Corso di Laurea magistrale
Corso di Laurea magistrale
in Amministrazione, finanza e controllo
Tesi di Laurea
Il contratto di appalto privato
Relatore
Ch. Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx
Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx Matricola 821945
Anno Accademico 2014/2015
Indice
Capitolo 1
LA NATURA DEL CONTRATTO D’APPALTO
1.1 I profili storici e giuridici dell’appalto | pag. 6 |
1.2 I caratteri del contratto | pag. 8 |
1.2.1 Contratto commutativo | pag. 8 |
1.2.2 Contratto consensuale ad effetti obbligatori | pag. 9 |
1.2.3 Contratto oneroso | pag. 10 |
1.2.4 Esonero del carattere ad esecuzione periodica o continuata | pag. 11 |
1.3 Requisiti di legittimità | pag. 12 |
1.4 Appalto e altre forme contrattuali affini | pag. 14 |
1.4.1 Appalto e lavoro subordinato | pag. 14 |
1.4.2 Appalto e mandato | pag. 15 |
1.4.3 Appalto e compravendita | pag. 16 |
1.4.4 Appalto e somministrazione di beni e servizi | pag. 17 |
1.4.5 Appalto e somministrazione di mano d’opera | pag. 18 |
Capitolo 2
I SOGGETTI E GLI ELEMENTI CARATTERISTICI DEL CONTRATTO D’APPALTO
2.1 I soggetti previsti in un contratto di appalto | pag. 20 |
2.1.1 Il committente | pag. 21 |
2.1.2 L’appaltatore | pag. 24 |
2.1.3 Il progettista | pag. 27 |
2.1.4 Il direttore dei lavori | pag. 28 |
2.1.5 Il supplente | pag. 30 |
2.1.6 Il subappalto | pag. 31 |
2.1.6.1 L’autorizzazione al subappalto | pag. 33 |
2.2 L’accettazione e la forma contrattuale | pag. 35 |
2.2.1 L’accettazione | pag. 35 |
2.2.2 Il contratto preliminare | pag. 36 |
2.2.3 La forma | pag. 37 |
2.3 L’oggetto | pag. 38 |
2.4 La causa | pag. 41 |
2.5 Il corrispettivo | pag. 41 |
2.5.1 Metodi di determinazione del prezzo | pag. 43 |
2.5.2 Pagamento dell’opera | pag. 44 |
2.5.3 Il riesame del prezzo | pag. 45 |
2.6 I materiali | pag. 46 |
2.6.1 Il momento e la consegna dei materiali | pag. 47 |
2.6.2 L’accertamento dei materiali da parte del committente e dell’appaltatore | pag. 48 |
Capitolo 3
VIZI E DIFFORMITA’ DELL’OPERA
3.1 La responsabilità dell’appaltatore per vizi e difformità dell’opera | pag. 51 |
3.2 Definizione di vizio e difformità | pag. 53 |
3.2.1 I vizi palesi e gli effetti dell’accettazione dell’opera | pag. 54 |
3.3 Tipologie di vizi dell’opera | pag. 56 |
3.3.1 I vizi occulti | pag. 57 |
3.3.2 I vizi taciuti in mala fede | pag. 58 |
3.3.3 I vizi occultati con raggiri | pag. 59 |
3.4 L’aliud pro alio | pag. 59 |
3.4.1 L’aliud pro alio come fattispecie di diversità dell’opera | pag. 59 |
3.4.2 L’aliud pro alio come fattispecie di responsabilità contrattuale | pag. 60 |
3.5 Il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore | pag. 61 |
3.6 Il contenuto della garanzia | pag. 63 |
3.7 L’azione per eliminare vizi e difformità | pag. 65 |
3.7.1 Domanda di eliminazione dei vizi | pag. 66 |
3.7.2 L’eliminazione dei vizi | pag. 67 |
3.7.3 Responsabilità per l’eliminazione delle difformità | pag. 69 |
3.8 La riduzione del prezzo | pag. 69 |
3.8.1 Rapporto tra le due azioni previste | pag. 72 |
3.9 Il risarcimento danni | pag. 73 |
3.9.1 Quantificazione del danno da risarcire | pag. 76 |
3.9.2 La colpa dell’appaltatore | pag. 77 |
3.10 La risoluzione del contratto di appalto | pag. 78 |
3.10.1 La qualità della totale inidoneità dell’opera | pag. 80 |
3.10.2 Le conseguenze della conclusione contrattuale: il principio di retroattività | pag. 81 |
3.11 Il cambiamento di domanda | pag. 83 |
3.12 Prescrizione e termine nelle azioni di garanzia | pag. 85 |
3.12.1 Il termine per le azioni di responsabilità | pag. 85 |
3.12.2 La decadenza delle azioni di garanzia nel contratto di appalto e la decorrenza del termine | pag. 86 |
3.12.3 La prescrizione delle azioni di garanzia. | pag. 87 |
Capitolo 4
L’ESTINZIONE DEL CONTRATTO
4.1 L’adempimento | pag. 90 |
4.2 Altre cause di estinzione | pag. 104 |
4.2.1 Per mutuo consenso | pag. 105 |
4.2.2 Estinzione del vincolo per confusione delle parti | pag. 106 |
4.2.3 Risoluzione per inadempimento | pag. 106 |
4.2.4 Recesso unilaterale del committente | pag. 111 |
4.2.5 Perimento o deterioramento della cosa | pag. 118 |
4.2.6 Impossibilità sopravvenuta della prestazione | pag. 119 |
4.2.7 L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione | pag. 122 |
4.2.8 Il fallimento di una delle due parti | pag. 126 |
4.2.9 La morte dell’appaltatore | pag. 128 |
Bibliografia Sitografia | pag. 130 pag. 133 |
Capitolo 1
LA NATURA DEL CONTRATTO D’APPALTO
Sommario: 1.1 I profili storici e giuridici dell'appalto. 1.2 I caratteri del contratto. 1.2.1 Contratto commutativo. 1.2.2 Contratto consensuale ad effetti obbligatori. 1.2.3 Contratto oneroso. 1.2.4 Esonero del carattere ad esecuzione periodica o continuativa. 1.3. Requisiti di legittimità. 1.4 Appalto e altre forme contrattuali affini. 1.4.1 Appalto e lavoro subordinato.
1.4.2 Appalto e mandato. 1.4.3 Appalto e compravendita. 1.4.4 Appalto e somministrazione di beni e di servizi. 1.4.5 Appalto e somministrazione di mano d'opera.
1.1 Profili storici e giuridici dell’appalto.
Il concetto di appalto era presente già all’epoca del diritto romano, dove esso però non rappresentava un’autonoma figura negoziale ma era incluso nel concetto di locazione.
Esso si distingueva in tre sottofigure : locatio rei (dove il locatore si impegnava a garantire al conduttore la fruizione di una cosa dietro il pagamento di una merces), locatio operarum
(si metteva a disposizione al conduttore la propria attività manuale contro il corrispettivo di una merces) e locatio operis, dove nell’appalto si dava importanza al risultato piuttosto che all’opera in sé considerata.
Da notare è come l’equiparazione dell’appalto alla locatio operis si sia tramandata da principio attraverso il codice Napoleonico sino al codice civile del 1865.
Questo codice collocava la disciplina del contratto d’appalto nel capo III del tit. IX del libro III, intitolato “locazione delle opere” (artt. 1627-1646); disciplina molto contenuta essendo composta da pochi articoli e riguardante le persone che “obbligano la propria opera all’altrui servizio e ai trasportatori di persone e di cose”1 .
L’attuale codice vigente, entrato in vigore nel 1942, non solo ha separato la figura dell’appalto dal concetto di locazione assumendo un lineamento autonomo, ma ha aggiunto
1 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 5 e ss.
nuove figure contrattuali quali il contratto di lavoro subordinato, il contratto d’opera e il contratto di trasporto.
La collocazione dell’appalto fra i contratti di lavoro autonomo rende necessaria una distinzione dello stesso dal contratto di lavoro subordinato.
L’art. 1655 cod. civ. recita: “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso il corrispettivo in danaro”.
L’elemento basilare di tale contratto è, pertanto, il compimento di un’opera o servizio da parte dell’appaltatore con propria organizzazione dei mezzi e gestione del rischio aziendale. L’appaltatore è vincolato a realizzare il risultato finale; questo comporta che l’obbligazione oggetto del contratto di appalto è un obbligazione di risultato.
Deve sussistere , sempre da parte dell’appaltatore, un’organizzazione di impresa.
Per organizzazione di impresa si comprende un’organizzazione di capitale, di risorse materiali e immateriali, e di impiego di altri soggetti.
In mancanza del requisito dell’organizzazione di impresa, la fattispecie contrattuale che ne risulterà sarà preferibilmente considerata come contratto d’opera.
Nell’ipotesi in cui l’appaltatore dovesse utilizzare mezzi materiali, immateriali e capitali forniti dall’appaltatore si inseguirebbe la fattispecie contrattuale di appalto di manodopera, vietata dall’art. 1, 1° co. legge n. 1369/1960.
Con l’abrogazione della norma sopracitata dal D.Lgs. n. 276/2003 oggi è consentito l’appalto di manodopera (c.d. appalto leggero), riguardante la fornitura di lavoro: l’organizzazione può anche essere la semplice gestione del potere direttivo nei confronti dei propri dipendenti, ma realizza la propria attività a favore di un terzo soggetto.
La dottrina ha discusso il fatto se fosse necessario che l’appaltatore rivestisse il ruolo di imprenditore, ai sensi dell’art. 2082 cod. civ. “È imprenditore colui che esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi“.
Alcuni studiosi hanno ritenuto che il termine “professionalmente” non possa essere attribuito solo all’attività economica continua e non occasionale, ma debba sussistere un’ulteriore elemento di specificità ricavato dalla teoria economica: l’attività economica può essere considerata come imprenditoriale solo se chi la esercita ha l’intenzione di ottenere un profitto.
Deve essere un’attività “creatrice di nuova utilità”.
Per l’identificazione di imprenditore devono coesistere tre elementi :
1. Organizzazione, definita come conduzione e coordinamento dei fattori necessari per realizzare l’opera;
2. Professionalità intesa come carattere di continuità ed abitualità;
3. Obbiettivo di lucro, ossia “fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Dopo aver cercato di qualificare l’appaltatore come imprenditore, dobbiamo ricordare che esistono due figure di appalto:
• Appalto di opere: avente per oggetto la realizzazione di un’opera da parte dell’impresa costruttrice o la variazione di opere preesistenti;
• Appalto di servizi: creazione di “utilità” con assenza di trasformazione della materia (contratto di manutenzione ).
Di notevole importanza è come la fattispecie civilistica del contratto di appalto trova una contenuta applicazione negli appalti pubblici.
Se il committente è un soggetto pubblico o se la prestazione ha come scopo la realizzazione di un’opera o di un servizio pubblico, viene applicata una disciplina particolare (comunitaria), che disciplina sia l’intenzione dell’appaltatore sia aspetti significativi come la revisione del prezzo o il capitolato di appalto.
1.2 I caratteri del contratto.
1.2.1 Contratto commutativo.
Molti sono stati i dibattiti riguardanti la collocazione del contratto d’appalto come contratto commutativo oppure come contratto aleatorio.
Parte della dottrina considera il rischio economico come elemento distintivo del contratto.
Il profitto dell’appaltatore è dato dalla differenza tra il prezzo dell’appalto e le spese sostenute per acquistare materiali, per la mano d’opera ecc.; quindi può accadere che tali oneri complessivamente sostenuti vadano a superare il rischio d’impresa facendo risultare così una perdita, e la conseguenza della definizione del contratto aleatorio.
La definizione più corretta è quella che prevede il contratto di appalto come contratto commutativo, dove le reciproche prestazioni sono valutate e definite dalle singole parti e
non dipendono da “fattori, futuri e incerti, che le medesime non sono in grado di ponderare”2.
Data la caratteristica della commutatività, di particolare importanza è l’art. 1664 cod. civ. che rappresenta un rimedio generale all’eccessiva onerosità dell’art. 1467 cod. civ. (“ Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto ).
Su tale questione la Cassazione ha riaffermato lo stesso principio: “L’art. 1664 c.c. costituisce la particolare applicazione al contratto di appalto […] del principio contenuto nell’art. 1467 c.c.; norma quest’ultima che può ritenersi applicabile ad un contratto di appalto solo nell’ipotesi in cui l’onerosità sopravventa sia da attribuire a cause diverse da quelle previste nell’art. 1664, dovendo altrimenti la norma speciale prevalere sulla norma generale, in quanto disciplina specifica di un contratto commutativo con caratteristiche particolari“ 3.
1.2.2 Contratto consensuale ad effetti obbligatori.
Il contratto di appalto è innanzitutto ad effetti obbligatori: ha come oggetto il compimento di un’opera o di un servizio, da parte dell’appaltatore, verso il corrispettivo in danaro, per il committente.
L’appalto rappresenta, in altre parole, un’obbligazione di facere.
A tali obbligazioni principali corrispettive ne seguono altre, le c.d. obbligazioni accessorie, come la fornitura di materia prima.
Il diritto dell’appaltatore ad ottenere il pagamento del danaro avviene solo dopo che la prestazione o l’opera sia stata accolta dal committente, sempre salvo deroga pattizia.
Questa considerazione deve essere accettata solo nell’ipotesi in cui il pagamento del danaro avvenga al termine dell’opera o del servizio stesso.
2 Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, il contratto di appalto, Milano : Xxxxxxx 2002, p.13.
3 Cass. civ. Sez. I, 03-111994, n.9060, Mass. Giur. it., 1994, Contratti, 1995, 2, 202, RFI, 1994, Appalto, 46.
Contrariamente, se le parti avessero pattuito il pagamento del corrispettivo attraverso degli acconti, l’accezione di inadempimento può essere provocata dall’appaltante, per esempio, rifiutando l’ultimazione dei lavori da parte del appaltatore.
A fronte di questo però, il committente può opporre l’exceptio inadimpleti contractus per evitare il pagamento del danaro o la riduzione del corrispettivo per vizi o difformità.
Tuttavia, la giurisprudenza ha evidenziato come l’eccezione di inadempimento possa essere opposta solo con buona fede.
Inoltre, il contratto di appalto è consensuale cioè si realizza con il mero consenso delle parti. Secondo il codice civile, art. 1326, il contratto è effettivamente concluso quando la parte che ha realizzato una proposta (proponente) riceve, nel termine da lui definito, l’accettazione dall’altra parte.
La conclusione del contratto deve avvenire, oltre che con l’espressione diretta di volontà tra le due parti, anche in presenza di integrità degli elementi essenziali dello stesso.
Se l’accettante modifica qualche elemento corrente nel contratto, compromettendo gli stessi interessi con il proponente, si configura una nuova proposta e di conseguenza una nuova accettazione.
Bisogna tener presente che, secondo l’art. 1335 cod. civ. “la proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario [….] “.
Con riguardo alla forma, esso non necessita di una forma particolare né ad probationem né ad substantiam.
Per esempio, un contratto di appalto può essere considerato legittimo quando vi è una semplice elencazione di alcuni lavori da effettuare con i corrispondenti prezzi.
1.2.3 Contratto oneroso.
Dall’art. 1655 cod. civ. si desume che il contratto di appalto sia essenzialmente oneroso, in quanto entrambe le parti subiscono una diminuzione patrimoniale ma ricevono un vantaggio: l’appaltatore deve compiere un’ opera o un servizio mentre il committente è tenuto al pagamento del corrispettivo.
Qualora la prestazione sia stata definita senza corrispettivo, il negozio non assume la figura di appalto ma di donazione, dove secondo l’art. 769 cod. civ. è il “ contratto col quale, per
spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione”.
In questo caso, il contratto che prevedeva un’obbligazione di facere assumerebbe la forma di contratto atipico gratuito, dove colui che esegue la prestazione ha un interesse economico a svolgerla gratuitamente.
1.2.4 Esonero del carattere ad esecuzione periodica o continuata.
Il contratto di appalto è stato escluso dai contratti di durata, per il fatto che la prestazione a cui l’appaltatore è vincolato non si riproduce nel tempo, ma viene realizzata una sola volta, anche se per l’esecuzione dell’opera o del servizio deve trascorrere un periodo di tempo.
Potremmo quindi definire l’appalto come un contratto ad esecuzione prolungata, dove, per realizzare il risultato previsto dall’appaltatore è necessario un intervallo temporale.
In alcuni casi però l’esclusione dell’appalto dalle fattispecie contrattuali ad esecuzione continuata non è universale.
Vi sono alcune ipotesi, ad esempio, di contratti di appalti di manutenzione o di servizi, dove esiste il dovere dell’appaltatore alla prestazione continuativa o ciclica.
Ai sensi dell’art. 1458 cod. civ. “la risoluzione del contratto ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica“.
“Nell’appalto, a differenza che nei contratti di durata, le cause retroattive di estinzione del rapporto, se si verificano in corso di esecuzione, possono esplicare in pieno la loro retroattività, sicché la parte eseguita rimane definitivamente all’appaltatore, il quale non può pretendere di farla ricevere al committente e di averla pagata”4.
Non trova inoltre applicazione l’art. 1373, 2° comma, cod. civ., riferito solo ai contratti ad esecuzione continuata o periodica; nell’appalto non è ammesso il recesso unilaterale delle parti con il diritto al corrispettivo per le attività già eseguite o in corso di svolgimento.
Per il contratto di appalto la legge disciplina solamente il recesso del committente (art. 1671 cod. civ.).
Il recesso dell’appaltatore trova applicazione nell’art. 1660 cod. civ., in cui si evince che esso può recedere solo se le variazioni necessarie al progetto sono di entità notevole, ovvero superi il sesto del prezzo complessivo concordato.
4 Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, il contratto di appalto, Milano : Xxxxxxx 2002, p.20.
1.3 Requisiti di legittimità.
L’appalto, assieme ad altre fattispecie di decentramento produttivo presenti nel nostro sistema giuridico, comporta una complessa attività interpretativa svolta dalla giurisprudenza e dalla dottrina.
Il contratto d’appalto è regolato da varie fonti normative: tra cui gli art. 1655 e s.s. del cod. civ., il D.Lgs. n. 276/2003 modificato in seguito dal D.Lgs. n. 251/2004 , e l’art. 35 c.28 della Legge n. 248/2006 abrogato successivamente dal D.Lgs. n. 175/2014.
Come abbiamo già citato, l’art. 1655 cod. civ. definisce l’appalto come “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”; da tale norma si desume che il soggetto che può porre in essere un contratto di appalto possa essere sia una persona giuridica che fisica (nel citato testo non si specifica chi deve essere “la parte” che assume il compimento di un’opera o servizio).
I requisiti previsti affinché il contratto di appalto possa dirsi genuino sono:
• Il diritto di stipulare un contratto di appalto al committente (persona fisica o giuridica) e all’appaltatore;
• L’esistenza del rischio d’impresa in capo all’appaltatore;
• L’organizzazione, da parte dell’appaltatore, dei mezzi necessari alla realizzazione dell’opera o del servizio.
Si evince, quindi, che l’appaltatore deve essere un imprenditore che utilizzi i propri mezzi, la propria struttura produttiva, il proprio personale dipendente e prenda in carico i rischi derivanti per realizzare l’opera o il servizio appaltati.
Sebbene il contratto di appalto possa essere stipulato sia da soggetti dotati di mezzi di lavoro propri sia da soggetti che si avvalgono delle proprie competenze intellettuali, professionali ed esperienze (c.d. know-how), l’elemento della organizzazione sarebbe giusto valutarlo caso per caso.
Quindi, l’elemento dell’organizzazione deve essere slegato dall’appartenenza dei mezzi propri utilizzati durante la lavorazione, ma ritenuto invece fondamentale dalla dottrina e giurisprudenza.
Possiamo dire che l’appalto è legittimo quando l’appaltatore esercita in esclusività il proprio potere direttivo e organizzativo sul proprio personale utilizzato nella realizzazione dell’opera
o servizio appaltato, purché l’apporto complessivo di dotazioni e di capitale sia marginale rispetto alle prestazioni di lavoro.
Quindi, per considerare un appalto lecito, devono sussistere sia il principio dell’organizzazione dei mezzi che deve essere idonea al conseguimento del risultato dell’opera o del servizio, sia il principio dell’assunzione del rischio economico e aziendale.
Per contratto di appalto “endoaziendale” si intende quella tipologia contrattuale svolta all’interno dell’impresa committente, dove esso assegna a un terzo soggetto una parte della propria attività lavorativa inerente il ciclo produttivo.
Per questo motivo, l’appalto endoaziendale è considerato illegittimo (c.d. interposizione illecita) quando l’appaltatore dà la possibilità al committente di disporre della forza lavoro, rimanendo a lui stesso però la gestione amministrativa del personale quali la corresponsione della retribuzione, assegnazione di ferie ecc.
L’appalto illecito è la conseguenza della somministrazione di mano d’opera irregolare, con la costituzione di un contratto subordinato a tempo indeterminato tra i lavoratori dipendenti dell’appaltante e l’utilizzatrice.
Per quanto riguarda l’interposizione illecita, essa può essere considerata come una figura che realizza un caso di somministrazione irregolare civilmente sanzionabile dal ex art. 27, come ipotesi di somministrazione non autorizzata, sanzionabile sia sotto il piano amministrativo che penale.
La Suprema Corte si era pronunciata a riguardo dell’interposizione illecita5, chiarendo che quello che prima veniva considerato come parte di mere prestazioni di lavoro ora viene qualificato come somministrazione e può essere sanzionato nel caso in cui venga esercitato da soggetti non previsti dalla legge.
Sembra quasi che si possa dire che, la somministrazione irregolare sia anche interposizione illecita, dove in caso di interposizione, si presenti una sanzione nella disciplina della somministrazione irregolare.
Nell’eventualità venga stipulato un contratto di appalto illecito, la legge prevede che, sin dall’inizio, le azioni e le condotte dell’appaltatore possano ritenersi imputabili al committente.
5Cfr. Cass. Sez. penale n. 2583 del 2004.
1.4 Appalto e altre forme contrattuali affini.
La disciplina del contratto di appalto, per le proprie caratteristiche di flessibilità e per le molteplici situazioni in cui esso viene impiegato, prevede molti punti similari con altri contratti.
1.4.1 Appalto e lavoro subordinato.
La collocazione dell’appalto fra i contratti di lavoro autonomo rende necessaria una distinzione dello stesso dal contratto di lavoro subordinato.
Tale distinzione è obbligatoria in seguito alla difficoltà che potrà presentarsi in alcuni casi specifici in sede di attribuzione dell’una o dell’altra fattispecie giuridica.
Una prima spiegazione si può ricavare dalle rispettive nozioni del codice civile.
L’art. 1655 cod. civ. recita: “L’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso il corrispettivo in danaro “ mentre l’art. 2094 qualifica “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa , prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Pertanto, gli elementi distintivi delle due figure contrattuali possono essere riassunti come segue:
1) L’oggetto della prestazione, che per l’appalto è la determinazione di un risultato ovvero l’esecuzione di un’opera o un servizio, mentre per il lavoro subordinato (locatio operarum ) è la prestazione di energie lavorative da parte del lavoratore.
2) Nell’appalto sussistono l’organizzazione imprenditoriale autonoma per realizzare l’opera e la gestione a proprio rischio, caratteristiche assenti di ogni vincolo di subordinazione.
“L’appalto non è un contratto di lavoro, perché l’appaltatore è un imprenditore in proprio ed il risultato forma, in sé e per sé, l’oggetto del contratto. Il criterio più sicuro di differenziazione è quello della dipendenza (nel cottimo) e dell’autonomia (nell’appalto) rispetto al committente”6.
6 De Xxxxxxx – Xx Xxxx , in Giust. Civ., Mass. App. Catanzaro, 1957, 319.
Questo deve essere interpretato nel senso che l’appalto viene qualificato come rapporto di lavoro autonomo.
Nel lavoro subordinato invece sussistono gli elementi caratteristici della collaborazione e subordinazione, ma è assente l’assunzione sia del rischio organizzativo sia del risultato economico.
L’obbligazione del lavoratore nel contratto di lavoro subordinato è di comportamento, a differenza di quella dell’appaltatore che garantisce un risultato.
La giurisprudenza della S.C. distingue le prestazioni delle due fattispecie contrattuali: nel lavoro subordinato viene presa in considerazione l’attività lavorativa, dove un lavoratore si vincola nei confronti dell’imprenditore, mentre nell’appalto l’obbligazione dell’appaltatore è di risultato.
1.4.2 Appalto e mandato.
Ai sensi dell’art. 1703 cod. civ. “il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra” .
La differenza rispetto all’appalto è stata individuata dalla giurisprudenza della S.C. “in ciò che, mentre a prestazione del mandatario si esplica essenzialmente in un’attività deliberativa o negoziale, cioè in atti di formazione e manifestazione della volontà, quella dell’appaltatore ha per oggetto un’attività meramente esecutiva, di carattere manuale o intellettuale, rivolta al compimento di un’opera o di un servizio, che l’appaltatore si assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio verso un corrispettivo in denaro”7.
Anche nel mandato, come nell’appalto, l’obbligazione, oggetto del contratto, è un facere; ma vi possono essere dei casi dove l’appaltatore assume delle obbligazioni accessorie aventi caratteristiche simili alle obbligazioni tipiche del mandatario.
L’oggetto delle prestazioni nelle due fattispecie contrattuali risulta diverso: la prestazione del mandatario consiste principalmente in atti giuridici, mentre l’appaltatore svolge un’attività materiale diretta alla realizzazione di un’opera o di un servizio accollandosi il relativo rischio.
7 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p.59.
1.4.3 Appalto e compravendita.
Fondamentale è la distinzione tra contratto di appalto e contratto di compravendita. Essi svolgono funzioni economico-sociali differenti.
Quest’ultima fattispecie viene definita come “il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo “ (art. 1470 cod. civ.).
La differenza rispetto all’appalto sembra essere molto intuitiva, avendo in quest’ultimo degli effetti obbligatori (obbligazione di facere), mentre nella compravendita degli effetti traslativi (obbligazione di dare).
Appare ovvio, quindi, che l’applicazione nella pratica di uno di questi due contratti esclude a priori l’altro.
Così, qualora un certo rapporto venga qualificato come vendita, non potranno mai trovare applicazione, al suo interno, le norme dell’appalto, come la responsabilità dell’appaltatore, il recesso unilaterale del committente ecc.
La dottrina e la giurisprudenza hanno cercato negli anni di trovare dei criteri “essenziali” per poter applicare ad un caso concreto una o l’altra fattispecie contrattuale.
Il problema più importante riguardava la materia e se essa dovesse essere fornita soprattutto da chi doveva realizzare il lavoro.
Si potevano distinguere due situazioni:
1. Se la richiesta pervenuta al fornitore di una cosa materiale era già stata prodotta, cioè il processo produttivo era già stato terminato prima di ogni relazione giuridica con il cliente, questa situazione non poteva essere qualificata come appalto.
Il vincolo tra fornitore e cliente si esplicava in un semplice trasferimento della cosa e si parlava indubbiamente di vendita.
Era sempre compravendita, se la cosa ordinata non era in quel preciso momento ancora stata prodotta, ma faceva comunque parte della produzione tipica dell’impresa.
2. La seconda situazione vedeva l’avvio del processo produttivo per realizzare una cosa che veniva ordinata dal cliente. In questo caso, il processo produttivo stesso rappresentava l’oggetto del rapporto tra le parti.
È necessario però, fissare dei parametri per determinare la prevalenza della materia o del lavoro; in quanto non è sempre detto che si possa parlare di appalto.
Moltissime opinioni della giurisprudenza indirizzano il loro interesse alle intenzioni delle parti, per capire se esse hanno fissato il loro sguardo sul lavoro indispensabile per conseguire l’opera, dove la materia viene utilizzata come mezzo per eseguire la prestazione (appalto), o sul risultato ottenuto (vendita).
1.4.4 Appalto e somministrazione di beni e di servizi.
La somministrazione è, ai sensi dell’art. 1559 cod. civ. “il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”.
Tale fattispecie contrattuale viene inquadrata come contratto di impresa, in quanto la continuità o la costanza delle prestazioni suppongono l’organizzazione di mezzi dell’imprenditore in capo al somministrante.
Il criterio distintivo della somministrazione è appunto la continuità o periodicità delle cose; la prestazione del somministrante è mirata ad un dare.
Viene considerata come un contratto di scambio, di durata, consensuale ed ad esecuzione continuata.
L’elemento del tempo rappresenta un fattore essenziale del somministrato.
Il desiderio che perviene al beneficiario è essenziale che si ripresenti periodicamente.
Molti sono gli elementi di similitudine tra il contratto di appalto e il contratto di somministrazione di beni e servizi.
La difficoltà nella identificazione del confine tra le due fattispecie è stata spiegata in apparenza dalla dottrina che, presupponendo che solo l’appalto di servizi potesse prevedere l’elemento della continuità delle attività, indica l’oggetto come elemento discriminatorio.
In questo caso la prestazione di servizi sarebbe compresa nell’appalto, anche se i relativi effetti sarebbero neutralizzati dall’art. 1677 cod. civ. “se l’appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo e quelle relative al contratto di somministrazione”.
Questa tesi non risolveva il problema qualora l’appalto avesse avuto per oggetto delle prestazioni continuative o periodiche di opere; era quindi necessario definire se la fattispecie della somministrazione includesse anche l’ipotesi in cui le cose prestate fossero state prodotte dal somministratore.
La più recente dottrina, discutendo l’art. 1570 cod. civ., ha stabilito che le disposizioni dei contratti a cui si collegano le prestazioni “si applicano alla somministrazione in quanto compatibili“.
1.4.5 Appalto e somministrazione di mano d’opera.
Negli anni ’50 il legislatore ha avvertito la necessità di intervenire nella regolamentazione delle segmentazioni dei processi produttivi visto la massiccia diffusione di pratiche di lavoro indirette.
La successiva legge n.1369/1960 regolamentò il tema delle interposizioni e degli appalti, prevedendo due principi:
• Inserire un divieto di interposizione della manodopera;
• Immettere delle regole al fine di regolare il lavoro negli appalti.
L’art.1 della legge n.1369/1960 prevedeva il divieto dell’imprenditore “ […] di affidare in appalto o in subappalto […] l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di mano d’opera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono“.
Le aziende, in seguito alla crescita dei mercati, sentivano la necessità di migliorare i propri prodotti grazie a una maggiore flessibilità ed elasticità produttiva portando le stesse a sentir l’esigenza di esternalizzare parte del lavoro creando il c.d. “mercato del lavoro”, incompatibile con le norme della legge n.1369/1960.
Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n.276/2003 ha abrogato la legge sopracitata, introducendo l’istituto della “somministrazione di mano d’opera” nonché una nuova normativa in materia di appalto.
La figura contrattuale della somministrazione di lavoro, nonché fornitura di manodopera, è stata chiarita, come appena detto, attraverso il D.Lgs. n.276/2003, dagli artt. 20 e ss., dando così esecuzione ai principi compresi nella L. 30/2003 (c.d. “Legge Biagi”) che descrivono legittimo il ricorso delle imprese utilizzatrici della forza lavoro fornita da imprese fornitrici.
La somministrazione di lavoro deve essere autorizzata dal Ministero del Lavoro, e può essere esercitata solo da società di capitali, società cooperative o consorzi di cooperative.
Il X.Xxx. n. 276/2003 , art. 29, prevede che “Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei
mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa”.
Il summenzionato articolo sembra essere un continuo dell’articolo del codice civile chiarendo però gli attributi di legittimità e liceità di tale fattispecie contrattuale.
Da notare è che l’art. 29 di tale decreto prevede un fattore di ulteriore rilevanza rispetto l’articolo del codice civile: l’elemento della “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare […] dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto”.
Nel caso in cui l’appaltatore mettesse a disposizione la forza lavoro per la realizzazione dell’opera o del servizio, si parlerebbe di “interposizione illecita di manodopera” definita come somministrazione irregolare; situazione penalmente sanzionabile dall’ordinamento.
Nella somministrazione di lavoro, le singole società abilitate alla fornitura di forza lavoro rispondono a requisiti prefissati dalla legge e rappresentano, in questo modo, la sola forma lecita di fornitura di manodopera.
CAPITOLO 2
I SOGGETTI E GLI ELEMENTI CARATTERISTICI DEL CONTRATTO D'APPALTO
Sommario: 2.1 I soggetti previsti in un contratto di appalto. 2.1.1 Il committente. 2.1.2 L’appaltatore. 2.1.3 Il progettista. 2.1.4 Il direttore dei lavori. 2.1.5 Il supplente. 2.1.6 Il subappalto. 2.1.6.1 L’autorizzazione al subappalto. 2.2 L’accettazione e la forma contrattuale. 2.2.1 L’accettazione. 2.2.2 Il contratto preliminare. 2.2.3 La forma. 2.3 L’oggetto. 2.4 La causa. 2.5 Il corrispettivo. 2.5.1 Metodi di determinazione del prezzo.
2.5.2 Pagamento dell’opera. 2.5.3 Il riesame del prezzo. 2.6 I materiali. 2.6.1 Il momento e la consegna dei materiali. 2.6.2 L’accertamento dei materiali da parte del committente e dell’appaltatore.
2.1 I soggetti previsti in un contratto di appalto.
Ora è necessario fare un accenno alla distinzione tra contratto di appalto privato e contratto di appalto pubblico: nel primo caso il committente è un soggetto privato mentre nel secondo caso è un ente pubblico o lo Stato.
Ad esclusione dell’elemento soggettivo, la giurisprudenza tradizionale ritiene irrilevante, per la differenziazione sopracitata, ogni altra situazione, come la natura o la finalità dell’opera appaltata o una possibile relazione di questa con altre di natura pubblica.
Altri studiosi reputano essenziale, assieme all’elemento soggettivo, anche quello finalistico: la necessità che l’opera oggetto dell’appalto pubblico sia rivolta all’assolvimento di un interesse di carattere anch’esso pubblico.
Sia per la rilevanza che esso sta assumendo nell’ambito economico nazionale ed internazionale, sia per il continuo produrre di nuove normative per la regolamentazione dello stesso, l’interessamento al contratto pubblico è in continua crescita.
Tornando al nostro caso, quello di appalto privato, i soggetti possono essere sia persone fisiche che giuridiche.
Nel caso di persona giuridica, l’impresa appaltatrice è solitamente, anche se non obbligatoriamente, un’impresa commerciale come la società per azioni, la società in nome collettivo, la società a responsabilità limitata o la società cooperativa.
2.1.1 Il committente.
Nell’art. 1655 cod. civ. i contraenti del contratto di appalto sono così indicati: con il nome di committente colui che dà il compito di realizzare un’opera o un servizio dietro il corrispettivo in danaro, e con il nome di appaltatore colui che se ne accolla l’incarico.
L’identificazione delle due parti non è sempre indicativa ai fini della titolarità degli interessi: il committente non sarà obbligatoriamente lo stesso soggetto che beneficerà della realizzazione dell’opera o del servizio, ma sicuramente sarà colui che dovrà liquidare il corrispettivo stabilito dal relativo contratto.
Nessuna cosa impedisce, che possano trovare attuazione altre forme contrattuali come il mandato senza rappresentanza o la gestione di affari, né che il committente faccia eseguire la prestazione per liberalità nei confronti di un terzo.
Xxxxxx, quindi, che le azioni previste dal contratto sono considerate legittime solo se sono state definite dalle due parti, committente ed appaltatore.
Un esempio è la sentenza del Tribunale di Roma così riportata: “[…..] Osserva il Collegio che il rapporto dedotto in giudizio dall’attore La Sala è quello nascente dal contratto di appalto: dalla scrittura in data 8 settembre 1961 (registrata in Roma il 16 maggio 1966 al n. 4115 C), prodotta dallo stesso La Sala, si desume che costui prese in appalto da Xxxxxx La Xxxxx lavori di ammodernamento e trasformazione di un appartamento […]; dagli atti di causa si desume altresì che con patto aggiunto le parti convennero che oggetto dell’appalto fosse, oltre ai lavori indicati nella detta scrittura, anche la costruzione di un vano in muratura e vetri sul terrazzo dello stesso appartamento.
Il rapporto, avente scrittura obbligatoria, intercorse palesemente tra il La Sala e Xxxxxx La Xxxxx; la qualità dell’altro convenuto Xxxxxxx La Xxxxx di proprietario dell’appartamento in questione non vale a fondare la passiva legittimazione dello stesso Xxxxxxx La Xxxxx in ordine ad azioni nascenti dal contratto di appalto : l’attore non ha dato, né offerto prova alcune in ordine alla partecipazione del predetto al rapporto obbligatorio, […], né ha
altrimenti provato che egli abbia assunto, sia pure a titolo di garanzia, le obbligazioni di costui”8.
Generalmente, quindi, vi è la corrispondenza tra il committente ed il soggetto che dall’esecuzione dell’opera o del servizio ne trae il diretto vantaggio.
Bisogna però tener presente che non sempre il committente e il titolare di diritti su una determinata cosa coincidono: “sicché, pur se si ammette, ai fini della individuazione della persona del committente, la rilevanza indiziaria della riferibilità ultima degli effetti economici della esecuzione dell’opera al patrimonio di un determinato soggetto, non si deve dimenticare che può nelle singole specie trattarsi di effetti mediati, non riferibili al contratto di appalto considerato nella sua efficacia negoziale, ma al fatto della materiale esecuzione dell’opera o della prestazione del servizio; come non si deve dimenticare che l’interesse del committente alla prestazione dell’appaltatore […] non è necessariamente connesso con la titolarità da parte sua di un diritto reale”.9
L’articolo 1593 cod. civ. prevede che “ il conduttore che ha eseguito addizioni sulla cosa locata ha il diritto di toglierle alla fine della locazione qualora ciò possa avvenire senza documento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse”: si desume quindi che il proprietario del suolo sicuramente è lui stesso l’interessato alla costruzione dell’edificio, ma è anche probabile che la costruzione sia ordinata all’appaltatore su interesse specifico dal conduttore del suolo.
In relazione alle altre ipotesi sopracitate, importante è aver presente che, la gestione di affari altrui è prevista non solo in riferimento alla prestazione di un servizio o realizzazione di un’opera, ma anche in riferimento alla stipula di un contratto di appalto, da cui l’opera o il servizio derivano.
Nel primo caso non si può parlare neppur minimante di contratto di appalto : gli artt. 2028 e ss cod. civ. definiscono le obbligazioni del gestore e dell’interessato, niente a che vedere con la qualifica di committente.
Nel secondo caso, invece, il gestore diventa parte integrante del contratto di appalto, anche se nell’altrui interesse, perché ha stipulato in nome proprio.
8 Trib. Roma, 3 ottobre 1966: Pres. Minniti; Est. Morozzo della Rocca; La Sala c. La Xxxxx.
9 Morozzo della Xxxxx Xxxxxx, L’appalto nella giurisprudenza, Padova : edizioni CEDAM, 1972 ( Vicenza : Trip. Edit. X. Xxxxxxxx ) p.29.
È plausibile che, secondo l’art. 2031 cod. civ., che un legame si istituisca tra il c.d. interessato e il terzo contraente “qualora la gestione sia stata utilmente iniziata”.
Questo presume che il gestore si sia servito del suo nome.
Secondo l’opinione prevalente della dottrina, saremmo quindi nel caso di gestione rappresentativa da equiparare come contratto di appalto concluso mediante rappresentante.
Non bisogna dimenticare come il committente, per il proprio interesse, sia portato ad accertare regolarmente che i lavori, per eseguire l’opera da lui commissionata, siano realizzati secondo le disposizioni del contratto e le regole d’arte.
L’appagamento di questo suo interesse trova un limite dato dall’operare in autonomia che caratterizza l’appaltatore: la posizione di autonomia rappresenta l’entità del contratto di appalto e delinea la differenza rispetto al rapporto di lavoro subordinato.
Va specificato subito che il committente non dovrebbe praticare la sua facoltà di vigilanza, come previsto dall’art. 1662 cod. civ., in modo oppressivo e tale da mettere in una posizione di difficoltà l’appaltatore, perché se l’interferenza avesse un carattere illecito o irregolare, egli risulterebbe colpevole contrattualmente della lesione arrecata in questo modo all’appaltatore.
L’appaltatore, per il motivo della posizione di autonomia che assume in tale contesto contrattuale, si accolla sia il relativo rischio sia una responsabilità verso i terzi per i danni a loro causati da eventuale condotta colposa o dolosa.
Ciononostante, si può realizzare per il committente una responsabilità concomitante o esclusiva, nell’ipotesi in cui egli abbia attribuito delle disposizioni vincolanti che abbiano causato un danno illecito portando l’appaltatore ad assumere una posizione di semplice attuatore (c.d. nudus minister).
Una seconda causa di responsabilità del committente vede origine nel suo atteggiamento intenzionale di aver consegnato la realizzazione dell’opera o del servizio ad un’impresa senza mezzi competenti (c.d. culpa in eligendo).
Queste ipotesi sono state sancite in una sentenza della Corte di Cassazione “in tema d’appalto è di regola l’appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell’inosservanza della legge pensale durante l’esecuzione del contratto […]; in tale contesto, pertanto, una responsabilità del committente nei riguardo dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso
dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartito dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso – tanto che l’appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell’autonomia che normalmente gli compete – o allorquando risultino presenti gli estremi della culpa in eligendo il che si verifica se il compimento dell’opera o del servizio sono stati affidati a un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determino situazione di pericolo per i terzi”10.
2.1.2. L’appaltatore.
La persona dell’appaltatore è individuata in colui che, con organizzazione dei mezzi necessari e gestione del proprio rischio, assume il compimento di un’opera promessa al committente. Non sempre la titolarità dei mezzi e la gestione del rischio aziendale sono necessari per inquadrare l’appaltatore.
Nell’art. 1655 cod. civ. si parla di organizzazione dei mezzi necessari riferendosi all’oggetto desunto dall’obbligazione: l’appaltatore garantisce la realizzazione di un’opera o di un servizio a rischio proprio e con organizzazione dei mezzi di cui dispone o di cui può procurarsene disponibilità da terzi soggetti.
L’appaltatore può non assumere la figura professionale di imprenditore (anche se nella maggioranza dei casi lo è) per far parte di un contratto di appalto tra privati, a differenza nella realizzazione di opere pubbliche: di regola per essere parte di un contratto di appalto privato sono richiesti unicamente i consueti requisiti di capacità.
Nonostante vi sia nel contratto di appalto la non necessarietà dell’assunzione professionale di imprenditore, e dato il suo carattere sinallagmatico, di particolare importanza risulta il rischio economico collegato alla incapacità di determinare a priori esattamente i costi e i profitti e introduce l’elemento di speculazione nel patrimonio dell’appaltatore.
Sotto questo punto di vista, le obbligazioni dell’appaltatore non possono essere collegate a una gestione ordinaria: esse non riguardano il mantenimento e la salvaguardia del suo patrimonio visto che in quest’ultimo potrebbero pesare anche negativamente (atto di straordinaria amministrazione).
10 Cass. civ. Sez. lavoro, 23-03-1999, n. 2745, Mass. Giur. it., 1999, Bollettino legisl. tecnica, 1999, Orient. Giur. Lav. 1999, I.
Il committente, invece, non prevede l’assunzione di nessun rischio nel contratto di appalto; non può quindi essere di regola considerato quest’ultimo come atto di amministrazione straordinaria.
È però possibile che il committente, attraverso l’utilizzo del contratto di appalto, preveda scopi di salvaguardia del proprio patrimonio o un miglioramento dello stesso oppure che tenda a notevoli trasformazioni che, per la natura degli investimenti, incidano nell’essenza del patrimonio stesso.
Soltanto con riferimento a un specifico caso concreto si può affermare, se anche per il committente, il contratto di appalto possa qualificarsi come azione di ordinaria o straordinaria gestione.
Dopo tutto quello che abbiamo appena detto, possiamo considerare l’obbligazione dell’appaltatore, di realizzare un’opera o un servizio, come un obbligazione di risultato ed indivisibile,che non perde tale caratteristica se l’opera prefissata sia anche multipla (es. edificio a piani) o sia stato prefissato dalle parti il pagamento del corrispettivo in proporzione all’evolversi dei lavori.
La qualificazione come obbligazione di risultato, non ammette la responsabilità oggettiva dell’appaltatore stesso nell’ipotesi di un mancato raggiungimento dell’obbiettivo prefissato. Il giudizio di inadempimento di esso dovrà essere valutato sempre con la diligenza e con il grado necessario di perizia, secondo il disposto dell’art. 1176, 2° comma, cod. civ., riferibile al caso concreto.
Le caratteristiche dell’opera vengono definite espressamente nel contratto di appalto; dove esse vengano a mancare, l’appaltatore è obbligato, tuttavia, ad assolvere l’opera applicando la diligenza e la perizia prevista dal tipo di attività e avendo cura di munire l’opera con le caratteristiche necessarie per renderla adeguata al fine a cui è stata designata.
I requisiti dell’opera da realizzare devono essere inclusi nel progetto che, specificandoli puntualmente, rappresenta una previsione suppletiva del contratto di appalto.
Di consuetudine, viene redatto inizialmente un progetto generale, comprendente gli aspetti sostanziali dell’opera, e solo in seguito il progetto conclusivo.
La distinzione tra i due tipi di progetti, generale o conclusivo, applicata dalla giurisprudenza, si basa sulla integrità o pienezza del progetto stesso; è stato considerato come conclusivo il progetto che racchiuda al suo interno tutti i componenti essenziali affinché, oltre al progettista, una qualunque persona possa essere in grado di realizzare l’opera.
Tuttavia, un progetto può essere valutato come conclusivo anche in assenza di qualche elemento non essenziale; vedi sentenza Corte di Cassazione “il giudice non può, al fine della liquidazione del compenso, qualificare un progetto come parzialmente esecutivo ma, procedendo alla verifica dei dati e delle caratteristiche del progetto medesimo nella sua globalità e facendo riferimento, ove necessario, al criterio della prevalenza, deve qualificarlo di massima, se esso esprime le linee essenziali e le direttive fondamentali e generali dell’opera nel momento della ideazione e rappresentazione, anche se in concreto sia provvisto di elementi che superino gli stretti limiti del progetto di massima, ovvero, esecutivo, se contiene lo sviluppo completo e particolareggiato dell’opera con tutti i dati e gli elementi necessari alla sua corretta attuazione pur se presenti marginali insufficienze o lacune e manchi qualche particolare attinente all’esecuzione”11.
Il progetto, abitualmente, viene presentato dal committente ma nel caso in cui venga fornito dall’appaltatore, il livello di perizia è superiore, visto che si accolla l’obbligo di realizzare l’opera dotandola di tutti gli elementi e caratteristiche essenziali alla sua destinazione.
L’appaltatore rincorre in responsabilità quando per eseguire l’opera non abbia considerato le “regole d’arte” o nel caso cui, nonostante le direttive emanate dal committente, egli dovrà informarlo dell’inesattezza di esse, tranne che l’appaltatore sia obbligato ad eseguire il progetto e le direttive emanategli senza poter contraddire (risulta in questo caso esente da responsabilità, agendo come nudus minister secondo il principio ius receptum).
Appare evidente che, nel caso di nudus minister, ci si riferisce a un diverso rapporto giuridico contrattuale e non si potrà più parlare di contratto di appalto, ma di rapporto di lavoro subordinato.
L’appaltatore è obbligato a rispettare le disposizioni contrattuali, facendo in modo che non risultino vizi o difformità all’opera prefissata.
Certe volte capita che il progetto venga redatto da terzi: in tal caso, l’appaltatore dovrà svolgere una verifica sul progetto stesso, e in caso di vizio diverrà responsabile verso il committente qualora avesse dimenticato di comunicarglielo, o se non avesse individuato il vizio che avrebbe dovuto percepire utilizzato la normale diligenza.
11 Cass., 14-03-1985, n. 1990, RFI, 1985, professioni intellettuali, 60-61.
2.1.3 Il progettista.
Il compimento di un’opera prevede la sua connessa progettazione: esige un’attività di direzione e una di vigilanza.
Le figure, facoltative, ma che sempre più si immettono in un contratto di appalto sono: il progettista, il direttore dei lavori e le assistenze.
Sono soggetti delegati dal committente o dall’appaltatore, ma non si può trascurare l’ipotesi che gli stessi possano assumere loro personalmente la elaborazione di un progetto.
Il progettista rappresenta una figura ausiliaria e viene selezionata dal committente, con il quale l’incarico viene formalizzato da un contratto d’opera intellettuale, art. 2226 cod. civ., oppure da un contratto di lavoro subordinato.
In entrambi, il progettista è obbligato a compiere sempre il proprio lavoro osservando le regole appartenenti alla propria arte.
L’obbligazione del tecnico di realizzare il progetto è stata considerata, dalla massima giurisprudenza, come obbligazione di risultato, applicando i limiti dell’art. 2236 cod. civ.
La sua responsabilità verso il committente può aver origine da potenziali disparità del progetto rispetto a ciò che era inizialmente concordato nel contratto, ovvero in una inadempienza dei principi di normale diligenza riferibili alla natura dell’impiego e all’evento concreto (c.d. colpa generica), oppure nell’inosservanza di precetti di natura tecnica, di sicurezza o edilizia (c.d. colpa specifica).
Rispetto al committente, il professionista, sia che eserciti come figura di prestatore d’opera intellettuale sia che eserciti come subordinato, può appellarsi all’art. 2236 cod. civ., dove la prestazione derivata consideri problemi di un certo grado di difficoltà: il progettista è obbligato al rimborso del danno soltanto “in caso di dolo o colpa grave”, intendendola, secondo la giurisprudenza, come un “brutto” errore o come incompetenza incompatibile con la preparazione che una precisa arte deve prevedere.
Nell’ipotesi in cui il progetto sia oggetto di vizi, il progettista e l’appaltatore, che non li abbiano accertati, diventano corresponsabili nei confronti del committente a titolo contrattuale e verso i terzi a titolo extracontrattuale (art.2055 cod. civ.) per possibili danni ingiusti a loro cagionati.
La giurisprudenza ha chiarito che, se l’evento che ha causato il danno è addossabile a varie persone, basta a far considerare la solidarietà di esse nell’obbligazione risarcitoria il fatto che le condotte o mancanze di ognuna abbiano contribuito a realizzare l’evento, non rilevando
pertanto che non rappresentino singoli fatti illeciti o infrazione di differenti regole giuridiche; “Nel caso in cui il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti ancorché di contratti differenti rispettivamente d’appalto e di opera professionale dell’appaltatore e del progettista-direttore dei lavori, entrambi ne rispondono solidalmente”12.
2.1.4 Il direttore dei lavori.
Una maggiore importanza riveste la figura del direttore dei lavori, la cui funzione si determina,qualche volta, in espressioni dirette di volontà riguardanti lo svolgimento del rapporto.
La gestione dei lavori può essere svolta da soggetti come l’ingegnere, l’architetto, il geometra; tutte prestazioni che possono essere qualificate come d’opera intellettuale ai sensi dell’art. 2230 cod. civ., oppure come rapporto di lavoro subordinato.
Nel contratto di appalto, il committente ha la libertà di nominare o meno un direttore dei lavori a sorveglianza dell’esatta realizzazione dell’opera e tale figura non può identificarsi con il progettista dell’opera o del servizio.
La rilevanza del direttore dei lavori ha sicuramente più applicazione nell’ambito dei contratti di appalto pubblici, dove la sua elezione è prevista o dai capitolati degli enti coinvolti o perché è disciplinata da alcuni regolamenti; questa figura è ritenuta obbligatoria secondo l’art. 123 D.P.R. 554/99 “per il coordinamento, la direzione ed il controllo tecnico-contabile dell’esecuzione di ogni singolo intervento le stazioni appaltanti, prima della gara, istituiscono un ufficio di direzione lavori, costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente, in relazione alla dimensione e alla tipologia e categoria dell’intervento, da uno o più assistenti con funzioni di direttore operativo o di ispettore di cantiere”.
Nell’ambito dell’appalto privato,invece, non troviamo norme che disciplinano i poteri del direttore dei lavori: questi vengono ricavati nei singoli compiti che gli vengono man mano assegnati e che comunque devono essere compatibili con la prestazione tipica oggetto del contratto di appalto.
“La dottrina ha affermato che il direttore dei lavori è un rappresentante del committente con riferimento alle manifestazioni di volontà contenute in ambito strettamente tecnico, con
12 Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, il contratto di appalto, Milano : Xxxxxxx 2002, p. 99.
poteri d’ingerenza, pari a quelli del committente, finalizzati alla buona realizzazione dei lavori”13.
La funzione svolta dal direttore dei lavori è primariamente tecnica.
Esso risponde della buona riuscita dell’opera a lui assegnategli nel senso che è tenuto ad assolvere l’attività di vigilanza; non gli compete,invece, l’organizzazione, i tempi di esecuzione dell’opera né i mezzi utilizzati, se non nella quantità in cui tutto questo possa influenzare il suo corretto adempimento.
La giurisprudenza ha puntualizzato che ad egli compete anche l’obbligo di verificare che i propri ordini vengano eseguiti a “regola d’arte”; la Corte di Cassazione ha precisato che “il direttore dei lavori per conto del committente presta un’opera professionale in esecuzione di un obbligazione di mezzi e non di risultati”14.
Nelle relazioni tra direttore dei lavori e committente (o tra direttore dei lavori e appaltatore), trova applicazione la norma contrattuale, dove essi vanno rapportati.
Nel presupposto più frequente di un rapporto di prestazione d’opera intellettuale trova attuazione l’art. 2236 cod. civ. che esplica la responsabilità in capo al direttore dei lavori “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave”.
Sempre secondo la Corte di Cassazione “[…] pertanto, non si sottrae a responsabilità del professionista sta che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente”15.
Le decisioni prese dal direttore dei lavori non possono eccedere l’ambito tecnico a lui assegnategli, altrimenti rincorrerebbe in una situazione di responsabilità verso il committente per non adempimento del contratto.
Primariamente va detto che il direttore dei lavori è responsabile verso il committente in caso ometta il rispetto delle regole o violi altri doveri a lui impartiti.
13 Carigella – De Marzo, Manuale di diritto civile, Xxxxxxx ed. 2007.
14 Cass. civ. Sez. II Sent., 24-04-2008, n. 10728 (rv. 603056), Mass. Giur. it., 2008, CED Cassazione, 2008,
Bollettino legisl. tecnica, 2008, 7-8, 671.
15 Cass. civ. Sez. II Sent., 24-04-2008, n. 10728 (rv. 603056), Mass. Giur. it., 2008, CED Cassazione, 2008,
Bollettino legisl. tecnica, 2008, 7-8, 671.
Semmai il danno sopportato dal committente per vizi dell’opera sia l’effetto di inadempimenti del direttore dei lavori o dell’appaltatore, entrambi sono responsabili solidalmente16.
Il tema della responsabilità può riguardare anche il caso in cui, il direttore dei lavori venga ritenuto responsabile per aver trascurato la sua attività di sorveglianza: non ha fatto tutto ciò che era nel suo possesso per evitare un’opera mal realizzata; oppure nell’ipotesi che soggetti terzi vengano danneggiati dalle indicazioni da lui impartite (responsabilità extracontrattuale).
In questo ultimo caso, occorre far emergere che quanto maggiore sono i poteri del direttore dei lavori tanto minore è la responsabilità dell’appaltatore verso il committente.
Si viene a creare una garanzia aggiuntiva per il committente che potrà chiamare in giudizio sia l’appaltatore che il direttore dei lavori, per risarcimento dei danni.
2.1.5 Il supplente.
Un’attenzione viene data anche alla figura del supplente, che si inquadra nel contratto di appalto privato come obbligato in via sussidiaria.
Il supplente assume l’obbligo di provvedere alla realizzazione dell’opera o del servizio, non in caso di inadempimento, ma in un’eventualità di morte, di fallimento o altre inosservanze da parte dell’appaltatore.
Sembra, quindi, che nel contratto il supplente, destinato ad appagare l’interesse del committente, verrà scelto da quest’ultimo non per inadempimento contrattuale dell’appaltatore, ma per altre situazioni che determinano il venir a meno di esso.
La sostituzione deve essere contrattualmente disciplinata e accettata dal committente e appaltatore; e non deve essere intesa come obbligazione di garanzia, come alcuni studiosi hanno ritenuto in passato.
Il punto è stato appreso dalla Corte d’Appello: “la funzione dell’obbligazione dello Scuto, alla stregua della figura di supplente indicata dalle parti - che, come è noto, non impegna il supplente a garantire l’operato dell’appaltatore – non potrebbe infatti estendersi a scopi di garanzia […], restando invece circoscritta alla sostituzione dell’obbligato principale […], al
16 Cass. civ. Sez. II, 10-05-1995, n.5103, Mass. Giur. it., 1995, Appalti, urbanistica edilizia, 1996, 319.
solo fine di eseguire e completare la prestazione dovuta, quale oggetto della sua obbligazione, fino a che il rapporto di appalto non fosse già eseguito e non si fosse perciò esaurito”17.
Il supplente, avendo un ruolo autonomo rispetto a quella dell’appaltatore, non può rispondere di fatti di quest’ultimo, ma soltanto di fatti propri; soltanto per l’attività da lui stesso svolta nella realizzazione dell’opera o del servizio potrà essere soggetto di un’azione di inadempimento per vizi.
2.1.6 Il subappalto.
Tra le peculiarità del contratto di appalto, come contratto commutativo, consensuale, ad effetti obbligatori, vi è inoltre il fatto che esso si fonda sulla fiducia.
Rappresenta, infatti, un contratto bilaterale a prestazioni correlative, dove l’appaltatore è scelto per la propria predisposizione a produrre fiducia verso l’appaltante, al fine della esatta realizzazione della opera o servizio da lui domandata.
A seguito di questa caratteristica, l’ordinamento civile ha imposto dei margini all’applicazione del subappalto, riconoscendolo solo con il consenso da parte del committente: “l’appaltatore non può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente” (art. 1656 cod. civ.).
La norma rimanda all’apprezzamento del committente, durante l’esecuzione del rapporto contrattuale, la facoltà di far realizzare l’opera o il servizio, globalmente o in una parte, da un terzo soggetto differente rispetto a quello contemplato inizialmente; la disposizione stessa sembra voglia colpire il contenuto del vincolo obbligatorio anziché modificarlo in modo soggettivo.
Si vuole dar importanza all’intuitus personae vigente nel rapporto, vale a dire all’interesse del committente di rifiutare la propria accettazione affinché la realizzazione dell’opera venga commissionata a un’impresa differente rispetto a quella scelta.
Con questa fattispecie, ovvero il subappalto, l’appaltatore affida a un terzo soggetto la realizzazione dei lavori, che lui stesso aveva preso in appalto, instaurando con lo stesso rapporti di obbligazione reciproca.
17 App. Catania, 25 ottobre 1967: Pres. Biandi; Est. Di Xxxxxxx; Xxxxx c. Assess. LL. PP. Della Regione Siciliana.
Occorre precisare la differenza sostanziale tra il subappalto e l’ipotesi di cessione di contratto.
Nella cessione del contratto il committente è chiaramente immischiato con il cessionario nel rapporto contrattuale, in presenza o meno di responsabilità del concessionario originario.
Il subappalto, invece, costituisce una fattispecie (genus) di subcontratto, o contratto derivato, che comporta un ulteriore nuovo contratto di appalto, dove si viene a modificare tutto il contenuto o una parte del contratto precedentemente istituito tra committente e appaltatore.
L’appaltatore assume, così, il ruolo di ergo subappaltante e solo verso di esso il subappaltatore si obbliga alla realizzazione dell’opera o alla prestazione del servizio.
In questo “nuovo” contratto si instaura un rapporto vincolante tra appaltatore e subappaltatore dove il committente risulta del tutto estraneo al subappaltatore, ovvero non assume né obblighi né diritti nei confronti dello stesso.
L’appalto, di fatto, rimane identico o invariato tra il committente e appaltatore originari, sul quale però permane la responsabilità esclusiva della realizzazione dell’opera o del servizio.
A conseguenza della stipula del subappalto, vengono a essere compresenti due contratti di appalto, dove il secondo è sussidiario al primo, in ordine di successione: il contratto di subappalto suppone l’appalto come presupposto essenziale per la sua validità ed efficienza. Alla fattispecie contrattuale derivata, si attribuisce la medesima disciplina del contratto d’origine, come si verifica in altri subcontratti come la sublocazione o il sub comodato.
È ritenuto generalmente accettabile che, nella situazione di subappalto totale, il contenuto di esso possa cambiare in maniera più o meno considerevole riguardo alla fattispecie contrattuale originaria, soprattutto in relazione ai tempi di consegna o alla determinazione di un prezzo diverso.
Non è essenziale che l’assuntore dell’appalto si obblighi, in qualunque caso, a realizzare direttamente l'opera oggetto dell'appalto, quindi il fatto che l'opera sia realizzata da un soggetto estraneo al contratto di appalto privato non modifica la natura dello stesso.
Non sembra evidente che il subappalto, nonostante sia stata ottenuta l’autorizzazione del committente, preveda l’ingresso nel rapporto originario di un ulteriore soggetto: come lo stesso committente rimane al di fuori del rapporto tra appaltatore subappaltatore e subappaltante, anche il subappaltatore resta estraneo al legame tra committente e appaltatore; e questa distinzione si ripercuote anche in eventuali azioni legali.
Gli episodi del subappalto hanno la facoltà di condizionare giuridicamente i corretti adempimenti delle obbligazioni attribuite all’appaltatore; a parte questo esse sono irrilevanti per il committente.
Il subappaltatore, quindi, non può essere ritenuto come sussidiario dell’appaltatore, in quanto copre una posizione di autonomia verso quest’ultimo, caratteristica propria di ogni contratto di appalto.
Nell’ipotesi di vizi dell’opera, l’art. 1670 cod. civ. prevede che “l’appaltatore, per agire in regresso nei confronti dei subappaltatori, deve, sotto pena di decadenza, comunicare ad essi la denunzia entro sessanta giorni dal ricevimento”.
È stato anche giustamente reputato che, se il contratto d’appalto originario, a causa di “forza maggiore” si estingue, anche il correlato contratto di xxxxxxxxxx viene estinto, secondo il principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis.
L’assuntore, nel subappalto, si prende a carico sia la sorveglianza che l’organizzazione delle molteplici attività con la derivante esigenza di mezzi e di personale adeguato, rimanendo responsabile comunque verso il committente dell’opera o del servizio, in quanto l’opus stabilito è da lui stesso dovuto e non da soggetti terzi.
L’appaltatore originario, anche nell’ipotesi di subappalto, deve godere della propria organizzazione, materiale e personale, per la realizzazione dell'oggetto del contratto; di conseguenza, si crede che la figura dell’appaltatore non possa essere colui che, sprovvisto di un’inerente organizzazione, deleghi regolarmente la realizzazione delle opere.
Deve essere ritenuto, per contro, dipendente e non subappaltatore la persona che svolga un’attività alle dipendenze di un’impresa usufruendo delle attrezzature della stessa, con l’esclusività della prestazione di lavoro, con il legame di subordinazione, adempiendo alle proprie obbligazioni nell’orario normale di lavoro.
2.6.1.1 L’autorizzazione al subappalto.
Nell’ordinamento giuridico, in ambito privato perché si abbia subappalto si deve avere l’autorizzazione del committente (art. 1656 cod. civ.) o della stazione appaltante nel caso di appalto pubblico; invece il diritto comunitario non fissa questo obbligo, né colloca dei valori quantitativi o qualitativi al vincolo tra appaltatore e subappaltatore, dimostrandosi meno rigido.
L’autorizzazione al subappalto costituisce un’azione che ha lo scopo di bilanciare interessi contrapposti.
Il continuo ricorso al subappalto ha indotto il legislatore a disciplinare questa tipologia di contratto, sempre più in uso nel settore imprenditoriale.
Riflettendo sul fatto che il committente è un “terzo soggetto” rispetto al subappalto e non può essere leso da tale contratto derivato, come si può allora motivare l’esigenza di aver il suo consenso ai fini della legittimità del subappalto?
Innanzitutto, la soluzione alla invalidità relativa può essere utilizzata solo da un soggetto che faccia parte del contratto nullo, invece nella situazione in oggetto il committente non fa parte del subappalto.
Insomma, “la sanzione della nullità rappresenta un disvalore relativo a un determinato assetto d’interessi riprovato dall’ordinamento, disvalore che nel caso del subappalto privato non sembra ravvisabile”18.
Nell’appalto privato, a differenza dell’appalto pubblico, non è prevista una forma particolare per l’autorizzazione: può essere scritta, verbale o tacita (attenzione però che semplice silenzio non è efficace come autorizzazione) oppure può provenire da “facta concludentia”; solitamente l’autorizzazione è concomitante al contratto di subappalto, ma può essere anticipatamente inclusa nel contratto originario o essere conseguentemente formulata con l'approvazione del lavoro da parte del subappaltatore.
La richiesta di autorizzazione al subappalto deve contenere questi elementi:
1. l’ammontare del contratto di subappalto, dove sia precisata la quota riservata alla sicurezza;
2. la categoria che si propone di subappaltare;
3. il nome dell’impresa (subappaltatore) che realizzerà i lavori con le dichiarazioni dovute per legge: dichiarazione che il subappaltatore possieda le competenze necessarie, la dichiarazione del subappaltare della propria compagine societaria, il DURC, ecc.
La facoltà data al committente per l'autorizzazione al subappalto appare come un potere a carattere discrezionale, il cui esercizio è slegato dall’esistenza di determinati presupposti.
È doveroso che egli eserciti tale potere in onestà e correttezza (buona fede), così da proteggere l’interesse della controparte in quanto compatibile con il proprio.
18 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, l’autorizzazione al subappalto, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
Il punto di comune tra i differenti interessi coinvolti può essere riconosciuto nella attendibilità economico-tecnica del subappaltatore, dove l’unica condizione è soddisfare sia l’interesse del committente per aver ottenuto l’opera commissionata sia l’interesse dell’appaltatore ad avvalersi di soggetti esterni alla propria azienda.
In seguito all’osservanza del principio di “buona fede”, il committente sarà obbligato a riconoscere la propria autorizzazione ove l’appaltatore sia idoneo a conseguire l’opera a lui assegnata; in caso contrario, sarà autorizzato a negarla.
Le ripercussioni della non autorizzazione da parte del committente sono molto discusse.
La dottrina tradizionale ritiene il subappalto non autorizzato come colpito da nullità c.d. relativa, che può essere richiesta solo dal committente e non può essere rilevata d’ufficio.
Contrariamente, altre opinioni ritengono che il contratto d’appalto resta comunque legittimo ma si rileva un inadempimento legato al contratto di appalto originario da parte dell’appaltatore,o sub committente, e non autorizzato; inadempimento che lo impegna alle azioni del committente.
“La liceità e validità del subappalto non autorizzato sono sostenute, nella sua ricostruzione di tale istituto come accollo che legge il divieto dell’art. 1656 cod. civ. nel più limitato senso che il subappaltatore non può incidere nella sfera giuridica del committente se non è stato autorizzato”19.
2.2 L’accettazione e la forma contrattuale.
2.2.1 L’accettazione.
Secondo l’art. 1326 cod. civ. che disciplina le regole comuni nel diritto civile, il contratto di appalto può ritenersi concluso nel momento in cui “chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
Il perfezionamento di un contratto avviene con il conseguente consenso da entrambe le parti su tutti i fattori primari, ma anche secondari e accessori: è dalle intenzioni delle singole parti che dipende la “grandezza” del precetto negoziale e la conclusione dello stesso in corrispondenza dei loro interessi, salva la pretesa di conformità degli elementi essenziali, in mancanza dei quali il contratto sarebbe non idoneo.
19 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 81.
Per il contratto di appalto, ai fini della determinazione del contenuto minimo previsto in esso, la legge prevede, secondo l’art. 1657 cod. civ., la determinazione del corrispettivo e dà facoltà al committente di apportare delle “variazioni al progetto, purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivo convenuto” (una sorte di jus variandi).
2.2.2 Il contratto preliminare.
Come è risaputo, con il contratto preliminare le parti si impegnano a dare il loro consenso entro la scadenza fissata dal contratto, dove i loro rispettivi interessi troveranno applicazione.
Solitamente, il contratto preliminare può essere regolato in riferimento a un qualsiasi contratto ad effetti obbligatori, come appunto l’appalto.
“La funzione strumentale, che il preliminare assolve rispetto al contratto definito, pone anche in questo caso una esigenza di determinatezza dell’oggetto (obbligo di contrarre), che si risolve nella esigenza di richiamare nei suoi elementi individuanti l’oggetto del contratto definitivo: la validità del preliminare di appalto, sia esso bilaterale (entrambe le parti assumono l’obbligo di contrarre) o unilaterale (tale obbligo è assunto da una sola parte), dipende perciò anche dalla determinazione o dalla determinabilità dell’opera o del servizio, che dovranno essere dedotti nel contratto definitivo”20.
Secondo l’art. 2932 cod. civ. se la parte obbligata a concludere un contratto non adempie alla propria obbligazione, l’altra parte può chiedere una sentenza che generi gli stessi effetti di un contratto non perfezionato.
La suddetta norma non differenzia il contratto preliminare (definitivo) ad effetti reali con il contratto preliminare (definitivo) a effetti obbligatori, in quanto tale distinzione non è imposta dal sistema.
Il primo comma cita “se si tratta di contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o la costituzione o il trasferimento di un altro diritto”; la locuzione fa riferimento alla conclusione,in alcune ipotesi, di un contratto (definitivo).
Si ritiene, per questo, che anche nel contratto di appalto, il preliminare possa trovare un’attuazione obbligatoria ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.
20 Morozzo della Xxxxx Xxxxxx, L’appalto nella giurisprudenza, Padova : edizioni CEDAM, 1972 ( Vicenza : Trip. Edit. X. Xxxxxxxx ) p.63.
2.2.3 La forma.
Le norme del contratto di appalto privato non richiedono che esso presenti dei requisiti particolari di forma; è un “negozio non solenne” dove le parti possono liberalmente stipulare il contratto senza la conformità a forme particolari (art. 1350 cod. civ.).
Tuttavia vi sono delle eccezioni a questo principio dove l’appalto deve essere concluso in forma scritta, richiesta ad substatiam a pena di nullità :
• Appalto per la costruzione di immobili, in cui il suolo è di proprietà dell’appaltatore: il committente ottiene il relativo suolo e la possibilità di costruzione a titolo secondario.
• Appalto per la costruzione di navi: la forma solenne è prevista dall’art. 237 cod. nav. dove si chiarisce che essa è necessaria perché il contratto verrà trascritto nel registro delle navi in costruzione, assoggettandolo a pubblicità.
Al di fuori delle situazioni sopracitate, non è presente l’esigenza di una particolare forma per il contratto di appalto.
Ai fini della prova del contratto stesso, una forma particolare non è prevista, se le parti contrattuali non lo abbiano chiaramente stabilito (art. 2725 cod. civ.).
Vi è tuttavia, nella pratica, l’esigenza sempre maggiore di mettere per iscritto gli accordi che si manifestano tra le parti; principalmente per i contratti di appalto aventi importi molto sostenuti.
Oltre ai soliti documenti previsti (disegni,progetti ecc.), il contratto di appalto privato può prevedere anche una documentazione dettagliata (c.d. capitolato speciale) delle condizioni tecniche connesse alla realizzazione dell’opera o del servizio.
Questo capitolato speciale rappresenta un documento separato, che allegandosi al contratto ne integra la disciplina e presenta natura vincolante come ogni altra condizione contrattuale. Nel caso di appalto per la costruzione di immobili è frequentemente previsto un documento particolareggiato con indicazione dei materiali, delle verifiche, dei pagamenti ecc.
Il contratto di appalto privato rincorre, così, il modello dell’appalto pubblico dove la propensione ai capitolati speciali appaga lo svolgimento di una buona amministrazione da parte del committente.
Tuttavia, l’art. 1341 cod. civ. denominato “Condizioni generali di contratto” richiede la forma scritta di esse perché possano essere valide ed efficaci; “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificatamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di
colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’atro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”.
La disciplina sopracitata si riferisce alle condizioni generali di un contratto che un solo contraente abbia disposto; si ritiene quindi che essa non possa essere adottata nel caso cui entrambe le parti abbiano definito assieme la disciplina contrattuale; normativa voluta e riconosciuta.
Il difetto di forma è rilevabile dal giudice solo a favore del contraente, alla cui protezione vi è l’art.1341 cod. civ.
L’esigenza della forma scritta delle clausole onerose è prevista in caso che il regolamento contrattuale provenga dal rinvio, che i contraenti abbiano fatto a capitolati disposti da terzi, soprattutto con riferimento al capitolato generale per le opere prodotte dal Ministero dei Lavori Pubblici.
La giurisprudenza ritiene che lo stesso capitolato generale abbia carattere normativo con riguardo agli accordi contrattuali che attirano l’attenzione dello Stato, dove il contraente, dovendo attenersi alle disposizioni regolamentari, si trova ad assumere una posizione di subordinato.
2.3 L’oggetto.
Dell’oggetto del contratto di appalto ce ne siamo già occupati a grandi linee quando abbiamo parlato dei requisiti differenziatori tra esso e altre forme contrattuali affini.
Sembra comune dire che l’oggetto del contratto di appalto sia un facere, un’obbligazione svolta dall’appaltatore verso un corrispettivo.
Secondo i principi civilistici “l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile” (art. 1346 cod. civ.).
Per quanto riguarda la nullità, l’appalto risulta invalido se si manifesta una circostanza di impossibilità totale, non essendo adatta anche una grave difficoltà di attuazione; in questa ultima ipotesi ove a causa di eventi geologici, idrici e simili, non previsti dalle parti, la
prestazione dovuta dall’appaltatore diventi notevolmente più onerosa, egli ha diritto a un compenso equo.
L’oggetto del contratto deve inoltre essere possibile, cioè non potrà mai prevedere la vendita di una bene demaniale; lecito, inteso nel senso che l’opera e il servizio non devono essere proibiti da norme imperative né contrastanti l’ordine pubblico e il buon costume; determinato o determinabile, dove è necessario che il contenuto minimo del contratto contenga già al suo interno i criteri che permetteranno la determinazione di esso al momento della realizzazione.
Lasciando da parte la liceità dell’oggetto del contratto, i divieti stabiliti da alcune norme o la divergenza rispetto l’ordine pubblico e il buon costume possono provocare la nullità stessa del contratto di appalto ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c.
L’oggetto del contratto di appalto, però, non sarebbe esposto al requisito di liceità, poiché potrebbe essere considerato come un bene che è sul mercato e che può derivare tranquillamente da un contratto privato.
Di contratto illecito, quindi, possiamo parlare quando nell’esecuzione dello stesso siano possibili violazioni di norme previste per la tutela di terzi.
Un dibattito in passato ha riguardato la realizzazione di specifiche opere (es. concessioni edilizie) con la richiesta di determinate autorizzazioni amministrative; risoluta la presenza di illiceità amministrativa, e in alcuni casi anche penale, con la logica emissione di sanzioni amministrative e casomai penali nei confronti delle due parti, il dilemma riguardava la validità o meno del contratto di appalto ultimato senza ad esempio la concessione per la realizzazione dell’immobile.
Nonostante le posizioni contrastanti emerse nella giurisprudenza, si arriva alla convinzione che l’oggetto del contratto di appalto possa essere illecito solo nel caso in cui vi sia la coscienza da parte di entrambe le parti di violare una determinata normativa (es. edilizia).
Pertanto la consapevolezza da parte di un solo contraente della assenza della normativa edilizia, per esempio, permette che il contratto possa definirsi valido.
Differente è la condizione in cui il contratto di appalto disciplina delle opere discordanti dal collegato progetto però approvato: l’illiceità dell’oggetto può essere impugnata e di conseguenza l’appaltatore non può appellarsi al contratto per ottenere presunzioni creditorie.
Sulla condizione che l’opera o il servizio debbano essere determinati o determinabili, bisogna avere presente che la determinazione di essi può risultare da sintetiche o generali informazioni oppure può essere previsto, per opere o servizi più articolati, la stesura di un progetto esauriente e puntuale.
Di solito, l’individuazione dell’oggetto di un contratto di appalto può emergere direttamente dalla essenza dell’opera o del servizio previsti.
È necessario che la prestazione svolta dall’appaltatore sia stabilita da elementi fondamentali. Per chiudere, sembra opportuno segnalare la sentenza della Cassazione: “L’appaltatore non può pretendere di sostituire di sua iniziativa un oggetto diverso da quello convenuto con il committente nel presupposto che esso corrisponda meglio ai bisogni e alle esigenze di quest’ultimo”21.
La redazione di un’eventuale progetto, cui le parte di solito desiderano avvalersi per la creazione di un’opera notevole, svolge una buona funzione di precisazione dell’oggetto del contratto.
Tuttavia, tale redazione del progetto, riguardo ad opere rilevanti, non è una clausola necessaria perché il contratto di appalto sia considerato lecito, a condizione che l’opera possa essere determinata.
Un esempio è la decisione della Cassazione: “[…] Quanto, poi, alla circostanza che, nella specie, non vi sarebbe stato un progetto, può osservarsi che la legge, in relazione al contratto di appalto tra privati, non ha dettato norme circa la sostanziale giuridica necessità della predeterminazione di un progetto, inteso, questo, come specificazione dell’opera a mezzo di disegni e planimetrie, od a mezzo di calcoli matematici e di figurazioni grafiche, cosicché l’esistenza di un simile progetto non è condizione di validità del contratto di appalto, potendo anche l’appaltatore fornire egli stesso il progetto, senza che questo divenga parte integrante del contratto, o che ne sia necessaria l’approvazione del committente, salva in ogni caso, si intende, la contraria volontà delle parti”22.
Nondimeno importante è che l’oggetto del contratto di appalto può essere determinato ugualmente dalle singole parti tramite comportamenti concludenti: “Le parti, con il comportamento di volta in volta assunto in ordine all’esecuzione di opere non
21 Cass. civ. Sez. II, 23-07-1994, n. 6889, Mass. Giur. it., 1994, Contratti, 1995, 1, 47.
22 Cass., 18-10-1955, n.3260.
specificatamente contemplate dal contratto, per alcune soltanto concordandone preventivamente la natura e il prezzo, hanno manifestato la loro comune intenzione e volontà di considerare e accettare tutte le altre come rientranti nell’oggetto del contratto e tali perciò da non legittimare la richiesta di un compenso extracontratto”23.
2.4 La causa.
Nel contratto di appalto la causa, compresa come destinazione economico-sociale di esso, è stata ritenuta meritevole di protezione da parte dell’ordinamento giuridico.
La causa, anzi la sua liceità, deve essere esaminata situazione per situazione con riguardo all’obbiettivo prefissato dalle parti.
Secondo l’art. 1343 cod. civ. “la causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume”.
Il tema della causa illecita in un contratto di appalto è stato trattato in molteplici situazioni, specialmente al caso di appalto di mano d’opera, vietata dall’art. 1 della legge n. 1369/1960. La Cassazione, con riferimento alla situazione di causa illecita ha sostenuto che: “ L’illiceità della causa sia nell’ipotesi della contrarietà della stessa a norme imperative all’ordine pubblico o al buon costume, sia nell’ipotesi di utilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge, presuppone un comune intento delle parti attenendo tale illiceità alla funzione necessariamente comune cui è destinato il negozio ovvero all’intento di eludere una norma imperativa mediante il negozio in frode alla legge”24.
2.5 Il corrispettivo.
Precedentemente abbiamo affermato che l’appalto è un contratto a titolo oneroso: tra i suoi fattori costitutivi vi è il corrispettivo in danaro.
Questo si ricava dalla nozione prevista dall’art. 1655 cod. civ., dove si prevede da parte dell’appaltatore il compimento di un’opera o di un servizio verso il corrispettivo in danaro; questo permette la conferma della qualità onerosa del contratto di appalto.
23 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 38.
24 Cass., 28-08-1993, n.9129, AC, 1994, 21.
Non si parlerebbe di appalto nell’ipotesi in cui vi sia un’unica prestazione che abbia per oggetto l’esborso di denaro per il compimento di una determinata opera; infatti per parlare di appalto è essenziale che l’obbligazione di eseguire l’opera o il servizio trovi la sua corrispondente causa nella obbligazione del committente di pagarne il prezzo.
Si è affermato, pertanto, che il corrispettivo dovuto dal committente sia una somma di danaro.
Nella situazione in cui il committente corrisponda all’appaltatore una cosa differente dal danaro, si esce dalla fattispecie contrattuale di appalto e viene a concludersi un semplice contratto privato disciplinato dalle norme generali del diritto civile.
Il requisito pecuniario dell’obbligazione non si evidenzia solo nella descrizione dell’art. 1655 cod. civ. ma anche nei contenuti degli articoli seguenti, dove il termine prezzo ricorre sempre.
Tuttavia, non sembra opportuno escludere il caso in cui, nell’appalto, l’obbligazione prevista dal committente sia caratterizzata in parte da danaro e in parte da una cosa definita (esempio, la corresponsione in metà in danaro e in metà in una valutazione di un terreno).
Ad eccezione dei principi generali del contratto, art. 1346 cod. civ., che richiedono la determinatezza o la determinabilità dell’oggetto, l’art. 1657 cod. civ. dispone che “ se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo né hanno stabilito il modo di determinarla, essa è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice”.
Il precetto citato consente di rimediare alla mancanza di determinazione del corrispettivo ed abbandona l’idea che il silenzio tra le singole parti possa essere ragione della invalidità del contratto di appalto: l’obbligazione di corrispondere il compenso dell’opera o del servizio ha oggetto determinato e costantemente determinabile.
Le tariffe a cui si riferisce la norma sopracitata possono essere tariffari stabiliti da leggi speciali o da enti sindacali autorizzati, tenendo in considerazione che il luogo e il momento ai quali serve far riferimento sono quelli previsti per il perfezionamento del contratto.
La Suprema Corte ha affermato che le tariffe previste nell’art. 1657 cod. civ. possono essere fissate da organi pubblici, oltre che da soggetti privati, “sicché bene possono rientrare in
esse le tariffe per imprese appaltatrici dei servizi portuali predeterminate dagli organi responsabili preposti alla disciplina del lavoro portuale “25.
Nell’ultimo caso in cui non sussistano tariffe o usi, la determinazione del prezzo potrà essere fatta da giudice, anche tramite l’aiuto di una consulenza tecnica.
Si potrebbe sostenere, in simile caso, che il giudice realizzi una mansione di giurisdizione cosiddetta contenziosa e la pronunci con sentenza impugnabile.
La decisione del giudice deve tener conto, oltre alle spese sostenute per la realizzazione dell’opera, anche dell’utile ordinario dell’impresa.
Nonostante la disposizione non lo preveda espressamente, nulla vieta alle parti di decidere e nominare tra di loro e di comune consenso una persona che arbitri il contratto (c.d. arbitratore) il quale agisca con un giudizio equo o con arbitrium merum se le parti consentono.
Nel primo caso la determinazione dell’arbitratore non può essere ritenuta “cattiva” o sbagliata perché non si riferisce ai prezzi stabiliti dai tariffari civili; mentre nel secondo caso la determinazione non potrà essere sollevata dalle parti, a patto che non si provi la slealtà dell’arbitratore stesso.
“La prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolari divieti della legge” (art. 1348 cod. civ.) , quindi niente si oppone nel caso in cui si conceda all’appaltatore, in compenso dell’opera, un futuro diritto.
2.5.1 Metodi di determinazione del prezzo.
Le singole parti del contratto di appalto fissano, sin dal momento della stipulazione di esso, il prezzo riguardante l’opera o il servizio.
L’art. 53 comma 4 del codice dei contratti delucida che “Per le prestazioni a corpo, il prezzo convenuto non può essere modificato sulla base della verifica della quantità o della qualità della prestazione”, invece “per le prestazioni a misura, il prezzo convenuto può variare, in aumento o in diminuzione, secondo la quantità effettiva della prestazione. Per l'esecuzione di prestazioni a misura, il capitolato fissa i prezzi invariabili per unità di misura e per ogni tipologia di prestazione”26.
25Supr. Corte, 16-02-1956, n. 447, American Export Lines – E.G.I.S.
26 Avv. Xxxxxxx Xxxxxxxx e dell’Avv. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Appalti a corpo e a misura nel codice dei contratti, xxx.xxxxxx.xx
La diversità tra i due tipi di contratto sta nel fatto che nell’appalto a corpo (o à forfait) il corrispettivo viene stabilito anticipatamente, ad eccezione di quanto indicato negli artt. 1660 e 1664 cod. civ., in un importo globale dell’opera o del servizio appaltati, al contrario, nell’appalto a misura il prezzo viene pattuito in base ad ogni unità di misura dell’opera o del servizio.
Una conseguenza nell’appalto a corpo potrebbe essere che l’errore, in cui una parte vi sia imbattuta per la valutazione del prezzo dell’opera, non abbia importanza: il processo di determinazione del corrispettivo è anteriore alla stipula del contratto di appalto e le parti hanno espresso la loro volontà in riferimento al prezzo globale.
È stato reputato, quindi, che nell’appalto a corpo, essendoci la mancanza di collegamento causa-effetto tra gli elementi determinativi del corrispettivo e il consenso sul prezzo determinato globalmente, si possa non parlare, ai sensi dell’art. 1427 cod. civ., di errore.
Rispetto alla situazione iniziale, se si riscontrano delle asimmetrie sulle misure dell’opera appaltata, l’appaltatore potrebbe ottenere un maggior o minor guadagno in riferimento sia al prezzo di ogni unità di misura sia alla consistenza dell’opera; il committente potrà imporre il suo diritto alla corrispondente riduzione del prezzo solo se l’entità minore dell’opera possa essere considerata come vizio o difformità rispetto al progetto iniziale.
Nell’appalto a misura, invece, il rischio di possibili maggiori o minori dimensioni dell’opera incombono, con certe limitazioni, sul committente; al contrario, l’appaltatore sostiene solo il rischio concernente la gestione d’impresa, che si determina nel rischio del maggiore o minore prezzo di ogni unità.
2.5.2 Pagamento dell’opera.
Secondo l’art. 1665 cod. civ. “salvo diversa attuazione o uso contrario, l’appaltatore ha diritto al pagamento del corrispettivo quando l’opera è accettata dal committente” il legislatore ha cercato di spiegare un caso verificabile in un normale contratto di appalto, dove sia stata derivata la prestazione di un’opera, ed ha cercato di far convergere il tempo, in cui poteva essere richiesto il prezzo dall’appaltatore, con la soddisfazione del committente che ha avuto nell’accettare l’opera: “alla corrispettività delle prestazioni fa, perciò, riscontro,
almeno normalmente, la loro contemporaneità, salva la priorità logica dell’adempimento dell’appaltatore”27.
Nella praticità, per opere di importo economico notevole, le due parti propendono a limitare il rischio riferito alla probabilità di eventuali inadempienze programmando il pagamento, a cura del committente, in acconti sul prezzo dell’opera appaltata e la ritenuta di una percentuale come pegno dell’adempimento.
L’appaltatore si garantisce la liquidazione del prezzo in relazione al progresso dell’opera e limita i costi per “previsione di capitali”; invece, il committente scorge nelle ritenute percentuali una adeguata garanzia per vizi o difformità dell’opera stessa.
Il procedimento dei pagamenti di acconti si basa sulla stesura di stati di avanzamento, cioè prospetti riepilogativi dell’avanzamento dei lavori, stesi dal direttore di essi che si occuperà in via momentanea al pagamento dei relativi importi.
La stesura dei lavori svolti e coerente liquidazione hanno un valore provvisorio: dalle verifiche seguenti emergerà uno stato finale con la precisa determinazione degli importi obbligatori a titolo di retribuzione per l’opera realizzata.
2.5.3 Il riesame del prezzo.
Nel 2° comma dell’art. 1664 cod. civ. si fa riferimento alla situazione di circostanze sopravvenute oppure alla problematicità nella realizzazione dell’opera.
Unicamente al primo caso, la disciplina sopracitata definisce i limiti del rischio nel contratto di appalto “qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo”.
Questo significa che quella parte del prezzo deciso, che attiene a sezioni dell’opera realizzate precedentemente dell’aumento o della diminuzione degli oneri, deve essere valutata al fine di definire la normale alea contrattuale.
La revisione del prezzo nel contratto di appalto non ha natura vincolante alle due parti.
27 Morozzo della Xxxxx Xxxxxx, L’appalto nella giurisprudenza, Padova : edizioni CEDAM, 1972 ( Vicenza : Trip. Edit. X. Xxxxxxxx ) p.113.
Esse possono sottrarsi alla norma stabilendo un differente margine di aumento dei costi, ovvero eliminando il medesimo limite legale o estromettendo dalla revisione un innalzamento dei costi di alcune prestazioni.
“La clausola con la quale si escluda, in deroga all’art. 1664 c.c., il diritto dell’appaltatore a ulteriore compenso per le difficoltà impreviste incontrate nell’esecuzione dell’opera (cosiddetto appalto “a forfait”) non comporta alcuna alterazione della scrittura ovvero della funzione dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur così ulteriormente allargato, esorbiti dall’alea normale di questo tipo contrattuale”28.
2.6 I materiali.
Per la realizzazione di un’opera in un contratto di appalto è evidente che sia necessario l’utilizzo di una determinata materia prima, sia essa naturale o in parte lavorata.
La terminologia “materia prima” non deve includere i mezzi (attrezzi, macchinari) utilizzati per realizzare l’opera prefissata.
Le parti possono fissare, prima del perfezionamento del contratto di appalto, l’entità del materiale necessario; questa considerazione non è essenziale e la sua mancanza non pregiudica la legittimità del contratto per indeterminabilità dell’oggetto.
La quantità di materiale necessario viene lasciata a discrezione dell’appaltatore, ossia del soggetto che dovrà svolgere il lavoro.
Sulla questione si è espresso il Tribunale di Napoli, 3 gennaio 1994, Cond. Vix Xxxxxxxx 000
– La Puca, in Giur. Merito, 1994, 256, e ha ritenuto che il materiale consono al genere stabilito, ma in quantità minore aggiunge il concetto non del vizio o difformità dell’opera ai sensi degli artt. 1667 e 1668 cod. civ., ma il non corretto adempimento con la conseguenza di una possibile soluzione del contratto con il risarcimento del danno provocato.
Per la qualità dei materiali si possono presentare due situazioni:
28 Studio Legale – Avv. Xxxxxx Xxxxx , Avv. Xxxxx Xxxxxxxxxx – Revisione del prezzo nel contratto di appalto – xxx.xxxxxx-xxxxxx-xxxxxx.xxx
• Le singole parti non hanno fissato niente al riguardo: se la materia prima sarà rifornita dall’appaltatore, dovranno essere utilizzati materiali a “regola d’arte” per realizzare l’opera richiesta;
• Le parti stabiliscono i materiali in relazione al loro genus.
La giurisprudenza antecedente all’attuale codice vigente non ha mai avuto modo di dichiararsi al riguardo, mentre la dottrina ha potuto verificare molte situazioni nella pratica che hanno portato ad alcune conseguenze:
• Valutiamo il caso in cui l’appaltatore dovrà fornire, ”se non è diversamente stabilito dalla convenzione o dagli usi” (art. 1658 cod. civ.) la materia necessaria a compiere l’opera.
Si tratta chiaramente di una norma aggiuntiva, che attribuisce l’idea che l’appaltatore, visto che ha promesso il compimento di un’opera o un servizio accollandosi il rischio relativo, si impone a procurare anche le materie e i macchinari necessari per l’adempimento.
In tale situazione è possibile che l’appaltatore si procuri della materia prima diversa rispetto al genus inizialmente concordato (art. 1659 cod. civ.): “l’appaltatore non può apportare delle variazioni alle modalità convenute dell’opera se il committente non le ha autorizzate.
L’autorizzazione si deve provare per iscritto.”
Dove, al contrario, lo scambio dei materiali non sia stata acconsentito dal committente, l’appaltatore può essere ritenuto colpevole per eventuali difformità dell’opera, ai sensi degli artt. 1667 e 1668 cod. civ.
• Ora consideriamo la situazione in cui il committente fornisca i materiali ma di genere diverso rispetto a quello concordato.
In questo caso, l’appaltatore può respingere tali materiali oppure può pretendere un maggior corrispettivo se essi richiedono una lavorazione più approfondita , “l’appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente” (art. 1661 cod. civ.).
2.6.1 Il momento e la consegna dei materiali.
A quanto pare, l’appaltatore dovrà fornire la materia prima necessaria per svolgere la propria obbligazione, al momento di avvio dei lavori.
Ai sensi dell’art. 1183 cod. civ., se il committente dovrà somministrare la materia, quest’ultima dovrà essere recapitata all’appaltatore “immediatamente”.
Tale metodologia, l’immediatezza, deve essere considerata con una certa ampiezza di visione; nel senso che, ove le parti abbiano fissato le rimesse dei materiali in epoche predeterminate tale regola non viene applicata.
Nel caso in cui il committente abbia dei ritardi nel far recapitare la materia potrà essere considerato in mora dall’appaltatore e quest’ultimo potrà esigere l’indennizzo per la lesione indotta dal ritardo stesso.
Quanto al luogo, i materiali dovranno essere recapitati, a cura dell’appaltatore, nel luogo della realizzazione dell’opera e le spese di trasporto sono a carico del committente; mentre, nel caso in cui siano dovuti da quest’ultimo, i materiali dovranno essere consegnati in cantiere o dove ha sede l’impresa.
2.6.2 L’accertamento dei materiali da parte del committente e dell’appaltatore.
In relazione al controllo dei materiali si possono prospettarsi due situazioni a seconda che essi vengano procurati dall’appaltatore o dal committente.
Nella prima ipotesi, sarà il committente, in base al proprio interesse, a svolgere una supervisione sulla quantità e qualità dei materiali forniti dall’appaltatore.
Secondo il disposto art. 1662 cod. civ. “il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato”.
Tuttavia, questa disposizione non impone un obbligo ma una possibilità concessa al committente e, per contro, l’appaltatore può, salvo disposizione contraria, iniziare lo svolgimento dei lavori senza che vi sia stata l’accertamento del committente.
Sempre ai sensi dell’articolo sopracitato, il committente verifica a proprie spese lo stato di svolgimento dei lavori.
L’appaltatore, quindi, deve predisporre una situazione in cui l’operazione di verifica possa avvenire in un modo meno oneroso possibile.
Se il committente non adempie alla verifica dei materiali, e questi si dimostrino imperfetti o inidonei, può ricorrere all’art. 1668 cod. civ. “il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore.
Se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”.
Se la materia fornita è di un genus differente rispetto a quello stabilito o non soddisfa le richieste dell’opera appaltata, il committente, attuato l’accertamento, può respingerla, esponendo le proprie ragione e avvisandole per tempo all’appaltatore prima che esso avvii l’esecuzione dei lavori.
A cura dell’art. 1662, 1° comma, cod. civ., il committente può tuttavia sollecitare la sostituzione dei materiali difformi e difettosi all’appaltatore, pena lo scioglimento del contratto di appalto.
Nella seconda ipotesi, ossia materiali forniti dal committente, sarà l’appaltatore che avrà l’attenzione di andar a verificare che essi rispondano a una determinata qualità e conformità.
Questo suo interessamento rappresenta anche un impegno, in quanto gli consente di evitare di trovarsi in una situazione di responsabilità per vizi e difformità dei materiali usati per realizzare l’opera prevista.
La fornitura della materia prima a cura del committente rappresenta,quindi, un’eccezione rispetto alla situazione base, disposto dall’art. 1658 cod. civ.
Se l’appaltatore contesta al committente dei vizi dell’opera e quest’ultimo non risolve questo problema con il rimpiazzo dei materiali difettosi, sarà costretto comunque a cominciare l’opera, ma risulta assolto da ogni onere per potenziali risultati dannosi.
Semmai, invece, l’appaltatore accolga, anche con il silenzio, dei materiali imperfetti e i cui vizi siano identificabili da un esperto, egli sarà responsabile per vizi dell’opera dipendenti dalla deformità dei materiali.
Qualora i difetti dei materiali siano palesemente riconoscibili al momento del recapito, l’appaltatore deve farli notare in questa circostanza.
Esso può, comunque, notificarli in seguito: se li denunzia prima di utilizzarli, i lavori verranno interrotti in attesa di direttive da parte del committente; se vengono rivelati dopo l’avvio dei lavori, l’appaltatore dovrà riferire ciò al committente, ma per la materia già utilizzata risponderà ai sensi degli artt. 1667 e 1668 cod. civ.
L’appaltatore non è colpevole se i materiali utilizzati erano irriconoscibili neanche da un esperto: se i difetti si riscontrano nel corso dell’esecuzione dell’opera, il committente dovrà essere avvertito immediatamente, secondo l’art. 1663 cod. civ. “l’appaltatore è tenuto a
dare pronto avviso al committente dei difetti della materia da questo fornita, se si scoprono nel corso dell’opera e possono comprometterne la regolare esecuzione”.
Bisogna considerare anche il caso in cui, dopo che l’appaltatore ha interrotto l’esecuzione dei lavori perché ha individuato dei vizi sui materiali dandone comunicazione al committente e nonostante quest’ultimo ribadisca l’intenzione di usare analogamente gli stessi materiali, accollandosi il relativo rischio, l’appaltatore potrà trovarsi responsabile nei riguardi del committente.
La giurisprudenza, inoltre, ha ribadito che, anche nell’ipotesi in cui l’appaltatore, infrangendo quanto disposto dall’art. 1663 cod. civ., abbia dimenticato di riferire al committente tempestivamente dei vizi della materia, accollandosene la responsabilità, non può escludersi una possibile imperizia/responsabilità anche del committente.
Comunque la fattispecie prevista dell’articolo sopra richiamato si applica, oltre che per i materiali, anche ove l’appaltatore utilizzi le “opere” disposte dal committente: “pertanto l’appaltatore che abbia accettato senza riserve le opere predette, risponde dei danni derivati da vizi o da inidoneità di tali opere, anche se non si sia reso conto dei vizi o della inidoneità delle opere, poiché, avendo un ampio margine di discrezionalità tecnica per conseguire il risultato, deve sopportare il rischio, connaturale al rapporto obbligatorio instaurato, nel caso che l’attività produttiva non lo consegua”29.
La massima non precisa se si parlava di disattenzione dell’appaltatore o se erano dei veri vizi invisibili.
Importante è quindi ricordare la sentenza della Cassazione, dove puntualizza le responsabilità dell’appaltatore: egli è obbligato ad attenersi alle “regole d’arte” per realizzare l’opera richiesta dal committente, ma è soprattutto tenuto a notificare eventuali difformità riguardo al capitolato d’appalto, usando la normale diligenza applicata al singolo caso concreto.
29 Cfr. Cass., 28-06-1979, n. 3638.
Capitolo 3
VIZI E DIFFORMITA’ DELL’OPERA
Sommario: 3.1 La responsabilità dell’appaltatore per vizi e difformità dell’opera. 3.2 Definizione di vizio e difformità. 3.2.1 I vizi palesi e gli effetti dell’accettazione dell’opera. 3.3 Tipologie di vizi dell’opera. 3.3.1 I vizi occulti. 3.3.2 I vizi taciuti in mala fede. 3.3.3 I vizi occultati con raggiri. 3.4 L’aliud pro alio. 3.4.1 L’aliud pro alio come fattispecie di diversità dell’opera. 3.4.2 L’aliud pro alio come fattispecie di responsabilità contrattuale. 3.5 Il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore. 3.6 Il contenuto della garanzia. 3.7 L’azione per eliminare vizi e difformità. 3.7.1 Domanda di eliminazione dei vizi. 3.7.2 L’eliminazione dei vizi. 3.7.3 Responsabilità per l’eliminazione delle difformità. 3.8 La riduzione del prezzo. 3.8.1 Rapporto tra le due azioni previste. 3.9 Il risarcimento danni.
3.9.1 Quantificazione del danno da risarcire. 3.9.2 La colpa dell’appaltatore. 3.10 La risoluzione del contratto di appalto. 3.10.1 La qualità della totale inidoneità dell’opera.
3.10.2 Le conseguenze della conclusione contrattuale: il principio di retroattività. 3.11 Il cambiamento di domanda. 3.12 Prescrizione e termine nelle azioni di garanzia. 3.12.1 Il termine per le azioni di responsabilità. 3.12.2 La decadenza delle azioni di garanzia nel contratto di appalto e la decorrenza del termine. 3.12.3 La prescrizione delle azioni di garanzia.
3.1 La responsabilità dell’appaltatore per vizi e difformità dell’opera.
L’appaltatore è responsabile degli eventuali vizi dell’opera oggetto del contratto di appalto, non soltanto quando provvede alla stesura del progetto, ma anche nell’ipotesi in cui il progetto stesso venga fornito dall’appaltante; l’appaltatore appare pertanto responsabile sia dei vizi che dei difetti dell’opus in quanto è obbligato all’osservanza delle “regole d’arte”.
Per questo motivo egli è ulteriormente responsabile qualora il committente si intrometta, tranne che tale intromissione non comporti all’appaltatore di assumere la figura di nudus minister, un semplice agente delle direttive impartite dal committente stesso.
Difatti l’appaltatore è obbligato a vigilare, con la diligenza pretesa dal caso specifico, sulla congruenza e l’integrità del progetto e sull’amministrazione dei lavori, avvisando il committente, anche nel caso di intromissione dello stesso, dei probabili errori constatati, quando essi consistano nell'assenza di accorgimenti fondamentali per produrre l’opus conforme e idoneo ad assolvere il fine di soddisfare il committente.30
Ne deriva quindi che la responsabilità dell’appaltatore, con il successivo obbligo di risarcimento, non può venir meno neanche nell’ipotesi di vizi attribuibili ad errori progettuali o di direzione dei lavori.
L’appaltatore per essere esente da responsabilità, dopo essersi accorto del vizio:
• deve rapidamente comunicarlo al committente;
• manifestare in modo formale il proprio disaccordo andando oltre il semplice messaggio verbale.
Nel caso in cui, invece, l’appaltatore non abbia riscontrato i vizi, è esente da responsabilità soltanto quando non poteva riconoscerli, con riferimento alla propria capacità in relazione al caso concreto31.
30 Cass. civ. Sez. II, 5 maggio 2003, n. 6754, in Rep. Foro. it., 2003 :” In tema di appalto la circostanza che l'appaltatore esegua l'opera su progetto del committente o fornito dal committente non lo degrada, per ciò solo, al rango di "nudus minister" poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica, esulando dagli obblighi delle rispettive parti. Ne consegue che l'appaltatore è tenuto non solo ad eseguire a regola d'arte il progetto, ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, anche nel caso di ingerenza di costui, gli eventuali errori riscontrati, quando l'errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido e idoneo a soddisfare le esigenze del committente”.
31 Cass. civ. Sez. II, 30-05-2003, n. 8813, in Rep. Foro. it., 2003 :” In tema di appalto ed in ipotesi di responsabilità per vizi dell’opera, l’appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente; ne consegue che la responsabilità dell’appaltatore, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se egli, accortosi del vizio, non lo abbia tempestivamente denunziato al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto”.
3.2 Definizione di vizio e difformità.
L’art. 1667, 1° comma, cod. civ. dispone che “ l’appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell’opera”.
Rappresenta una sorta di responsabilità “speciale” che si verifica quando l’opera o il servizio siano stati realizzati ma mostrino “vizi” o “difformità”; tutte le altre ipotesi di inadempimento configurano la responsabilità ordinaria contrattuale.
Dopo aver constatato che l’opera è stata compiuta nella sua integrità, bisogna andar a verificare se essa sia corrispondente a ciò che era stato concordato inizialmente nel contratto di appalto e alle “regole d’arte”, parametri importanti per quantificare l’esistenza di un vizio o difformità.
I vizi appartengono alle modalità di realizzazione delle singole parti dell’opera, che risultino eseguite senza il rispetto di regole tecniche o “che siano manchevoli di quei particolari di fattura che, pur se possono non essere specificatamente stabiliti, normalmente presenta un determinato bene”32.
Il vizio può quindi considerarsi come ogni possibile modifica della composizione e della struttura funzionale di “un oggetto inanimato”; un difetto che comporta il non buon funzionamento dell’opera, diminuendo la sua efficacia e il suo valore.
Passiamo ora alla definizione di difformità, dove nel contratto di appalto, si verifica quando vi è una difformità rispetto quanto stabilito nel contratto; rappresenta quindi una difformità tra quello realizzato e quello pattuito.
La difformità non costituisce un difetto vero e proprio dell'opera, ma un risultato diverso da quello previsto dal contratto.
Tutte le difformità o i vizi che l’opera appaltata può presentare sono ammissibili solo se l’opera stessa è stata interamente compiuta; si discosta da questo il caso in cui l’opera risulta incompleta in alcune parti fondamentali, dovendo quindi far riferimento alle disposizioni generali dell’art. 1453 cod. civ. e segg., piuttosto che alla norma specifica dell’appalto.
La giurisprudenza ha confermato questa affermazione “Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (art. 1667, 1668, 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che
32 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Appalto e contratto d’opera, la responsabilità, Bologna: Zanichelli, 2008, p. 4.
sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell'appaltatore ex art. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l'opera o, se l'ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi proceda con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell'appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell'opera, prevista dagli art. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l'esecuzione dell'opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso completamento dell'opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell'appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell'opera”33.
3.2.1 I vizi palesi e gli effetti dell’accettazione dell’opera.
Il primo comma dell’art. 1667 cod. civ. prevede inoltre: “la garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l’opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in malafede taciuti dall’appaltatore”.
L’accettazione dell’opera non deve coincidere né essere confusa per la presa in consegna della stessa.
La presa in consegna rappresenta un semplice fatto materiale e non comporta la rinuncia a ricorrere alla garanzia per i difetti “conosciuti o riconoscibili”, mentre l’accettazione costituisce una manifestazione di volontà dove il committente afferma l’accoglienza dell’opera compiuta dall’appaltatore.
L’accettazione rappresenta, un negozio unilaterale recettizio, visto che deve essere conosciuta dall’appaltatore.
La liberazione dell’appaltatore dagli obblighi della garanzia secondo il disposto dell’art. 1667 cod. civ. è dipendente dal verificarsi di due condizioni:
1. l’accettazione del committente;
2. i vizi risultino palesi (tranne il caso di atteggiamento “disonesto” dell’appaltatore). Questo, nella situazione opposta, evidenzia che:
33 Cass. civ. Sez. II, 09-08-1996, n.7364, Mass. Giur. it., 1996.
1. qualora il committente abbia accettato, ma i vizi sono nascosti (occulti) dall’appaltatore, la garanzia in capo a quest’ultimo persiste;
2. qualora invece il committente non abbia accettato l’opera, sebbene ne abbia presa la consegna, e i vizi sono palesi, la garanzia in capo all’appaltatore rimane.
L’accettazione assoluta dell’opera da parte del committente comporta la liberazione dell’appaltatore per eventuali vizi palesi, questo ad evitare che, dopo un periodo di tempo, la verifica dei difetti diventi più difficoltoso.
Difatti, il secondo comma dell’art. 1667 cod. civ. “il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati”; si allude a vizi o difformità occulti e non palesi, in quanto possono essere riconoscibili durante la verifica o il collaudo.
Si esprime dunque un principio “duraturo”: la garanzia dell’art. 1667 cod. civ. non è dovuta dall’appaltatore ogni volta che le difformità o i vizi dell’opera appaltata siano noti al committente e abbia comunque accettato di ricevere l’opera.
Per i vizi conosciuti o riconoscibili, il committente, nel caso di mancata accettazione dell'opera, non deve dare alcuna dimostrazione, a pena di decadenza, per far valere la garanzia dell’appaltatore.
Difatti, secondo il primo comma dell’art. 1667 cod. civ., soltanto l’accettazione del committente dell’opera compiuta consente la liberazione dell’appaltatore e, pertanto, antecedentemente alla consegna e all’accettazione non rilevano eventuali denuncie per vizi anche riscontrabili; vizi che, se sono evidenziati durante i lavori, possono essere considerati nel momento della consegna, ma non obbligatoriamente denunciati prima dell'accettazione. “Con riguardo ai vizi dell'opera conosciuti o riconoscibili, il committente, che non abbia accettato l'opera medesima, per fare valere la garanzia dell'appaltatore non è tenuto ad alcun adempimento, poiché a norma dell'articolo 1677, comma 1, del c.c., solo l'accettazione dell'opera comporta liberazione dalla detta garanzia”34.
In qualunque caso, ove la verifica o il collaudo non sono stati compiuti o non ne sia stato comunicato all’appaltatore l’esito,
34 Cass. civ. Sez. II, 30-07-2004, n. 14584, Guida al diritto, 2004, 40, 62.
si ha, nel termine di poco tempo, la presunzione di accettazione, secondo il terzo comma dell’art. 1665 cod. civ.
Il committente quindi deve prendere una decisione non potendo da una parte non accettare in modo esplicito l’opera e dall’altra non porre in essere atti che facciano ipotizzare un’accettazione c.d. xxxxxx.
In questa ultima ipotesi, potrebbero essere attuate le presunzioni assolute di accettazione secondo l’art. 1665, 3° comma, cod. civ. , regolate sia per la mancata attuazione della verifica sia per dimenticata informazione dei risultati di essa all’appaltatore.
È indispensabile sia eseguire la verifica sull’opera appaltata che comunicare all’imprenditore (l’appaltatore) probabili vizi constatabili in essa; tale comunicazione seguente alla verifica corrisponde alla denunzia dei vizi occulti in seguito alla loro identificazione.
Secondo il disposto dell’art. 1667 cod. civ., non è fondamentale che la denunzia presenti il carattere generico ed analitico dei vizi e difformità dell’opera, cioè da permettere il riconoscimento di ogni anomalia di essa; basta invece una sommaria indicazione delle difformità da parte dell'appaltatore per impedire la decadenza del committente dalla garanzia, conservandone, quest'ultimo, il diritto ad esercitarla, indicando anche posticipatamente le anomalie accertabili dell'opera.
3.3 Tipologie di vizi dell’opera.
In precedenza abbiamo preso in esame la tipologia dei vizi c.d. riconoscibili o palesi; vizi che possono essere identificati dal committente.
Il committente, al fine di far valere la responsabilità per questa gamma di difetti, deve in ambito di verifica o collaudo non accettare l’opera o accettarla con riserva.
Questi vizi palesi non possono essere denunziati in seguito all’accettazione dell’opera appaltata.
Ci sono, tuttavia, delle tipologie di vizi, dove invece è possibile appellare la responsabilità dell’appaltatore successivamente all’accettazione del committente.
Questi sono i vizi occulti, taciuti in mala fede e difetti occultati con raggiri.
3.3.1 I vizi occulti.
Nonostante l’accettazione da parte del committente dell’opera, l’appaltatore continua ad avere la responsabilità per i vizi occulti: vizi non conoscibili dal committente né noti durante la verifica.
Diversamente dai vizi palesi, per quelli occulti l’accettazione senza riserve non è una preclusione del committente per farli valere successivamente.
Per questa ragione il committente, benché abbia accettato l’opera senza riserve, può denunziare i vizi e le difformità entro il termine di sessanta giorni dalla scoperta: ”Il committente ha l'onere di provare di aver denunciato all'appaltatore i vizi dell'opera, non facilmente riconoscibili al momento della consegna, entro sessanta giorni dalla scoperta, costituendo tale denuncia una condizione dell'azione di garanzia, essendo quegli assolto da tale onere solo per i vizi dolosamente occultati dall'appaltatore, a meno che il predetto committente non provi che per patto intervenuto con l'appaltatore costui si è obbligato ad eliminarli, con l'effetto di novare la sua obbligazione di garanzia "ex lege"”35.
Ad esempio sono ritenuti vizi occulti il caso in cui, alla conclusione dei lavori, un pavimento era stato rivestito da uno strato di segatura molto spesso che contrastava la identificazione dei vizi36.
“Nel caso in cui nel giudizio promosso dal committente nei confronti dell’appaltatore, con azione di garanzia ai sensi degli artt. 1667 e 1668 cod. civ., venga disposta consulenza tecnica, su istanza anche del convenuto, o comunque, con la sua adesione o partecipazione, allo scopo di accertare difformità o vizi occulti dell’opus, si deve escludere che l’attore, in relazione ai difetti riscontrati da tale consulenza, sia tenuto, a pena di decadenza, alla denunzia contemplata dal 2° co. del citato art. 1667 cod. civ.”37
35 Cass. civ. Sez. II, 17-05-2001, n. 6774, Mass. Giur. it., 2001, Riv. Giur. Edil., 2001, I.
36 Cass. civ. Sez. II, 22-10-1998, n.10476, Giur. it., 1999, 2057 nota Gallo “ In materia di appalto in caso di vizi occulti il termine di decadenza di sessanta giorni di cui all'art. 1667 comma 2 c.c. inizia a decorrere non dal momento della consegna, ma da quello della effettiva conoscenza dei vizi stessi. (Nella specie: al termine dei lavori un pavimento era stato ricoperto da uno spesso strato di segatura, il quale impediva di prendere conoscenza dei vizi)”.
37 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Appalto e contratto d’opera, la responsabilità, Bologna: Zanichelli, 2008, p. 14.
Si è considerato, inoltre, che il committente che solleva la possibile presenza di vizi occulti nell’opera non è obbligato a fornire la prova della rapidità della denunzia, in assenza di obiezione38.
Tuttavia, qualora il committente non effettui la denunzia di vizi occulti, successivamente alla loro identificazione, nel temine indicato dall’art. 1667 cod. civ., non ha il diritto di far valere la garanzia per vizi e difformità “né in via d’azione né in via di eccezione”.
Non vi è pertanto applicazione, in ambito di decadenza, del principio temporalia ad addendum, perpetua ad excipiendum (le azioni sono temporanee, le eccezioni sono perpetue).
3.3.2 Vizi taciuti in mala fede.
Secondo l’art. 1667 , 1° comma, cod. civ. “[…] le difformità o vizi erano da lui conosciuti o riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in mala fede taciuti dall’appaltatore”.
Viene applicata la stessa disciplina considerata per i difetti occulti, ma con una “complicazione” per l’appaltatore.
In questo caso, difatti, secondo l’art. 1667, 2° comma, cod. civ., vi è l’esonero del dovere della denunzia dei vizi e difformità entro sessanta giorni dalla loro scoperta.
A differenza del codice civile previgente, non sembra ora fondamentale che l’appaltatore abbia espresso in modo esplicito che l’opera sia immune da vizi, nemmeno che attui comportamenti al fine di “abbindolare” il committente sulla possibile esistenza di una difformità.
Per questo, secondo l’art. 1667 2° comma, cod. civ., il nascondere vizi dell’opera da parte dell’appaltatore deve essere inteso come un mero silenzio di mala fede, secondo il prescritto del primo comma dell’articolo sopracitato.
Per tale ragione, perché si abbia occultamento di vizi dell’opera, e successiva non esigenza della denuncia dei vizi a nome del committente, non è indispensabile che l’appaltatore abbia attuato raggiri e tattiche; per configurare un vizio è necessario il mero silenzio dell’appaltatore rispetto i vizi.
Il silenzio dell’appaltatore deve essere pertanto di mala fede, ovvero malignamente attuato per ostacolare la conoscenza dei vizi al committente.
38 Cass., 18-05-1964, n. 1218, in Giust. Civ., 1964, I, 1780.
Il committente deve dimostrare che il vizio era conosciuto all’appaltatore; una volta ottenuto questo, la mala fede si suppone, e xxxxxxxx all’appaltatore provare che il suo silenzio era per una semplice distrazione, o perché considerava il vizio irrilevante.
A tal riguardo, dopo che il committente ha dimostrato, anche tramite presunzioni di fatto, che l’appaltatore è consapevole dei vizi dell’opera, la sua mala fede viene ammessa e tocca a lui dimostrare il contrario.
Nel caso in cui l’appaltatore abbia nascosto i vizi dell’opera, non con il mero silenzio, ma con tattiche e raggiri o con “violenza morale” nei riguardi del committente (ad esempio con le minacce), quest’ultimo potrà impugnare l’accettazione o il collaudo, attuando l’abituale azione di annullamento per causa di dolo o violenza nella scadenza di cinque anni dal momento in cui si è venuti a conoscenza del dolo o si è conclusa la violenza39.
3.3.3 Vizi occultati con raggiri.
Per quanto riguarda la singolare fattispecie dove l’appaltatore nasconda con dolo eventuali vizi e difformità che l’opera può presentare, compiendo atti diretti a una finalità ben precisa, il committente può avvalersi delle azioni speciali disciplinate per la responsabilità dell’appaltatore, senza l’obbligo di denuncia.
Si è ritenuto che “non è fondatamente sostenibile che i vizi riconoscibili siano stati in mala fede taciuti o occultati dall’appaltatore, quando risulti che il committente si era riservato la direzione dei lavori e aveva eseguito in continuazione l’esecuzione di essi”40.
3.4 L’aliud pro alio.
3.4.1 Xxxxx pro alio come fattispecie di diversità dell’opera.
Secondo le considerazioni della dottrina tradizionale, nel caso in cui l’opera realizzata risulti completamente differente rispetto a quella concordata nel contratto, il committente ha la facoltà di appellarsi alle azioni speciali degli artt. 1667 e 1668 cod. civ.; non gli è permesso, quindi, il rimedio comune in tema di responsabilità ex contractu.
39 Cass., 25-10-1966, n. 2579, Mass. Giur. it., 1966, 1141.
40 Cfr. App. Firenze, 31 gennaio 1963, in Riv. giur. edil., 1963, I, 880.
In tal caso, si considera difformità, secondo il disposto dell’art. 1667 cod. civ., la situazione in cui l’opera compiuta sia completamente diversa da quella concordata.
La legge perciò non solo distingue le varie tipologie di difformità, riservando quanto disposto dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. soltanto ai difetti che oltrepassano una determinata soglia, ma, in base al secondo comma dell’art. 1668 cod. civ., imputerebbe la garanzia pure a quei difetti che rendano l’opera inidonea al suo fine.
Nel caso in cui l’opus sia completamente differente rispetto a quello concordato nel contratto di appalto, si reputa che non si realizzi una fattispecie di aliud pro alio, visto che quest’ultimo richiede un paragone ed una diversità tra l’opera appaltata e quella trasmessa dall’appaltatore e quella che avrebbe dovuto essere compiuta.
Questo confronto non sembra attuabile, visto che la nozione di identità è paragonabile soltanto alle cose esistenti e non a quelle non ancora compiute.
La situazione di aliud pro alio nel contratto di appalto con la consecutiva applicazione degli artt. 1453 e 1455 cod. civ. verrebbe delimitata soltanto alla situazione “eccezionale” dove l’appaltatore, posticipatamente alla realizzazione dell’opera, faccia recapitare al committente una res (cosa) diversa.
In questo caso, l’appaltatore non risulta inadempiente alla sua obbligazione di facere, ma soltanto a quella di trasmettere l’opera; infatti soltanto in questa situazione è attuabile un paragone tra le due cose: l’opera compiuta e la cosa trasmessa al committente.
3.4.2 Xxxxx pro alio come fattispecie di responsabilità contrattuale.
Secondo recenti opinioni della dottrina sembra più attuabile l'applicazione dell'art. 1453 cod. civ. anziché l'art. 1668 c.c.; questo perché viene intuita la necessità di conciliare due opposti interessi: quella del committente, che intende ottenere l’opus concordato, quella dell’appaltatore, che intende limitare il periodo di esposizione a eventuali ulteriori eccezioni della parte committente.
Tali interessi, che sono stati oggetto di osservazione del legislatore, possono assumere la natura di criteri di valutazione dell’aliud pro alio.
L’art. 1668 cod. civ. viene applicato nelle situazioni in cui i vizi riscontrati nell’opera oggetto del contratto, ne modificano la sua destinazione, danneggiando così la sua funzionalità.
Il sopra citato articolo esamina la sanzione più pesante di conclusione del contratto di appalto ove l’opera sia completamente inidonea al suo fine; cioè si verifichi una circostanza
di inidoneità irreversibile dell’opus o completa difformità rispetto alle indicazioni contrattuali.
Questa ipotesi autorizza il committente a chiedere la conclusione del contratto: “se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”.
“Con riguardo al contratto di appalto, l'indagine circa l'esistenza di vizi e difformità dell'opera, tali da renderla non del tutto idonea alla sua destinazione e, quindi, in una situazione non reversibile senza il totale rifacimento (o sostituzione) - e che legittima il committente a richiedere la risoluzione del contratto - va fatta in base a criteri obiettivi soltanto se le parti abbiano omesso ogni particolare al riguardo, dovendo invece essere compiuta secondo criteri soggettivi quando siano state dedotte in contratto particolari caratteristiche dell'opera, per assicurarne un impiego o un rendimento determinati”41.
Le conseguenze dell’applicazione di quanto disposto dall’art. 1668 cod. civ. sono che il committente, dopo aver accettato l’opera, non potrà far valere la garanzia e quindi procedere per conclusione del contratto; in aggiunta l’azione di conclusione è assoggettata al termine di due anni dalla ricezione dell’opera ai sensi dell’art. 1667 ultimo comma cod. civ.
La Corte di Cassazione ha ritenuto che, nell’ipotesi di conclusione del contratto di appalto per una completa inesattezza dell’opus, l’appaltatore continui ad avere il diritto ad ottenere un corrispettivo parziale se perlomeno una parte dell’opera possa essere comunque usufruibile dal committente.
3.5 Il riconoscimento dei vizi da parte dell’appaltatore.
L’identificazione da parte dell’appaltatore dei vizi e delle difformità dell’opera appaltata comporta l’esenzione del committente dal doverli denunciare; mentre l’appaltatore non potrà più sollevare eccezioni di decadenza e di prescrizione dal diritto alla garanzia,
41 Cass. civ. Sez. I, 22-02-1996, n. 1395, Mass. Giur. it., Xxxxxxxxx, 1996, 3, 279, Giur. Bollettino legisl. tecnica,
1997, 3887
permettendo al committente di far valere i suddetti vizi e difformità sebbene non rapidamente denunciati42.
L’individuazione dei vizi può essere espressa oppure tacita e anche intuibile dall’atteggiamento dell’appaltatore.
“Il riconoscimento dei vizi o delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore – che ai sensi dell’art. 1667 cod. civ. importa la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente – non deve accompagnarsi alla confessione stragiudiziale della sua responsabilità e, pertanto, è sussistente anche se l’appaltatore, ammessa l’esistenza del vizio, contesti o neghi in qualsiasi modo o per qualsiasi ragione di doverne rispondere”43.
La giurisprudenza ormai ritiene che il riconoscimento dei vizi provochi per l'appaltatore l’assunzione di un’ulteriore obbligazione, indipendente rispetto a quella iniziale, che richiede l’eliminazione dei vizi e delle difformità.
Anche se l’appaltatore assume una nuova obbligazione, non si verifica nessun vincolo per il committente di corrispondere un ulteriore compenso.
“Il riconoscimento che l'appaltatore faccia dei vizi della cosa oltre ad implicare l'accettazione delle proteste e rinuncia a far valere l'esonero della garanzia previsto dall'art. 1667 c.c., dà origine ad un nuovo rapporto fonte di autonome obbligazioni per l'appaltatore, senza che possa venire in considerazione l'obbligazione di un nuovo corrispettivo per il committente”44.
La nuova obbligazione in capo all’appaltatore, avente l’obbiettivo di eliminare i vizi ed essendo nuova ed indipendente in relazione a quella di garanzia, non è sottoposta ai normali termini di prescrizione e decadenza prescritti per le azioni di garanzia dipendenti dal contratto di appalto.45
42 Cass. civ. Sez. II, 03-09-1997, n. 8439, Giur. Bollettino legisl. Tecnica, 1998, 32: “Dalla promessa dell'appaltatore convenuto con l'azione di garanzia per vizi o difformità di provvedere in merito deriva la rinuncia a far valere la decadenza e la prescrizione dell'azione, e la costituzione di un nuovo rapporto obbligatorio con l'attore”.
43 Cass. civ. Sez. II, 14-04-1995, n. 4276, Mass. Giur. it., 1995.
44 Cass. civ. Sez. II, 10-06-1994, n. 5677, Mass. Giur. it., 1994.
45 Cass. civ. Sez. II, 05-09-1994, n. 7651, Mass. Giur. it., 1994, Contratti, 1995, 1, 48: “Qualora una parte tenuta per legge alla garanzia per vizi, come l'appaltatore ed il venditore, riconosca, sulla base del precedente impegno negoziale, la sussistenza di vizi della prestazione eseguita ed assuma, in luogo dell'obbligazione di garanzia rientrante nel contenuto dell'originario contratto, l'obbligo di eliminare i vizi stessi, si configura a
L’identificazione dei vizi e difformità dell’opera comporta l’obbligo di eliminarli, ma questo non ha sempre come effetto l’identificazione implicita di probabili danni sostenuti dal committente dai vizi dell’opera e l’obbligo corrispondente di risarcimento.
La Corte di Cassazione ha riaffermato quanto aveva deciso la Corte d’Appello di Udine, considerando che l’identificazione dei vizi da parte dell’appaltatore e l’assunzione dell’obbligo di rimuoverli, non implicava anche il riconoscimento di responsabilità per eventuali danni conseguenti ai suddetti vizi, né l'obbligo di risarcirli con la relativa rinuncia a farne valere la prescrizione.46
3.6 Il contenuto della garanzia.
L’art. 1668 cod. civ., concede al committente diversi metodi di rimedio in riferimento al caso sia di vizi palesi che a quello di vizi occulti.
I rimedi concessi dipendono dalla natura e dalla complessità di tali vizi o difformità.
Nell’ipotesi ove i vizi e le difformità siano eliminabili o tali da non rendere l’opus completamente inidonea al suo fine, viene considerato il primo comma del sopra citato articolo: “il committente può chiedere che le difformità o vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore”.
Nel caso in cui, invece, i difetti o i vizi siano tali da comportare l’opus totalmente inidonea al suo fine, si contempla il secondo comma dell’art. 1668 cod. civ. “se però le difformità o i vizi
carico di tale parte un'obbligazione nuova ed autonoma (rispetto a quella di garanzia), non soggetta ai termini di prescrizione e decadenza previsti dalla disciplina del contratto di appalto (art. 1667 c.c.) e da quello del contratto di vendita (art. 1495 c.c.), restando soggetta all'ordinaria prescrizione decennale.”; conforme Cass. civ. Sez. II, 07-07-1995, Mass. Giur. it., 1995: “L'impegno del costruttore di provvedere alla eliminazione dei vizi dell'opera implica il riconoscimento unilaterale della esistenza di questo vizio e dà vita ad una obbligazione nuova (rispetto a quella originaria di garanzia), svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1667 c.c. e soggetta, invece alla ordinaria prescrizione decennale.”.
46 Cass. civ. Sez. II, 25-01-1999, n. 664, Mass. Giur. it., 1999, Contratti, 1999, 5, 501: ” In tema di contratto d'appalto, il riconoscimento dei difetti dell'opera e la loro eliminazione da parte dell'appaltatore non comporta il riconoscimento della responsabilità per eventuali danni derivanti al committente dai vizi dell'opera e l'assunzione della correlativa obbligazione, distinta da quella adempiuta di garanzia, di risarcire il danno, con conseguente rinuncia a far valere la prescrizione dell'azione relativa.”.
dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”.
Bisogna tener presente, che la realizzazione dell’opera deve rispettare le specifiche tecniche per quel preciso lavoro.
Il criterio da utilizzare, a tal riguardo, non può essere costante, ma variabile, visto che le regole d’arte “devono essere adeguate alle esigenze e agli scopi cui l’opera è destinata secondo la sua funzione tipica, o a quegli altri risultati che nel contratto siano stati menzionati ed indicati come elementi rilevanti”47.
La responsabilità in capo all’appaltatore non prevede né esclusioni né limitazioni: “La responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente per i difetti dell'opera a norma degli art. 1667 e 1668 c.c. non ammette esclusioni (salvo quelle dipendenti dall'accettazione senza riserve dell'opera e del venir meno della garanzia per effetto di decadenza) e neppure limitazioni, dato che l'art. 1668, 1° comma, pone a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento, obbligandolo a sopportare, a seconda della scelta operata dal committente, l'onere integrale dell'eliminazione dei vizi, o la riduzione del prezzo, salvo il risarcimento del danno, senza alcun riguardo alla consistenza e al costo dei lavori di riparazione o alla misura massima della diminuzione del corrispettivo dell'appalto”48.
Quanto invece alla complessità e gravità delle difformità, essa deve essere considerata in sé e non come parametro di ipotesi di quello che potrebbe succedere in seguito all’inattività dell’appaltatore o del committente.
Questa valutazione rappresenta un “apprezzamento di merito”, derivante da un giudizio di certezza e non di semplice probabilità.
Il giudice di merito deve accertare i difetti e il valore della loro entità, in quanto basati nell’apprezzamento di una circostanza di fatto, e siano incontestabili in sede di legittimità qualora vengano sostenuti da un’opportuna motivazione; “La valutazione della ricorrenza, in concreto, della condizione di eliminabilità delle difformità e dei vizi della cosa appaltata, la quale legittima il committente a chiedere, a sua scelta, uno dei due provvedimenti previsti dal 1° comma dell'art. 1668 c. c., o della totale inidoneità dell'opera alla sua destinazione,
47 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 300.
48 Cass. civ. Sez. II, 27-08-1993, n. 9064, Mass. Giur. it., 1993.
che, ai sensi del 2° comma dello stesso articolo, legittima il committente a chiedere la risoluzione del contratto, compete al giudice di merito, perché consiste nell'apprezzamento di una situazione di fatto, e non è censurabile in sede di legittimità, se confortata da adeguata motivazione”49.
Tuttavia, la Suprema Corte50 ha ritenuto che nell’applicazione dell’art. 1668 cod. civ. rientrano le difformità e i vizi dell'opus che siano visibili o proprie: l’elemento che differenzia le due discipline è dato dalla opinione sulla conformità o meno dell’opus al suo fine; ed è soltanto con il completamento dell’opera che diventa conforme e il committente può domandare l’eliminazione degli “elementi” che la rendono non idonea.
I rimedi previsti nell’art. 1668 cod. civ. sono legittimi soltanto per le opere evinte nel contratto di appalto e compiute in modo imperfetto, ma non influenzano la facoltà dell’appaltatore a ricevere un compenso per le opere realizzate oltre al progetto e ritenute del committente.51
3.7 L’azione per eliminare vizi e difformità.
La prima azione disciplinata dall’art. 1668 cod. civ. fra quelle a scelta del committente, per dimostrare la responsabilità dell’appaltatore, è quella dove si può chiedere ed avere l’eliminazione di vizi e difformità dell’opus.
Questa azione rappresenta un’applicazione peculiare dell’azione generale di adempimento prevista dall’art. 1453 cod. civ., dove “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”.
49 Cass. civ., 16-06-1980, n. 3814, Giur. it., 1981, I, 1, 1964.
00 Xxx. X. X., 00 xxxxxx 0000, x. 0000.
51 Cass. civ., 23-02-1981, n. 1073, Mass. Giur. it., 1981 :” La garanzia dovuta dall'appaltatore per le difformità dell'opera, ai sensi degli art. 1667 e 1668 c. c., comporta una proporzionale diminuzione del prezzo pattuito (ovvero l'eliminazione a sue spese delle difformità) ma non incide sul diritto dell'appaltatore medesimo ad ottenere un corrispettivo per le opere costruite in più rispetto al progetto e ritenute dal committente, il quale realizzerebbe un ingiustificato arricchimento, se tale diritto fosse negato”.
La particolarità di questo rimedio proviene non tanto dal suo contenuto, ma dalle premesse di attuazione (vizi c.d. palesi e vizi occulti), come pure dalla procedura e termini di esercizio, art. 1667, 2° e 3° comma, cod. civ.
L’obbligo di dover cancellare il difetto, sia che venga eseguito spontaneamente che ricorrendo in modo giudiziale, rappresenta una precisazione del vincolo di conseguire un un’opera perfetta (opus perfectum).
3.7.1 Domanda di eliminazione dei vizi.
Eliminazione dei vizi e riduzione del prezzo rappresentano due azioni rivali e due scelte. La scelta di esse compete al committente.
Sembra accettabile che la domanda di eliminazione dei vizi sia principale rispetto alla riduzione del prezzo, dove quest’ultima si pone come subordinata.
È in dubbio, se pure la domanda di riduzione del prezzo possa essere cambiata durante la domanda di cancellazione dei vizi.
È palese però che qualora il vizio o la difformità siano oggettivamente ineliminabili può essere chiesta la riduzione del prezzo.
La dottrina e la giurisprudenza hanno esaminato il problema della fattibilità concessa di eliminare i vizi, quando per tale eliminazione necessiti il totale disfacimento dell’opus e la conseguente ricostruzione di essa.
La Corte di Cassazione52 ha ritenuto che, pure in presenza delle premesse per chiedere la risoluzione del contratto di appalto, il committente può semplicemente domandare che la cancellazione dei vizi e delle difformità dell’opus vengano effettuate a spese
52 Cass. civ. Sez. II, 12-04-1996, n. 3454, Mass. Giur. it., Riv. Giur. Edil., 1996, I nota di DE TILLA, Corriere Giur., 1996, 12, 1395, nota di DE MARZO: “Anche in presenza dei presupposti per domandare la risoluzione del contratto di appalto, il committente può limitarsi a chiedere l'eliminazione, a spese dell'appaltatore, delle difformità o dei vizi da cui l'opera risulta affetta, pure se tale eliminazione sia possibile solo attraverso l'integrale rifacimento dell'opera medesima. (Nella specie, era stato accertato che i difetti riscontrati nell'opera appaltata, costituita dalla pavimentazione di un grande locale adibito a deposito, potevano essere eliminati, sicuramente e definitivamente, solo mediante il totale rifacimento del pavimento difettoso. La S.C., in applicazione dell'enunciato principio di diritto, ha cassato la sentenza del merito che aveva ritenuto esperibile soltanto la non proposta azione di risoluzione del contratto ed aveva pertanto respinto quella, in concreto esercitata, diretta ad ottenere la condanna dell'appaltatore ad eliminare a sue spese tali difetti)”.
dell’appaltatore, anche se l’eliminazione sia attuabile soltanto con la totale ricostruzione dell’opus.
3.7.2 L’eliminazione dei vizi.
L’eliminazione dei vizi e delle difformità dell’opera può essere considerata come una forma di “ripristino” in modo specifico volta a sistemare un inadempimento contrattuale.
L’attuazione di questa azione richiede la presenza di vizi e difformità nell’opera rispetto a quello concordato nel contratto di appalto.
Di notevole importanza è che, nel caso in cui il committente abbia scelto il rimedio della cancellazione dei vizi dell’opus, egli non è obbligato a corrispondere all’appaltatore il prezzo prima che le difformità siano state cancellate, potendo così appellare il principio inadimplenti non est adimplendum (all’inadempiente non è dovuto l’adempimento) previsto dall’art. 1460 cod. civ. e utilizzabile anche nei contratti di appalto.
L’art. 1668, 1° comma, cod. civ. sancisce che “il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore”: questa formulazione non considera che il committente possa o debba richiedere che vengano eliminati da un terzo, dallo stesso quindi risarcito, ma prevede che l’appaltatore sia obbligato in primis a compiere direttamente (nella maggior parte dei casi ha anche un interesse a far questo) la riparazione.
In questa ipotesi, l’appaltatore non riceve un corrispettivo ulteriore.
“La garanzia dell'appaltatore per le difformità ed i vizi della opera si configura, non come una garanzia in senso tecnico, ma come una esplicazione particolare della comune responsabilità per inadempimento, attuabile con la riduzione proporzionale del prezzo o con l'eliminazione delle carenze a spese dell'appaltatore, la quale, secondo l'alternativa della legge, comporta per quest'ultimo l'obbligo di procedere direttamente ai lavori di correzione e riparazione, senza ulteriore compenso, restandone quindi escluso l'onore di rimborsare al committente le spese di rifacimento; consegue che la domanda del committente di condanna dell'appaltatore al pagamento della somma necessaria per eliminare i vizi dell'opera non costituisce una mera modalità esecutiva della richiesta di eliminazione dei vizi bensì si inquadra nell'ambito dell'obbligo di riduzione del prezzo, assumendo il riferimento ai vizi funzione parametrica della somma all'uopo richiesta”53.
53 Cass. civ., 07-02-1983, n. 1016, Mass. Giur. it., 1983, Giust. Civ., 1984, I nota di XXXXXXXXX.
Qualora invece l’appaltatore neghi di voler effettuare direttamente l’eliminazione dei vizi, il committente dovrà usufruire della procedura giudiziale che comporta l’esecuzione forzata delle obbligazioni di fare, ovvero l’esecuzione tramite terzo (la c.d. esecuzione di danno).
Ne deriva, quindi, che dove in una situazione stragiudiziale non si arrivi ad un accordo tra le parti contraenti, il committente ha l’obbligo di interpellare un giudice per domandare l’esecuzione forzata in modo specifico; qualora non lo faccia e faccia iniziare i lavori da un terzo, successivamente non può più appellarsi al giudice per riconoscere questo come un’eliminazione dei vizi secondo l’art. 1668 cod. civ. e condanni perciò l’appaltatore al risarcimento delle spese sostenute.
A questo punto il ripristino è stato eseguito dal committente, che non ha la facoltà di ottenerlo a spese dell’appaltatore, per cui al primo permane la facoltà di domandare la riduzione del prezzo, solitamente rappresentato da una somma di danaro minore rispetto a quella pattuita.
Concludendo questo discorso possiamo dire che, se il committente sceglie come rimedio l’eliminazione dei vizi e delle difformità dell’opus, invece che la riduzione del prezzo, l’appaltatore ha l’obbligo di provvedervi tramite i propri mezzi.
Da questo deriva l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza e della dottrina, dove il termine “a spese” deve essere inteso sulla premessa implicita che la cancellazione deve essere attuata “ad opera” dell’appaltatore; questo significa che in qualunque caso, le spese sostenute per la cancellazione devono, qualsiasi sia il loro importo, gravare sull’appaltatore54.
Quando il committente reclama la cancellazione delle difformità dell’opus, ha la facoltà di ottenere la realizzazione dei lavori a spese ed in caso in danno all’appaltatore e non al mero rimborso delle spese a nome di quest’ultimo: per questo motivo il committente dovrà eseguire le proprie obbligazioni soltanto dopo la concreta realizzazione dei lavori destinati a cancellare vizi e difformità dell’opus.
54 Cass. civ. Sez. II, 27-02-1988, n. 2073, Giur. it., I, 1, 304: “Nel contratto d'appalto, una volta che il committente abbia chiesto giudizialmente la rimozione dei vizi e difformità dell'opera, l'appaltatore non può essere condannato ad una somma corrispondente al costo della rimozione, avendo diritto a provvedervi personalmente”.
3.7.3 Responsabilità per l’eliminazione delle difformità.
Il dovere di cancellare il vizio o difformità costituisce, come abbiamo già visto, una precisazione dell’obbligo di realizzare un’opera a “regola d’arte”, che adempi alle disposizioni contrattuali.
Per questo motivo, il “pericolo” della prestazione pesa tuttavia sull’appaltatore, a prescindere dal fatto che sia lui stesso o un terzo soggetto a compiere i lavori successivamente a una condanna d’esecuzione in modo specifico.
Nel caso in cui la difformità non venisse cancellata, indipendentemente dalla responsabilità di un soggetto terzo, visto che a causa della sua natura era non eliminabile totalmente o parzialmente, in capo all’appaltatore incombe sia l’obbligo di risarcire le spese sostenute per il ripristino tentato, sia l’obbligo che deriva dal mancato compimento dell’obbligazione primaria, mentre al committente rimane la facoltà di utilizzare il rimedio della riduzione del prezzo.
Il rimborso delle spese sostenute dal committente per eliminare vizi e difformità non viene usato come titolo di risarcimento danno: rappresenta un’obbligazione surrogatoria alla principale, costituita dalla realizzazione dell’opera.
“Nell'ambito di un contratto di appalto, l'eccezione di inadempimento, formulata in considerazione di alcuni vizi ed incompletezze dei lavori, opera nei limiti del corrispondente importo, sicché non esclude che per il residuo il committente, una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti, sia tenuto a corrispondere il corrispettivo dovuto per i lavori esenti da vizi, ed i relativi interessi di mora”55.
3.8 La riduzione del prezzo.
Assieme alla soluzione dell’eliminazione dei vizi e delle difformità l’art. 1668, 1° comma, cod. civ. prevede la possibilità concessa al committente di domandare la riduzione proporzionale del prezzo dell’opus.
Questo rappresenta un metodo che tuttavia non ostruisce l’accordo negoziale.
55 Cass. civ. Sez. II, 13-03-2007, n. 5869, Mass. Giur. it., 2007, CED Cassazione, 2007, Impresa, 2007, 6, 934.
La riduzione rapportata al minor valore dell’opus, dato che sono presenti difformità e vizi, ha l’obbiettivo di mettere il committente nella medesima circostanza ove si sarebbe trovato se avesse concluso il contratto ad un prezzo minore.
Il committente si serve di questa azione quando la difformità sia ineliminabile o quando essa non sia così di intralcio all’interesse del committente di usufruire tuttavia dell’opera.
“In tema di appalto, quando la risoluzione del contratto a norma dell'art. 1668, 2° comma, c.
c. non è possibile, perché le difformità o i vizi dell'opera non sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, ed il committente non ha chiesto l'eliminazione dei vizi o delle difformità, può essere disposta soltanto la riduzione del prezzo pattuito, adeguandolo all'opera compiuta, sempre che questa sia concretamente utilizzabile”56.
Un ulteriore caso in cui il committente ricorre a tale azione si ha quando l’atteggiamento dell’appaltatore sia tale da far diminuire nei suoi confronti la fiducia di un corretto adempimento.
“L'azione di riduzione del prezzo dell'appalto, prevista dall'art. 1668, comma 1, c.c., pur avendo natura diversa da quella di risarcimento dei danni prevista dalla medesima norma, è anch'essa un rimedio che tende a riparare le conseguenze di un inadempimento contrattuale. Pertanto, la somma liquidata a tale titolo non è soggetta al principio nominalistico ed è, quindi, rivalutabile in relazione al diminuito potere d'acquisto della moneta”57.
Molteplici sono le sentenze che dimostrano i criteri seguiti dal giudice per il rimedio della riduzione del prezzo.
In generale, devono essere applicati criteri oggettivi, costituiti nel confronto tra il valore e la produttività dell’opus con quelli della stessa imperfettamente realizzata58.
56 Cass. civ. Sez. II, 04-08-1990, n. 7872, Mass. Giur. it., 1990.
57 Cass. civ. Sez. II, 04-02-1999, n. 977, Mass. Giur. it., 1999.
58 Cass. civ. Sez. I, 04-10-1994, n. 8043, Mass. Giur. it., 1994, Contratti, 1995, 1, 48:”[..] Quando sia proposta la sola azione di riduzione del prezzo dell'appalto, il giudice di merito per determinare tale riduzione deve impiegare criteri obiettivi, consistenti nel raffronto del valore e del rendimento dell'opera pattuita con quelli dell'opera difettosamente eseguita; tuttavia, non è escluso, che in base a motivato apprezzamento, la differenza tra i predetti valori e rendimenti possa coincidere con il costo delle opere necessarie per eliminare vizi e difformità”.
Questa operazione di solito si calcola sottraendo dal prezzo concordato un importo proporzionale alla mancata corrispondenza tra il prezzo concordato nel contratto e il tipo di opus realizzata e trasmessa.
Affinché venga domandata la riduzione del prezzo, è necessario e fondamentale che l’opera sia stata portata a completamento, anche se in maniera difettosa.
Delle premesse previste per l’applicazione dei rimedi disposti dal primo comma dell’art. 1668 cod. civ. e quello della conclusione del contratto, si è esposta la Cassazione59 spiegando quanto segue: qualora venga scartata l’ipotesi che può dar luogo alla conclusione del contratto, ovvero se i vizi e le difformità non rendano l’opera completamente inidonea al suo fine, ed inoltre la difformità sia eliminabile soltanto con l’annullamento e il successivo ripristino dell’opera stessa, in tale situazione al committente rimane soltanto la soluzione della riduzione del prezzo.
Si presenterebbe così una situazione contraddittoria data dal respingimento dell’istanza di rimessione in pristino (che è costituito dalla conseguenza economica-giuridica dell’azione di conclusione contrattuale) e dall’ordinanza che l’opera sia “demolita” per poi essere successivamente ripristinata.
Nel caso in questione, non ci è abbastanza chiaro se la S.C. abbia reputato che il committente sia vincolato ad accogliere l’opera nello stato in cui si trova, “appagandosi” soltanto della riduzione del prezzo.
Alcune volte la giurisprudenza, nelle proprie sentenze, ha distinto vizi e difformità.
La presenza del vizio comporta una riduzione del valore o della capacità dell’opera e autorizza il committente ad assicurarsi la riduzione del prezzo; mentre nel casi di difformità dal progetto, non è sufficiente la dimostrazione che la diversità esista, ma è necessario che il committente provi (c.d. onus probandi) il minor valore o la minor funzionalità in relazione a quello che l’opera avrebbe avuto se fosse stata realizzata rispettando le regole contrattuali. Proprio per questo, la svalutazione dell’opera per la presenza di difformità non è una causa essenziale e costante, sempre se tali difformità non derivino dall’uso di materie di qualità minore di quelle che invece sarebbero dovute essere utilizzate secondo le indicazioni contrattuali.
59 Cass., 24-11-1959, n. 3458, Mass. Giur. it., 1959.
“Il committente che, deducendo difformità dell'opera eseguita dall'appaltatore, agisce per la riduzione del prezzo, ai sensi dell'art. 1668 c.c., ha l'onere di provare il deprezzamento, non essendo questo un effetto necessario e costante delle difformità dell'opera, a meno che queste difformità non dipendano dall'impiego di materiali meno pregiati di quelli contrattualmente previsti o da altre cause che per la loro intrinseca natura incidono sul pregio dell'opera; in tal caso la riduzione, che, di regola, deve essere determinata in base al raffronto del valore e del rendimento dell'opera pattuita con quelli dell'opera difettosamente eseguita, può anche farsi coincidere con il costo delle opere necessarie per la eliminazione delle difformità”60.
Dopo che l’appaltatore ha conseguito il decreto ingiuntivo di condanna non può esporre un’azione di diminuzione del prezzo, disciplinata dall’art. 1668 cod. civ. ; ciò nonostante il committente ha la facoltà di chiedere un rimborso del danno provocato dall’appaltatore ai soggetti o cose di proprietà del committente, dove l’appaltatore stesso risulti colpevole.
3.8.1 Rapporto tra le due azioni previste.
Come è previsto dall’art. 1668 cod. civ., con l’esistenza di vizi o difformità nell’opus, il committente ha la facoltà di decidere se eliminarli o proporre un’azione di riduzione del prezzo convenuto.
Queste azioni gravano sullo stesso interesse, che di conseguenza, può essere appagato soltanto una volta e non due volte con le ambedue azioni; le due corrispondenti azioni sono alternative.
Per questo, dopo che il committente ha scelto il rimedio della riduzione del prezzo, non può domandare altresì il risarcimento delle spese sostenute per cancellare le difformità dell’opus.
Tuttavia vi è un’eccezione al principio dell’alternanza delle due azioni: se il committente non ottiene il totale soddisfacimento del proprio interesse tramite una delle due azioni previste, gli è concesso di proporre l’altra azione, quella non ancora attuata, per la porzione di danno non ancora soddisfatta.
Così si è espressa anche una sentenza della Suprema Corte “il concorso alternativo della domanda diretta ad ottenere l’eliminazione delle difformità o devi vizi dell’opera e di quella
di riduzione del prezzo (alternativa che concreterà nella riduzione del prezzo se le difformità od i vizi non siano eliminabili), significa che esse incidono sul medesimo interesse, che può essere, quindi, soddisfatto una sola volta e non due volte con entrambi i rimedi, ma non significa che, proposta giudizialmente una delle domande in via principale o riconvenzionale nel giudizio di primo grado non si possa passare all’altra finché il giudice istruttore non abbia rimesso la causa al Collegio, o che l’altra domanda non possa essere proposta per la prima volta in appello. Non può, infatti ravvisarsi domanda nuova, in via generale, salvo specifiche eccezioni, nel caso di concorso alternativo ex lege di più domande, ed in particolare nel concorso tra le domande in questione, le quali attraverso l’eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo tutelano, senza introdurre nel processo beni diversi, il medesimo interesse, cioè il mantenimento del contratto, riducendo l’equilibrio economico derivante dai vizi dell’opera”61.
Secondo tale sentenza, il committente, dopo aver chiesto la riduzione del prezzo, non può durante la causa cambiare le domande richiedendo la cancellazione delle difformità a cura dell’appaltatore.
3.9 Il risarcimento dei danni.
Il risarcimento nel contratto di appalto, soluzione prevista per la presenza di vizi e difformità dell’opera appaltata, va a collegarsi alle azioni disciplinate per l’inadempimento dell’appaltatore.
Per questo, l’art. 1668, 1° comma, cod. civ., pone al committente la facoltà di scegliere tra due alternative: domandare che le difformità vengano cancellate spontaneamente dall’appaltatore a proprie spese, o che il prezzo inizialmente concordato nel contratto di appalto venga diminuito, riservandosi l’ipotesi di provvedere autonomamente, cioè senza l’intervento dell’appaltatore, alle modifiche dell’opera.
Nell’ipotesi in cui, tuttavia, oltre alla presenza di vizi e difformità rimediabili in modo specifico, ve ne siano di irrimediabili, il committente ha la facoltà di ricorrere all’azione di risarcimento, disciplinata dal medesimo art. 1668, 1° comma, cod. civ..
“In tema di appalto, con riguardo alla responsabilità dell'appaltatore, per vizi dell'opera, a norma dell'art. 1668 c. c., l'interessato può chiedere, in alternativa ovvero in aggiunta alla domanda di adempimento del contratto in forma specifica e di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto, che gli venga altresì risarcito il danno costituito dalle spese necessarie per eliminare i vizi del bene a lui fornito”62.
Quindi, quando l’appaltatore si trova in colpa, il risarcimento del danno è obbligatorio in ogni caso, sia che il committente si sia avvalso di chiedere l’eliminazione dei vizi sia che sia ricorso alla riduzione del prezzo, quando questi rimedi non sono adeguati per riparare il danno subito, come nell’ipotesi di difformità o vizi non eliminabili o eliminabili in modo parziale.
Secondo la giurisprudenza, le caratteristiche dell’azione del risarcimento del danno rispetto alle altre due disciplinate sempre dal medesimo art. 1668 cod. civ., non vanno considerate nel senso che il risarcimento del danno può essere attuato soltanto quando sia stata attuata una delle altre due azioni; l’azione di risarcimento danni può essere attuata in aggiunta alle altre, e quando ve ne sono i presupposti, in surrogazione di esse.
Nell’art. 1668 cod. civ. con l’espressione “salvo risarcimento danni” il legislatore vuole far riferimento al fatto che le difformità e i vizi dell’opera possono comportare al committente un danno irrimediabile con la mera eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo concordato, e che tale danno è dalla legge “fatto salvo”.
Per questo il committente può chiedere il risarcimento in modo indipendente e autonomo dalle altre azioni di garanzia.
Il committente, tuttavia, può rifiutare l’azione di risarcimento danni eliminabili, attuando, invece, una delle due azioni (eliminazione vizi o riduzione prezzo) e domandare il rimborso dei danni non eliminabili con quelle azioni.
In qualunque ipotesi, le azioni di garanzia non sono sostituibili l’un l’altra, e soprattutto, “non è consentito ottenere con la domanda di risarcimento dei danni gli effetti dell'azione per l'eliminazione dei vizi, se questa non è stata proposta e neppure è possibile pretendere sotto il profilo del risarcimento (quando non sussistono danni ulteriori cagionati dall'opera
difettosa) una riduzione del prezzo maggiore dell'entità del corrispettivo pattuito, salvo il diritto all'eventuale rivalutazione monetaria”63.
Molteplici sono le sentenze della Cassazione che spiegano alcune annotazioni ulteriori in materia:
1. “Il mancato accoglimento della domanda di risoluzione del contratto di appalto (formulata a norma dell'art. 1668 c. c.) e le ragioni poste a sostegno di tale decisione non implicano necessariamente negazione della fondatezza della domanda di risarcimento congiuntamente proposta, la quale può prescindere dalla risoluzione del contratto ed è specificamente fatta salva nel 1° comma dell'art. 1668 cit.”64.
2. “Il 1° comma dell'art. 1668 c. c., prevedendo alternativamente l'eliminazione dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore o la proporzionale riduzione del prezzo, fa sempre salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore, la quale, vertendosi in materia di responsabilità contrattuale, si presume fino a prova contraria; […] il diritto del committente al risarcimento suddetto può sussistere, indipendentemente dal fondamento dell'actio quanti minoris, anche nel caso in cui l'appaltatore, discostatosi arbitrariamente dal progetto, abbia realizzato un edificio con caratteristiche diverse da quelle indicate nel progetto”65.
3. Nell’ipotesi in cui il committente abbia ordinato a terzi la realizzazione dell’obbligazione non correttamente adempiuta dall’appaltatore, con la conseguente realizzazione di un’opera di maggior valore, dato l’utilizzo di materia prima più costosa rispetto a quella concordata, “il risarcimento del danno per l’inadempimento non si estende a compensare il costo dei materiali più onerosi di quelli pattuiti”66.
Elenchiamo ora, in modo esemplificativo, le situazioni dove vi è la presenza di danni irreparabili con le azioni di cancellazione dei vizi o riduzione del prezzo:
a. Se la cancellazione del vizio o difformità preveda un lasso di tempo, e di conseguenza il committente ottiene l’opera oltre il termine stabilito contrattualmente.
63 Cass. civ. Sez. II, 21-02-1996, n. 1334, Mass. Giur. it., 1996, Riv. Giur. Edil., 1996, I nota DE TILLA, Contratti, 1996, 3, 279, Giur. Bollettino legisl. tecnica, 1997, 3886.
64 Cass. civ. Sez. II, 19-02-1986, n. 1023, Mass. Giur. it., 1986.
65 Cass. civ., 16-05-1981, n. 3223, Mass. Giur. it., 1981.
b. Può accadere che l’opera riparata comporti, a causa della presenza di difformità nella realizzazione o nel ripristino, un danno a soggetti e “cose” del committente.
c. Qualora l’opera sia stata realizzata in maniera diversa rispetto a quello concordato, si può presentare la situazione in cui essa abbia un minor valore o produttività a quello che invece avrebbe dovuto presentare se fosse stata fedele alle prescrizioni contrattuali. In questa ipotesi, il committente non può ricorrere alla riduzione del prezzo, ma potrà soltanto pretendere il rimedio comune del risarcimento danno.
3.9.1 Quantificazione del danno da risarcire.
Qualora il committente, invece di utilizzare le azioni di cancellazione dei vizi e difformità o riduzione del prezzo, esperisce l’azione di risarcimento danno causato dall’errato adempimento dell’appaltatore, il valore del risarcimento chiesto può coincidere con la spesa dovuta per eliminare vizi e difformità dell’opera appaltata; spesa aggiornata, visto che rappresenta un debito di valore, in base ai cambiamenti del potere d’acquisto della moneta. Il dilemma degli interessi obbligatori che l’appaltatore dovrà corrispondere al committente, è stato discusso dalla S. C.67 dove ha spiegato che, visto che la garanzia per difformità e vizi dell’opera rappresenta un diritto per ricevere il risarcimento del danno, gli interessi sugli importi successivamente conferiti sono dovuti dal giorno della presentazione della domanda giudiziale, dove l’appaltatore viene così a trovarsi in mora, e non dalla data di sentenza che stabilisce l’importo di competenza al committente.
Sempre con riferimento agli interessi, ma stavolta a favore dell’appaltatore, è da considerare tale sentenza: “Quando il committente, rilevata l'esistenza di vizi dell'opera, non ne pretenda l'eliminazione diretta ad opera dell'appaltatore, ma si limiti a chiedere il risarcimento dei danni per l'inesatto adempimento, il credito dell'appaltatore per il compenso pattuito non viene in discussione e produce, perciò, interessi dal momento della proposizione della domanda avente ad oggetto il pagamento del compenso”68.
67 Cass., 28-03-1962, n. 639, Mass. Giur. it., 1962.
68 Cass. civ., 14-07-1981, n. 4606, Mass. Giur. it., 1981.
3.9.2 La colpa dell’appaltatore.
Sappiamo che l’appaltatore è obbligato a rimborsare al committente i danni sostenuti per l’inesatto funzionamento dell’opus, quando è considerato colpevole, ovvero quando ha realizzato l’opus con la mancanza dell’ordinaria diligenza.
Quindi il presupposto necessario per poter attuare l’azione di risarcimento danno è l’elemento soggettivo, rappresentato dalla colpa o dolo dell’appaltatore.
A tal proposito, bisogna aver presente che il 1° comma dell’art. 1668 cod. civ., dove disciplina la facoltà del committente al risarcimento del danno nell’ipotesi in cui l’appaltatore sia colpevole, non prevede nessuna deroga ai principi comuni e generali disciplinati dagli artt. 1176 e 1218 cod. civ.
La giurisprudenza dichiara che “In tema di inadempimento del contratto di appalto le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668, 1669 x.x. x xx. xxxxxxxxx - xxxxx xxxxxxxxxx x'xxxxxxxxxxxx - x xxxxxxxx xxxxxxxx xx xxxxxxx di inadempimento delle obbligazioni e di responsabilità comune dell'appaltatore che si applicano in assenza dei presupposti per la garanzia per vizi e difformità prevista nel caso in cui l'opera completata sia realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche. Ne consegue che il committente, convenuto per il pagamento, può - al fine di paralizzare la pretesa avversaria - opporre le difformità e i vizi dell'opera ,in virtù del "principio inadempimenti non est adimplendum", richiamato dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta”69.
Da questo deriva che, per ottenere il risarcimento, la colpa dell’appaltatore deve essere presunta, fatta comunque salva la prova contraria da parte dello stesso, come prevede la giurisprudenza.
“Il committente che agisce nei confronti dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 1668 c. c. per il risarcimento dei danni derivanti da vizi o difformità dell'opera, non è tenuto a dimostrare la colpa dell'appaltatore medesimo, in quanto, vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, tale colpa è presunta fino a prova contraria”70.
È necessario rammentare quali sono i casi dove l’appaltatore è escluso da colpa.
69 Cass. civ. Sez. II, 17-05-2004, Mass. Giur. it., 2004, Contratti, 2004, 11, 1045, Giur. Bollettino legisl. tecnica,
2004, 450, Gius, 2004, 3561, CED Cassazione, 2004.
70 Cass. civ. 09-07-1983, n. 4637, Mass. Giur. it., 1983.
Sicuramente quando le difformità o i vizi dipendono da caso fortuito; poi, quando viene provato che la difformità o il vizio scaturiscono da vizi del progetto o da sbagliate disposizioni date dal committente o dal direttore dei lavori, con l’attenzione tuttavia che, secondo alcune pronunce, questa prova non è sempre considerata come liberatoria; quando l’appaltatore dimostri di aver considerato i principi tecnici previsti durante la realizzazione dell’opera appaltata, ma solamente successivamente si siano rivelati sbagliati; e, concludendo, quando l’appaltatore provi che il vizio non poteva essere evitato nonostante abbia utilizzato il grado di perizia previsto per proprio lavoro.
3.10 La risoluzione del contratto di appalto.
L’art. 1668 cod. civ., nell’ultimo comma, disciplina come ultimo rimedio a favore del committente, dato il non corretto adempimento dell’appaltatore, la risoluzione del contratto: “se però le difformità o vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto”.
Rappresenta un rimedio che viene applicato nelle situazioni di maggior complessità delle difformità e vizi.
A tal riguardo occorre menzionare che tale norma sopracitata va collegata con quella dell’art. 1455 cod. civ., ove il contratto non può concludersi, qualora l’inadempimento di una delle due parti ha avuto “scarsa importanza”, in riferimento all’interesse dell’altra parte.
Quindi nel contratto di appalto, nonostante l’applicazione dei principi generali in ambito di inadempimento, il legislatore non ha descritto solo la complessità dell’inadempimento, disciplinato come abbiamo detto dall’art. 1455 cod. civ., ma ha anche “rinunciato” a tale norma pretendendo una gravità più rilevante di quella normalmente pretesa71 .
71 Cass. civ. Sez. II, 04-11-1994, n. 9078, Mass. Giur. it., 1994, Contratti, 1995, 2, 202: “In tema di appalto il committente può ottenere la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1668 comma 2 c.c. solo quando le difformità ed i vizi, incidendo in modo notevole sulla struttura e funzionalità dell'opera, siano tali da rendere la stessa del tutto inidonea alla destinazione sua propria e non anche quando si tratti di difetti facilmente ed agevolmente riparabili che consentono al committente di chiedere l'eliminazione delle difformità ovvero una riduzione del prezzo e ove concorra la colpa grave dell'appaltatore anche il risarcimento dei danni che non possono essere eliminati con i sopracitati rimedi”.
Per tutto questo, la risoluzione del contratto è ritenuta una soluzione che ha carattere eccezionale; dove appunto tale rimedio è concesso soltanto nella situazione particolare in cui le difformità o i vizi dell’opera appaltata la rendano inidonea al suo fine, secondo l’art. 1668, 2° comma, cod. civ.
Per avere la risoluzione del contratto, secondo l’art. 1668, 2° comma, cod. civ., l’attributo della gravità dell’inadempimento, previsto dall’art. 1455 cod. civ., deve avere un’importanza maggiore “per cui è corretto concludere, sotto questo profilo, che la prima norma deroghi alla seconda, nel senso di esigere una gravità maggiore di quella ordinariamente richiesta per tutte le normali ipotesi risolutorie.
Quindi, non ogni inadempimento dell’appaltatore, nel che certamente si sostanzia anche il concetto di difformità dell’opera tenuto presente dalla disciplina normativa del contratto di appalto, legittima il committente a richieder la risoluzione del contratto stesso”72.
Nel regolamentare il contratto di appalto, il legislatore ha tenuto presente il suo carattere di “rapporto ad esecuzione prolungata”, dove nel caso di risoluzione si verificano effetti patrimoniali peggiori rispetto a quelle verificatesi in altre fattispecie dove si realizza la risoluzione.
L’organizzazione dei mezzi di cui l’appaltatore si serve per realizzare l’opera, ai sensi dell’art. 1655 cod. civ., verrebbe colpita integralmente, o comunque parzialmente, dalla risoluzione contrattuale.
Per di più, l’appaltatore pratica un’attività che non è diretta alla vendita, e pertanto, nel caso di scioglimento contrattuale, non avrebbe la facoltà di porre l’opus, realizzata in onore di un preciso committente e su sua indicazione, sul mercato.
Quindi considerando altri aspetti, non si può escludere l’ipotesi in cui le difformità o i vizi possano essere eliminati soltanto ricostruendo nuovamente l’opera, dove, appunto, il committente, per ottenere il corretto adempimento dell’appaltatore chieda, ai sensi dell’art. 1453 cod. civ., in vista della risoluzione, proprio la totale ricostruzione dell’opera.
Tuttavia, la risoluzione del contratto di appalto non può essere chiesta e ottenuta qualora l’opera presenti un malfunzionamento.
72 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, La responsabilità civile nell’appalto: responsabilità contrattuale, extracontrattuale, concorso di colpa, garanzie, Padova: CEDAM, 2001, p.214.
Difatti, un malfunzionamento dell’opera può derivare da difformità “lievi” e agevolmente rimediabili attraverso lavori ulteriori comunque di scarsa importanza.
La Cassazione73 ha poi stabilito che qualora la produttività dell’opera appaltata sia “meno soddisfacente" di quello stabilito nel contratto, questa situazione non legittima la conclusione del contratto.
3.10.1 La qualità della totale inidoneità dell’opera.
La giurisprudenza meno recente riteneva che la risoluzione del contratto sarebbe stata ammessa soltanto quando l’opera, essendo totalmente non adatta al suo fine, dovesse essere obbligatoriamente cancellata per salvaguardare e giustificare così una ricostruzione della stessa conforme alla sua destinazione.
Al contrario, la dottrina maggioritaria interpreta la norma in modo esteso, per questo si può ricorrere alla risoluzione del contratto di appalto in tutte quelle situazioni dove l’opera sia totalmente diversa rispetto a quella concordata nel contratto medesimo, oppure sia privo di una fondamentale qualità, come è oggettivamente ritenuta.
Proprio per questo, il caso di totale diversità non coincide sempre con quella dell’assoluta inidoneità.
La dottrina maggioritaria dimostra come esempio un tavolo che è stato realizzato in stile quattrocento piuttosto che in novecento.
In tale situazione, non possiamo dire che l’opera è totalmente inidonea al suo fine (visto che un tavolo è stato chiesto e di conseguenza un tavolo è stato realizzato), ma essa rappresenta un opera totalmente diversa rispetto a quella concordata nel contratto di appalto.
“Il concetto di “destinazione” dell’opera va inteso non già come semplice proiezione teleologica verso un determinato uso materiale della cosa, ma quale complesso dei fini, anche di carattere diverso, per i quali l’opera è stata realizzata.
A tale proposito basterebbe osservare, per restare nell’esempio indicato in precedenza, che un mobile come un tavolo in “stile” destinato ad uno studio professionale serve non soltanto per consentire al committente di lavorare o di studiare, ma anche e soprattutto per arredare l’ambiente, secondo i gusti e le esigenze soggettive del beneficiario dell’opera”74.
73 Cass., 13-08-1964, n. 2314, FI, 1965, I, 276.
74 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, La responsabilità civile nell’appalto: responsabilità contrattuale, extracontrattuale, concorso di colpa, garanzie, Padova: CEDAM, 2001, p.217.
Di conseguenza, possiamo dire, che in numerose situazioni, l'assenza di specifici pregi o di attributi, in apparenza “esteriori” della “cosa”, anche se non gravano in maniera diretta ed istantanea sulla fruibilità dell’opus, può presentare quest’ultima totalmente inadatta alla sua destinazione per cui è stata eseguita, attribuendo al committente il diritto di domandare la risoluzione del contratto.
Per manifestare la conclusione del contratto di appalto, dobbiamo tener presente, sempre ai sensi dell’art. 1668, 2° comma, cod. civ., che è essenziale il carattere della mera inidoneità dell’opus e non la non cancellazione del vizio75.
A tal riguardo, la caratteristica della non eliminabilità dei difetti e vizi non è stata disciplinata dall’art. 1668, 2° comma, cod. civ., ma bisognerebbe dedurla dal primo comma, come alternativa tra la loro cancellazione ad opera e a spese dell’appaltatore o la riduzione del prezzo; il legislatore in tale articolo ha messo, tra il primo e il secondo comma, una progressione nella gravità dei vizi e delle difformità, dando la facoltà di risoluzione del contratto soltanto quando l’opus è completamente inidonea al suo fine (definendo pertanto la sfera di applicazione della risoluzione per vizi in ambiti molto più rigidi rispetto all’azione di conclusione generale per inadempimento disciplinato dall’art. 1455 cod. civ.).
3.10.2 Le conseguenze della conclusione contrattuale: il principio di retroattività.
Quanto agli effetti della conclusione del contratto, possiamo ricordare come l’appalto non rappresenta una fattispecie negoziale ad esecuzione continuata o periodica, avendo tuttavia in comune con questa l’esigenza che la realizzazione si svolga per un lasso di tempo; il contratto di appalto è un contratto ad esecuzione prolungata.
Per tale ragione, qualora non si svolgano situazioni disciplinate dalla legge negli artt. 1666 (“verifica e pagamento delle singole partite”), 1671 (“recesso unilaterale dal contratto”) e 1677 (“prestazione continuativa o periodica di servizi”) cod. civ., la conclusione del contratto in essere, per non conformità totale dell’opera al suo fine, è regolata dalla disciplina generale prevista dall’art. 1458, 1° comma, cod. civ., che prevede il principio di retroattività tra le parti “la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti”.
75 Cass. civ., 07-12-1981, n. 6479, Mass. Giur. it., 1981: ” In tema di appalto, ai fini della risoluzione del contratto per fatto dell'appaltatore (art. 1668, 2° comma, c. c.), si richiede che le difformità od i vizi dell'opera siano tali da renderla inidonea in modo totale, anche se non definitivo, alla sua destinazione […]”.
Di conseguenza, la risoluzione ha efficacia retroattiva e porta le due parti contrattuali alla posizione iniziale, con la conseguenza che, il committente viene esonerato dal pagamento del prezzo all’appaltatore, e quest’ultimo, qualora avesse già ricevuto il pagamento, è obbligato a riconsegnare quanto ricevuto con gli interessi dal giorno del pagamento.76
Il committente ha diritto al risarcimento del danno, oltre alla soddisfazione del proprio interesse, visto che nel caso di conclusione contrattuale, il risarcimento dei danni deriva al primo comma dell’art. 1453 cod. civ.
“La risoluzione del contratto di appalto, per colpa dell’appaltatore, non osta a che questi, in detrazione alle ragione di danno spettanti al committente, abbia diritto al riconoscimento di un compenso opere già effettuate, e delle quali comunque il committente stesso si sia giovato”77.
Similmente nelle fattispecie di cancellazione vizi o difformità e riduzione del prezzo, il risarcimento del danno non è obbligatorio se l’appaltatore dimostra di essere esente da colpa.
“Nel caso di risoluzione del contratto di appalto per totale inidoneità dell'opera alla sua destinazione, il risarcimento dovuto al committente, liberato dall'obbligo del pagamento del prezzo, non può comprendere l'intero prezzo dal committente medesimo sostenuto per procurarsi, mediante la conclusione di un altro contratto di appalto, la stessa utilità perseguita con il contratto risolto, ma solo quella differenza fra tale ulteriore spesa e la minor somma che egli avrebbe dovuto versare all'appaltatore rimasto inadempiente”78.
Nell’ipotesi in cui il contratto di appalto abbia come oggetto il compimento di un bene mobile, l’opus permane di proprietà dell’appaltatore; in questo modo, qualora l’opus fosse già stata trasmessa al committente, quest’ultimo deve riconsegnarla, anche se abbia già utilizzato, anche parzialmente, la materia prima.
La restituzione dell’opera all’appaltatore rappresenta sia il titolo per avere il risarcimento del danno, sia l’attuazione della “rimissione in pristino”, effetto quest’ultima del principio di retroattività della risoluzione contrattuale, che si ha anche nell’ipotesi in cui l’appaltatore sia esente da colpa.
76 Cfr. Cass., 19-02-1968, n. 574, Mass. Giur. it., 1968.
77 Cass., 13-12-1977, n. 5444, Mass. Giur. it., 1977.
78 Cass. civ., 27-04-1981, n.2525, Mass. Giur. it., 1981.
Nell’ipotesi in cui il committente, anche se chiede la conclusione contrattuale, ritienga di mantenere l’opus per destinarla tuttavia a fini diversi rispetto a quelli concordati inizialmente, si presentano molteplici soluzioni.
Per alcuni, l’opera diviene di appartenenza del committente a titolo di accessione con il vincolo di rimborsare l’appaltatore, non secondo il prezzo stabilito in contratto, ma secondo i principi di indennizzo sanciti dall’art. 936 cod. civ.
Per altri invece, l’opera deve essere pagata dal committente al prezzo concordato nel contratto, eventualmente diminuito proporzionalmente dalla presenza di vizio o difformità, come dal presumibile risarcimento danni.
All’applicazione del principio di retroattività si presentano, però, alcune eccezioni; un esempio è il caso di appalto di manutenzione o di servizi dove si manifesta una fattispecie ad esecuzione periodica o differita: “rispetto ad esse non può aversi piena retroattività della risoluzione e restano salve le prestazioni già eseguite e, quindi, l’obbligo di pagare il relativo corrispettivo, secondo la reale entità di esse in relazione all’utilità trattane dal committente, e salva sempre un’eventuale ragione di danno per quest’ultimo in rapporto alle prestazioni non eseguite”79.
3.11 Il cambiamento di domanda.
Anche se vi sono i presupporti per chiedere la risoluzione contrattuale, il committente può semplicemente domandare la cancellazione del vizio o difformità o la completa ricostruzione dell’opera oppure la diminuzione del prezzo.
La mera richiesta stragiudiziale può essere modificata nella citazione e a maggior ragione prima di essa: è pertanto concesso di passare dalla richiesta di cancellazione del vizio o riduzione del prezzo a quella di risoluzione del contratto e al contrario.
Nella situazione, invece, in cui il committente abbia chiesto in giudizio la risoluzione del contratto, non può nel corso della medesima sentenza, modificare la domanda e surrogarla con quella di inadempimento, ove si fonda la cancellazione dei vizi e difformità, art. 1453, 2° comma, cod. civ. (“la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato
79 Cass., 9-11-1977, n. 4818, RFI, 1977, Appalto, n.46.
promosso per ottenere l’adempimento; ma non può chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione”).
In ambito di appalti quindi, si è confermato che l’applicazione dell’art. 1453, 2° comma, cod. civ. prevede la possibilità di modificare la domanda iniziale di adempimento con quella di conclusione80.
Un altro problema affrontato dalla giurisprudenza riguardava la possibilità, durante il giudizio, di cambiare la domanda di diminuzione del prezzo con la domanda di risoluzione contrattuale.
La Suprema Corte ha discusso tale tema in molteplici sentenze, anche relativamente all’ipotesi del cambiamento della domanda di risoluzione contrattuale alla domanda di diminuzione del prezzo; un esempio è stato dato dalla Cassazione dove ha confermato l’opportunità di mutamento anche in corso d’appello della domanda di risoluzione contrattuale con quella di diminuzione del prezzo, affermando inoltre che “invero, non soltanto non è estensibile all’appalto il principio – dettato per la vendita dall’art. 1492, comma 2°, cod. civ. – dell’irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo; ma nel caso di inadempimento dell’appaltatore il divieto posto dall’art. 1453, comma 2°, cod. civ., impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in quella di adempimento ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo. Questa domanda, infine, non integra una domanda nuova rispetto a quella originaria di risoluzione perché fondata sulla stessa causa petendi e caratterizzata da un petitum più limitato”81.
Successivamente una sentenza della Cassazione desume una conseguenza: ” In tema di appalto non è applicabile il principio dettato per la vendita dal 2° comma dell'art. 1492 c. c. della irrevocabilità della scelta operata mediante domanda giudiziale tra la risoluzione del contratto e riduzione del prezzo, con la conseguenza che la domanda di risoluzione del contratto d'appalto può proporsi nell'udienza di precisazione delle conclusioni dopo che con l'atto di citazione sia stata chiesta la riduzione del prezzo, e che quest'ultima può essere
80 Cass., 19-04-1974, n. 1074, Mass. Giur. it., 1974.
81Cass., 15-06-1976, n. 2236 ; Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 327.
nuovamente introdotta nel giudizio d'appello in sostituzione di quella di risoluzione, in quanto fondata sulla stessa causa petendi e su un più limitato petitum”82.
Le sentenze sopracitate, assieme ad alcune non menzionate, fanno parte di un’evoluzione di pensiero che arriva ad un punto finale con la massima: “In materia di appalto, le domande di risoluzione del contratto e quelle di riduzione del prezzo o di eliminazione dei vizi non sono reciprocamente incompatibili, onde ne è ammissibile la cumulativa proposizione in un unico giudizio, poiché l'actio quanti minoris non è richiesta di esatto adempimento, con la conseguenza che, quanto ai suoi rapporti con la domanda di risoluzione, non opera il divieto posto dall'art. 1453, 2° comma, c.c. - che impedisce di chiedere l'adempimento dopo che sia stata domandata la risoluzione del contratto - mentre, per ciò che concerne i rapporti fra la domanda di risoluzione ed eliminazione dei vizi, l'esatto adempimento richiesto con questa seconda incorre nel divieto suddetto nei soli limiti in cui sussista l'interesse attuale del contraente che ha chiesto la risoluzione, tal che non può escludersi la proponibilità di entrambe le medesime domande in un unico giudizio, per l'eventualità del venir meno di tale interesse e quindi in rapporto di subordinazione della seconda alla prima”83.
3.12 Prescrizione e termine nelle azioni di garanzia.
3.12.1 Il termine per le azioni di responsabilità.
L’appalto appartiene alla categoria delle fattispecie di locazione d’opera, regolate normalmente da specifici termini per l’attuazione delle azioni di responsabilità che da esse nascono.
Gli artt. 1667, 1668 e 1669 cod. civ., che prevedono azioni speciali a favore del committente, a protezione dell’adempimento dell’obbligazione presa in carico dall’appaltatore, disciplinano inoltre molteplici termini per la loro attuazione, che si differenziano dai normali termini c.d. ordinari sanciti per le solite azioni di inadempimento.
Negli artt. 1667, 2° comma, e 1669, 1° comma, cod. civ., la decadenza è prevista per l’assenza di denuncia del committente all’appaltatore di eventuali vizi o difformità (sempre se non ci si trovi nella situazione disciplinata dalla seconda parte del secondo comma
82 Cass. civ. Sez. II, 06-02-1986, n.736, Mass. Giur. it., 1986.
83 Cass. civ. Sez. I, 27-04-1993, n. 4921, Corriere Giur., 1993, 1201 nota di DE XXXXXXX.
dell’art. 1667 cod. civ.), o per rovina o per pericolo di quest’ultima o per gravi difetti riferiti a “edifici o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata”.
Ai sensi dell’art. 1667, 3° comma, cod. civ. la prescrizione grava sull’azione contro l'appaltatore, visto che la garanzia derivante da eventuali vizi o difformità deve essere fatta valere “entro due anni dal giorno della consegna dell’opera”; anche se, rimane al committente il diritto di appellarsi, in ogni istante, alla garanzia, quando quest’ultimo è convenuto per il pagamento, “purché le difformità o i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna”.
Tuttavia, “in tema di appalto, la valutazione circa l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 1667 c.c. ovvero di quella di cui all'art. 1669 c.c. ed il conseguente accertamento dei termini di decadenza e prescrizione relativi alla disciplina ritenuta applicabile costituiscono un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione esauriente e logica”84.
3.12.2 La decadenza delle azioni di garanzia nel contratto di appalto e la decorrenza del termine.
Come abbiamo appena detto, l’art. 1667, 2° comma, cod. civ., disciplina l’obbligo del committente di denunciare, a pena di decadenza, “difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta”; ed inoltre, secondo il terzo comma, entro due anni dalla consegna dell’opus, termine utile per la prescrizione.
Il legislatore chiarisce che a tale termine di decadenza viene collegato in via secondaria la reale validità della garanzia, tranne nell’ipotesi in cui l’appaltatore individui le difformità dell’opus o le occulti.
“Oltre che ad interrompere il termine di decadenza, la denunzia in esame è utile anche come atto per l’interruzione del termine di prescrizione biennale e consente in ogni momento al committente, convenuto per il pagamento del corrispettivo dell’opera appaltata, di far valere, in via di eccezione, la responsabilità dell’imprenditore”85.
Dal momento che, il termine di “sessanta giorni dalla scoperta dei vizi”, è indicato a pena di decadenza, questo non risulta soggetto a sospensione (secondo l’art. 2964 cod. civ.).
84 Cass. civ. Sez. II, 13-12-1999, n. 13969, Mass. Giur. it., 1999.
85 Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Appalto e contratto d’opera, la responsabilità, Bologna: Zanichelli, 2008, p. 100.
Tale decadenza, inoltre, non si presenta quando il committente, entro il termine di sessanta giorni, proceda in modo giudiziale piuttosto che in modo stragiudiziale.
Secondo quanto previsto dall’art. 1667 cod. civ., la giurisprudenza ritiene che il termine valido per denunciare eventuali vizi o difformità non cominci quando il committente individua una comune anomalia o difformità dell’opera, ma quando si definisce una circostanza tale che il committente consideri che la difformità o il vizio individuati rappresentano con sicurezza l’irregolarità dell’opera, tali da considerare responsabile l’appaltatore86.
Per scoperta del vizio, come inizio del termine per denunciarne la presenza, bisogna considerare implicitamente quello della sicurezza e obbiettività del vizio che il committente vuole denunciare.
Tuttavia, in mancanza di prova contraria, si può consentire che la presunzione si riferisca a una difformità concretamente riconosciuta dal momento stesso in cui essa è divenuta.
Inoltre, un altro requisito per il termine di decadenza è dato dal fatto che il committente intuisca il rapporto causa-effetto (c.d. nesso causale) tra la visione esterna del vizio e l’azione dell’appaltatore87.
3.12.3 La prescrizione delle azioni di garanzia.
Le azioni di garanzia, secondo l’art. 1667, 3° comma, cod. civ., concesse al committente si devono prescrivere nel termine massimo di due anni dalla consegna dell’opera.
Tale termine biennale combacia con il termine operativo della garanzia stessa, che, in seguito alla scadenza dei due anni, non può essere ulteriormente appellata dal committente per eventuali vizi o difformità che dovessero essere individuati.
Questo stesso termine biennale, però, non ha valore se il committente, qualora non abbia pagato totalmente o parzialmente il prezzo fissato nel contratto di appalto per la presenza di vizi o difformità nell’opera, sia stato chiamato in giudizio dall’appaltatore per la liquidazione di quanto concordato e sia stato osservato dal committente stesso il termine per la decadenza della denuncia delle difformità (entro sessanta giorni dalla scoperta).
86 Cass. civ. Sez. II, 12-03-1986, n. 1655, Mass. Giur. it., 1986.
87 Cass. civ. Sez. I, 09-08-1997, n. 7449, Mass. Giur. it., 1997: “In tema di garanzia per difformità e vizi dell'opera nel contratto di appalto, il termine di decadenza di cui all'art. 1667, comma 2, comincia a decorrere dalla percezione del nesso causale tra segno esteriore del vizio ed opera dell'appaltatore”.
“Xxx sia prescritta la relativa azione per il decorso di due anni dalla consegna dell'opera, il diritto del committente alla garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera ex art. 1667 c.c. rimane tutelato solo nei limiti comma ultimo della predetta norma, quando l'appaltatore abbia - in via principale o riconvenzionale - richiesto il pagamento del prezzo o di un suo residuo. Conseguentemente il committente può far valere la predetta garanzia, sempre che la difformità ed i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna, ma al solo scopo di paralizzare la pretesa dell'appaltatore, non anche per ottenere l'attuazione della garanzia attraverso la condanna di quest'ultimo ad eliminare i vizi e le difformità ed a risarcire i danni arrecati”88.
Per questo, il committente ha la facoltà di appellarsi al principio inadimplenti non est adimplendum (all’inadempimento non è dovuto l’adempimento); principio che si collega in modo più specifico a quanto indicato nell’ultima parte dell’art. 1667, 3° comma, cod. civ., anche quando sarebbe prescritta l'azione di garanzia a prescindere dalla simultanea proposizione di questa domanda, che non può mancare, senza inficiare l'ammissibilità dell'eccezione.
Dal momento che, la prescrizione assume connotazione propria, il corrispondente periodo di tempo può essere sospeso anche con la richiesta ad un atto stragiudiziale.
Il termine di prescrizione viene impiegato ad ogni azione “speciale” di responsabilità, che derivi comunque dalle indicazioni del contratto di appalto: l’azione per la cancellazione dei vizi o difformità, l’azione per la diminuzione del prezzo, l’azione per la conclusione del contratto ed infine l’azione di risarcimento del danno (quest’ultima azione deve ritenersi come speciale, visto che è inclusa nelle azioni dell’art. 1668 cod. civ.).
A tal riguardo, utile è ricordare che, in ambito di appalto, la risoluzione comune del contratto, prevista dall’art. 1453 cod. civ., è attuabile soltanto nelle situazioni che non sono disciplinate dall’ultimo comma dell’art. 1668 cod. civ.
A seguito di quanto detto, nell’ipotesi in cui l’azione venga adottata per far valere la garanzia per vizi o difformità dell’opus così gravi da autorizzare la domanda di risoluzione contrattuale, secondo l’art. 1668 cod. civ., deve essere attuata la prescrizione biennale per l’azione verso l’appaltatore, disciplinata dall’ultimo comma dell’art. 1667 cod. civ., e non la prescrizione ordinaria, dell’art. 2946, il cui termine è decennale.
88 Cass. civ. Sez. II, 11-08-1998, n.7891, Mass. Giur. it., 1998
Il termine di prescrizione biennale, invece, non può essere applicato alle ordinarie azioni ex contractu, anche se appellate dal creditore per l’inadempimento del contratto di appalto89. Per tale ragione, nel caso in cui il committente chieda il rimborso del danno arrecato dal ritardo dei lavori o quando l’opera non è stata completata e chieda di conseguenza l’adempimento dell’appaltatore o la risoluzione del contratto, l’azione si prescrive in dieci anni, come si è già visto dall’art. 2946 cod. civ.
Dobbiamo considerare però che, nel caso in cui la conclusione del contratto di appalto sia accaduta di diritto, in conseguenza alla clausola risolutiva espressa, la responsabilità in capo all’appaltatore, per eventuali danni, è ordinaria.
Per questo motivo, in un’analoga situazione, il committente non è obbligato a denunciare vizi o difetti entro un termine perentorio90.
89 Cass. civ. Sez. III, 17-12-1999, n.14239, Mass. Giur. it., 1999, Contratti, 2000, 3, 266: “In tema di appalto la prescrizione biennale di cui all'art. 1667, comma 3, c.c. opera per tutte le azioni di cui all'art. 1668 c.c., ma non per le comuni azioni contrattuali e per l'eventuale connessa azione di risarcimento dei danni”.
90 Cfr. Cass., 23-01-1967, n. 204, in Riv. giur. edil, 1967, I, 529.
Capitolo 4
L’ESTINZIONE DEL CONTRATTO
Sommario: 4.1 L'adempimento. 4.2 Altre cause di estinzione. 4.2.1 Per mutuo consenso.
4.2.2 Estinzione del vincolo per confusione delle parti. 4.2.3. Risoluzione per inadempimento.
4.2.4 Recesso unilaterale del committente. 4.2.5 Perimento o deterioramento della cosa.
4.2.6 Impossibilità sopravvenuta della prestazione. 4.2.7 L'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione. 4.2.8 Il fallimento di una delle parti. 4.2.9 La morte dell'appaltatore.
4.1 L’adempimento.
L’estinzione del contratto di appalto può avvenire per molteplici cause, alcune di esse sono tipiche di questa fattispecie contrattuale, altre invece sono ricorrenti in tutti i tipi di contratti.
La consueta modalità di estinzione, comune anche a tutti i tipi di contratto, è l'adempimento delle reciproche obbligazioni da parte dei soggetti coinvolti: ovvero da una parte, la realizzazione dell'opera o del servizio e dall'altra la liquidazione del corrispettivo stabilito.
Per accertare l'obbligazione dell’appaltatore il codice civile, negli artt. 1665 e 1666, prevede una serie di operazioni sequenziali chiamate a) verifica e collaudo, b) accettazione e c) consegna dell’opera.
a) La verifica:
A differenza dell’appalto pubblico, nell’appalto privato vi è la mancanza di norme che disciplinano il c.d. collaudo, portando i soggetti ad usare nel linguaggio comune i termini “verifica” e “collaudo” come fossero sinonimi.
Questa considerazione risulta non corretta.
La dottrina ha qualificato “come verifica quel complesso di operazioni materiali che ha lo scopo di accertare che l’opera è stata eseguita bene e intendendo per collaudo solo la dichiarazione con cui viene riconosciuto che l’opera è stata eseguita bene”91.
Rappresentano pertanto due momenti diversi di un’unica ma articolata operazione che, con la conseguente accettazione e la consegna dell’opera si pone termine al rapporto contrattuale.
L’art. 1665 1° comma cod. civ. prevede che “il committente, prima di ricever la consegna, ha diritto di verificare l’opera compiuta”; l’ordinamento giuridico attribuisce pertanto al committente un diritto o una facoltà di effettuare una verifica sull’opera.
La premessa per compiere la verifica è che l’opera commissionata sia stata ultimata, ovvero l’appaltatore potrà invitare il committente ad esercitare il proprio diritto di verifica solamente dopo che l’opera sia stata completata con ogni peculiarità.
Nel caso in cui l’appaltatore pretenda di essere pagato per i lavori effettivamente svolti nonostante l’opera non sia stata completata, è possibile una verifica del committente anche sull’opera incompleta in modo da poter valutare il reale stato di avanzamento dell’opera stessa ed avere gli strumenti per l’eventuale controversia usata sulla pretesa di pagamento. La verifica è generalmente prefissata nel contratto di appalto e l’appaltatore può obbligare il committente ad eseguirla; nel caso in cui essa non fosse stata concordata, per l’appaltatore sarà necessario che l’appaltante riceva senza riserve l’assegnazione dell’opera: “se il committente riceve senza riserve la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non si sia proceduto alla verifica” (art. 1665, 4° comma, cod. civ.).
Ai sensi del secondo comma dell’articolo sopracitato “La verifica deve essere fatta dal committente non appena l’appaltatore lo metta in condizioni di poterla eseguire”.
Questa può essere realizzata sia dal committente o da un soggetto da lui incaricato.
Se nel contratto di appalto è stato nominato un direttore dei lavori, esso avrà anche l’incarico di verifica finale; tuttavia il committente potrà scegliere un terzo soggetto diverso senza che l’appaltatore ne sia a conoscenza (se non è stato stabilito diversamente, la scelta del soggetto addetto alla verifica spetta al committente).
L’appaltatore può sempre richiedere di presenziare all’operazione di verifica; anche se per questo non è previsto l’obbligo, se non nel caso in cui la sua presenza sia fondamentale.
91 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 431.
L’ipotesi di mancanza dell’appaltatore nelle operazioni di accertamento è stata analizzata dalla Cassazione che ha affermato che “la mancata partecipazione dell’appaltatore al collaudo – quando sia stato dato tempestivo avviso dell’ora e del giorno fissati per l’inizio e lo svolgimento delle operazioni – non toglie valore al verbale che viene redatto dal collaudatore, perché la rispondenza dell’opera alle norme tecniche e alle attuazioni può essere accertata anche se non vi sia la simultanea presenza delle parti.
Pertanto, quando l’appaltatore non sia stato presente è indispensabile che gli eventuali difetti riscontrati dal collaudatore gli siano comunicati perché ne abbia legale conoscenza e possa o accettare le conclusioni o fare le proprie riserve”92.
Le spese, se non diversamente convenute, saranno in parte a carico dell’appaltatore e in parte a carico del committente, secondo la loro rispettiva natura.
Per esempio, peseranno sull’appaltatore le spese riguardanti l’approntamento del cantiere e la liquidazione del corrispettivo agli operai, per contro il committente invece dovrà sostenere le spese di vitto e alloggio per arrivare al luogo stabilito.
L’art. 1666 cod. civ. 1° comma recita che “se si stratta di opere da eseguire per partite, ciascuno dei contraenti può chiedere che la verifica avvenga per singole partite.
In tal caso l’appaltatore può domandare il pagamento in proporzione dell’opera eseguita”: si tratta di un peculiare tipo di verifica, che si fraziona in molteplici operazioni, riprodotte nel tempo, soggette a una valutazione indipendente.
Dopo la verifica finale, la singola partita verrà considerata accettata qualora il committente comunichi che la stessa è immune da vizi oppure, entro un tempo limitato, non riferisca di eventuali anomalie riscontrate.
Questo procedimento va tenuto distinto dalla normale verifica parziale dell’opera, cioè la verifica di singole parti ma mano che si concludono.
In questa situazione, il fatto che il committente, dopo aver verificato le singole parti, non abbia sollevato delle contestazioni, non gli proibisce di sollevarle in seguito con la verifica delle prossime parti, visto che il committente non aveva espresso accettazione delle iniziali parti già verificate.
92 Cass., 11-12-1959, n. 3534.
Tuttavia, anche con la verifica delle singole parti, può succedere che esse, autonomamente considerate, risultino conformi e si manifestino solo successivamente difetti propri o di coordinamento a conclusione dell’opera oggetto del contratto.
Codesti difetti possono essere considerati soltanto con la conclusione totale dell’opera, perché durante la verifica delle singole parti essi sono da considerarsi occulti.
Il codice civile dispone “la verifica deve essere fatta dal committente appena l’appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire" (art. 1665 cod. civ.).
Se, nonostante l’invito fattogli dall’appaltatore, il committente tralascia di procedere alla verifica senza giusti motivi, ovvero non ne comunica il risultato entro breve termine, l’opera si considera accettata” (art. 1665, 2° e 3° comma): quindi per avere la mora del committente nell’effettuare la verifica, e la presunzione di approvazione, devono esistere contemporaneamente questi tre elementi:
1. L’invito dall’appaltatore al committente per eseguire la verifica dell'opera;
2. L’appaltatore deve mettere in condizione il committente ad eseguirla;
3. Tuttavia, il committente non proceda alla verifica in un breve termine considerato congruo.
Questi tre presupposti devono pertanto sussistere contemporaneamente: non si può parlare di presunta accettazione nell’ipotesi in cui l’appaltatore abbia creato le condizioni idonee per la verifica ma abbia dimenticato di invitare il committente ad eseguirla.
Il presupposto dell’invito al committente, ad eseguire la verifica, è ritenuto dalla dottrina necessario; esistono tuttavia diverse ipotesi al riguardo.
Se nel contratto di appalto è stato indicato un unico termine di conclusione dell’opera, l’invito a procedere alla verifica su di essa può essere fatta dall’appaltatore congiuntamente all’annuncio di conclusione dei lavori; qualora invece nel contratto di appalto siano stati definiti due termini, il primo per la data di conclusione dei lavori e il secondo per l’avvio della verifica, l’invito al committente a procedere alla veridica è incluso nel contratto stesso; se invece la data di inizio verifica è stata indicata per stabilire che questa possa essere attuata soltanto dopo il termine stesso, allora un espresso e chiaro invito ad attuare la verifica è essenziale per definire in mora il committente, nonostante in precedenza fosse stato avvertito della conclusione dei lavori, “perché qui il tempo della verifica, pur non essendo
lasciato alla discrezionalità del committente, è delimitato in modo rigido solo dal dato negativo e non anche da quello positivo”93.
Rimane valida la regola secondo cui, dove il committente non consideri la conclusione dell’opera, l’appaltatore è costretto ad informare il committente entro un accettabile lasso temporale.
La giurisprudenza, con la Cass. n. 5666/78, ha considerato giusta causa di ritardo, nel realizzare la verifica sull’opera l'esigenza di attendere il periodo invernale per rilevare la conformità di un impianto di termoventilazione.
Nell’ipotesi di divergenza tra le parti del contratto riguardo l’importanza del ritardo, la valutazione di questo sarà a cura del giudice; l’appaltatore potrà esso appellarsi persino per chiedere la determinazione di un’ultima data per attuare la verifica, così da porre il committente in mora.
Secondo il disposto dell’art. 1673 cod. civ. 1°comma “Se per causa non imputabile ad alcuna delle parti, l’opera perisce o è deteriorata prima che sia accettata dal committente o prima che il committente sia in mora a verificarla, il perimento o il deterioramento è a carico dell’appaltatore, qualora questi abbia fornito la materia”: esiste quindi un’ulteriore rilevante conseguenza della mora del committente nell'attuare la verifica e consiste nel produrre il passaggio del rischio per il “perimento o deterioramento della cosa” dall’appaltatore verso il committente.
Il collaudo:
Attuata la verifica da parte del committente sull’opera e se questa sarà conforme alle “regole d’arte” egli ne darà notizia all’appaltatore.
Questa comunicazione positiva deve adeguatamente chiamarsi “collaudo”.
La Suprema Corte in una sentenza ha chiarito che il collaudo, oltre ad avere l’obbiettivo primario di verificare la conformità dell’opera, ha inoltre lo scopo di giustificare il pagamento del corrispettivo all’appaltatore (Supr. Corte., 19 ottobre, n.415).
In quest’ultimo aspetto, il collaudo assume la natura di contratto bilaterale di accertamento: impedisce ad entrambe le parti di discutere nuovamente gli elementi considerati per sanzionare l’obbligo della liquidazione del prezzo spettante all’appaltatore e non prevede,
93 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 439
pertanto, all’appaltatore un’azione di rimborso della relativa imposta di consumo sulla materia utilizzata nella realizzazione dell’opera.
La giurisprudenza ritiene il collaudo composto da due elementi: tecnico e contabile.
L’elemento tecnico, se il collaudo ha risultato positivo, consente all’appaltatore di essere liberato da ogni responsabilità per vizi ed evidenti difformità; riguardo all'elemento contabile, con l'approvazione e la liquidazione del conto finale, il credito vantato dall'appaltatore diventa in forma liquida ed esigibile (è un accordo di liquidazione che si accavalla al contratto di appalto senza annullarlo).
Tuttavia esistono opinioni diverse circa la funzione del collaudo e quella della liquidazione finale del conto dell’appaltatore: per esempio, la Cass. nella sentenza n. 1906/1976 chiarisce che “la funzione del collaudo e quella dell’approvazione del conto sono distinte e non si implicano reciprocamente, nel senso che mentre il collaudo è rivolto ad accertare l’adeguatezza tecnica dell’opera, l’approvazione del contro riguarda, invece, l’adeguatezza delle pretese dell’appaltatore in relazione ai parametri unitari di compenso fissati ed alla consistenza delle opere eseguite, con la conseguenza che si può ben riconoscere la bontà dell’opus e, nel contempo, disconoscere l’esattezza del prezzo richiesto. In tal caso spetta all’appaltatore agire in giudizio per dimostrare l’esattezza del prezzo richiesto dando dimostrazione del suo assunto”94.
Di notevole importanza è che non può essere ritenuto categorico un termine per il collaudo predefinito da entrambe le parti, e da queste considerato tale, qualora durante la fissazione di tale termine nel contratto le singole opere non erano state concluse e non era stato stabilito un ulteriore termine intermedio per la conclusione dei lavori e per porre il committente nelle condizioni di compiere la relativa verifica.
Il committente, per realizzare la verifica e il collaudo, può incaricare un terzo soggetto che, per la verifica deve essere un perito stragiudiziale, invece per la dichiarazione di collaudo deve essere un rappresentante del committente che deve accertarsi sulla consistenza esatta dell’opera oggetto del contratto.
Intendendola in senso ampio, la dichiarazione di collaudo può avere un esito negativo o positivo: il collaudo sarà negativo e l’opera di conseguenza non sarà accettata qualora si siano verificate delle inadempienze, pertanto questa comunicazione sarà il primo passo da
94 Xxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx , il contratto di appalto, 2. ed. Torino : UTET , 1997 , p. 442.
parte del committente per far rilevare vizi e difformità; per contro, se il collaudo avrà esito positivo, come abbiamo detto prima, libererà l’appaltatore da ogni responsabilità per vizi ed evidenti difetti.
Le deduzioni finali della giurisprudenza con riguardo all’effetto liberatorio del collaudo non sono del tutto esatte.
Nella pratica, di frequente, l’accettazione c.d. tacita è concomitante al collaudo, confondendosi così con esso; la giurisprudenza ritiene che al collaudo si riferiscano effetti giuridici che nella effettività sono di appartenenza dell’accettazione.
Di questa “confusione” fanno prova due sentenze di merito, secondo le quali nel contratto di appalto il collaudo se effettivo, ovvero dipendente dalla compiuta verifica sui lavori, o se presunto, cioè legato all’accettazione dell’opera senza riserve (art. 1665 cod. civ. 4° comma), tranne nel caso di dolo o frode, comporterà sempre, per l'appaltatore la liberazione da ogni responsabilità per vizi che al momento dell’accettazione dovevano o potevano essere considerate dal collaudatore.
Tuttavia, la Cassazione95 ha stabilito che in un contratto di appalto le singole parti possono concordare che il collaudo non abbia la facoltà di liberare da ogni responsabilità l’appaltatore, rinviando così l’effetto liberatorio a un termine successivo al collaudo, sempre se entro tale termine non vengano segnalati vizi nella realizzazione dell’opera.
b) L’accettazione:
Di solito dopo la verifica segue l’accettazione che rappresenta una manifestazione di volontà del committente di voler ritirare l’opera eseguita.
Consiste in un contratto unilaterale recettizio e si differenzia dal collaudo che è una normale testimonianza di scienza, un’opinione tecnica; si differenzia inoltre anche dalla consegna che non è un’espressione di volontà, ma si conclude in un avvenimento materiale che si pone in essere con il semplice trasferimento del possesso (traditio) della cosa dall’appaltatore al committente.
L’accettazione può essere fatta dal committente in persona oppure da una persona da lui abilitata.
95 Cfr. Cass.,13-10-1962, n.2991.
Questa persona, nella maggioranza dei casi sarà, sempre se il contratto di appalto lo preveda, il direttore dei lavori; ossia un rappresentante del committente per quanto riguarda le espressioni di volontà comprese in un ramo tecnico, inclusa anche l’accettazione dell’opera realizzata a “regola d’arte” dall’appaltatore.
Si deve considerare invece mancante di valore giuridico e di conseguenza non obbligatorio per il committente verso l’appaltatore, ogni altra manifestazione di volontà da parte del direttore dei lavori, come l’approvazione del prezzo conclusivo dell’opera, soprattutto quando da questo deriva un prezzo diverso rispetto a quello inizialmente pattuito.
L’accettazione, assieme alla verifica e alla consegna, non può prospettarsi qualora l’opera non sia stata realizzata almeno nei suoi elementi essenziali.
Non prevedendo alcun requisito particolare di forma, l’accettazione può essere espressa, tacita e presunta.
Espressa, nell’ipotesi in cui il committente esponga, in forma scritta o orale, l’inequivocabile volontà di ritirare l’opera in assenza di riserve; essa può essere comunque realizzata anche se non siano stati effettuati a priori sia la verifica che il collaudo, visto che non costituiscono fasi necessarie all’accettazione.
Si parla, invece, di accettazione tacita ogni volta il committente o rappresentante di esso attuino azioni che richiedono inevitabilmente la loro volontà di acconsentire a ricevere l’opera, e che sembrerebbero incompatibili con quella di non accettarla o di accettarla in modo condizionato.
In modo più specifico, si ha accettazione tacita qualora, dopo aver eseguito la verifica, il committente emette la dichiarazione di collaudo: l’opera viene accettata e non è necessaria una nuova manifestazione esplicita di consenso.
Importante è tener sempre separati e indipendenti questi due momenti, l’accettazione e il collaudo, visto che la prima si presenta come manifestazione tacita mentre il secondo come dichiarazione espressa.
Le possibilità di accettazione tacita sono molteplici; una di queste è disciplinata dall’art. 1665, 4° comma, cod. civ.: “Se il committente riceve senza riserva la consegna dell’opera, questa si considera accettata ancorché non sia proceduto alla verifica”.
Nel caso in cui non sia ancora avvenuta la verifica ma si voglia evitare gli effetti dell’accettazione, per la tutela della garanzia, è idoneo sia una riserva di verifica dell’opera tramite l’intervento di un tecnico, sia che sia stato pattuito nel contratto che gli effetti
dell’accettazione decorrano dalla verifica e non dalla consegna, salvo la rinuncia del committente al suddetto accordo.
La Corte d’Appello di Firenze sulle cause n.491-492/63 e n. 878-879/63 si è espressa sulle modalità da seguire nella formulazione delle riserve e sulla persona autorizzata a riceverle, puntualizzando che:
• Vaghe e generiche contestazioni per difetti non dettagliatamente identificati non possano avere l’efficacia delle riserve previste dal quarto comma dell’art. 1665 cod. civ. per mantenere la conservazione dell’azione di garanzia, nonostante il ricevimento dell’opera, specie se il committente non abbia già disposto;
• Per evitare che le riserve possano impedire che la ricezione dell’opera diventi accettazione con i conseguenti effetti sulla garanzia, occorre che siano fatte personalmente all’appaltatore o a persona delegata a rappresentarlo in maniera idonea al caso.
Un’ulteriore situazione di accettazione tacita dell’opera oggetto del contratto di appalto è rappresentata dall’offerta di pagamento, dal committente all’appaltatore, dell’importo concordato per il lavoro appaltato.
Non sono riconosciute condotte integranti un’accettazione tacita, né il normale consenso da parte del committente all’appaltatore ad emettere un titolo di credito (es. tratta) per il compenso dell’opera appaltata96; né neppure il collaudo delle strutture in cemento armato “qualora non si sia dimostrato che i vizi, di cui il committente ha successivamente dedotto l’esistenza, attengano proprio alle parti collaudate dell’opera”97; né la rinuncia, ad opera dell’appaltatore, della continuazione dei lavori e la conseguente introduzione del committente nel possesso dell’opera98.
Per concludere la connessione tra accettazione c.d. xxxxxx e la consegna dell’opera oggetto del contratto, bisogna evidenziare un emergente comportamento della giurisprudenza, molto più premuroso ai singoli bisogni e pretese del committente, che consiglia di valutare con una maggiore attenzione il prospettarsi di situazioni di accettazione tacita.
96Cfr. Cass. civ. Sez. II, 29-11-1993, n. 11835, Mass. Giur. it., 1993.
97 Cfr. Cass., 14-03-1977, n.1022, Mass. Giur. it., 1977.
98Cfr. Cass., 17 luglio 1976, n.2841, Mass. Giur. it., 1976.
Al riguardo, anche la Cassazione ha ritenuto che l’accettazione tacita dell’opera ha come “premessa” la consegna della stessa al committente, ma esige, come atteggiamento concludente, il ricevimento in assenza di riserve99.
A differenza dell’accettazione che, come abbiamo appena detto rappresenta un negozio unilaterale recettizio, la consegna è, al contrario, un semplice atto di carattere materiale.
L’accettazione c.d. xxxxxx e la consegna, quindi, non coincidono e il verificarsi della seconda non comporta di per sé la prima: difatti, è plausibile che il risultato (l’opus) venga consegnato al committente prima di realizzare la verifica al fine di consentirla in modo più accurato.
Riporto due tra le più importanti testimonianze della giurisprudenza: “In materia di appalto, l’accettazione dell’opera non si identifica con la presa in consegna, costituendo un atto di volontà volto a ricevere la prestazione eseguita e che comporta l’esonero dell’appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difformità riconoscibili, nonché il diritto al pagamento del prezzo.
È onere dell’appaltatore provare l’accettazione dell’opera e successivamente onere del committente provare che essa è avvenuta con riserva”100 ;
“In tema di appalto la semplice presa in consegna dell’opera appaltata, esaurendosi in un fatto materiale che si attua mediante la traditio, non equivale ad accettazione della stessa, in quanto quest’ultima si concreta in una manifestazione di volontà con la quale il committente dichiara di voler accogliere la prestazione dell’opera eseguita, comportando quali effetti
99 Cass. civ. Sez. II, 20-04-1994, n. 3742, Mass. Giur. it., 1994: “In tema di appalto l'art. 1665 comma 4 c.c. prevede come presupposto dell'accettazione tacita dell'opera soltanto la sua consegna al committente, ossia la sua materiale traditio, e, come fatto concludente, la sua ricezione senza riserve da parte del committente stesso, anche se non si sia proceduto alla verifica. La concreta esistenza di tali circostanze costituisce una quaestio facti rimessa all'apprezzamento del giudice del merito”.
100 Cass. civ. Sez. II, 3 febbraio 1993, n. 1317, Xxxx Xxxxxx, 1994, I, 27, nota di XXXXXXX : “L'accettazione rappresenta un atto di volontà vero e proprio, con il quale il committente dichiara di accogliere la prestazione e che produce effetti ben più importanti della mera ricezione, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilità per i vizi e le difficoltà riconoscibili all'opera o il diritto al pagamento del prezzo. Ne consegue che incombe sull'appaltatore, trattandosi di effetti a lui favorevoli, l'onere di provare che il committente ha accettato l'opera dopo essere stato invitato e messo in grado di verificare”.