RIVISTA DEL NOTARIATO
RIVISTA DEL NOTARIATO
Anno LXII Fasc. 5 - 2008
Xxxxxxxx Xxxxxxx
IL CONTRATTO DI COMODATO, LE QUESTIONI RELATIVE AL TERMINE DI DURATA DELLO STESSO ED I SUOI
RAPPORTI CON LA LIBERALITÀ
Estratto
Milano • Xxxxxxx Editore
futura vendita: possesso o detenzione?, cit., pp. 372 e s. e nota 65; X. XXXXXX, La trasferibilità del possesso nei contratti obbligatori, loc. cit.; X. XXXXXX, op. cit., p. 372.
(46) Di segno contrario è X. XXXXXXX, Alienazione del possesso. Contratto atipico meritevole di tutela, in Vita not., 1998, 3, pp. 1422 e ss., che ravvisa nell’alienazione del possesso, non una compra- vendita, ma un contratto atipico, valido ed ammissibile, ex art. 1322, comma 2, c.c., in quanto lecito e meritevole di tutela. Contra X. XXXXXX, op. cit., pp. 490 e s..
(47) Cass., 22 luglio 2003, n. 11415, loc. cit.; Cass., 3 novembre 2000, n. 14358, loc. cit.; Cass., 7 luglio 2000, n. 9106, loc. cit., pp. 635 e ss.; Cass., 1º ottobre 1997, n. 9560, loc. cit.; Cass., 13 luglio 1993, n. 7690, pp. 632 e ss.; Trib. Cagliari, 11 maggio 1985, n 594, loc. cit.; X. XXXXXXXX, loc. cit., p. 629 e ss.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 1092; C. TENELLA SILLANI, loc. cit.. Contra X. XXXXX, op. cit., p. 838, la quale sostiene che ricondurre al preliminare gli effetti tipici del definitivo che ancora non esiste, giustificandoli col richiamo a quest’ultimo, implicherebbe un’inaccettabile frattura logica e temporale.
(48) Cass., 7 luglio 2000, n. 9106, loc. cit., pp. 364 e ss.; Cass., 1º ottobre 1997, n. 9560, xxx. xxx., x. 000; Cass., 13 luglio 1993, n. 7690, p. 634; X. XXXXX, op. cit., p. 1210, nota 21.
D’altro canto, sostengono che la consegna è atto neutro anche i sostenitori della detenzione: F.M. XXXXXXX, Deve essere autorizzato il preliminare di vendita di un bene del minore? Il promissario acquirente cui sia stata consegnata la cosa è detentore o possessore?, cit., p. 733; X. XXXXXXX, op. cit., p. 87.
(49) Cass., 3 novembre 2000, n. 14358, loc. cit.; Cass., 7 luglio 2000, n. 9106, loc. cit., pp. 364 e ss.; Cass., 1º ottobre 1997, n. 9560, loc. cit.; Cass., 13 luglio 1993, n. 7690, p. 630; X. XXXXXXXX, xxx. xxx., x. 000.
(00) X. XXXXX, loc. cit..
(51) X. XXXXXXX, Il contratto preliminare, Torino, 1998, p. 32; X. XXXXX, op. cit., p. 225; X. XXXXX, op. cit., p. 219. Contra X. XXXXXXX, op. cit., pp. 101 e s., per la quale l’anticipato pagamento del prezzo non muta l’animus in ordine alla consapevolezza dell’altruità del bene.
(52) X. XXXXX, op. cit., p. 841.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI — Comodato — Comodato di immobile da destinare ad abitazione del comodatario per tutta la durata della sua vita — Configurabilità — Sussistenza — Contratto costitutivo di diritto di abitazione e conseguente necessità di forma scritta «ad substantiam» — Esclusione.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI — Comodato — Comodato immobiliare ultranovennale
— Forma scritta di cui all’art. 1350 cod. civ. — Necessità — Esclusione — Prova per testi e per presunzioni — Ammissibilità.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI — Comodato — Comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario — Comodato a termine avente natura obbligatoria — Morte del comodante in pendenza del termine di durata del contratto — Obbligo degli eredi del comodante di rispettare detto termine — Sussistenza.
È configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitu- tivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam (1).
L’onere della forma scritta nei contratti previsto dall’art. 1350 c.c. non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato per testi e per presunzioni (2).
Nell’ipotesi di comodato a termine, quale è quello di un immobile per tutta la vita del comodatario, stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto, in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante (3).
[Cass., Sez. III, 3 aprile 2008, n. 8548 — Pres. Vittoria — Est. Segreto]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO — Con citazione notificata il 14.12.1998 M.N.,
M.G. e R.F. proponevano appello davanti al tribunale di Latina avverso la sentenza
n. 68/1998, con cui il pretore di Fondi aveva rigettato la domanda di rilascio di un appartamento sito in (Omissis), avanzata dagli appellanti nei confronti della rispettiva zia e cognata M.P.. Il Tribunale, con sentenza depositata il 29.7.2003, in riforma dell’appellata sentenza, accoglieva la domanda e condannava M.P. al rilascio in favore degli appellanti dell’appartamento in questione. Riteneva il Tribunale che, con la scrittura privata intervenuta tra i fratelli V., D. e M.B. (quest’ultimo dante causa degli attori), in data 1.12.1968, con la quale es- si dividevano un bene comune, i predetti disponevano che la madre e la so- rella (finche nubile) avevano il diritto di abitazione «vita natural durante» in due stanze e contiguo bagno; che tanto integrava una donazione del diritto reale di abitazione e, quindi, nulla per difetto di forma, mancando l’atto pubblico, con la presenza di testi. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.P. (Omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE — 1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che il giudice di appello ha omesso di motivare in merito alla prospetta- zione del contratto in questione come di comodato per l’intera vita della comoda- taria, pur sollevata nella fase di merito.
2. Con secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 1803 e ss. c.c..
Secondo la ricorrente nella fattispecie non si trattava di una donazione del diritto di abitazione, bensì del comodato dell’appartamento perché esso fosse adibito ad abitazione per tutta la vita della comodataria, con la conseguenza che non era necessaria la forma scritta e che gli eredi del comodante dovevano rispettare il termine di scadenza del comodato, costituito dalla fine della vita della comodataria.
3.1. I due suddetti motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati.
Invero, il contratto di comodato è definito legislativamente all’art. 1803 cod. civ. come il contratto, essenzialmente gratuito, col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Sulla base di questa definizione, la dottrina ha posto in evidenza tre fondamentali requisiti del como- dato: la realtà, l’unilateralità, la gratuità.
È dato rilevare che, nel caso di specie, sussistono certamente i primi due requisiti, atteso che non è stato contestato che vi fu la consegna dell’appartamento dal comodante alla comodataria. Per quanto attiene al requisito dell’unilateralità, è pacifico che la comodataria soltanto abbia assunto gli obblighi di custodire e conservare (art. 1804 c.c.), nonché di restituire (art. 1809 c.c.) l’appartamento consegnatole al termine della durata del contratto, che, nel caso di specie, ha la particolarità di avere la durata stessa della vita della beneficiarla.
3.2. Quanto alla gratuità, pacifica nella fattispecie, va solo precisato che il negozio gratuito non necessariamente nasconde un atto di liberalità.
Invero, come altre volte ritenuto da questa Corte, oggetto del rapporto di
comodato può ben essere anche la concessione gratuita di un’abitazione per lungo tempo o finché viva il concessionario (Cass. n. 1384 del 1957; n. 1018 del 1976; n. 511 del 1978; n. 3834 del 1980; n. 11620 del 1990; n. 9909 del 1998). La
concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l’an ed incerto il quando.
Nell’ipotesi di comodato a termine — anche se di lunga durata — stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante (v. in tal senso, con riferimento ad ipotesi di comodato destinato a protrarsi per tutta la durata della vita del comodatario, Cass., 3 novembre 2004, n. 21059; Cass., 17 giugno 1980, n. 3834 e Cass., 4 dicembre 1990, n. 11620, e, con riferimento ad ipotesi di comodato comunque a termine, Cass., 12 settembre 1968, n. 2927; Cass., 10 aprile 1970, n. 986; Cass., 20 marzo 1976, n. 1018; Cass., 17
giugno 1980, n. 3834).
Questo orientamento, che trova consenso nella prevalente dottrina, è da condividere, con la precisazione che gli eredi del comodante hanno pur sempre diritto — come lo aveva il comodante — di recedere dal contratto nelle ipotesi contemplate nell’art. 1804 c.c., comma 3, art. 1811 c.c. e art. 1809 c.c., comma 2. Non possono considerasi contrarie a questo orientamento nonostante la formulazione della massima ed un inciso peraltro non decisivo nell’economia della decisione — Cass., 19 aprile 1991, n. 4258, che è stata emessa in una causa nella quale si discuteva di un comodato precario e, quindi, senza fissazione di un termine, con riferimento al quale gli eredi — così come del resto il comodante — possono recedere dal contratto in ogni momento; né Cass., 24 settembre 1979, n. 4920, anch’essa resa in una causa avente ad oggetto un comodato precario; né, infine, Cass., 17 dicembre 1993, n. 12505, che si limita a richiamare le sentenze n. 4258 del 1991 e n. 4920 del 1979, soltanto al fine di ritenerle inapplicabili alla fattispecie
esaminata.
Completamente priva di base normativa è la tesi dei resistenti, secondo cui, fondandosi il comodato sulla fiducia delle parti interessate, esso si estingue con la morte del comodante. La prospettata natura di contratto fondato sull’intuitus personae (peraltro in prospettiva bilaterale) non ha alcun aggancio normativo, né ne indicano i resistenti.
3.3. Quanto alla forma di tale contratto di comodato, va osservato che è giurisprudenza costante di questa Corte Suprema (Cass., 4 dicembre 1990, n. 11620; Cass., 13 ottobre 1973, n. 2591; Cass., 20 marzo 1976, n. 1018; Cass., 25 giugno 1977, n. 2732; Cass., 23 febbraio 1981, n. 1083) che l’onere della forma scritta nei contratti, previsto dall’art. 1350 c.c., non riguarda il comodato immo- biliare, anche se di durata ultranovennale come nel caso di specie.
Ne consegue che la prova di esso può essere data per testi ed anche per presunzioni, in quanto dalla legge non è prescritta alcuna forma particolare.
3.4. Va, infine, rilevato con riguardo alla fattispecie in esame, che, in presenza dell’intento empirico dei tre fratelli di concedere un alloggio alla madre ed alla sorella nubile per tutta la restante vita, ove anche il contratto posto in essere sia stato di donazione del diritto di abitazione, con conseguente nullità dello stesso per
difetto di forma, a norma dell’art. 1424 c.c. si verificherebbe la conversione di questo nel contratto di comodato «vita natural durante».
4. Pertanto, in accoglimento dei motivi di ricorso, va cassata l’impugnata sentenza che non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e la causa va rinviata, anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto:
«È configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitu- tivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam».
«L’onere della forma scritta nei contratti previsto dall’art. 1350 c.c. non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato per testi e per presunzioni».
«Nell’ipotesi di comodato a termine, quale è quello di un immobile per tutta la vita del comodatario, stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto, in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante». (Omissis)
(1-2-3) Il contratto di comodato, le questioni relative al termine di durata dello stesso ed i suoi rapporti con la liberalità.
Premessa.
La questione risolta dalla S.C. consente di fare il punto sul contratto di comodato, sulla sua qualificazione giuridica e sulle questioni che riguardano il termine di durata dello stesso. Deve infatti rilevarsi che tali profili, a parte che per la soluzione del caso che ci occupa, rivestono grande interesse per il largo uso che, in assenza di oneri formali richiesti dal legislatore, di tale contratto si è fatto nella pratica.
Il contratto di comodato.
La S.C. nel fornire la definizione del contratto di comodato, di cui all’art. 1803 c.c., ha identificato nella realità, nella unilateralità e nella gratuità, i tre fondamentali requisiti dello stesso.
Quanto alla natura reale del contratto in questione, essa è sostenuta dalla dottrina quasi unanime, che si basa sul tenore letterale dell’art. 1803 c.c., secondo cui il
«comodante consegna una cosa mobile o immobile al comodatario…..(omissis)». Tale posizione trova conforto nei lavori preparatori del codice civile, dai quali risulta la volontà del legislatore di non distaccarsi dalla tradizione romanistica che riconduce il comodato al novero dei contratti reali (1). Deve rilevarsi tuttavia, come parte della dottrina (2), sulla base delle stesse argomentazioni addotte per giustificare il mutuo c.d. consensuale, sia portata ad ammettere un contratto atipico di comodato, fondato sull’art. 1322 c.c., e conforme al principio di cui al 1376 c.c., nel quale la consegna del bene non rileva ai fini del perfezionamento dello stesso, bensì quale atto esecutivo di un contratto già concluso.
Deve rilevarsi, invece, che non vi è concordia in dottrina e giurisprudenza, circa il requisito dell’unilateralità del contratto di comodato, anch’esso evidenziato dalla S.C.. Parte degli autori (3) e la stessa Cassazione (Cass. n. 11980 del 1990) hanno posto in risalto, infatti, come dal contratto de quo sorgano obbligazioni sia a carico del como- xxxxx che del comodatario. Si tratta tuttavia, secondo questi autori, di un contratto bilaterale sui generis, poiché le obbligazioni delle parti non si trovano in una normale
relazione di sinallagmaticità. Si è rilevato in particolare che l’obbligazione restitutoria, posta a carico del comodatario, ed avente il solo scopo di ripristinare la situazione precedente alla stipulazione del contratto, non può considerarsi corrispettiva all’obbligo di far godere, posto a carico del comodante. Le stesse considerazioni di cui si è appena detto hanno indotto altra parte della dottrina ad ascrivere il comodato al novero dei contratti unilaterali, salvo poi dividersi, con riferimento all’identificazione della parte obbligata. Da un lato, infatti, vi sono quegli autori (4) per i quali l’unilateralità deve intendersi nel senso che unico soggetto obbligato sia il comodatario (tenuto alla custodia, conservazione e restituzione del bene), e dall’altro lato, quegli autori (5) i quali ritengono che unico obbligato sia il comodante, tenuto a non ripetere la cosa per tutta la durata del contratto.
Quanto alla gratuità, deve rilevarsi che è lo stesso art. 1803, comma 2, c.c. ad elevare tale requisito ad elemento essenziale del contratto di comodato. Il sacrificio economico è sopportato dal solo comodante, gravando sul comodatario unicamente gli oneri economici connessi all’utilizzazione ed alla custodia della cosa. Per parte della dottrina (6) ciò comporta che la previsione di qualsiasi sacrificio economico a carico del comodatario debba condurre ad una diversa qualificazione del contratto che, nella maggior parte dei casi, sarà di locazione. Altra parte della dottrina e la giurisprudenza, ritengono invece che la previsione di un modesto contributo pecuniario da parte del comodatario non escluda il carattere di essenziale gratuità del comodato, dovendosi riguardare piuttosto se il vantaggio fornito al comodante si ponga come corrispettivo del godimento della cosa ed assuma natura di vera e propria controprestazione (Cass. n. 9694 del 1994). Probabilmente coglie nel segno Cass. n. 9160 del 1987, secondo la quale, al fine di stabilire l’esistenza di un rapporto di comodato, occorre mettere a confronto i sacrifici ed i vantaggi che dal negozio derivano alle parti, stabilendo, se avuto riguardo alla causa del contratto, essi siano in relazione sinallagmatica oppure se, mancando fra loro un equilibrio, la prestazione a carico del comodatario sia da considerarsi un onere compatibile con il carattere essenzialmente gratuito del comodato.
Il termine di durata del contratto di comodato. Il c.d. precario.
La dottrina dominante e la prevalente giurisprudenza (Cass. n. 2750 del 1994), ritengono che la determinazione della durata costituisca un elemento essenziale del contratto tipico di comodato. Tale termine tuttavia, può essere oggetto di previsione espressa, oppure ex art. 1810 c.c. può essere stabilito tacitamente desumendosi «dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata» (Cass. n. 6101 del 2003; n. 2719 del 1995).
Laddove invece il termine di durata non sia stato determinato, né espressamente né tacitamente, si ricade nell’ipotesi del c.d. precario, anch’esso disciplinato dall’art. 1810 c.c., secondo il quale, in conformità ai principi dell’ordinamento che non ammettono contratti perpetui, e al carattere gratuito del contratto, «il comodatario è tenuto a restituire la cosa non appena il comodante la richiede».
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha lamentato che il giudice di appello aveva qualificato il contratto con il quale si concedeva alla comodataria di usare il bene immobile per tutta la durata della sua vita, in termini di donazione del diritto reale di abitazione «vita natural durante», come tale nulla per difetto di forma, mancando l’atto pubblico con la presenza dei testi, e omettendo di motivare in merito alla prospettazione del contratto in questione come di comodato per l’intera vita della comodataria, pur sollevata nella fase di merito.
La S.C., ha ritenuto fondato il motivo addotto dal ricorrente e correttamente, nell’affermare che oggetto del rapporto di comodato possa essere la concessione a titolo gratuito di un’abitazione finché viva il concessionario, ha chiarito che in tale ipotesi il comodato deve ritenersi a termine, poiché l’evento morte del comodatario, come affermato dalla dottrina prevalente, è certus an ed incertus quando (Cass. n. 11620 del
1990; n. 9909 del 1998; n. 21059 del 2004); cosa diversa invece, sarebbe stata la fissazione di un evento incertus an, caratteristica, questa, propria della condizione (7). La distinzione di cui sopra, lungi dal rispondere a logiche di mera classificazione, comporta rilevanti differenze sul piano della disciplina applicabile. Per le cose dette, la S.C., ha escluso che la fattispecie potesse essere ricondotta al c.d. precario, ovvero il contratto di comodato senza fissazione di un termine di durata, di cui all’art. 1810 c.c., ciò che avrebbe comportato la possibilità di recesso ad nutum da parte del comodante (o dei suoi eredi). Il c.d. comodato precario infatti, come visto sopra, si caratterizza proprio per la previsione che la scadenza del vincolo dipende, potestativamente dalla volontà del comodante, il quale può farla maturare a suo arbitrio mediante richiesta di
restituzione del bene.
Il comodato quale contratto fondato sull’intuitus personae.
Dottrina (8) e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che la norma contenuta nell’art. 1811 c.c., secondo la quale, benché sia stato convenuto un termine di durata del contratto, in caso di morte del comodatario, il comodante, possa esigere dagli eredi l’immediata restituzione della cosa, sia giustificata dal carattere fiduciario del contratto di comodato (Cass. n. 4920 del 1979).
Non si riscontra tuttavia la stessa concordia di opinioni con riferimento all’ ipotesi concernente la morte del comodante. La giurisprudenza che prevale, cui la sentenza che si annota mostra di aderire, sostiene che, non trovando la tesi del rapporto fiduciario alcun appiglio normativo relativamente al comodante, in caso di morte dello stesso, gli eredi sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto (Cass. n. 3834 del 1980; n. 1018 del 1976).
Deve rilevarsi, tuttavia, che altra parte della dottrina (9) e parte della giurispru- denza, hanno sostenuto che nonostante la legge non lo preveda espressamente, la morte del comodante, determini il sorgere, in capo agli eredi del medesimo, del diritto di agire per lo scioglimento del contratto e la restituzione del bene (Cass. n. 4912 del 1996; n. 4258 del 1991). È stato infatti sostenuto che il rapporto di comodato genera un rapporto di fiducia (sia con riferimento alla figura del comodatario che a quella del comodante) che non tollera successioni, nemmeno a titolo universale.
La forma del contratto di comodato.
L’aver qualificato il contratto in termini di comodato la cui durata era determinata per relationem alla vita della comodataria, comporta che ad esso si applichi la disciplina prevista per tale tipo di contratto. In particolare nessun dubbio può esservi sulla mancanza di ogni prescrizione formale ai fini della validità e della prova. Deve rilevarsi infatti che la dottrina e la giurisprudenza (Cass. n. 11620 del 1990) sono concordi nel sostenere che, in via generale, al comodato, anche se stipulato per una durata superiore ai nove anni, non si applichi per analogia, il disposto dell’art. 1350, n. 8, c.c., e pertanto esso potrà essere stipulato con qualsiasi forma (perfino orale) e potrà essere provato con ogni mezzo (10).
Il rapporto tra comodato, atto gratuito, liberalità e donazione.
Una volta chiarito, che il comodato stipulato per tutta la vita della comodataria è un contratto a termine, e come tale non era operabile la riqualificazione in termini di donazione del diritto reale di abitazione, così come posta in essere dal giudice del riesame, è opportuno svolgere alcune riflessioni sull’affermazione della S.C., secondo cui
«il negozio gratuito non necessariamente nasconde un atto di liberalità». Tale afferma-
xxxxx, da condividersi nella sostanza, merita qualche approfondimento; occorre infatti domandarsi:
1) se il comodato possa essere oggetto di un contratto di donazione (obbligatoria);
2) se esso possa integrare una liberalità non donativa ai sensi dell’art. 809 c.c..
Per rispondere ai suddetti quesiti, occorre svolgere un’analisi dei rapporti che intercorrono tra il contratto di comodato, il negozio gratuito, la liberalità e la donazione.
Tale analisi, impone di soffermarci sulle categorie generali di cui sopra nel tentativo di stabilirne i reciproci confini, tema questo, che da sempre, impegna la dottrina, e che non può non prendere le mosse dalla felice sintesi del Balbi (11) secondo il quale: il negozio gratuito è il genere, la liberalità è una specie del negozio gratuito ed il contratto di donazione è la principale liberalità.
In particolare, può dirsi che è gratuito, quel negozio nel quale il vantaggio patrimoniale di una parte non viene compensato da un correlativo sacrificio a carico dell’altra; può affermarsi, pertanto, che in contrapposizione al negozio oneroso, è gratuito quello nel quale manca il corrispettivo.
A fini sistematici occorre fornire subito la definizione di donazione (ovvero della
c.d. donazione contrattuale) che secondo il Carnevali (12) è quella liberalità che si realizza in via tipica mediante la disposizione di un diritto o l’assunzione di un’obbli- gazione.
Quanto alla distinzione tra negozio gratuito e liberalità, due tendenze sono affiorate; l’una che fa leva sull’elemento psicologico; l’altra sull’elemento oggettivo. Talora l’una e l’altro elemento sono richiesti ai fini della distinzione di cui ci occupiamo. Sotto il profilo soggettivo non basterebbe un’attribuzione patrimoniale senza corrispettivo, occorrendo che questa sia vivificata dallo spirito liberale (animus do- nandi). Sotto il profilo oggettivo, è stato rilevato un ulteriore elemento che è presente nella liberalità ma non negli altri atti a titolo gratuito: l’arricchimento di una delle parti.
Quanto all’arricchimento, elemento questo, espressamente previsto dall’art. 769 c.c., che definisce la donazione come un contratto con il quale una parte «arricchisce l’altra», nonostante esso venga inteso da taluno (13) nella sua accezione puramente economica, quale effettivo incremento del patrimonio del soggetto che riceve la libera- lità, pare debba essere qualificato in termini di necessario effetto giuridico dell’opera- zione: il donante facendo sì che il donatario acquisti un diritto reale o di credito, arricchisce la controparte, indipendentemente dall’ulteriore ed eventuale risultato pret- tamente economico che il patrimonio ne risulti incrementato nel valore. Tale ultima affermazione consente infatti di superare l’antinomia che la teoria economica dell’arric- chimento creerebbe tra la nozione di donazione e l’ipotesi di donazione modale in cui, per espressa previsione, l’onere può assorbire l’intero incremento patrimoniale del donatario (14).
Si pone però a questo punto la necessità di distinguere l’arricchimento dal semplice vantaggio patrimoniale che innegabilmente accede all’atto gratuito. È fuor di dubbio, infatti, che si riceve un beneficio non soltanto se si ottiene la donazione di un piccolo appartamento, ma anche se si ottiene il prestito di una somma ingente senza interesse (15). Posta di fronte a questa difficoltà, la dottrina (16) si è volta ad approfondire la nozione di arricchimento e ha posto in luce la correlazione tra gli effetti che la liberalità produce nei due patrimoni del donante e del donatario: la donazione non si limita ad arrecare un vantaggio al donatario, ciò si verifica anche negli altri atti a titolo gratuito. La donazione ha un più vasto piano di incidenza; essa produce non solo l’aumento del patrimonio del donatario ma anche la diminuzione di quello del donante, ciò che manca nel negozio gratuito nel quale, al più sarà dato riscontrare una omissio adquirendi da parte del soggetto che pone in essere l’atto in assenza di corrispettivo (17).
A questo punto occorre definire il concetto di liberalità non donativa di cui all’art. 809 c.c. e tentare di comprendere se il contratto di comodato sia riconducibile a questa categoria.
Per liberalità non donativa devono intendersi tutti quegli atti che hanno la carat- teristica comune di produrre gli effetti della donazione, pur non essendo tali sotto l’aspetto tecnico-giuridico. A parte quanto si dirà appresso, deve sin d’ora rilevarsi, che la difesa dei resistenti, non ha nemmeno prospettato la possibilità di ascrivere il comodato a questa categoria perché vi è concordia, in dottrina e giurisprudenza, nel ritenere che alle liberalità non donative si applichino le regole sostanziali della donazione (revocazione-riduzione) e non quelle formali, ciò che non avrebbe consentito una declaratoria di nullità del contratto per vizio di forma.
Al fine di svolgere un’analisi quanto più completa dei rapporti tra contratto di comodato e liberalità occorre analizzare un ulteriore profilo che è quello della donazione obbligatoria.
La donazione obbligatoria è espressamente prevista dall’art. 769 c.c., il quale afferma, tra l’altro, che è donazione anche il contratto con cui, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, «assumendo verso la stessa un’obbligazione». In tal caso l’arricchimento del patrimonio del donatario si attua attraverso l’acquisto di un diritto di credito nei confronti del donante.
Mentre non si dubita che il contenuto di tale obbligo possa essere un dare, è discusso se sia consentito al donante l’assunzione di un’obbligazione avente ad oggetto un facere (quale potrebbe essere, nel caso che ci occupa, la concessione di un bene per tutta la vita del comodatario, tipica del comodato). Qui, le argomentazioni già viste sopra, circa la definizione dei concetti di arricchimento e impoverimento, riacquistano tutto il loro valore. La dottrina tradizionale, cui si aderisce, infatti, ritiene che le obbligazioni di facere non possano costituire valido oggetto di donazione obbligatoria per l’assorbente motivo che all’arricchimento del soggetto beneficiato debba fare riscon- tro un correlativo depauperamento del patrimonio del beneficiante, circostanza che invece non ricorrerebbe nel caso di concessione gratuita di un immobile in cui al più, sarà dato riscontrare una omissio adquirendi.
Sulla base di quanto detto sin qui si potrà concludere, coerentemente con l’inqua- dramento di cui sopra, che il comodato, ascrivibile alla categoria degli atti gratuiti, non può costituire valido oggetto di donazione (obbligatoria), né per l’identità degli elementi costitutivi, di liberalità non donativa ex art. 809 c.c., facendo difetto in esso la capacità di produrre l’arricchimento del comodatario ed il conseguente impoverimento del comodante. Ma v’è di più; tale soluzione cui si è giunti sulla base dell’analisi dei caratteri strutturali delle categorie dogmatiche di cui sopra trova il conforto di quella dottrina che non ha mancato di rilevare che se l’assunzione gratuita di un’obbligazione di fare rientra nello schema tipico di altro negozio gratuito disciplinato dal legislatore (quale è il comodato), l’atto non può essere inquadrato nell’ambito della donazione, non potendo il negozio configurarsi contemporaneamente come donazione e altro negozio tipico (18). Tale conclusione, è stata poi sviluppata da uno dei massimi studiosi della donazio- ne (19), il quale ha sostenuto, a fini sistematici, che anche laddove da un negozio tipico gratuito derivasse l’arricchimento di una delle parti con correlativo depauperamento dell’altra, e fossero pertanto presenti gli elementi della liberalità, non sarebbe comunque configurabile una donazione. Si tratta infatti di una scelta del legislatore che ha voluto sottrarre questi contratti gratuiti tipici al regime della donazione contrattuale, scelta della quale l’interprete non può che prendere atto.
XXXXXXXX XXXXXXX
(1) Cfr. XX XXXX, XXXXXXXXXX, D’AURIA, XXXXX, Xxx xxxxxxx xxxxxxxxx, xxxxxx XX, Xxxxxx, 0000.
(2) Cfr. XXXXXXXXXXXX, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca, Bologna-Roma, 1970.
(3) GIAMPICCOLO, Comodato e mutuo, in Trattato di diritto civile, diretto da Xxxxxx e Xxxxxxx- Xxxxxxxxxx, Milano.
(4) FRAGALI, Del comodato, in Comm. tfcialoja-Branca, artt. 1754-1812, Bologna-Roma, 1966.
(5) CARRESI, Il comodato. Il mutuo, in Trattato di dir. civ., diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1954.
(6) MORA, Il comodato modale, Milano, 2001.
(7) Contra FRAGALI, op. cit., secondo cui l’evento può essere incerto.
(8) Cfr. XXXXXXXXXX, Trattato Xxxxxxxx, XII, p. 636.
(9) GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2001, p. 1123. Si veda inoltre CARRESI, op. cit.; XXXXXXXXXXX, op. cit.
SOCIETÀ — Società di capitali — S.p.a. — Riduzione integrale del capitale per perdite superiori al capitale e contemporaneo aumento a cifra superiore al minimo legale — Sottoscrizione immediata ed integrale da parte di uno solo dei soci — Sottoscrizione eccedente sottoposta alla condizione risolutiva dell’esercizio del diritto di opzione da parte degli altri soci — Invalidità della delibera per lesione del diritto di opzione — Insussistenza.
Non è invalida per lesione del diritto di opzione di cui all’art. 2441 c.c. la delibera che, a seguito di riduzione integrale del capitale per perdite, decida l’azzeramento ed il contemporaneo aumento, ad una cifra anche superiore al minimo, del capitale sociale, consentendone la sottoscrizione immediata e per intero ad uno dei soci presente in assemblea, assegnando contestualmente ai soci che ne abbiano diritto (assenti all’assemblea o presenti ma impossibilitati ad una sottoscrizione immediata) il termine di trenta giorni, pari al periodo minimo previsto dall’art. 2441 c.c., per l’esercizio del diritto di opzione, fungente da condizione risolutiva dell’acquisto delle partecipazioni sottoscritte dal socio in misura eccedente a quella di propria spettanza (1).
[Cass., Sez. I, 12 luglio 2007, n. 15614 — Pres. Xxxxxxx — Est. Giusti]
(1) Diritto di opzione e tutela del socio assente ()
SOMMARIO: 1. Premessa. — 2. La riduzione a zero del capitale e la reintegrazione. — 3. Il diritto di opzione dei soci assenti. — 4. Il diritto di prelazione sulle quote inoptate.
1. Premessa
La sentenza in epigrafe si occupa di alcuni aspetti relativi alla ricapitalizzazione di una società di capitali (nel caso in esame di una società per azioni), mediante la
(10) Si segnala, peraltro, la posizione di SALA, in La Forma del comodato immobiliare, in Contr., 2000, il quale sostiene l’opportunità sotto il profilo «pratico» e fiscale di redigere l’atto in forma scritta.
(11) | XXXXX, Liberalità e donazione, in Riv. dir. comm., 1948. | |
(12) | XXXXXXXXX, Le donazioni, in Tratt. Xxxxxxxx, VI, 2 ed., Torino, 1997. | |
(13) | BIONDI, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000. | |
(14) | BALBI, La Donazione, in Tratt. Grosso, tfantoro Xxxxxxxxxx, 1964. | |
(15) | GORLA, Il contratto, Milano, 1955. | |
(16) | MAROI, Delle donazioni, in Cod. civ., Libro II, Delle tfuccessioni, comm. X’Xxxxxx, Xxxxxxx, | |
0000. | ||
(17) | In questo senso Cass. n. 959 del 1952. | |
(18) | XXXXXX, op. cit.; XXXXXXX, Xxx. xxx. x xxxx., XX, 0 ed., Padova, 2004. | |
(19) | TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo, Milano, | |
2006. |