
2. L’art. 2099 c.c.: le forme di retribuzione 22
3. Retribuzione e livelli della contrattazione collettiva 24
3.1. Gli strumenti per la valorizzazione del secondo livello contrattuale:
l’elemento economico di garanzia retributiva e le c.d. “clausole di uscita” 32
3.2. (Segue) Le linee guida del ccnl per la regolamentazione della retribuzione variabile nel secondo livello contrattuale 39
3.3. Le novità dell’art. 8, l. n. 148 del 2011: cosa cambia? 41
4. Il ruolo della legge nel lavoro privato: le agevolazioni a favore della retribuzione variabile 45
4.1. Gli sgravi contributivi dell’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007 47
4.2. Le agevolazioni fiscali 53
5. Il ruolo della legge nella riforma del lavoro pubblico 57
5.1. I criteri per la differenziazione delle valutazioni introdotti dal legislatore nel 2009 61
5.2. La funzionalizzazione della contrattazione integrativa 63
5.3. I limiti posti alla contrattazione di secondo livello e le conseguenze del loro superamento 65
6. La flessibilizzazione della retribuzione nel contratto individuale e tramite erogazioni unilaterali 68
6.1. Alcuni spunti comparati: la “retribuzione di fatto” in Germania e la “variable pay” in Gran Bretagna 72
Le forme della retribuzione flessibile ....................................................................
1. La retribuzione variabile: precisazioni terminologiche 77
1.1. I risvolti partecipativi della flessibilizzazione della retribuzione: la fissazione degli obiettivi. 80
1.2. Le diverse modalità di regolamentazione della retribuzione variabile 85
2. Gli obiettivi di produttività: definizione e funzioni 87
2.1. Gli obiettivi individuali e di gruppo 90
2.2. Retribuzione di produttività e cottimo 93
2.3. La retribuzione di produttività nei contratti collettivi di secondo livello
3. Gli obiettivi di redditività 100
3.1. Retribuzione di redditività e partecipazione agli utili ex art. 2102 c.c.
......................................................................................................................102
3.2. La retribuzione di redditività: funzione “partecipativa” o di
“flessibilizzazione” del costo del lavoro? 107
4. Alcune considerazioni sulla regolamentazione della retribuzione variabile: gli indici misti 108
4.1. (Segue) Retribuzione variabile e proporzionalità ex art. 36 Cost. 110
4.2. (Segue) Funzione incentivante o funzione redistributiva della retribuzione variabile? 115
5. Dal ciclo di gestione della performance alla retribuzione accessoria 116
5.1. La predeterminazione degli obiettivi nel ciclo di gestione della
perfomance 118
5.2. La performance individuale e quella organizzativa 122
6. Un tentativo di classificare la retribuzione “flessibile” nel contratto di lavoro subordinato 128
6.1. Le clausole in tema di retribuzione flessibile come condizione sospensiva
......................................................................................................................132
6.2. Gli obblighi di buona fede ex art. 1358 c.c. nella fase di pendenza della condizione 136
6.3. Alcune difficoltà qualificatorie per l’eterogeneità della regolamentazione della retribuzione variabile negli accordi aziendali 138
CAPITOLO III 142
Tecniche di tutela e rimedi.....................................................................................
1. Gli strumenti per favorire la contrattazione collettiva di secondo livello: gli obblighi a trattare nel lavoro privato e pubblico 142
2. La ricontrattazione degli obiettivi come strumento di prevenzione del contenzioso sulla retribuzione flessibile 148
3. Il ricorso al giudice: profili problematici delle controversie e proposte della dottrina 152
3.1. Le ricadute della classificazione delle clausole in tema di retribuzione flessibile come condizione sospensiva: la disciplina della fictio di avveramento 157
3.2. L’applicazione dell’art. 1359 c.c. alla retribuzione flessibile 161
4. Gli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie sui sistemi di retribuzione flessibile: le procedure di conciliazione e arbitrato 168
4.1. La conciliazione e gli arbitrati degli artt. 410, 411, 412 e 412 quater
c.p.c 169
4.2. Le procedure di conciliazione e di arbitrato regolate dai contratti collettivi ex art. 412 ter c.p.c 174
BIBLIOGRAFIA 177
INTRODUZIONE
Il tema della “flessibilizzazione della retribuzione” tramite il contratto collettivo di secondo livello aveva già fatto la sua comparsa prima del Protocollo del 23 luglio 19931 ed è stato ampiamente esaminato dalla dottrina2, nonostante non abbia avuto la rilevanza applicativa attesa3.
La stessa espressione “retribuzione flessibile” pare criticabile nella misura in cui si ritenga4 che l’alternativa fra rigidità e flessibilità, anche se appare quella più adeguata a stigmatizzare la realtà ed il dilemma nel quale si dibatte l’attuale disciplina del lavoro, soffre di un’eccedenza di senso convenzionale
«alimentando un immaginario collettivo deformato da miti bugiardi e reali amnesie»5. Si è deciso di utilizzare comunque tale espressione perché, per la sua ampiezza, essa è in grado di abbracciare ogni sistema e forma di retribuzione che rende aleatorio in tutto o in parte il trattamento economico dei lavoratori subordinati, in modo tale da comprendere la retribuzione variabile, il cottimo, le provvigioni, la partecipazione agli utili e la retribuzione accessoria dei dipendenti pubblici privatizzati (cfr. cap. 2, § 1).
Quando ci si occupa del binomio “retribuzione flessibile e contrattazione collettiva” si intendono analizzare le forme impiegate dalla seconda per rendere aleatorio il trattamento economico dei lavoratori subordinati, pur tenendo conto
«della possibilità che le cose vadano in un altro modo»6. Come si vedrà nel corso della presente ricerca, infatti, la contrattazione collettiva non disciplina la
1 Cfr. M. V. BALLESTRERO, Diritto sindacale, Torino, Giappichelli, 2000, 276 ss.; X. XXXXXX, “Share economy”e sistemi retributivi: una guida al dibattito, in Lav. dir., 1991, 2 ss.; M. L. XXXXXXXX, L’economia della partecipazione, Bari, Editori Xxxxxxx, 0000.
2 Fra i tanti contributi, cfr. X. XXXXXXX, Retribuzione incentivante e rapporti di lavoro. L’applicazione dell’accordo sugli incentivi nel settore industriale, Milano, Xxxxxxx, 1994; X. XXXX, Le forme retributive incentivanti, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, 1, 672 ss.
3 Cfr. al riguardo X. XXXXX XXXXXX, Un’introduzione: fonti, struttura e funzioni della retribuzione quindici anni dopo, in Lav. Dir., 2011, 4, 599 ss.
4 Cfr. X. XXXXXXX, Postfazione: un repertorio di immagini del lavoro, in Il lavoro: valore, significato identità, regole, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna, Zanichelli, 2009, 211 ss.; X. XXXXXXXXX, Xx è subito ieri (a proposito di precarietà del rapporto di lavoro), in Riv. It. Dir. Lav., 2007, I, 111 ss.
5 X. XXXXXXXXX, Xx è subito ieri..., op. cit., 112.
6 X. XXXX, Prefazione, in Il lavoro..., op. cit., IX ss.
retribuzione variabile in modo tale da differenziare i trattamenti economici dei lavoratori in base al merito, ma la piega a perseguire una politica egualitaria.
La flessibilizzazione della retribuzione è declinabile in diversi modi: quando rappresenta uno strumento per favorire la crescita delle retribuzioni, essa viene definita “offensiva” (o in termini di “flexibility upwards”7). In questo caso la parte variabile del trattamento economico si aggiunge ad una quota di retribuzione garantita normalmente in misura fissa. Quando invece è finalizzata a ridurre le tutele garantite ai lavoratori, essa viene qualificata “difensiva”8 (ossia come “flexibility downwards”9).
Di regola i contratti collettivi di secondo livello rendono flessibile una quota di retribuzione aggiuntiva rispetto a quella del contratto nazionale di categoria. Non mancano soluzioni interpretative che propongono di rendere variabile una parte più rilevante del trattamento economico dei lavoratori subordinati10, fermi restando i minimi retributivi del contratto nazionale. Se si considera che le retribuzioni dei lavoratori italiani sono fra le più basse in Europa11, la soluzione di regola praticata dai contratti aziendali o territoriali è più auspicabile, perché una flessibilizzazione più ampia rischierebbe di ridurre ulteriormente i trattamenti economici dei lavoratori, soprattutto nell’attuale congiuntura economica. Tale soluzione è preferibile anche perché i sistemi di retribuzione flessibile non consentono di tutelare adeguatamente i lavoratori in talune situazioni (cfr. cap. 3, §§ 3 ss.) e perché gli stessi prestatori hanno
7 X. XXXXXXXXX e X. XXXX, The british case: before and after the decline of collective wage formation, in Collective bargaining and wages in comparative perspective, a cura di X. Xxxxxxxx, Netherland, Kluwer law, 2005, 83 ss.
8 Cfr. al riguardo X. XXXX, La partecipazione azionaria dei dipendenti, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2001, il quale contrappone i piani di azionariato difensivi, finalizzati a ridurre il costo del lavoro nei periodi meno propizi, e quelli offensivi (molto meno frequenti nella prassi) preordinati a favorire la crescita delle retribuzioni e, di conseguenza, il benessere dei lavoratori.
9 X. XXXXXXXXX e X. XXXX, The british case..., op.loc. cit.
10 Cfr., ad esempio, A. NICCOLAI, Retribuzione variabile, minimi salariali e autonomia individuale, in Lav. Dir., 1998, 345 ss.
11 I dati sui livelli delle retribuzioni in Italia sono stati presentati da X. XXXXXX, Consumo e crescita in Italia, Intervento alla 48a Riunione scientifica annuale della società italiana degli economisti, 26 ottobre 2007, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxx/000000, il quale ha mostrato la “curva delle retribuzioni” di Italia, Germania, Francia e Spagna. La curva italiana si pone al di sotto di quella degli altri Stati: ciò dimostra che nel nostro paese le retribuzioni sono più basse che negli altri Stati considerati. Tale dato è richiamato anche da X. XXXXXXXX, La retribuzione ed i criteri della sua determinazione, Relazione relativa alla lezione di dottorato del 19 ottobre 2008, 15 s., il quale sottolinea l’incapacità del contratto nazionale di tutelare le retribuzioni dei lavoratori più deboli.
maggiori difficoltà (rispetto a quanto avviene nella “retribuzione a tempo”) a controllare che il trattamento economico erogato corrisponda a quello spettante in base agli obiettivi conseguiti.
La flessibilizzazione della retribuzione è volta a perseguire principalmente due finalità: quella “partecipativa”, consistente nel far variare il trattamento economico in base all’ability to pay dell’impresa (cfr. cap. 2, §§ 3 ss.), e quella “incentivante”, che indirizza i prestatori verso obiettivi strategici per l’impresa (cfr. cap. 2, §§ 2 ss). Nel primo caso la flessibilizzazione del trattamento economico rappresenta un vantaggio principalmente per l’impresa, perché le consente di ridurre il costo del lavoro quando essa non ottiene risultati positivi sul mercato. Nel secondo, si incentivano i lavoratori a migliorare le modalità di svolgimento della prestazione per raggiungere gli obiettivi dai quali dipende una parte del trattamento economico. In tal modo la retribuzione svolge una funzione strategica perché incentiva i prestatori a perseguire obiettivi rilevanti per l’impresa. Il sistema incentivante dovrebbe inoltre consentire di differenziare i trattamenti economici in base al merito, perché solo i prestatori che hanno conseguito i risultati prefissati maturano il diritto alla quota aggiuntiva di retribuzione.
La retribuzione variabile e quella accessoria disciplinate dai contratti collettivi sono orientate verso tali finalità? Nel lavoro pubblico la retribuzione accessoria è stata erogata “a pioggia” senza valorizzare la produttività dei dipendenti o delle amministrazioni. Per tentare di superare tale trend è stato emanato il d.lgs. n. 150 del 2009.
Nel lavoro privato, come si vedrà nel cap. 1, §§ 3 ss., gli accordi interconfederali non precludono astrattamente di perseguire tali fini, ma le regolamentazioni dei contratti collettivi di secondo livello, di norma, non differenziano i trattamenti economici dei prestatori in base al merito, in quanto perseguono una politica egualitaria (cfr. cap. 2). L’effetto di siffatta disciplina è uno slittamento salariale verso la contrattazione individuale12 che rappresenta l’unico strumento in grado di garantire al datore di lavoro la differenziazione dei trattamenti economici.
12 Cfr. X. XXXXXXXX, La retribuzione.., op. cit., 26.
La regolamentazione della retribuzione flessibile tramite gli accordi collettivi ha aspetti positivi, ma presenta anche profili problematici: la disciplina collettiva dovrebbe fissare obiettivi che contemperino gli interessi delle parti contrapposte, garantire maggiore trasparenza al funzionamento del sistema premiante e rendere i lavoratori fiduciosi della corretta gestione del sistema variabile. Fra i profili problematici si possono annoverare la scarsa diffusione della contrattazione collettiva aziendale nel lavoro privato, che non consente di coprire anche i prestatori occupati nelle imprese di minori dimensioni, e l’“asimmetria informativa” fra i rappresentanti dei lavoratori ed i datori di lavoro: i sindacati normalmente non sono a conoscenza delle prospettive di sviluppo dell’impresa, degli investimenti che questa effettuerà, degli interventi sull’organizzazione eventualmente preventivati..., che sono informazioni di centrale importanza per contrattare gli obiettivi della retribuzione flessibile. Questo elemento rischia di non consentire al sindacato di partecipare in modo effettivo alla fissazione degli obiettivi.
Il sistema retributivo flessibile può inoltre ingenerare controversie fra il datore di lavoro ed i prestatori. Qualora queste abbiano ad oggetto il quantum del premio da erogare, sono risolvibili tramite una consulenza tecnica. Vi sono anche questioni più problematiche connesse al fatto che i sistemi retributivi flessibili sono fortemente legati all’organizzazione aziendale (cfr. cap. 2 e cap. 3): quando vengono fissati gli obiettivi dal cui conseguimento dipende l’erogazione della retribuzione variabile, si prende come presupposto l’organizzazione aziendale esistente. Se l’introduzione di un sistema retributivo flessibile non sembra in grado di obbligare il datore di lavoro a mantenere ferma quell’organizzazione per tutto il periodo di “vigenza” del sistema premiante (di regola annuale), dall’altra, tuttavia, non si può nemmeno negare tutela ai lavoratori che non abbiano conseguito gli obiettivi a causa delle modifiche organizzative apportate dal datore di lavoro. Nel cap. 3, §§ 3 ss. si esamineranno le soluzioni prospettate dalla dottrina e verrà avanzata una diversa proposta ricostruttiva.
Il problema dei sistemi retributivi flessibili è proprio quello di essere sempre “in progress”, «un esperimento da adeguare continuamente in rapporto
ai cambiamenti organizzativi e tecnologici e non un dato acquisito da amministrare»13.
Se si vogliono diffondere maggiormente le forme retributive flessibili non si possono trascurare i problemi ad esse sottesi i quali rischiano, altrimenti, di ridurre le tutele dei lavoratori e i margini di controllabilità sulla retribuzione ad essi spettante.
“Retribuzione flessibile e contrattazione collettiva” è un binomio che continuerà ad essere come quel «pesce senza memoria e senza capacità di riflessione che, finché vivrà nel suo acquario, sbatterà cento volte al giorno contro il vetro continuando a scambiarlo per acqua»14, fintantoché il sindacato non consentirà di differenziare effettivamente a livello aziendale le retribuzioni dei lavoratori in base ad indicatori più sofisticati e non valorizzerà le “virtù” della retribuzione flessibile. Questa possibilità, per ora, rimane una storia di evocazioni ripetute e di incontri mancati15: per questo nell’incipit della presente introduzione si è auspicato che le “cose vadano diversamente”.
00 X. XXXX, Xx forme retributive incentivanti, op. cit., 658.
14 X. XXXXXX, Dalla parte di Xxxxx, Milano, Mondadori, 2010, 352.
15 X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giur. Lav., 2009, 2.
CAPITOLO I
Limiti e fonti della retribuzione flessibile
1. L’art. 36 Cost.: il diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente – 1.1. La determinazione giudiziale della retribuzione ex. art. 36 Cost. – 1.2. L’art. 36 Cost. come limite ad una diversa ripartizione del rischio nel contratto di lavoro subordinato – 2. L’art. 2099 c.c.: le forme di retribuzione – 3. Retribuzione e livelli della contrattazione collettiva – 3.1. Gli strumenti per la valorizzazione del secondo livello contrattuale: l’elemento economico di garanzia retributiva e le
c.d. “clausole di uscita” – 3.2. (Segue) Le linee guida del ccnl per la regolamentazione della retribuzione variabile nel secondo livello contrattuale – 3.3. Le novità dell’art. 8, l. n. 148 del 2011: cosa cambia? 4. Il ruolo della legge nel lavoro privato: le agevolazioni a favore della retribuzione variabile – 4.1. Gli sgravi contributivi dell’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007
– 4.2. Le agevolazioni fiscali – 5. Il ruolo della legge nella riforma del lavoro pubblico – 5.1. I criteri per la differenziazione delle valutazioni introdotti dal legislatore nel 2009 – 5.2. La funzionalizzazione della contrattazione integrativa – 5.3. I limiti posti alla contrattazione di secondo livello e le conseguenze del loro superamento – 6. La flessibilizzazione della retribuzione nel contratto individuale e tramite erogazioni unilaterali – 6.1. Alcuni spunti comparati: la “retribuzione di fatto” in Germania e la “variable pay” in Gran Bretagna.
1. L’art. 36 Cost.: il diritto alla retribuzione proporzionata e sufficiente
L’art. 36 Cost. è la norma cardine in materia retributiva e deve essere presa in considerazione in apertura anche di questa ricerca poiché costituisce un limite a qualsivoglia sistema di flessibilizzazione della retribuzione nel momento in cui riconosce al lavoratore subordinato il diritto ad un trattamento economico “in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”16. Inoltre, come si vedrà nel cap. 2, tale norma solleva problemi rispetto ad alcune modalità di flessibilizzazione del trattamento economico17, nella misura in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Nella formulazione dell’art. 36 Cost. proposta originariamente in sede di assemblea costituente18 la retribuzione doveva corrispondere solo alle necessità
16 X. XXXXXXX, Retribuzione sufficiente e autonomia collettiva, Torino, Giappichelli, 2002; AA. VV., La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di X. Xxxxxx, X. Xxxx, X. Xxxxxxx, Napoli, Xxxxxx, 1994; X. XXXXXXXX, Retribuzione ad incentivo e principi costituzionali, in Arg. Dir. Lav., 1995, 2, 221 ss.; X. XXXXX GRANDI, La retribuzione. Fonti, struttura, funzioni, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. XXXXXXX, La corrispettività nel contratto di lavoro, Napoli, Edizioni Scientifiche, 1994; X. XXXXXXXXX, La retribuzione variabile, Roma, Aracne, 2010; contra X. XXXXXXXX, Retribuzione variabile, minimi salariali e autonomia individuale, in Lav. Dir., 1998, 345 ss.
17 X. XXXXXXX, op. cit., 348 ss.; X. XXXXXXXX, op. cit., 224 s.
18 X. XXXXXX, La nozione di giusta retribuzione nell’art. 36 Cost., in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, 731 ss., ricostruisce l’iter dei lavori dell’assemblea costituente che ha portato all’attuale
fondamentali del lavoratore e della sua famiglia. La versione poi accolta è il risultato di un emendamento proposto in assemblea costituente dall’esponente democristiano Xxxxxxxx e da quello comunista Xxxxxxxxx, i quali vollero attribuire al lavoratore e alla sua famiglia il diritto ad una retribuzione tale da consentirgli di condurre una vita libera e dignitosa19. Solo in tal modo ritenevano di superare il tradizionale atteggiamento di neutralità dello Stato rispetto alle dinamiche di mercato e di rendere la retribuzione uno strumento per la progressiva elevazione delle condizioni di vita dei prestatori.
La proporzionalità e la sufficienza sono i parametri per determinare la retribuzione: il primo, tramite l’imposizione di un’equivalenza economica fra la quantità e la qualità del lavoro svolto ed il trattamento economico corrisposto, consente di inscrivere il contratto di lavoro subordinato fra quelli di scambio a prestazioni corrispettive20. Il secondo, al contrario, sottrae il contratto di lavoro da una logica meramente corrispettiva perché impone che il trattamento economico sia “in ogni caso sufficiente”. La sufficienza è una “qualità anelastica” 21 della retribuzione nella misura in cui impone di garantire a chi lavora una remunerazione che non sia in alcun caso inferiore ad un determinato standard.
Una parte della dottrina distingue nell’ambito del trattamento economico del lavoratore dipendente una “retribuzione-corrispettivo”, strettamente legata alla quantità e qualità del lavoro prestato, ed una “retribuzione-obbligazione sociale”, effetto inderogabile della stipulazione del contratto poiché “permeata dalla tutela di interessi che trascendono il piano dell’autonomia negoziale
formulazione dell’art. 36 Cost., ma anche X. XXXXX, La retribuzione costituzionalmente adeguata e il dibattito sul diritto al salario minimo, in Lav. Dir., 2011, 4, 636 ss.
19 L’intenzione manifestata dai costituenti, poi tradotta nell’attuale formulazione dell’art. 36 Cost., riporta alla memoria un passo dedicato alla remunerazione dei lavoratori di X. XXXXX, La ricchezza delle nazioni, parte I, Il sole 24 ore, Torino, Xx Xxxxxxxx, 2010, 156, ad avviso del quale «un uomo deve sempre vivere del proprio lavoro, e il suo salario deve essere almeno sufficiente a mantenerlo. Talvolta, esso deve essere più che sufficiente; diversamente gli sarebbe impossibile allevare figli, e la stirpe di questi lavoratori non potrebbe durare oltre la prima generazione». Nel periodo riportato emerge l’idea che la retribuzione non debba garantire solo la sopravvivenza del lavoratore, ma anche un quid pluris, seppur, per X. Xxxxx, solo “talvolta”.
20 X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 31 ss., spiega come la “dimensione” corrispettiva rilevi ogni qual volta la retribuzione sia diretta a compensare la quantità e qualità del lavoro prestato.
21 X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 185; X. XXXXXXXXXX, Qualità della prestazione di lavoro subordinato e corrispettività della retribuzione, in Dir. Lav., 1989, 197 ss.
privata”22. La “retribuzione sufficiente” è riconducibile a tale seconda accezione.
I due parametri vanno letti e valorizzati congiuntamente23. Tale assunto non è contraddetto da chi24 ritiene prioritario il requisito della proporzionalità, in quanto impone al giudice di individuare il valore di mercato della prestazione, rispetto a quello della sufficienza, che dovrebbe acquisire una posizione subalterna e di mero “correttivo” per garantire la soglia al di sotto della quale la determinazione negoziale della retribuzione non può spingersi.
1.1. La determinazione giudiziale della retribuzione ex art. 36 Cost.
L’abbondante elaborazione giurisprudenziale in materia di determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost. discende prevalentemente da controversie relative a rapporti di lavoro in cui non trova applicazione il contratto nazionale di categoria ed il prestatore ritiene insufficiente il trattamento economico pattuito nel contratto individuale. In questi casi, per determinare la retribuzione conforme all’art. 36 Cost. la giurisprudenza maggioritaria25 utilizza come parametro i minimi tabellari del contratto collettivo nazionale. Anche se è considerato un indicatore affidabile nel quantificare la “giusta retribuzione”26, in
22 La distinzione di X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 279 ss., è criticata da X. XXXXXX, La nozione..., op. cit., 754 ss., ad avviso del quale nonostante la bipartizione colga la duplice funzione della retribuzione, rischia di porre in ombra la ragione ad essa sottesa: il contratto di lavoro subordinato si caratterizza per un dato contenuto assicurativo in base al quale il datore di lavoro si accolla dei rischi mentre il prestatore paga un “premio assicurativo” per la copertura garantitagli, percependo un trattamento economico inferiore a quello altrimenti ottenibile. Il compenso che il datore di lavoro paga nei periodi in cui il lavoratore non svolge la prestazione (ad esempio, per malattia, infortunio ecc.) o in caso di andamento negativo dell’impresa si giustifica sempre come corrispettivo della prestazione considerata ex ante come soggetta a determinati rischi. Per un approfondimento si veda il § 1.2 e le citazioni in esso riportate.
23 X. XXXX, Commento all’art. 36 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di X. Xxxxxx, Bologna, Zanichelli, 1979, 109 ss.; X. XXXXXXX, Le forme storiche di trattamento retributivo: a tempo, a cottimo e con partecipazione agli utili, testo dell’intervento tenuto il 22 aprile 2010, presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 3 e 17 dattiloscritto; X. XXXXXXX, Retribuzione sufficiente..., op. cit., 68 ss.
24 X. XXXXXXX, Retribuzione sufficiente..., op. cit., 68 ss.
25 Ex multis, Cass., 15 ottobre 2010, n. 21274, in Giust. Civ., Mass., 2010, 10, 1328; Cass., 29
marzo 2010, n. 7528, in Giust. Civ., Mass., 2010, 454; Cass., 9 giugno 2008, n. 15148, in Giust.
Civ., Mass., 2008, 896; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20765, in Dir. & Xxxxx., 2006, 38 ss.; Cass., 28
agosto 2004, n. 17250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7 s.; Cass., 17 marzo 2000, n. 3184, in Dir.
Prat. Lav., 2000, 2015 s.; Cass., 8 agosto 2000, n. 10465, in Riv. It. Dir. Lav., 2001, II, 658 ss., con nota di X. Xxxx.
26 La “retribuzione minima” è considerata “giusta retribuzione”. Di seguito tali espressioni verranno utilizzate come sinonimi, anche se la prima sottolinea maggiormente il fatto che solo
quanto esprime il contemperamento degli interessi delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e di quelle dei datori di lavoro, tale contratto non è assolutamente vincolante per i giudici. In caso contrario si attribuirebbe efficacia erga omnes al contratto collettivo nonostante la mancata attuazione dell’art. 39, seconda parte Cost27.
Di conseguenza, gli orientamenti giurisprudenziali in materia di determinazione della “giusta retribuzione” sono molto eterogenei. Al fine di evitare un eccessivo soggettivismo giudiziale la Cassazione28 ha precisato che il giudice di merito, qualora non si attenga ai trattamenti previsti nel contratto nazionale, deve fornire una congrua motivazione non fondata esclusivamente sulla sua “scienza privata”, ma su elementi quanto più possibile oggettivi, come, ad esempio, dati statistici ufficiali, il potere di acquisto della moneta ecc. In considerazione di tale potere di adeguamento la giurisprudenza si è discostata in senso riduttivo dai minimi di trattamento del contratto nazionale in ragione del più elevato potere di acquisto della moneta in una determinata zona29, del carattere artigianale e delle ridotte dimensioni dell’xxxxxxx00, dello standard
alcune voci del trattamento economico del contratto nazionale di categoria (i c.d. “minimi”) vengono utilizzati nel determinare la giusta retribuzione (cfr. di seguito nel testo). Cfr. Cass., 20 settembre 2007, n. 19467, in Giust. Civ., Mass., 2007, 9, ad avviso della quale «il giudice di merito (...) deve prendere in considerazione solo gli elementi e gli istituti retributivi che costituiscono il c.d. “minimo costituzionale” ovvero che sono espressione, per loro natura, della giusta retribuzione»; in senso analogo, Cass., 18 marzo 2004, n. 5519, in Giust. Civ., Mass., 2004, 3; Cass., 17 gennaio 2004, n. 668, in Giust. Civ.,Mass., 2004, 1; Cass., 13 maggio 2002, n.
6878, in Giust. Civ., Mass., 2002, 827.
27 Una parte della giurisprudenza ritiene invece che i minimi del contratto nazionale siano assolutamente vincolanti nella determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., cfr. Cass., 15 ottobre 2010, n. 21274, in Giust. Civ., Mass., 2010, 1328; Trib. Milano, 15 luglio 1999, in Dir. Prat. Lav.,1999, 12, p. 1168; Cass., 26 giugno 1958, n. 2283, in Riv. Dir. Lav., 1959, II, 473 s.; Cass., 21 febbraio 1952, n. 461, in Riv. Dir. Lav., 1952, II, 188 ss.
28 Cass., 26 luglio 2001, n. 10260, in Mass. Giur. Lav., 2001, 995 ss.
29 Cass., 26 luglio 2001, n. 10260, in Mass. Giur. Lav., 2001, 995 ss., nella quale si precisa che il giudice deve comunque verificare che tale riduzione non comporti “forme di sfruttamento del lavoratore”.
30 Cass., 28 agosto 2004, n. 17250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., 15 novembre 2001, n. 14211, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, II, 299 ss., ad avviso della quale una determinazione dei minimi di trattamento nel contratto individuale in misura minore di quanto previsto nel contratto collettivo nazionale è illegittima se viene giustificata per le condizioni del mercato del lavoro locale (perché l’art. 36 Cost. vuole impedire ogni forma di sfruttamento della forza lavoro, anche quelle che dipendono dal luogo in cui viene svolta la prestazione), ma è pienamente legittima ed incensurabile in sede di legittimità se si fonda sulle modeste dimensioni dell’impresa. In senso contrario si è recentemente espressa Cass., 17 gennaio 2011, n. 896, in Questione Lav., 2011, 5,
64. Cfr. al riguardo X. XXXXX, La retribuzione costituzionalmente..., op. cit., 649 s. e il commento
medio di vita di una certa area, della situazione ambientale e della zona in cui viene resa la prestazione31 e delle condizioni personali e familiari del lavoratore32.
In altre pronunce33 il giudice ha utilizzato come parametro della “giusta retribuzione” un contratto collettivo territoriale o aziendale, quand’anche prevedesse trattamenti economici inferiori ai minimi del contratto nazionale. La prevalenza del contratto di secondo livello è stata giustificata in base alla sua maggiore prossimità agli interessi da regolare ed al principio di specialità34.
Deve essere precisato un ultimo, ma non per questo meno rilevante, profilo: la giurisprudenza maggioritaria35, quando determina la “giusta retribuzione”, di regola non considera tutti gli elementi del trattamento economico del contratto nazionale, ma solo la paga base, l’ex indennità di contingenza e la tredicesima mensilità. Solamente queste voci vengono fatte rientrare nel concetto di “retribuzione minima” da garantire a qualsivoglia lavoratore subordinato, perché le altre previste dal contratto di categoria sono considerate istituti economici espressione di autonomia contrattuale, pertanto applicabili solo ai rapporti regolati dal contratto collettivo in conseguenza dell’affiliazione sindacale delle parti. L’orientamento giurisprudenziale minoritario36 contrapposto a quello appena enucleato ritiene che nel determinare la retribuzione minima il giudice debba considerare come parametro il trattamento economico complessivo previsto dal contratto nazionale. Tale
di X. XXX XXXXXXX, Retribuzione sufficiente e condizioni territoriali: gli orientamenti della giurisprudenza, in Arg. Dir. Lav., 2003, 324 s.
31 Cass., 25 febbraio 1994, n. 1903, in Riv. Giur. Lav., 1994, II, 409 ss.; Xxxx. Xxxxx xxxxx Xxxxxxx, 00 ottobre 1987, in Lav. Prev. Oggi, 1988, 863 ss.
32 Cass., 28 agosto 2004, n. 17250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7.
33 Cass., 20 settembre 2007, n. 19467, in Giust. Civ. Mass., 2007, 9; Cass., 26 marzo 1998, n. 3218, in Not. Giur. Lav., 1998, 199 s.
34 Cass., 20 settembre 2007, n. 19467, in Giust. Civ. Mass., 2007, 9.
35 Ex multis, Cass., 5 novembre 2008, n. 26589, in Guida al Dir., 2008, 49, 66 ss.; Cass., 9 giugno 2008, n. 15148, in Giust. Civ., Mass., 2008, 896; Cass., 20 giugno 2008, n. 16866, in Foro It., 2008, 2811, in cui il giudice richiama solo i minimi tabellari e l’ex indennità di contingenza, ma non la tredicesima mensilità; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20765, in Dir. & Giust., 2006, 38 ss.; Cass., 28 agosto 2004, n. 17250, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., 7 luglio 0000, x. 00000, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., 13 maggio 2002, n. 6878, in Giust. Civ., Mass., 2002, 827.
36 Cass., 24 novembre 1999, n. 13093, in Mass. Giur. Lav., 2000, 234 s.; Cass., 25 novembre 1994, n. 10029, in Riv. Giur. Lav., 1995, II, 470 ss., in dottrina condividono questo secondo orientamento X. XXXX, voce Retribuzione (impiego privato),in Dig. Disc. Priv.,Comm., XII, 431;
X. XXXXXXX, Il salario minimo legale, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, I, 777 s.
interpretazione è maggiormente coerente con l’idea dei costituenti, sottesa all’art. 36 Cost., di garantire tramite la retribuzione minima non solo le esigenze di sostentamento dei prestatori di lavoro, ma un’esistenza libera e dignitosa.
Le controversie relative all’adeguatezza del trattamento economico sorgono anche nei rapporti di lavoro ai quali si applica il contratto collettivo nazionale: è vero che, di regola, esso è assunto come parametro della “giusta retribuzione”37, ma è altrettanto vero che ciò non sottrae i trattamenti economici del contratto collettivo ad una verifica di congruità rispetto all’art. 36 Cost. Tale norma, infatti, contiene un precetto vincolante per il legislatore ordinario, per il giudice e per le organizzazioni sindacali38. In questi casi il giudice valuterà la proporzionalità del trattamento corrisposto al lavoratore rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato e la sua sufficienza e potrà utilizzare come parametri di confronto i minimi retributivi di contratti collettivi di diverse categorie.
La retribuzione minima ex art. 36 Cost. è un elemento essenziale di qualsivoglia contratto di lavoro subordinato.
Se sorge una controversia relativamente all’adeguatezza del trattamento economico che il datore ed il prestatore di lavoro hanno pattuito in forma flessibile, il giudice verifica che il trattamento economico complessivamente erogato al prestatore sia conforme alla retribuzione minima ex art. 36 Cost. 39. In tale valutazione la giurisprudenza non dà rilievo alla consistenza delle singole voci retributive, ma al trattamento complessivo, comprendente la parte di retribuzione eventualmente erogata in forma fissa e quella variabile40. Nel caso in cui il trattamento complessivo, nonostante sia stato reso interamente flessibile, garantisca al prestatore un retribuzione superiore ai minimi, esso è legittimo. In caso contrario il giudice adeguerà la retribuzione al minimo costituzionale.
Il minimo retributivo, anche se non deve necessariamente essere garantito in cifra fissa, non può essere reso aleatorio poiché tutte le volte in cui, a causa
37 X. XXXXXX, Il contratto di lavoro, II, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2003, 131 ss.
38 X. XXXXXXX, Retribuzione sufficiente..., op. cit., 64.
39 Cass., 20 settembre 2007, n. 19467, in Giust. Civ., Mass., 2007, 9; Cass., 7 luglio 0000, x. 00000, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., S.U., 7 marzo 2005, n. 4813, in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, 894 ss.; Cass., 6 dicembre 2002, n. 17407, in Giust. Civ., Mass., 2002, 2140.
40 Cass., 7 luglio 2004, n. 12512, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7.
della flessibilizzazione della retribuzione, il trattamento economico del lavoratore scenda al di sotto dei minimi, egli ha diritto ad un adeguamento della retribuzione ad essi. Al contrario non sorgono problemi finché la retribuzione, quand’anche sia interamente flessibile, garantisce ai prestatori un trattamento economico complessivo superiore ai minimi41.
1.2. L’art. 36 Cost. come limite ad una diversa ripartizione del rischio nel contratto di lavoro subordinato
Secondo una prospettazione, il contratto di lavoro subordinato si caratterizza per una data ripartizione dei rischi fra le parti42, in virtù della quale una serie di impedimenti personali del lavoratore (ad esempio, una malattia, un infortunio, ecc.) e alcune sopravvenienze negative dell’impresa vengono poste nella sfera di rischio del datore e sottratte a quella del prestatore di lavoro. Nonostante si verifichino i suddetti impedimenti, a quest’ultimo è garantita (entro certi limiti) la continuità e stabilità dell’occupazione e del reddito. Per tale motivo il contratto di lavoro subordinato si caratterizza per un determinato “contenuto assicurativo” in base al quale il lavoratore acquista maggiore sicurezza, poiché trasferisce alcuni rischi sul datore di lavoro, ed in cambio paga a quest’ultimo un “premio assicurativo” che si traduce in un più basso livello di reddito.
Questa particolare allocazione del rischio è osservabile anche rispetto alla retribuzione43: al prestatore viene garantita la stabilità del reddito, il quale non
41 Tale ricostruzione è stata sconfessata da un’isolata pronuncia in materia di cottimo, Cass., 10 gennaio 1994, n. 162, in Riv. It. Dir. Lav., 1994, 4, 697 ss., con nota di X. XXXXXXX, Xxxxxx a cottimo e principio di corrispettività, ad avviso della quale se il rendimento del lavoratore a cottimo diviene inferiore a quello minimo per cause a lui imputabili, il giudice può ridurre la retribuzione anche al di sotto dei minimi ex art. 36 Cost.
42 In riferimento alla retribuzione, X. XXXXXX, Lavoro e sindacato tra sicurezza e partecipazione, in Rappresentanza collettiva e diritti di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Lecce, 27 – 28 maggio 2005, 261 ss.;
X. XXXXXX, Consumo e crescita in Italia, Intervento alla 48a Riunione scientifica annuale della società italiana degli economisti, 26 ottobre 2007, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxx/000000; più in generale in relazione al contratto di lavoro subordinato, X. XXXXXX, La nozione..., op. cit., 752 ss.; X. XXXXXX, Xx contratto..., op. cit., 144 ss.; X. XXXXXX, Xxx cosa impedisce ai lavoratori di scegliersi l’imprenditore. Le nuove frontiere delle politiche del lavoro nell’era della globalizzazione, in Il lavoro: valore, significato identità, regole, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna, Zanichelli, 2009, 75 ss.
43 X. XXXXXX, Xxxxxx e sindacato..., op. cit., 262 ss. evidenzia come il prototipo di rapporto di lavoro in cui la retribuzione è compiutamente determinata in corrispondenza di uno standard del
varia al mutare delle condizioni di produttività e/o redditività dell’impresa, in cambio di una sua riduzione. Questa si giustifica perché il datore di lavoro si accolla il rischio di pagare stabilmente la retribuzione, anche in caso di andamento negativo dell’impresa o della produttività del lavoro, ma riceve in cambio dal lavoratore un “premio assicurativo”.
Ciò che interessa ai fini della presente ricerca è verificare se sia possibile ripartire diversamente il rischio fra datore e prestatore di lavoro rendendo aleatoria una parte cospicua della retribuzione, in cambio di maggiori possibilità di guadagno per il prestatore; in caso di risposta positiva si dovrà vagliare entro quali limiti questa diversa ripartizione dei rischi può realizzarsi.
Ad avviso di Ichino44 è necessario distinguere a seconda che il contratto collettivo nazionale si applichi o meno al rapporto di lavoro.
Nel primo caso il contratto nazionale determina il trattamento economico del lavoratore che è composto da una pluralità di elementi. Il “contenuto assicurativo” di questo rapporto di lavoro è piuttosto elevato45 perché al prestatore vanno garantite tutte le voci del trattamento economico del contratto nazionale e l’eventuale “flessibilizzazione della retribuzione” riguarda solo le parti aggiuntive erogate dal contratto collettivo di secondo livello o da quello individuale. Solo questa parte del trattamento economico potrà essere resa flessibile in base all’andamento dell’impresa o ad altri indicatori scelti dalle parti. Ciò, tuttavia, non pare implicare una diversa ripartizione del rischio, poiché il lavoratore non accetta una riduzione del contenuto assicurativo del rapporto di lavoro, che è determinato dal trattamento economico del contratto nazionale interamente garantito, ma solo che venga resa aleatoria la corresponsione di una parte aggiuntiva di retribuzione. Sicuramente se si applica
contratto collettivo, mentre tutti i rischi del risultato dell’attività vengono posti in capo al datore di lavoro, è quello che corrisponde integralmente all’art. 36 Cost. All’estremo opposto vi è il modello del rapporto associato, riconducibile all’art. 46 Cost., nel quale il compenso non è oggetto di un diritto del lavoratore, almeno fin tanto che non si verifichino le condizioni a cui la sua erogazione è subordinata.
44 X. XXXXXX, Xxxxxx e sindacato..., op. cit., 266 ss., ma anche X. XXXXXX, La nozione..., op. cit.,
758 ss.
45 Si tratta di una valutazione fatta non in termini assoluti, ma paragonando la situazione ivi contemplata da quella trattata nelle pagine successive. Non si ignora la sempre minore capacità del contratto nazionale di difendere le retribuzioni dei lavoratori, tema che ha suscitato l’attenzione della dottrina. Cfr. il numero 4 del 2011 di Lav. Dir., e in particolare i contributi di
X. XXXXX, La retribuzione costituzionalmente..., op. cit., 635 ss. e X. XXXXX GRANDI,
Un’introduzione..., op. cit., 599 ss.
il contratto nazionale non vi è spazio per realizzare una diversa ripartizione del rischio tramite il contratto individuale46, il quale non può derogare in peius al contratto collettivo. L’accordo individuale potrebbe rendere flessibile il trattamento economico del contratto nazionale, ma le sue previsioni verrebbero fatte salve, in quanto migliorative, solo nei casi in cui garantissero al prestatore un trattamento complessivamente più favorevole rispetto a quello dell’accordo nazionale47. Il datore di lavoro, tuttavia, non avrebbe interesse a flessibilizzare la retribuzione in un modo che andrebbe solo a vantaggio del prestatore di lavoro, ma non implicherebbe una diversa ripartizione del rischio fra le parti. Le conclusioni sono in parte diverse se si prende in considerazione il secondo livello contrattuale, in quanto esso potrebbe rendere flessibile una parte del trattamento economico del contratto nazionale, purché il trattamento economico complessivo non risulti inferiore alla “retribuzione minima”48. In tal modo il contratto collettivo aziendale deroga in peius al contratto di livello superiore poiché rende incerta l’erogazione di una parte della retribuzione che il contratto nazionale garantiva in forma fissa. Questa soluzione pare praticabile49 perché la giurisprudenza maggioritaria50 afferma che il contratto collettivo di secondo
46 X. XXXXXX, La nozione..., op. cit., 759 ss.
47 Si perviene a tale conclusione perché il raffronto fra il contratto collettivo e quello individuale viene effettuato secondo il criterio del conglobamento: si applica integralmente la disciplina nel complesso più favorevole. Cfr. al riguardo X. XXXXXXX, R. DE XXXX XXXXXX, X. XXXX e X. XXXX, Diritto del lavoro. Il diritto sindacale, Torino, Utet, 2006, 175.
48 Per alcune considerazioni sulle possibili conseguenze derivanti dall’art. 8, l. n. 148 del 2011, vedi il § 3.3.
49 Non si vuole affermare che questa soluzione sia auspicabile, ma solamente vagliarne la praticabilità dal punto di vista teorico.
50 La giurisprudenza maggioritaria riconosce pacificamente la validità delle clausole del contratto collettivo di secondo livello che deroghino alle previsioni del contratto nazionale. In alcuni casi la magistratura giustifica tale soluzione per il carattere paritetico del contratto nazionale e di quello aziendale, espressione entrambi dell’autonomia riconosciuta alle parti sociali a livello collettivo (Cass., 18 giugno 2003, n. 9784, in Giust. Civ., Mass., 2003, 6; Cass., 18 settembre 2007, n. 19351, in Not. Giur. Lav., 2008, 1 e s.; Cass., 12 luglio 1986, n. 4517, in Giust. Civ., Mass.,1986, 7); in altri casi la prevalenza delle clausole del secondo livello contrattuale viene giustificata per la maggiore contiguità agli interessi da tutelare (Cass., 19 aprile 2006, n. 9052, in Giust. Civ., Mass., 2006, 4; Cass., 19 maggio 2003, n. 7847, in Giust. Civ. Mass., 2003, 5). Tale orientamento è confermato anche da quelle pronunce che, nel determinare la retribuzione minima, utilizzano quale parametro i contratti collettivi aziendali o territoriali quand’anche deroghino in peggio alle previsioni del contratto nazionale (Cass. 20 settembre 2007, n. 19467, in Giust. Civ., Mass., 2007, 9; Cass., 26 marzo 1998, n. 3218, in Not. Giur. Lav., 1998, 199 s.). In senso contrario si esprimeva la giurisprudenza più risalente e si esprime qualche isolata sentenza più recente (Cass., 17 novembre 2003, n. 17377, in Mass. Giur. Lav., 2004, 2 ss.) nell’intento di valorizzare il riparto di competenze fra i diversi livelli
livello è legittimato a modificare anche in senso peggiorativo il contratto nazionale. In tal modo si realizza una ripartizione del rischio diversa da quella contemplata dal contratto nazionale, poiché una parte del trattamento economico che quest’ultimo prevedeva in forma fissa viene resa aleatoria in cambio di maggiori chances di guadagno per il lavoratore.
Se, al contrario, il contratto nazionale di categoria non si applica al rapporto di lavoro, al prestatore non deve essere necessariamente garantito tutto il trattamento economico in esso previsto, ma solo i minimi retributivi.
Secondo Xxxxxx00 in questa ipotesi il datore ed il prestatore di lavoro con il contratto individuale sarebbero in grado di optare per una diversa ripartizione del rischio: il lavoratore potrebbe accettare la flessibilizzazione di una parte cospicua del trattamento economico che vada ad incidere anche sui minimi retributivi. In questo modo egli rinuncia alla sicurezza e alla stabilità del reddito in cambio di maggiori opportunità di guadagno. In determinati periodi tale sistema garantirebbe ai prestatori dei trattamenti economici notevolmente superiori a quelli normalmente praticati: in questi momenti non si porrebbero problemi perché il trattamento economico complessivo erogato al lavoratore sarebbe superiore ai minimi, anche se sarebbe determinato prevalentemente in base ad elementi variabili. In altri periodi tale sistema potrebbe causare una discesa della retribuzione ben al di sotto dei minimi del contratto collettivo nazionale. In questi casi il lavoratore ricorrerebbe al giudice per l’insufficienza, e quindi la difformità rispetto all’art. 36 Cost., del trattamento economico corrispostogli. Se si considerano gli orientamenti giurisprudenziali esaminati nel precedente paragrafo, si può ritenere che il giudice sconfesserà la diversa ripartizione del rischio sperimentata dalle parti perché l’art. 36 Cost. impone di garantire ai lavoratori una retribuzione “in ogni caso sufficiente”, che viene
contrattuali fissati dalle parti sociali nell’ambito dell’ordinamento intersindacale. La soluzione accolta dalla giurisprudenza maggioritaria è oggi avallata anche dall’A.I. del 28 giugno 2011 e dall’art. 8, l. 14 settembre 2011, n. 148. Con tale intervento normativo il legislatore ha riconosciuto ai contratti di “prossimità” non solo il potere di derogare in peius agli accordi nazionali, ma anche quello di derogare alle norme di legge. Cfr. al riguardo X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro, in WP Xxxxxxx X’Xxxxxx, 132/2011; X. XXXXXXX, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP Xxxxxxx X’Xxxxxx, 133/2011.
51 X. XXXXXX, Xxxxxx e sindacato..., op. cit., 267 ss.
identificata nei minimi del contratto nazionale di categoria. Pertanto, il trattamento economico del prestatore verrà adeguato ad essi.
In considerazione di quanto affermato, le possibilità di ripartire diversamente il rischio fra le parti nel contratto di lavoro subordinato paiono piuttosto limitate sia se si applica52, sia se non si applica il contratto collettivo nazionale, in quanto il lavoratore ha diritto in ogni caso ad una retribuzione minima garantita.
Tale soluzione ermeneutica ha reso inaccoglibili le teorie della “partecipazione economica” che si proponevano di legare la maggior parte della retribuzione dei lavoratori dipendenti ad indicatori correlati all’andamento dell’impresa53. Ad avviso di Xxxxxxxx, uno dei maggiori fautori di questa ricostruzione, solo l’abbandono di un sistema retributivo fisso avrebbe consentito di superare la “stagflazione”54 data dalla combinazione di elevati tassi di inflazione e di disoccupazione. Si tratta di una ricostruzione oggi ampiamente superata e criticata da quegli economisti55 che valutano positivamente l’esistenza di un minimo retributivo garantito a tutti i lavoratori subordinati: per essi il “salario di equità” è una regola o prassi, presupposto per il funzionamento dell’economia capitalista, che favorisce scambi più rapidi e comportamenti cooperativi fra le parti poiché rende prevedibile l’altrui condotta56.
52 Il rapporto di lavoro regolato dal contratto di categoria si caratterizza, in materia retributiva, per un contenuto assicurativo più elevato rispetto a quello cui tale accordo non si applica: mentre nel primo devono essere garantite tutte le voci del trattamento economico del contratto nazionale, nel secondo possono essere attribuite somme che siano corrispondenti solo ai minimi costituzionali. La riduzione del contenuto assicurativo di un rapporto disciplinato dal contratto nazionale è possibile e porta il contenuto assicurativo di questo ad un livello analogo a quello di un rapporto cui tale contratto non si applica.
53 X. XXXXXXXX, L’economia della partecipazione, Bari, Laterza, 1985; L.J. XXXXX,
Agathopia: l’economia della partnership, Milano, Feltrinelli, 1989.
54 X. XXXXXXXX, op. cit.,12 ss., il quale definisce come “stagflazione” la combinazione fra elevati tassi di inflazione e di disoccupazione che caratterizza le economie moderne.
55 R.M. XXXXX, Il mercato del lavoro come istituzione sociale, Bologna, Il Mulino, 1990; X. XXXXXXXXX, Elogio della rigidità. La “giusta retribuzione” tra norma giuridica e teoria economica, in Economia pol., 2001, 1, 3 ss.
56 Per una più dettagliata disamina di queste ricostruzioni, cfr. R.M. XXXXX, Il mercato..., op. cit., 48 ss. e X. XXXXXX e X. XXXXXXXXX, Il diritto del lavoro e la teoria economica: una rivisitazione, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 1999, 4, 587 ss.
2. L’art. 2099 c.c.: le forme di retribuzione
L’art. 2099 c.c. prevede che la retribuzione del lavoratore possa essere a tempo o a cottimo (comma 1) o con partecipazione agli utili, ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura (comma 3). Si tratta di una norma che “non è toccata da una mano felice” 57 perché inizialmente pone la retribuzione a tempo e quella a cottimo come due uniche forme alternative di remunerazione, mentre poi nel comma 3 se ne ammettono anche altre.
La contrattazione collettiva e quella individuale sono legittimate a prevedere altre forme di retribuzione poiché l’elencazione dell’art. 2099 c.c. è meramente esemplificativa. Ciò è dimostrato, ad esempio, dalla retribuzione variabile disciplinata dalla contrattazione collettiva di secondo livello.
L’affermazione di una parte della dottrina58 secondo cui l’art. 2099 c.c. non è “foriero di una diversa funzione della retribuzione, quanto di una differente modalità retributiva” non pare pienamente condivisibile: quando la norma fu emanata nel 1942, cioè prima dell’entrata in vigore della costituzione, le forme retributive elencate dall’art. 2099 c.c. esprimevano diverse modalità, che potevano anche essere pienamente alternative l’una all’altra, di remunerare i lavoratori subordinati. Ciò non escludeva che la scelta dell’una o dell’altra modalità retributiva dipendesse dalla volontà dell’impresa di valorizzare una diversa funzione del trattamento economico. Per fare un esempio, l’adozione di un sistema di retribuzione a cottimo pieno si poneva come modalità alternativa alla retribuzione a tempo, ma aveva anche la funzione di incentivare i lavoratori ad accrescere il rendimento ed il ritmo produttivo. In considerazione di ciò, non si nega che l’art. 2099 c.c. contempli diverse modalità retributive, ma nemmeno che esse siano espressione di diverse funzioni del trattamento economico.
L’art. 2099 c.c., tramite la retribuzione a tempo, quella a cottimo e la provvigione, ammette che il collegamento prestazione/retribuzione venga realizzato in modi eterogenei per migliorare lo scambio fra le parti. Diversamente, con la partecipazione agli utili evidenzia come una parte del trattamento economico possa essere “sganciata” dalla prestazione lavorativa svolta, per essere legata all’andamento dell’impresa.
57 X. XXXXXX, Organizzazione dell’impresa ed evoluzione dei rapporti giuridici. La retribuzione a cottimo, in Riv. Dir. Lav., 1968, 6.
58 X. XXXXXXXXX, La retribuzione..., op. cit., 3 ss.
La retribuzione a tempo è quella maggiormente praticata dalla contrattazione collettiva poiché imputa al datore di lavoro il rischio del rendimento e della produttività del lavoro. Questa forma di remunerazione è preferita dalle organizzazioni sindacali perché garantisce tendenzialmente parità retributiva ai prestatori inquadrati al medesimo livello e perché sottrae il lavoratore a quel continuo “stress da esame”59 che altre forme quali, ad esempio, il cottimo, la retribuzione di produttività ecc., implicano. Quando il sindacato determina una parte, anche rilevante, del trattamento economico in base al tempo di lavoro compie una scelta condivisibile, perché sottrae questa quota di retribuzione a qualsivoglia rischio, in considerazione del fatto che il lavoratore subordinato svolge la sua prestazione nell’ambito di un’organizzazione produttiva predisposta da altri e sotto le altrui direttive. Al contrario, le organizzazioni sindacali non valorizzano il trattamento economico come risorsa per gestire il capitale umano in modo strategico, quando determinano la retribuzione interamente in base al tempo di lavoro. Tale scelta presuppone che“il tempo misuri il lavoro come la bilancia pesa lo zucchero”60, ma pare contestabile perché non sempre la prestazione lavorativa è valutabile ed organizzabile in base all’orario.
Il cottimo è un’altra forma di remunerazione modellata in funzione della prestazione resa dal lavoratore e viene utilizzato quando le imprese hanno un interesse ad accrescere il ritmo produttivo tramite l’intensificazione del lavoro. Questo sistema consente di perseguire tale obiettivo poiché garantisce aumenti retributivi a quei prestatori che hanno un rendimento superiore a quello dei lavoratori di “normale operosità”.
La provvigione fa dipendere il trattamento economico del lavoratore dal numero degli affari trattati o conclusi per il datore di lavoro. Essa consente di migliorare il sinallagma prestazione/retribuzione perché incentiva il lavoratore a concludere il maggior numero di affari possibile per il datore di lavoro. Il trattamento economico complessivo percepito dal lavoratore retribuito tramite provvigioni non può essere inferiore ai minimi dell’art. 36 Cost. Questa
59 X. XXXXXX, Il contratto..., op. cit., 156.
60 X. XXXX, Lavoro salariato e capitale, Milano, Bompiani, 2008, cit. in X. XXXXXX, Un itinerario sui tempi di lavoro, in Riv. Giur. Lav., 2009, 2, 252 ss., ad avviso del quale Xxxx non aveva sempre torto, perché esistono delle prestazioni nelle quali è il tempo di lavoro a produrre valore. Per esse il tempo è certamente l’unità di misura più adeguata.
conclusione dipende dalla particolare allocazione dei rischi implicata dal contratto di lavoro subordinato: se tutta l’alea relativa alla conclusione degli affari fosse posta in capo al lavoratore, ci si troverebbe dinanzi ad un rapporto di lavoro autonomo nel quale l’agente non ha alcun trattamento minimo garantito, ma ha al contempo la possibilità di conseguire maggiori guadagni nei periodi più propizi61.
Nella partecipazione agli utili la retribuzione del lavoratore dipende dall’andamento dell’impresa: tale forma di remunerazione sarà presa in considerazione nel cap. 2 quando si tratterà dei premi di redditività, poiché viene richiamata dalla dottrina62 per giustificare forme retributive non dirette a remunerare la quantità e qualità del lavoro svolto.
L’art. 2099, comma 3, c.c. prevede che i lavoratori siano retribuibili “in tutto o in parte” tramite le forme appena descritte. La disposizione codicistica si giustifica perché è antecedente all’emanazione della costituzione, a seguito della quale l’art. 36 Cost. riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione minima che deve essere sempre garantita.
3. Retribuzione e livelli della contrattazione collettiva
Esiste un legame fortemente sinergico fra retribuzione e contratto collettivo63 poiché quest’ultimo ha fra i suoi compiti principali quello di determinare il trattamento economico dei lavoratori subordinati, tanto da essere stato inizialmente definito “concordato di tariffa”64.
61 Cass., 23 gennaio 2006, n. 1261, in Riv. It. Dir. Lav., 2007, II, 31 ss.; Pret. Bologna, 15 ottobre 1985, Inf. Previd., 1986, 1323 s., ad avviso della quale la distinzione fra le prestazioni di lavoro subordinato retribuite tramite provvigioni e quelle di agenzia discende dalla maggior libertà ed autonomia dell’agente nello svolgimento del lavoro, ma anche dalla diversa ripartizione del rischio fra le parti, in quanto al prestatore subordinato va garantita la retribuzione minima ex art. 36 Cost. Al riguardo si può far riferimento a X. XXXXXX, Il contratto di agenzia, Bologna, Zanichelli, 1970, 11 ss., il quale evidenzia come l’agente inizialmente fosse un impiegato. La regolamentazione del “contratto di agenzia” come rapporto di lavoro autonomo è giustificata dalla volontà di eliminare alcune spese fisse e non sempre produttive (quale, in particolare, la retribuzione) e di scaricare sull’agente, e non più sul datore di lavoro, il rischio del collocamento dei prodotti. Cfr. anche X. XXXXXX, La nozione..., op. cit., 762 ss.
62 X. XXXXXXX, Le forme..., op. cit., 3 ss.
63 Cfr. X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in Riv. It. Dir. Lav.,
2010, I, 693 s.
64 X. XXXXXXX, I concordati di tariffe nell’ordinamento giuridico del lavoro, in Riv. Dir. Comm.,
1905, I, 458 ss.
Per occuparsi della retribuzione è necessario considerare le complesse dinamiche che investono la contrattazione collettiva: in via convenzionale si prendono le mosse dal Protocollo del 23 luglio 199365, definito come il “sistema costituzionale”66 delle relazioni industriali, che, dopo aver affermato l’esistenza di un doppio livello contrattuale (uno nazionale ed uno, alternativamente, territoriale o aziendale), ha disciplinato i rapporti fra gli accordi di diverso livello. Con tale regolamentazione le parti sociali si proponevano di prevenire i conflitti fra i diversi livelli contrattuali e di superare «le tradizionali anomalie del sistema retributivo e contrattuale italiano»67. Nell’assetto tracciato dal Protocollo del 1993 veniva assegnato un ruolo preminente al contratto nazionale di categoria che, in materia retributiva, doveva adeguare i trattamenti economici ai tassi di inflazione e poteva adattarli anche agli incrementi settoriali di produttività. Il contratto collettivo di secondo livello era legittimato ad intervenire sulle materie espressamente rinviate dal contratto nazionale e su istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del contratto nazionale. Il § 2.3 del Protocollo riconosceva una competenza esclusiva al contratto di secondo livello nella regolamentazione della retribuzione variabile.
Il Protocollo del 1993 è stato “superato”68 dall’accordo quadro (A.Q.) del 22 gennaio 2009 e dagli accordi interconfederali emanati in sua attuazione69, i quali hanno confermato a grandi linee il sistema precedente, seppur con alcune modifiche volte a rafforzare il secondo livello contrattuale, poiché in seguito al Protocollo del 1993 quest’ultimo era ripartito, ma non era mai veramente
65 Per un’analisi dettagliata del Protocollo del 23 luglio 1993, cfr. X. XXXX, L’accordo del 23 luglio 1993: assetto contrattuale e struttura della retribuzione, in Riv. Giur. Lav., 1993, 215 ss.;
X. XXXX, Le funzioni della retribuzione, Bari, Xxxxxxx, 1997; X. XXXX, Struttura della contrattazione collettiva e rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in Istituzioni e regole del lavoro flessibile, Napoli, Editoriale scientifica, 2006, 301 ss.
66 Come ha definito il protocollo del 1993 l’allora ministro del lavoro X. Xxxxxx, in X. XXXX,
L’accordo..., op. cit., 215.
67 X. XXXX, Struttura della contrattazione..., op. cit., 302.
68 L’espressione “superato” è stata virgolettata in conseguenza del fatto che l’accordo quadro (A.Q.) del 22 gennaio 2009 non è stato siglato dalla confederazione maggiormente rappresentativa, la CGIL, che rivendicava l’applicazione del Protocollo del 1993. L’unitarietà fra le confederazioni è stata raggiunta nuovamente nell’A.I. del 28 giugno 2011, nel quale tutte le confederazioni ribadiscono l’importanza di regole per il sistema di relazioni industriali fissate in modo unitario.
69 Si deve menzionare l’A.I., 15 aprile 2009 per il settore industriale, l’A.I. Confservizi del novembre 2009 e l’A.I. del settore agricolo del 22 settembre 2009. Di seguito, quando si farà riferimento all’A.I. del 2009, ci si riferirà all’A.I. dell’industria.
decollato70. Da ultimo è intervenuto l’A.I. del 28 giugno 2011 con il quale è stata nuovamente raggiunta l’unità sindacale.
Il succedersi di diversi A.I., quello del 15 aprile del 2009 al quale non ha aderito la CGIL ed il successivo A.I. del 28 giugno 2011 nel quale è stata ritrovata l’unità sindacale, ha portato la dottrina71 ad interrogarsi sui rapporti fra di essi. La vigenza delle intese del 1993 e del 2009 rimane tuttora controversa72, in quanto l’A.I. del 28 giugno 2011 non interviene su una serie di questioni regolate dai precedenti accordi: per quanto interessa ai fini della presente ricerca, l’A.I. del 2011 non disciplina la retribuzione variabile, anche se la richiama nel § 8, e l’elemento economico di garanzia retributiva. Per questi aspetti si ritiene tuttora “vigente” l’A.I. 15 aprile del 2009, in quanto la disciplina ivi contenuta «non sembra singolarmente incompatibile con le misure concordate nel 2011»73. L’A.I. del 2011 ha invece modificato la regolamentazione delle “clausole di uscita” dell’A.I. del 2009: in tal caso l’ultima disciplina prevale su quella antecedente. Di seguito, per quanto non espressamente regolato dall’A.I. del 2011, si continueranno a richiamare le misure dell’A.I. del 15 aprile 2009 in attesa dei rinnovi dei contratti nazionali che consentiranno di verificare come le parti sociali avranno regolato i profili non contemplati dall’A.I. del 2011.
L’A.I. del 15 aprile 2009 conferma il sistema di contrattazione collettiva fondato su due livelli, ma riduce il ruolo dell’accordo nazionale in materia retributiva nell’intento di favorire la diffusione del secondo livello contrattuale74: all’accordo nazionale viene riconosciuto esclusivamente il
70 X. XXXX, Struttura della contrattazione..., op. cit., 305; nello stesso senso si esprime X. XXXXXXXXXX, Il contratto collettivo aziendale e decentrato, Milano, Xxxxxxx, 2001; X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e produttività: cronaca di evocazioni (ripetute) e di incontri (mancati), in Riv. Giur. Lav., 2009, 2, 299 ss., il quale più volte evidenzia che se si vuole veramente sviluppare un sistema contrattuale su due livelli è necessario elaborare degli strumenti per favorire la contrattazione territoriale, la quale è più adeguata nei settori in cui prevalgono imprese di piccole dimensioni.
71 X. XXXX, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, saggio sulla relazione tenuta al Seminario di Bertinoro, Bologna, 26-27 ottobre 2011, sul tema “All’inseguimento di un “Sistema stabile ed effettivo”: dall’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 all’art. 8 della legge di conversione del D.L. n. 138/2011”; X. XXXXXXX, L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace, in Arg. Dir. Lav., 2011, 457 ss.
72 Cfr. X. XXXX, L’accordo interconfederale..., op. cit., 6.
73 Cfr. X. XXXX, L’accordo interconfederale..., op. cit., 7.
74 La tendenza non è univoca: se in materia retributiva pare incontestabile la volontà di ridurre il ruolo del contratto nazionale, ciò non è vero in generale. Infatti permane il ruolo di centro
compito di salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni75, mentre quello di accrescere in termini reali il trattamento economico viene affidato totalmente al secondo livello contrattuale. In relazione a questo aspetto il Protocollo del 1993 aveva compiuto una scelta diversa: le parti sociali erano partite dal presupposto della scarsa diffusione della contrattazione aziendale e territoriale ed avevano previsto che il contratto nazionale non solo dovesse adeguare i minimi retributivi agli incrementi del costo della vita, ma potesse anche distribuire ai lavoratori i margini di produttività creati in un determinato settore76. In quest’ultimo modo gli accordi nazionali determinavano aumenti reali delle retribuzioni. Ci si chiede se la diversa scelta compiuta dalle parti sociali negli accordi del 2009 sia espressione di scarso senso della realtà, in quanto queste non prendono atto della ridotta diffusione del secondo livello contrattuale e, di conseguenza, del fatto che la maggioranza dei lavoratori rimarranno privi di incrementi retributivi reali contrattati dalle organizzazioni sindacali77, o se si tratti di una scelta determinata dalla fiducia nei meccanismi introdotti dagli accordi del 2009 per favorire la diffusione del contratto collettivo di secondo livello.
Le confederazioni confermano che il contratto di secondo livello è, alternativamente, aziendale o territoriale78. Il parziale fallimento del Protocollo
regolatore del contratto nazionale ed, anzi, il fatto che il contratto di secondo livello venga legittimato ad intervenire non più sulle materie “rinviate” dal contratto di livello superiore, ma su quelle “delegate” «sembra configurare in termini più accentuatamente gerarchici il rapporto fra i due livelli di contrattazione», cfr. X. XXXXXX, Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’”archetipo” FIAT di Pomigliano d’Arco, in Quad. Rass. Sind., 2011, 3, 2 ss.; cfr. anche X. XXXX, L’accordo interconfederale..., op. cit., 6 ss.
75 X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto..., op. cit., 707 ss.; X. XXXXXXX, Retribuzione, produttività e assetti contrattuali a quindici anni dal Protocollo Ciampi, in Scritti in onore di Xxxxxxx Xxxxx, tomo I, Xxxx, Xxxxxxx, 2008, 113 ss.; X. XXXX, Le forme retributive incentivanti, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, 1, 640 s.; X. XXXXXXXXX, La retribuzione..., op. cit., 34 ss.
76 Il protocollo del 1993 al § 2.3 prevedeva che la produttività sulla base della quale erogare la retribuzione variabile dovesse essere “eccedente quella eventualmente già utilizzata per riconoscere gli aumenti retributivi a livello di ccnl”. In tal modo riconosceva all’accordo nazionale il potere di determinare crescite delle retribuzioni non solo per adeguarle all’inflazione, ma anche per distribuire fra i lavoratori i benefici derivanti dalla crescita della produttività eventualmente realizzatasi in un dato settore.
77 Gli incrementi rispetto alle retribuzioni del contratto nazionale possono essere riconosciuti anche sotto forma di superminimi contrattati individualmente fra il datore di lavoro ed il prestatore.
78 L’A.I. del 28 giugno 2011 richiama come secondo livello solo il contratto collettivo aziendale e non affronta la possibile alternativa rappresentata dalle intese territoriali. Da questo punto di vista pare che la soluzione sia rimessa agli accordi di categoria che ben potrebbero contemplare
del 1993 era imputabile al fatto di non essere riuscito a favorire un sistema contrattuale fondato effettivamente su due livelli. Questo era dipeso dalla scelta, compiuta in molti contratti nazionali, di incentivare come secondo livello il contratto aziendale79, mentre quello territoriale era rimasto appannaggio dei settori nei quali si era storicamente affermato80. Se si considera che nel nostro sistema economico prevalgono imprese di piccole o medio-piccole dimensioni e che in tali realtà produttive manca la contrattazione collettiva aziendale perché essa è un costo per l’impresa, non compensato da vantaggi tali da incentivarne l’introduzione, si comprende la ragione per cui il doppio livello contrattuale non è mai veramente decollato ed è rimasto appannaggio delle imprese di maggiori dimensioni81. La contrattazione territoriale82 può rappresentare lo strumento per favorire la diffusione di un sistema contrattual-collettivo su due livelli se si considera che nelle imprese minori la contrattazione aziendale non è mai penetrata e sembra difficile che lo riesca a fare in futuro.
l’accordo territoriale come secondo livello, in luogo del contratto aziendale. Cfr. X. XXXX,
L’accordo interconfederale..., op. cit.,7 s.
79 Cfr. recentemente l’art. 4 bis, contenuto nell’integrazione apportata il 29 settembre 2010 al contratto nazionale separato dei metalmeccanici siglato il 15 ottobre 2009, il quale richiama solo il contratto aziendale come secondo livello. Cfr. al riguardo X. XXXXXXXXXX, La contrattazione collettiva: prove di de-costruzione di un sistema, in Lav. Dir., 2011, 2, 326 ss.; cfr anche X. XXXXXXX, Retribuzione, produttività..., op. cit., 120 s., il quale afferma che «l’attuale prassi nell’ambito di specifici settori fa sì che ben difficilmente possa assistersi ad una significativa diffusione della contrattazione di secondo livello e, conseguentemente, dell’istituto della retribuzione di risultato, in quei settori nei quali i contratti nazionali abbiano operato una scelta esclusiva a favore della contrattazione aziendale eleggendo esclusivamente quest’ultima quale sede del secondo livello contrattuale ed al contempo si riscontri (...) una forte presenza di micro- imprese».
80 Storicamente la contrattazione territoriale si è sviluppata nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura; negli ultimi anni si è diffusa anche nel settore dell’artigianato. Cfr. al riguardo
X. XXXX, Effettività e competenze della contrattazione decentrata nel lavoro privato alla luce degli accordi del 2009, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2010, 2, 362 ss.; X. XXXXXXXXX, La retribuzione..., op. cit., 23 s. e X. XXXXXXX, Retribuzione, produttività..., op. cit., 121.
81 I dati sulla diffusione della contrattazione collettiva aziendale non sono sempre omogenei. Ciò dipende prevalentemente dalle diverse dimensioni delle imprese considerate per valutare lo sviluppo della contrattazione di secondo livello: X. XXXXXX, Gli assetti della contrattazione integrativa dopo il d.lgs. n. 150 del 2009 e la finanziaria d’estate: ratio di una riforma, in WP Xxxxxxx X’Xxxxxx, 110/2010, 8, evidenzia come la contrattazione aziendale nel settore privato copra non più del 30% dei lavoratori nelle imprese con più di 30 dipendenti, mentre sia quasi completamente assente in quelle di dimensioni inferiori. Cfr. anche X. XXXXXXXXX, Le relazioni industriali a livello di impresa, in Le relazioni industriali dopo il 1993. Un decennio di studi e ricerche, a cura di C. Xxxx’Xxxxxx e X. Xxxxxxxx, Milano, Xxxxxx Xxxxxx, 2005, 233 ss.
82 X. XXXXXXXXXX, Il contratto collettivo..., op. cit.; X. XXXXXXX, Retribuzione, produttività..., op. cit., 120 ss.; X. XXXX, Effettività e competenze..., op. cit., 362 ss.
Gli accordi del 2009 hanno mantenuto la situazione esistente e non hanno favorito lo sviluppo degli accordi territoriali poiché hanno ribadito l’esistenza di un doppio livello di contrattazione collettiva aziendale “o alternativamente territoriale, laddove previsto, secondo l’attuale prassi”83. Da questo punto di vista l’A.I. del 28 giugno 2011 non contempla il contratto territoriale come secondo livello, facendo insorgere qualche interrogativo circa la possibilità di richiamare l’A.I. del 15 aprile 200984.
È stata confermata la competenza esclusiva del contratto collettivo di secondo livello in materia di retribuzione variabile.
Tale parte del trattamento economico viene solo richiamata ma non regolata dal § 8 dell’A.I. del 28 giugno 2011. Per questo motivo, per la sua disciplina, si ritiene tuttora applicabile l’A.I. del 15 aprile 2009, al quale si farà riferimento di seguito.
La retribuzione variabile è, di regola, una parte aggiuntiva al trattamento economico del contratto nazionale, la cui erogazione è incerta nell’an e nel quantum poiché dipende dal conseguimento di obiettivi di miglioramento della produttività, della qualità, dell’efficacia ecc., che devono essere predeterminati dal datore di lavoro e dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori. La retribuzione variabile non dovrebbe essere erogata ai lavoratori che non conseguano i risultati predeterminati ed il suo ammontare dovrebbe variare in base al livello di raggiungimento degli obiettivi85.
Il § 3.3 dell’A.I. del 2009 con una formulazione in parte diversa da quella del Protocollo del 1993, prevede che “il premio variabile sarà calcolato con riferimento ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi, concordati fra le parti, aventi come obiettivo incrementi di produttività, di qualità, di redditività di efficacia, di innovazione, di efficienza organizzativa ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività aziendale nonché
83 X. XXXX, Effettività e competenze..., op. cit., 364, parla di “clausola di congelamento dell’esistente” in relazione alla parte di accordo che richiama la necessità di favorire lo sviluppo della contrattazione territoriale “secondo l’attuale prassi”; cfr. anche X. XXXXXXXX, Livelli di contrattazione e trattamenti retributivi, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxx, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Istituto giuridico, 2011, 571 ss.
84 Cfr. nota 78 e X. XXXX, L’Accordo interconfederale..., op. cit., 7 s.
85 Cfr. X. XXXXXXXX, La retribuzione incentivante alla Fincantieri di Castellamare di Stabia, in Retribuzione incentivante e rapporti di lavoro, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1994, 77 ss. che evidenzia proprio un sistema di “produttività a scalini”.
ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa”. Ad avviso della dottrina maggioritaria86 la retribuzione variabile regolata nell’A.I. del 2009 non ha una finalità selettiva e meritocratica poiché non è destinata a remunerare quei dipendenti che abbiano reso una prestazione qualitativamente o quantitativamente rilevante, ma premia in modo indistinto il personale quando l’impresa ha un andamento positivo sul mercato. Questa interpretazione dipende dalla valorizzazione del richiamo alla “competitività aziendale” e “all’andamento economico dell’impresa” da cui dovrebbero dipendere tutti gli obiettivi precedentemente elencati, siano essi di produttività, di qualità, di redditività o di efficienza organizzativa.
Tale soluzione ermeneutica non convince pienamente e pare maggiormente condivisibile l’opinione opposta87, ad avviso della quale la formula dell’A.I. del 2009 è in grado di coprire tutti i sistemi di retribuzione variabile legati sia ai caratteri della prestazione sia ai parametri di risultato generale dell’impresa. Nella parte iniziale del § 3.3 dell’A.I. del 2009 si richiamano, fra gli altri, gli obiettivi di produttività, di qualità, di efficacia, di innovazione, riferibili, oltre che all’andamento dell’impresa, anche a particolari qualità delle prestazioni rese dai lavoratori. Le parti sociali consentono di legare la retribuzione variabile anche ad “altri elementi” (diversi da quelli precedentemente elencati), i quali soli devono essere necessariamente preordinati a migliorare la competitività aziendale. Si potrebbe obiettare che la finalizzazione ad accrescere la competitività dell’impresa non si riferisca solo agli “altri elementi”, ma anche a tutti quelli precedentemente elencati. Quand’anche questa fosse l’interpretazione più corretta, non sembra di potersi escludere che un sistema premiante, volto ad incentivare le prestazioni che si distinguano dalle altre sotto il profilo qualitativo o quantitativo, consenta di migliorare la competitività dell’impresa, in particolare in quei settori in cui la forza lavoro ha una funzione strategica.
Meno chiara è l’ultima parte della disposizione - “nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa”- che è identica a quella contenuta nel Protocollo del 1993: la formula non sembra richiedere che tutti gli obiettivi elencati in precedenza debbano essere riferiti all’andamento dell’impresa, ma
86 X. XXXXXXX, Le forme..., op. cit., 5 ss.; X. XXXXXXXXX, La retribuzione..., op. cit., 48 ss.
87 X. XXXX, Xx xorme retributive..., op. cit., 652 ss.
che gli “altri elementi”, oltre che rilevare ai fini del miglioramento della competitività aziendale, possano anche essere legati all’andamento dell’impresa. La formulazione del § 3.3 dell’A.I. del 2009 che disciplina il premio variabile è meno chiara di quella del Protocollo del 1993 forse per la maggiore debolezza delle confederazioni sindacali dei lavoratori causata dalla mancanza di unitarietà d’azione. La forza conseguentemente assunta da Confindustria può aver portato a rendere più incerta la formulazione della disposizione per far prevalere un’interpretazione che consentisse di determinare la retribuzione variabile esclusivamente sulla base di indicatori legati all’andamento
complessivo dell’impresa notoriamente preferiti dai datori di lavoro.
Viene confermato che la regolamentazione dei premi di risultato deve favorire il superamento del clima di conflittualità a livello aziendale a favore di una maggiore cooperazione fra le parti, quando richiede ad esse di concordare gli obiettivi da cui dipende l’erogazione della retribuzione variabile88. L’importanza della collaborazione fra datore di lavoro e rappresentanti sindacali dei lavoratori è ribadita dalla previsione dell’accordo secondo cui queste parti devono effettuare degli incontri preventivi per vagliare “le condizioni produttive ed occupazionali e le relative prospettive” dell’impresa affinché i sindacati dei lavoratori siano nelle condizioni di contrattare in modo effettivo gli obiettivi della retribuzione variabile con la controparte contrattuale. In seguito a questo scambio di informazioni è prevista l’apertura della contrattazione del premio di risultato. Tramite queste previsioni, l’A.I. del 2009 e poi più nello specifico i contratti collettivi (in alcuni casi a livello nazionale, in altri a livello aziendale) procedimentalizzano i poteri datoriali per favorire il consenso delle parti sulla regolamentazione dei premi di risultato e per evitare che la retribuzione variabile divenga causa di una crescita della conflittualità fra le parti: per conseguire questo obiettivo è necessario implementare la trasparenza e la partecipazione nella formazione del sistema89.
88 G. ROMA, Le funzioni..., op. cit., 213 ss., dedica un’intera parte della sua monografia alla “funzione partecipativa” della retribuzione, individuata proprio nella retribuzione variabile regolata dal contratto collettivo aziendale; in generale tutti quelli che si soffermano sui sistemi retributivi variabili introdotti a seguito del Protocollo del 1993 ne evidenziano la finalità partecipativa: ex multis, X. XXXXXXX, Accordi sindacali sul salario variabile nell’industria e rapporti di lavoro, in Retribuzione incentivante e rapporti di lavoro, op. cit., 15 ss.
89 Sono in particolare gli studiosi di organizzazione aziendale ad evidenziare come sia di fondamentale importanza per il funzionamento del sistema incentivante che i valutati o i loro
3.1. Gli strumenti per la valorizzazione del secondo livello contrattuale: l’elemento economico di garanzia retributiva e le c.d. “clausole di uscita”
Gli accordi del 2009 e l’A.I. del 28 giugno del 201190, confermando quanto già previsto dal Protocollo del 1993, riconoscono alla contrattazione collettiva di secondo livello la competenza a disciplinare la retribuzione variabile. La diffusione del contratto aziendale e territoriale è il presupposto per la regolamentazione dei premi di risultato ed è divenuta più urgente in seguito alla riduzione del ruolo del contratto nazionale in materia retributiva. Il mancato conseguimento di tale obiettivo implicherebbe un impoverimento dei lavoratori, che non si vedrebbero garantiti aumenti delle retribuzioni reali, ed uno slittamento salariale verso la contrattazione individuale. Anch’essa, al pari dei contratti collettivi di secondo livello, è in grado di regolare la retribuzione dei lavoratori dipendenti in modo maggiormente conforme all’interesse della specifica realtà produttiva91. L’A.I. del 15 aprile 2009 preso coscienza del fatto che il Protocollo del 1993 non era riuscito nell’intento di estendere la diffusione del secondo livello contrattuale, ha introdotto l’elemento economico di garanzia retributiva, le clausole di uscita dal contratto nazionale e le linee guida per la retribuzione variabile per perseguire tale obiettivo.
Per quanto attiene all’elemento economico di garanzia retributiva e alle linee guida per la retribuzione variabile si deve richiamare la regolamentazione dell’A.I. del 15 aprile 2009, in quanto tali profili non sono stati disciplinati dall’A.I. del 2011 e non paiono incompatibili con le misure in esso previste.
rappresentanti siano coinvolti nel processo di fissazione degli obiettivi. In tal modo si consente ai lavoratori di comprendere il funzionamento del sistema, presupposto fondamentale perché esso svolga la sua funzione incentivante e non determini una crescita del contenzioso fra le parti. Cfr. X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, La valutazione delle strutture:il punto di vista dello studioso di organizzazione, in Ideologia e tecnica nella riforma del lavoro pubblico, a cura di X. Xxxxxxx, Napoli, Editoriale scientifica, 2009, 244 ss.
90 Come detto nel § precedente, l’A.I. del 28 giugno 2011 non regola direttamente la retribuzione variabile, ma dal § 8 si desume che il contratto collettivo di secondo livello mantenga la competenza a disciplinare tale materia, in quanto le confederazioni chiedono nuovamente al legislatore di “rendere strutturali, certe e facilmente accessibili tutte le misure volte ad incentivare la contrattazione di secondo livello che collega aumenti di retribuzione al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività...”. Per la disciplina concreta della retribuzione variabile pare possibile richiamare tuttora l’A.I. del 15 aprile 2009 in quanto la regolamentazione ivi contenuta non è incompatibile con le misure introdotte nel 2011.
91 Tramite il contratto individuale possono essere erogati superminimi individuali per premiare i lavoratori più meritevoli. Cfr. al riguardo X. XXXX, Effettività..., op. cit., 363; X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e produttività..., op. cit., 329 ss.
Relativamente alle clausole di uscita si richiamerà invece la regolamentazione dell’A.I. del 28 giugno 2011 che ha modificato la disciplina dell’A.I. del 2009.
Il contratto nazionale deve regolare un elemento economico di garanzia retributiva92 che consiste in un importo da riconoscere in cifra fissa a favore dei lavoratori dipendenti di aziende prive di secondo livello di contrattazione e dei prestatori che “non percepiscono altri trattamenti economici individuali o collettivi oltre a quanto spettante per contratto collettivo nazionale di categoria”93. L’elemento di garanzia non pare in grado di conseguire l’obiettivo che le parti sociali si proponevano94 perché le confederazioni sindacali ne hanno ammesso la disapplicazione non solo quando i lavoratori ricevano trattamenti economici aggiuntivi a quelli del contratto nazionale erogati dal contratto collettivo di secondo livello, ma anche quando i prestatori percepiscano incrementi retributivi contrattati a livello individuale in imprese sprovviste dell’accordo di secondo livello. In aggiunta, un superminimo di qualsiasi entità, anche minima, comporta la disapplicazione dell’elemento di garanzia poiché l’A.I. del 2009 non precisa a quanto debba ammontare l’erogazione individuale per comportarne la disapplicazione. In tal modo non si crea un interesse per le imprese a sperimentare la contrattazione aziendale, che impone un confronto con le organizzazioni sindacali e rappresenta un costo, sia in termini di risorse economiche che di tempo investito per raggiungere l’intesa, ma si rende sempre più appetibile «la dimensione dell’unilateralità gestionale»95. Per superare tale elemento di debolezza alcuni contratti nazionali96 hanno previsto la disapplicazione dell’elemento di garanzia solo in presenza di premi di risultato contrattati al secondo livello contrattuale.
Se si esclude la disapplicazione dell’elemento di garanzia retributiva in presenza di superminimi individuali, tale elemento avrebbe incentivato la contrattazione di secondo livello solo se fosse stato fissato in cifra elevata. Si
92 I commenti della dottrina in materia sono molteplici: cfr. X. XXXX, Effettività..., op. cit., 376 ss.; X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto..., op. cit., 709 ss.; X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e produttività..., op. cit., 322 ss., spec. 329.
93 Cfx. X.X., 00 xxxxxx 0000, § 0.0.
00 Xxx § 0.0., A.I. 15 aprile 2009, l’elemento economico di garanzia viene introdotto “ai fini dell’effettività della diffusione della contrattazione di secondo livello”.
95 X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e produttività..., op. cit., 331.
96 Cfr. il ccnl della pesca marittima del 20 maggio 2009, il ccnl delle imprese di articoli ottici del 20 febbraio 2010 ed il ccnl dei chimici del 18 dicembre 2009.
può ritenere che molte imprese avrebbero preferito attivare un secondo livello contrattuale per rendere aleatoria l’erogazione della parte aggiuntiva della retribuzione, piuttosto che attribuire una somma cospicua in cifra fissa a tutti i dipendenti. Questa soluzione rischiava, tuttavia, di incentivare le imprese ad uscire dal sistema di contrattazione nazionale97 per non dover applicare un trattamento economico notevolmente superiore ai minimi retributivi. Il problema è stato risolto dai contratti nazionali rinnovati dopo gli accordi del 2009 che hanno previsto l’erogazione di elementi di garanzia modesti, attestati in media intorno ai 200 euro lordi per anno98. È difficile pensare che le imprese abbiano interesse ad attivare il secondo livello di contrattazione collettiva per non erogare somme così ridotte.
Quand’anche l’elemento di garanzia retributiva fosse stato fissato in cifra elevata e non fosse stato disapplicabile in presenza di superminimi individuali, non avrebbe impedito comportamenti opportunistici delle parti perché il datore di lavoro avrebbe evitato di stipulare il contratto collettivo aziendale in presenza di livelli di produttività dell’impresa molto elevati, mentre i lavoratori avrebbero preferito l’elemento di garanzia, rispetto alla contrattazione decentrata, laddove la produttività aziendale fosse pressoché nulla99.
97 In una dimensione comparata si ricordi come eventi simili si siano verificati in Germania, nella quale per evitare che molte imprese “uscissero” dal sistema di contrattazione collettiva è stata ampliata la possibilità di derogare alle previsioni del contratto di distretto tramite gli accordi di codeterminazione aziendale e tramite i contratti aziendali, cfr. al riguardo X. XXXXXXX, I più recenti sviluppi della contrattazione collettiva in Germania: clausole di apertura, orario di lavoro e retribuzione, in Istituzioni e regole del lavoro flessibile, Napoli, Editoriale scientifica, 2006, 555 ss.
98 Si possono richiamare diversi contratti: il ccnl delle industrie alimentari dell’11 dicembre 2009 prevede l’erogazione, a titolo di elemento di garanzia retributiva, di somme che variano da
€16 a €37 mensili a seconda del livello di inquadramento del lavoratore; in modo analogo il ccnl delle industrie del settore chimico-farmaceutico del 27 maggio 2010, nell’appendice 2, regola l’attribuzione dell’elemento di garanzia in somme che vanno da €18 ad €34 sempre a seconda del livello di inquadramento dei lavoratori; il ccnl delle industrie della carta del 4 novembre 2009, all’art. 16, dopo aver fissato le linee guida per la regolamentazione del premio di risultato, prevede l’erogazione di un elemento di garanzia retributiva di €250 annui lordi per i lavoratori a cui non vengano garantiti aumenti retributivi rispetto a quelli del contratto nazionale; il ccnl delle industrie delle calzature del 14 giugno 2010, all’art. 8, lett. f) prevede l’erogazione dell’elemento di garanzia nella somma pari ad € 200 annui lordi; il ccnl che prevede il più elevato elemento di garanzia (fra quelli analizzati) è quello delle industrie minero-metallurgiche del 19 ottobre 2010, il quale all’art. 9 prevede l’erogazione di una somma pari ad € 52 mensili per tutti i lavoratori.
99 X. XXXX, Effettività e competenze..., op. cit., 367.
Le confederazioni sindacali hanno cercato di favorire la diffusione della contrattazione di secondo livello anche con le c.d. “clausole di uscita”, attraverso le quali i contratti nazionali possono consentire alle intese raggiunte in sede aziendale100 di modificare, anche in via temporanea, le regolamentazioni contenute nel contratto nazionale101. La previsione delle “clausole di uscita” dal contratto nazionale è una novità rispetto al passato perché sono le organizzazioni sindacali a riconoscere formalmente alle intese aziendali un potere di deroga rispetto a quelle nazionali. In precedenza, e ancora oggi, nella prassi il contratto collettivo aziendale e quello territoriale sovente derogano al contratto nazionale. Ciò è ritenuto legittimo dalla giurisprudenza102 anche a prescindere dalle clausole di uscita, poiché in caso di contrasto fra contratti collettivi di diverso livello prevale la regolamentazione più vicina agli interessi da disciplinare. La prevalenza del contratto aziendale o territoriale viene giustificata anche per l’autonomia dei diversi livelli contrattuali e per il carattere paritetico di essi103. Pertanto le “clausole di uscita” divengono espressione della volontà delle parti sociali di controllare dal centro le deroghe apportate al contratto nazionale per mantenere coerenza nel sistema di contrattazione collettiva, con una soluzione conforme a quella praticata in altri paesi europei104.
100 Mentre l’A.I. del 15 aprile 2009 prevedeva che le clausole di uscita dovessero essere contenute negli accordi territoriali, l’A.I. del 28 giugno 2011, siglato unitariamente da tutte le confederazione, ha conferito tale potere agli accordi aziendali.
101 A. I., 28 giugno 2011, § 7.
102 Cfr. nota 50.
103 Cass., 18 giugno 2003, n. 9784, in Giust. Civ., Mass., 2003, 6; Cass., 18 settembre 2007, n.
19351, in Not. Giur. Lav., 2008, 1 e s.; Cass., 12 luglio 1986, n. 4517, in Giust. Civ.,
Mass.,1986, 7.
104 In ottica comparata si tratta di una tendenza ravvisabile nella gran parte degli stati europei: in Germania era presente un sistema di contrattazione collettiva fortemente istituzionalizzato e centralizzato, ritenuto da talune imprese inadeguato a rispondere alle proprie esigenze. Per evitare che le imprese uscissero dal sistema di contrattazione collettiva, si sono moltiplicate negli ultimi anni le clausole di apertura contenute nei contratti di distretto. Tali clausole consentono agli accordi di codeterminazione aziendale e ai contratti aziendali di apportare deroghe peggiorative alle previsioni dei contratti di distretto, nei limiti di quanto ammesso in questi ultimi. Il fatto che i limiti al potere di deroga siano fissati nel contratto di distretto consente di superare, almeno in parte, il timore che le “clausole di uscita” rappresentino uno strumento di complessiva destrutturazione del sistema contrattuale; al riguardo cfr. X. XXXXXXX, I più recenti sviluppi..., op. cit., 555 ss.; X. XXXXXXXXX, Il decentramento..., op. cit., 637 ss.; più risalente, ma di interesse per osservare l’evoluzione del sistema tedesco, è anche il saggio di X. XXXX, La struttura della retribuzione e della contrattazione collettiva in Germania, in Retribuzione costo del lavoro livelli della contrattazione, Ricerca CNEL, a cura di X. Xxxxxxxx, Milano, Etas libri, 1992, 329 ss.
Secondo l’A.X. xxx 00 xxxxxx 0000, § 0, xx xxxxxxx xono consentite in via generale, nei limiti e con le procedure fissate nei contratti collettivi nazionali. Tale accordo consente al contratto nazionale di legittimare le “clausole di uscita” “anche in via temporanea”: l’utilizzo della congiunzione “anche” fa desumere che il potere di deroga sia conferibile anche in via definitiva. L’accordo ha notevolmente ampliato la possibilità per il contratto nazionale di disciplinare le “clausole di uscita” perché ha rimesso completamente a quest’ultimo la competenza di fissare i limiti e le procedure che gli accordi aziendali devono rispettare: le confederazioni non impongono più al contratto nazionale di fissare i “parametri oggettivi” sulla base dei quali gli accordi aziendali eserciteranno il potere di deroga e non individuano più ex ante le materie entro le quali tale facoltà modificativa è conferibile (se non limitatamente alla disciplina “transitoria”).
In attesa dei rinnovi degli accordi nazionali competenti a regolare la materia, l’A.I. del 2011 ha introdotto una disciplina provvisoria delle “clausole di uscita” secondo la quale le deroghe sono ammesse per “gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa”105. Le intese modificative sono consentite solo relativamente alla materia della “prestazione lavorativa”, degli
Nell’ordinamento francese si riconosce al contratto di secondo livello un più ampio potere di deroga alle previsioni del contratto nazionale. Le deroghe sono consentite in tutti i casi in cui non siano espressamente precluse dall’accordo nazionale. Vi sono tuttavia alcuni istituti che tale contratto qualifica come assolutamente inderogabili, tra cui i minimi di trattamento retributivo; cfr. al riguardo X. XXXXXX, La nuova legge sulla contrattazione collettiva in Francia e i suoi riflessi sulla gestione della flessibilità, in Istituzioni e regole..., op. cit., 585 ss.. Per una ricostruzione più risalente, X. XXXX, La struttura della retribuzione e della contrattazione collettiva in Francia, in Retribuzione costo..., op. cit., 299 ss.
Un’ultima considerazione concerne l’ordinamento spagnolo: dopo le più recenti riforme anche in tale ordinamento è stato consentito al contratto di secondo livello di apportare deroghe peggiorative alle previsioni contrattuali del livello superiore, anche in materia retributiva, seppur i minimi di trattamento economico vengono considerati assolutamente inderogabili in senso peggiorativo, cfr. M.D. XXXXXX XXXXXXXXX, Xxxxxxx e struttura della contrattazione collettiva in Spagna: alcune tendenze in materia di retribuzione e di orario di lavoro, in Istituzioni e regole..., op. cit., 605 ss.; X. XXXXXXXXX XXXXXXX, La retribuzione variabile nella contrattazione collettiva spagnola, in Dir. Lav., 2005, 2, 189 ss.; X. XXXXXX, La struttura della retribuzione e della contrattazione collettiva in Spagna, in Retribuzione costo..., op. cit., 262 ss.
105 Rispetto all’A.I. del 15 aprile 2009 che ammetteva le deroghe in generale “per favorire lo sviluppo occupazionale”, l’A.I. del 2011 richiede la presenza di “investimenti significativi” a fondamento delle deroghe introdotte dal contratto aziendale alla regolamentazione contenuta nell’accordo nazionale per incentivare lo sviluppo del’occupazione. Cfr. X. XXXX, L’Accordo interconfederale..., op. cit., 11 s.
“orari” e dell’”organizzazione del lavoro” e non più per qualsivoglia istituto economico e normativo, come invece prevedeva l’A.I. del 15 aprile 2009.
Il riconoscimento esplicito del potere di deroga ai contratti aziendali è stato criticato per il timore che destrutturasse il sistema di contrattazione collettiva e causasse la perdita di centralità del contratto nazionale106. Tali preoccupazioni sono superabili perché l’A.I. del 2011 non attribuisce sempre ed in ogni caso al contratto aziendale il potere di modificare gli accordi di categoria, ma conferisce questa competenza solo entro i limiti e le procedure fissate dal contratto nazionale.
Nonostante le parti sociali abbiano cercato di controllare dal centro il sistema delle deroghe, tale scelta non determinerà il superamento dell’orientamento giurisprudenziale consolidato, ad avviso del quale gli accordi di secondo livello modificativi dei contratti nazionali sono legittimi in generale, a prescindere dall’”autorizzazione” contenuta negli accordi nazionali107. Tale soluzione discende dal fatto che le regole di riparto di competenze fra i contratti collettivi, al pari delle clausole di uscita, sono contenute in un accordo fra le parti sociali la cui violazione non ha la forza di invalidare le disposizioni difformi del contratto collettivo di secondo livello. Come si vedrà nel § 3.3 la soluzione è diventata più incerta dopo l’approvazione dell’art. 8, l. n. 148 del 2011.
Le clausole di uscita erano state sperimentate, già prima degli accordi del 2009, dal contratto nazionale del settore chimico-farmaceutico del 29 giugno 2007108 il quale mirava a modernizzare il sistema di relazioni industriali tramite
106 Tale rischio viene evidenziato da X. XXXXXX, Contrattazione collettiva..., op. cit., 13 ss., il quale sottolinea che le clausole di uscita rappresentano il tentativo delle xx.xx. di tenere sotto controllo le deroghe apportate al contratto nazionale dal secondo livello, ma rischiano di divenire comunque degli elementi di destrutturazione del sistema contrattuale perché alla loro base mancano relazioni sindacali solide. Tali clausole sono state introdotte anche in Germania, ed anche qui avevano suscitato il timore di una destrutturazione del sistema di contrattazione collettiva: ciò non si è verificato perché in tale paese esiste un sistema contrattuale e sindacale solido. Riguardo l’ordinamento tedesco cfr. X. XXXXXXX, I più recenti sviluppi..., op. cit., 555 ss.; X. XXXXXXXXX, Il decentramento della contrattazione collettiva in Germania, in Gior. Dir. Lav. Rel. Ind., 2005, 637 ss.
107 Cfr. § 3.3 per alcune considerazioni sulle possibili conseguenze dell’applicazione dell’art. 8, l. n. 148 del 2011.
108 Per un commento dell’accordo cfr. X. XXXXXX, I contratti aziendali in deroga: il caso del settore chimico-farmaceutico, in Dir. Rel. Ind., 2007, 4, 1227 ss. Tale accordo riconosceva il potere di deroga ai contratti aziendali, conformemente a quanto sancisce oggi l’A.I. del 28 giugno 2011, ma diversamente da quanto prescriveva l’A.I. del 15 aprile 2009.
la valorizzazione della contrattazione aziendale. Per perseguire questo obiettivo tale accordo riconosceva al contratto aziendale un potere di deroga temporaneo per sostenere e/o migliorare la competitività aziendale. Le modifiche apportate dal secondo livello dovevano rispettare le linee guida del contratto nazionale, superare il vaglio della Commissione Nazionale Contrattazione109 e potevano riguardare anche la materia retributiva, seppur non i minimi disciplinati nell’art. 15 del contratto nazionale qualificati come assolutamente inderogabili110. Questa regolamentazione consentiva di flessibilizzare il trattamento economico dell’accordo nazionale tramite il secondo livello, ma tale modifica veniva controllata dal centro.
Le clausole di uscita possono condurre ad una flessibilizzazione del trattamento economico del contratto nazionale111: quest’ultimo è in grado di consentire agli accordi di secondo livello di modificare singoli istituti retributivi in esso regolati al fine di renderli variabili. Tali modifiche avrebbero come limite la retribuzione minima dell’art. 36 Cost. che rappresenta una soglia invalicabile anche per le organizzazioni sindacali. La soluzione enucleata pare astrattamente praticabile, ma risulta complessa da valutare sotto il profilo dell’opportunità: se si pensa al ruolo più marginale del contratto nazionale in materia retributiva pare ci sia poco da derogare ai trattamenti in esso previsti112 e si può supporre che ci sarà sempre meno spazio per le deroghe nel futuro. Inoltre se gli indicatori in base ai quali si rende variabile la retribuzione sono legati
109 Tale commissione è costituita da rappresentanti dei sindacati stipulanti il contratto di categoria.
110 Il contratto nazionale prevedeva che, se l’accordo di secondo livello avesse derogato a parti fisse del trattamento economico del contratto nazionale, era necessario che si trattasse di politiche retributive coerenti con la situazione aziendale. La “verifica di coerenza” avrebbe dovuto essere svolta con le modalità definite nell’accordo aziendale. Le previsioni richiamate fanno emergere la volontà di sottoporre ad un controllo centrale le deroghe apportate dal secondo livello di contrattazione collettiva, ma anche (e contraddittoriamente) la genericità delle espressioni utilizzate dalle parti sociali nel fissare le condizioni della deroga.
111 Ciò non sembra valere fintantoché si applicherà la disciplina “transitoria” delle “xxxxxxxx xx xxxxxx”, xxxxxx xx § 0 dell’A.I. del 28 giugno 2011 ammette che i contratti aziendali modifichino la regolamentazione del contratto nazionale solo relativamente alla disciplina della “prestazione lavorativa”, degli “orari” e dell’”organizzazione del lavoro”. Cfr. X. XXXX, L’Accordo interconfederale..., op. cit.,12.
112 X. XXXXXXXX, Il sistema contrattuale, ricostruire più che riformare, in Riv. It. Dir. Lav., 2006, I, 280 ss.; X. XXXXXXXX, La retribuzione..., op. cit., 15, sottolinea la scarsa capacità del contratto nazionale di difendere i livelli di reddito dei segmenti più deboli del mercato del lavoro.
all’andamento dell’impresa, il sistema sarebbe preordinato esclusivamente a flessibilizzare il costo del lavoro per spostare una parte dei rischi dell’andamento dell’impresa in capo ai lavoratori.
3.2. (Segue) Le linee guida del ccnl per la regolamentazione della retribuzione variabile nel secondo livello contrattuale
Il § 3.4 dell’A.I. del 15 aprile 2009 riconosce alle parti stipulanti il contratto nazionale la possibilità di concordare linee guida per il premio variabile che saranno “adottabili e/o riadattabili in funzione delle concrete esigenze delle imprese”.
Nonostante il Protocollo del 1993 non contenesse una previsione di tal genere, la maggior parte degli accordi nazionali113 aveva predisposto una regolamentazione dei premi di risultato al fine di favorire, e al contempo semplificare, la contrattazione al secondo livello. Questa scelta si giustificava poiché il mancato raggiungimento dell’accordo aziendale sui premi di risultato dipendeva in alcuni casi dalla inadeguata preparazione dei rappresentanti sindacali dei lavoratori, i quali non avevano le conoscenze per svolgere una contrattazione effettiva e consapevole degli obiettivi da cui far dipendere l’erogazione del premio114. Le linee guida del contratto nazionale sul premio di risultato non erano vincolanti per le organizzazioni sindacali a livello aziendale, ma si sono dimostrate utili, in particolare nelle imprese di minori dimensioni, per facilitare il raggiungimento degli accordi e per agevolare l’individuazione di indicatori e di procedure che le parti avrebbero potuto seguire.
Le confederazioni sindacali nel 2009 hanno recepito e regolato espressamente questa prassi nell’intento di favorire la diffusione della contrattazione aziendale con contenuti economici, in particolare nelle imprese di minori dimensioni.
113 Cfr. a titolo meramente esemplificativo, il ccnl delle industrie metalmeccaniche, del 5 luglio 1994, art. 9; il ccnl per gli addetti all’industria chimico farmaceutica del 19 marzo 1994, che all’art. 16 introduceva una disciplina di massima del premio di produzione; il ccnl del settore bancario, 18 dicembre 1994, contemplava una serie di linee guida per un eventuale premio di rendimento o di produttività previsto a livello decentrato.
114 Cfr. X. XXXXXXXX, Obiettivi, discipline e buone pratiche dei contratti di secondo livello: una breve rassegna, in Dir. Lav. Merc., 2008, 187 ss., la quale evidenzia come diversi contratti aziendali prevedessero (e prevedano tutt’ora) un finanziamento da parte dell’impresa per l’attività formativa dei rappresentanti dei lavoratori affinché essi fossero effettivamente in grado di contrattare i premi di risultato.
Le linee guida fissate nel contratto di categoria sono “adottabili” dal contratto aziendale senza alcuna modifica, ma anche “riadattabili” in relazione alle specifiche esigenze aziendali. Le parti in difficoltà a contrattare il premio a livello aziendale possono recepire sic et simpliciter la regolamentazione del contratto nazionale che, proprio per questo motivo, non dovrà essere eccessivamente generica115; le altre hanno la più ampia libertà di disciplinare i premi di risultato in modo maggiormente conforme alle peculiarità aziendali.
I contratti nazionali rinnovati successivamente agli accordi del 2009 di regola hanno fissato le linee guida sul premio di risultato per il contratto aziendale116.
I contratti collettivi nazionali che contengono una disciplina dei premi molto generica117 non consentono alle parti sociali a livello aziendale di limitarsi a recepire la regolamentazione del contratto nazionale, ma implicano un’ulteriore attività di contrattazione. Come si vedrà nel cap. 2 ciò accade anche quando i contratti nazionali prevedano una regolamentazione più minuziosa.
Altri accordi nazionali contemplano una disciplina della retribuzione variabile molto dettagliata118. In tali casi ci si chiede se un lavoratore, che non sia coperto dal contratto di secondo livello, possa rivendicare l’erogazione della retribuzione di risultato sulla base delle disposizioni del contratto nazionale. Tale possibilità, tuttavia, è esclusa dalle previsioni degli accordi di categoria, i quali, per quanto siano precisi nella regolamentazione del premio, sanciscono sempre la natura non obbligatoria della loro disciplina ed il carattere meramente indicativo degli obiettivi prefissati; ma è esclusa anche perché, secondo quanto
115 Come si vedrà nel capitolo 2 la semplice recezione nel contratto aziendale della regolamentazione predisposta a livello nazionale non è affatto semplice e scontata.
116 A titolo esemplificativo cfr. l’ipotesi di accordo del ccnl delle industrie metalmeccaniche e degli installatori di impianti del 15 ottobre 2009, che regola in modo dettagliato le linee guida per il premio di risultato. È previsto, tra le altre disposizioni, un controllo da parte delle associazioni territoriali sugli obiettivi fissati in sede aziendale e, a consuntivo, sul grado di raggiungimento dei risultati; il ccnl degli orafi ed argentieri, settore industriale, del 23 settembre 2010, nelle note a verbale in chiusura dell’art. 10 regola le linee guida per il premio di risultato con la previsione di un “menù di indicatori semplificati di redditività, produttività, qualità ecc.” non obbligatori in sede aziendale, ma adottabili se ciò sia utile per favorire l’accordo decentrato; non prevede alcuna linea guida per la contrattazione del premio di risultato, ma fissa principi di carattere molto generale, il ccnl delle industrie della carta del 4 novembre 2009.
117 Cfr., ad esempio, il ccnl delle industrie della carta del 4 novembre 2009.
118 Un esempio è il ccnl degli orafi ed argentieri del 23 settembre 2010 e anche l’art. 12, ccnl dei dirigenti dei consorzi agrari del 4 dicembre 2009 che disciplina in modo dettagliato gli indicatori dei premi, le procedure da seguire, le soluzioni in caso di conflitto fra le parti ecc.
previsto nell’A.I., la retribuzione variabile è una materia di competenza esclusiva del contratto di secondo livello, al quale spetta decidere se riconoscere il premio di risultato ed, eventualmente, il suo ammontare. La mancata regolamentazione della retribuzione variabile nel contratto aziendale può essere il risultato di una scelta delle parti sociali a tale livello che verrebbe sconfessata se al lavoratore venisse riconosciuta la facoltà di rivendicare il premio sulla base delle previsioni del contratto nazionale.
Questa possibilità è stata negata anche dalla giurisprudenza119 secondo la quale le clausole dell’accordo nazionale non fanno sorgere un diritto al premio in capo ai lavoratori. Se così fosse il contratto di secondo livello avrebbe solo la funzione di determinare il quantum del premio di risultato, mentre la Cassazione gli ha riconosciuto una competenza esclusiva in materia di retribuzione variabile, poiché alle parti che stipulano il contratto aziendale spetta valutare anche se procedere o meno all’erogazione del premio e non solo alla quantificazione.
3.3. Le novità dell’art. 8, l. n. 148 del 2011: cosa cambia?
L’art. 8, l. 14 settembre 2011, n. 148 rappresenta una novità assoluta nel sistema italiano di relazioni sindacali in quanto il legislatore, per sostenere il secondo livello contrattuale, ha riconosciuto ai contratti collettivi aziendali e territoriali il potere di derogare agli accordi nazionali ed alla legge (comma 2 bis)120. È inoltre attribuita efficacia erga omnes a tali accordi qualora siano sottoscritti dai soggetti elencati al comma 1.
119 Cass., 22 marzo 2010, n. 6852, in Giust. Civ., Mass., 2010, 416; Cass., 19 febbraio 2009, n.
4078, in Giust. Civ., Mass., 2009, 272; Cass., 25 giugno 2008, n. 17310, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, 49 ss., con nota di X. Xxxxxxx; Cass., 4 novembre 2005, n. 21379, in Giust. Civ., Mass., 2005, 11. Molte delle controversie erano sorte in relazione all’art. 49, ccnl per il settore bancario del 19 dicembre 1994, il quale introduceva una regolamentazione piuttosto dettagliata del premio; x. Xxxx., 4 novembre 2005, n. 21379, in Giust. Civ., Mass., 2005, 11; Cass., 25
giugno 2008, n. 17310, in Riv. It. Dir. Lav., 2009, II, 49 ss.
120 Per una disamina della norma si rinvia ad X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del diritto del lavoro, in WP C.S.D.L.E. 132/2011; X. XXXXXXX, Il contratto collettivo dopo l’art. 8 del decreto n. 138/2011, in WP
C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 129/2011; X. XXXXXXX, Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, n. 133/2011; X. XXXXXX, La storia (immaginaria) di Xxxxx spiega perché l’art. 8 non può funzionare, in Newsletter 19 settembre 2011, n. 167, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx; X. XXXXXXX, La contrattazione collettiva aziendale dopo l’art. 8, d.l. 13 agosto 2011, n. 138, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx; X. XXXXXXX, La manovra di ferragosto e il diritto del lavoro, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
L’elencazione delle materie (comma 2) nelle quali gli accordi “di prossimità” possono modificare le norme di legge ed il contratto nazionale è piuttosto ampia e comprende questioni “inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione” con riferimento finanche alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro”. Tale ampiezza caratterizza pure le finalità perseguibili attraverso le deroghe che devono essere preordinate ad incrementare l’occupazione, a migliorare la qualità dei contratti di lavoro, a consentire l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, ad incrementare la competitività ed il salario ecc.
Poiché gli accordi di prossimità sono in grado di derogare alla legge e agli accordi nazionali “solo” nelle materie e per le finalità prescritte dalla legge, alcuni commentatori121 hanno affermato che i giudici avranno un ampio potere di sindacare la legittimità delle modifiche introdotte da tali contratti: potranno verificare se i mezzi utilizzati dagli accordi aziendali e territoriali per perseguire un dato fine siano ragionevoli e potranno, in caso di risposta negativa, invalidare la disciplina dell’accordo di prossimità.
L’intervento del legislatore potrebbe favorire il decollo del contratto collettivo di secondo livello, ma non nella direzione più auspicabile122 perché i contratti aziendali e territoriali interverranno con una disciplina in deroga ai contratti nazionali e alle norme di legge123, con il risultato di destrutturare il diritto del lavoro. Di conseguenza l’art. 8, l. n. 148 del 2011 rappresenta uno strumento più efficace rispetto a quelli introdotti dalle confederazioni sindacali (l’elemento economico di garanzia retributiva, le “clausole di uscita” dal contratto nazionale e le linee guida per la regolamentazione dei premi) per favorire la diffusione del secondo livello contrattuale, ma si muove nella direzione di destrutturare le tutele garantite dalle norme lavoristiche.
121 X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, L’articolo 8..., op. cit., 26 ss.
122 Tale intento potrebbe essere svilito dal fatto che nell’accordo siglato il 21 settembre 2011, CGIL, CISL, UIL e Confindustria si sono impegnate a rispettare l’accordo interconfederale del 28 giugno dello stesso anno. Ciò ha “fortemente ridimensionato” le aspettative sull’efficacia dell’art. 8, l. n. 148 del 2011. Cfr. al riguardo X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, L’articolo 8..., op. cit., 51 ss.
123 Cfr. la ricostruzione di X. XXXXXXX, Al capezzale..., op. cit.,70 ss., il quale evidenzia la problematicità di un potere così ampio di deroga riconosciuto agli accordi aziendali e territoriali rispetto alle norme di legge, potere che arreca un vulnus all’inderogabilità della normativa lavoristica e rischia di determinare una frammentazione del diritto del lavoro non a livello regionale, ma addirittura aziendale.
Se si considera che il trattamento economico dei lavoratori è determinato dai contratti collettivi124, per tale regolamentazione non rileva tanto il potere degli accordi di prossimità di derogare alle norme di legge125, quanto il potere che l’art. 8, comma 2 bis, l. n. 148 del 2011 riconosce agli accordi di secondo livello di modificare le previsioni del contratto nazionale di categoria.
Come si diceva relativamente alle “clausole di uscita” dell’A.I. del 28 giugno 2011 e ancora prima dell’A.I. del 15 aprile 2009, esse non rappresentano una “novità” in quanto la giurisprudenza consolidata afferma che il contratto collettivo di secondo livello possa derogare anche in peius al contratto nazionale ed, in questo caso, le sue previsioni sono pienamente legittime a prescindere dalla presenza delle “clausole di uscita”. Tale interpretazione ha portato a riconoscere la possibilità che gli accordi aziendali flessibilizzino una parte del trattamento economico del contratto nazionale, fermo restando il rispetto dei minimi retributivi.
Si può ritenere che in seguito all’approvazione dell’art. 8, l. n. 148 del 2011 muti qualcosa in materia retributiva?
Le soluzioni ermeneutiche prospettabili sono diverse: la giurisprudenza potrebbe continuare a sostenere la piena legittimità delle deroghe introdotte dal contratto collettivo di secondo livello al contratto nazionale a prescindere dal rispetto dei limiti prescritti dall’art. 8, l. n. 148 del 2011. In quest’ultimo caso gli accordi aziendali non avranno efficacia erga omnes ex art. 8, comma 1, l. n. 148 del 2011, ma saranno comunque legittimi. In tale ipotesi le parti sociali a livello aziendale sarebbero legittimate a flessibilizzare una parte del trattamento economico erogato in cifra fissa dall’accordo nazionale, fermo il rispetto dei minimi di trattamento ex art. 36 Cost., senza che venga in rilievo l’art. 8, l. n. 148 del 2011.
124 Questa regolamentazione può essere “diretta” quando le parti sono vincolate ad applicare il contratto collettivo in conseguenza dell’affiliazione sindacale od in base agli altri meccanismi di elaborazione giurisprudenziale, o “indiretta” quando il trattamento economico del contratto nazionale si applica in conseguenza dell’interpretazione che la giurisprudenza fa dell’art. 36 Cost. Cfr. al riguardo § 1.1.
125 La soluzione sarebbe diversa se il legislatore avesse introdotto una legge sui minimi retributivi. Anche in tal caso però il potere derogatorio sarebbe stato limitato dalla necessità di rispettare i vincoli costituzionali. Pertanto qualora i minimi legali fossero stati ritenuti attuativi del precetto dell’art. 36 Cost. sarebbero stati comunque inderogabili ex art. 8, comma 2 bis, l. n. 148 del 2011.
In alternativa la giurisprudenza potrebbe legittimare le deroghe del contratto di prossimità all’accordo nazionale solo nei limiti di materia e secondo le finalità prescritte dall’art. 8, l. n. 148 del 2011, in considerazione del fatto che tutto ciò che non è consentito da tale norma deve ritenersi precluso: in tal caso laddove si applichi il contratto nazionale, l’accordo di secondo livello non sembra in grado di derogare alla regolamentazione della retribuzione dell’accordo nazionale perché fra le materie nelle quali può esplicarsi il potere modificativo non è compresa la retribuzione. A tale conclusione si perviene in quanto la formula di apertura dell’art. 8, comma 2 (“la regolamentazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento”) non rende esemplificativa l’elencazione che la segue126 in cui non è legittimata alcuna modifica alla disciplina del trattamento economico. In tal caso non sarebbe nemmeno necessario richiamare il comma 2 bis dell’art. 8 per imporre il rispetto dell’art. 36 Cost. come limite alle deroghe alla legge e al contratto nazionale, perché questo risultato è già garantito dalla preclusione per gli accordi di prossimità del potere di derogare al trattamento economico del contratto nazionale127.
In alternativa il potere di deroga degli accordi di prossimità rispetto alla regolamentazione della retribuzione dell’accordo nazionale potrebbe essere fondato sull’art. 8, comma 2, lett. e), nel quale le intese modificative sono legittimate relativamente alla disciplina del rapporto di lavoro. Questa non andrebbe riferita esclusivamente al “tipo contrattuale” scelto dalle parti, come fa pensare il successivo richiamo alle collaborazioni a progetto e alle “partite I.V.A.”, ma più in generale a tutta la disciplina del rapporto di lavoro
126 In questo senso è convincente l’interpretazione proposta da X. XXXXXXX, Al capezzale..., op. cit., 36, ad avviso del quale «data la natura assolutamente eccezionale di questa normativa, tale e tanta da far dubitare della sua costituzionalità, è da escludere che la clausola omnibus premessa al “con riferimento” possa trasformare l’elencazione da tassativa ad esemplificativa».
127 Questa soluzione interpretativa potrebbe condurre ad un’ulteriore conseguenza: nei rapporti di lavoro ai quali non si applica il contratto nazionale il giudice potrebbe determinare il trattamento economico ex art. 36 Cost. facendo riferimento alla retribuzione complessivamente regolata nell’accordo nazionale e non solo ai minimi (come fa oggi nella maggioranza dei casi). Questa soluzione garantirebbe maggiore coerenza con la preclusione, per l’accordo di prossimità, del potere di derogare al trattamento del contratto nazionale in quei rapporti ai quali si applichi l’accordo nazionale. La soluzione interpretativa finale sarebbe inoltre maggiormente conforme all’intento dei costituenti di garantire, tramite la retribuzione ex art. 36 Cost., un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia.
subordinato128. L’accordo di prossimità in deroga al trattamento economico del contratto nazionale incontrerebbe come limite l’art. 36 Cost. (ex art. 8, comma 2 bis) e sarebbe legittimo solo qualora rispettasse le finalità delineate dal comma 1: la flessibilizzazione della retribuzione del contratto nazionale potrebbe essere giustificata dal fine di accrescere le forme di partecipazione dei lavoratori, di aumentare la competitività delle imprese o i salari.
Laddove l’art. 8, l. n. 148 del 2011 riconosce al contratto di secondo livello il potere di derogare alle previsioni dell’accordo nazionale nelle materie e secondo le finalità indicate dalla legge, il legislatore incide in modo dirompente sull’autonomia collettiva intesa come possibilità per le organizzazioni sindacali di determinare la struttura contrattuale e, quindi, anche il rapporto fra contratti collettivi di diverso livello. Tramite questa previsione il legislatore si disinteressa del riparto di competenze fra i diversi livelli contrattuali delineato dalle parti sociali nell’A.I. del 28 giugno 2011 e spoglia l’accordo nazionale del ruolo di garante della certezza di trattamenti normativi comuni a tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale, funzione che invece gli hanno conferito le parti sociali nel punto 2 dell’accordo di giugno. A causa di ciò la disposizione pare in contrasto con l’art. 39, comma 1 Cost. e «con la nozione classica di autonomia collettiva»129 da essa deducibile. Le conclusioni sono ancora più problematiche per il potere di deroga alle norme di legge che l’art. 8, l. n. 148 del 2011 attribuisce agli accordi di prossimità: in tal modo si arreca un vulnus all’inderogabilità delle norme lavoristiche e si rischiano di destrutturare le tutele in esse previste.
4. Il ruolo della legge nel lavoro privato: le agevolazioni a favore della retribuzione variabile
Nel cap. 9 e nell’incipit del cap. 10 dell’opera principale di Xxxxxxxx000, in cui egli teorizza il superamento del sistema retributivo fisso a favore di uno
128 Pare più convincente l’interpretazione più restrittiva della disposizione per limitare gli ambiti, già di per sé molto ampi, nei quali può esplicarsi il potere di deroga.
129 X. XXXXXXX, Al capezzale..., op. cit., 64; per i possibili profili di incostituzionalità della disposizione nella parte in cui conferisce agli accordi di prossimità un potere di deroga alle norme di legge e al contratto nazionale, cfr. anche X. XXXXXXX, Il contratto collettivo dopo..., op. cit., 30 ss.
130 X. XXXXXXXX, L’economia..., op. cit.
variabile in relazione agli andamenti dell’impresa, l’autore si sofferma sull’importanza delle agevolazioni fiscali per incentivare le imprese ad abbandonare la forma retributiva tradizionale e a sperimentare quella partecipativa. L’utilizzo di risorse pubbliche per incentivare il sistema partecipativo viene giustificata non in quanto esso rappresenti un “bene in sé”, ma perché consente, secondo Xxxxxxxx, di ridurre i tassi di disoccupazione e di inflazione.
Nel nostro ordinamento il legislatore non è intervenuto nella determinazione della struttura della retribuzione e degli elementi che la compongono131, poiché tali materie sono considerate di competenza esclusiva della contrattazione collettiva. Questa tendenza non è mutata nemmeno quando le parti sociali, prima nel Protocollo del 1993, poi negli accordi del 2009 ed infine nell’A.I. del 28 giugno 2011, hanno auspicato un intervento del legislatore per incrementare, rendere certe e facilmente accessibili le agevolazioni in favore dei premi di risultato erogati dal contratto collettivo di secondo livello: il legislatore, infatti, ha riconosciuto tali agevolazioni alla retribuzione variabile disciplinata secondo le regole fissate dalle parti sociali132. Tale mobilitazione di risorse statali è giustificata perché i “premi di risultato” disciplinati nei contratti collettivi di secondo livello sono in grado di migliorare l’efficienza aziendale e la produttività del lavoro, se sono ben congegnati, e perché si preferisce che lo “scambio virtuoso”133 fra retribuzione e produttività venga concordato con le organizzazioni sindacali dei lavoratori per tutelare meglio i prestatori da eventuali comportamenti opportunistici delle imprese.
In una ricerca comparata sui sistemi di retribuzione variabile134 si è sottolineato come gli incentivi per i premi si giustifichino solo in un momento iniziale per orientare le imprese a sperimentare un sistema innovativo, mentre
131 Fanno eccezione le norme previste dal codice civile.
132 X. XXXXXXXX, Misure per la competitività e per la riduzione del costo del lavoro, in Previdenza, Mercato del lavoro, Competitività, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx e P.A. Varesi, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2008, 413, ad avviso del quale la formula utilizzata dal legislatore per individuare i premi erogati dal contratto di secondo livello in grado di accedere alle agevolazioni, rinvia alle scelte delle parti sociali.
000 X. XXXX, Xx forme retributive..., op. cit., 659
134 X. XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX E X. XXXXXXX, Paying for performance. Incentive pay schemes and employees’ financial participation, 11 maggio 2010, presentato alla fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx, consultabile in xxx.xxxx.xxx/xxxxxx/xxxx/Xxxxxx-xxxxxx0.xxx, 111 ss.
poi debbono essere soppressi. In tal modo le imprese continueranno ad utilizzare le forme retributive variabili solo se le considerano efficienti e non perché sono più convenienti delle forme tradizionali di remunerazione.
In Gran Bretagna i sistemi di “variable pay” continuano ad essere utilizzati nonostante le agevolazioni siano state abrogate, ma se in passato queste forme retributive erano contrattate con le organizzazioni sindacali per accedere agli incentivi previsti dal legislatore, oggi sono gestite unilateralmente dalle imprese. Tale evoluzione permette di condividere solo in parte l’obiezione mossa al sistema delle agevolazioni da una parte della dottrina135: se il legislatore considera la retribuzione variabile contrattata con le organizzazioni sindacali più rispondente alle esigenze di tutela dei lavoratori rispetto a quella gestita unilateralmente dalle imprese, si giustifica la mobilitazione di risorse pubbliche anche in un momento successivo a quello della sperimentazione dei premi.
4.1. Gli sgravi contributivi dell’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007136
L’art. 1, comma 67, l. 24 dicembre 2007, n. 247 introduce una nuova regolamentazione delle agevolazioni previdenziali per i premi di risultato ed abroga il d.l. 25 marzo 1997, n. 67 (conv. nella l. 23 maggio 1997, n. 135), il quale, in attuazione del Protocollo del 1993, aveva previsto la prima forma di decontribuzione per la retribuzione variabile erogata dai contratti collettivi di secondo livello. L’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007 deve essere integrato con il d.m. 7 maggio 2008 e con la circ. Inps 6 agosto 2008, n. 82, poiché il comma 68, art. 1, l. n. 247 del 2007 prevedeva che le modalità di attuazione delle agevolazioni fossero fissate in un decreto ministeriale.
Fino al 31 dicembre 2011 sono state ammesse all’agevolazione contributiva le erogazioni dei contratti collettivi “aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, delle quali sono incerti la corresponsione o l’ammontare e la cui struttura sia correlata dal contratto collettivo medesimo alla misurazione di
135 X. XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX E X. XXXXXXX, op. cit., 110 ss.
136 Le agevolazioni contributive della l. n. 247 del 2007 erano destinate ad applicarsi per il triennio 2008, 2009 e 2010. Esse sono state prorogate fino al 31/12/2011 dall’art. 53, comma 1,
d.l. 31 maggio 2010, n. 78. Da ultimo, la l. 12 novembre 2011, n. 183, all’art. 33, comma 14, ha confermato per tutto il 2012 lo sgravio contributivo “con i criteri e le modalità di cui all’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007”, seppur secondo quanto previsto dall’art. 26, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, successivamente modificato dall’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011.
incrementi di produttività, qualità ed altri elementi di competitività assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati”. Si tratta di quelle parti del trattamento economico subordinate al raggiungimento di obiettivi di crescita dell’impresa che le parti devono fissare anticipatamente. I premi di risultato sono incerti nell’an e nel quantum poiché la loro erogazione è subordinata al conseguimento dell’obiettivo prefissato e l’ammontare varia in base al grado di raggiungimento del risultato.
I premi regolati dal contratto collettivo di secondo livello, aziendale o territoriale, sono ammessi agli xxxxxx000. La scelta di concedere le agevolazioni anche ai premi contrattati a livello territoriale è valutabile in termini positivi se si pensa che lo sviluppo di un sistema di contrattazione collettiva fondato effettivamente su due livelli dipende dal decollo degli accordi territoriali, almeno nei settori in cui prevalgono imprese di ridotte dimensioni.
Una parte della dottrina138 ha affermato che le agevolazioni si applicano anche ad elementi retributivi determinati in via unilaterale dal datore di lavoro, purché siano incerti nella corresponsione e nell’ammontare. Tale interpretazione sembra discendere dalla formulazione del § 3, circ. Inps n. 82 del 2008 al cui interno si definisce la “retribuzione contrattuale” che comprende “quanto stabilito sia dai contratti ed accordi collettivi, sia da quelli individuali”. Considerato che lo sgravio contributivo è concesso nel limite del 3% della “retribuzione contrattuale” percepita dal lavoratore, quest’ultima serve per fissare il limite massimo del premio per il quale può essere richiesta l’agevolazione, ma non incide sull’individuazione delle fonti di regolamentazione del premio di risultato, che sono esclusivamente il contratto collettivo aziendale o territoriale: sia il d.m. 7 maggio 2008, sia la circ. Inps n. 82 del 2008 sono chiare sul punto.
137 Non suscita particolari problemi il richiamo ai contratti collettivi aziendali e territoriali, “ovvero di secondo livello”: il legislatore non immagina un contratto di secondo livello diverso da quelli precedentemente elencati, ma vuole sottolineare che, per accedere alle agevolazioni, i contratti aziendali o territoriali devono rappresentare un secondo livello di contrattazione, aggiuntivo a quello nazionale. Nel vigore del d.l. n. 67 del 1997 il legislatore prevedeva che la decontribuzione si applicasse ai premi di risultato erogati “dai contratti collettivi aziendali, ovvero di secondo livello”. Il rinvio al secondo livello consentiva di riconoscere le agevolazioni anche ai premi regolati dai contratti territoriali.
138 X. XXXXXXXX, Misure per la competitività..., op. cit., 407 ss.; X. XXXX, Le forme retributive..., op. cit., 662.
Per la dottrina maggioritaria139 gli sgravi contributivi si applicano solo ai premi di risultato legati all’andamento dell’impresa e non a quelli correlati alla prestazione dei lavoratori e volti a premiare il merito140. Tale interpretazione è condivisibile dal punto di vista letterale, perché l’art. 1, comma 67, l. n. 247/2007, dopo aver richiamato gli obiettivi di produttività, qualità e altri elementi di competitività, richiede che essi siano assunti come indicatori dell’andamento economico dell’impresa e dei suoi risultati. I sistemi di valutazione delle prestazioni non possono essere considerati indicatori dell’andamento dell’impresa nel suo complesso.
Una diversa soluzione interpretativa, tale da consentire l’accesso alle agevolazioni «all’intero spettro dei sistemi retributivi legati sia ai caratteri della prestazione sia ai parametri di risultato generali dell’impresa»141, è tuttavia prospettabile, anzitutto perché la formula utilizzata dal legislatore del 2007 per individuare i premi ammessi allo sgravio è la stessa del 1997: nel vigore di quest’ultima non si era mai dubitato dell’applicabilità della decontribuzione a tutti i sistemi di retribuzione variabile regolati dai contratti collettivi aziendali, tanto legati alle prestazioni, quanto dipendenti dai risultati complessivi dell’impresa142. In secondo luogo si può ritenere che solo gli “altri elementi”, ulteriori rispetto a quelli di produttività e qualità, debbano essere necessariamente correlati all’andamento complessivo dell’impresa, mentre quelli di produttività e di qualità sono utilizzabili per premiare prestazioni che si
139 X. XXXXXXX, Norme in materia di competitività, in La nuova disciplina del welfare, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2008, 186 s.; X. XXXXXXXX, Contrattazione collettiva di secondo livello: incentivazioni contributive e fiscali, in Il collegato lavoro 2008, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Milano, Ipsoa, 2008, 354; contra X. XXXX, Le forme retributive..., op. cit., 660, ad avviso del quale «la formula utilizzata (...) è tale da coprire l’intero spettro dei sistemi retributivi variabili legati sia ai caratteri della prestazione sia ai parametri di risultato generali dell’impresa». La soluzione interpretativa proposta si giustifica in quanto la formula utilizzata dal legislatore del 2007 è, dal punto di vista dei presupposti che i premi devono avere per accedere alle agevolazioni, identica a quella del 1997. Nel vigore di questa disciplina si riteneva che tutte le forme di retribuzione variabile, sia quelle legate alla prestazione dei lavoratori, sia quelle correlate all’andamento dell’impresa, fossero ammesse alla decontribuzione.
140 X. XXXXXXXX, op. cit., 356, afferma che gli sgravi non troverebbero applicazione in relazione ai premi corrisposti a titolo individuale a singoli lavoratori, nonché a «tutte le forme di cottimo, individuale o collettivo, a prescindere dalla loro vigenza in determinati settori».
000 X. XXXX, Xx forme retributive..., op. cit., 660.
000 X. XXXXXXXX, Misure per la competitività..., op. cit., 413, ad avviso del quale la formula utilizzata dal legislatore per individuare le somme erogate dalla contrattazione di secondo livello da ammettere alla decontribuzione rinvia alle scelte delle parti sociali.
siano distinte rispetto alle altre sotto il profilo quantitativo o qualitativo. Da ultimo questa soluzione appare maggiormente rispettosa dell’autonomia delle parti sociali nel definire la retribuzione variabile: se il legislatore incentivasse solo i premi legati all’andamento complessivo dell’impresa, nonostante le parti sociali abbiano compreso nella definizione di retribuzione variabile anche quelli correlati alle prestazioni, egli sovrapporrebbe alla definizione di premio di risultato fornita dalle organizzazioni sindacali una propria definizione e comprimerebbe l’autonomia del sindacato in materia retributiva143.
La legge del 2007 sostituisce alla “decontribuzione” prevista dal d.l. n. 67 del 1997 uno “sgravio contributivo” 144: il vantaggio ricade sui lavoratori perché le somme ammesse all’agevolazione sono computate ai fini pensionistici, nonostante non siano soggette a trattenuta previdenziale. Al contrario la decontribuzione implicava un abbattimento delle trattenute previdenziali sui premi di risultato, ma anche la non computabilità di queste somme a fini pensionistici.
La nuova disciplina conferma uno sgravio totale per i lavoratori ed uno pari a 25 punti della percentuale di contribuzione a carico dei datori di lavoro145. L’art. 1, comma 67, l. n. 247 del 2007, prevedeva che l’agevolazione riguardasse al massimo il 5% della retribuzione contrattuale percepita dal lavoratore, percentuale ridotta al 3% dal d.m. 7 maggio 2008. La definizione di “retribuzione contrattuale”, necessaria a fissare il limite massimo del premio che può accedere all’agevolazione, è contenuta nel § 3, circ. Inps n. 82 del 2008: essa comprende quanto stabilito dai contratti e accordi collettivi e da quelli individuali, ivi compresi i premi oggetto di sgravio. Nonostante la circolare ampli quanto più possibile la nozione di retribuzione contrattuale, lo sgravio contributivo è di entità molto modesta perché riguarda al massimo il 3% di essa. Il d.m. 7 maggio 2008 fissa alcune condizioni per l’accesso al beneficio contributivo, il quale pertanto non è più attribuito in modo automatico al datore di lavoro come era in precedenza: anzitutto le imprese devono formulare una
143 X. XXXXXXXX, Misure per la competitività..., op. loc. cit.
144 X. XXXXXXXX, op. cit., 352 ss.; X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, Al via lo sgravio contributivo sui premi di risultato, in Guida al Lavoro, 2008, 34, 88 ss.
145 Per un’analisi più dettagliata del sistema cfr. X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, op. cit., 90 ss. i quali spiegano come lo sgravio di 25 punti dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro corrisponda ad un beneficio rilevante.
domanda di ammissione allo sgravio contributivo, nella quale dichiarano di erogare premi di risultato conformi alle caratteristiche prescritte dalla legge; in secondo luogo devono depositare il contratto di secondo livello presso la direzione provinciale del lavoro entro 30 giorni dalla sua stipulazione146; infine le domande per l’agevolazione saranno accolte fino all’esaurimento del fondo di
€ 650 milioni147 a ciò destinato, da cui si desume l’esistenza di un “criterio di priorità” per l’accesso all’agevolazione che consiste nella data di presentazione della domanda148.
Per l’anno 2012, l’art. 33, comma 14, l. 12 novembre 2011, n. 183, ha confermato lo sgravio contributivo per la retribuzione variabile secondo i criteri e le modalità dell’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007, anche se, tramite il rinvio all’art. 26, d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (parzialmente modificato dall’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011), ha mutato la definizione dei premi ammessi allo sgravio ed i livelli contrattuali competenti a disciplinarli. Tale nuova regolamentazione si giustifica con l’intento di armonizzare il quadro normativo in tema di incentivi fiscali e contributivi.
Nel 2012 saranno ammessi allo sgravio i premi correlati “a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegati ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa, o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”. Anche questa definizione di premio potrà far sorgere i dubbi ermeneutici prospettati in precedenza. Tuttavia, il fatto che gli obiettivi di produttività, di qualità ecc. possano essere collegati, oltre che all’andamento economico dell’impresa o agli utili, anche “ad ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”, consente di far salva l’interpretazione proposta: lo sgravio contributivo pare applicabile a tutti i
146 Anche da questa condizione per l’accesso all’agevolazione si può desumere che le erogazioni fatte con il contratto individuale in imprese sprovviste di secondo livello contrattuale non accedano allo sgravio: come potrebbero tali aziende adempiere all’obbligo di depositare il contratto di secondo livello se non ne sono dotate?
147 Il d.m. 7 maggio 2008 ha previsto che il 62,5% delle risorse siano destinate ai premi regolati nei contratti collettivi aziendali, mentre la percentuale rimanente a quelli disciplinati nei contratti territoriali. Qualora in uno dei due fondi residuassero risorse è possibile destinarle all’altro.
148 Il d.m. 7 maggio 2008 ha attuato l’art. 1, comma 68, l. n. 247 del 2007 il quale richiedeva che un decreto ministeriale fissasse i criteri di priorità per l’accesso al beneficio.
sistemi retributivi legati sia a caratteri della prestazione che ai parametri di risultato generale dell’impresa.
I premi ammessi all’agevolazione contributiva sono quelli regolati dai contratti collettivi aziendali o territoriali stipulati da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge o agli accordi interconfederali vigenti149. La volontà del legislatore, come si desume dall’incipit del comma 6, art. 22, l. n. 183 del 2011, è quella di far accedere agli sgravi i premi regolati dagli accordi di prossimità di cui all’art. 8, l. n. 148 del 2011. Per il resto rimane ferma la disciplina dell’art. 1, commi 67 e 68, l. n. 247 del 2007.
Tale regolamentazione è criticabile, al pari di quella del 1997, perché le agevolazioni sono eccessivamente limitate: uno sgravio contributivo che riguarda al massimo il 3% del trattamento economico complessivo del prestatore, non è in grado di incentivare le imprese ad attivare un secondo livello di contrattazione collettiva150. La nuova normativa, inoltre, al contrario di quanto richiesto dalle parti sociali nell’A.I. 15 aprile 2009 e nell’A.I. del 28 giugno 2011, non rende certo per il datore di lavoro l’accesso allo sgravio contributivo, quand’anche egli abbia rispettato tutte le prescrizioni di legge; la mancanza di certezza concerne anche l’individuazione delle forme di retribuzione variabile ammesse allo sgravio: questo è applicabile ai sistemi di valorizzazione del merito contrattati collettivamente, o solo a quelli legati all’andamento dell’impresa? Tali incertezze rischiano di vanificare la capacità del sistema di incentivare le imprese a munirsi di un contratto collettivo di secondo livello come strumento per accrescere la produttività.
149 L’art. 33, comma 14, l. n. 183 del 2011 richiama lo sgravio contributivo dovuto ai sensi dell’art. 26, d.l. n. 98 del 2011. Tale norma contiene la definizione dei premi ammessi all’agevolazione, mentre l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011 ha modificato i livelli contrattuali competenti a regolarli per comprendere anche la retribuzione variabile disciplinata nei contratti di prossimità ex art. 8, l. n. 148 del 2011.
150 Nell’A.I. del 28 giugno 2011 le parti sociali, dopo aver chiesto una conferma delle agevolazioni anche per il 2012, hanno affermato che queste misure hanno dimostrato reale efficacia nel sostenere la contrattazione aziendale.
4.2. Le agevolazioni fiscali
L’art. 1, comma 70, l. n. 247 del 2007 aveva introdotto per la prima volta un’agevolazione fiscale a favore della retribuzione variabile erogata dai contratti collettivi di secondo livello. Siccome tale disciplina non era immediatamente applicabile, si è dovuta attendere l’emanazione del d.m. 23 aprile 2008 per il riconoscimento di una detassazione nel limite massimo del 23% del premio, sulle erogazioni non superiori a €350151. Il sistema della l. n. 247 del 2007 non è stato confermato nel 2008 a causa della sovrapposizione con il d.l. 27 maggio 2008, n. 93 il quale aveva introdotto un nuovo sistema di agevolazioni fiscali per tutte le misure preordinate ad accrescere la produttività in esso elencate152.
La disciplina normativa delle agevolazioni fiscali è particolarmente frastagliata153: dapprima è stato emanato il d.l. n. 93 del 2008 (conv. nella l. n. 126 del 2008); successivamente è intervenuto l’art. 5, d.l. 29 novembre 2008, n. 185 (conv. nella l. n. 2 del 2009) che ha regolato le agevolazioni per il 2009; l’art. 2, commi 156 e 157, d.l. n. 191 del 2009 conteneva la regolamentazione
delle agevolazioni per il 2010 e l’art. 53, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (conv. nella l. n. 220 del 2010, art. 1, comma 47) ha regolato le agevolazioni per il 2011. L’art. 33, comma 12, l. n. 183 del 2011 ha nuovamente modificato la disciplina delle agevolazioni fiscali per il 2012 ed il 2013. Di seguito si analizzerà la regolamentazione dell’art. 53, comma 1, d.l. 78 del 2010 ed in chiusura si considereranno le modifiche apportate per il 2012 ed il 2013.
Le discipline succedutesi hanno mantenuto l’impianto di fondo del d.l. n.
185 del 2008154 e si sono limitate a modificare il quantum delle risorse a
151 Come sottolineano X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, op. cit., 89 s., l’agevolazione massima ammontava a € 80,5.
152 La disciplina dell’art. 2, d.l. 27 maggio 2008, n. 93, prevedeva un’imposta sostitutiva sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 10% per le somme erogate a livello aziendale per prestazioni di lavoro straordinario (lett. a), per prestazioni di lavoro supplementare, ovvero per prestazioni rese in funzione di clausole elastiche (lett. b), o in relazione ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa (lett. c).
153 Per un’analisi della stessa si rinvia a X. XXXXXXXXXX, Le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione di straordinari e premi, in La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2008, 223 ss.
154 Più precisamente hanno mantenuto le agevolazioni a favore delle somme che erano disciplinate nell’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, cioè quelle erogate “in relazione ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa, e altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa”.
disposizione per incentivare i premi di risultato. L’unica eccezione è rappresentata dall’art. 53, d.l. n. 78 del 2010 che ha introdotto alcune modifiche di rilievo.
Il d.l. n. 78 del 2010, all’art. 53155, prevede una tassazione agevolata156 per le “somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato, in attuazione di accordi collettivi territoriali od aziendali, correlati ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate ai risultati riferibili all’andamento economico o agli utili dell’impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”. Sono ammessi all’agevolazione coloro che, nel 2010, hanno percepito un reddito non superiore ad € 40000, nei limiti di € 6000 lordi.
La formulazione dell’art. 53, d.l. n. 78 del 2010, è molto diversa dalle precedenti157: la principale novità è che le agevolazioni fiscali sono concesse solo ai premi di risultato erogati dai contratti collettivi di secondo livello, siano essi territoriali o aziendali. Poiché nel vigore della disciplina previgente il legislatore richiedeva che i premi ammessi alle agevolazioni fossero erogati “a livello aziendale” e non dal contratto collettivo aziendale, la dottrina 158 aveva ritenuto che gli incentivi fiscali fossero concedibili sia ai premi attribuiti con il contratto individuale, sia a quelli erogati unilateralmente dall’impresa, sia a quelli attribuiti con il contratto aziendale. Questa interpretazione era condivisibile anche alla luce della comparazione fra la formulazione letterale del
d.l. n. 185 del 2008 e quella dell’art. 1, comma 70, l. n. 247 del 2007 il quale, al contrario, precisava che i premi di risultato, per essere ammessi agli incentivi legislativi, dovevano essere disciplinati nei “contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello”.
155 I primi commenti si possono leggere in xxx.xxxxx.xx: cfr. al riguardo, X. XXXXXXXXXX,
Partecipazione sindacale valorizzata; X. XXXXXXXX, Detassazione solo con accordo decentrato;
X. XXXXXXX, Detassazione solo con la contrattazione: la legge non consente altre interpretazioni.
156 Si tratta, come nei precedenti interventi normativi, di un’imposta sostitutiva dell’Irpef del 10%.
157 Si fa riferimento al d.l. n. 185 del 2008 richiamato dai decreti legge successivi per individuare le caratteristiche dei premi di risultato che potevano essere ammessi alle agevolazioni fiscali.
158 F.M. PUTATURO DONATI, Misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro, in Riv. Giur. Lav., 2009, 2, 342; X. XXXXXXXX, Misure per la competitività..., op. cit., 420; X. XXXXXXXXXX, Le misure sperimentali..., op. cit., 224.
La nuova formulazione, a differenza della precedente, incentiva la contrattazione collettiva di secondo livello, ma rischia di essere svilita nel perseguimento di tale fine dalla circ. dell’agenzia delle entrate 3/E, del 14 febbraio 2011, che non impone al datore di lavoro di depositare il contratto aziendale o territoriale per consentirne il controllo: per l’impresa è sufficiente attestare nel CUD che le somme per cui richiede gli incentivi fiscali sono previste in un contratto di secondo livello e sono finalizzate ad accrescere la produttività e l’efficienza aziendale. Manca qualsivoglia controllo sia sull’effettiva esistenza dell’accordo di secondo livello, sia sul fatto che i premi siano concretamente finalizzati a perseguire gli obiettivi previsti dalla legge159.
La seconda differenza rispetto alla disciplina previgente concerne la definizione degli obiettivi cui deve essere condizionata l’erogazione della retribuzione variabile per accedere all’agevolazione: antecedentemente160 gli obiettivi potevano essere legati alle prestazioni dei lavoratori ed anche all’andamento dell’impresa161, mentre l’attuale normativa fa sorgere il dubbio se i premi ammessi all’incentivo fiscale siano solo i secondi. L’agevolazione sembra avere il medesimo campo di applicazione della disciplina precedente. A questa conclusione si perviene in quanto gli obiettivi dei premi, oltre che essere legati all’andamento economico o agli utili dell’impresa, sono riferibili ad “ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”: quest’ultima può essere accresciuta anche tramite sistemi premianti che valorizzino le prestazioni ed il merito, specialmente nei settori in cui la forza lavoro ha un ruolo strategico per l’impresa.
159 F.M. PUTATURO DONATI, Misure sperimentali...,op. cit., 349; X. XXXXXXXXX, Nota sulla costituzionalità dell’art. 2 del d.l. 27 maggio 2008, n. 92 (misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro), in xxx.xxxx.xx/xxxxxxxxx, 1, il quale ipotizza l’incostituzionalità del provvedimento per irragionevolezza, se è vero che , «assunta la finalità di incrementare la produttività del lavoro, il legislatore non chiarisce in alcun modo come, da chi e quando dovrebbe essere controllato che il ricorso (...) a forme ulteriori di flessibilità del lavoro o delle retribuzioni ivi contemplate sia effettivamente volto a tale scopo».
160 Art. 2, lett. c), d.l. n. 93 del 2008.
161 L’art. 2, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, faceva riferimento alle somme erogate per “incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa e ad altri elementi di competitività e redditività legati all’andamento economico dell’impresa”. Si riteneva pertanto che gli obiettivi cui subordinare l’erogazione della retribuzione variabile per accedere agli incentivi fiscali potessero essere legati sia alle prestazioni rese da gruppi di lavoratori, sia all’andamento dell’impresa. Solo gli “altri elementi” dovevano essere necessariamente legati all’andamento economico dell’impresa.
La disciplina dell’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010 era più convincente delle precedenti poiché incentivava effettivamente la contrattazione collettiva di secondo livello. Al contrario le normative previgenti vanificavano tale finalità in quanto ammettevano alle agevolazioni anche i premi di risultato erogati unilateralmente dal datore di lavoro o tramite accordi individuali.
Il legislatore, con l’art. 33, comma 12, l. n. 183 del 2011, ha prorogato per il 2012 ed il 2013 non la disciplina dell’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010, ma quella dell’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008, anche se ha modificato sia la definizione dei premi ammessi all’agevolazione (ora contenuta nell’art. 26, d.l. n. 98 del 2011), sia i livelli contrattuali competenti ad erogarli (art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011). In tal modo ha di fatto svuotato di significato il rinvio all’art. 2, comma 1, lett. c), d.l. n. 93 del 2008.
Anzitutto sono stati predeterminati i fondi per l’agevolazione fiscale, pari a 835 milioni di euro per il 2012 e a 263 milioni di euro per il 2013. Mancano ancora i decreti per fissare l’importo massimo assoggettabile all’imposta sostitutiva del 10%, nonché il limite massimo di reddito oltre il quale il titolare non può usufruire dell’agevolazione.
Per quanto attiene ai premi ammessi all’agevolazione, al pari di quanto affermato relativamente agli sgravi contributivi, l’art. 26, d.l. n. 98 del 2011 sancisce che si deve trattare di somme correlate “ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegate a risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa, o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale”. La formulazione è identica a quella introdotta dall’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010 analizzata sopra, alla quale, pertanto, si rinvia.
Per quanto attiene ai livelli contrattuali competenti a disciplinare i premi che possono ottenere le agevolazioni, l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011, prescrive che si tratti di contratti collettivi sottoscritti a livello aziendale o territoriale da sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale o territoriale “ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti”. Anche in tal caso si conferma la scelta fatta dal legislatore con l’art. 53, comma 1, d.l. n. 78 del 2010 di agevolare solo i premi erogati tramite un contratto collettivo di secondo livello.
Si può valutare in termini positivi l’intervento del legislatore tramite l’art. 26, d.l. n. 98 del 2011 e l’art. 22, comma 6, l. n. 183 del 2011 che ha “armonizzato il quadro normativo in tema di incentivi fiscali e contributivi”, almeno per quanto concerne l’individuazione dei premi che possono accedere alle agevolazioni ed i livelli contrattuali competenti a regolarli.
5. Il ruolo della legge nella riforma del lavoro pubblico
Le varie fasi della privatizzazione del lavoro pubblico si giustificano, in materia retributiva, con l’intento di superare la “giungla retributiva” causata dal rilevante peso degli automatismi nella struttura salariale, dal congiunto operare di più fonti non coordinate fra loro nella regolazione della retribuzione e dalle continue intrusioni della legge volte ad erogare trattamenti economici aggiuntivi non giustificati dal merito e dalla produttività del lavoro162. Queste prassi avevano determinato una crescita delle retribuzioni dei dipendenti pubblici superiore a quella dei lavoratori del settore privato e maggiore della produttività delle amministrazioni.
Nel tentativo di superare tale trend, le leggi di privatizzazione163 hanno conferito un ruolo centrale alla contrattazione collettiva nella disciplina del rapporto di lavoro pubblico. A titolo esemplificativo, il legislatore nell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001164 sanciva che le disposizioni di legge, i regolamenti e gli atti amministrativi cessavano di avere efficacia in seguito ai rinnovi dei contratti collettivi se conferivano trattamenti economici da essi non previsti. Di conseguenza l’accordo collettivo aveva una competenza esclusiva nel determinare la retribuzione dei dipendenti pubblici, che era, ed è tutt’ora, composta da un trattamento economico fondamentale disciplinato a livello
162 È la commissione “Coppo” che negli anni ’70 parla di “giungla retributiva” nel riferirsi al trattamento economico dei dipendenti pubblici; cfr. al riguardo, X. XXXX, Il trattamento economico, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Commentario, tomo I, a cura di X. Xxxxxxx e X. X’Xxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 2000, 1405 ss.; X. XXXXX, Il trattamento economico nel lavoro pubblico privatizzato, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 1998.
163 Si fa riferimento alla l. d. n. 421 del 1992, al d.lgs. n. 29 del 1993, al d.lgs. n. 80 del 1998 e al d.lgs. n. 165 del 2001.
164 Si tratta della versione risultante dal d.lgs. n. 80 del 1998, antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 150 del 2009. Per un paragone fra la disciplina dell’art. 2, comma 3, d.lgs.
n. 165 del 2001 prima e dopo le modifiche del d.lgs. n. 150 del 2009, cfr. X. XXXXXXX, La contrattazione collettiva nazionale, in Ideologia..., op. cit., 47 ss.; X. XXXX, Il trattamento , op.
cit., 1418, evidenzia che il contratto collettivo viene visto come lo strumento principale per superare le disfunzioni dell’amministrazione pubblica.
nazionale e da uno accessorio regolato dal contratto integrativo (art. 45, d.lgs. n. 165 del 2001). Quest’ultimo andava attribuito secondo logiche meritocratiche.
Nell’intenzione del legislatore, la valorizzazione della contrattazione collettiva doveva consentire di ridurre la spesa pubblica derivante dalle retribuzioni, mentre il contratto integrativo doveva realizzare un legame simbiotico fra il trattamento economico accessorio e la produttività del lavoro. Tali obiettivi non sono stati conseguiti poiché le parti stipulanti il secondo livello contrattuale hanno distribuito i trattamenti economici accessori in modo eguale a tutti i dipendenti (“a pioggia”) invece che secondo logiche meritocratiche come prescriveva la legge. La dottrina ha giustificato il fallimento del secondo livello contrattuale in diversi modi: taluni165 hanno rinvenuto la causa nella politica egualitaria del sindacato il quale ha preferito garantire i trattamenti economici aggiuntivi in cifra identica a tutti i lavoratori; altri166 hanno addebitato tale insuccesso alla mancata introduzione dei sistemi di valutazione del personale, ovvero del presupposto per differenziare l’erogazione del trattamento accessorio; altri167 ancora hanno imputato il fallimento del contratto integrativo ai ritardi nei rinnovi dei contratti di comparto che «hanno contribuito a “piegare” la contrattazione di secondo livello ad obiettivi di tutela salariale, con una sorta di effetto “sostitutivo” del contratto nazionale ritenuto insufficiente (e tardivo) per tale scopo»168.
Il d.lgs. n. 150 del 2009, preso atto del fallimento della contrattazione collettiva come strumento per superare le disfunzioni dell’amministrazione pubblica, ha nuovamente conferito un ruolo di primo piano alla legge169 e agli
165 X. XXXXXXXX, Merito e premialità nella recente riforma del lavoro pubblico, in Le istituzioni del federalismo, 2009, 5-6, 930 ss.
166 X. XXXX, Xx trattamento..., op. cit., 1408.
000 X. XXXXXX, Gli assetti della contrattazione integrativa dopo il d.lgs. n. 150 del 2009 e la finanziaria d’estate: ratio di una riforma, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 110/2010, in xxx.xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxxx/xxxxxxxxxxxxx, 11 ss.
168 X. XXXXXX, Gli assetti..., op. loc. cit.
169 Antecedentemente alla prima legge di privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico realizzata dalla l. d. n. 421 del 1992 e dal successivo d.lgs. n. 29 del 1993, il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici aveva una regolamentazione pubblicistica; per un commento al riguardo cfr. Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, a cura di X. Xxxxxxx, Bari, Laterza, 2010, 123 ss., che contiene una serie di saggi di X. Xxxxxx Xxxxxxxx, in alcuni dei quali si spiega come inizialmente si riteneva che l’art. 97 Cost. imponesse una riserva assoluta di regolamentazione legislativa e pubblicistica del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, mentre successivamente tale interpretazione è stata superata e si è resa possibile la contrattualizzazione e privatizzazione dei rapporti di lavoro di una parte dei dipendenti pubblici, escluso il personale elencato nell’art. 3,
atti unilaterali dell’amministrazione nella regolamentazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici privatizzati170. Questa scelta è dimostrata, in materia di trattamento economico, dall’art. 2, comma 3 e dall’art. 45, d.lgs. n.
165 del 2001171, i quali, dopo aver ribadito la competenza esclusiva della contrattazione collettiva nel determinare la retribuzione fondamentale e quella accessoria, hanno ammesso delle deroghe nei casi contemplati dagli artt. 40, comma 3 ter e comma 3 quater e dall’art. 47 bis. Il primo consente all’amministrazione di emanare una regolamentazione provvisoria nelle materie (anche in quella retributiva) in cui non venga raggiunto l’accordo integrativo; il secondo vincola la contrattazione nazionale a ripartire le risorse per la contrattazione integrativa sulla base della graduatoria della performance redatta dalla commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni; l’ultima norma riconosce all’amministrazione la possibilità di erogare unilateralmente gli incrementi stipendiali se vi sono ritardi nella stipula del contratto nazionale di comparto. Il legislatore ha limitato la competenza esclusiva della contrattazione collettiva nella determinazione del trattamento economico dei dipendenti pubblici privatizzati tramite il riconoscimento di una funzione concorrente all’amministrazione, quando non vengano raggiunti gli accordi a livello nazionale o integrativo.
Il legislatore del 2009 ha disciplinato il “ciclo di gestione della performance”172 che impone di predeterminare gli obiettivi per tutti i dipendenti e per le strutture e, successivamente, di attribuire i trattamenti accessori e i premi solo se e nella misura in cui questi obiettivi vengano conseguiti. Viene regolato dettagliatamente il sistema di valutazione e si lascia un ruolo marginale al sindacato e alla contrattazione collettiva: gli obiettivi per i dipendenti e le strutture sono determinati dall’organo di indirizzo politico-amministrativo,
d.lgs. n. 165 del 2001. Cfr. anche X. XXXXXXXXX e M.T. CARINCI, Il lavoro pubblico in Xxxxxx,
Xxxx, Xxxxxxx, 0000, 27 ss., spec. 30.
170 X. XXXXXXXX, Xxxxxxx di contrattazione..., op. cit., 9, si chiede se sia ragionevole «la messa in discussione dello strumento contrattuale tout court per la disciplina delle condizioni di lavoro, e specialmente dei trattamenti retributivi, dei dipendenti pubblici». In senso analogo si esprime X. XXXXXXX, Il ruolo della legge nella disciplina del lavoro pubblico, in Ideologia..., op. cit., 30 ss., ad avviso del quale si ricreano le condizioni per una «giungla normativa».
171 Come modificati dal d.lgs. n. 150 del 2009.
172 Artt. 4 e ss., d.lgs. n. 150 del 2009.
senza alcun coinvolgimento del sindacato (art. 5)173; i criteri in base ai quali differenziare le valutazioni del personale (art. 19) sono fissati direttamente in via legislativa, così come gli strumenti attraverso cui premiare i lavoratori (artt. 20 e ss.).
La svalutazione del ruolo del sindacato viene confermata, in materia di valutazione del personale, quando si afferma che il contratto collettivo interviene solo nei limiti previsti dalle norme di legge (art. 40, comma 1, d.lgs.
n. 165 del 2001) e, in materia retributiva, quando l’art. 45, comma 3, d.lgs. n.
165 del 2001 prescrive una regolamentazione del trattamento economico accessorio nei limiti ed in coerenza con le disposizioni di legge vigenti, che funzionalizzano la contrattazione integrativa e la retribuzione accessoria a perseguire i fini predeterminati dalla legge. Anche in tal modo il legislatore invade spazi tradizionalmente riservati alle scelte dell’autonomia collettiva.
In seguito alla riforma del 2009 il rapporto legge-contrattazione collettiva può essere raffigurato con l’immagine di un contratto collettivo in “libertà vigilata” dalla legge e dagli atti unilaterali dell’amministrazione pubblica174.
Il d.lgs. n. 150 del 2009 si propone di assicurare elevati standard qualitativi ed economici e di superare le disfunzioni delle amministrazioni pubbliche senza immettere nuove risorse175 e senza apportare miglioramenti nell’organizzazione pubblica, a differenza di quanto era stato fatto nelle precedenti fasi della privatizzazione nel corso delle quali le modifiche nella regolamentazione dei rapporti di lavoro pubblico erano accompagnate da interventi sul versante organizzativo e funzionale delle amministrazioni176.
173 Tale norma viene criticata dalla dottrina ed anche dagli studiosi di organizzazione aziendale che in più occasioni hanno sottolineato l’importanza del coinvolgimento dei valutati o dei loro rappresentanti nella fase di fissazione degli obiettivi, affinché il sistema di valutazione sia condiviso e non diventi causa della crescita del contenzioso. Cfr. al riguardo, X. XXXXXXXX e X. XXXXXXXX, op. cit., 244 ss.; cfr. anche X. XXXXXXXX, Xxxxx, poteri e responsabilità nella valutazione del merito dei dipendenti pubblici, in Lav. Pubb. Amm., 2009, 5, 729 ss., il quale evidenzia l’importanza di riconoscere alle xx.xx. dei lavoratori la possibilità proporre suggerimenti, correttivi e contributi al funzionamento del sistema di valutazione, ferma l’unilateralità della decisione finale che spetta all’amministrazione, secondo quanto indicato chiaramente nella legge.
174 X. XXXXXXX, La contrattazione..., op. cit., 52, parla di una contrattazione collettiva dotata di una “sovranità limitata”.
175 Il legislatore ribadisce in più parti del d.lgs. n. 150 del 2009 che le innovazioni da esso apportate devono avvenire senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, cfr. art. 3, comma 6, art. 11, comma 6, art. 14, comma 1 ed art. 17, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2009.
176 X. XXXXXXXX, Xxxxx, poteri..., op. cit., 729 ss.
5.1. I criteri per la differenziazione delle valutazioni introdotti dal legislatore nel 2009
Poiché in passato i contratti integrativi hanno erogato il trattamento economico accessorio “a pioggia”, il legislatore del 2009 ha introdotto nell’art. 19, d.lgs. n. 150 del 2009, i criteri per la differenziazione delle valutazioni del personale in modo che la retribuzione aggiuntiva a quella fondamentale ed i premi siano attribuiti ai dipendenti secondo il merito. Alla contrattazione integrativa viene assegnato un ruolo marginale (comma 4).
L’art. 19, d.lgs. n. 150 del 2009 prevede che il personale di ciascuna amministrazione sia distribuito in tre diversi livelli di performance: il 25% dei dipendenti va collocato nella fascia di merito alta con l’attribuzione del 50% delle risorse per il trattamento accessorio; il 50% del personale, a cui spetta il restante 50% delle risorse per il trattamento accessorio, è collocato nella fascia intermedia; il rimanente 25% dei lavoratori va collocato nella fascia di merito bassa a cui non viene destinata alcuna risorsa.
La rigida ripartizione dei dipendenti in diversi livelli di performance è giustificata dalla volontà di obbligare le parti sociali ad erogare la retribuzione accessoria e gli altri benefici secondo logiche meritocratiche.
Prima della riforma del 2009 molti contratti di comparto177 avevano introdotto una regolamentazione analoga a quella dell’art. 19 che era stata criticata dalla dottrina178 perché determinava la percentuale dei lavoratori che a posteriori sarebbero stati meritevoli di un trattamento aggiuntivo, ancora prima che essi avessero prestato la loro attività lavorativa. In conseguenza di ciò la collocazione del dipendente in un dato livello di performance poteva dipendere esclusivamente dal fatto che la fascia di merito più rispondente alla prestazione concretamente resa, fosse già stata esaurita. Se il sistema delineato dai contratti di comparto era eccessivamente rigido, pure quello dell’art. 19, d.lgs. n. 150 del 2009, che si differenzia dal precedente solo perché è disciplinato in via legislativa, non si sottrae a questa obiezione: anche in tal caso le percentuali del
177 Cfr. al riguardo X. XXXXXXXX, Le retribuzioni incentivanti nel pubblico impiego, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 1996, 3, 512 ss., il quale richiama, a titolo esemplificativo, il contratto collettivo nazionale di comparto dei ministeri e delle aziende autonome, quello dell’università, quello della sanità, quello delle autonomie e degli enti locali ed, infine, quello degli enti pubblici non economici.
178 X. XXXXXXXX, Le retribuzioni..., op. cit., 511 ss.
personale da collocare nelle diverse fasce di merito vengono determinate prima che siano rese le prestazioni da valutare.
L’art. 19 pone anche un problema di omogeneità della valutazione dei dipendenti quando prescrive di raggruppare tutto il personale di una stessa amministrazione in un’unica graduatoria finale: ogni amministrazione ha più strutture di vertice e ciascuna di esse deve valutare il personale ad essa sottoposto. Ad avviso dell’art. 19 i lavoratori della stessa amministrazione vanno inseriti nella medesima graduatoria anche se sono valutati da diversi dirigenti. Nonostante il legislatore fissi “criteri oggettivi” in base ai quali giudicare il personale, la valutazione dipende largamente dal soggetto che la effettua e dalla sua severità. In conseguenza di ciò, la collocazione del lavoratore in una data fascia di merito può dipendere non solo dalla prestazione resa, ma anche dal dirigente che lo valuta179.
I problemi sopra delineati rischiano di accrescere il contenzioso fra le parti, perché l’ubicazione del lavoratore in una determinata fascia di merito ha ricadute sull’erogazione dei premi e della retribuzione accessoria, sulle progressioni economiche (art. 23, d.lgs. n. 150 del 2009), su quelle di carriera (art. 24) e sulla eventuale valutazione di insufficiente rendimento rilevante per il licenziamento disciplinare (art. 55 quater, d.lgs. n. 165 del 2001) 180. In conseguenza di ciò il lavoratore ha un forte interesse a contestare i giudizi che ritenga ingiusti e tali contestazioni hanno un’elevata probabilità di trovare accoglimento se si considera la rigidità dei criteri di ripartizione del personale e il rischio che le valutazioni dei dirigenti di una stessa amministrazione non siano omogenee.
Nel tentativo di “stemperare” la rigidità della norma, il comma 4 conferisce al contratto integrativo la facoltà di variare le percentuali delle fasce di merito e delle risorse ad esse destinate. L’unico limite esplicito posto alla contrattazione di secondo livello è che essa possa modificare la fascia alta solo
179 X. XXXXXXXX, La riforma del lavoro pubblico, Rimini, Maggioli editore, 2009, ad avviso del quale l’unico modo per risolvere il problema è quello di creare tante graduatorie per ciascun ente, quante sono le strutture di vertice. Solo in tal modo si garantisce che in ciascuna classifica venga inserito il personale valutato in modo omogeneo dallo stesso dirigente. Si crea tuttavia il problema di ripartire le risorse destinate all’ente fra i diversi uffici.
180 Ci si può chiedere se una collocazione nella fascia di merito bassa per più anni consecutivi rilevi al fine di considerare l’attività lavorativa “resa in violazione degli obblighi concernenti la prestazione”.
nel limite del 5% in aumento o in diminuzione. Tuttavia dall’obiettivo della riforma di erogare i trattamenti aggiuntivi secondo logiche selettive si desume anche il divieto per i sindacati di sopprimere la fascia di merito bassa.
Il riconoscimento alla contrattazione integrativa della facoltà di modificare le percentuali dei diversi livelli di performance e delle risorse ad esse destinate non consente di superare la critica di una eccessiva rigidità del sistema perché anche le differenti percentuali eventualmente fissate nei contratti integrativi sono determinate prima che le prestazioni lavorative siano concretamente svolte, al pari di quelle previste ex lege.
Il sistema delineato dalla norma in commento è stato “disinnescato”181 per tutto il 2011 dall’intesa sottoscritta dal Ministro della funzione pubblica e da quello del lavoro e delle politiche sociali con i sindacati della funzione pubblica aderenti a Cisl, Uil, Ugl, Cida, Confsal e Usal il 4 febbraio 2011. Secondo tale accordo (cfr. § 2 e § 3) le retribuzioni complessive (comprensive della parte accessoria) conseguite dai lavoratori nel 2010 non devono diminuire per effetto dell’applicazione dell’art. 19, d.lgs. n. 150 del 2009. Tale disposizione, pertanto, è destinata a ripartire secondo logiche meritocratiche solo le eventuali “risorse aggiuntive”. Per gli anni successivi al 2011 la “sorte” della norma è incerta182.
5.2. La funzionalizzazione della contrattazione integrativa
L’ampliamento del ruolo della legge nella disciplina del lavoro pubblico si manifesta anche con la fissazione in via legislativa delle finalità dell’attività contrattuale e delle risorse ad essa destinate183. Nel lavoro privato un intervento legislativo di tale portata contrasterebbe con l’art. 39, comma 1, Cost., che riconosce la libertà sindacale e della contrattazione collettiva, mentre nel lavoro pubblico si giustifica perché la libertà sindacale va contemperata con l’esigenza
181 X. XXXXX XXXXXX, Tanto tuonò... che non piovve. Dal blocco degli automatismi al blocco della retribuzione incentivante, in xxx.xxxxx.xx, Bollettino dell’8 febbraio 2011.
182 Cfr. al riguardo X. XXXXX XXXXXX, Tanto tuonò..., op. cit.; X. XXXXX XXXXXX, Un’introduzione..., op. cit., 604 ss. e X. XXXXXXXXXX, La contrattazione collettiva: prove..., op. cit., 334.
183 Al riguardo i riferimenti sono molteplici: X. XXXXXXXX, Xxxxx, poteri..., op. cit., 729 ss.; X. XXXXXXXX, Legge n. 15/2009 e decreti di attuazione: il rapporto fra fonte legislativa e contrattazione collettiva nazionale e integrativa, in Il lavoro negli enti locali: verso la riforma Brunetta, a cura di X. Xxxxx Xxxxxx, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2009, 1 ss.; X. XXXXXX, Gli assetti..., op. cit., 18 ss.; X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, Xxxxxxx e ruoli della contrattazione integrativa, in Ideologia..., op. cit., 70 ss.
di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97, Cost. Questo interesse legittima i limiti posti dal legislatore alla contrattazione di secondo livello poiché essa, oltre ad essere una risorsa nella misura in cui valorizza il merito e migliora la produttività del lavoro, è anche un’“irrefrenabile fonte di spesa” 184.
L’art. 40, comma 3 bis, d.lgs. n. 165 del 2001 impone alla contrattazione integrativa di “assicurare” adeguati livelli di efficienza e di produttività, tramite la destinazione della quota prevalente del trattamento economico accessorio alla performance individuale. Il legislatore non solo prescrive alla contrattazione integrativa di migliorare l’efficienza e la produttività delle amministrazioni, ma stabilisce anche che essa debba perseguire tale fine tramite la destinazione della maggior parte del trattamento economico accessorio a premiare la performance individuale. Le previsioni della contrattazione integrativa sono nulle (art. 40, comma 3 quinquies, d.lgs. n. 165 del 2001) se valorizzano maggiormente la performance organizzativa nel perseguire i fini posti dal legislatore.
Ai sensi dell’art. 40 bis, comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001, disposizione riferita alla relazione illustrativa che le amministrazioni predispongono per garantire la conoscibilità del contratto integrativo, i trattamenti economici accessori devono accrescere l’efficienza dei servizi dell’amministrazione, anche in relazione alle richieste dei cittadini. La disposizione finalizza la retribuzione di risultato non solo ad accrescere l’efficienza dell’amministrazione, ma a farlo tenendo conto delle richieste degli utenti185.
Anche nell’art. 24, comma 1 bis, d.lgs. n. 165 del 2001, è il legislatore ad imporre al sindacato di perseguire un determinato fine e a prescrivergli come farlo: per incentivare i dirigenti a raggiungere gli obiettivi prefissati, il contratto integrativo deve destinare almeno il 30% del trattamento economico complessivo a premiare i risultati conseguiti.
184 X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, Xxxxxxx e ruoli..., op. cit., 62.
185 X. XXXXXXXX, La retribuzione incentivante nelle amministrazioni pubbliche tra riforma legislative e rinnovi contrattuali del 2000, in Lav. Pubb. Amm., 2000, 491 ss., evidenzia la necessità di non sopravvalutare il ruolo della contrattazione integrativa e della retribuzione accessoria come strumenti per accrescere l’efficienza e la produttività delle amministrazioni. Per perseguire tali obiettivi è necessario un contesto organizzativo e gestionale orientato alla managerialità e corredato di procedimenti seri di valutazione.
Il risvolto delle norme che predeterminano i fini della contrattazione collettiva e della retribuzione accessoria è l’illegittimità delle clausole difformi dalla finalizzazione imposta dal legislatore186.
5.3. I limiti posti alla contrattazione di secondo livello e le conseguenze del loro superamento
I limiti della contrattazione integrativa sono fissati non solo dalla legge, ma anche dai contratti nazionali di comparto. Questi ultimi definiscono le modalità di riparto delle risorse per la contrattazione decentrata (art. 40, comma
3 quater), individuano i criteri ed i limiti finanziari della contrattazione di secondo livello (art. 40, comma 3 quinquies) e delegano al contratto integrativo la regolamentazione di determinate materie.
L’art. 40, comma 3 quinquies, analogamente a quanto previsto in precedenza, sancisce la nullità delle clausole del contratto integrativo in contrasto con i limiti ed i vincoli del contratto nazionale e delle norme di legge187. La sanzione della nullità travolge anche le previsioni del contratto decentrato che disciplinino materie non espressamente delegate dal livello superiore, a conferma del ruolo di ordo ordinans del contratto di comparto e di ordo ordinatus del contratto integrativo188. Le disposizioni del contratto integrativo sono nulle anche quando comportino oneri non previsti dagli strumenti di programmazione annuale o pluriennale. In questo caso è imposto il recupero delle risorse spese oltre i limiti nella sessione negoziale successiva.
Sono nulle le clausole del contratto di secondo livello che prevedano l’erogazione del trattamento economico accessorio “a pioggia” o in eccedenza rispetto ai limiti finanziari fissati dal contratto nazionale189. La nullità delle disposizioni contrattuali si giustifica nel primo caso perché esse contrastano con le norme di legge che impongono di attribuire la retribuzione accessoria in modo selettivo, nel secondo per il superamento dei limiti posti dal contratto nazionale.
186 X. XXXXXXXX, Xxxxx, poteri..., op. cit., 729 ss.
187 Cfr. al riguardo X. XXXXXXX, Contrattazione integrativa, nullità della clausole difforme e responsabilità “diffusa”, in Lav. Pubb. Amm., 2007, 5, 859 ss.
188 La distinzione è proposta da X. XXXXXXX, Contrattazione integrativa..., op. cit., 861 s.
189 X. Xxxxx, sez. Abruzzo, 26 aprile 2006, n. 239, in Foro Amm., TAR, 2006, 4, 1515; cfr. anche
X. Xxxxx, sez. Lombardia, 4 marzo 2010, n. 287, in Lav. Pubb. Amm., 2010, 2, 369 ss.
Quando ci si chiede se la sanzione della nullità sia efficace, si devono differenziare i casi in cui le risorse regolate dal contratto integrativo siano già state distribuite fra i dipendenti, da quelli in cui le clausole del contratto di secondo livello non hanno ancora avuto attuazione. In quest’ultimo caso la sanzione della nullità pare efficace: la disposizione dichiarata nulla non riceverà attuazione e si dovrà attendere un nuovo accordo sul punto o una regolamentazione provvisoria dell’amministrazione (art. 40, comma 3 ter)190 per erogare la retribuzione accessoria in modo conforme alle disposizioni di legge.
Se le risorse sono già state distribuite si verifica «la classica chiusura del recinto quando i buoi sono ormai scappati»191: è di scarsa utilità affermare che la clausola del contratto integrativo, sulla base della quale è stato erogato il trattamento economico accessorio in violazione delle norme di legge, è nulla quando le risorse sono già state distribuite fra i dipendenti.
In questi casi la Corte dei Xxxxx ha individuato un’ipotesi di responsabilità contabile per “danno da contrattazione collettiva” in capo a chi ha stipulato e a chi ha dato attuazione ad una clausola del contratto nulla192. Per imputare la
190 La norma sarà esaminata nel cap. 3: la soluzione non è pacifica visto che la regolamentazione provvisoria dell’amministrazione è contemplata per i casi in cui le parti non raggiungano l’accordo. In tal caso l’accordo fra le parti è stato siglato, ma contiene una clausola dichiarata nulla. La nullità della clausola concernente il trattamento economico accessorio lascia un vuoto normativo paragonabile a quello che vi sarebbe se le parti non avessero raggiunto l’accordo. Per questo motivo si è proposta l’applicazione dell’art. 40, comma 3 ter, d.lgs. n. 165 del 2001.
191 X. XXXXXXXX, Merito e premialità..., op. cit., 939.
192 X. Xxxxx, sez. Campania, 25 gennaio 2001, n. 79, in Riv. Pers. Ente Loc., 2004, 1, 162 ss.; X.
Xxxxx, xxx. Xxxxxxx, 00 aprile 2006, n. 239, in Foro Amm., TAR, 2006, 4, 1515; X. Xxxxx, sez. Lombardia, 8 luglio 2008, n. 457, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, hanno affermato l’essenzialità della valutazione selettiva, in base al merito e all’impegno, per incentivare la crescita della produttività, perché la retribuzione di risultato ha la finalità di premiare i miglioramenti nello svolgimento delle prestazioni e non di garantire aumenti retributivi in maniera indifferenziata. In conseguenza di ciò le clausole del contratto integrativo che prevedano l’erogazione della retribuzione accessoria senza il rispetto di criteri meritocratici sono nulle ed implicano la responsabilità di chi le ha stipulate e di chi vi ha dato attuazione.
Ha condannato i lavoratori alla ripetizione delle somme erogate “a pioggia” il Cons. St., 5 febbraio 2009, n. 621, in Lav. Pubb. Amm., 2009, 3-4, 669 ss. Si tratta tuttavia di una pronuncia relativa a trattamenti economici accessori degli anni 1990-1992, cui si applicava la disciplina pubblicistica. Infatti il Consiglio di Stato ritiene legittimo il provvedimento di autotutela con cui l’amministrazione aveva annullato l’atto che erogava a pioggia i compensi incentivanti. Ad avviso del giudice amministrativo i dipendenti non hanno un diritto soggettivo al trattamento aggiuntivo se manca il presupposto sulla base del quale l’atto amministrativo deve essere emanato, consistente nella differenziazione dell’erogazione in base al merito.
Per un’analisi della responsabilità erariale per “danno da contrattazione collettiva” in dottrina cfr. X. XXXXXX, Gli assetti..., op. cit., 18 ss.; X. XXXXXXX, Contrattazione integrativa..., op. cit., 875 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, Danno erariale, organizzazione del lavoro pubblico e ruolo della
responsabilità erariale è necessaria almeno una colpa grave: essa è stata ravvisata193, ad esempio, nella condotta del dirigente che ha stipulato un contratto integrativo in base al quale la retribuzione accessoria sia stata erogata senza rispettare alcun criterio selettivo, poiché la violazione delle disposizioni di legge in questo caso è evidente. Ci sono maggiori problemi ad individuare una colpa grave nella condotta di chi ha dato attuazione ad una clausola contrattuale nulla, perché tali soggetti si trovano dinanzi a due azioni alternative che possono essere entrambe fonte di responsabilità194: sono responsabili di inadempimento contrattuale se la disposizione del contratto collettivo che essi non hanno applicato perché la ritenevano nulla, si rivelasse legittima, ma sono egualmente responsabili per danno da contrattazione collettiva se applicano la clausola dell’accordo collettivo perché la considerano legittima e poi questa fosse dichiarata nulla.
Nella generalità dei casi è difficile imputare una colpa grave a chi ha dato attuazione alla clausola nulla per quanto appena affermato, ma è altrettanto complesso individuare una colpa grave nella condotta di chi ha stipulato la disposizione, se si fa eccezione per i casi di violazioni più macroscopiche e gravi. Per questi motivi taluni195 hanno definito la responsabilità contabile per danno da contrattazione collettiva “irrealistica” e con scarse possibilità di attuazione, mentre altri196 si sono posti il problema di chi abbia interesse a farla valere oltre alla procura presso la Corte dei Conti: non i lavoratori a cui ormai è stato erogato il trattamento accessorio, non i dirigenti che incorrono in responsabilità se si accerti la nullità della disposizione e nemmeno chi, in generale, sia chiamato ad applicare le clausole del contratto integrativo per quanto detto sopra.
L’art. 40, comma 3 quinquies prescrive al contratto integrativo, che abbia esorbitato dai vincoli finanziari ad esso posti, di recuperare le somme spese in
Corte dei Conti e F.M. PAGLIARA, La responsabilità amministrativa per danno erariale nella gestione dei rapporti di lavoro. Presupposti soggettivi ed elementi costitutivi della fattispecie, entrambi in Responsabilità amministrativa per danno erariale nella gestione dei rapporti di lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxxx, Padova, Cedam, 2009, 127 ss.
193 X. Xxxxx, sez. Abruzzo, 26 aprile 2006, n. 239, in Foro Amm., TAR, 2006, 4, 1515.
194 X. XXXXXXX, Contrattazione integrativa..., op. cit., 884, il quale parla di “cortocircuito logico”.
195 X. XXXXXXXX, Xxxxxx..., op. cit., 939.
000 X. XXXXXX, Gli assetti..., op. cit., 18 ss.
eccesso nella sessione negoziale successiva. A titolo esemplificativo, il superamento dei vincoli finanziari si verifica quando il contratto di secondo livello attribuisca la retribuzione di risultato in misura eccedente alle risorse messe a disposizione dal contratto nazionale.
Ci si chiede come funzioni concretamente il meccanismo di recupero dell’art. 40 comma 3 quinquies: se esso operasse sottraendo sic et simpliciter al fondo della sessione negoziale successiva le risorse spese precedentemente in eccesso, la previsione sarebbe illegittima poiché tratterebbe in modo eguale situazioni diverse: non tutti i lavoratori, a cui viene imposto il sacrificio economico in conseguenza della decurtazione del fondo della contrattazione integrativa, hanno necessariamente partecipato ai vantaggi derivanti dalle somme spese in eccesso nell’esercizio precedente. Ciò si verifica, ad esempio, quando l’amministrazione abbia assunto nuovi lavoratori: questi nell’anno precedente non hanno certo ottenuto dei benefici aggiuntivi, visto che non erano ancora occupati.
Un’applicazione ragionevole della disposizione impone di verificare quali lavoratori abbiano beneficiato delle risorse spese in eccesso nel precedente esercizio e a quanto ammonti il “vantaggio” di cui hanno fruito. Il recupero dovrebbe riguardare solo tali lavoratori e dovrebbe essere realizzato con la sottrazione delle somme percepite in eccesso nell’esercizio precedente a quelle che gli spetterebbero in base al nuovo contratto integrativo.
Anche questo meccanismo sanzionatorio, al pari della responsabilità erariale, è di difficile applicazione. L’unica sanzione efficace pare essere quella della nullità, solamente nei casi in cui le risorse ripartite dalla contrattazione integrativa in violazione della legge, dei limiti finanziari o delle previsioni dei contratti di comparto non siano già state distribuite.
6. La flessibilizzazione della retribuzione nel contratto individuale e tramite erogazioni unilaterali
La retribuzione mette a confronto l’interesse del prestatore a percepire il più possibile dal suo lavoro e quello del datore di lavoro a pagare trattamenti economici bassi in cambio del lavoro ricevuto. In questa contrapposizione la retribuzione viene considerata solo come un costo per l’impresa, mentre essa costituisce anche una risorsa per valorizzare le migliori professionalità ed
orientare le prestazioni dei lavoratori al conseguimento di obiettivi strategici197. Al fine di modellare il trattamento economico in modo più rispondente alle esigenze della singola realtà produttiva, il contratto individuale rappresenta uno strumento alternativo alla contrattazione di secondo livello198.
Tuttavia quando ci si occupa della contrattazione individuale nel diritto del lavoro199 è opportuno distinguere fra i lavoratori in possesso di professionalità elevate e spendibili nel mercato, i quali sono effettivamente in grado di contrattare una parte della retribuzione a livello individuale con il datore di lavoro, e quelli più deboli, per i quali «l’alternativa non è tra contrattazione collettiva e contrattazione individuale (...), ma tra una “retribuzione sindacale”, stabilita con procedure sindacali e una retribuzione stabilita unilateralmente dalle imprese»200. In questa seconda categoria rientrano non solo i lavoratori sprovvisti di elevate professionalità, ma anche quelli in possesso di competenze offerte sul mercato in eccesso rispetto alla domanda. Per essi la contrattazione a livello individuale di una parte della retribuzione non è effettiva, ma si trasforma in un’erogazione unilaterale dell’impresa, al di fuori di qualsivoglia confronto con il sindacato201.
197 X. XXXXX, Problemi e prospettive nelle politiche di fidelizzazione del personale, Milano, Xxxxxxx, 2004, si occupa proprio della possibilità di utilizzare la retribuzione in modo strategico per incentivare il personale al conseguimento di obiettivi rilevanti per l’impresa e per fidelizzarlo ad essa.
198 Questo alternatività fra contratto collettivo di secondo livello e contratto individuale nella regolamentazione della retribuzione flessibile è sostenuta da X. XXXXX, Problemi e prospettive..., op. cit., 18 ss. e pare potersi desumere da quanto affermato da X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e produttività..., op. cit., 328 ss., ad avviso del quale la mancanza di strumenti che incentivino in modo effettivo la contrattazione di secondo livello ha come risvolto la dimensione dell’unilateralità gestionale che diviene sempre più appetibile per le imprese.
199 M. D’ANTONA, Intervento, in Autonomia individuale e rapporto di lavoro, Atti del X Congresso nazionale di diritto del lavoro, Udine, 10-11 maggio 1991, Milano, Xxxxxxx, 1994, 192 ss., ad avviso del quale la libertà contrattuale nel diritto del lavoro sovente non garantisce l’autodeterminazione del lavoratore. Al contrario, sono proprio le limitazioni alla libertà contrattuale che consentono al lavoratore un’effettiva libertà di scegliere per sé.
200 M. D’ANTONA, Variabili normative condizionanti le alternative fra contrattazione collettiva e individuale, in Il sistema retributivo verso gli anni ’90, Napoli, Jovene, 1988, 242 s.; v. anche
X. XXXX, Zone di contrattazione individuale della retribuzione, in Il sistema..., op. cit., 247 ss.
201 Cfr. M. D’ANTONA, Intervento, op. cit., 247 ss., X. XXXXX XXXXXX, Un’introduzione..., op. cit., 603 e anche X. XXXXXXX, Intervento, in Autonomia individuale..., op. cit., 79 ss., ad avviso della quale la libertà contrattuale può essere recuperata solo a partire dalla rete ben tesa di tutele predisposte dal diritto del lavoro, senza le quali il lavoratore si limiterebbe a ratificare scelte fatte unilateralmente dal datore di lavoro; in ottica comparata cfr. X. XXXXXXXXX e X. XXXX, The british case: before and after the decline of collective wage formation, in Collective bargaining and wages in comparative perspective, a cura di X. Xxxxxxxx, Netherland, Kluwer law, 2005, 78
In diversi periodi storici si è assistito ad uno slittamento salariale verso la contrattazione individuale202. Ciò è dipeso dall’assenza di un sindacato forte in grado di imporsi alla controparte imprenditoriale e dalla conseguente predilezione dei datori di lavoro per sistemi retributivi gestiti discrezionalmente ed è dipeso pure dalla volontà delle imprese di superare la politica retributiva egualitaria del sindacato che aveva riguardato anche le parti della retribuzione contrattate a livello aziendale.
Le parti del trattamento economico contrattate a livello individuale consentono al datore di lavoro di premiare i lavoratori più meritevoli tramite l’erogazione di un trattamento economico eccedente quello previsto nel contratto nazionale203. Tale parte aggiuntiva può essere concessa in cifra fissa, o sulla base di sistemi di valutazione delle prestazioni in modo da differenziarne l’attribuzione secondo il merito, o in base a forme di management by objectives preordinate a condizionare il trattamento aggiuntivo al conseguimento di obiettivi prefissati dall’impresa204.
Le erogazioni economiche del contratto individuale possono essere legate al conseguimento di obiettivi individuali e, quindi, essere correlate alla prestazione resa dal singolo lavoratore. Sotto questo profilo il contratto
s.: in Gran Bretagna si evidenzia che non è realistico parlare di contrattazione del trattamento economico a livello individuale perché essa è sinonimo di retribuzione controllata e gestita dall’impresa. Solo per una categoria molto residuale di lavoratori è possibile parlare effettivamente di contrattazione a livello individuale.
202 G. DELLA ROCCA, Incentivi e flessibilità del salario: cause e risultati, in Prospettiva sindacale, 1990, 75-76, 8 ss., si sofferma sugli slittamenti verso la contrattazione individuale nella determinazione della retribuzione di una parte dei lavoratori sul finire degli anni ’80 e cerca di individuarne le ragioni; A. MEGALE, Relazioni industriali e politiche contrattuali, in Quad. Rass. Sind., 2002, 27 ss., osserva come sia progressivamente cresciuta negli anni la quota di retribuzione extra contratto collettivo perché il sindacato «continua a non riuscire a esprimere compiutamente il suo ruolo di autorità salariale nell’area delle nuove e delle vecchie professionalità», 33.
203 Come visto nel § 1.2. con il contratto individuale non è possibile realizzare una diversa ripartizione del rischio fra le parti del contratto di lavoro, in particolare se il contratto nazionale si applica al rapporto di lavoro.
204 Cfr. Qualità totale e diritto del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1997. Nel volume si spiega come i sistemi di qualità totale nati in Giappone abbiano determinato la marginalizzazione del sindacato; al contrario in Italia questi sistemi, laddove sono stati sperimentati, si sono sviluppati con la partecipazione ed il coinvolgimento del sindacato, cfr. al riguardo X. XXXXXXXXX VIGORITA, Introduzione. Qualità totale e compatibilità con il sistema del diritto del lavoro, 4 ss.; più in particolare per quanto attiene alle tecniche retributive di incentivazione del personale e di valorizzazione delle competenze cfr. X. XXXXXX, Qualità totale, tecniche di retribuzione e sistemi di partecipazione aziendale. L’esperienza delle commissioni tecniche miste, 299 ss.
aziendale mostra la sua debolezza per la maggiore propensione a fissare obiettivi collettivi. Nonostante ciò, alcune esperienze di contrattazione aziendale205 hanno dimostrato la capacità del sindacato di gestire la retribuzione in modo strategico. A differenza di quanto avviene con la contrattazione individuale, i trattamenti economici erogati dal contratto di secondo livello sono disciplinati con l’intervento del sindacato, che garantisce meglio la tutela dei lavoratori, la trasparenza del sistema e realizza una regolamentazione in grado di contemperare in modo più efficace gli interessi delle parti. Nonostante ciò, la maggior parte delle imprese preferisce erogare i superminimi a livello individuale per fruire di maggiore discrezionalità206.
Per evitare slittamenti salariali verso la contrattazione individuale e affinché la retribuzione aggiuntiva a quella del contratto nazionale sia contrattata con le organizzazioni sindacali, si deve diffondere maggiormente il contratto collettivo di secondo livello. I sindacati dovrebbero inoltre essere maggiormente disposti ad introdurre sistemi di differenziazione delle retribuzioni in base al merito o agli obiettivi conseguiti dai lavoratori. Da parte sua il legislatore dovrebbe regolare le agevolazioni in modo che creino un’effettiva convenienza per l’impresa a munirsi di un contratto di secondo livello e a sperimentare la retribuzione variabile contrattata con le organizzazioni sindacali. Le agevolazioni si attestano su livelli ancora eccessivamente bassi per conseguire tali risultati.
La contrattazione di una parte del trattamento economico a livello individuale esprime in modo esponenziale la contrapposizione di interessi fra le parti del contratto quando essa viene utilizzata dalle imprese al solo fine di gestire il trattamento economico dei lavoratori in modo più discrezionale e senza la “supervisione” del sindacato. Al contrario, quando la retribuzione contrattata a livello individuale viene gestita per incentivare i lavoratori più forti sul
205 Per quanto attiene a contratti aziendali recenti si richiamano il contratto del gruppo Monte dei Paschi di Siena del 6 febbraio 2001 che contempla una parte del premio erogata a ciascun lavoratore in base al sistema di valutazione delle prestazioni concordato fra le parti ed al punteggio ottenuto dai lavoratori in conseguenza della valutazione ricevuta; il contratto del gruppo Ikea del 1 luglio 2007 e l’accordo aziendale Peroni del 30 maggio 2007. Si tratta di contratti aziendali consultabili su xxx.xxxxxxxxxxx.xx. Una ricerca più risalente, ma che analizza i contratti aziendali di alcune grandi imprese italiane (della Fincantieri di Castellamare di Stabia e della Magnetti Marelli) è contenuta in Retribuzione incentivante e rapporti di lavoro, op. cit., a cura di X. Xxxxxxx.
206 X. XXXX, Retribuzione (impiego privato)..., op. cit., 220 ss.
mercato, che sono effettivamente in grado di contrattare gli obiettivi da cui dipendono i premi, essa consente di valorizzare tale parte della retribuzione come risorsa.
Nel confronto fra contrattazione collettiva di secondo livello e contrattazione individuale pare condivisibile l’opinione di chi vede nell’immediato futuro il progressivo affermarsi della seconda a discapito della prima207, perché l’impresa predilige una gestione discrezionale della retribuzione eccedente i minimi del contratto nazionale e perché nell’ordinamento mancano strumenti convincenti per orientare le imprese alla sperimentazione di sistemi retributivi aziendali contrattati con i sindacati.
6.1. Alcuni spunti comparati: la “retribuzione di fatto” in Germania e la “variable pay” in Gran Bretagna
La “retribuzione di fatto” in Germania e i sistemi di “variable pay” in Gran Bretagna sono parti del trattamento economico dei lavoratori subordinati gestite unilateralmente dalle imprese. È interessante vagliare i pro ed i contra di tali sistemi nei rispettivi ordinamenti, perché la contrattazione individuale di una parte sempre più rilevante della retribuzione sembra uno dei possibili sviluppi anche del nostro ordinamento.
In Germania208 la struttura retributiva dei lavoratori è determinata prevalentemente nel “contratto di distretto”, che disciplina la retribuzione tabellare (fortemente differenziata da un settore all’altro), la tredicesima mensilità, varie indennità e gli avanzamenti economici legati all’anzianità.
La “retribuzione di fatto” si aggiunge al trattamento economico regolato nel contratto di distretto ed è costituita da un insieme di prestazioni sovratariffarie riconosciute unilateralmente dal datore di lavoro, che coprono circa il 20% della retribuzione globale. «Il datore di lavoro non ha l’obbligo giuridico di corrispondere la retribuzione di fatto e è dunque anche libero di decidere in ogni momento relativamente alla sua riduzione, o addirittura,
207 X. XXXXXXXX, La retribuzione e i criteri..., op. cit., 26.
208 X. XXXXXXX, I più recenti sviluppi..., op. cit., 579 ss.; X. XXXXXXXXX, Il decentramento..., op. cit., 637 ss.; X. XXXX, La struttura della..., op. cit., 329 ss.
soppressione»209: questa libertà dell’impresa ha condotto a forti oscillazioni delle retribuzioni nei periodi di incertezza dei mercati, perché i datori di lavoro decurtano o sopprimono questo elemento non appena l’andamento dell’impresa subisce flessioni.
Oltre a determinare forti oscillazioni del trattamento economico, l’ampio sviluppo della retribuzione di fatto ha impedito la diffusione della contrattazione di secondo livello con contenuti economici perché essa non dispone di risorse per erogare i premi legati alla produttività o alla redditività dell’impresa. Tutte le somme aggiuntive a disposizione dell’impresa vengono immobilizzate nella retribuzione di fatto preferita dai datori di lavoro perché non implica un confronto con le organizzazioni sindacali.
Il sistema tedesco consente di evidenziare i problemi per i lavoratori e gli innumerevoli vantaggi per le imprese di un sistema retributivo fortemente incentrato sulle erogazioni concesse unilateralmente dai datori di lavoro: mentre le imprese riescono ad adeguare rapidamente le retribuzioni agli andamenti del mercato, i lavoratori non hanno un’aspettativa di stabilità del reddito poiché i loro trattamenti economici subiscono forti oscillazioni in base all’andamento dell’impresa e non dispongono della tutela e del controllo del sindacato per le voci retributive aggiuntive a quelle del contratto di distretto.
In Gran Bretagna i minimi salariali sono fissati ex lege, mentre il resto del trattamento economico è gestito dalle imprese ed erogato in parte in cifra fissa, in parte in base a sistemi di retribuzione variabile (c.d. “variable pay”)210. Tale disciplina della retribuzione è il risultato della progressiva perdita di potere del sindacato e della contrattazione collettiva causata dalla politica “antisindacale” dei governi conservatori211. In precedenza anche in Gran Bretagna, al pari di
209 X. XXXXXXX, I più recenti sviluppi..., op. cit., 580; X. XXXXXXX, Lezioni di diritto del lavoro tedesco, in Quaderni del dipartimento di scienze giuridiche, Università degli studi di Trento, 1995, 60 ss.
210 In passato anche in Gran Bretagna il contratto collettivo aveva un ruolo centrale nel fissare i trattamenti economici dei lavoratori subordinati. Nel momento in cui il contratto collettivo ha perso tale ruolo, le imprese, almeno inizialmente, si sono trovate in difficoltà nel fissare i livelli delle retribuzioni. Cfr. X. XXXXXX e X. XXXXXXXXX, Collective bargaining and workplace performance: an investigation using the workplace employee relations survey 1998, in xxx.xxxx.xx.xx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxx/000/0/Xxxxxx,_Xxxxxxxxx_0000_XXX_00_xxxxx.xxx, 3 ss. 211 Per un’evoluzione storica delle relazioni sindacali e del ruolo del contratto collettivo in Gran Bretagna, oltre a trattazioni classiche come X. XXXXX, The changing system of industrial relations in Great Britain, Xxxxxx, 0000; cfr. anche A.C. XXXX, Employee participation in the United Kingdom, Working paper n. 12, presentato alla “Xxxxxxxx xxx xxxxxx”, 0 xx.; B.
quanto avviene tutt’ora nel nostro ordinamento, i sindacati determinavano il trattamento economico dei lavoratori dipendenti e perseguivano una politica tendenzialmente egualitaria in materia: prediligevano aumenti retributivi eguali per tutti, piuttosto che sperimentare forme di retribuzione variabile, le quali, di conseguenza, coprivano una parte marginale del trattamento economico complessivo.
Queste forme retributive, invocate dai datori di lavoro per differenziare i trattamenti economici dei lavoratori in base al merito o ai risultati delle imprese, hanno iniziato ad essere sperimentate dal sindacato per cercare di mantenere un controllo sulla determinazione del trattamento economico212. Tale tentativo è fallito perché la contrattazione collettiva ha oggi un ruolo marginale ed è confinata solo in alcuni settori213.
La “variable pay” viene gestita unilateralmente dal management ed assume forme diverse a seconda degli interessi che l’impresa intende perseguire214: in alcuni casi la parte variabile della retribuzione viene erogata al lavoratore che consegua obiettivi predeterminati unilateralmente dal management e considerati strategici per l’impresa; in altri il management introduce sistemi di valutazione delle prestazioni, fondati su diversi indicatori, nei quali il giudizio positivo ricevuto dal lavoratore è la condizione per l’erogazione della parte variabile del trattamento economico; in altri casi ancora l’attribuzione della retribuzione variabile dipende dal conseguimento di risultati positivi dell’impresa sul mercato. I primi due sistemi sono utilizzati per incentivare i lavoratori oppure per orientare le loro prestazioni al conseguimento
XXXXXXXXX e X. XXXX, The british case: before and after the decline of collective wage formation, in Collective bargaining and wages in comparative perspective, a cura di X. Xxxxxxxx, Netherland, Kluwer law, 2005, 49 ss.
212 Del tema si occupano X. XXXXX, X. XXXXXXXXX e X. XXXXX, The management of pay as the influence of collective bargaining diminishes, in Industrial relations. Theory and practice, a cura di X. Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, 2003, 194 ss.; X. XXXXXXXXX e X. XXXXXXXXXX, Variable pay, industrial relations and collective bargaining, 15 ss.; X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, The decline of incentive pay in British manifacturing, in Ind. Rel. Journal, 2010, 289 ss., spec. 292 ss. e 304.
213 Essa è diffusa ad esempio nel settore manifatturiero.
214 Per un’analisi delle diverse forme di “variable pay” adottate dalle imprese cfr. X. XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX E X. XXXXXXX, op. cit., 1 ss.; X. XXXXXXXXX, X.
XXXXXXXXXX E X. XXXX, Undermining or reframing collective bargaining? Variable pay in two sectors compared, in Human resource management journal, 2008, n. 18, 327 ss.; X. XXXXXXXXXX E X. XXXXXXXXX, The decline of..., op. cit., 291 ss.
di obiettivi ritenuti rilevanti, mentre l’ultimo ha la finalità di rendere il costo del lavoro flessibile in relazione agli andamenti dell’impresa sul mercato215.
In molte imprese il sistema di retribuzione variabile ben funzionante contrattato con il sindacato è stato sostituito da uno gestito unilateralmente dal management. La dottrina inglese216 ha addebitato tale scelta al fatto che la “variable pay” consente una maggiore libertà all’impresa e non le impone un confronto con il sindacato.
Di seguito si esporranno alcune conseguenze, osservate in Gran Bretagna, della marginalizzazione del sindacato e della contrattazione collettiva nella determinazione della retribuzione. Tale osservazione critica si giustifica perché i risultati dell’ordinamento britannico (come quelli dell’ordinamento tedesco relativamente alla retribuzione di fatto) possono rappresentare un monito per le parti sociali nel nostro paese a rendersi più disponibili a contrattare forme di retribuzione flessibile e, più in generale, per acquistare consapevolezza sui caratteri dei sistemi retributivi gestiti unilateralmente dalle imprese, se la contrattazione a livello individuale di una parte sempre più rilevante del trattamento economico pare essere una delle strade percorribili anche in Italia.
In Gran Bretagna si è osservata una crescita delle differenze retributive fra i lavoratori più pagati e quelli meno pagati, perché solo per i primi, che sono lavoratori forti nel mercato, la contrattazione individuale svolge un ruolo positivo nella determinazione del trattamento economico, come visto nel paragrafo precedente. La contrattazione individuale è sinonimo di retribuzione stabilita unilateralmente dall’impresa per i prestatori più deboli217. Ciò è dimostrato dall’esperienza britannica dove la “variable pay” ha aumentato le diseguaglianze fra i lavoratori più forti, in grado di affermare la loro individualità con il contratto individuale, ed i lavoratori più deboli, i quali rimangono schiacciati dalla prevalenza dell’interesse dell’impresa realizzata con il contratto individuale.
La maggior parte dei sistemi di “variable pay”, a differenza di quelli regolati con l’intervento dei sindacati, hanno mostrato una scarsa trasparenza, la
215 X. XXXXXXXXX e X. XXXX, The british case...,op. cit., 49 ss.
216 X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX, The decline..., op. cit., 292 ss.
217 V. B. XXXXXXXXX e X. XXXX, The british case..., op. cit., 78 ss.; X. XXXXXXX, Intervento, in
op. cit., 79 ss.
mancanza di meccanismi di monitoraggio in corso di esercizio per apportare aggiustamenti agli obiettivi prefissati e la carenza di sistemi di verifica della rispondenza fra i risultati conseguiti ed il premio erogato218.
È più complesso trarre conclusioni sugli indicatori da cui dipende l’erogazione della retribuzione variabile perché sono molto eterogenei: le imprese fissano sempre più frequentemente obiettivi di redditività con i quali l’attribuzione della retribuzione variabile dipende dall’andamento dell’attività economica. Si sposta sui lavoratori una parte del rischio di impresa perché se quest’ultima non ottiene risultati positivi sul mercato, la “variable pay” non viene erogata. La gestione di questi sistemi senza l’intervento del sindacato ha portato a negare diritti di partecipazione ai lavoratori, anche nella forma più debole dei diritti di informazione219.
Se tali sistemi sono utilizzati con la prevalente finalità di flessibilizzare il costo del lavoro, al contrario quelli in cui gli indicatori dipendono dalla prestazione svolta hanno il fine di incentivare i lavoratori al conseguimento di obiettivi strategici per l’impresa. Il mancato coinvolgimento del sindacato si è tradotto in una scarsa trasparenza del sistema incentivante e nella fissazione degli obiettivi in modo unilaterale da parte dell’impresa.
Nonostante la “variable pay” sia di regola una parte aggiuntiva rispetto ai minimi garantiti220, in alcuni casi le imprese hanno cercato di utilizzarla per ridurre gli standard minimi di trattamento dei lavoratori. In queste situazioni si è verificata una crescita della conflittualità nell’impresa che ha portato a garantire nuovamente in forma fissa i minimi di trattamento221.
Un’ultima conseguenza della marginalizzazione del sindacato, analoga a quella verificatasi in Germania con lo sviluppo della “retribuzione di fatto”, è la maggiore oscillazione delle retribuzioni che vengono ridotte molto rapidamente nei periodi di crisi, mentre crescono più lentamente nei periodi di congiuntura economica positiva. In tal modo i lavoratori divengono sensibili alle oscillazioni dei mercati perché queste si ripercuotono sui livelli della loro retribuzione.
218 X. XXXXX, X. XXXXXXXXX E X. XXXXX, The management..., op. cit., 197 ss., spec. 204; X. XXXXXXXXXX E X. XXXXXXXXX, The decline..., op. cit., 303.
219 X. XXXXXXXXXX E X. XXXXXXXXX, The decline..., op. loc. cit.
220 La legge prevede un “minimun wage” molto basso, normalmente accresciuto dalle imprese.
221 X. XXXXXXXXX E X. XXXX, The British case..., op. cit., 83.
CAPITOLO II
Le forme della retribuzione flessibile
1. La retribuzione variabile: precisazioni terminologiche – 1.1. I risvolti partecipativi della flessibilizzazione della retribuzione: la fissazione degli obiettivi – 1.2. Le diverse modalità di regolamentazione della retribuzione variabile – 2. Gli obiettivi di produttività: definizione e funzioni – 2.1. Gli obiettivi individuali e di gruppo – 2.2. Retribuzione di produttività e cottimo
– 2.3. La retribuzione di produttività nei contratti collettivi di secondo livello – 3. Gli obiettivi di redditività – 3.1. Retribuzione di redditività e partecipazione agli utili ex art. 2102 c.c. – 3.2. La retribuzione di redditività: funzione “partecipativa” o di “flessibilizzazione” del costo del lavoro? – 4. Alcune considerazioni sulla regolamentazione della retribuzione variabile: gli indici misti – 4.1. (Segue) Retribuzione variabile e proporzionalità ex art. 36 Cost. – 4.2. (Segue) Funzione incentivante o funzione redistributiva della retribuzione variabile? – 5. Dal ciclo di gestione della performance alla retribuzione accessoria – 5.1. La predeterminazione degli obiettivi nel ciclo di gestione della performance – 5.2. La performance individuale e quella organizzativa – 6. Un tentativo di classificare la retribuzione “flessibile” nel contratto di lavoro subordinato – 6.1. Le clausole in tema di retribuzione flessibile come condizione sospensiva –
6.2. Gli obblighi di buona fede ex art. 1358 c.c. nella fase di pendenza della condizione – 6.3. Alcune difficoltà qualificatorie per l’eterogeneità delle regolamentazioni negli accordi aziendali.
1. La retribuzione variabile: precisazioni terminologiche
Per indicare la retribuzione variabile i contratti collettivi usano espressioni eterogenee quali retribuzione flessibile, premio o retribuzione di risultato, premio per obiettivi, retribuzione incentivante, premio di partecipazione... Per questo motivo sorge l’esigenza di specificare le diverse sfaccettature di tali espressioni, anche se in alcuni casi i contratti aziendali le utilizzano in modo fungibile.
Nel senso comune per retribuzione variabile si intende il trattamento economico che muta in base al conseguimento di risultati predeterminati o alla valutazione delle prestazioni rese dai lavoratori. Nell’accezione fatta propria dalle parti sociali la retribuzione variabile è una parte del trattamento economico che viene regolata dal contratto collettivo di secondo livello e si aggiunge a quella del contratto nazionale. Essa può assumere una funzione incentivante e/o partecipativa a seconda del modo in cui viene regolata dagli accordi aziendali. Laddove prevista, la retribuzione variabile è incerta nell’an e nel quantum, perché la sua erogazione è condizionata al conseguimento di obiettivi prefissati.
“Retribuzione flessibile” indica in generale i sistemi e le forme di retribuzione che rendono aleatorio in tutto o in parte il trattamento economico del lavoratore e comprende la retribuzione variabile, il cottimo, le provvigioni,
la partecipazione agli utili e la retribuzione accessoria (ex art. 45, d.lgs. n. 165 del 2001). Tale dicitura è sovente utilizzata222 per rimarcare che la finalità primaria del sistema retributivo prescelto è quella di rendere flessibile il costo del lavoro per consentire all’impresa di rispondere più repentinamente alle esigenze del mercato. Quello da ultimo enucleato è solo uno dei possibili significati del termine “retribuzione flessibile”.
In molti contratti aziendali l’espressione “premio” è usata come sinonimo di retribuzione variabile per evidenziare che esso è solo una parte eventuale del trattamento economico del lavoratore223. Il termine “premio” può essere specificato in base alle sue caratteristiche ed alle sue finalità: nel primo caso il “premio di risultato” o “premio per obiettivi” 224 si contrappone al “premio di prestazione”. Quest’ultimo dipende dalla valutazione delle prestazioni rese ed è caratterizzato da un elevato livello di soggettività225, mentre i “premi di risultato” dovrebbero essere condizionati unicamente al conseguimento di uno o più obiettivi226.
Per quanto attiene alle finalità, il premio di partecipazione si differenzia dal premio incentivante.
Il “premio di partecipazione” può valorizzare l’intento delle parti contraenti di coinvolgere i lavoratori ed i loro rappresentanti nella contrattazione della parte aggiuntiva della retribuzione. In tal caso ai rappresentanti dei
222 X. XXXXX, Per una concertazione delle politiche retributive: le ragioni della flessibilità salariale. Riflessioni sull’esperienza comparata, in Retribuzione e redditività: Italia, Europa e Giappone a confronto, a cura di X. Xxxxx, Rimini, Maggioli, 1990, 5 ss.; X. XXXXX, Dinamiche salariali e produttività, in Retribuzione e redditività..., op. cit.,13 ss.
223 L’espressione “premio” era già utilizzata negli anni ’60 ed è quindi piuttosto risalente; cfr. al riguardo X. XXXXXXXXX, Il contratto collettivo d’impresa, Milano, Xxxxxxx, 1963.
224 Contratto collettivo aziendale sviluppo sistema fiera S.p.a., 23 maggio 2007; contratto collettivo del gruppo Telecom Italia del 14 maggio 2008; contratto collettivo aziendale Italcementi del 6 aprile 2001.
225 L’elevato livello di soggettività dei sistemi di valutazione delle prestazioni dipende dal fatto che l’erogazione dei premi è subordinata alla valutazione positiva rimessa al superiore gerarchico del lavoratore. Per questo motivo le organizzazioni sindacali preferiscono sistemi di management by objectives caratterizzati da maggiore oggettività: in tal caso il premio è condizionato al conseguimento di un obiettivo predeterminato.
226 Alcuni contratti contraddicono tale assunto perché decurtano i giorni di assenza dal premio, nonostante il risultato sia stato conseguito; cfr. il contratto collettivo aziendale Telecom Italia del 14 maggio 2008. Al riguardo cfr. Fondazione regionale Xxxxxx Xxxxxx, Gli incentivi: cosa sono e come si contrattano, in Prospettiva sindacale, 1990, 75, 28 s. e cfr. anche il § 6.3.
lavoratori sono riconosciuti diritti di informazione e consultazione per contrattare in modo effettivo gli obiettivi della retribuzione variabile.
In alternativa il premio di partecipazione può essere finalizzato a rendere il lavoratore più sensibile all’andamento dell’impresa poiché una parte del suo trattamento economico dipende da questo fattore227. In tal caso la “partecipazione” non assume la connotazione descritta in precedenza, ma indica che una quota della retribuzione è legata all’ability to pay dell’impresa.
Diversamente i premi incentivanti228 motivano i lavoratori a migliorare la prestazione per perseguire gli obiettivi ai quali viene subordinata la quota aggiuntiva del trattamento economico. Questa parte della retribuzione può essere erogata indipendentemente dall’andamento dell’impresa sul mercato. Un tipico premio incentivante è quello di produttività che è finalizzato a stimolare i lavoratori ad accrescere la propria produttività. Anche i premi di redditività potrebbero motivare i lavoratori a migliorare le prestazioni per consentire all’impresa di raggiungere risultati positivi sul mercato. Tuttavia questa funzione è svilita dal fatto che le singole prestazioni lavorative non sono in grado di influire direttamente sull’andamento dell’impresa nel suo complesso.
La retribuzione accessoria è una parte del trattamento economico dei dipendenti pubblici privatizzati erogata dal contratto integrativo e finalizzata ad accrescere la produttività del lavoro. Questa quota di retribuzione, come è desumibile dall’espressione del legislatore, è “accessoria” rispetto a quella del contratto nazionale di comparto229. La retribuzione accessoria è inoltre flessibile perché viene condizionata al conseguimento di obiettivi di performance individuale ed organizzativa230.
227 In questa accezione pare che l’espressione sia utilizzata nel contratto del gruppo Prenatal, del 12 luglio 2004.
228 Cfr. ad esempio il contratto aziendale Xxxx Italia del 23 maggio 2000 ed il contratto di armonizzazione Eti del 18 marzo 2002.
000 X. XXXXXXXXXX, Xx Xxxxxxxxxx 0000. Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, 2006, il quale definisce “accessorio” ciò che si aggiunge ad un elemento essenziale.
230 X. Xxxxx, sez. Lombardia, 4 marzo 2010, n. 287, in Lav. Pubb. Amm., 2010, 2, 369 ss.
1.1. I risvolti partecipativi della flessibilizzazione della retribuzione: la fissazione degli obiettivi.
Affinché la retribuzione variabile sia incerta nell’an e nel quantum come previsto dall’A.I. del 15 aprile 2009, è necessario che gli obiettivi da cui essa dipende siano fissati preventivamente231. L’A.I. del 2009, come visto nel cap. 1,
§ 3, richiede inoltre che gli obiettivi siano “concordati fra le parti” nell’intento di ridurre l’unilateralità delle scelte datoriali e di procedimentalizzare i suoi poteri232.
Già nella regolamentazione del cottimo i poteri del datore di lavoro hanno subito una progressiva procedimentalizzazione: in una fase iniziale il datore di lavoro fissava unilateralmente le tariffe, tanto che si diceva disponesse di una discrezionalità libera233; in un secondo momento questa discrezionalità è stata vincolata dal coinvolgimento del sindacato nell’intento di tutelare i lavoratori. Prima di tale partecipazione il cottimo era diventato una forma di sfruttamento del lavoro perché la retribuzione aumentava in misura molto inferiore rispetto al rendimento234. In un secondo momento il coinvolgimento sindacale ha attenuato la finalità incentivante di questo sistema retributivo fino a farla quasi venir meno235.
231 X. XXXX, Costo del lavoro e sistema retributivo in Italia, in La retribuzione. Struttura e regime giuridico, a cura di X. Xxxxxx, X. Xxxx e X. Xxxxxxx, Napoli, Xxxxxx, 1994, 21 ss.; X. XXXXXXX, Retribuzione, produttività..., op. cit., 125 s.
232 È quello che si verifica anche in materia di trasferimento d’azienda e di licenziamenti collettivi quando il legislatore impone al datore di lavoro una procedura di informazione e consultazione per ridurre l’unilateralità delle sue scelte; X. XXXXX, Informazione, consultazione e controllo dei poteri del datore di lavoro nei sistemi di qualità totale, in Qualità totale..., op. cit., 134 ss., si occupa dei diritti di informazione e consultazione nei sistemi di qualità totale. X. XXXX, Le funzioni..., op. cit., 216 s. ad avviso del quale perché gli obiettivi del premio siano condivisi dai lavoratori è opportuno che vengano fissati congiuntamente dai datori e dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori.
233 X. XXXXXXXXX, Il contratto collettivo d’impresa, op. cit., 171 s., il quale afferma che l’intervento del sindacato nella determinazione delle tariffe di cottimo segna il passaggio da una discrezionalità libera del datore di lavoro ad una vincolata; X. XXXXXX, Organizzazione dell’impresa..., op. cit., 69 ss., ma anche Xxxx., S.U., 7 marzo 2005, n. 4813, in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, 894 ss.
234 X. XXXX, I salari,Torino, Einaudi, 1965, descrive diversi sistemi di cottimo, tra cui il sistema Bedaux, volti a stimolare un incremento della produzione notevolmente più alto di quello del salario. In genere tutti i sistemi di cottimo gestiti dalle imprese somigliano «abbastanza alla carota sospesa di fronte al muso dell’asino: l’asino non raggiungerà mai la carota, ma tuttavia il suo passo risulterà sempre accelerato», 70 ss.
235 X. XXXXXXX, Le forme..., op. cit., 14 ss.; X. XXXXXX, Organizzazione dell’impresa..., op. cit., 72 ss.; X. XXXXXX, Il contratto..., op. cit., 192 ss., evidenzia la tendenza all’appiattimento della curva di cottimo. L’attenuazione della funzione incentivante di questa forma retributiva, oltre
I poteri del datore di lavoro sono stati procedimentalizzati anche nella fase di modifica delle tariffe per contrastare la prassi del “taglio delle tariffe”: quando i lavoratori divenivano più rapidi nell’esecuzione della prestazione236, il datore di lavoro riduceva il “tempo normale” di svolgimento dei compiti e, di conseguenza, diminuiva il guadagno dei prestatori a parità di rendimento. Per questo motivo le organizzazioni sindacali avevano consentito ai datori di lavoro di modificare le tariffe solo se fossero intervenuti mutamenti nelle modalità di esecuzione del lavoro ed avevano previsto che la nuova tariffa diventasse definitiva dopo un periodo di assestamento. Questa disciplina, che nacque col fine di tutelare i lavoratori vincolati a mantenere un determinato ritmo produttivo, è stata recepita nel codice civile (art. 2101 c.c.).
La procedimentalizzazione dei poteri datoriali nella regolamentazione della retribuzione variabile, laddove prevista, è disciplinata dagli accordi collettivi237. Essa può concernere la fissazione degli obiettivi, la loro modifica, il riconoscimento di specifici diritti di informazione...
Il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nella determinazione dei risultati consente di contemperare meglio l’interesse delle parti: mentre i lavoratori necessitano di obiettivi semplici e comprensibili, le imprese prediligono indicatori più sofisticati. La contrattazione degli obiettivi favorisce la ricerca di un punto di equilibrio fra queste due esigenze. Tale partecipazione dovrebbe anche rendere gli obiettivi più trasparenti e più conoscibili ai lavoratori, in modo da aumentare la fiducia nel corretto funzionamento del sistema retributivo e da evitare che esso divenga causa di contenzioso fra le parti.
che essere addebitabile alle modifiche nell’organizzazione delle imprese, discende anche dalla scelta del sindacato di consolidare nella retribuzione fissa il guadagno di cottimo riducendo sempre più la parte variabile e dalla decisione di attribuire l’utile di cottimo anche dinanzi ad un rendimento normale.
236 X. XXXX, I salari..., op. cit., sottolinea che i datori di lavoro giustificano il taglio delle tariffe per la difficoltà di fissarle fin dall’inizio in modo adeguato. Solo dopo un periodo di esperimento era possibile verificare se la tariffa fosse davvero adeguata. In caso di risposta negativa era necessario modificarla. In alcuni casi il taglio delle tariffe si giustificava in tal modo, ma in altre situazioni dipendeva dalla volontà di ridurre i guadagni dei prestatori divenuti più abili nello svolgimento dei compiti loro assegnati.
237 L’origine contrattuale della procedimentalizzazione dei poteri datoriali rimanda alla prima fase del cottimo in cui, come detto, erano le parti sociali a porre dei vincoli al datore di lavoro nell’intento di tutelare i loro rappresentati.
La partecipazione del sindacato dovrebbe inoltre impedire che vengano predeterminati obiettivi impossibili da raggiungere. Questo intento non è facilmente conseguibile238, a causa dell’impreparazione “tecnica” dei rappresentanti dei lavoratori e della scarsità di informazioni di cui essi dispongono sulle politiche aziendali.
Per superare il primo problema alcune imprese, preso atto che le r.s.a. e le
r.s.u. non hanno conoscenze sufficienti per contrattare in modo effettivo gli obiettivi della retribuzione variabile, finanziano corsi di formazione per i rappresentanti aziendali dei lavoratori239; in altri accordi collettivi è previsto che i sindacati territoriali controllino gli obiettivi fissati a livello aziendale e ricontrattino quelli non raggiungibili o eccessivamente difficili da conseguire240. Le linee guida del contratto nazionale per i premi variabili241 non garantiscono che gli obiettivi in esse previsti siano raggiungibili qualora vengano applicate tout court a livello aziendale, nonostante aiutino le parti a raggiungere un accordo nella scelta degli indicatori. Questa conclusione dipende dal fatto che le linee guida non sono calibrate sulle peculiarità della singola realtà produttiva242.
È complesso fissare obiettivi raggiungibili anche perché le organizzazioni sindacali dispongono di scarse informazioni sull’andamento prevedibile dell’impresa e sulle politiche aziendali. Questa asimmetria informativa non può essere sottovalutata perché la retribuzione variabile è strettamente legata all’organizzazione d’impresa, tanto che ristrutturazioni, riorganizzazioni o modifiche dei gruppi di lavoro possono incidere sul conseguimento del risultato predeterminato. Di conseguenza per contrattare risultati effettivamente
238 Nel contratto aziendale Prenatal del 12 luglio 2004 si evidenzia la necessità di rendere maggiormente praticabile il raggiungimento dell’obiettivo da cui dipende l’erogazione del premio perché negli anni precedenti esso non è mai stato conseguito.
239 Cfr. il contratto aziendale del gruppo Rinascente del 23 maggio 2007; il contratto del gruppo Ikea del 1 luglio 2011; cfr. anche X. XXXXXXXX, Obiettivi, discipline..., op. cit., 187 ss.
240 Cfr. il ccnl imprese metalmeccaniche del 2008.
241 Cfr. cap. 1, § 3.2. Questa affermazione è vera se il contratto nazionale prevede ad esempio un obiettivo di miglioramento della produttività rispetto all’anno precedente. Questo sistema deve essere necessariamente adattato alle peculiarità della singola azienda. Al contrario, se le linee guida si limitano a consigliare un indicatore di redditività come gli utili netti, piuttosto che il margine operativo lordo o il reddito operativo lordo, questo può essere recepito tout coûrt dall’impresa.
242 Per questo, nonostante l’A.I. preveda la possibilità di “adottare” in sede aziendale gli indicatori contenuti nel contratto nazionale non è detto che gli stessi siano raggiungibili in concreto una volta applicati nella singola azienda.
conseguibili, le organizzazioni sindacali dovrebbero conoscere le condizioni dell’impresa e le sue prospettive di sviluppo. A tal fine l’A.I. del 2009 prescrive che i sindacati ed il datore di lavoro si incontrino per scambiarsi informazioni sulle condizioni produttive dell’impresa e sulle sue prospettive prima dell’apertura della contrattazione del premio. Il contratto nazionale del settore industriale degli orafi ed argentieri243 dà attuazione a tale regolamentazione e prevede che le parti stipulanti l’accordo aziendale si incontrino prima della fase di contrattazione vera e propria per scambiarsi informazioni sull’andamento dell’impresa, sugli investimenti che questa intende effettuare, con un obbligo di riservatezza per i rappresentanti dei lavoratori sulle informazioni apprese.
Anche il contratto aziendale Ikea del 1 luglio 2011 contempla una fase preventiva denominata “scambio di informazioni”, nella quale il datore di lavoro deve fornire alle r.s.a. ed alle r.s.u. notizie inerenti l’azienda, tra cui gli investimenti che intende effettuare nel corso dell’anno, l’andamento della produttività e della redditività preventivato, l’intenzione di effettuare riorganizzazioni, ristrutturazioni ecc. In questo modo si comunicano ai rappresentanti dei lavoratori informazioni che dovrebbero consentire loro di contrattare gli obiettivi in modo più consapevole. Dopo la fase di “scambio di informazioni” si apre quella di consultazione finalizzata a stipulare l’accordo aziendale. In tutti i momenti delineati i rapporti fra le parti devono essere improntati a correttezza e buona fede. L’accordo aziendale prevede inoltre che, se intervengono modifiche inattese nelle condizioni produttive o organizzative, le parti si possano incontrare nuovamente nel corso dell’anno per ridefinire gli obiettivi.
Alcuni contratti di secondo livello244 esplicitano la difficoltà di fissare gli obiettivi della retribuzione variabile a causa delle modifiche organizzative sovente apportate nelle imprese e, più in generale, del contesto dinamico nel quale queste ultime operano. Per superare tali problemi è opportuno che le parti si incontrino periodicamente per monitorare ed eventualmente correggere gli obiettivi. Non si deve tuttavia sottovalutare il costo di una
243 Contratto collettivo nazionale per gli addetti del settore orafo, argentiero e della gioielleria del 23 settembre 2010.
244 Contratto collettivo aziendale Benetton, 20 novembre 2009; contratto aziendale Rinascente, 23 maggio 2007.
procedimentalizzazione così capillare dei poteri datoriali che potrebbe disincentivare ulteriormente le imprese a contrattare la retribuzione variabile. Taluni245 hanno individuato proprio nelle frequenti modifiche all’organizzazione aziendale, che non consentivano di mantenere costante il riferimento al “rendimento normale” ed imponevano di ricontrattare frequentemente le tariffe di cottimo, una delle ragioni dell’abbandono di tale forma retributiva. Solo alcuni contratti aziendali246 prevedono incontri periodici fra le parti per monitorare ed eventualmente modificare gli obiettivi della retribuzione variabile.
La regolamentazione degli obiettivi negli accordi aziendali è estremamente eterogenea: in alcuni contratti247 questi vengono fissati unilateralmente dall’azienda. La maggioranza degli accordi248 contempla almeno una determinazione congiunta degli obiettivi ed un verifica a consuntivo del loro conseguimento. Altri contratti249 recepiscono pienamente le indicazioni dell’A.I. del 2009: prevedono non solo che le parti fissino congiuntamente gli obiettivi, ma anche che esse si incontrino nel corso dell’anno per monitorare il sistema premiante e per informare i lavoratori sul grado di conseguimento degli obiettivi. In questo modo se i prestatori sono distanti dal raggiungimento dei risultati, possono modificare le modalità di svolgimento della prestazione.
Quando la retribuzione variabile dipende dal conseguimento di un obiettivo di gruppo, anche la composizione del gruppo di lavoratori può essere oggetto di contrattazione fra i rappresentanti dei prestatori ed i datori250. Questo fatto dimostra ulteriormente che le scelte organizzative (tra cui è annoverabile anche la composizione del gruppo di lavoratori a cui viene assegnato un
245 X. XXXXXXX e X. XXXXXXXX, Il premio di risultato nell’industria metalmeccanica. Manuale per la contrattazione e per la gestione degli accordi, Roma, Ediesse, 1997, 51 ss., i quali evidenziano come tale sistema richieda una rilevazione ed un controllo delle prestazioni molto complessa ed estesa che difficilmente le piccole imprese sono in grado di permettersi; ma anche
M. DELL’OLIO, Cottimo Anni ’60 e ’70, in Mass. Giur. Lav., 1981, 535.
246 Cfr. il contratto collettivo aziendale Unicredit dell’8 agosto 2007 ed il contratto collettivo aziendale Ikea dell’1 luglio 2011.
247 Contratto del gruppo Telecom Italia del 14 maggio 2008; contratto del gruppo Nestlé, 27 giugno 2011.
248 Contratto collettivo aziendale sviluppo sistema fiera S.p.a. del 23 maggio 2007.
249 Contratto del gruppo Rinascente, 23 maggio 2007 e contratto aziendale Ikea del 1 luglio 2011.
250 Cfr. il contratto del gruppo Peroni, 30 maggio 2007 ed il contratto Monte dei Paschi di Siena del 6 febbraio 2001.
obiettivo) sono determinanti nella fissazione del risultato perché ne influenzano il conseguimento.
Una volta fissati gli obiettivi, l’erogazione del premio è condizionata al loro conseguimento.
1.2. Le diverse modalità di regolamentazione della retribuzione variabile
I contratti collettivi aziendali regolano in modi eterogenei gli obiettivi ai quali viene condizionata l’erogazione della retribuzione variabile.
In alcuni accordi è fissato un unico risultato251: se i lavoratori o l’impresa non lo raggiungono non viene erogata la parte variabile della retribuzione.
Altri contratti aziendali252 predeterminano una pluralità obiettivi: il raggiungimento di ognuno di essi garantisce una quota del premio. Questo sistema, definito “a gradini”, riduce il rischio per i lavoratori di non conseguire il risultato poiché almeno i primi obiettivi sono facili da raggiungere.
Il contratto del gruppo Telecom Italia regola un premio di redditività “a gradini” nel quale il conseguimento al 100% dell’obiettivo implica l’erogazione del 100% del premio. Se il risultato preventivato è raggiunto al 90%, i lavoratori percepiscono l’80% della somma destinata al premio. In caso di performances inferiori non si eroga la retribuzione variabile. Questa regolamentazione è ragionevole se si considera che l’obiettivo prefissato implica un miglioramento dell’andamento dell’impresa rispetto all’anno precedente. Quando i lavoratori ottengono un risultato eccedente a quello preventivato, quantificato nel 105% dell’obiettivo, hanno diritto ad una somma pari al 160% di quella stanziata per il premio. I risultati ulteriormente migliorativi non determinano incrementi retributivi aggiuntivi.
Questo sistema premiante ricorda due diversi “modelli” di disciplina del cottimo: da un lato, il “cottimo differenziale” poiché fa variare il guadagno dei
251 Si può richiamare il contratto del sistema sviluppo fiera S.p.a. del 23 maggio 2007, il quale prevede l’erogazione di un premio di € 2600 a tutti i lavoratori se l’impresa consegue l’obiettivo di redditività prefissato. Anche il contratto Coca Cola del 7 luglio 2011 subordina il premio al conseguimento dell’obiettivo al 100%.
252 Cfr. il contratto Telecom Italia del 14 maggio 2008 ed il contratto Barilla del 24 giugno 2011. Più risalente il contratto aziendale della Fincantieri di Castellamare di Stabia del 30 settembre 1988 e quello successivo del 9 aprile 1992 che prevedevano un sistema incentivante fondato sulla fissazione di obiettivi di produttività “a scalini”, i quali sono analizzati da X. XXXXXXXX, La retribuzione incentivante alla Fincantieri di Castellamare di Stabia, in Retribuzione incerntivante..., op. cit., 72 ss.
lavoratori in misure differenti a seconda degli obiettivi conseguiti; dall’altro, ricorda la regolamentazione del cottimo nella quale viene fissato un livello di rendimento al di sopra del quale la retribuzione non aumenta253, poiché stabilisce una percentuale di conseguimento del risultato (pari al 105%) raggiunta la quale la retribuzione rimane invariata. Quando il conseguimento degli obiettivi dipende dalla prestazione lavorativa (come è nel cottimo), la regolamentazione da ultimo descritta è finalizzata ad impedire che il prestatore metta a rischio la sua salute per ottenere maggiori guadagni254. Se, diversamente, questo sistema viene applicato ad un premio di redditività, come nel contratto del gruppo Telecom Italia, l’intento perseguito dai contraenti è quello di ridurre la partecipazione dei lavoratori quando l’impresa consegue risultati estremamente positivi nel mercato. La funzione partecipativa della retribuzione di redditività viene svilita proprio quando il premio potrebbe raggiungere somme più consistenti255.
Gli obiettivi della retribuzione variabile di regola implicano un miglioramento rispetto ai risultati raggiunti nel passato256: in tal caso le parti devono raggiungere l’accordo sia sui livelli di produttività o di redditività conseguiti l’anno precedente, sia su quelli di miglioramento necessari per maturare il diritto al premio. Se si considera che, come si espliciterà meglio di seguito, la crescita della produttività aziendale e quella della redditività dipendono non solo dal fattore lavoro, ma anche dagli investimenti dell’impresa, dall’acquisto di nuovi macchinari, dall’andamento del mercato ecc., si spiega
253 X. XXXXXX, Xx contratto..., op. cit., 192 s.
254 Xxx. Xxxx., 00 xxxxxxxx 0000, x. 00000, xx Xxx. Xx. Dir. Lav., 2003, II, 561 ss., ad avviso della quale il limite di rendimento a partire dal quale la retribuzione non cresce ulteriormente, oltre ad essere giustificato dall’esigenza di tutelare la salute dei lavoratori, esprime una valutazione di convenienza del datore di lavoro riservata alla sua libertà di iniziativa economica (ex art. 41 Cost.) e condivisa dalla controparte.
000 X. XXXX, Xx partecipazione azionaria dei dipendenti, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2001, il quale, occupandosi del diverso tema della partecipazione azionaria dei lavoratori, ha evidenziato come le imprese propongano azioni ai lavoratori quando le cose “vanno male” (si tratta dei piani di azionariato “difensivi”, come dimostrato dall’esperienza Alitalia, dal caso dell’azienda Gucci che ha offerto azioni ai dipendenti per difendersi da una “scalata ostile”), mentre le proposte di coinvolgimento sono molto più limitate quando le cose “vanno bene”. Questa tendenza si manifesta anche con la flessibilizzazione della retribuzione, seppur in modo più marginale.
256 Cfr. il contratto aziendale Italcementi del 6 aprile 2001 nel quale i premi, sia quelli legati ad indicatori di produttività che quelli connessi alla redditività, vengono erogati in base al miglioramento dei risultati rispetto all’anno precedente; anche gli obiettivi del contratto aziendale Prenatal del 12 luglio 2004 impongono un miglioramento rispetto agli anni precedenti.
perché le parti che stipulano l’accordo aziendale potrebbero considerare impossibile il miglioramento della produttività o della redditività rebus sic stantibus.
2. Gli obiettivi di produttività: definizione e funzioni
La retribuzione variabile può dipendere da indicatori di produttività o di redditività: i primi sono ritenuti maggiormente influenzabili dalla prestazione dei lavoratori, mentre i secondi hanno un legame molto flebile con l’attività lavorativa perché sono connessi all’andamento finanziario dell’impresa.
Nella seconda metà degli anni ’80 e nel periodo immediatamente successivo al Protocollo del 1993 erano più diffusi gli indicatori di produttività257, perché si riteneva di poter accrescere la produttività delle imprese, che era ed è tuttora fra le più basse in Europa258, tramite incentivi economici concessi ai lavoratori, ma anche perché gli incrementi retributivi giustificati dall’aumento della produttività non fanno crescere l’inflazione259. Oggi, al contrario, sono più frequenti gli indicatori di redditività e quelli misti.
La produttività esprime la relazione fra determinati input immessi nel ciclo produttivo e gli output prodotti. Tale indicatore è complesso perché può essere composto e scomposto in modi eterogenei ed essere riferito a contesti diversi260. Questa complicatezza si riverbera anche sulla retribuzione di produttività.
257 Già in questo periodo si faceva ampio ricorso agli indicatori misti, ma nell’equilibrio complessivo del sistema premiante prevalevano gli obiettivi di produttività. La prevalenza di questi indicatori sia prima che dopo il Protocollo del 1993, viene evidenziata dalla dottrina maggioritaria. Al riguardo cfr. X. XXXXXXX, Contrattazione decentrata e politica retributiva aziendale, in Il sistema retributivo verso gli anni ’90, op. cit., 316 ss.; G. DELLA ROCCA, Incentivi e flessibilità del salario: cause e risultati, in Prospettiva sindacale, 1990, 75/76, 7 ss.;
X. XXXXXXX, Salario aziendale e produttività, in Prospettiva sindacale, 1990, 75/76, 120 ss.
258 X. XXXXXX, Xxxxxxx e crescita..., op. cit.; ISTAT, Misure di produttività. Anni 1980-2006, in xxx.xxxxx.xx; X. XXXXXXXXXX e X. X’XXXXX, Produttività e politiche dei redditi, in Quad. Rass. Sind., 2002, 4, 59 ss.; anche i vari interventi legislativi che hanno concesso agevolazioni fiscali e previdenziali alla retribuzione variabile, come visto nel capitolo precedente, vengono giustificati dalla necessità di accrescere la produttività.
259 X. XXXXXXXXXX, Contrattazione collettiva e..., op. cit., 303; X. XXXXXXXXX, Glossario dell’economista per il giuslavorista, in Riv. Giur. Lav., 2009, 2, 179, evidenzia come gli incrementi retributivi giustificati dalla maggiore produttività consentono di accrescere la competitività del sistema economico senza rinunciare ad aumenti delle retribuzioni.
260 X. XXXXXXXXX e X. XXXXXXX, Politiche salariali, produttività e redditività. Una riflessione metodologica, in Salari e produttività, a cura di X. Xxxxxxx, 101 ss.; ISTAT, Misure... op. cit.
La retribuzione variabile può dipendere dalla “produttività aziendale” che attiene al rapporto fra tutti gli input immessi nel ciclo produttivo e tutti gli output prodotti. In tal caso per comporre l’obiettivo della retribuzione variabile è necessario costruire sistemi complessi di aggregazione degli elementi di calcolo che non consentono l’utilizzo di indicatori semplici e comprensibili per i lavoratori. Questo si verifica perché la produttività aziendale impone di considerare tutti i fattori della produzione ed i prodotti che sono beni eterogenei. In alcuni casi261 l’espressione “produttività aziendale” viene riferita alla produttività del solo fattore lavoro misurata, però, in relazione a tutta l’impresa. Questa diversa scelta semantica si giustifica perché la “produttività aziendale”, intesa come relazione fra tutti gli input immessi e gli output prodotti, implica l’utilizzo di indicatori che, per le loro caratteristiche, si avvicinano molto a
quelli di redditività.
Di seguito la produttività aziendale verrà intesa nella prima accezione.
Quando la retribuzione variabile è legata alla “produttività aziendale” si producono principalmente due conseguenze: anzitutto i prestatori non sono in grado di comprendere gli obiettivi da cui dipende il premio e, quindi, di modificare le modalità di svolgimento della prestazione in vista del loro conseguimento; in secondo luogo dinanzi ad un miglioramento della qualità e della quantità del lavoro la produttività aziendale non cresce necessariamente e l’obiettivo prefissato non viene indefettibilmente conseguito, perché l’indicatore dipende da una molteplicità di fattori. Quest’ultimo aspetto attenua fortemente la funzione incentivante della retribuzione di produttività, poiché il lavoratore non è in grado influenzare il conseguimento dell’obiettivo con la sua sola prestazione.
La retribuzione variabile può essere legata anche alla produttività del lavoro, che è un indicatore parziale poiché ha ad oggetto solo un fattore della produzione. Tale indice è in grado di misurare la produttività di tutta la forza lavoro, quella di un gruppo di lavoratori, o la produttività di un solo prestatore. Gli obiettivi di produttività del lavoro hanno un legame maggiormente sinergico
X. XXXX, Le forme..., op. cit., 639 ss.; X. XXXXXXXXXXX, L’approcio economico aziendale: gli indicatori di bilancio e la redditività, in Salari e produttività, op. cit., 51 ss.; X. XXXXX, Per una concertazione..., op. cit., 6 ss.
261 Cfr. ad esempio X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 348 ss.
con la prestazione del o dei lavoratori perché questi ultimi sono in grado di influenzare di più il raggiungimento dell’obiettivo attraverso il loro lavoro. Tale assunto è tanto più vero quanto più si restringe il gruppo di lavoratori di cui si misura la produttività262. Nonostante ciò il conseguimento del risultato rimane influenzato anche da altri fattori come il capitale, perché dinanzi a maggiori investimenti il prestatore può accrescere l’output a parità di lavoro.
La produttività del lavoro è riferibile ad obiettivi quantitativi, fra cui si annoverano quelli che hanno ad oggetto i volumi prodotti in relazione ad un dato input immesso, quelli concernenti i tempi di attraversamento..., ma anche a risultati qualitativi quali quelli fondati sul numero delle contestazioni degli acquirenti del bene o degli utenti del servizio, quelli in cui si misurano i pezzi prodotti con riduzione degli scarti e quelli fondati più in generale sulla valutazione della qualità dell’output263.
Nonostante alcune ricostruzioni teoriche e la disciplina delle agevolazioni fiscali e previdenziali presuppongano che la produttività cresca esclusivamente o prevalentemente attraverso il lavoro264, questo assunto è stato sconfessato dagli studi economici. Tali ricerche hanno dimostrato che la funzione della produzione265 dipende tanto dal capitale, quanto dal lavoro, mentre la produttività del lavoro è data dal rapporto fra la produzione realizzata ed il numero di ore applicate al processo produttivo. Un aumento delle ore lavorate
262 X. XXXXX, Premio di produttività, in Lessico giuslavoristico, vol. 1, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Bologna, Bup, 2010, 101 s.
263 Per una disamina degli obiettivi quali e quantitativi da cui possono essere fatti dipendere gli indicatori di produttività del lavoro, cfr. X. XXXXXX, il contratto..., op. cit., 200; X. XXXXXX e X. XXXXX, Sistemi e tecniche retributive, in La retribuzione..., op. cit., 71 s.; X. XXXXX, Problemi e prospettive..., op. cit., 39; X. XXXXX, Per una concertazione..., op. cit., 6 ss.; X. XXXXX, Xxxxxxxxx salariali..., op. cit., 13 ss.
264 Si tratta in generale di tutte quelle ricostruzioni dottrinali nelle quali si presuppone che sia sufficiente incentivare i lavoratori per accrescere la produttività. Cfr. al riguardo gli orientamenti riportati da X. XXXXXX, Un itinerario..., op. cit., 217, che si contrappone a questa ricostruzione. Per quanto attiene invece alle agevolazioni, come si è visto nel capitolo 1, la messa a disposizione di risorse pubbliche per incentivare la retribuzione variabile è giustificata dal fatto che, tramite essa, si ritiene possibile accrescere la produttività.
265 La funzione della produzione Y=AF (K,H) dimostra come, per produrre un bene Y, sia necessario capitale (K) e lavoro (H) che contribuiscono congiuntamente alla produzione del bene. L’efficacia con cui i fattori operano all’interno del processo produttivo dipende dallo stato della tecnologia, dal settore in cui opera l’impresa, dagli investimenti in ricerca e sviluppo ecc., incorporati nell’indicatore A che esprime la produttività dei fattori. Il fattore F indica che esiste una relazione tra il prodotto (Y) ed i fattori della produzione (K,H). Cfr. X. XXXXXXXXX, Glossario..., op. cit., 182 ss.
può essere insufficiente e non necessario ad accrescere la produttività, perché determina un aumento della produzione, ma non implica indefettibilmente un incremento della produttività. Perché ciò si verifichi vi sono due alternative: o la produzione cresce in misura più che proporzionale rispetto all’incremento delle ore di lavoro, o la produzione aumenta ad ore lavorative invariate. Per conseguire questo risultato sono necessari, oltre ad interventi sulla forza lavoro, nuovi investimenti che consentano ad esempio di ottimizzare l’utilizzo delle prestazioni, l’acquisto di nuovi macchinari, l’investimento in ricerca e sviluppo, una migliore organizzazione dei fattori della produzione ecc.
In chiusura del paragrafo ci si deve soffermare sulla finalità incentivante dei premi di produttività. La retribuzione svolge tale funzione quando motiva i lavoratori a conseguire uno o più obiettivi, poiché in un secondo momento li rende partecipi dei risultati ottenuti attraverso i loro comportamenti266. I premi di produttività esplicano questa funzione se consentono al lavoratore di conseguire l’obiettivo prefissato e di percepire il premio dinanzi ad un incremento qualitativo o quantitativo della prestazione. In tal caso la retribuzione di produttività rafforza il nesso di corrispettività fra l’attività lavorativa espletata ed il trattamento economico percepito.
La funzione incentivante del premio si attenua quando si amplia l’ambito entro il quale si misura la produttività (poiché si considera la produttività aziendale invece di quella del lavoro) e quando si accresce il gruppo di lavoratori dei quali viene valutata la produttività, poiché il singolo prestatore è in grado di incidere marginalmente sul raggiungimento del risultato.
2.1. Gli obiettivi individuali e di gruppo
Gli obiettivi di produttività del lavoro sono riferibili ad uno o ad un gruppo di lavoratori, mentre quelli di produttività aziendale concernono la generalità dei prestatori occupati nell’azienda.
Quando viene fissato un unico risultato di produttività comune a tutti i lavoratori occupati, si ha un obiettivo di gruppo il cui conseguimento dipende
266 X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Contrattazione a livello di impresa: partecipazione allo sviluppo delle competenze versus partecipazione ai risultati finanziari, in Lav. Rel. Ind., 1999, 2, 140 ss., considerano la retribuzione di produttività finalizzata ad accrescere il livello di attenzione e di applicazione dei lavoratori nel processo produttivo per evitare che essi procedano secondo routine.
dal miglioramento complessivo delle prestazioni. La predeterminazione di un unico obiettivo semplifica la contrattazione perché non impone di differenziare le valutazioni dei singoli o dei gruppi di lavoratori, ma al contempo riduce la funzione incentivante del premio in quanto il prestatore non riceve necessariamente la parte aggiuntiva della retribuzione quand’anche abbia migliorato la quantità o qualità del suo lavoro. Il conseguimento dell’obiettivo, infatti, dipende dal comportamento di tutti i lavoratori occupati nell’impresa.
Questo sistema favorisce il free riding perché i lavoratori meno volenterosi invece di migliorare la propria prestazione per conseguire l’obiettivo di produttività, confidano sul maggiore impegno dei colleghi. Tale comportamento non è in alcun modo “perseguibile” se il lavoratore, pur avendo una diligenza o un’applicazione inferiore agli altri, adempie in modo “normale” la sua prestazione. Il datore di lavoro potrà reagire con sanzioni disciplinari o con un licenziamento se dimostra che il lavoratore ha una diligenza inferiore a quella richiesta dalla natura della prestazione (ex art. 2104 c.c.) o un rendimento al di sotto di quello “normale”267.
I contraenti a livello aziendale possono creare gruppi più ristretti di lavoratori a ciascuno dei quali viene assegnato un obiettivo di produttività268. In questo caso può essere oggetto di contrattazione fra le parti non solo l’obiettivo della retribuzione variabile, ma anche la composizione del gruppo di lavoratori ai quali l’obiettivo viene assegnato269. La predeterminazione di risultati di gruppo in alcuni casi è giustificata dall’esigenza di incentivare i lavoratori alla cooperazione, in altri dall’eccessiva complessità di valutare l’apporto dei singoli.
Quando i risultati di produttività sono riferiti ad un gruppo ristretto di lavoratori, il premio svolge in modo più efficiente la funzione incentivante perché il lavoratore è in grado di comprendere meglio l’obiettivo e di influire in modo più incisivo sul suo conseguimento. La fissazione di obiettivi per gruppi ristretti di prestatori riduce il rischio di free riding rispetto al caso precedente,
267 X. XXXXXXXXXX, Sul licenziamento per scarso rendimento e per il sopravvenire di incompatibilità personali, in Licenziamenti e sanzioni nei rapporti di lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxxx, Padova, Cedam, 2011, 81 ss.
268 X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXX, Contrattazione..., op. cit., 134 ss.
269 Cfr. il contratto collettivo aziendale Peroni del 30 maggio 2007 ed il contratto del gruppo Monte dei Paschi di Siena del 6 febbraio 2001.
perché i lavoratori sono in grado di controllarsi reciprocamente. Di conseguenza anche l’impresa ha una minore necessità di verificare le prestazioni poiché tale funzione è svolta dai lavoratori nei loro rapporti reciproci. In considerazione di ciò, xxxxxx000 hanno sottolineato che questi sistemi premianti determinano il passaggio dal controllo del comportamento a quello dei risultati.
Gli obiettivi più adeguati alla finalità incentivante del premio sono quelli individuali, in quanto la prestazione del lavoratore ha un ruolo determinante (anche se non esclusivo) sul conseguimento del risultato. La veridicità di tale assunto può essere dimostrata se si fa riferimento ai premi adottati per alcune categorie di lavoratori subordinati, come gli addetti alle vendite o al settore commerciale, per i quali le imprese ritengono di fondamentale importanza l’incentivazione: in questi casi i contratti aziendali271 rinviano a sistemi premianti ad hoc basati su obiettivi individuali. Questi sistemi non favoriscono direttamente la collaborazione fra i lavoratori che può essere comunque incentivata in modo indiretto se ha ricadute positive sul conseguimento degli obiettivi individuali.
Gli accordi aziendali analizzati fissano normalmente obiettivi di gruppo272. Quando gli obiettivi sono riferiti a tutti i lavoratori dell’impresa, la funzione incentivante del premio rimane sullo sfondo, mentre irrompe in primo piano una finalità redistributiva. Le conclusioni sono diverse per gli obiettivi riferiti a gruppi più ristretti di prestatori che hanno un’effettiva funzione incentivante quando i lavoratori sono in grado di influenzare il conseguimento degli obiettivi tramite il loro lavoro. In caso contrario prevale anche qui una
finalità redistributiva.
Quando i premi di produttività contrattati a livello aziendale non hanno di fatto finalità incentivante e non consentono di differenziare i trattamenti economici dei lavoratori, si favorisce lo slittamento salariale verso la contrattazione individuale che diviene l’unico strumento per differenziare la
270 X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 367.
271 Cfr. il contratto aziendale Henkel del 28 marzo 2011 ed il contratto collettivo del gruppo Nestlé del 27 giugno 2011.
272 Fa eccezione il contratto collettivo aziendale Monte dei Paschi del 6 febbraio 2001 il quale prevede che una parte del premio venga erogata in base ad una valutazione individuale. In tal caso non vengono fissati obiettivi individuali ma dei target ai quali ciascun lavoratore deve adeguarsi; la maggior o minor conformità delle prestazioni ad essi viene valutata dal “responsabile” del lavoratore.
retribuzione dei prestatori e per incentivarli a raggiungere risultati rilevanti per l’impresa.
2.2. Retribuzione di produttività e cottimo
Le opinioni della dottrina sulla differenza fra cottimo e retribuzione di produttività sono eterogenee: Angiello273 ritiene i premi di produttività accostabili al cottimo misto con la differenza che, mentre i primi sono incerti nell’an e nel quantum, il secondo varia solamente nel quantum; altri274 considerano non avvicinabili tali due fattispecie: gli obiettivi di produttività sono sempre meno influenzabili dall’attività lavorativa resa, poiché sono riferiti sempre più frequentemente alla produttività aziendale, mentre i risultati ai quali è condizionata la maggiorazione di cottimo dipendono dalla prestazione lavorativa. L’opinione maggiormente condivisibile pare quella secondo la quale275 il cottimo ed i premi di produttività si distinguono perché questi ultimi dipendono non solo dal lavoro umano, ma anche da altri fattori. Secondo questa ricostruzione, qualora si depurasse l’indicatore di produttività dai fattori estranei al lavoro, ci si troverebbe dinanzi ad un cottimo collettivo. Se si considera che il parametro di produttività è componibile in diversi modi, questa interpretazione è accostabile a quella di Xxxxxxxx quando si considerano i premi di produttività del lavoro riferiti a gruppi di prestatori. Non si deve infatti dimenticare che anche il rendimento, pur dipendendo dalla quantità del lavoro, è influenzato dagli investimenti dell’impresa e dalle scelte organizzative. Le due soluzioni interpretative non sono coincidenti se si considerano i premi di produttività aziendale.
Il cottimo è una forma di remunerazione incentivante finalizzata ad ottenere un rendimento superiore al normale in cambio di una maggiorazione retributiva. Il rendimento consiste nel «rapporto tra il tempo dedicato alla prestazione ed il risultato conseguito»276. Per determinare la tariffa si misura il
273 X. XXXXXXXX, La retribuzione, in Il codice civile. Commentario, Artt. 2099-2102 c.c., a cura di F. D. Busnelli, Milano, Xxxxxxx, 2003, 190.
274 X. XXXXXXXXX, La retribuzione..., op. cit., 78 ss.
275 X. XXXXXX, Organizzazione dell’impresa..., op. cit., 9 s.
276 X. XXXXXX, Organizzazione dell’impresa..., op. cit., 125; X. XXXXXXXXXX, Sul licenziamento..., op. cit., 83; X. XXXXXXX, Lavoro e rendimento, in Arg. Dir. Lav., 2004, 2, 539.
“tempo normale” di svolgimento del lavoro: il “rendimento di cottimo”, dal quale dipende la maggiorazione retributiva, risulta dalla differenza fra il ritmo più intenso conseguito dal lavoratore e quello “normale”.
Il cottimo viene definito “pieno” se il guadagno del lavoratore varia in modo proporzionale al rendimento, “accelerato” se la retribuzione muta in misura più che proporzionale al rendimento o “rallentato” se l’utile di cottimo varia in modo meno che proporzionale al rendimento. Il cottimo è detto “differenziale” quando il guadagno del prestatore muta in misure differenti a seconda del livello di rendimento raggiunto277.
Da quando il cottimo ha cessato di essere un tipo di lavoro autonomo ed è diventato una forma di retribuzione del lavoro subordinato, la dottrina278 si è chiesta se il rendimento prefissato per il cottimista fosse dedotto in obbligazione. Se così fosse, il mancato conseguimento di esso per cause imputabili al lavoratore costituirebbe inadempimento contrattuale e legittimerebbe il datore di lavoro ad evocare il rimedio dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.). Di conseguenza il datore di lavoro potrebbe ridurre unilateralmente la retribuzione in proporzione al minor rendimento. Nonostante qualche isolata pronuncia279 abbia affermato che tale decurtazione possa riguardare anche i minimi retributivi ex art. 36 Cost., la dottrina280 ha apertamente criticato questa soluzione ermeneutica perché, se fosse così, per il cottimista sarebbero «compromessi sia il principio di intangibilità della paga base, sia la possibilità di utilizzare l’ulteriore criterio o correttivo costituzionale della sufficienza della retribuzione». Attualmente è prevalente l’interpretazione281 secondo la quale il cottimista non garantisce un rendimento
277 X. XXXXXX, Xx contratto..., op. cit., 190 ss.; X. XXXX, op. cit., 64 ss.
278 Nelle ricostruzioni più risalenti si affermava che il risultato fosse dedotto in contratto, cfr. al riguardo X. XXXXXXXXXX, Sul rendimento del prestatore nell’obbligazione di lavoro, in Dir. Lav., 1971, 1, 129 ss.; al contrario la dottrina successiva lo ha negato addebitando l’opposta soluzione al fatto che inizialmente il cottimo fosse un rapporto di lavoro autonomo in cui veniva dedotto in contratto un risultato, cfr. la ricostruzione storica di X. XXXXXX, Organizzazione dell’impresa..., op. cit., 95 ss., X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 348 ss., X. XXXXXX, Xx contratto..., op. xxx. xxx., X. XXXXXXX, Xxxxxx x xxxxxxx x xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxxxxx, xx Xxx. Xx. Dir. Lav., 1994, II, 697 ss., ad avviso dei quali, per usare le parole di Xxxxxx, l’extraperformance rileva solo ai fini dell’extrapay.
279 Cass., 10 gennaio 1994, n. 162, in Riv. It. Dir. Lav., 1994, II, 697 ss., con nota di X. Xxxxxxx.
280 X. XXXXXXX, Lavoro a cottimo..., op. cit., 700.
281 X. XXXXXX, L’organizzazione..., op. loc. cit.; X. XXXXXXX, Xxxxxx a cottimo..., op. loc. cit.; X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit.; X. XXXXXXXXX, Le Sezioni unite risolvono la questione
superiore a quello del lavoratore retribuito a tempo, in quanto, se così fosse, il “risultato” superiore al normale sarebbe dedotto in obbligazione. L’extraperformance rileva solo per il diritto all’extrapay282.
La questione della deduzione del risultato nel sinallagma contrattuale si era posta anche per la retribuzione di produttività283: essa è stata risolta in senso negativo poiché gli obiettivi di produttività dipendono solo in minima parte dalla prestazione dei lavoratori, e quand’anche siano influenzabili da quest’ultima, concernono risultati eccedenti quelli dedotti in contratto ai fini dell’adempimento.
Nonostante il codice contempli anche il cottimo integrale nel lavoro a domicilio (ex art. 8, comma 1, l. n. 877 del 18 dicembre 1977), il lavoratore subordinato viene di regola remunerato con il cottimo misto, il quale è composto da una parte di retribuzione erogata in cifra fissa e da un’altra variabile in base al rendimento284. Il cottimo misto è la forma di cottimo più contigua alla retribuzione di produttività poiché anche quest’ultima si aggiunge alla retribuzione del contratto nazionale.
Con riguardo sia al cottimo sia alla retribuzione di produttività sono stati procedimentalizzati i poteri datoriali al fine di tutelare i prestatori di lavoro285, come si è visto nel § 1.1. In tale sede si è anche accennato al fatto che l’intervento sindacale ha progressivamente “appiattito” la funzione incentivante del cottimo, poiché ha ridotto la quota di retribuzione variabile in base al rendimento e la ha consolidata nella paga base286. Questa tendenza si è estesa ai premi di produzione e interessa anche la retribuzione variabile: la sua capacità di differenziare concretamente i trattamenti economici dei lavoratori non è mai veramente decollata, almeno nella maggioranza dei casi.
La retribuzione di produttività ed il cottimo sono forme retributive influenzate dall’organizzazione d’impresa. A titolo esemplificativo
dell’incidenza della retribuzione del lavoro straordinario sul c.d. cottimo misto dei ferrovieri, in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, 894 ss.; F. DE FALCO, Il cottimo misto tra proporzionalità e sufficienza del trattamento retributivo, in Riv. It. Dir. Lav., 2003, II, 561 ss.
282 X. XXXXXX, L’organizzazione..., op. cit., 76.
283 X. XXXXXXX, La corrispettività..., op. cit., 348 ss.
284 X. XXXXXX, Xx contratto..., op.cit., 186; X. XXXXXXXX, La retribuzione, op. cit., 189 ss.
285 Cfr. a tal riguardo la ricostruzione fatta dalla Cass., S.U., 7 marzo 2005, n. 4813, in Riv. It. Dir. Lav., 2005. II, 894 ss., con nota di X. Xxxxxxxxx.
286 X. XXXXXX, Xx contratto..., op.cit., 192 s.; X. XXXXXXX, Le forme..., op. cit., 14 s., il quale riporta la regolamentazione del contratto nazionale dei metalmeccanici.
un’innovazione tecnologica è in grado di far produrre di più ai lavoratori nella stessa unità di tempo287. Pertanto i lavoratori retribuiti a cottimo riescono ad aumentare la retribuzione anche senza lavorare di più, perché il loro rendimento aumenta grazie all’innovazione apportata. In tali casi è possibile modificare la tariffa di cottimo poiché questa viene determinata prendendo come riferimento l’organizzazione esistente in un determinato momento. Se muta il presupposto su cui la tariffa si fonda, anche quest’ultima può essere modificata288. Tale soluzione è stata accolta dalla Cassazione289, ad avviso della quale i risultati del cottimista vanno valutati in relazione alle condizioni tecnico-produttive in atto, in particolare se queste sono eterogenee rispetto a quelle esistenti nel momento in cui era stata determinata la tariffa.
I premi di produttività pongono problemi analoghi perché, come visto nel
§ 1.1, i datori ed i sindacati dei lavoratori, quando fissano gli obiettivi, prendono come presupposto l’organizzazione aziendale esistente o le sue prospettive di sviluppo. Xxxx accade se queste condizioni mutano durante l’anno? I contratti aziendali di regola prescrivono che gli obiettivi siano ricontrattati, analogamente a quanto prevede l’art. 2101 c.c. per il cottimo. Quali sono le conseguenze se i risultati non vengono rideterminati? Si cercherà di rispondere a tale interrogativo nel cap. 3.
Da ultimo si vuole considerare il caso in cui il lavoratore ritenga il trattamento economico che gli è stato corrisposto non sufficiente e proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato. La questione è trattata in diverse pronunce290 che esprimono il medesimo principio di diritto: quando il lavoratore deduce l’inadeguatezza del compenso di cottimo il giudice, per verificare se la retribuzione è proporzionata e sufficiente, deve valutare il trattamento economico complessivo corrisposto, composto dalla parte fissa e da quella variabile.
287 In dottrina cfr. M. DELL’OLIO, Cottimo Anni ’60 e ’70, op. cit., 535; in giurisprudenza cfr. Cass., 7 luglio 2004, n. 12512, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7.
288 Tale soluzione non era pacifica perché l’art. 2101 c.c. consente di intervenire sulle tariffe di cottimo solo se vi sono “mutamenti nelle condizioni di esecuzione del lavoro” e non se vengano apportate modifiche nell’organizzazione d’impresa.
289 Cass., 7 luglio 2004, n. 12512, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7.
290 Cass., 7 luglio 2004, n. 12512, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7; Cass., 13 novembre 2002, n. 15896, in Riv. It. Dir, Lav., II, 561 ss., con nota di F. Xx Xxxxx; Cass., S.U., 7 marzo 2005, n. 4813, in Riv. It. Dir. Lav., 2005, II, 894 ss., con nota di X. Xxxxxxxxx.
Merita soffermare l’attenzione su una pronuncia291 che, oltre ad esplicitare l’assunto espresso sopra, è particolarmente interessante per il ragionamento relativo al principio di proporzionalità.
Nel caso esaminato dalla Corte i lavoratori erano retribuiti con un cottimo misto; il livello di rendimento normale era stato valutato in 480 record e per ogni record superiore si riconoscevano ai lavoratori ₤5. Il prestatore che agisce in giudizio ritiene la sua retribuzione non proporzionata ad un rendimento 4 volte superiore al normale. La Corte afferma che il trattamento economico del lavoratore non è conforme all’art. 36 Cost. perché un risultato produttivo notevolmente eccedente al normale non è in ogni caso irrilevante. La decisione è fondata su un “caposaldo”: il rendimento 4 volte superiore al normale giustifica, ad avviso della Corte, un incremento proporzionale della retribuzione perché la tariffa di cottimo del contratto del ricorrente non fissava un livello di rendimento al di sopra del quale la retribuzione non avrebbe più dovuto aumentare. Il lavoratore non avrebbe potuto rivendicare il diritto ad un adeguamento della retribuzione se il contratto collettivo avesse previsto che, una volta raggiunto un rendimento doppio rispetto a quello normale, la retribuzione non sarebbe più aumentata. Tali sistemi di regolamentazione sono legittimi e si giustificano per l’esigenza di tutelare la salute dei lavoratori. Il trattamento economico corrisposto sarebbe stato legittimo anche se fosse stato giustificato da una tariffa di cottimo decrescente292. Nessuna di queste due situazioni si è verificata nel caso concreto e ciò giustifica la conclusione della Corte.
Tale analisi può offrire qualche spunto di riflessione per i premi di produttività: se il lavoratore svolge una prestazione notevolmente superiore alla quantità e qualità “normale” per conseguire l’obiettivo di produttività, ma non lo raggiunge, può sorgere una controversia sulla proporzionalità del trattamento economico corrisposto? Se si considerano le modalità di regolamentazione della retribuzione variabile dei contratti aziendali, sembra di doversi rispondere negativamente. Anzitutto ciò che rileva per la retribuzione variabile è il conseguimento di uno o più risultati: se questi non sono raggiunti, il lavoratore
291 Cass., 7 luglio 2004, n. 12512, in Giust. Civ., Mass., 2004, 7.
292 Tali sistemi si giustificano oltre che per la libertà di cui dispone l’imprenditore ex art. 41 Cost. nell’erogazione di trattamenti eccedenti a quelli ex art. 36 Cost., anche per l’opportunità di disincentivare ritmi lavorativi eccessivi che possono andare a detrimento delle salute dei lavoratori. Cfr. anche Cass., 13 novembre 2002, n. 15896, in Riv. It. Dir. Lav., 2002, II, 561 ss.
non ha diritto al premio. Anche nei premi “a gradini”, nei quali sono fissati più obiettivi crescenti di produttività, la mancata erogazione della retribuzione si giustifica per gli obiettivi che non sono stati raggiunti. Se si considera che la decisione della Corte evidenzia l’ampia discrezionalità del sindacato nel concretizzare il requisito di proporzionalità della retribuzione, in particolare per la parte del salario aggiuntiva a quella ex art. 36 Cost., si può ritenere che tale regolamentazione dei premi sia legittima. A conferma della soluzione negativa accolta si può affermare che i premi di produttività sono una parte aggiuntiva al trattamento economico del contratto nazionale che è di regola il parametro per determinare la retribuzione proporzionata e sufficiente; inoltre, dato che i premi coprono una quota marginale del trattamento economico, la mancata erogazione di essi non sembra determinante per far venir meno la proporzionalità della retribuzione complessiva rispetto al lavoro prestato. La soluzione potrebbe divenire più complessa se gli accordi aziendali accrescessero la parte variabile della retribuzione attraverso deroghe al trattamento economico del contratto nazionale.
2.3. La retribuzione di produttività nei contratti collettivi di secondo livello
Nella disciplina dei contratti aziendali, alcuni accordi293 utilizzano indicatori di produttività aziendale nei quali l’obiettivo per l’erogazione del premio, oltre ad essere unico per la generalità dei lavoratori, viene determinato in base al rapporto fra tutti gli input immessi nel ciclo produttivo e tutti gli output prodotti. Poiché in questo sistema la prestazione dei lavoratori influenza solo in minima parte il conseguimento del risultato, la funzione incentivante del premio è ridotta. L’indicatore sovente utilizzato è il fatturato netto dell’impresa, il quale è molto vicino, se non proprio sovrapponibile, ad un indicatore di redditività294.
293 Cfr. il contratto aziendale Feltrinelli del 13 luglio 2006 nel quale il premio di produttività dei punti vendita viene calcolato in base al fatturato netto suddiviso per l’organico medio; cfr. anche alcuni degli indicatori alternativi a quelli “principali” proposti nel contratto aziendale Ikea del 1 luglio 2011, anch’essi legati al fatturato depurato da alcuni elementi. Cfr. anche il contratto collettivo aziendale Unicredit dell’8 agosto 2007 nel quale l’obiettivo di produttività aziendale viene misurato in base al risultato gestionale dell’azienda misurato con un dato aggregato di bilancio.
294 X. XXXXXXXX, Diritti di partecipazione, in Le fonti. Il diritto sindacale, a cura di X. Xxxx, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, Torino, Utet, 2007, 297, fa rientrare il fatturato fra gli indicatori di redditività.
La maggior parte dei contratti aziendali utilizza obiettivi di produttività del lavoro295 che, tuttavia, non accrescono la capacità incentivante del premio rispetto al caso precedente perché viene fissato un unico obiettivo per tutti i lavoratori. Anche in tal caso la prestazione del singolo influenza in modo marginale il raggiungimento degli obiettivi.
A prescindere dal tipo di risultati prescelti, l’entità del premio è uguale per tutti, eccezion fatta per alcuni accordi che differenziano il quantum del trattamento economico aggiuntivo in base all’inquadramento dei lavoratori296.
Solo alcuni contratti aziendali hanno introdotto indicatori più sofisticati per disciplinare la retribuzione variabile, al fine di mantenere un legame più stretto fra la prestazione resa e l’obiettivo di produttività. Si considerino il contratto aziendale Peroni del 30 maggio 2007, nel quale i risultati di produttività del lavoro sono diversi a seconda dei gruppi di lavoratori considerati ed il contratto del Monte dei Paschi del 6 febbraio 2001, che non solo prevede un premio di produttività diversificato per gruppi di lavoratori, ma subordina una parte di esso alla valutazione delle prestazioni individuali.
Se si osservano le regolamentazioni concrete degli accordi aziendali, si può concludere che le parti sociali rinunciano a differenziare le retribuzioni in base ad indicatori sofisticati e rimettono implicitamente tale funzione al contratto individuale.
Gli accordi territoriali, che dovrebbero rappresentare l’alternativa alla contrattazione aziendale nei settori dove prevalgono imprese di minori dimensioni, meritano solo un breve cenno. I contratti di tale livello, secondo le previsioni dell’A.I. del 2009, dovrebbero subordinare l’erogazione dei premi ad obiettivi di produttività del settore. Nella realtà concreta gli accordi territoriali regolano aumenti retributivi variabili coerenti con le previsioni dell’A.I. solo in
295 Cfr. il contratto aziendale Xxxx Italia del 23 maggio 2000 che, oltre ad altri indicatori, utilizza anche un obiettivo correlato alla produttività del lavoro (si tratta del premio di prestazione e di quello di qualità); cfr. anche il contratto aziendale Autogrill del 17 ottobre 2006, il quale utilizza un indicatore che misura il miglioramento della produttività del lavoro rispetto all’anno precedente e un indicatore di qualità. Cfr. anche il contratto aziendale Barilla del 24 giugno 2011 che determina 1/3 del premio in base alla produttività del lavoro ed un ulteriore terzo in base ad obiettivi di miglioramento qualitativo.
296 Cfr. l’indicatore di produttività del contratto aziendale Unicredit dell’8 agosto 2007.