COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) XXXXXXXX Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) GATT Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) ROSAPEPE Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) GIGLIO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXXXX XXXXXXX
Nella seduta del 06/06/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La ricorrente afferma di aver stipulato in data 10.8.2012 un contratto di “affitto assicurato” che prevedeva l’obbligo in capo alla resistente di acquisto pro-soluto dei crediti derivanti da un contratto di locazione sottoscritto con altro soggetto.
La resistente non ha adempiuto le obbligazioni derivanti dal contratto, rifiutandosi di acquistare pro-soluto i crediti scaduti e richiamando la clausola contrattuale in base alla quale potevano essere oggetto di cessione solo i crediti originatisi da “fatti accaduti almeno 180 gg dopo la decorrenza del presente contratto”. Xxxxxxxx, sottolinea la ricorrente, invocata a sproposito perché era stata richiesta la cessione dei canoni relativi alle mensilità da luglio 2013 sino al febbraio 2014 e quindi rientranti nella previsione della citata clausola contrattuale, tenuto conto che il contratto di “affitto assicurato” (datato 10.8.2012) aveva decorrenza dal 1°.9.2012.
Deduce la natura vessatoria della clausola e chiede all’Arbitro di dichiararne la “nullità/disapplicazione per vessatorietà” per violazione degli artt. 1363, 1366, 1367 e 1369
c.c. Chiede inoltre di accertare l’obbligo dell’intermediario di acquistare pro-soluto il credito di € 12.967,91 oltre interessi legali dalla data del reclamo sino al soddisfo; accertare l’obbligo dell’intermediario resistente di “definire l’operazione di cessione secondo le prescrizioni contrattuali”; condannare infine l’intermediario al pagamento delle spese legali.
Costituitosi, l’intermediario deduce che il contratto di “affitto assicurato” non prevedeva un espresso obbligo di acquisto di crediti ma solo una “disponibilità”; quindi, precisa che il rigetto dell’iniziale richiesta della ricorrente (risalente al febbraio 2013) era stato correttamente motivato dal fatto che essa era riferita a canoni scaduti prima dell’inizio del periodo di validità del contratto (180 giorni dopo la sua decorrenza).
Aggiunge che prima della proposizione del ricorso aveva proposto, a seguito di una richiesta di negoziazione assistita del ricorrente, di acquistare pro solvendo i crediti al solo fine di recuperarli in via stragiudiziale, accollandosi anche le spese di tale recupero.
Conclude per il rigetto del ricorso perché infondato.
DIRITTO
Il Collegio ritiene, in via preliminare, di dovere esaminare la questione relativa alla sopravvenuta cancellazione dell’intermediario dall’elenco di cui all’art. 106 del t.u.b., avvenuta in data 10.1.17. Sebbene non eccepita dalle parti, la sopravvenuta cancellazione impone di verificare se permanga la legittimazione passiva del resistente.
La risposta al quesito è affermativa. Xxxx infatti ritenersi che la legittimazione passiva si radica al momento della proposizione del ricorso e, quindi, non si perde a seguito della successiva cancellazione del resistente dall’albo degli intermediari ex artt. 106 e 107 t.u.b. (nello stesso senso Coll. Milano, n. 804 del 2014).
Prima ancora di venire al merito della controversia occorre ancora sottolineare che al momento della sottoscrizione del contratto la società resistente non era autorizzata al rilascio di garanzie con la conseguenza che, se il contratto in esame dovesse essere inteso come una garanzia concessa dall’intermediario, verrebbe in rilievo il problema della validità del contratto in mancanza della prescritta autorizzazione per l’esercizio dell’attività. Ritiene il Collegio che l’assunzione dell’obbligo di acquisto dei crediti della ricorrente nei confronti del conduttore di un immobile di sua proprietà persegue indiscutibilmente la finalità di garantire il cedente per il caso di ritardo od inadempimento del conduttore, il che del resto ben si concilia con la causa variabile che caratterizza la cessione di credito.
Viene, dunque, in rilievo il tema della illiceità dell’attività d’impresa svolta in mancanza delle prescritte autorizzazioni; illiceità che nel caso di specie darebbe luogo all’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 132 t.u.b. per l’esercizio abusivo di attività finanziaria.
Com’è noto un ormai risalente orientamento di dottrina e giurisprudenza esclude che dalla violazione delle disposizioni che dette autorizzazioni richiedono per l’esercizio dell’attività d’impresa possano prodursi conseguenze di rilievo in ordine alla stessa configurabilità della fattispecie-impresa ed alla applicabilità della disciplina ad essa eventualmente dedicata. Proprio in tema di esercizio dell’attività bancaria può considerarsi ormai acquisito il principio secondo cui l’esercizio di fatto dell’attività bancaria non esenta affatto l’imprenditore dall’applicazione delle disposizioni dettate dal testo unico bancario, né in particolare della disciplina dello stesso testo unico dedicata alla regolamentazione della crisi dell’impresa bancaria.
Altrettanto consolidato è poi l’orientamento che, con riferimento questa volta agli atti compiuti dall’imprenditore che ha esercitato l’attività in assenza delle prescritte
autorizzazioni, afferma che l’illiceità dell’impresa non dà luogo anche all’illiceità dei singoli atti di impresa, a meno che non vi sia una espressa previsione normativa in tal senso. Soluzione, questa, che viene giustificata con l’obiettiva necessità di evitare che l’illiceità dell’impresa finisca per pregiudicare i soggetti con i quali l’imprenditore abbia assunto obbligazioni nell’esercizio dell’attività e che può essere confermata anche in presenza di una sanzione penale per l’esercizio abusivo dell’attività, la quale, come pure ha già ritenuto il Collegio di coordinamento (decisione n. 7958 del 2016), non importa di per sé sola la invalidità del negozio, specialmente laddove l’accordo non incida direttamente sulla ratio del precetto penale.
E’ anche vero, tuttavia, che, come pure rileva la già citata decisione del Collegio di coordinamento, non mancano posizioni giurisprudenziali che ravvisano la nullità virtuale dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione richiesta dalla legge o in mancanza dell’iscrizione in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la legittimazione a stipulare quel determinato contratto (Cass., s.u., nn. 26724 e 26725 del 2007).
La dichiarazione di nullità del contratto finirebbe però per pregiudicare gravemente il contraente che non ha dato causa alla nullità, il quale avrebbe interesse all’adempimento del contratto e non all’accertamento della nullità dello stesso ed al risarcimento dei danni subiti. Non v’è chi non veda infatti che il profilo risarcitorio potrebbe tenere indenne il creditore solo della lesione del cd. interesse negativo, trattandosi di responsabilità derivante da culpa in contrahendo ai sensi dell’art. 1338 c.c.
Della necessità di tutelare il contraente che ha confidato nella validità del contratto si ha una evidente conferma dalla previsione contenuta nell’art. 167 del codice delle assicurazioni (d.lgs. 7.9.2005, n. 209), che nel sancire la nullità del contratto di assicurazione concluso con una impresa non autorizzata, precisa al secondo comma che la nullità “può essere fatta valere solo dal contraente o dall’assicurato”.
Trattasi di una ulteriore ipotesi di nullità di protezione prevista dall’ordinamento, e che – come rilevato dal Collegio di coordinamento nella citata decisione - data l’evidente identità di ratio può essere applicata anche alla specie in esame, che da quella disciplinata dal codice delle assicurazioni si differenza unicamente per la presenza di una ipotesi di nullità virtuale e non testuale.
In conclusione, volendo pure condividere l’opinione secondo cui ricorrerebbe nella specie una nullità virtuale del contratto, essa non può essere accertata se non in presenza di domanda in tal senso del contraente che non ha dato causa alla nullità stessa.
Venendo al merito della controversia, occorre verificare se i canoni per i quali si chiede la cessione siano stati o meno “originati da fatti accaduti almeno 180 giorni dopo la decorrenza” del contratto concluso dalle parti, come prevede l’art. 1 dello stesso.
La risposta al quesito è affermativa perché i canoni per i quali si invoca la cessione del credito decorrono dal luglio 2013 e il contratto con l’intermediario è invece intervenuto il 10 agosto 2012. E’ vero che vi erano state in precedenza altre morosità del conduttore, ma esse furono sanate e dunque non rientrano in quelle per le quali si chiede l’adempimento del contratto.
L’inadempimento dell’intermediario all’obbligo di acquisto dei crediti oggetto del contratto di “affitto assicurato” legittima dunque il diritto del ricorrente al risarcimento del danno, pari ad € 12.967,91, corrispondenti all’ammontare dei crediti che avrebbero dovuto essere ceduti, oltre interessi legali dalla data del reclamo.
Sussistono infine le ragioni per dichiarare tenuto l’intermediario al rimborso delle spese legali che si liquidano in € 300,00.
P. Q. M.
In accoglimento del ricorso, il Collegio accerta il diritto del ricorrente al risarcimento del danno per l’importo di € 12.967,91 oltre interessi legali dalla data del reclamo. Dispone altresì il rimborso delle spese per l’assistenza difensiva equitativamente determinate in € 300,00.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1