CONTRATTO ESTIMATORIO
CONTRATTO ESTIMATORIO
I. NOZIONE E FUNZIONE ECONOMICA- II. DISCIPLINA – III. IL DIBATTITO SULLA NATURA GIURIDICA. IV. PRINCIPALI QUESTIONI INTERPRETATIVE
I. NOZIONE E FUNZIONE ECONOMICA – Figura plasmata dalla pratica degli affari, l’operazione estimatoria acquisisce, nel codice del 1942, dignità di contratto tipico. Si qualifica contratto estimatorio l’operazione in cui una parte (tradens) consegna all’altra (accipiens) una o più cose mobili e quest’ultima si obbliga a pagarne il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito.
Dunque, il proprietario della cosa la consegna all’imprenditore che ne fa commercio; le parti convengono che alla scadenza del termine contrattuale, l’imprenditore pagherà il prezzo stabilito (trattenendo l’eccedenza eventualmente maturata) oppure la riconsegnerà.
Mentre il proprietario della cosa si avvale della organizzazione commerciale della controparte per diffondere il bene sul mercato, invece il commerciante effettua la sua intermediazione sul mercato senza dover prima acquistare la cosa e riducendo il suo rischio di impresa nei limiti del perimento della cosa (che a quel punto, non potendo riconsegnare, dovrà comunque pagare). L’intermediario è invogliato alla distribuzione del bene sul mercato. Non dovendo acquistare la cosa, potrà incrementare il suo assortimento. Un maggior numero di produttori potrà avvantaggiarsi della sua opera per la distribuzione dei prodotti sul mercato. I consumatori avranno più margine di scelta. Ne discende un aumento delle contrattazioni con beneficio non soltanto per produttori commercianti e consumatori, ma anche per l’economia generale.
Che il contratto estimatorio sia un atto destinato al mercato è testimoniato dalla convinzione, diffusa nella dottrina commerciale classica, che esso - benché non richiamato nell’elencazione dell’art. 3 cod. comm. - integri un atto obiettivo di commercio.
II. DISCIPLINA – Il codice disciplina due questioni soltanto: l’impossibilità della restituzione e il regime degli atti di disposizione della cosa.
L’art. 1557, eccependo a una regola tanto generale quanto tradizionale, dispone che chi ha ricevuto le cose non è liberato dall’obbligo di pagarne il prezzo, se la restituzione di esse nella loro integrità è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile. Dunque, nel caso del contratto estimatorio non vale che res perit domino.
L’art. 1558, comma 1, dispone che sono validi gli atti di disposizione compiuti da chi ha ricevuto le cose, ma i suoi creditori non possono sottoporle a pignoramento o sequestro finché non ne sia stato pagato il prezzo.
L’art. 1558, comma 2, precisa che chi ha consegnato le cose non può disporne fino a che non gli siano restituite.
Queste regole sono funzionali alla ragione economica dell’operazione contrattuale, e conciliano questa ragione con la protezione giuridica degli interessi.
In ordine inverso all’esposizione: i) chi ha consegnato le cose non può disporne fino a che non gli siano restituite: altrimenti, il commerciante non avrebbe sicurezza nel suo commercio, e verserebbe in costante precarietà sulla possibilità di concludere gli affari che si procura; ii) si comprende, peraltro, che gli atti di disposizione compiuti da chi ha ricevuto le cose sono validi, pur non essendone questi già divenuto proprietario;
iii) come pure si comprende che i creditori del commerciante non possano compiere atti esecutivi su beni che non sono in proprietà del commerciante (e che cadono in sua proprietà soltanto con il pagamento del prezzo); iv) ed è conseguente che, avendo il commerciante la disponibilità della cosa, e dovendo alla scadenza del termine pagarla o riconsegnarla, ne sopporti nel frattempo il rischio di perimento.
La legge tace sulla possibilità di aggressione da parte dei creditori del tradens: ma non si dubita che essi possano agire in tutela del credito sui beni ricadenti nel patrimonio del debitore (ne deriva un – inevitabile -
ampliamento del rischio d’impresa dell’accipens).
III. IL DIBATTITO SULLA NATURA GIURIDICA – Come si può constatare, quella del contratto estimatorio è una disciplina alquanto scarna. Certamente, non risolve tutti i (peraltro numerosi) problemi che la pratica sottopone all’interprete. Inoltre, ed è quanto più conta, la fisionomia legale del contratto è assolutamente equivoca. Infatti, benché l’operazione riecheggi figure tipiche dotate di ben altra tradizione positiva (come soprattutto la vendita), e ponga questioni più generali affrontate nel diritto positivo delle obbligazioni (alternatività della prestazione, luogo dell’adempimento, ecc.), la disciplina rimane rigorosamente sintetica. Sicché non desta meraviglia che il contratto estimatorio sia divenuto, negli anni, banco di prova per saggiare la raffinatezza ricostruiva degli interpreti.
Questo esercizio collettivo si è per lo più consumato a spese della natura tipica del contratto, mortificata dalla costante ricostruzione della sua struttura giuridica con il ricorso ad altre figure tipiche, di più completa regolamentazione positiva e di più risalente tradizione. Il che, se ormai è considerato metodo inadeguato finanche per le questioni sul trattamento dei contratti atipici (che altrimenti subirebbero una tipizzazione interpretativa), a maggior ragione dovrebbe esserlo per le questioni sollevate da un contratto pur sempre tipizzato, e dunque dichiarato nella sua separatezza e autonomia negli stessi articoli che lo configurano.
Non sono tuttavia mancate autorevoli prese di posizione volete a rimarcare la autonomia della figura, da ricostruirsi pertanto – e per così dire – dall’interno, e con attenzione a non mortificare la funzione economica a cui il modello è per oggettiva vocazione destinato.
IV. PRINCIPALI QUESTIONI INTERPRETATIVE - Da questo punto di vista, una questione sopra tutte è importante, e concerne la natura del contratto: se necessariamente reale o anche consensuale. L’importanza della questione è sollevata dalla pratica degli affari che, consuetamente, presenta contratti
riconducibili al tipo (e spesso commisti di altri elementi disciplinari mutuati dalla vendita e dalla somministrazione) e tuttavia caratterizzati da una natura consensuale. Il codice costruisce il contratto come figura reale (la conclusione presuppone non il semplice consenso, ma richiede altresì l’atto di consegna delle cose); in via di principio nulla impedisce, tuttavia, che accanto alla figura tipica possa stagliarsi una figura atipica: di contratto estimatorio consensuale, meglio rispondente alle esigenze del mercato e come tale meritevole di tutela (art. 1322, comma 2, c.c.).
Per chi ammette il contratto estimatorio consensuale, non sorgono obbiezioni significative per riconoscere la possibilità di contratto preliminare di contratto estimatorio (adesso al riparo dalle difficilmente superabili obbiezioni contro l’ammissibilità del preliminare – di necessità consensuale - di contratto reale).
Su una non distante linea di pensiero, non mancano consensi in dottrina sulla possibilità di un contratto estimatorio avente a oggetto, piuttosto che beni mobili, beni immobili.
Minori dubbi solleva l’ulteriore interrogativo se oggetto del contratto possano essere cose generiche: tutto dipende dalla concreta possibilità di tenerle separate dai beni dell’accipens, con cui non debbono confondersi per non compromettere la possibilità pratica della restituzione.
Infine, il dubbio se il contratto estimatorio possa avere a oggetto beni deteriorabili è ozioso: non conciliandosi ontologicamente la natura deteriorabile del bene con l’obbligazione dell’accipens sulla restituzione delle cose nella loro integrità.
Bibliografia
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