la Giurisprudenza di merito riafferma l’interpretazione comunitaria sui contratti a termine
Clausola di non regresso
In attesa della Consulta,
la Giurisprudenza di merito riafferma l’interpretazione comunitaria sui contratti a termine
TRIBUNALE DI FOGGIA, 10 marzo 2009, n. 6107/08 - Est. Xxxxxxx
Contratto a tempo determinato - Mancata specificazione delle ragioni obiettive nella “causale finanziaria” Poste - D.Lgs. n. 368/2001, art. 2, comma 1-bis - Applicazione clausola di non regresso anche sul primo contratto a ter- mine - Necessità, alla luce dell’interpretazione comunitaria affermata dalla sentenza n. 12985/2008 della Cassazio- ne - Art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, introdotto in sede di conversione (L. n. 133/2008) dall’art. 21, comma 1- bis, D.L. n. 112/2008 - Presunta violazione dell’art. 2, D.Lgs. n. 368/2001 e “interferenza” con la nuova sanzio- ne sui processi in corso alla data del 21 agosto 2008 - Insussistenza - Inefficacia della clausola appositiva del termine e riqualificazione in rapporto a tempo indeterminato
(D.Lgs. n. 368/2001, artt. 2, comma 1-bis e 4-bis; Direttiva 1999/70/CE, Clausole 5, n. 1, lettera a), n. 2 e 8,
n. 2)
Nel caso di rapporto a tempo determinato motivato dal solo richiamo, fatto nel contratto di assun- zione stipulato da Poste italiane s.p.a., all’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001, se il lavoratore a tempo determinato lamenta la inidoneità della “causale finanziaria” a rappresentare “ex se” le “ra- gioni obiettive” di apposizione del termine, non vi è alcuna “violazione” dell’art. 2 del decreto legi- slativo del 2001, come accade quando le Organizzazioni Sindacali provinciali di categoria non ricevo- no le richieste di assunzione da parte delle aziende, in quanto in tal caso della norma ne è stata da- ta specifica applicazione. Non si pone, pertanto, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001 e l’interpretazione comunitaria della disciplina nazionale sul termine, alla luce delle decisioni della Corte di Giustizia e della sentenza n. 12985/2008 della Cassazione, consente al Giudice interno di ritenere insussistenti e, comunque, non provate, le esigenze tempora- nee ed eccezionali che possono giustificare il ricorso al contratto flessibile, con conseguente riquali- ficazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. La stessa interpretazione comunitaria, in ogni caso, consentirebbe un’applicazione della norma “transitoria” nel senso di limitarne l’applica- zione al regime del risarcimento del danno, senza escludere il diritto alla conversione del contratto.
(Omissis) Con ricorso, depositato in questa cancelleria in data 17 ottobre 2007, C.M.R.A. esponeva:
di aver lavorato, presso l’Area Sud 1 alle dipendenze della società resistente, con inquadramento nel livello “D”, qualifica di impiegato addetto alla sportelleria, con due contratti a tempo parziale e determinato, il primo con orario al 50% di tipo verticale presso l’UPR di Orta Nova dall’1 luglio 2006 al 31 ottobre 2006, il secondo con orario al 75% di tipo misto presso l’UPR di Lucera Centro dal 18 luglio 2007 al 29 settembre 2007;
che tali assunzioni avvenivano ai sensi dell’art. 2, com- ma 1 bis, del D.Lgs. n. 368/01, come introdotto dalla L. n. 266/05.
Dopo ampia esposizione di diritto sull’illegittimità del- l’apposizione del termine al predetto contratto, per vio- lazione dell’art. 1 del D.Lgs. n. 368/01 e della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES e sull’inesistenza, nel nostro ordinamento, di imprese concessionarie di servizi nel settore postale, si rivolgeva a questo giudice, chiedendo di:
dichiarare la nullità parziale dei contratti di lavoro a tempo determinato dedotti in giudizio, con conseguen- te inefficacia e/o nullità del termine apposto al contrat- to medesimo, per violazione dell’art. 1 del D.Lgs. n. 368/01 e della direttiva 1999/70/CEE, previa eventuale
disapplicazione o non applicazione dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/01, aggiunto dall’art. 1, comma 558, della L. n. 266/05;
dichiarare l’intercorrenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato dall’1 luglio 2006, alle medesime condizioni di inquadramento, di orario e mansioni già poste nei contratti cui illegittima- mente era stato apposto il termine finale;
per l’effetto, condannare la Poste Italiane S.p.A., al ri- pristino dell’ultimo rapporto di lavoro illegittimamente interrotto alla data del 29 settembre 2007, con corre- sponsione, a titolo retributivo e/o risarcitorio, delle re- tribuzioni medio tempore maturate, oltre alla regolarizza- zione contributiva e assicurativa.
Il tutto con vittoria di spese.
Si costituiva la Poste Italiane S.p.A., che resisteva, con articolate argomentazioni, alla domanda, della quale chiedeva il rigetto, con spese vinte.
All’odierna udienza la causa veniva discussa e decisa, come da dispositivo e per i motivi che seguono.
Motivi della decisione
La domanda è fondata, per le ragioni e nei limiti che si vanno ad esporre.
Va preliminarmente rilevata l’ininfluenza sul presente giudizio della norma introdotta dall’art. 21, comma 1 bis, del D.L. 25 giugno 2008, conv. in L. 6 agosto 2008,
n. 133 che testualmente recita: (Omissis).
Tale norma processuale transitoria, con efficacia solo re- troattiva, che mutua il meccanismo ed i criteri dell’art. 8 della L. n. 604/66, espressamente richiamato, è applica- bile, ad eccezione delle sentenze passate in giudicato, soltanto ai giudizi in corso al momento della pubblica- zione della legge di conversione del D.L. n. 112/08, cioè fino al 21 agosto 2008, ed è stata oggetto di numerose ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale da parte della Magistratura del lavoro per profili diversi, e tutti condivisibili, d’illegittimità costituzionale.
Tuttavia, se è vero che l’art. 4-bis prevede che «nei casi di violazione degli artt. 1, 2 e 4, D.Lgs. n. 368/2001» sia corrisposto un indennizzo pari ad un numero di mensilità variabile da 2,5 a 6, è pur vero che occorre soffermarsi su quali possano essere le ipotesi di violazione dell’art. 2.
La violazione dell’art. 2, comma 1-bis, infatti, è ravvisa- bile allorquando le organizzazioni sindacali provinciali di categoria non ricevono le richieste di assunzione da parte delle aziende indicate nel comma, come può ri- scontrarsi anche nella memoria di parte resistente, nel- la quale si evidenzia che il contratto azionato è stato sti- pulato nel pieno rispetto di quanto dettato dall’art. 2, anche previa comunicazione alle organizzazioni sinda- cali, evidenziandone, quindi, la legittimità.
Altra ipotesi di possibile violazione dell’art. 2 può aversi nelle ipotesi, sicuramente estranea alla fattispecie de- dotta in giudizio, in cui di detta speciale clausola si av- valga l’impresa che non presenta i requisiti soggettivi fissati da detta norma (aziende di trasporto aereo etc. o,
nel nostro caso, imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste).
Va anche rilevato, poi, che la circostanza che l’art. 4-bis riguardi solo la violazione degli articoli innanzi enun- ciati è confermato da una recentissima sentenza della
S.C. (cfr. Xxxx. n. 26935/2008), nella quale è chiara- mente affermato che «tale norma è espressamente riferi- ta soltanto alle ipotesi di “violazione delle disposizioni di cui al cit. D.Lgs. artt. 1, 2 e 4”, nel quale è inserita, e, per la sua evidente natura eccezionale, non può essere inter- pretata estensivamente né può essere applicata al di fuori dei casi contemplati. La norma stessa non trova, pertanto applicazione, alle controversie che …non abbiano ad og- getto il sistema sanzionatorio per la violazione delle dette disposizioni…».
Pertanto, nel caso di specie i contratti a termine inter- corsi tra le parti sono stati stipulati ai sensi, e non in violazione, dell’art. 2, comma 1-bis, cioè in base a quan- to previsto da questa norma di legge.
Ne discende che, per questo giudice, ai fini della deci- sione del presente giudizio, non si pone, nella fattispe- cie in esame, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/01.
In ogni caso, se anche si volesse aderire ad una diversa impostazione, alla luce delle pronunzie della Giurispru- denza della Corte di Giustizia (le sentenze “Xxxxxxx”, “Xxxxxxxx”, “Del Cerro Xxxxxx”, “Impact”, nonché l’ordinanza “Vassilakis” del 12 giugno 2008 nella causa C-364/07, senza trascurare le importanti indicazioni che provengono dalle conclusioni dell’Avvocato gene- rale Xxxxxxx Xxxxxx presentate il 4 dicembre 2008 alla Corte di Giustizia), della Corte Costituzionale (senten- za n. 44/2008) e della Corte di legittimità (la fonda- mentale sentenza n. 12985/2008), il quadro interpreta- tivo va attentamente rivisto nel solco del rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale.
Infatti, in presenza di una normativa interna di recepi- mento (anche se successivamente modificata e integra- ta) della direttiva comunitaria, il problema interpretati- vo e applicativo della norma interna va risolto priorita- riamente (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 284/07) alla luce del rapporto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale.
La stessa Corte Costituzionale (v. da ultimo la sentenza
n. 348/07; in precedenza v. le sentenze nn. 389/1989 e 113/1985, ma anche le ordinanze nn. 62/2003, 125/2004, 241/2005 e 252/2006) e la Cassazione (v. la recente ordinanza n. 22260/08) hanno in più occasioni e concordemente ribadito che, nel caso in cui la norma interna violi il diritto comunitario, il giudice ordinario può sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria ai sensi dell’art. 234, comma 3, Trattato CE o confron- tarsi direttamente con la norma “illegittima”, quando sulle questioni controverse siano già intervenute una o più decisioni della Corte di Giustizia (come nel caso di specie), per risolvere la questione utilizzando tutti gli strumenti interpretativi idonei a superare il contrasto
con il diritto comunitario. In particolare, secondo la ri- costruzione dell’Avvocato generale Xxxxxx al punto 122 delle conclusioni nelle cause riunite 378-379- 380/07, (Omissis).
Questo giudicante, peraltro, ha già fatto in passato ap- plicazione dello strumento interpretativo della non ap- plicazione della norma interna in contrasto con il dirit- to comunitario, proprio in giudizi in cui Poste aveva ap- plicato al contratto a termine l’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368, disapplicandola. Sul punto della possibile non applicazione dell’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/01 vi è il precedente del Tribunale di Trani del 22 settembre 2008. Rispetto a questa posizione che, seppure minori- taria nella giurisprudenza di merito, già questo giudi- cante ha condiviso, va fatta una ulteriore riflessione alla luce proprio delle complesse considerazioni fatte dal- l’Avvocato generale Xxxxxx nelle cause nn. 378-379- 380/07, che sono di particolare rilievo sia per la rico- struzione dei principi di diritto comunitario e dell’inter- pretazione della Corte di Giustizia in materia di con- tratto a tempo determinato sia per i riflessi che l’appli- cazione di quei principi e di quell’interpretazione han- no (o possono avere) sull’ordinamento interno italiano come jus superveniens (cfr. ordinanza n. 252/2006 della Corte Costituzionale), al punto da poter vanificare l’ef- fetto delle ordinanze di rimessione alla Consulta sia in ordine alla norma transitoria sia per quanto attiene le altre pregevoli questioni di legittimità costituzionale che hanno messo in discussione la parte più importante del D.Lgs. n. 368, sull’art. 1 e sull’art. 2, comma 1-bis. Cinque le conclusioni della Kokott, utili ai fini della decisione della presente controversia:
1 - è l’intera disciplina del contratto a tempo determi- nato che rientra nell’ambito di applicazione dell’accor- do quadro e della direttiva comunitaria (superando così alcune perplessità sull’ambito della direttiva che erano emerse dopo la sentenza “Xxxxxxx” e che avevano in- dotto la Corte Costituzionale a restituire gli atti al Tri- bunale remittente con l’ordinanza n. 252/2006);
2 - ogni Stato membro è libero di adottare disposizioni in materia di lavoro a tempo determinato, anche suc- cessivamente al recepimento della direttiva, purché es- se siano conformi a tutte le prescrizioni del diritto co- munitario;
3 - la specificazione delle “ragioni obiettive” come mi- sura idonea a prevenire gli abusi scelta dal legislatore nazionale tra le tre (lettera a) previste dalla clausola 5, punto 1, riguarda anche il primo e unico contratto, in quanto detta clausola «osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giusti- ficata dalla sola circostanza di essere prevista da una di- sposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro. Al contrario, la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della detta clausola esige che il ricor- so a questo tipo particolare di rapporti di lavoro, quale previsto dalla normativa nazionale, sia giustificato dal- l’esistenza di elementi concreti relativi in particolare al-
l’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo eserci- zio» (il che significa che l’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368 contrasta specificamente con il diritto comunita- rio, non consentendo di prevenire gli abusi per la natu- ra acausale della norma);
4 - la clausola 8, n. 3, denominata di “non regresso”, non ha applicazione diretta negli ordinamenti interni, ma opera sul piano della tutela generale ed è possibile
«l’abrogazione o il potenziamento di una sanzione con- tro gli abusi derivanti dall’utilizzo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato in relazione ad una spe- cifica categoria di lavoratori a tempo determinato, se tali misure sono compensate da un contestuale rafforza- mento delle misure per la prevenzione degli abusi. Ciò nondimeno rimane l’obbligo a carico degli Stati mem- bri di introdurre o conservare per i casi di abuso sanzio- ni effettive, proporzionale e dissuasive.»;
5 - «i giudici nazionali, in osservanza del loro obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità alle diret- tive, sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati pre- scritti dalla direttiva 1999/70 e cancellare le conse- guenze di un eventuali violazioni del diritto comunita- rio. A tal fine essi devono utilizzare fino in fondo la di- screzionalità che il diritto nazionale riconosce loro».
Del resto, all’indomani della sentenza n. 44/2008 della Corte Costituzionale, l’interpretazione adeguatrice ai principi comunitari era stata fortemente ribadita dalla S.C., Sez. Lav., nella sentenza n. 12985/08, con la tra- scrizione integrale della clausola di non regresso e con l’affermazione degli stessi principi (anche per quanto ri- guarda l’ambito di applicazione della direttiva all’intera disciplina del contratto a termine, compreso il primo e unico contratto) che sono stati già affermati dalla Cor- te di Giustizia e così ricostruiti dall’Avvocato generale Xxxxxx. Di recente, anche le Sezioni Unite (Cass. n. 20604/08) hanno condivisibilmente indirizzato la giuri- sprudenza di merito, in applicazione dell’art. 111 Cost. e del principio costituzionale dell’equo processo, verso una interpretazione adeguatrice e conformativa delle regole processuali: in questo caso (art. 4-bis D.Lgs. n. 368), trattandosi di norma processuale (perché inter- viene solo sui processi in corso, modificando l’apparato sanzionatorio), si tratterebbe di fornire un’interpretazio- ne adeguatrice soprattutto conforme ai principi comu- nitari, nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice na- zionale. La stessa Corte di legittimità (citata sentenza n. 12985) chiarisce quale sarebbe stata la sanzione in caso di illegittima apposizione del termine, se non fosse in- tervenuta la norma transitoria.
Orbene, pur nella nuova normativa introdotta dal D.Lgs. n. 368/2001 (che non contiene una previsione analoga a quella di cui al vecchio art. 3 della L. 230/62), l’onere della prova delle condizioni giustifi- canti l’apposizione del termine rimane a carico del da- tore di lavoro. È, infatti, immanente alla disciplina del contratto a termine una logica di tutela del dipendente,
del resto evidenziata nella relazione al decreto legislati- vo, in cui si dice, proprio con riferimento alla distribu- zione del carico probatorio, di essersi voluto «assicurare al dipendente tutele non meno efficaci del regime pre- cedente» e, d’altronde, un’interpretazione in senso di- verso urterebbe contro la citata “clausola di non regres- so” dell’accordo allegato alla direttiva europea, per la quale «l’applicazione del presente accordo non costitui- sce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’ac- cordo stesso». Si può, infatti, leggere in maniera diversi- ficata il riferimento al “livello generale di tutela” e, in particolare, lo si può leggere con riguardo a singoli aspetti di disciplina, o alla disciplina complessiva del contratto a termine (come proposto dall’Avvocato ge- nerale Kokott), ma non può non ravvisarsi un abbassa- mento netto del tasso di garanzia laddove verrebbe po- sto a carico del lavoratore l’onere di dimostrare l’inesi- stenza delle condizioni giustificanti il termine anziché del datore di lavoro della sussistenza delle specifiche ra- gioni poste a base del termine.
Nella stessa ottica non può ritenersi che la violazione della nuova normativa sul termine non porti più, in as- senza di un’espressa previsione specifica, alla sanzione della conversione del contratto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato. Ricondurre il vizio al regime ge- nerale della nullità, e in particolare della nullità parzia- le ex art. 1419 c.c., come sostiene parte resistente, si- gnificherebbe legittimare il ricorso indiscriminato al- l’apposizione del termine da parte dei datori di lavoro, senza alcuna conseguenza. L’intera normativa sul termi- ne, in altri termini, sarebbe tamquam non esset.
Infatti, appare dirimente osservare che nel nostro siste- ma (anche quello scaturente dalla disciplina del D.Lgs.
n. 368) l’apposizione di un limite temporale al contrat- to di lavoro deve ritenersi ipotesi eccezionale, in quan- to il nuovo contesto normativo da un lato supera il principio di tassatività delle ipotesi di ricorso all’apposi- zione del termine finale, dall’altro presuppone sempre l’imprevedibilità, l’eccezionalità e l’intrinseca tempora- neità del ricorso all’istituto.
La nuova normativa, infatti, nel definire tipologie gene- rali giustificanti l’apposizione del termine, non esclude la necessità non solo che si provi l’effettiva sussistenza in generale di una determinata situazione aziendale che esprima particolari esigenze sostitutive, tecniche, orga- nizzative e produttive, ma anche il nesso causale tra tali esigenze e la specifica assunzione del singolo lavoratore. Eludere questo passaggio significherebbe legittimare par- te datoriale ad un uso incontrollato dell’istituto, anche senza alcun aggancio con la singola assunzione.
Ciò posto, va rilevato che la situazione giuridica aziona- ta esprime un’applicazione dell’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/01, aggiunto dall’art. 1, comma 558, L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006), il quale testualmente recita: «le disposizioni di cui al com- ma 1 si applicano anche quando l’assunzione sia effet-
tuata da imprese concessionarie di servizi nei settori del- le poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percen- tuale non superiore al 15 per cento dell’organico azien- dale, riferito al 1° gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di ca- tegoria ricevono comunicazione delle richieste di assun- zione da parte delle aziende di cui al presente comma». Il primo comma richiamato da tale fattispecie è così im- postato: «è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato quando l’as- sunzione sia effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diver- samente distribuiti e nella percentuale non superiore al quindici per cento dell’organico aziendale che, al 1° gen- naio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, pre- xxx xxxxxxxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxx, su istanza documentata delle aziende stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevo- no comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui al presente articolo».
Ora, è incontroverso tra le parti che il rapporto a tempo determinato sia stato motivato dal solo richiamo, fatto nei due contratti di assunzione, al sopra menzionato art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368 così come modificato dalla L. n. 266/05.
La parte ricorrente ritiene che tale giustificazione non sia idonea, perché non rientra tra le “motivazioni” del ricorso all’apposizione del termine previste dall’art. 1 dello stesso decreto legislativo e perché la tipologia di “imprese concessionarie di servizi nei settori delle po- ste” sarebbe sostanzialmente inesistente.
Poste italiane, invece, assume di essere l’unica impresa concessionaria di servizi del settore poste e che il com- ma aggiunto all’art. 2 del decreto n. 368/01 dalla legge finanziaria per il 2006 configurerebbe una autonoma causale di ricorso a contratti a tempo determinato, che richiama espressamente quella già operante per le
«aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i ser- vizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci», nella previsione dell’originario unico comma del medesimo art. 2.
Come è noto, la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 ha dato attuazione, ai sensi dell’art. 139, n. 2, Trattato CE, all’Accordo quadro Ces, Unice e Ceep del 1 marzo 1999 sul lavoro a tempo determinato.
Prescrizioni della direttiva che meritano di essere ripor- tate sono le seguenti:
– il 14° considerando e la successiva clausola 1, che chiariscono la ratio della direttiva con “l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo l’applicazione del principio di non discrimi- nazione nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato”;
– il preambolo dell’allegato, contenente il testo del- l’Accordo quadro recepito dalla direttiva, precisa che “i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro”; d’al- tra parte “i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di la- voro sia a quelle dei lavoratori”.
Quanto sopra viene riproposto nelle Considerazioni ge- nerali dell’Allegato laddove, al punto 6, si conferma
«che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rap- presentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori in- teressati e a migliorare il rendimento».
Il successivo punto 7 precisa che «l’utilizzazione di con- tratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi», salvo poi aggiungere che «i contratti di lavoro a tempo determi- nato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività, atta a soddisfare sia datori di lavoro sia i lavoratori».
Queste premesse consentono di concludere che nella direttiva:
1) tra contratto a tempo indeterminato e contratto a termine sussiste un rapporto tra regola ed eccezione;
2) l’eccezione deve essere supportata da ragioni oggetti- ve, valevoli per “alcuni settori, occupazioni, attività”;
3) detta eccezione deve essere specificata e comprovata;
4) l’insussistenza delle ragioni che sostengono l’eccezio- ne riporta alla regola generale.
Tra le disposizioni di attuazione dell’accordo (e, quindi, della direttiva che lo ha recepito) la clausola n. 8 al comma 3 prevede, poi, la già sopra citata clausola di non regresso, che garantisce ai lavoratori il manteni- mento del livello generale di tutela già offerto dalla normativa nazionale.
Il divieto di reformatio in peius previsto da detta clausola può essere interpretato in modo non uniforme, ma è si- curamente finalizzato ad evitare ogni abuso sull’abbas- samento del livello di protezione del lavoratore esisten- te nel diritto nazionale.
Con la sentenza del 22 novembre 2005 la Corte di Giustizia europea ha risolto la causa C-144/04, concer- nente la domanda di pronuncia pregiudiziale della di- rettiva 1999/70/CE, accogliendo le considerazioni e le conclusioni dell’Avvocato Generale: «50 A questo pro- posito, dalla formulazione stessa della clausola 8, punto 3 dell’accordo quadro risulta che l’applicazione di que- sto non costituisce per gli Stati membri un motivo vali- do per ridurre il livello generale di protezione offerta ai lavoratori nell’ordinamento giuridico nazionale nel set-
xxxx rientrante sotto il detto accordo. 51 L’espressione “applicazione”, utilizzata senza ulteriori precisazioni nel- la clausola 8, punto 3, dell’accordo quadro non riguarda la sola iniziale trasposizione della direttiva 1999/70, e, in particolare, del suo allegato contenente l’accordo quadro, ma copre ogni misura nazionale intesa a garan- tire che l’obiettivo da questa perseguito possa essere raggiunto, comprese le misure che, successivamente al- la trasposizione propriamente detta, completano o mo- dificano le norme nazionali già adottate».
Per quanto attiene la presente controversia, l’analisi va limitata agli artt. 1 e 2 del decreto legislativo n. 368/01, di trasposizione della normativa comunitaria in materia di contratto di lavoro a termine.
L’art. 1, X.Xxx. n. 368/2001 propone una clausola gene- rale innovativa rispetto alla corrispondente norma con- tenuta nella L. n. 230/62.
La Suprema Corte, nella sua massima espressione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 4588/06), nel comporre un contrasto giurisprudenziale in merito all’interpretazione dell’art. 23,
L. n. 56/1987, ha avuto modo di comparare la vecchia disciplina in materia di contratto a tempo determinato con la normativa introdotta dal D.Lgs. n. 368, con rifles- sioni che costituiscono una precisa chiave di lettura della nuova disciplina, nella stessa direzione già espressa dalla giurisprudenza di merito prevalente e dalla dottrina. Secondo le Sezioni unite la precedente normativa in materia di contratto a tempo determinato, come inte- grata e modificata in particolare dall’art. 23, L. n 56/1987 e dall’art. 8, L. n. 223/91 aveva «legittimato il ricorso al contratto a termine come strumento di politi- ca dell’impiego, per ritornare poi, con la vigente gene- rale normativa sul contratto a termine di cui al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 (attuativa della direttiva del Consiglio Cee 28 giugno 1999, n. 70) a limitare le as- sunzioni a termine soltanto a quelle connesse a ragioni di carattere oggettivo (“ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”; cfr. art. 1, com- ma 1, D.Lgs. n. 368.)». Sempre le Sezioni Unite preci- sano: «ciò emerge con indiscussa evidenza dal D.Lgs. n. 368/01 che, nel momento in cui ha inteso innovare la materia con il superamento delle forme di assunzioni a termine contrattualizzate, ha ritenuto di dovere am- mortizzare il ridimensionamento delle tutele con il ri- chiedere la specificazione in forma scritta delle ragioni giustificatrici del contratto a termine (di carattere tec- nico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), al chiaro fine di agevolare il controllo giudiziario (chiamato a so- stituire quello sindacale che si concretizzava nella tipi- cizzazione delle diverse forme di assunzione al lavoro) sull’operato del datore di lavoro (cfr. al riguardo: art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001)».
Tali precise indicazioni vanno integrate con quelle che provengono dalla Corte di Giustizia europea e, in parti- colare, dalla sentenza della Grande Sezione del 4 luglio 2006, che ha deciso la causa C-212/04 (Xxxxxxxx), che consente di precisare che le “ragioni di carattere tecnico,
organizzativo, produttivo o sostitutivo” che giustificano il ricorso a tempo determinato nella previsione dell’art. 1, D.Lgs. n. 368/01 devono essere obiettive, precise, con- crete, non determinate da una disposizione generale se non in quanto riferibili concretamente e specificamente ad un’attività che richieda l’utilizzo di un lavoratore a termine, per la quale non sarebbe possibile porre in essere un rapporto a tempo indeterminato, un’attività, cioè, che abbia carattere necessariamente temporaneo e sia dunque destinata ad esaurirsi in un tempo delimitato.
Infatti, la Corte di Giustizia, pur occupandosi dei con- tratti a tempo determinato successivi, interviene con i seguenti considerando anche sulla nozione di “ragioni obiettive” che giustificano l’apposizione del termine iniziale: «73 Così, il fatto di ammettere che una disposi- zione nazionale possa, di pieno diritto e senza altra pre- cisazione, giustificare contratti di lavoro a tempo deter- minato successivi equivarrebbe a ignorare la finalità dell’accordo quadro, che consiste nel proteggere i lavo- ratori dall’instabilità dell’impiego, e a svuotare di conte- nuto il principio secondo il quale contratti a tempo in- determinato costituiscono la forma generale dei rappor- ti di lavoro. 74 Più in particolare, il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato sulla sola base di una di- sposizione legislativa o regolamentare di carattere gene- rale, senza relazione con il contenuto concreto dell’atti- vità considerata, non consente di stabilire criteri ogget- tivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di sif- fatti contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia atto a raggiungere lo scopo perseguito e neces- sario a tale effetto. 75 Di conseguenza….si deve rispon- dere che la clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta all’utiliz- zazione di contratti di lavoro a tempo determinato suc- cessivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro. Al contrario, la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della detta clausola esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di la- voro, quale previsto dalla normativa nazionale, sia giu- stificato dall’esistenza di elementi concreti relativi in particolare all’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio». Tale posizione della Corte è stata confer- mata dalla ordinanza del 12 giugno 2008 della III Sezio- ne nella causa C-364/07 e richiamata nelle conclusioni dell’Avvocato generale Kokott del 4 dicembre 2008.
Ancora, se pure occupandosi di contratti a tempo deter- minato stipulati da pubbliche amministrazioni, la Corte di Giustizia nel considerando 99 evidenzia la necessità di una giustificazione di carattere temporaneo: «inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che, nella prassi, l’art. 21 della legge n. 2190/94 rischia di essere distolto dalla sua finalità per il fatto che, invece di servire come base giu- ridica limitatamente alla stipulazione dei contratti a tempo determinato volti a far fronte a fabbisogni di ca- rattere esclusivamente temporaneo, sembra che esso venga utilizzato per concludere siffatti contratti allo sco-
po di soddisfare di fatto fabbisogni permanenti e durevo- li. Anche il giudice del rinvio, nella motivazione della sua decisione, ha già constatato il carattere abusivo, ai sensi dell’accordo quadro, del ricorso, nella fattispecie di cui alla causa principale, al detto art. 21 per giustificare la conclusione di contratti di lavoro a tempo determina- to volti, in realtà, a rispondere a fabbisogni permanenti e durevoli. Tale giudice si limita pertanto a chiedere se, in una tale ipotesi, il divieto generale stabilito dalla det- ta disposizione di trasformare in contratti a tempo inde- terminato siffatti contratti a tempo determinato pregiu- dichi lo scopo e l’efficacia pratica dell’accordo quadro». Questa lettura interpretativa sia nella Giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite che in quella della Corte co- munitaria dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 368 è per- fettamente compatibile e rispettosa, peraltro, del com- ma 3 della clausola 8 dell’Accordo quadro, garantendo il medesimo livello di tutela dei lavoratori rispetto a quanto previsto dalla normativa precedente abrogata e, in particolare, dall’art. 1, L. n. 230/62; ciò anche per i dipendenti di Poste Italiane S.p.a.
L’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 reca la «discipli- na aggiuntiva per il trasporto aereo ed i servizi aeropor- tuali» che, sostanzialmente, riproduce la lettera f) del- l’art. 1, comma 2, della L. n. 230/62, a suo tempo intro- dotta dalla L. n. 84/86, con l’unica modifica che risiede nella comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende interessate alle organizzazioni sinda- cali provinciali di categoria.
La parte ricorrente sostiene che non si tratti di discipli- na speciale, ma di ulteriori oneri per le aziende del set- tore aereo, di predeterminazione temporale dei periodi di utilizzazione e di comunicazione alle XX.XX., che si aggiungerebbero a quelli già previsti dalla normativa generale, contenuta nell’art. 1 del decreto (cfr. Tribuna- le di Milano, sentenza 29 giugno 2007). In effetti alcuni elementi deporrebbero in tal senso.
In primo luogo la stessa qualificazione di disciplina “ag- giuntiva” (nella relazione governativa si parla di disci- plina “particolare”).
Inoltre, il fatto che la precedente norma “speciale” fosse inserita nel testo dell’art. 1 della legge 230/62, che pre- vedeva anche l’obbligo della forma scritta, che ora è ri- chiamato solo nell’art. 1 del D.Lgs. n. 368/01 e non nel successivo art. 2.
E ancora, la contraddizione dell’apposita menzione del lavoro aeroportuale, considerando la difficoltà di com- prendere le ragioni “obiettive”, che possano giustificare l’inserimento di una tipologia di ricorso al contratto a termine che avrebbe potuto esaustivamente essere ri- compresa nel riferimento normativo operato nell’art. 1, comma 2, del decreto (anche alla luce delle considera- zioni fatte dalle Sezioni unite nella sentenza n. 4566/06, nel confronto tra vecchia e nuova disciplina).
Ebbene, a modifica, sul punto, dei propri precedenti, l’interpretazione della norma secondo i principi di dirit- to comunitario impone al giudice interno di aderire al-
l’orientamento secondo cui lo specifico obbligo di mo- tivazione di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 368, con l’indicazio- ne delle ragioni obiettive ivi enunciate, si estende an- che a tutti i contratti a termine stipulati dalle aziende cui si applica “anche” la disciplina aggiuntiva dell’inte- ro art. 2. Ne consegue che il mero richiamo all’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368 non consente di considera- re soddisfatto l’obbligo motivazionale di cui all’art. 1 dello stesso decreto, con conseguente conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato sin dal momento della sottoscrizione.
Tale interpretazione, in realtà, potrebbe anche superare alla radice ogni problema di astratta applicabilità del- l’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001 alla fattispecie processua- le, poiché la violazione dell’art. 2, D.Lgs. n. 368 va rap- portata pur sempre alla mancata specifica indicazione delle ragioni giustificative del termine imposta dal pre- cedente art. 1.
Solo per completezza espositiva, infine, va aggiunto che, indipendentemente dal rispetto, nel caso di specie, dei principi di diritto comunitario, è da considerarsi as- solutamente non pertinente il richiamo, nei due con- tratti, dell’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368, per essere, questa norma, esclusivamente applicabile alla sola ipo- tesi in cui il personale venga assunto a termine “da im- prese concessionarie di servizi nei settori delle poste” (e cioè del recapito) e non anche a chi venga assunto per svolgere servizi di sportelleria, come invece è accaduto nel caso di specie.
Se così non fosse, e cioè se la norma fosse ritenuta estensibile alla generalità delle attività svolte dalla so- cietà resistente (che, com’è noto, non sono solo quelle tipiche delle “imprese concessionarie di servizi nei set- tori delle poste”, richiamate dal comma 1-bis in discor- so, ma anche quelle ad esse non connesse (quali, per esempio, i servizi amministrativi, quelli creditizi e fi- nanziari, quelli relativi alla commercializzazione di alcu- ni prodotti, ecc.), risulterebbe assolutamente ingiustifi- cabile la disparità di trattamento che ne deriverebbe non solo tra lavoratori e lavoratori, ma anche tra azien- de ed aziende, visto, per es., che la società convenuta, pur svolgendo, nel settore finanziario e creditizio, le medesime attività disimpegnate dagli istituti bancari, andrebbe a godere inammissibilmente di un trattamen- to di favore rispetto a quello assicurato a questi ultimi soggetti (sul punto, esattamente in termini, x. Xxxxxxxxx Xxxxx, 00 aprile 2008).
A quanto esposto consegue che i contratti di lavoro sti- pulati da Poste Italiane S.p.a. appaiono privi di motiva- zione, in violazione dell’art. 1, comma 2, del decreto le- gislativo n. 368/01, alla luce della direttiva 70/99 (sul contratto a tempo determinato), tenendo conto della interpretazione del diritto comunitario ripetutamente fornita dalla Corte di Giustizia nelle pronunzie citate in motivazione.
Ne consegue, altresì, che il rapporto di lavoro tra le parti è tuttora sussistente e va ordinato alla società resistente
di riammettere in servizio la parte ricorrente, con le mansioni e l’inquadramento per i quali veniva assunta (e ovviamente alle medesime condizioni di part time, da riferirsi al secondo contratto, che presenta l’identica struttura del primo e che prevede lo svolgimento del 75% dell’orario contrattuale) con condanna della Poste Italiane al pagamento, in suo favore, di tutte le mensilità maturate, con gli accessori di legge sino al soddisfo, dal 25 giugno 2007 (detratto, naturalmente, quanto nel pe- riodo corrisposto dalla resistente al ricorrente in virtù di altre contestuali prestazioni lavorative eventualmente rese o quanto, alla luce delle presente sentenza, risulta non ancora dovuto, come il tfr; non è emerso, invece, alcun aliunde perceptum, mentre sarà obbligo della parte ricorrente, ma ciò non attiene al rapporto tra le parti del presente procedimento, restituire qualsivoglia indennità eventualmente percepita da terzi in relazione all’avve- nuta risoluzione del rapporto di lavoro). Da rilevare che il numero delle mensilità qui riconosciute, naturalmente rapportate alla data di deposito del ricorso, è in concreto compatibile anche con l’indennità determinata dall’art 4 bis sopra citato, salvo quanto già esposto su detta nor- ma in relazione alla presente fattispecie concreta.
La data di decorrenza indicata è quella della comunica- zione della richiesta del tentativo obbligatorio pregiudi- ziale di conciliazione, che quindi può ritenersi la più ri- salente data certa nella quale la parte ricorrente abbia offerto le sue energie lavorative alla società datrice di lavoro.
La novità, l’evidente particolarità e la complessità in- terpretativa, sul piano giuridico, della vicenda dedotta in giudizio, impongono la parziale compensazione delle spese del giudizio nella misura della metà, liquidate per il resto come analiticamente indicato in dispositivo.
P.Q.M.
Il Giudice del lavoro,
definitivamente pronunciando sul ricorso, iscritto al n. 35066/07 R.G.L., proposto da C.M.R.A. nei confronti della Poste Italiane S.p.a., in persona del legale rappre- sentante p.t., ogni contraria istanza ed eccezione disatte- sa, così provvede: dichiara l’illegittimità dell’apposizione del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra le parti, la cui esecuzione ha avuto inizio in data 1 luglio 2006; dichiara che il rapporto di lavoro tra le medesime parti è tuttora sussistente e ordina alla società resistente di riammettere in servizio la parte ricorrente, con le mansioni e alle condizioni per le quali veniva assunta o ad esse equivalenti; condanna la società resistente a cor- rispondere alla parte ricorrente tutte le mensilità matu- rate dal 25 giugno 2007, con gli accessori di legge sino al soddisfo, detratto quanto indicato in motivazione; dichiara compensate, tra le parti, nella misura della metà, le spese di lite e condanna Poste Italiane S.p.A. a corrispondere alla parte ricorrente la rimanente parte, che liquida in complessivi euro 1500,00, di cui euro 1000,00 per onorario, oltre accessori di legge.
IL COMMENTO
di Xxxxxxx Xxxxxxxx
Il Tribunale di Foggia torna ad occuparsi della violazione della normativa comunitaria in mate- ria di contratto a termine. La sentenza n. 44/2008 della Corte Costituzionale sul diritto di precedenza dei lavoratori stagionali e la sentenza
n. 12985/2008 della Cassazione hanno messo in rilievo la fragilità dell’intera riforma del contrat- to a tempo determinato del 2001, tanto da pro- vocare l’intervento del legislatore interno con l’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, inserito in sede di conversione dall’art. 21-bis, D.L. n. 112/2008, norma “transitoria” finalizzata a frenare in parti- colare l’enorme contenzioso dei contratti a termi- ne stipulati dall’impresa pubblica. Alla luce e in conseguenza di questa situazione di assoluta in- certezza interpretativa, al vaglio della Consulta (che deciderà il 23 giugno 2009 tutte le principa- li questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Giurisprudenza di merito sull’art. 1, comma 1, sull’art. 2, comma 1-bis, e sull’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001), il Tribunale pugliese forni- sce una soluzione analoga rispetto al precedente approfondendo il percorso di interpretazione co- munitariamente conforme della normativa inter- na, valorizzando le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia anche nelle decisioni più recenti tra cui la sentenza del 23 aprile “Xxxxxxx Xxxxxxxxxx”.
Premessa
Nella serie di sentenze (1) concernenti la tematica dei contratti a termine stipulati sulla base dell’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, intro- dotto dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, con cui si è estesa alle “imprese concessionarie dei servizi nei settori delle poste” l’operatività del primo comma dell’art. 2 - il quale, per aziende di trasporto aereo o esercenti i servizi aeroportuali, ammette la stipulazione di contratti a ter- mine per determinati periodi dell’anno, con alcuni limi- ti quantitativi -, il ruolo del Tribunale di Foggia non si presta di certo ad essere dimenticato, per la rilevanza delle questioni affrontate ed il carattere tutt’altro che scontato di alcune osservazioni del Giudice del lavoro.
In particolare, con la sentenza del 19 marzo-11 aprile 2007, n. 2370 (2) il Tribunale di Foggia ha rile- vato l’illegittimità della norma in questione, adducen- do, sostanzialmente, che la modifica apportata dalla legge finanziaria per il 2006, con l’aggiunta del comma 1 bis, è avvenuta al di fuori e contro le regole interne di attuazione degli obblighi comunitari.
Innanzitutto, il Giudice ha osservato che la posi-
zione di Poste Italiane S.p.a., quale unica impresa con- cessionaria di servizi postali, realizzi un abuso di sfrutta- mento di posizione dominante, ex art. 82 Trattato CE, in aperta violazione degli artt. 86 e 90 dello stesso Trat- tato. In secondo luogo, attraverso il richiamo al proce- dimento normativo - volto a dare attuazione alla nor- mativa comunitaria - regolato dalla legge “La Pergola”, nel quale è previsto che una legge di recepimento di di- rettiva comunitaria può essere modificata solo attraver- so lo strumento della legge comunitaria e solo a condi- zione che la norma di recepimento sia in contrasto con la normativa comunitaria, il Tribunale ha sostenuto che la legge comunitaria del 2005 non contiene alcuna delega al Governo per modificare o integrare il recepi- mento della direttiva comunitaria avvenuto con il D.Lgs. n. 368/01, con conseguente illegittimità della “causale finanziaria”. Infine, il Giudice pugliese, osser- vando come ben oltre la scadenza del termine per l’at- tuazione della citata direttiva il legislatore abbia modifi- cato in peius il livello di tutela dei lavoratori di Poste Italiane - che fino al 31 dicembre 2005 godevano di un sistema di tutela costituito dall’obbligo di motivazione di cui all’art. 1, D.Lgs. n. 368/01 - in violazione della clausola di non regresso, ha affermato che il giudice na- zionale è tenuto alla disapplicazione della disciplina in- terna incompatibile con la normativa comunitaria.
Dalla disapplicazione all’interpretazione conforme al diritto comunitario
A distanza di 2 anni il Tribunale di Foggia con la sentenza in commento ritorna sul tema dei contratti a termine stipulati da Poste Italiane sulla base della c.d. “nuova causale”, consolidando la notevole (e non an- cora molto diffusa tra i Giudici di merito) attenzione al principio della prevalenza del diritto comunitario sulle norme interne con esso contrastanti.
Note:
(1) V., Trib. Milano (Est. Martello), 26 giugno 2007, in Riv.giur.lav., 2008, I, 155, con nota di X Xxxxxx, La disciplina “aggiuntiva” del contratto a termine per il settore delle poste e la direttiva 1999/70/CE: violazione della clausola di non regresso e poteri del giudice italiano; in questa Rivista, 2008, 812, con commento di X. Xxxxxxx, Le prime pronunce di merito sui “nuovi” contratti a termine di Poste; Trib. Milano (Est. Frattin), 5 giugno 2007, ine- dita; Trib. Roma (Est. Xxxxxxxx), 21 marzo 2008 (Rodio c. Poste Italiane) e Trib. Foggia (Est. Xxxxxxx), 7 aprile 2008, sempre in questa Rivista, 2008, 812, cit.; Trib. Roma (Est. Xxxxxxx), 22 aprile 2008 (Xxxxxxxxx c. Poste), inedita; Trib. Trani (Est. La Notte Chirone), 6 maggio 2008, in questa Rivista, 2008, n. 7, 705, con nota di X. Xx Xxxxxxx, Questioni di pregiudizialità comunitaria e costituzionale sul contratto a termine.
(2) V. Trib. Foggia (Est. Xxxxxxx), 11 aprile 2007, in Riv. crit. dir. lav., 2007, 3, 728, con le prime notazioni di X. Xxxxxx, Il nuovo contratto a ter- mine di Poste Italiane Spa; in Riv. giur. lav., 2008, I, 155, con nota di X. Xxxxxx, cit.; in questa Rivista, 2008, 8, 812, con commento di X. Xxxxx- no, cit; in Arg. dir. lav., 2008, n. 3, con commento di X. Xxxxxxxx, Con- tratto a tempo determinato e abuso di posizione dominante?
L’interesse della pronuncia in esame risiede in lar- ga parte nel ripetuto richiamo ai diversi principi fissati dalla Giurisprudenza della Corte di Giustizia, della Cor- te di legittimità nonché della Corte Costituzionale, se- condo cui il problema di interpretazione e applicazione della norma interna andrebbe risolto alla luce del rap- porto tra diritto comunitario e diritto nazionale.
È senza dubbio su quest’ultimo fronte che la pro- nuncia del Giudice da uno fornisce le indicazioni più si- gnificative, con argomenti che valgono a chiarire alcu- ni principi che presiedono la disciplina sul contratto a termine di cui al D.Lgs. n. 368/2001, emanato in attua- zione della Direttiva europea 1999/70/CE.
Quest’ultima, infatti, vincola gli Stati a raggiunge- re i risultati in essa previsti, lasciando ad essi la scelta della forma e dei mezzi per raggiungerli, imponendo agli Stati membri di prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati pre- scritti dalla direttiva medesima.
La sempre maggiore apertura dell’ordinamento na- zionale a quello comunitario si evince dalla circostanza che, in materia di contratto a termine, la Corte di Giusti- zia, quale organo giurisdizionale cui è riservata la compe- tenza in materia di interpretazione del diritto comunita- rio (3), è stata più volte investita delle questioni concer- nenti la compatibilità della normativa interna, sia italia- na che di altri Stati membri, con il diritto comunitario.
Dopo un lungo cammino interpretativo, le inter- pretazioni offerte dalla Giurisprudenza di legittimità (4) in linea con l’ormai pacifico orientamento della Consul- ta (5), hanno visto consolidarsi in maniera assolutamen- te univoca l’orientamento secondo cui, il giudice nazio- nale ha l’obbligo di “disapplicazione” (o, più corretta- mente della “non applicazione”) della norma interna, incompatibile con quella comunitaria, vigente anche dopo l’entrata in vigore, ad opera della legge costituzio- nale n. 3 del 2001, del nuovo testo dell’art. 117, primo comma, della Costituzione, che alla potestà legislativa esercitata dallo Stato e dalle regioni ha dettato il limite del «rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario». In tale contesto, giova evidenziare che sia la Corte Costituzionale (6) sia la Cassazione (7) hanno distinto nettamente gli obblighi comunitari derivanti dalla normativa dell’Unione europea, che devono essere direttamente recepiti dai giudici nazionali senza neanche sollevare la questione di pregiudizialità comunitaria ex art. 234, comma 3, Trattato UE (8), rispetto agli obbli- ghi internazionali, come la Convenzione europea per i diritti dell’uomo, che invece trovano ingresso e applica- zione nel nostro ordinamento attraverso il parametro in- terposto dell’art. 117, comma 1, Cost. e il vaglio di legit- timità costituzionale della norma interna contrastante.
Con la sentenza in commento il Tribunale di Fog- gia, che nella precedente pronuncia aveva fatto applica- zione dello strumento della non applicazione della nor- ma interna in contrasto con il diritto comunitario, ha abilmente spostato il problema interpretativo della in-
compatibilità dell’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/01 rispetto alla disciplina comunitaria, sul rapporto tra dirit- to comunitario (anche alla luce degli scopi perseguiti dal legislatore europeo) e diritto interno, evidenziando l’ob- bligo del giudice nazionale di attuare concretamente i principi sanciti dalla Giurisprudenza europea in materia di contratto a termine, al fine di pervenire ad una solu- zione conforme alle finalità perseguite dalla direttiva.
L’interpretazione conforme al diritto comunitario affonda le sue radici nei rapporti tra diritto interno ed internazionale, sulla base della presunzione di confor- mità del primo al secondo, per effetto della quale si ri- tiene che, nel caso di dubbi esegetici, la legge nazionale debba essere interpretata in conformità con le esigenze poste dagli obblighi internazionali precedentemente as- sunti dallo Stato (9).
Per quel che riguarda i rapporti tra diritto comuni- tario e diritto interno, lo strumento interpretativo in esame ha cominciato ad assumere connotati e peculia- xxxx del tutto originali per effetto dei moniti provenienti dalla Corte di Lussemburgo (10).
Tale obbligo di interpretazione conforme, per co- me lucidamente messo in evidenza nella sentenza “Xxxxxxxx” (11), riguarda l’insieme delle disposizioni del diritto nazionale, sia anteriori sia posteriori alla diretti- va. Nella stessa sentenza, la Corte di Xxxxxxxxx afferma che deve essere l’ordinamento interno a designare i giu- dici competenti e stabilire modalità procedurali che non devono essere meno favorevoli di quelle che ri- guardano ricorsi analoghi di natura interna, né devono rendere eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento comunitario.
Anche nella sentenza “Pupino” (12) la Corte co-
Note:
(3) Ai sensi dell’art. 220 del Trattato «La Corte di Giustizia assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente trattato».
(4) Cfr. Cassazione, Sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17564.
(5) Cfr., Xxxxx Xxxx., 00 aprile 2001, n. 168.
(6) Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx, 00 ottobre 2007, nn. 348 e 349.
(7) X. Xxxxxxxxxx, Sez. lav., 4 settembre 2008, n. 22260, in questa Rivi- sta, 2008, 1128, con nota di X. Xx Xxxxxxx, Nuovamente alla Consulta il passaggio del personale ATA dagli Enti locali allo Stato.
(8) Presupposto necessario perché possa essere sollevata la questione di- nanzi alla Corte di Giustizia tramite il rinvio pregiudiziale è la rilevanza della questione ai fini della decisione del giudizio da parte del giudice na- zionale. Successivamente, sulla base delle indicazioni offerte dalla Corte di Giustizia, la quale si pronuncia solo e soltanto sull’interpretazione del- la norma comunitaria, sarà il giudice interno a dover valutare la compa- tibilità della norma del proprio ordinamento e la norma comunitaria.
(9) Si veda sull’argomento, Conforti, Diritto internazionale, Napoli, 2002, 321.
(10) Si veda, tra le tante, Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 aprile 1984, causa 14/83, Xxx Xxxxxx e a., in Racc., 1891.
(11) Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 0 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a X- 000/00, xx Xxxx xx., 0000, XX, 00.
(12) Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 giugno 2005, nella causa C-105/03, in Racc., 2005, I-5285.
munitaria ha ribadito che «il giudice nazionale è tenuto a prendere in considerazione le norme dell’ordinamen- to nazionale nel loro complesso e ad interpretarle, in quanto possibile, alla luce della lettera e dello scopo della detta decisione quadro». Analogamente, nel caso “Impact” (13) la Grande Sezione della Corte di Giusti- zia, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione delle clausole 4 e 5 dell’accordo quadro nonché sull’estensione dell’autonomia procedu- rale degli stati membri e sulla portata dell’obbligo di in- terpretazione conforme gravante sui giudici di questi ul- timi, ha enunciato il principio in base al quale il giudice nazionale deve sentirsi un giudice europeo, che deve es- sere informato della giurisprudenza della Corte di Giu- stizia sulla legislazione di tutti gli stati membri al fine di attuare i principi contenuti nel Trattato CE.
Si tratta di un passaggio fondamentale nell’applica- zione del diritto comunitario, che può cogliersi nel suo pieno significato solo laddove ci si accorga dell’esigenza di ampliare il potere interpretativo del giudice nazionale offrendogli, appunto, lo strumento dell’interpretazione conforme per armonizzare le tutele offerte ai cittadini al- l’interno dei singoli Stati. Utilizzando rigorosamente la metodologia dell’interpretazione conforme, non v’è la necessità di verificare se e in che modo una previsione conferisca diritti agli individui: ciò che conta è che il di- ritto europeo persegua un risultato che non può essere ostacolato da norme interne incompatibili. In altre pa- role, il giudice nazionale, fra più soluzioni possibili, deve ricercare l’interpretazione della disposizione interna, precedente o successiva alla normativa comunitaria, più fedele al testo e alle finalità di quest’ultima e, attraverso una rilettura complessiva delle disposizioni interne, deve ricercare nel proprio ordinamento nazionale quel signifi- cato da attribuire alla disposizione nazionale, affinché ri- sulti conforme alle finalità comunitarie (14).
Sul punto la pronuncia del Tribunale di Foggia ri- veste una peculiare importanza in quanto, in senso conforme a precedente decisione dello stesso Ufficio (15), attraverso un puntuale richiamo alle conclusioni rassegnate alla Corte di Giustizia europea dall’Avvocato Generale Xxxxxxx Xxxxxx il 4 dicembre 2008 (16), su questione di pregiudizialità comunitaria proposta dal Monomeles Protodikeio Rethymnis in ordine all’inter- pretazione di normativa greca in materia di contratti a termine nel settore pubblico, alla luce della clausola 5,
n. 1, lettera a) e n. 2, nonché della clausola 8, n. 3, della Direttiva 70/CE/1999, tenta di offrire una lettura siste- matica della attuale disciplina nazionale in materia di contratto a termine, ricorrendo al metodo ermeneutico dell’interpretazione conforme - che consente in modo tempestivo ed efficace, di conciliare esigenze nazionali e rispetto degli obblighi comunitari -, in luogo della via al- ternativa e residuale (anche per la difficoltà “culturale” di applicarne la tecnica da parte dei Giudici interni che operano in regime di civil law) della disapplicazione del diritto interno confliggente con il diritto comunitario.
Interpretazione della Corte di Giustizia Europea in materia di contratto a termine
alla luce della Direttiva 1999/70/CE
Il X.Xxx. n. 368/2001, come è noto, è frutto del re- cepimento nel nostro ordinamento della direttiva 1999/70/C, che a sua volta ha dato attuazione all’Ac- cordo Quadro, stipulato il 18 marzo 1999 da CES, UNICE e CEEP.
La trasposizione nell’ordinamento italiano non ha mancato di suscitare polemiche ed incertezze, in dottri- na e in giurisprudenza, in merito ad una serie di disposi- zioni normative che non paiono, a prima vista, corri- spondere in pieno allo spirito, oltre che alla lettera, del- la Direttiva e dell’Accordo Quadro (17).
Il contratto a termine, infatti, è assurto a momento centrale nel dialogo tra le Corti dando luogo a numero- si rinvii pregiudiziali, frutto anche di una intensa atti- vità interpretativa di giudici italiani, che hanno stimo- lato il dibattito attuando l’insegnamento sulla diretta applicabilità del diritto comunitario che non solo la Corte di Giustizia, ma la stessa Corte Costituzionale
(18) impartiva loro a partire dalla sentenza Granital.
Pur non potendo dare contezza dell’intero dibattito dottrinale (19) e giurisprudenziale (20) sul tema, preme
Note:
(13) Xxxxx xx Xxxxxxxxx, 00 aprile 2008, causa C-268/06, in Dir. relaz. ind., 2008, 3, 854, con nota di X. Xxxxx. Le conclusioni (integralmente accolte) sono state precisate all’udienza del 9 gennaio 2008 dall’Avvo- cato generale X. Xxxxxx, la stessa della decisione precedente “Xxxxxxxx” (v. infra) e a cui sono state affidate quelle rese all’udienza del 4 dicembre 2008 nella causa “Xxxxxxx Xxxxxxxxxx”, decisa dalla III Sezione della Corte con sentenza del 23 aprile 2009.
(14) Così Barletta, La questione del falso in bilancio: tra obblighi comunitari e tradizioni costituzionali comuni, in xxx.xxxxxxxx.xx.
(15) X. Xxxx. Xxxxxx, 00 dicembre 2008, Est. Chiddo, commentata da X. xx Xxxxxxx, La giurisprudenza sull’art. 4-bis, D.Lgs. 368/2001: motivi di- versi di un’unica illegittimità, in questa Rivista, 2009, 166 ss.
(16) Conclusioni depositate nelle cause riunite “Xxxxxxx Xxxxxxxxxx” da C-378/07 a C-380/07, consultabile sul sito xxxx://xxxxx.xxxxxx.xx/xx. Sulle prime osservazioni alla sentenza si rinvia a X. Xxxxxxxx, La Corte di Giustizia sul contratto a termine e la clausola di non regresso, supra, 437.
(17) Per un interessante quadro di queste perplessità si veda X. Xxxxxxx, Riforma del contratto a termine e obblighi comunitari: come si attua una diret- tiva travisandola, in Dir. merc.lav., 2001, 3, 633 ss.
(18) Xxxxx Xxxxxxxxxxxxxx 0 giugno 1984 n. 170, in Foro It., 1984, 2062, con nota di X. Xxxxxxx. Si veda, sul ruolo dei giudici nazionali nel con- troverso processo di “europeizzazione” del sistema giuridico italiano, X.Xxxxxxx, Trusting Judges to Deliver Changes: Italy, the EU and Labour Law, Xxxx Xxxxxx Working Paper 01/08, consultabile sul sito www.Xxxx- XxxxxxXxxxxxx.xxx. Sui contratti a termine nell’ordinamento italiano,
X. Xxxxxxx, Flexibility and fixed-term contracts in Italy, in X.Xxxxxx e
X.Xxxxx (a cura di), Flexibility in Employment and Labour Market Legisla- tion in Europe: Comparino Italy and Germany, Milano, 2004.
(19) X. Xxxxxxxx, Prime osservazioni sullo schema di decreto legislativo sul lavoro a termine, xxx.xxxx.xx/xxxxxxxxx, 2001; Xxxxxxxxx, Sullo “schema” di decreto legislativo in materia di lavoro a tempo determinato (nel testo cono- sciuto al 6 luglio 2001), ivi; X. Xxxxxxxxx, Evoluzione del contratto a termine. Dalla subalternità alla alternatività: un modello per il lavoro, in Quad. dir. lav.,
n. 23, 2000, 9; X. Xxxx, Diritto del lavoro, Padova, 2000, 334; X. Xxxxx,
L’accordo quadro del 18 marzo 1999 e la direttiva n. 99/70/CE sul lavoro a
(segue)
qui accennare alle principali questioni poste al vaglio della giurisprudenza delle Corti Europee dalle varie legi- slazioni che hanno recepito la direttiva 1999/70/CE.
La prima delle sentenze emesse ha riguardato la le- gislazione tedesca ed è intervenuta su importanti que- stioni interpretative relative all’attuazione della direttiva 1999/70/CE sul contratto a termine operata nella legge tedesca sul mercato del lavoro del 23 dicembre 2000. La questione pregiudiziale risolta con la sentenza Xxxxxxx
(21) proveniva da una fictio litis tra il Signor Xxxxxxx e il suo datore di lavoro (l’avv. Xxxx, vero inventore della controversia). La questione riguarda la compatibilità di una normativa tedesca che autorizza indiscriminata- mente la stipula di contratti di lavoro a tempo determi- nato quando il lavoratore abbia raggiunto una certa età, con la Direttiva comunitaria 2000/78/CE, ed in partico- lare con il principio di non discriminazione in ragione dell’età in essa posto. Al fine di favorire la lotta alla di- soccupazione, la legge tedesca consente la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato (altrimenti li- mitati alla durata massima dei due anni) quando i lavo- ratori abbiano raggiunto l’età di 60 anni. Tale limite di età è stato poi successivamente e temporaneamente ab- bassato a 52 anni, e di tale modifica si era avvalso il da- tore di lavoro del Sig. Xxxxxxx assumendolo.
Dopo aver più volte ricordato come la Direttiva 2000/78/CE tuteli la parità di trattamento ed osti a di- scipline nazionali contrastanti con essa, i giudici del Lussemburgo, soffermandosi ai punti 51 e 52 sulla clau- sola 8 di non regresso contenuta nella Direttiva 1999/70/CE, hanno statuito sia che l’espressione “appli- cazione”, utilizzata senza ulteriori precisazioni nella clausola 8, punto 3, dell’Accordo Quadro, non riguarda la sola iniziale trasposizione della direttiva (e, in parti- colare, dell’Accordo Quadro), ma copre ogni misura nazionale intesa a garantire che l’obiettivo da questa perseguito possa essere raggiunto, comprese le misure che, successivamente alla trasposizione, completano o modificano le norme nazionali già adottate, sia che una reformatio in peius della protezione offerta ai lavoratori nel settore dei contratti a tempo determinato, non è, in quanto tale, vietata dall’Accordo Quadro, quando non è in alcun modo collegata con l’applicazione di questo.
La sentenza si conclude con la prescrizione dell’ob- bligo di disapplicazione della disciplina interna in capo al giudice nazionale «anche quando il temine di trasposi- zione della direttiva non è scaduto». Quanto sopra vin- cola gli stati membri all’osservanza delle clausole della direttiva non soltanto nella legge immediatamente re- cettiva di essa ma anche nelle leggi che dovessero essere successivamente emanate nella materia. Successivamen- te alla molto discussa sentenza Xxxxxxx (22), la Grande Sezione con la sentenza “Xxxxxxxx” (23) ha corretto la propria interpretazione sull’ambito di applicazione della normativa comunitaria in riferimento al primo contratto “causale”, fornendo nel contempo una precisa nozione di “ragioni obiettive”, che manca nella direttiva.
In particolare, nella sentenza del 4 luglio 2006, la Corte di Giustizia europea, richiamando la pronuncia Xxxxxxxx (24) per chiarire la portata dell’obbligo di inter- pretazione conforme cui sono tenuti i giudici nazionali, ha risolto importanti questioni interpretative relative all’Accordo Quadro, come quelle inerenti la nozione di “ragioni obiettive”, la nozione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato “successivi”, e il problema della temporaneità delle esigenze da porre a base della stipulazione di un contratto a termine.
Più precisamente, la Corte di Giustizia ha ritenuto la normativa greca - che non contiene alcuna previsio- ne per l’illegittima reiterazione dei contratti a termine - incompatibile con la Direttiva, perché non solo non prevede alcuna delle misure prevista dalla clausola 5 per prevenire gli abusi derivanti da un indebita utilizza- zione dei contratti a termine, ma non contiene nean-
Note:
(continua nota 19)
tempo determinato; profili regolativi ed obblighi di conformazione per l’Italia, in La nuova disciplina del lavoro a termine, a cura di Xxxxxxxx, Milano, 2002, 39; Franza, La direttiva comunitaria n. 99/70/CE, in Il contratto di lavoro a tempo determinato nel d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368,a cura di Xxxxxx, To- rino, 2002, 13; Xxxxxx, Dir. lav. dell’Unione europea, Milano, 2001, 288; P. Xxxxxxxxxxx, L’evoluzione della disciplina del contratto a termine tra oscillazio- ni giurisprudenziali e normativa comunitaria, in Arg. dir. lav., 2001, 503; Fer- rante, Nuovi sviluppi per il dialogo sociale europeo: la direttiva sul lavoro a ter- mine, in EuDP, 2000, 215; X. Xxxxxxxx, Lavoro a termine, referendum, Di- rettiva 1999/70/CE, Patto di Milano, in Riv. giur. lav., 2000, I, 575; (a cura di) X. Xxxxxxx, M. Napoli, Il lavoro a termine in Italia ed in Europa¸ Torino, 2003; Xxxxxxx, Il principio di non discriminazione nelle direttive europee sul part-time e sul lavoro a termine, in Mass. giur. lav., 2000, 36; X. Xxxxx, L’ac- cordo quadro comunitario sul lavoro a termine, in Giur. Lav., 1999, n. 16, 17; Xxxxxxx, L’accordo europeo sul lavoro a tempo determinato, in questa Rivista, 1999, 1013; X. Xxxxxxxxxx, Alcune note critiche sull’accordo collettivo euro- peo in materia di lavoro a tempo indeterminato, in Dir. Rel. Ind., 1999, 461; Xxxxxxx, Riforma del contratto a termine e obblighi comunitari: come si attua una direttiva travisandola, in Dir. merc. lav., 2001, 3, 633.
(20) X. xxx xx xxxxx, Xxxx. Xxxxx, 00 aprile 2008, n. 434, Est. La Notte Chirone, in questa Rivista, 2008, 7, 705.
(21) Xxxxx Xxxxx. XX, 00 novembre 2005, causa C-144/04, in questa Rivista, 2006, n. 5, 459, con nota di X. Xxxxxx; in Foro it., 2006, IV, 133 e ibidem, 341, con nota di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxx; in Riv. it. dir. lav., 2006, 251, con nota di X. Xxxxxxx; in Riv. giur. lav., 2007, 205, con no- ta di X. Xxxxxx; in Riv. crit. dir. lav., 2006, 387, con nota di Guariso; in Dir. lav., 2006, (1-2), 3, con nota di X. Xxxxxxxxx.
(22) Per una compiuta ricostruzione degli errori commessi dalla Corte di Giustizia nella sentenza Xxxxxxx, si veda X. Xx Xxxxxxx, Contratto a termine e precariato, Milano, 2009, in corso di pubblicazione.
(23) Xxxxx Xxxxx. XX, 0 luglio 2006, causa C-212/04, sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Monomeles Protodikeio Thessalo- nikis (Grecia) con ordinanza dell’8 aprile 2004, pubblicata in G.U.C.E. Serie C 179 del 10 luglio 2004, 8. In dottrina, v. X. Xxxxxxxx, Precarietà del lavoro e riforma del contratto a termine dopo le sentenze della Corte di Giustizia, in Riv. giur. lav., 2006, I, 698; X. Xxxxxx, Presentazione, ivi, 2007, I, 4; X. Xxxxxxxxx, Il contratto a termine e la liberalizzazione negata, in Dir. Rel. Ind., 2006, 610; X. Xxxxxxxxxx, La Corte di Giustizia e gli abusi nella reiterazione dei contratti a termine: il problema della legittimità comuni- taria degli artt. 5 d. lg. n. 368/2001 e 36 d. ls. n. 165/2001, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 744; X. Xxxx, Il contratto a termine alla prova, in Lav. dir., 2006, 462; X. Xxxxxxx, Sanzioni per il contratto a termine nel lavoro pubblico e Corte di Giustizia Europea, in Dir. lav. merc., 2007, 131.
(24) Xxxxx Xxxxx. XX, 0 ottobre 2004, cit.
che misure equivalenti che permettano, comunque, di evitare gli abusi.
La Corte, infatti, ha precisato che la clausola 5, n. 1, lettera a) dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo de- terminato deve essere interpretata nel senso che essa osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo deter- minato successivi che sia giustificata dalla sola circostan- za di essere prevista da una disposizione legislativa o re- golamentare generale di uno Stato membro. Al contra- rio, la nozione di ragioni obiettive esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti di lavoro, quale previ- sto dalla normativa nazionale sia giustificato dall’esisten- za di altri elementi concreti relativi, in particolare, all’at- tività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio.
Sulla base dei predetti principi, l’avvocato Genera- le Xxxxxxx Xxxxxx, nelle citate conclusioni presentate il 4 dicembre 2008 si è occupata sia della discrezionalità che residua in capo agli Stati membri in sede di trasposizione della Direttiva in presenza di norme equivalenti dirette alla prevenzione degli abusi, sia dell’operatività dei prin- cipi sanciti nella direttiva e nell’Accordo Quadro con ri- ferimento al primo contratto a termine, sia della portata del divieto di reformatio in peius, sia della nozione di ra- gioni obiettive, sia, infine, dei poteri del Giudice nazio- nale investito della questione circa la violazione della normativa comunitaria da parte del diritto interno.
Molto significativamente (e in modo esaustivo e convincente), il quadro interpretativo del diritto comu- nitario proposto alla Corte dalla Kokott, è il seguente:
1 - l’intera disciplina del contratto a tempo deter- minato rientra nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro e della direttiva comunitaria;
2 - ogni Stato membro è libero di adottare disposi- zioni in materia di lavoro a tempo determinato, anche successivamente al recepimento della direttiva, purché esse siano conformi a tutte le prescrizioni del diritto co- munitario;
3 - la specificazione delle “ragioni obiettive” come misura idonea a prevenire gli abusi scelta dal legislatore nazionale tra le tre (lettera a) previste dalla clausola 5, punto 1, riguarda anche il primo e unico contratto (25), in quanto detta clausola «osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro. Al contrario, la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della detta clausola esige che il ricor- so a questo tipo particolare di rapporti di lavoro, quale previsto dalla normativa nazionale, sia giustificato dal- l’esistenza di elementi concreti relativi in particolare al- l’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo eserci- zio» (26) (il che significa che l’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. 368/2001 contrasta specificamente con il diritto comunitario, non consentendo di prevenire gli abusi per la natura acausale della norma);
4 - la clausola 8, n. 3, denominata di non regresso, non ha applicazione diretta negli ordinamenti interni,
ma opera sul piano della tutela generale ed è possibile
«l’abrogazione o il depotenziamento di una sanzione contro gli abusi derivanti dall’utilizzo di contratti o rap- porti di lavoro a tempo determinato in relazione ad una specifica categoria di lavoratori a tempo determinato, se tali misure sono compensate da un contestuale rafforzamento delle misure per la prevenzione degli abusi. Ciò nondimeno rimane l’obbligo a carico degli Stati membri di introdurre o conservare per i casi di abuso sanzioni effettive, proporzionale e dissuasive»;
5 - infine, «i giudici nazionali, in osservanza del loro obbligo di interpretare il diritto nazionale in conformità alle direttive (27), sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie per essere sempre in grado di garantire i risul- tati prescritti dalla direttiva 1999/70 e cancellare le con- seguenze di eventuali violazioni del diritto comunitario
(28). A tal fine essi devono utilizzare fino in fondo la di-
screzionalità che il diritto nazionale riconosce loro (29)». L’Avvocato Generale, dunque, superando le molte perplessità sull’ambito della Direttiva che erano emerse dopo la sentenza “Xxxxxxx” e che avevano indotto la Corte Costituzionale a restituire gli atti al Tribunale di Rossano con l’ordinanza n. 252/2006, mette in dubbio anche l’interpretazione della clausola di non regresso che è stata fornita dalla sentenza “Xxxxxxx”, afferman- do, infatti, che nonostante la clausola 5, n. 1, nel com- binato disposto con la clausola 1, lett. b) dell’Accordo Quadro si limiti specificamente ad obbligare gli Stati membri ad introdurre concrete misure per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di con- tratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, ciò non vuol dire che il divieto di reformatio in peius riguardi esclusivamente i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, posto che l’ambito di applica- zione dell’Accordo Quadro in generale e della clausola
Note:
(25) Corte Giust. CE, Sez. III, sentenza 23 aprile 2009, causa “Xxxxxxx Xxxxxxxxxx” non ha accolto le conclusioni della Kokott sul punto del- l’applicazione della clausola 5, n. 1, lett. a) dell’accordo quadro e delle ra- gioni obiettive anche al primo e unico contratto. Tuttavia, si tratta di un contrasto solo formale tra l’Avvocato generale e la decisione della Corte (determinato, peraltro, dall’esigenza di non sconfessare del tutto la “Xxxxxxx” e ammettere ex professo gli errori commessi dalla Grande Se- zione), in quanto lo stesso Collegio estende il campo di applicazione del- la clausola di non regresso al primo e unico contratto a prescindere dalla clausola 5 e dalle misure preventive e equivalenti, confermando integral- mente sul punto l’impianto interpretativo di Cass. n. 12985/2008.
(26) Così specificamente l’ordinanza “Vassilakis”, del 12 giugno 2008 nella causa C-364/07. La Corte ha utilizzato lo strumento dell’ordinanza ai sensi dell’art. 104, n. 3, primo comma del Regolamento di procedura. Ritenendo l’interpretazione della norma ormai consolidata.
(27) Cfr. le sentenze della Corte di Giustizia “Xxxxxxxx”, punti 115, 116, 118 e 119; “Xxxxxxxx” punto 111; “Impact”, punto 101.
(28) Cfr. le sentenze della Corte di Giustizia “Xxxxxxxx”, punto 102; “Xxxxxxx e Xxxxxxx”, punto 53; “Vassallo”, punto 38.
(29) Cfr. sentenze della Corte di Giustizia “Xxx Xxxxxx e Kamann” del 10 aprile 1984, causa 14/83, punto 28; “Xxxxxx e a.” del 4 febbraio 1988, causa 157/86, punto 11; “ITC” dell’11 gennaio 2007, causa C- 208/05, punto 68.
di non regresso in particolare non possono essere inter- pretati restrittivamente.
La “compatibilità” dell’art. 2, comma 1-bis,
D.Lgs. n. 368/2001 con i principi di diritto comunitario
Nel caso sottoposto alla cognizione del Tribunale di Foggia, la ricorrente chiede al giudice di dichiarare l’illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti di lavoro per violazione dell’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001, nonché per violazione della direttiva 1999/70/CE, so- stenendo, sostanzialmente, che l’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001, peggiorando fortemente la situazio- ne di tutela dei lavoratori rispetto alla disciplina prece- dente, sarebbe in contrasto diretto con la clausola di non regresso, in quanto consente a Poste Italiane S.p.a. di stipulare contratti a tempo determinato senza l’onere di indicare le ragioni di apposizione del termine.
Il Tribunale di Foggia, che nella prima pronuncia del 2007 propendeva per l’autonomia della causale, correggendo il proprio precedente, opta per la natura aggiuntiva della norma, affermando la necessità della presenza, anche per i contratti stipulati ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001, di ragioni oggettive specificamente indicate. E tale interpretazione scaturi- sce dalle finalità che il legislatore italiano si era prefisso di realizzare con la riforma integrale del contratto a ter- mine, considerando che l’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001 fa discendere dalla mancata apposizione del termine in atto scritto nel quale siano specificate le ra- gioni di cui al comma 1, la inefficacia del termine ille- gittimamente apposto. Le ragioni obiettive, da specifi- carsi nel contratto di assunzione, rappresentano l’unico modo per evitare qualsiasi volontà discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro e per impedire un uso distorto del contratto a termine. Va rilevato, inoltre, che nei considerando della Direttiva 1999/70/CE è chiaramente sottolineato che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e che l’utilizzazione di contratti a termine basata su ragioni oggettive rappresenta un mo- do di prevenire gli abusi.
I suesposti principi sono stati confermati dalla re- cente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione
(30) che, immediatamente dopo la sentenza della Cor- te Costituzionale n. 44/2008 (31), ha offerto una inter- pretazione sistematica rigorosa della riforma del 2001.
La Corte di legittimità, evidenziando la necessità di una lettura “conservativa” del D.Lgs. n. 368/2001, pone a fondamento del processo ermeneutico le sen- tenze “Xxxxxxx” e “Xxxxxxxx” della Corte di Giustizia (più la seconda della prima), non condividendo la tesi dottrinale della estraneità del primo contratto a termi- ne e della sua causale dal campo di applicazione della normativa comunitaria e rivalutando la necessità di una puntuale motivazione nell’apposizione del termine anche al primo contratto (tesi, che, appunto, sarà ripre-
sa dall’Avvocato generale Xxxxxx e nella sentenza Xx- xxxxx Xxxxxxxxxx, che corregge l’Avvocato generale sul- le ragioni obiettive della clausola 5, ma estende espres- samente al primo e unico contratto il campo di applica- zione della direttiva comunitaria attraverso la clausola generale di non regresso).
Inoltre, la Corte ha affrontato l’aspetto sanzionato- rio del D.Lgs. n. 368/01 e, quindi, gli effetti dell’abroga- zione dell’art. 3, L. n. 230/1962, osservando non solo che il termine rimane elemento accidentale del con- tratto di lavoro, ma anche che la sanzione, in caso di invalidità del termine, è quella della conversione in rapporto a tempo indeterminato, per nullità parziale della clausola appositiva del termine.
In ogni caso, la parte principale della motivazione della Cassazione è che l’interpretazione adeguatrice o sistematica dell’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001 si fonda sulla
c.d. “interpretazione comunitaria”, che ha «valenza co- stituzionale ex art. 76 Cost., in quanto la delega al Go- verno è limitata, ex art. 1, L. n. 422/2000, alle norme occorrenti per dare attuazione alla direttiva».
Poiché l’art. 1, D.Lgs. n. 368/2001 costituisce il perno intorno al quale ruota l’intera riforma della disci- plina sul contratto a termine e poiché le ragioni obietti- ve costituiscono il modo più efficace per prevenire gli abusi nell’utilizzo dell’istituto, è evidente che dalle ra- gioni obiettive non possa prescindersi neppure con rife- rimento ai contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/200, atteso che, diversa- mente opinando, sarebbe frustato il risultato prescritto dalla direttiva.
D’altronde, anche quando lo stesso Tribunale di
Note:
(30) Pres. Mattone, Est. Nobile. La decisione è stata pubblicata in que- sta Rivista, 2008, 903, con nota di X. Xx Xxxxxxx, L’interpretazione siste- matica della Cassazione sul contratto a termine e la reazione caotica del legi- slatore; v. anche X. Xxxxxxxx, La Cassazione e il rasoio di Xxxxxx quale strumento intervento del contratto a tempo determinato: a parità di fattori la spiegazione più semplice tende ad essere quella esatta, in Riv. it. dir. lav., 2008, 4, 891; A.M. Xxxxxxx, Il paradosso del contratto a termine: l’enfasi dei principi e la «Realpolitik» delle regole, in Foro it., 2008, 12, I, 3576. Critico, naturalmente (per essere stato censurato da Cass. n. 12985/2008), X. Xxxxxxxxx, Sforzi interpretativi per una distribuzione inefficiente dei posti di lavoro stabile, in Mass. giur. lav., 2008, 8/9, 643.
(31) La decisione del 25 febbraio 2008, depositata in data 4 marzo 2008, è stata pubblicata in questa Rivista, 2008, n. 4, 373, con nota di X. Xx Xxxxxxx, Improvvisa decisione della Consulta: i prevedibili effetti negativi sul contratto a termine. V. anche, X. Xxxxxxxx, La disciplina del contratto a termine sotto la «lente comunitaria» della Corte Costituzionale, in Riv. it. dir. lav., 2008, II, 507-515; X. Xxxxxxx, Apposizione del termine, successione di contratti a tempo determinato e nuovi limiti legali: primi problemi applicativi dell’art. 5, commi 0-xxx x xxx, x.xxx. x. 000/0000, xxxxxx, X, 000-000; X. Xxxxxxx, Le assunzioni a termine «formalmente acausali», a norma dell’art. 2, d.lgs. n. 368/2001, sono compatibili con la disciplina comunitaria, ibidem, II, 614-619; T. Vettor, Principi della delega e rinvio alla direttiva 1999/70/CE nella sentenza n. 44 del 2008 della Corte Costituzionale (e nel- la successiva giurisprudenza di merito), in Arg. Dir. Lav., 6, 2008, 1435 ss.; con omissioni di contributi e di decisioni importanti sull’argomento, v. infine, X. Xxxxxx, Effetti e «miraggi» provocati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 44/2008 sulla tenuta della legislazione italiana in tema di contratto a termine, in Riv.it.dir.lav., 2009, II, 65 ss.
Foggia nella sentenza del 2007 aveva considerato l’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001 una autonoma fat- tispecie di ricorso a tempo determinato, aveva comun- que ravvisato nella norma un contrasto con la Direttiva comunitaria, in quanto consente a Poste Italiane S.p.a. di stipulare contratti a termine, svincolandosi dall’ob- bligo di motivazione di cui all’art. 1 citato.
Alla luce di queste considerazioni, il Giudice del lavoro ritiene che la “causale finanziaria” abbia intro- dotto ulteriori oneri, in aggiunta a quelli di cui all’art. 1 che devono essere, comunque, rigidamente assolti, al- meno per quanto riguarda l’onere di specificazione della motivazione.
Peraltro, come rilevato sia nelle citate pronunce della Corte di Giustizia Europea che dalla stessa Corte di legittimità, il campo di applicazione della Direttiva è in- dividuato dalla clausola 2 dell’Accordo Quadro comuni- tario con riferimento alla generalità dei lavoratori assun- ti a tempo determinato e, quindi, anche di coloro che vengono assunti con un solo ed unico contratto a termi-
gnificherebbe creare una ingiustificabile disparità di trattamento non solo tra lavoratori e lavoratori, ma an- che tra aziende ed aziende, perché Poste, operando an- che nel settore finanziario e creditizio, avrebbe la possi- bilità di utilizzare forme di impiego “flessibile” di ingiu- stificato favore rispetto agli istituti bancari.
L’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001: la sanzione “transitoria” comunitariamente applicabile
Infine (ma nella sentenza in commento il punto è affrontato in via preliminare), il Tribunale di Foggia, occupandosi della questione della norma transitoria con efficacia solo retroattiva introdotta dall’art. 21, comma 1 bis, D.L. n. 112/2008 (36), ha affermato l’i- napplicabilità dell’art. 4-bis alla fattispecie sottoposta al suo esame, in quanto la violazione dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 è ravvisabile solo allorquando le XX.XX. non ricevono le richieste di assunzione da par- te delle aziende indicate nella norma, per cui, essendo stato stipulato il contratto a termine ai sensi, e non in
ne. Sulla base dei suesposti principi, è implicito che la
norma della finanziaria del 2006 è finalizzata ad impedire la conversione dei contratti a tempo determinato solo ed esclusivamente per Poste Italiane s.p.a., atteso che la fat- tispecie disciplinata dal citato comma 1-bis del D.Lgs. n. 368/2001 non contiene alcuna tipizzazione e cristallizza- zione di pretese “ragioni obiettive” che, di per sé, in rela- zione alle peculiarità del “settore” e attraverso il mero ri- chiamo alla norma contenuto nel contratto individuale di lavoro, legittimerebbero l’assunzione di lavoratori con contratto a tempo determinato da parte di “imprese con- cessionarie di servizi nei settori delle poste”.
Considerare legittima (32) l’apposizione del termi- ne sulla base del solo richiamo della “causale finanzia- ria” e senza ulteriore motivazione (33), costituirebbe la negazione sia degli intenti esplicitati nel 7° consideran- do della direttiva e recepiti nell’art. 1 D.Lgs. n. 368/2001, laddove si richiede la sussistenza di “ragioni oggettive”, sia dei principi sanciti dalla Suprema Corte nella citata decisione n. 12985/2008.
Che il comma aggiunto all’art. 2, primo e origina- riamente unico comma, del D.Lgs. n. 368/2001 sia una norma di favore e di esclusivo favore per Poste Italiane S.p.a., che peggiora fortemente la situazione di tutela dei lavoratori a termine di Poste Italiane s.p.a. rispetto alla normativa ante 1° gennaio 2006, emerge dalla cir- costanza che Poste italiane s.p.a. fino a novembre 2007 ha sempre stipulato contratti a tempo determinato ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001, addi- rittura, anche per gli addetti alla sportelleria, che non potrebbero essere assunti con quella causale (34). Sul punto, il Magistrato foggiano, nel richiamare quanto af- fermato in precedenza molto puntualmente dal Tribu- nale di Trani (35), fa osservare come la norma aggiunta dalla finanziaria sia inapplicabile agli sportellisti. Esten- dere l’applicazione della norma “abusiva” a tutte le atti- vità della Società resistente - precisa il Tribunale - si-
Note:
(32) Trib. Milano, sentenza 30 ottobre 2007, n. 4122/07, Est. Porcelli, inedita. La decisione, occupandosi di una serie di contratti a termine di dipendenti Poste con la “causale finanziaria”, da un lato ritiene legitti- ma l’apposizione della giustificazione “acausale” del primo contratto, dall’altro, proprio alla luce della normativa comunitaria e alla clausola
n. 5 dell’Accordo quadro, ritiene “abusivo” il 2° contratto a termine per mancata specificazione delle ragioni previste dall’art. 1 del Decreto, coordinando questa norma (e applicandola) con l’art. 5 e con l’art. 2, comma 1-bis, del 368.
(33) Giustifica ancora la acausalità della norma la autorevole difesa era- riale di Poste, in X. Xxxxxxx, Apposizione del termine, successione di con- tratti a tempo determinato e nuovi limiti legali: primi problemi applicativi del- l’art. 5, commi 4-bis e ter, d. lgs. n. 368/2001, cit., 320; nonché M. Ma- razza, Le assunzioni a termine «formalmente acausali», a norma dell’art. 2, d.lgs. n. 368/2001, sono compatibili con la disciplina comunitaria, cit., 616.
V. anche, in senso conforme, ma con lo sguardo interpretativo ancora fermo alla sentenza “Xxxxxxx”, ampiamente superata dalla stessa Corte di Giustizia sulla clausola di non regresso e sul primo contratto, X. Xxxxx, Il contratto a tempo determinato: le modifiche del 2008, in ADAPT, Working Paper, n. 78/2009, 2 ss.
(34) L’art. 24 dell’attuale Ccnl per i dipendenti di Poste Italiane s.p.a., approvato a luglio 2007, che regolamenta il “Rapporto di lavoro a tempo determinato”, al punto 1 afferma: «L’assunzione con contratto a tempo determinato avviene ai sensi delle vigenti disposizioni di legge. Pertanto
- fermo restando il disposto dell’art. 2 del D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368, come modificato ed integrato dalla Legge del 23 dicembre 2005 n. 266, che regola, in via non esclusiva, le esigenze delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste - il ricorso all’istituto del contratto a tem- po determinato è ammesso in presenza di ragioni di carattere tecnico, or- ganizzativo, produttivo o sostitutivo, riscontrabili alla data della stipula del contratto a termine e specificate nella lettera di assunzione».
(35) Sentenza 28 aprile 2008, cit.
(36) Su cui sono state sollevate decine di questioni di legittimità costi- tuzionale, per violazioni di una serie numerosa di parametri costituzio- nali. Per un’analisi approfondita delle varie criticità rilevata dalla Giuri- sprudenza di merito sull’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, v. X. xx Xxxxxxx, La giurisprudenza sull’art. 4-bis d.lgs. 368/2001: motivi diversi di un’unica illegittimità, in questa Rivista, cit. e X. Xxxxx, Contratto a termine: dubbi di costituzionalità, in Dir. Prat. Lav., 2009, 1, 13 ss. Su identica questione si veda, da ultimo, il contributo di Xxxxx, Le ragioni giustificatrici del termi- ne e le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001, infra, 506.
violazione, dell’art. 2, comma 1 bis, non si ravvisa alcu- na violazione da parte del datore di lavoro della norma in esame, ai fini dell’applicazione dell’art. 4-bis, non es- sendo la stessa suscettibile di interpretazione estensiva. Pertanto, sulla base di quanto chiarito dalla Corte di Giustizia europea (“Xxxxxxx”, “Xxxxxxxx”, “Impact” e “Vassilakis”) e dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 12985/2008), il Giudice del lavoro, disapplica l’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001 sulla base dell’inter- pretazione conforme ai principi comunitari.
In termini condivisibili, il Tribunale di Foggia ha acutamente dedotto che, alla luce delle considerazioni dell’avvocato generale Xxxxxx, il quadro interpretativo potrebbe definitivamente precludere il sindacato di co- stituzionalità, come è già successo con l’ordinanza n. 252/2006 della Consulta.
Se si considerano, infatti, i poteri che la Corte di Giustizia ha più volte riconosciuto in capo ai giudici nazionali nell’ipotesi in cui, nella fattispecie sottoposta al loro esame, riscontrino il contrasto della normativa interna con il diritto comunitario, si può concludere che il giudizio della Corte Costituzionale in simili fatti- specie possa ritenersi, addirittura, superfluo, avendo come unico effetto quello di allungare i tempi proces- suali, potendo, invece, più efficacemente soccorrere l’interpretazione adeguatrice della norma alla luce dei principi di diritto comunitario da parte dei Giudici na- zionali (37).
La sentenza in commento, peraltro, finisce per rap- presentare una soluzione forte e significativa rispetto al- la crisi della riforma del 2001, che il 23 giugno 2009 in udienza pubblica sarà oggetto di complessiva delibazio- ne da parte della Corte Costituzionale. Xxxxxxx discus- se contestualmente davanti alla Consulta:
• una questione di legittimità costituzionale della norma in favore di Poste (art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001), sollevata dal Tribunale di Roma con l’ordi- nanza n. 217/08 del 26 febbraio 2008, per presunta vio- lazione degli artt. 3, 101, 102 e 104 Cost.;
• due questioni di legittimità costituzionale sull’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, sollevate dapprima dal Tribunale di Trani con ordinanza del 21 aprile 2008, n. 434/2008 (38) e poi dal Tribunale di Roma con ordi- nanza del 26 settembre 2008, n. 413/2008, utilizzando come parametri costituzionali gli artt. 76, 77 e 000 Xx- xx.;
• numerose ordinanze di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, per violazione sostan- zialmente del principio di uguaglianza, della normativa comunitaria sulla clausola di non regresso e sull’appara- to sanzionatorio e della normativa costituzionale e in- ternazionale sul giusto processo (39).
Il Giudice rimettente, in particolare, sottolinea la violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e della normativa comunitaria sul contratto a tempo de- terminato.
Appare chiaro, in ogni caso, che tutte le questioni
di legittimità costituzionale sollevate in ordine all’art. 1, all’art. 2, comma 1-bis, e all’art. 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001 rientrano nel campo di applicazione del dirit- to comunitario e della Direttiva 1999/70/CE, come in- terpretata dalla Corte di Giustizia nelle sentenze Man- gold, Xxxxxxxx, Marrosu-Sardino e Vassallo, Del Cerro Xxxxxx, Impact, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, nonché nell’ordi- xxxxx Xxxxxxxxxx.
Vedremo cosa deciderà la Consulta, se preferirà ri- mandare indietro tutti gli atti ai Giudici rimettenti e far risolvere ad essi le questioni interpretative, in linea con quanto avvenuto con l’ordinanza n. 252/2006 della stessa Corte Costituzionale (ribadito dalle sentenze nn. 348 e 349/2007); oppure se riterrà opportuno interveni- re, come Giudice delle leggi, e, rilevato il contrasto tra la normativa comunitaria e la disciplina interna di re- cepimento (nel suo complesso o, comunque, nelle sue norme più importanti, l’art. 1 e l’art. 2 sulle “ragioni obiettive”, di riflesso l’art. 4 sulla proroga e l’art. 5 sulla successione dei contratti a termine), dichiarare la paro- la “fine” alla più precaria delle riforme dell’ultimo de- cennio in materia di regolamentazione dei rapporti di lavoro. Allo stato, non si intravedono spazi per altre so- luzioni.
Note:
(37) In tal senso, x. Xxxx. Xxxxxx, 00 dicembre 2008, cit., nonché Trib. Firenze, 3 dicembre 2008, Est. Xxxxxxxx, inedita.
(38) Lo stesso Tribunale di Trani ha sollevato anche questione di pre- giudizialità comunitaria con ordinanza del 9 giugno 2008 in relazione all’art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 e al contrasto con la clausola di non regresso e il diritto comunitario, in corso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea; commentata in questa Rivista, n. 7, cit.
(39) App. Bari, ord. 22 settembre 2008, n. 12/2009, Pres. Est. Castella- neta; Trib. Roma, ord. 26 settembre 2008, n. 413/2008, Est. Conte e 8 ottobre 2008, n. 60/2009; Trib. Roma, ord. 21 novembre 2008, n. 82/2009, Est. Xxxxxxx; Trib. Viterbo, ord. 10 ottobre 2008, n. 22/2009, Pres. Pascolini, Est. Ianigro; Trib. Pistoia, ord. 6 novembre 0000, x. 00/0000, Xxx. Xx Xxxxx; Xxx. Xxxxxxxxxxxxx, xxx. 12 novembre 2008, n. 43/2009, Pres. Xxxxxxxx, Est. D’Amore; App. Genova, ord. 26 settembre 2008, n. 441/2008, Pres. Meloni, Est. Ravera; Trib. Ascoli Xxxxxx, ord. 30 settembre 2008, nn. 442 e 443, Est. Boeri; App. Torino, ord. 2 otto- bre 2008, n. 427, Pres. Peyron, Est. Xxxxxxx Trafighet; Trib. Trieste, ord. 15 ottobre 2008, n. 4, Est. Multari; Trib. Teramo, ord. 17 ottobre 2008,
n. 70, Est. Santini; App. Roma, ord. 21 ottobre 2008, n. 102, Pres. Tor- rice, Est. Garri; App. Milano, ord. 28 ottobre 2008, n. 59, Pres. Salmeri, Est. Trogni, nonché ivi, 177 ss.; Trib. Rossano, ord. 17 novembre 2008,
n. 76, Est. Xxxxxxx; Trib. Milano, ord. 18 novembre 2008, nn. 25-26- 00-00, Xxx. Xxxxxxxxx; Trib. Milano, ord. 23 dicembre 2008, nn. 86-87, Est. Porcelli; App. Venezia, ord. 10 dicembre 2008, n. 93, Pres. Xxxxxxx; App. L’Aquila, ord. 8 gennaio 2009, n. 95, Pres. Jaconacci; Trib. Pesaro, ord. 20 gennaio 2009, n. 99/2009, Est. Xxxxxxxxx.