SEZIONE DELLE AUTONOMIE
SEZIONE DELLE AUTONOMIE
APPLICABILITÀ DEGLI INCENTIVI TECNICI DISCIPLINATI DALL’ART. 113, COMMA 2,
DEL D.LGS. N. 50/2016 AI CONTRATTI DI RENDIMENTO ENERGETICO
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DELIBERAZIONE N. 10/SEZAUT/2021/QMIG
SEZIONE DELLE AUTONOMIE
N. 10/SEZAUT/2021/QMIG
Adunanza del 27 maggio 2021 Presieduta dal Presidente della Corte dei conti
Xxxxx XXXXXXX
Composta dai magistrati:
Presidenti di sezione Xxxxxxxxx XXXXXXXX, Xxxxx XXXXX, Xxxxx Xxxxxx
XXXXXX, Xxxx Xxxxx Xxxx XXXXXXX, Xxxxxxx XXXXX, Xxxxx XXXXXXX, Xxxxxxx XXXXXXXX, Xxxxx XXXXX, Xxxxxxx XXXXXXX, Xxxxxxxxxxx XXXXX XXXXXXX, Xxxxxxx XXXXXXXX, Xxxxx Xxxxxxxxxx XXXXXXXX;
Consiglieri Xxxxx Xxxxx XXXXXX, Xxxxxxxx XXXXXX, Xxxxx Xxxxxxxxxx XXXXX, Xxxxxxxx XXXXXXX, Xxxxx Xxxxxx XXXXXXXXX, Xxxxx XXXXXXXXX, Xxxxxxx XXXXXX, Xxxxxxxx XXXXXX, Xxxxxxx XX XXXXX, Xxxxx XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx XXXXX, Xxxxxxxxxx XXXXXXX, Xxxxxxx XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxx XXXXXXXX, Xxxxx Xxxx XXXXX, Xxxxx XX XXXXX, Xxxxxx XXXXXXX, Xxxxxxx XXXX, Xxxxxxxxx XXXXXXXX;
Primi Referendari Xxxxxxx XXXX, Xxxxxxxxxx XXXXXXX; Referendari Xxxxxxxx XXXXX.
Visto l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;
Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e le successive modificazioni ed integrazioni;
Visto l’art. 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20;
Visto l’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;
Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti,
approvato dalle Sezioni Riunite con la deliberazione n. 14 del 16 giugno 2000 e le successive modifiche ed integrazioni;
Visto l’art. 6, comma 4, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213 e le successive modifiche ed integrazioni;
Vista la deliberazione n. 56/2021/QMIG, con la quale la Sezione regionale di controllo per l’Xxxxxx-Romagna, in riferimento alla richiesta di parere presentata dal Sindaco del Comune di Ferrara, ha rimesso al Presidente della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e del citato art. 6, comma 4, del d.l. n. 174/2012, una questione di massima in merito all’applicabilità o meno degli incentivi per funzioni tecniche di cui all’art. 113 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, concernente “Codice dei contratti pubblici”, al contratto di rendimento energetico disciplinato dal decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, “Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE. (14G00113)”;
Vista l’ordinanza del Presidente della Corte dei conti n. 11 del 4 maggio 2021, con la quale, valutati i presupposti per il deferimento dell’esame e della risoluzione della predetta questione di massima ai sensi del richiamato art. 6, comma 4, del d.l. n. 174/2012, è stata rimessa alla Sezione delle autonomie la pronuncia in ordine alla questione prospettata dalla Sezione regionale di controllo per l’Xxxxxx-Romagna;
Vista la nota del Presidente della Corte dei conti n. 15608 del 19 maggio 2021 di
convocazione in video conferenza dell’odierna adunanza della Sezione delle autonomie; Udito il Relatore, Consigliere Xxxxxxxxx Xxxxxxxx;
PREMESSO
Con deliberazione n. 56/2021/QMIG del 13 aprile 2021, la Sezione regionale di controllo per l’Xxxxxx-Romagna sospendeva la pronuncia in relazione al quesito posto dal Comune di Ferrara (FE) relativamente agli incentivi tecnici disciplinati dall’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti). In particolare, l’Ente chiedeva se fosse legittimo procedere alla liquidazione degli incentivi in oggetto per i contratti di rendimento energetico di cui al d.lgs. n. 102 del 2014.
L’Ente rappresentava la difficoltà di individuare correttamente la categoria giuridica nella quale ricomprendere la fattispecie negoziale in esame, ossia se la stessa fosse qualificabile come contratto di appalto o come concessione, con le conseguenti ricadute in termini di applicazione della normativa relativa agli incentivi tecnici prevista dall’art. 113 del Codice dei contratti. Difatti, qualora il contratto di rendimento energetico fosse riconducibile allo schema giuridico della concessione, la corresponsione degli incentivi tecnici sarebbe
esclusa sulla base dell’interpretazione adottata dalla Sezione delle autonomie con la deliberazione n. 15/SEZAUT/2019/QMIG, seguita dalla giurisprudenza di alcune Sezioni regionali di controllo.
La Sezione remittente, richiamata integralmente, nelle premesse in fatto, la richiesta di parere e valutati positivamente i profili di ammissibilità soggettiva ed oggettiva, ha ricostruito il quadro normativo di riferimento e la giurisprudenza intervenuta sul tema degli incentivi tecnici, individuando i punti essenziali e fornendo una propria prospettazione del quadro normativo ed interpretativo.
In particolare, la Sezione regionale ha affermato come il contratto di rendimento energetico ovvero di prestazione energetica (o Energy Performance Contract, d’ora in avanti anche EPC) possa in concreto essere attuato sia nella forma dell’appalto di servizi che nella forma della concessione, in virtù del soggetto su cui grava il rischio dell’operazione di efficientamento: contratto di appalto se il rischio rimane in capo all’Amministrazione pubblica; contratto di concessione se grava sul fornitore, costituito di regola da una società di servizi energetici.
La Sezione remittente, nel richiamare, poi, la deliberazione della Sezione delle autonomie
n. 15/2019/QMIG del 25 giugno 2019, ha evidenziato come, a seguito di tale pronunciamento, si siano registrati orientamenti parzialmente differenti in sede consultiva, per quanto attiene alla possibilità di incentivare le funzioni tecniche svolte in relazione a contratti di partenariato pubblico-privato (d’ora in avanti PPP)
In senso negativo si è espressa la Sezione regionale di controllo per la Lombardia, che ha esteso le conclusioni della deliberazione n. 15/2019 cit. anche ai contratti di PPP, disponendo che il principio enunciato dalla Sezione delle autonomie, che esclude l’applicazione degli incentivi alle concessioni, «trovi completa e totale applicazione non solo nell’ipotesi di concessione, ma anche nel caso in cui la questione attenga ad altre forme contrattuali come, per l’appunto, nel caso di forme di “PPP”» (deliberazioni n. 211/2019/PAR del 18 luglio 2019, n. 429/2019/PAR del 21 novembre 2019 e n. 110/2020/PAR del 10 settembre 2020).
Di contro, la Sezione regionale di controllo per il Veneto, con deliberazione
n. 20/2020/PAR del 22 gennaio 2020, non ha escluso a priori che fattispecie rientranti nella nozione di PPP, possano risultare in astratto incentivabili, qualora non ricorrano le condizioni che escludono la possibilità di incentivare le funzioni tecniche in relazione alle concessioni.
La Sezione remittente, nel condividere il percorso argomentativo della Sezione Veneta, valorizza, quale discrimen ai fini dell’applicazione dell’art. 113, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 ai contratti non disciplinati nella Parte seconda del Codice, la presenza o meno nel bilancio dell’Amministrazione dello specifico stanziamento di spesa a cui parametrare la misura del fondo incentivante (la cui mancanza determinerebbe oneri aleatori in capo all’Amministrazione pubblica).
Secondo la Sezione Xxxxxx-Romagna sarebbe determinante l’argomento, contenuto nella citata deliberazione della Sezione delle autonomie, in base al quale, mancando uno specifico stanziamento non riconducibile ai capitoli dei singoli lavori, servizi e forniture, per l’incentivazione delle funzioni tecniche, nelle fattispecie in esame, «si dovrebbe far ricorso ad uno stanziamento di spesa specifico, che, come si è detto, non è previsto per legge e che appare, quindi, di dubbia legittimità. Senza contare che la copertura, essendo legata alla riscossione dei canoni concessori, resta gravata da un margine di aleatorietà».
In altri termini, secondo la Sezione remittente, la circostanza che appare dirimente nella ricostruzione dell’Organo nomofilattico sembra riguardare la previa iscrizione nel bilancio previsionale dell’ente di un apposito stanziamento che consenta, per sua quota parte, di dare copertura alla spesa per incentivi. Qualora invece nel bilancio dell’ente non vi fossero risorse assegnate, anche laddove queste, in ipotesi, fossero previste a carico della controparte contrattuale, ciò comporterebbe quell’aleatorietà della entrata, che finanzia gli incentivi, che non assicurerebbe la tenuta del bilancio.
Per la Sezione remittente, quindi, la conclusione a cui giunge la Sezione delle autonomie non è quella di escludere in radice la possibilità di incentivare prestazioni professionali tecniche sottese a contratti diversi dall’appalto.
Pertanto, conclude la Sezione remittente, qualora il contratto da realizzarsi preveda costi per l’Amministrazione, a valere su specifici stanziamenti di bilancio, le amministrazioni aggiudicatrici potranno destinare l’apposito fondo che finanzia le funzioni tecniche.
A rafforzare le proprie conclusioni, la Sezione remittente richiama le osservazioni rese dall’ANAC con atto di segnalazione n. 1 del 9 marzo 2021, laddove auspica l’opportunità di integrare la disciplina degli incentivi per le funzioni tecniche al fine di estenderne l’applicazione ai contratti di concessioni e di PPP. Secondo l’Authority le attività oggetto di incentivazione, ai sensi dell’articolo 113, comma 2, del Codice dei contratti, interessano anche i contratti di concessione e di PPP e, pertanto, non appare giustificabile l’orientamento inteso a riconoscere l’incentivo per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti interni dell’amministrazione aggiudicatrice con riferimento ai soli contratti di appalto, escludendo, in radice, sia i contratti di concessione che quelli di PPP, tanto più che i contratti di cui alla Parte III e alla Parte IV del Codice, per la loro particolare natura, possono richiedere un impegno tecnico-professionale dei dipendenti delle stazioni appaltanti non inferiore a quello richiesto per i contratti di appalto.
Pertanto, al termine dell’ esposto percorso argomentativo, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per l’Xxxxxx-Romagna ha deciso di sottoporre al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alla Sezione delle autonomie, la seguente questione di massima avente carattere di interesse generale: «se il contratto di rendimento energetico, disciplinato dal decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, ai fini di applicabilità della disciplina di cui all’art. 113 decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, sia qualificabile quale appalto, concessione o PPP e se tale qualificazione implichi l’incentivabilità o
meno delle funzioni tecniche ivi disciplinate, ovvero, qualora tale qualificazione risulti non determinante, se, ed a quali condizioni, sia legittimo prevedere l’incentivabilità di funzioni tecniche per i contratti di rendimento energetico».
Il Presidente della Corte dei conti, con ordinanza n. 11 del 4 maggio 2021, ha deferito alla Sezione delle autonomie l’esame e la pronuncia in ordine alla prospettata questione di massima.
CONSIDERATO
1. La questione deferita concerne l’esatta individuazione del campo di applicazione degli incentivi tecnici disciplinati dall’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti), ossia se gli stessi possano trovare applicazione anche ai contratti di rendimento energetico disciplinati dal decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102.
2. Preliminarmente la Sezione delle autonomie ritiene la sussistenza di elementi per una pronuncia nomofilattica, anche al fine di prevenire possibili contrasti interpretativi tra Sezioni regionali di controllo.
Se pur la Sezione si sia già espressa nel senso dell’inapplicabilità del sistema incentivante ai contratti di concessione, appare opportuno fornire ulteriori delucidazioni al fine di giungere ad una posizione chiara che tenga conto anche delle fattispecie di PPP e delle nuove tipologie di schemi contrattuali che si vanno affermando nel settore pubblico (e non solo) sulla spinta di nuovi e più forti interessi pubblici fatti propri anche dall’Unione Europea.
3. Sempre in via preliminare, occorre ricordare come il sistema di incentivazione per le funzioni tecniche abbia trovato origine nella legge n. 109 del 1994 (c.d. legge Merloni), che all’art. 18 ha previsto per la prima volta gli incentivi per la progettazione, disciplinando la determinazione dell’ammontare massimo (non superiore all'1,5 per cento dell'importo posto a base di gara di un'opera o di un lavoro gravante sugli stanziamenti previsti per la realizzazione dei singoli lavori), la ripartizione fra determinati soggetti (responsabile unico del procedimento, incaricati della redazione del progetto, del piano della sicurezza, della direzione dei lavori, del collaudo, ed i loro collaboratori), le modalità di ripartizione (per ogni singola opera o lavoro, con le modalità ed i criteri previsti in sede di contrattazione decentrata ed assunti in un regolamento adottato dall'amministrazione in rapporto all'entità e alla complessità dell'opera da realizzare, tenendo conto delle responsabilità professionali connesse alle specifiche prestazioni da svolgere).
Successivamente è intervenuto il d.lgs. n. 163/2006 che all’art. 92, commi 5 e 6, ha riprodotto la stessa disciplina di cui all’art. 18 della legge n. 109/1994 con alcune innovazioni introdotte dalla legge 22 dicembre 2008, n. 201, quali il tetto all’incentivo (fissato nell’importo del rispettivo trattamento complessivo annuo lordo) e la necessità, ai fini della concreta erogazione dello stesso, del positivo accertamento dell’attività svolta dal personale interno all’amministrazione.
L’art. 13-bis del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014,
n. 114, ha, poi, istituito il fondo per la progettazione e l’innovazione.
Infine, l’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 del Codice dei contratti ha disciplinato l’attuale sistema di incentivazione tecnica disponendo quanto segue: «A valere sugli stanziamenti di cui al comma 1 (stanziamenti previsti per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti), le amministrazioni aggiudicatrici destinano ad un apposito fondo risorse finanziarie in misura non superiore al 2 per cento modulate sull'importo dei lavori, servizi e forniture, posti a base di gara per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti delle stesse esclusivamente per le attività di programmazione della spesa per investimenti, di valutazione preventiva dei progetti, di predisposizione e di controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici, di RUP, di direzione dei lavori ovvero direzione dell'esecuzione e di collaudo tecnico amministrativo ovvero di verifica di conformità, di collaudatore statico ove necessario per consentire l'esecuzione del contratto nel rispetto dei documenti a base di gara, del progetto, dei tempi e costi prestabiliti. […] La disposizione di cui al presente comma si applica agli appalti relativi a servizi o forniture nel caso in cui è nominato il direttore dell'esecuzione».
La norma prevede, quindi, un fondo non superiore al 2% degli stanziamenti, per incentivare le funzioni tecniche di programmazione della spesa per investimenti, di valutazione preventiva dei progetti, di predisposizione e controllo delle procedure di gara e di esecuzione dei contratti pubblici, oltre a quelle, già incentivate in passato, del responsabile unico del procedimento, della direzione dei lavori e del collaudo tecnico-amministrativo, abbandonando, di fatto, l’incentivazione della progettazione e dei piani per la sicurezza; inoltre, a seguito della modifica introdotta dall’art. 76 del d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, il sistema incentivante è stato esteso, poi, oltre il perimetro degli appalti di lavori, comprendendo anche gli appalti di servizi e forniture, per i quali, tuttavia, la normativa risulta applicabile solo nel caso in cui è nominato il direttore dell'esecuzione.
La ratio della norma, come già evidenziato dalle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti con deliberazione n. 51/2011/CONTR (valutazione ancora attuale) va ricercata nell’esigenza di destinare una quota di risorse pubbliche a favore del personale dipendente, in servizio presso l’Amministrazione pubblica, che svolge prestazioni professionali specialistiche in virtù della particolare qualificazione dello stesso.
4. Il disposto normativo di cui all’art. 113 cit., allocato nella Parte II, Titolo V, del Codice dei contratti, ha posto da subito un problema interpretativo relativo al campo di applicazione del sistema incentivante: se lo stesso sia limitato all’ambito degli appalti disciplinati dalla Parte II, del Codice dei contratti, o se, invece, possa essere esteso anche ad altre fattispecie giuridiche: contratti di concessione, disciplinati dalla Parte III, e contratti di partenariato pubblico-privato disciplinati dalla Parte IV.
Quanto alla concessione, la legge la definisce come contratto tra una Pubblica Amministrazione e un’impresa, che può avere ad oggetto la progettazione o l’esecuzione di lavori pubblici (o entrambe), oppure l’erogazione di un servizio pubblico.
All’impresa che si aggiudica una concessione viene riconosciuto come corrispettivo il diritto di gestire l’opera pubblica realizzata (in caso di concessione di lavori) o i servizi (in caso di fornitura di servizi). Talvolta al diritto di gestire si accompagna un corrispettivo fisso.
Nel contratto di concessione il concessionario sostiene gli oneri dell’opera o del servizio, assumendosi il rischio di non recuperare gli investimenti che è tenuto ad affrontare per avviare l’esecuzione delle prestazioni del contratto di concessione (qualora, ad esempio, non riesca a compensare adeguatamente l’investimento attraverso la riscossione di un canone o di una tariffa da parte dell’utenza).
Una prima voce di rischio è rappresentata dal rischio operativo (detto anche rischio di gestione), che per legge consiste nell’esposizione agli andamenti del mercato e che può comportare perdite economiche non trascurabili (aumento del costo dei materiali, diminuzione della domanda da parte dell’utenza).
Vi è poi, nelle concessioni di lavori, il rischio di costruzione, legato, ad esempio, ad un ritardo nei tempi di consegna dell’opera tale da incidere sui ricavi della gestione della stessa o alla necessità di adeguare il progetto a nuovi standard costruttivi, sostenendone i costi, o ancora all’aumento dei prezzi del materiale di costruzione.
Il rischio di disponibilità, invece, è il rischio legato alla capacità, da parte del concessionario, di erogare le prestazioni contrattuali pattuite anche in presenza di eventi imprevisti, che lo stesso dovrà affrontare a sue spese.
Infine, il rischio di domanda, dipendente dalla mancanza di utenza e dal venir meno di incassi capaci di consentire il recupero dei costi sostenuti.
Nel disciplinare l’ampiezza del rischio previsto in capo al concessionario, il comma 2 dell’art. 165 del Codice prevede che, al fine di determinare l'equilibrio economico finanziario della concessione in sede di gara, l'amministrazione aggiudicatrice stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico, ovvero nella cessione di beni immobili. In ogni caso, il contributo riconosciuto al terzo dalla Pubblica Amministrazione (che sia prezzo, diritto di godimento, garanzie pubbliche, ecc,) non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.
Nel contratto di appalto, invece, l’impresa non si assume alcun rischio operativo e riceve il corrispettivo pattuito nel contratto, mentre l’onere della gestione dell’opera o del servizio grava sulla Pubblica Amministrazione.
5. Tali differenze hanno portato la Sezione delle autonomie ad un primo e fondamentale arresto interpretativo circa l’applicazione alle concessioni del sistema incentivante di cui all’art. 113, comma 2, del Codice dei contratti.
Con la deliberazione n. 15/SEZAUT/2019/QMIG, nel respingere la tesi della Sezione remittente (e di alcune Sezioni regionali che avevano ammesso la possibilità di incentivare il personale nell’ambito delle procedure concessorie), la Sezione ha individuato profili sistematici, letterali e applicativi per escludere l’applicazione del sistema degli incentivi tecnici ai contratti di concessione:
- sotto il profilo sistematico, ha evidenziato come il codice dei contratti abbia compiutamente disciplinato, nella parte terza, i contratti di concessione, chiarendone le differenze con quelli di appalto, regolamentati nella parte seconda in cui sono disciplinati anche gli incentivi per funzioni tecniche. Ricorda la Sezione che il legislatore, quando ha voluto, ha specificatamente richiamato insieme le due tipologie (v., ad es., artt. 5, 6, 7, 17, 23, 30, 31), oppure ha genericamente fatto riferimento a “contratti pubblici”, come categoria omnicomprensiva (v., ad es. art. 4, concernente i principi relativi all’affidamento di contratti pubblici esclusi). Inoltre, i termini “contratti” e “contratti pubblici”, non necessariamente hanno una lettura sempre e comunque unitaria, ma possono assumere diversa valenza a seconda delle finalità perseguite dalla normativa;
- sotto il profilo letterale, la Sezione ha sottolineato come l’art. 164, che apre la parte terza del codice dedicata alle concessioni, al comma 2 (Oggetto e ambito di applicazione), indichi puntualmente (e con il limite della compatibilità) gli ambiti per i quali si deve fare rinvio alle disposizioni contenute, tra l’altro, nella parte seconda del codice e, tra queste, non vi è l’art. 113. Né è possibile estendere l’applicazione della normativa incentivante ai contratti di concessione solo perché alcune norme individuano discipline comuni per appalti e concessioni, come l’art. 31, che individua congiuntamente, sia per gli appalti che per le concessioni, la figura del Responsabile Unico del Procedimento;
- sotto il profilo applicativo la Sezione delle autonomie ha evidenziato come l’art. 113 sia calibrato inequivocabilmente sulla tipologia dei contratti di appalto, assumendo quale elemento fondamentale lo stanziamento di bilancio previsto per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture, su cui gravano gli incentivi tecnici ed il fondo che li alimenta. Inoltre, le risorse finanziarie che alimentano il fondo sono modulate sull'importo dei lavori, servizi e forniture, posti a base di gara e fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture. In particolare, proprio quest’ultima disposizione (aggiunta dall'art. 1, comma 526, l. 27 dicembre 2017, n. 205, a decorrere dal 1° gennaio 2018), secondo la Sezione, appare inequivocabilmente dirimente della questione sollevata, poiché per le concessioni non è normativamente previsto alcuno specifico stanziamento di bilancio.
Per le concessioni, la cui caratteristica strutturale prevede entrate (e non spese come negli appalti) appare, quindi, difficile individuare il parametro per la determinazione del fondo
per i compensi incentivanti. Difatti, ipotizzando un riferimento all’importo a base di gara, l’Amministrazione pubblica sarebbe chiamata a pagare incentivi a fronte di flussi di entrata che potrebbero essere incerti, esponendo l’ente al rischio di insostenibilità. Né si può far affidamento su clausole contrattuali, non obbligatorie e del tutto eventuali in quanto non previste per legge, che prevedano la remunerazione dell’incentivo in capo al concessionario. Pertanto, occorrerebbe far ricorso ad uno stanziamento di spesa specifico, che, come evidenziato, non è previsto per legge ed appare di dubbia legittimità. Senza contare che la copertura, essendo legata alla riscossione dei canoni concessori, resta gravata da un margine di aleatorietà.
La specialità della fattispecie, a cui è dedicata una disciplina espressa e compiuta (art. 113), con indicazione degli ambiti, delle modalità di finanziamento e delle relative procedure di quantificazione e individuazione delle destinazioni, rende impraticabile un’interpretazione estensiva ed analogica della norma tale da poter essere applicata ai contratti di concessione.
In conclusione, la Sezione delle autonomie afferma che per ritenere applicabile anche ai contratti di concessione gli incentivi per lo svolgimento di funzioni tecniche la stessa dovrebbe operare uno sforzo ermeneutico estensivo ed analogico tale da riscrivere, di fatto, il contenuto dell’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016 (calibrato sui contratti di appalto) travalicando la competenza di chi è chiamato ad interpretare ed applicare le norme.
6. La medesima problematica interpretativa ha riguardato i contratti di PPP previsti nella parte quarta del codice.
Il contratto di PPP, secondo l’art. 3, comma 1, lett. eee) del Codice dei contratti, è «il contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto con il quale una o più stazioni appaltanti conferiscono a uno o più operatori economici per un periodo determinato, in funzione della durata dell'ammortamento dell'investimento o delle modalità di finanziamento fissate, un complesso di attività consistenti nella realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un'opera in cambio della sua disponibilità, o del suo sfruttamento economico, o della fornitura di un servizio connessa all'utilizzo dell'opera stessa, con assunzione di rischio secondo modalità individuate nel contratto, da parte dell'operatore».
La fattispecie del PPP esprime una serie di schemi contrattuali basati sulla cooperazione tra pubblico e privato, il cui oggetto è la realizzazione, trasformazione, manutenzione e gestione operativa di un’opera in cambio della sua disponibilità o del suo sfruttamento economico oppure della fornitura di un servizio connesso all’utilizzo dell’opera stessa. Le pubbliche amministrazioni ricorrono al PPP poiché l’utilizzo di capitali e risorse private può comportare benefici superiori a quelli che potrebbero ottenersi mediante ricorso agli schemi contrattuali tradizionali. Benefici che possono rappresentarsi in una riduzione dei costi per la realizzazione e la gestione dell’infrastruttura, o in un incremento dell’efficienza, dell’efficacia e della qualità dei servizi erogati mediante capitali privati, che vanno ad integrare le risorse pubbliche, consentendo nuovi investimenti in
infrastrutture e servizi pubblici, senza gravare sul debito pubblico.
Il codice dei contratti individua alcune figure tipiche: il comma 8 dell’art. 180 del Codice chiarisce che il PPP comprende «la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche di cui ai commi precedenti». Si tratta, quindi, al di là di alcune figure “tipiche” (che non rappresentano un elenco tassativo) di una tipologia aperta.
Anche nei contratti di partenariato si possono individuare, come per le concessioni, alcune caratteristiche fondamentali:
- a) trasferimento del rischio operativo;
- b) piano economico-finanziario;
- c) documento di convenzione.
A livello strutturale ciò che qualifica i contratti di partenariato è il rischio operativo che, come visto per la concessione, ricomprende il rischio di costruzione, il rischio di domanda e il rischio di disponibilità e rappresenta il tipo di rischio che deriva da fattori fuori dal controllo delle parti. Il rischio operativo può essere trasferito in toto all’operatore economico, oppure per una parte prevalente. Può essere, poi, riconosciuto un canone pagato dall’amministrazione pubblica concedente, che si affianca ai ricavi provenienti dalla gestione dell’opera o del servizio, il cui rischio è a carico dell’operatore economico.
Nella determinazione dell’equilibrio economico-finanziario di un progetto di partenariato (mediante un piano economico finanziario che esplicita i presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione per l’intera durata del contratto), il comma 6 dell’art. 180, riproducendo il contenuto della similare norma in materia di concessioni, prevede che «… in sede di gara l'amministrazione aggiudicatrice può stabilire anche un prezzo consistente in un contributo pubblico ovvero nella cessione di beni immobili che non assolvono più a funzioni di interesse pubblico. A titolo di contributo può essere riconosciuto un diritto di godimento, la cui utilizzazione sia strumentale e tecnicamente connessa all'opera da affidare in concessione» e, ancora, che
«l'eventuale riconoscimento del prezzo, sommato al valore di eventuali garanzie pubbliche o di ulteriori meccanismi di finanziamento a carico della pubblica amministrazione, non può essere superiore al quarantanove per cento del costo dell'investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari».
Il rischio finanziario, pertanto, rileva ai fini della corretta qualificazione del contratto di PPP, il quale può essere considerato “off balance” rispetto al bilancio dell’Ente pubblico e ai relativi equilibri e vincoli finanziari (con contabilizzazione, quindi, appunto “off balance”), solo ed esclusivamente nei casi, e nel rispetto dei presupposti, previsti dalla normativa vigente e delle indicazioni volta per volta fornite da Eurostat. Ossia quando, avendo riguardo agli effetti economico-finanziari dell’operazione, è il soggetto privato
che in concreto sopporta in misura “prevalente” i rischi dell’operazione; diversamente, il contratto di partenariato, costituisce indebitamento agli effetti dell’art. 119, comma 6, della Costituzione (nel caso in cui l’Ente pubblico assuma, mediante finanziamenti o rilascio di garanzie, oneri superiori al 49% dei costi complessivi dell’operazione).
7. Tra i contratti di PPP può rientrare senza alcun dubbio il contratto di rendimento energetico o di prestazione energetica (EPC), definito dall’art. 2, comma 2, lett. n), del d.lgs. n. 102/2014, come «accordo contrattuale tra il beneficiario o chi per esso esercita il potere negoziale e il fornitore di una misura di miglioramento dell'efficienza energetica, verificata e monitorata durante l'intera durata del contratto, dove gli investimenti(lavori, forniture o servizi) realizzati sono pagati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica stabilito contrattualmente o di altri criteri di prestazione energetica concordati, quali i risparmi finanziari».
La suddetta inclusione tra i contratti di PPP è stata riconosciuta anche dal Codice dei contratti a seguito della modifica apportata dal legislatore con il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito in legge 11 settembre 2020, n. 120, che, con l'art. 8, comma 5, lettera c-quater), ha introdotto al comma 2 dell’art. 180 del Codice, dopo il primo periodo, un secondo periodo che dispone quanto segue: «Nel caso di contratti di rendimento energetico o di prestazione energetica (EPC), i ricavi di gestione dell’operatore economico possono essere determinati e pagati in funzione del livello di miglioramento dell’efficienza energetica o di altri criteri di prestazione energetica stabiliti contrattualmente, purché quantificabili in relazione ai consumi; la misura di miglioramento dell’efficienza energetica, calcolata conformemente alle norme in materia di attestazione della prestazione energetica degli immobili e delle altre infrastrutture energivore, deve essere resa disponibile all’amministrazione concedente a cura dell’operatore economico e deve essere verificata e monitorata durante l’intera durata del contratto, anche avvalendosi di apposite piattaforme informatiche adibite per la raccolta, l’organizzazione, la gestione, l’elaborazione, la valutazione e il monitoraggio dei consumi energetici. Il contratto di partenariato può essere utilizzato dalle amministrazioni concedenti per qualsiasi tipologia di opera pubblica».
Il quadro normativo evidenzia l’oggetto principale di tale tipologia contrattuale: il miglioramento della performance energetica che può presentarsi accompagnata da una varietà di clausole e di modalità di adempimento tali da farlo definire, nel nostro ordinamento, come un contratto nominato ma allo stesso tempo atipico, in quanto privo di una compiuta disciplina legislativa.
È possibile, tuttavia, individuare un nucleo fondamentale di caratteri che circoscrivono il contratto di rendimento energetico, così come previsto e definito a livello europeo.
Il contratto in questione vede solitamente coinvolte due parti, il beneficiario e il fornitore, tipicamente una società di servizi energetici (Energy Service Company, d’ora in avanti ESCo), anche se in alcuni casi il finanziatore può essere un soggetto diverso dal fornitore e può diventare parte del contratto stesso.
Solitamente una ESCo effettua, in primo luogo, una fase preliminare di studio e analisi
del sistema energetico e, successivamente, individua l’intervento più opportuno.
A seguire, si obbliga al compimento di una serie di interventi e di servizi (sostenendone gli oneri) volti alla riqualificazione e al miglioramento dell’efficienza di un impianto o di un edificio, di proprietà di un altro soggetto beneficiario.
L’elemento caratterizzante è dato dal fatto che il fornitore della prestazione viene remunerato sulla base dei risultati effettivi che vengono conseguiti in termini di efficienza energetica, ossia viene remunerato nella misura in cui da detto intervento il beneficiario ottiene un reale risparmio energetico o viene raggiunto il livello concordato di miglioramento dell’efficienza energetica. Si tratta, in altri termini, di una obbligazione di risultato e non di mezzi, per cui il fornitore è tenuto a far conseguire al beneficiario lo specifico risultato e non è sufficiente che l’intervento venga semplicemente realizzato.
Riassumendo:
- il terzo contraente (XXXx) sostiene a proprie spese le opere e i servizi necessari al miglioramento del rendimento energetico, ad esempio, di un immobile di proprietà della Pubblica Amministrazione;
- il contratto è di regola strutturato in modo che il risparmio generato dall’intervento nel corso della durata contrattuale ripaghi l’investimento sostenuto dal terzo contraente;
- la ESCo si impegna a raggiungere un obiettivo di risparmio energetico ben definito;
- il risparmio economico associato a quello energetico può essere condiviso fra le parti;
- il compenso è correlato alla prestazione energetica effettiva, pertanto la ESCo assume un rischio ben specifico in tal senso;
- infine, essenziale al contratto è la definizione dei criteri per la misura e verifica delle prestazioni.
Nella prassi commerciale si sono sviluppati più modelli contrattuali di contratti di rendimento energetico-EPC (l’Enciclopedia Treccani ne individua ben nove).
I più importanti e diffusi (anche in ambito europeo) sono i seguenti:
- il First out, in cui la ESCo fornisce il capitale (anche ricorrendo a terzi finanziatori) e il risparmio energetico del beneficiario viene utilizzato per ripagare il finanziamento e remunerare la ESCo, che si riserva la proprietà dei beni fino allo scadere del contratto, momento in cui la proprietà dei beni eseguiti passa al beneficiario e, con essi, anche i risparmi derivanti dall’intervento;
- lo Shared Saving, con il quale, in una prima fase la ESCo e il beneficiario dividono l’equivalente dei risparmi. In questo modello contrattuale i risparmi mensili di spesa sono suddivisi fra la ESCo e il cliente sulla base del tipo di intervento e del tempo di ritorno dell’investimento; la ESCo è responsabile degli impianti e ne mantiene proprietà e gestione fino alla conclusione del contratto;
- il First in, con il quale viene garantita all’utente una determinata riduzione delle spesa
energetica storica sostenuta negli anni precedenti all’intervento; il risparmio economico
conseguito per effetto dell'intervento effettuato dalla ESCo - responsabile degli impianti, di cui mantiene la proprietà e la gestione fino alla conclusione del contratto - viene introitato dalla medesima per tutta la durata contrattuale, che sarà fissata nel numero di anni necessari alla ESCo per coprire l'investimento da effettuare più l'utile di impresa, secondo le previsioni di risparmio energetico di progetto e, di norma, l’utente deve pagare un importo totale annuo suddiviso in dodici rate di pari importo, che viene conguagliato a fine anno a favore dell’utente, nell’ipotesi in cui il risparmio effettivamente ottenuto superi la misura garantita (l’utente conosce previamente l’ammontare della spesa energetica da affrontare e la rateizza in importi fissi mensili, con eventuale conguaglio annuale).
La caratteristica, in tutte le fattispecie contrattuali evidenziate, ed in quelle che possono essere ricomprese nel modello di EPC di derivazione comunitaria, risiede nell’assenza di oneri finanziari immediati per il cliente (contratto che resta a titolo oneroso perché il cliente cede i risparmi futuri) e nel trasferimento dei rischi in capo alle ESCo.
Quindi, come già detto per le concessioni, tali contratti (ricompresi nella categoria dei contratti di PPP) si caratterizzano:
- per la mancanza di uno stanziamento iniziale, essendo a carico del fornitore l’onere finanziario iniziale, relativo all’investimento, necessario per ottenere il miglioramento della prestazione energetica;
- per l’assunzione del rischio dell’operazione da parte del fornitore, in quanto i suoi ricavi dipenderanno (e saranno parametrati) dai risultati dell’investimento in termini di miglioramento energetico (es. risparmi di spesa sulla bolletta).
8. Definito il quadro giuridico e normativo, è ora dato addivenire al cuore del problema posto dalla Sezione remittente: se sia, cioè, possibile estendere il sistema degli incentivi tecnici anche ai contratti di PPP e, nel caso di specie, ai contratti di rendimento energetico. La suddetta Sezione ritiene di dare risposta positiva valorizzando una parte delle conclusioni a cui è giunta questa Sezione con la deliberazione n. 15/2019.
Sostiene la Sezione remittente che il discrimen per l’applicazione del sistema incentivante è rappresentato dalla presenza di appositi stanziamenti di bilancio su cui far gravare gli incentivi. Pertanto, occorrerebbe valutare i contratti caso per caso e qualora gli stessi prevedano costi per l’Amministrazione, si potranno individuare specifici stanziamenti di bilancio su cui far gravare gli incentivi per funzioni tecniche.
In tal senso, secondo la Sezione remittente, sarebbe orientata la stessa deliberazione n. 15/2019 che, al termine del proprio percorso argomentativo, non escluderebbe in radice la possibilità di incentivare prestazioni professionali tecniche sottese a contratti diversi dall’appalto, qualora tali contratti prevedano costi gravanti su appositi stanziamenti di bilancio.
Xxxxxxx, di contro, il Collegio che la “lettura” della deliberazione n. 15/2019, fatta propria
dalla Sezione Xxxxxxxx, non corrisponda alle reali conclusioni di questa Sezione delle autonomie, pur comprendendo le motivazioni che hanno orientato la medesima Sezione remittente verso una soluzione idonea a giustificare l’applicazione del sistema incentivante ai contratti diversi dagli appalti, regolati dalla parte seconda del Codice.
Nel percorso argomentativo che ha condotto questa Sezione delle autonomie ad affermare il principio di diritto secondo il quale l’art. 113, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, non si applica alle concessioni, la menzione delle problematiche concernenti gli aspetti relativi alle concrete modalità attuative del sistema incentivante, tra cui quelle relative agli stanziamenti di bilancio (o meglio alla mancanza di stanziamenti), appare preordinata solamente a rafforzare le conclusioni che hanno trovato il loro fondamento nei diversi profili di natura sistematico-testuale.
Il dato incontrovertibile è, infatti, rappresentato dalla differente allocazione, all’interno del Codice dei contratti, degli schemi contrattuali all’esame del Collegio: gli appalti sono disciplinati nella parte seconda, le concessioni nella parte terza e, infine, i contratti di partenariato nella parte quarta. E per ciascuno schema contrattuale il legislatore ha emanato una specifica regolamentazione chiarendone le differenze sostanziali. Talvolta ha previsto, per alcuni aspetti, una disciplina comune mediante specifico richiamo normativo o mediante la tecnica del rinvio.
Sia per i contratti di concessione, che per i contratti di PPP, il legislatore, operando un rinvio ad alcune parti del Codice per la disciplina di determinati aspetti delle procedure contrattuali, omette di riferirsi alla parte seconda, titolo quinto dello stesso, nel cui contesto sono regolamentati gli incentivi tecnici.
L’art. 164, che apre la parte terza del codice dedicata alle concessioni, al comma 2 (Oggetto e ambito di applicazione), indica puntualmente (e con il limite della compatibilità) gli ambiti per i quali si deve fare rinvio alle disposizioni contenute nelle parti prima e seconda: «Alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione di lavori pubblici o di servizi si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni contenute nella parte I e nella parte II, del presente codice, relativamente ai principi generali, alle esclusioni, alle modalità e alle procedure di affidamento, alle modalità di pubblicazione e redazione dei bandi e degli avvisi, ai requisiti generali e speciali e ai motivi di esclusione, ai criteri di aggiudicazione, alle modalità di comunicazione ai candidati e agli offerenti, ai requisiti di qualificazione degli operatori economici, ai termini di ricezione delle domande di partecipazione alla concessione e delle offerte, alle modalità di esecuzione».
Il dato sistematico e testuale, conseguentemente, esclude che si possa ritenere applicabile
l’art. 113 ai contratti di concessione.
Allo stesso modo l’art. 179 del Codice, che apre la parte quarta dedicata ai contratti di PPP, dispone il rinvio a ben delimitati ambiti del Codice: «1. Alle procedure di affidamento di cui alla presente parte si applicano le disposizioni di cui alla parte I, III, V e VI, in quanto compatibili. 2. Si applicano inoltre, in quanto compatibili con le previsioni della presente parte, le
disposizioni della parte II, titolo I a seconda che l'importo dei lavori sia pari o superiore alla soglia di cui all'articolo 35, ovvero inferiore, nonché le ulteriori disposizioni della parte II indicate all'articolo 164, comma 2».
Il legislatore ha fatto, pertanto, una scelta precisa disciplinando gli incentivi tecnici solo con riferimento agli appalti della parte seconda del Codice (se lo avesse voluto avrebbe potuto estendere l’applicazione della normativa, in modo espresso, anche ad altre tipologie contrattuali).
Per eliminare qualsiasi dubbio interpretativo, il Collegio ritiene quindi che gli incentivi tecnici trovino applicazione, sulla base di un’interpretazione sistematica e letterale della voluntas legis, solo per i contratti che rientrino nel campo di applicazione della parte seconda del Codice: ossia i contratti di appalto, nei quali l’onere finanziario è sostenuto dalla stazione appaltante pubblica (con conseguente assunzione del rischio relativo agli effetti dell’operazione contrattuale), con imputazione della spesa sullo “specifico stanziamento” previsto per il lavoro, fornitura, servizio, sul quale gravano anche gli incentivi tecnici.
Trattasi di uno stanziamento, è bene precisare, qualificato e non di un qualsiasi stanziamento con cui far fronte ad alcuni oneri relativi allo schema contrattuale prescelto. Diversamente argomentando dovrebbe ritenersi valido stanziamento, ai fini del sistema incentivante, quello sul quale l’amministrazione imputa il pagamento del canone alla ESCo, quantificato nella differenza tra spesa storica e risparmio ottenuto in bolletta grazie al miglioramento dell’efficienza energetica. In altre parole, gli incentivi graverebbero sugli stanziamenti di spesa corrente normalmente destinati al pagamento delle utenze. Inoltre, se si condividesse la tesi della Sezione remittente che ammette gli incentivi tecnici nelle fattispecie in esame qualora il contratto da realizzarsi preveda costi per l’Amministrazione, a valere su specifici stanziamenti di bilancio, si determinerebbe una ulteriore disparità di trattamento tra i contratti che prevedono un contributo monetario e contratti che prevedono la cessione di beni immobili o il rilascio di garanzie.
Estendere il sistema incentivante a tutti i contratti all’esame di questo Collegio, a normativa vigente, vorrebbe dire operare uno sforzo ermeneutico estensivo ed analogico tale da riscrivere, di fatto, il contenuto dell’art. 113 del d.lgs. n. 50/2016, non una volta, ma svariate volte, tante quanti possono essere gli schemi contrattuali adottati nel perseguimento dell’interesse pubblico.
Quanto rappresentato, solo per evidenziare la necessità che lo stanziamento finalizzato al riconoscimento degli incentivi non può che essere quello stanziamento qualificato, destinato a finanziare l’intervento, previsto dall’art. 113 del Codice dei contratti.
Pertanto, il sistema di incentivazione tecnica deve essere escluso per tutte le altre fattispecie contrattuali disciplinate dalla parte terza e quarta del Codice, nelle quali l’onere finanziario è sostenuto in tutto o in parte (ma per un ammontare non inferiore al 50% del costo dell’operazione) dalla parte privata, che assume il rischio dell’operazione
contrattuale, totalmente o per una parte prevalente, con la possibilità di non vedersi ripagato l’investimento fatto. La mancata previsione di oneri finanziari in capo all’Amministrazione pubblica per il finanziamento del lavoro, fornitura o servizio (nei termini disciplinati dall’art. 113) determina la mancanza dello stanziamento e rappresenta un effetto diretto della tipologia contrattuale scelta e non la causa. La decisione di ricorrere ad una concessione o ad un contratto di partenariato, valorizzando le capacità tecniche, professionali e finanziarie del terzo, sgrava l’Amministrazione pubblica dall’onere finanziario (nei termini intesi dall’art. 113, ossia qualificato come debito qualora l’ente pubblico ricorra a finanziamenti esterni) occorrente per la realizzazione dell’opera, del servizio o della fornitura, rendendo non necessario alcuno stanziamento di bilancio, negli stati di previsione della spesa o nei bilanci delle stazioni appaltanti, per i singoli appalti di lavori, servizi e forniture.
Sulla base di quanto sin qui detto, il Collegio può dare risposta al quesito posto dalla Sezione remittente, qualificando il contratto di rendimento energetico come tipica fattispecie di PPP, in quanto nelle strutture negoziali adottate nella prassi commerciale (di derivazione comunitaria) emerge l’assenza di oneri finanziari immediati per il cliente (contratto che resta a titolo oneroso perché il cliente cede i risparmi futuri), con il trasferimento dei rischi in capo alla ESCo che ripaga il proprio investimento grazie ai risparmi generati dall’intervento nel corso della durata contrattuale (è fondamentale che l’intervento realizzi l’obiettivo di risparmio energetico definito).
Pertanto, una volta qualificato – in relazione alle sue connotazioni intrinseche - il contratto di rendimento energetico come fattispecie di PPP, ne discende l’esclusione dell’applicazione del sistema degli incentivi tecnici, così come già previsto dalla deliberazione n. 15/2019 per i contratti che rientrano nelle concessioni.
Per quanto osservato, ciò che rileva ai fini dell’esclusione del sistema di incentivazione di cui all’art. 113, comma 2, è, pertanto, l’aspetto sostanziale dell’operazione messa in atto con lo schema contrattuale di cui all’art. 180 e xx.xx. (o con lo schema concessorio di cui all’art. 164 e xx.xx.), e non certo il nomen iuris dato allo schema contrattuale.
Difatti, individuati gli elementi che consentono di qualificare un contratto come di appalto, concessione o partenariato, l’interprete dovrà valutare il contenuto sostanziale della fattispecie adottata dalla Pubblica Amministrazione, in quanto, come nel caso dei contratti di rendimento energetico, la forma potrebbe mascherare un diverso tipo di contratto.
In proposito, rivolgendo lo sguardo alla prassi commerciale (soprattutto statunitense), tra i contratti di rendimento energetico si è soliti ricomprendere anche il modello c.d. di Guaranteed Saving, con il quale la ESCo garantisce una riduzione dei consumi energetici. Se il livello garantito non viene raggiunto, in ragione del fallimento degli interventi della ESCo stessa o di un errore negli studi di fattibilità, questa paga la differenza fra quanto pattuito e i maggiori costi per i consumi che dovrà affrontare il beneficiario.
In questo contratto gli oneri finanziari per coprire la spesa dell’intervento sono a carico della stazione appaltante che deve prevedere idoneo stanziamento in bilancio. Qualora poi l’efficientamento energetico non raggiunga il livello promesso, l’ESCo dovrà pagare una somma per i maggiori costi sostenuti dalla Pubblica Amministrazione rispetto a quelli attesi. Appare evidente, quindi, che tale contratto, se pur denominato di rendimento energetico, non possa qualificarsi di PPP, assumendo, invece, le caratteristiche di un contratto di appalto disciplinato dalla parte seconda del codice, arricchito dalla previsione di una clausola assimilabile a quella penale.
Il Collegio, infine, non nega che anche nei contratti di PPP e nelle concessioni vi possano essere spazi per attività simili a quelle che caratterizzano il sistema incentivante degli appalti di cui all’art. 113 del Codice, così come riconosciuto anche dall’ANAC nell’Atto di Segnalazione n. 1 del 9 marzo 2021, in specie per le fattispecie di PPP, quali i contratti di rendimento energetico, caratterizzati dalla particolare complessità e specialità del settore di intervento. Ciò si rileverebbe particolarmente vantaggioso, non solo per favorire una adeguata specializzazione del personale delle pubbliche amministrazioni, anche mediante l’introduzione di meccanismi premiali e pertinente programmazione formativa, con conseguenti benefici effetti in ordine ad un più razionale e produttivo impiego delle risorse umane disponibili, ma anche a garanzia del fondamentale principio del buon andamento di cui all’ art. 97, secondo comma, Cost., da salvaguardare attraverso un’accorta valutazione e vigilanza delle attività ad alto tasso di tecnicismo, oggetto del contratto di concessione o di PPP, da parte di personale tecnico dell’Amministrazione adeguatamente incentivato.
Tuttavia, per pervenire alla conclusione di rendere operativo un sistema incentivante anche ai contratti di partenariato pubblico privato, come a quelli di concessione, si appalesa la necessità di un apposito intervento normativo che, partendo dalla constatazione della complessità evidenziata, non inferiore a quella dei contratti d’appalto, e dei benefici conseguibili, si determini in tal senso, integrando sul punto l’attuale Codice dei contratti, attraverso la previsione di una puntuale disciplina, che non potrà non tener conto della ben diversa struttura dei relativi schemi contrattuali.
In questi termini è la soluzione della questione di massima proposta.
P.Q.M.
La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per l’Xxxxxx-Romagna con la deliberazione n. 56/2021/QMIG, enuncia il seguente principio di diritto:
“Il contratto di rendimento energetico (EPC) rientra nelle fattispecie di partenariato pubblico privato disciplinate dall’art. 180 e xx.xx. del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, concernente “Codice dei contratti pubblici”, per le quali non trova applicazione il sistema di incentivazione tecnica previsto dall’art. 113, comma 2, del medesimo decreto legislativo”
La Sezione regionale di controllo per l’Xxxxxx-Romagna si atterrà al principio di diritto enunciato nel presente atto di orientamento. Allo stesso principio si conformeranno tutte le Sezioni regionali di controllo, ai sensi dell’art. 6, comma 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213.
Così deliberato nell’adunanza del 27 maggio 2021.
Il Relatore | Il Presidente |
Xxxxxxxxx XXXXXXXX | Xxxxx XXXXXXX |
(firmato digitalmente) | (firmato digitalmente) |
Depositata in segreteria il 7 giugno 2021
Il Dirigente Xxxx XXXXX
(firmato digitalmente)
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