LA CONTRATTAZIONE DI PRODUTTIVITÀ NEL SETTORE DELLA DISTRIBUZIONE MODERNA ORGANIZZATA
Scuola Internazionale di Dottorato
Formazione della persona e mercato del lavoro
- Ciclo XXVIII -
LA CONTRATTAZIONE DI PRODUTTIVITÀ NEL SETTORE DELLA DISTRIBUZIONE MODERNA ORGANIZZATA
Relatore
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Tutor scientifico
Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx
Dottorando:
Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxx
INDICE - SOMMARIO
ABSTRACT p. V
INTRODUZIONE VII
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DELLA CONTRATTAZIONE DI PRODUTTIVITA’ DA PARTE DELL’AUTONOMIA COLLETTIVA
1. Il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo del 23 luglio 1993 1
2. L’Accordo-Quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 5
3. L’Accordo Interconfederale tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del
28 giugno 2011 e l’art. 8 del D.L. 138/2011 convertito, con modificazioni, in L. n. 148/2011… 11
4. Le Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia del 21 novembre 2012 21
CAPITOLO II
LA CONTRATTAZIONE DI PRODUTTIVITA’ NEL SETTORE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA
1. Il significato della contrattazione di produttività nel settore della Grande Distribuzione Organizzata 29
2. Le principali novità del CCNL TDS 2011 in tema di produttività del lavoro 35
2.1 Il CCNL TDS nel nuovo assetto della contrattazione dell’Accordo-Quadro del 22 gennaio 2009… 35
2.2 L’incremento retributivo e l’elemento perequativo 46
2.3 La regolazione dell’istituto della malattia finalizzata alla riduzione dell’assenteismo 49
2.4 Il welfare contrattuale: l’assistenza sanitaria integrativa 52
2.5 La maturazione dei permessi e l’organizzazione flessibile della prestazione lavorativa 57
CAPITOLO III
VERSO LA SOTTOSCRIZIONE DEL CCNL DELLA DISTRIBUZIONE MODERNA ORGANIZZATA: TRA ISTANZE DI
PRODUTTIVITA’ E TUTELA DELL’ OCCUPAZIONE
1. Le caratteristiche del settore della Distribuzione Moderna Organizzata 65
2. La legittimazione di Federdistribuzione per la sottoscrizione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della DMO 72
2.1 L’uscita di Federdistribuzione dal sistema di rappresentanza di Confcommercio 72
2.2. La presentazione dell’ipotesi di piattaforma da parte delle XX.XX 77
3. La strategia negoziale di Federdistribuzione… 84
3.1 L’uscita di Federdistribuzione dai Fondi di Assistenza Sanitaria 84
3.2 L’approvazione della piattaforma di rinnovo e l’avvio del negoziato 89
4. La prosecuzione del confronto negoziale nel 2014 per la stipulazione del CCNL della DMO 96
5. La tornata negoziale del 2015 110
5.1 La sottoscrizione dell’Ipotesi di Accordo di Rinnovo del CCNL Terziario, Distribuzione e Servizi tra Confcommercio e le XX.XX. di categoria 110
5.2 L’impatto dell’Ipotesi di Accordo del 30 marzo 2015 sulla trattativa per la stipulazione del CCNL della DMO 117
5.3 La proclamazione delle due giornate di sciopero nazionale da parte delle XX.XX. per le aziende del settore della DMO 125
CONCLUSIONI 133
LITERATURE REVIEW 137
BIBLIOGRAFIA 207
ABSTRACT
Uno degli scopi principali che storicamente ha contraddistinto l’azione delle relazioni industriali è quello di contribuire al miglioramento della dinamica della produttività del lavoro, quale fattore in grado di determinare la positiva “performance” economica di un Paese.
La ricerca ha l’obiettivo di rilevare le caratteristiche della contrattazione di produttività nel settore della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e, in particolare, in quello della Distribuzione Moderna Organizzata (DMO). A tal fine, si è deciso di articolare la ricerca in tre parti.
Il Capitolo I ricostruisce, a partire dagli anni Novanta, come la contrattazione collettiva a livello interconfederale sia intervenuta, tramite la definizione e la revisione dei modelli contrattuali, nella predisposizione dei meccanismi e delle procedure per consentire il miglioramento dell’efficienza.
Il Capitolo II, mediante un’indagine analitica, si sofferma sui principali istituti contrattuali previsti dal CCNL per i dipendenti da aziende del Terziario della Distribuzione e dei Servizi del 26 febbraio 2011, necessari al conseguimento di un maggior rendimento nell’impiego della forza lavoro, dopo l’adattamento della struttura contrattuale alle regole sancite dall’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009, nonché da quello di settore del 17 dicembre 2008. In particolare, viene rilevata la criticità derivante dall’applicazione del suddetto contratto collettivo da parte delle aziende afferenti alla DMO (associate a Federdistribuzione), con un’organizzazione del lavoro di tipo
industriale, piuttosto che dalle medio-piccole aziende del commercio al dettaglio (aderenti al sistema di rappresentanza di Confcommercio).
Il Capitolo III esamina un vero e proprio “case study” inerente il percorso negoziale intrapreso da Federdistribuzione, dopo l’uscita da Confcommercio, per la sottoscrizione con le XX.XX. di categoria di un contratto specifico di lavoro per il settore della DMO. Mediante la ricostruzione analitica delle tappe principali del negoziato, la ricerca ambisce a fornire una risposta alla domanda di indagine, sulla quale si interroga il presente elaborato, ovvero, «quali sono le caratteristiche della contrattazione di produttività nel settore della DMO?».
Nonostante i molteplici fattori presentati dall’associazione datoriale per migliorare l’efficienza e la redditività delle aziende nel periodo di crisi (anche al fine della tutela dei livelli occupazionali), dai risultati conseguiti dallo studio emerge con chiarezza l’indisponibilità del sindacato, a condividere misure finalizzate al miglioramento delle performance produttive.
La contrattazione dell’efficienza, ad oggi, pare far fatica ad affermarsi nell’ambito delle relazioni sindacali, almeno per quanto riguarda il settore della DMO.
INTRODUZIONE
26 Gennaio 1977. Le maggiori forze produttive del Paese, sottoscrivono l’Accordo sul costo del lavoro ( 1 ) allo scopo di contribuire «alla lotta contro l'inflazione ed alla difesa della moneta mediante il contenimento della dinamica del costo globale del lavoro e l'aumento della produttività». Per la prima volta le relazioni industriali, nell’ambito delle cosiddette politiche concertative, assumono la consapevolezza dell’efficacia della loro azione verso il controllo delle dinamiche salariali, al fine di conseguire miglioramenti in termini di efficienza del sistema produttivo.
La cosiddetta “dimensione politica” delle relazioni industriali riveste un ruolo cruciale durante tutto il corso degli anni Novanta per il raggiungimento della stabilità economica. E’ questa la principale finalità del Protocollo sulla politica dei redditi del 23 Luglio 1993 (2) perseguita anche attraverso la definizione di un sistema ordinato e prevedibile di relazioni contrattuali. Con particolare riguardo agli aspetti salariali, il CCNL tutela il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori, allineandole al Tasso di Inflazione Programmata (TIP).
La contrattazione decentrata, invece, si specializza sulle dinamiche retributive correlate alla variazione della produttività e della reddittività di impresa o di territorio. Si istituzionalizza così una
(1) Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, Accordo Interconfederale 26 gennaio 1977 per la regolamentazione dell'indennità e degli scatti di anzianità, degli effetti anomali della scala mobile, delle festività, delle ferie, del lavoro a turno, del lavoro straordinario, della mobilità interna, delle assenze dal lavoro, xxx.xxxx.xx, voce Accordi Interconfederali.
( 2 ) Cfr. Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxx/xxxx.xxxx, indice A-Z, voce Concertazione.
struttura bipolare del CCNL che oscilla tra centralizzazione e decentramento.
Xxxxxx si ritiene opportuno evidenziare che, se da un lato la politica di moderazione salariale istituita con l’Accordo del 23 Luglio 1993 ha consentito il raggiungimento dell’obiettivo della stabilità finanziaria, calmierando l’inflazione, dall’altro, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la performance economica del Paese è stata relativamente bassa. Il modesto tasso di crescita dell’economia italiana è ascrivibile, soprattutto, ad una crescita molto lenta della produttività, indipendentemente da come quest’ultima venga misurata (3).
Il metodo delle relazioni industriali applicato alla crescita della produttività (4) - in relazione alla necessità di vincolare gli andamenti delle dinamiche retributive all’introduzione di strumenti più flessibili e innovativi nell’organizzazione del lavoro - non ha conseguito i guadagni auspicati. Ciò a causa della scarsa diffusione della negoziazione di secondo livello che, di conseguenza, ha avuto un impatto limitato sulle retribuzioni dei lavoratori.
(3) Sul punto, si veda Istat, Misure di produttività. Anni 1992-2012, 12 dicembre 2013, xxx.xxxxx.xx. Nel ciclo economico 1993-2003 la produttività del lavoro (valore aggiunto per ora lavorata) cresce ad un tasso di variazione medio annuo pari all’1,3%. La produttività del capitale (rapporto tra valore aggiunto e input di capitale) registra decresce ad un tasso di variazione medio annuo del -0,5%. La produttività totale dei fattori (misura gli effetti del progresso tecnico e di altri fattori tra cui le innovazioni nel processo produttivo, i miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e delle tecniche manageriali, i miglioramenti nell’esperienza e nel livello di istruzione raggiunto dalla forza lavoro) attesta un tasso di variazione medio annuo dello 0,7%.
( 4 ) Si precisa che il processo di contrattazione finalizzata all’incremento della produttività è solo una delle variabili che possono determinarne l’andamento. Tra gli altri fattori si ricordino: gli investimenti in tecnologie di prodotto e processo, la R&D, la qualità del lavoro, dei prodotti e del capitale, gli andamenti della bilancia commerciale, etc..
L’avvento del nuovo millennio segna, in prospettiva economica, l’avvio del cosiddetto “decennio perduto” della produttività (5) durante il quale (nel 2008 in particolar modo) si registra la ripresa delle dinamiche inflattive quindi la perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni. Un effetto che deriva, in via principale, da un assetto della contrattazione di media centralizzazione, ma con elevato grado di coordinamento salariale. Infatti, non poche sono le criticità causate dai complessi meccanismi di recupero degli scostamenti fra inflazione programmata e reale, a tal punto da indurre le Parti Sociali – anche davanti all’imminente “spettro” della crisi finanziaria - a rivedere gli assetti della contrattazione.
Il 22 gennaio 2009, con la sottoscrizione da parte del Governo e delle organizzazioni datoriali e sindacali, ad eccezione della Cgil, dell’Accordo Quadro di riforma degli assetti contrattuali (6) vengono affrontanti i problemi evidenziati in 26 anni di applicazione degli assetti del 1993: la questione salariale, il maggior decentramento della contrattazione collettiva ai fini dell’incremento della produttività quindi delle retribuzioni reali dei lavoratori e l’esigibilità delle intese pattuite.
( 5 ) CNEL-ISTAT, Progetto CNEL-ISTAT sul tema “Produttività, struttura e performance delle imprese esportatrici, mercato del lavoro e contrattazione integrativa”, Report intermedio, agosto 2015, p. 11, xxx.xxxx.xx. Si veda, in particolare, ISTAT, op. cit.. Durante il ciclo economico 2003-2008, il tasso di variazione medio annuo della produttività del lavoro (definita come valore aggiunto per ora lavorata) è pari allo 0,5%; quello della produttività del capitale (rapporto tra valore aggiunto e input di capitale) -0,3%; la produttività totale dei fattori (misura gli effetti del progresso tecnico e di altri fattori tra cui le innovazioni nel processo produttivo, i miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e delle tecniche manageriali, i miglioramenti nell’esperienza e nel livello di istruzione raggiunto dalla forza lavoro) cresce ad un tasso di variazione medio annuo pari allo 0,3%. In considerazione del solo periodo 2008-2012 il tasso di variazione medio annuo si attesta sui seguenti valori: 0,3% (produttività del lavoro); -1,3% (produttività del capitale); -0,6% (produttività totale dei fattori).
( 6 ) Consultabile al sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Contrattazione collettiva.
Temi oggetto di un confronto, a suo modo dinamico, tra le relazioni industriali italiane al tempo della “Grande crisi” avviatosi, come detto, con l’Accordo separato del 22 gennaio 2009, poi con l’Accordo unitario del 28 giugno 2011, con l’intesa separata sulle Linee programmatiche per la produttività del 21 novembre 2012 e conclusosi con l’Accordo sulla rappresentanza e rappresentatività sindacale del 31 maggio 2013, a sua volta confluito nel Testo Unico del 10 gennaio 2014 (valido per il solo ambito confindustriale) (7).
La congiuntura economica di crisi condiziona la gran parte delle scelte intraprese dal sistema di relazioni industriali e, talvolta, anche dagli Esecutivi in carica, nelle materie di competenza dell’autonomia collettiva (8).
Con l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto delle retribuzione, ruolo che spetta in xxx xxxxxxxxxx xx XXXX, xx Parti Sociali convengono su un nuovo tipo di indicatore, l’Indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati (IPCA), per l’indicizzazione delle retribuzioni al costo della vita. In secondo luogo, ferme restando la funzione del CCNL di determinare le competenze del secondo livello di contrattazione ed il rispetto del principio del ne bis in idem, si prevede l’attivazione, a livello decentrato, delle cosiddette
( 7 ) E’ utile precisare che sulla scia del Testo Unico del 10 gennaio 2014 sono intervenuti ulteriori accordi per la regolazione della rappresentanza con riferimento ad altri comparti economici. In questi termini ad esempio, l’Accordo Interconfederale tra A.G.C.I., Confcooperative, Legacoop e Cgil, Cisl e Uil del 18 settembre 2013, aggiornato lo scorso 28 luglio 2015; il Protocollo d’Intesa tra Confservizi e Cgil, Cisl e Uil del 30 luglio 2013, nonché l’Accordo Interconfederale tra Confcommercio- Imprese per l’Italia e Cgil, Cisl e Uil del 26 novembre 2015.
(8) Si pensi all’intervento del Governo, nell’estate del 2011, con l’articolo 8 del D.L. 138/2011, convertito, con modificazioni, in L. n. 148/2011.
clausole di uscita dal contratto nazionale, al fine di governare situazioni di crisi o favorire lo sviluppo economico e occupazionale di un territorio o di singole aziende. Prende così forma un orientamento, da parte delle forze sociali, che mira ad una forma più marcata di decentramento contrattuale (rispetto all’assetto definito dal Protocollo del 23 luglio 1993) sostenuto altresì dai provvedimenti di legge – non sempre efficaci - di decontribuzione e detassazione del salario di produttività.
Oltre ogni buona intenzione, il rapporto tra andamento economico e performance del modello contrattuale ha conseguito solo parzialmente i risultati auspicati. La scelta operata dalle Parti Sociali di depurare l’inflazione dalle componenti energetiche importate, ha di certo evitato la rincorsa delle retribuzioni alle repentine variazioni del prezzo dei beni petroliferi tra il 2008 ed il 2010. Tuttavia, l’andamento delle retribuzioni nominali è stato superiore all’andamento della produttività, incrementando il costo del lavoro, con conseguente perdita di competitività del Paese (9). Sotto tale profilo, la contenuta diffusione della contrattazione decentrata ha neutralizzato qualsiasi effetto di tutela reale del potere d’acquisto delle retribuzioni, contribuendo al calo dei consumi e, così, alla riduzione della domanda quindi a guadagni ridotti da redistribuire. Viene smentita, ancora una volta, la cosiddetta “regola d’oro dei salari” che richiede che le retribuzioni crescano nella stessa misura della produttività del lavoro.
Nel biennio 2008-2009 la caduta del Pil italiano è del 3,4% l’anno (quella dell’Eurozona del 2,2%). Nel biennio 2010-2011 la
( 9 ) Cfr. X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX - in collaborazione con Federdistribuzione, Indice IPCA e contrattazione collettiva, ADAPT UNIVERSITY PRESS, E-book series, vol. 8, pp. 15-21.
crescita in Italia si attesta all’1,1% (quella dell’Eurozona all’1,7%). Nel 2012-2013 la caduta media del Paese è pari a -2,3% (quella dell’Eurozona -0,6%). Nel 2014 l’economia si contrae ulteriormente dello 0,4% (mentre l’Eurozona cresce ad un ritmo dello 0,9%). Nel periodo 2009-2014 la produttività del lavoro aumenta, in media, appena dello 0,6%. Le ricadute sull’occupazione in ragione del ciclo economico negativo sono allarmanti. Il tasso di disoccupazione varia nel periodo 2012-2014 dal 10,7% al 12,7%. in particolare, Il tasso di disoccupazione giovanile, nel medesimo periodo, aumenta dal 35,3% al 42,7% ( 10 ). Ad aggravare la situazione economica del Paese è l’andamento dell’inflazione. A partire dalla fine del 2012, il processo di rapida discesa del tasso di inflazione, misurato dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA), ha registrato il diffondersi di forti spinte deflazionistiche (11) che permangono anche durante il primo semestre del 2015.
Ad ogni buon conto, nel periodo 2012-2014, l’aumento medio dei minimi tabellari definiti dai CCNL si attesta attorno al 6,8%, con un picco del 9,16% ed un minimo del 3,90%. Ciò a dimostrazione di una totale asincronicità tra andamento economico del Paese e contrattazione salariale nazionale ( 12 ). D’altro canto, viene confermata la teoria economica che vede la centralizzazione dell’assetto di contrattazione collettiva durante i cicli di recessione, a causa dell’indebolimento del potere rivendicativo del sindacati, il quale matura l’esigenza di
(10) EUROSTAT, Unemployement Statistics, xxxx://xxx.xx/XxXX00
(11) ISTAT, Rapporto annuale 2015, pp. 23-26, xxx.xxxxx.xx
( 12 ) Cfr. X. XXXXXXXXXX, Assetti contrattuali tra neoliberismo e neo corporativismo, in Working Paper ADAPT, 25 maggio 2015, p. 1.
governare dall’alto le politiche salariali e del mercato del lavoro, piuttosto che a livello decentrato.
Le criticità economiche summenzionate, la scadenza (da oltre un anno) dell’Accordo Quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009 e la paura di un intervento legislativo da parte del Governo sulle materie delle relazioni industriali, hanno indotto le Parti Sociali, a partire da maggio 2014 (13), a riaprire il dibattito sulla riforma del modello contrattuale. Le già complesse fasi della trattativa sono state non poco inasprite dal provvedimento normativo di riforma del mercato del lavoro Jobs Act (14) sul quale il confronto tra Governo e associazioni di rappresentanza si è ridotto ai minimi. I Decreti Legislativi attuativi della Legge, infatti, non solo suppliscono al mancato intervento della contrattazione su determinati istituti, bensì, in taluni casi e su determinate discipline, restringono il campo di intervento dell’autonomia collettiva (15).
Rimane pur sempre vero, almeno in linea di principio nelle discipline lavoristiche, che le nuove leggi dovrebbero essere «il frutto di negoziazione tra i soggetti del sistema di relazioni industriali» se si
( 13 ) In primis CONFINDUSTRIA, Proposte per il mercato del lavoro e per la contrattazione, Roma, maggio 2014, xxxx://xxx.xx/x0xXx0. A seguire, UIL, Proposta per una nuova struttura e una nuova politica della contrattazione collettiva, xxxx://xxx.xx/XxxXxX, poi CISL, Migliorare le performance di impresa, migliorare il salario. La proposta della Cisl per un nuovo modello contrattuale, xxxx://xxx.xx/xXXXXX.
(14) Legge 10 dicembre 2014, n. 183, Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.
( 15 ) In merito si veda AA.VV., La disciplina delle tipologie contrattuali nella contrattazione collettiva, in Working Paper ADAPT, n. 181, 27 agosto 2015.
ritiene che «solo un ampio consenso sociale possa garantire alle legge un tasso sufficientemente elevato di osservanza spontanea» (16).
L’azione di politica del diritto implementata con il Jobs Act è espressione di un atteggiamento finalizzato, in certi casi, a indebolire il ruolo dei corpi intermedi della società e con essi la rappresentanza sindacale e datoriale, in quanto ancora oggi troppo legata a processi interlocutori che rallentano le decisioni (come spesso, effettivamente, accaduto in passato) che la politica deve prendere.
E’ la stessa Legge Delega d’altronde a prevedere l’introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato, nei settori non regolati da contratti collettivi (17).
Un intervento poco coerente, a detta delle stesse associazioni di rappresentanza, con la funzione sussidiaria tradizionalmente svolta dal sistema di relazioni industriali. Al momento, il Governo non ha ritenuto opportuno esercire la delega prevista dal Jobs Act, lasciando alle Parti Sociali l’onere e l’onore di trovare un accordo, avente ad oggetto i temi della rappresentanza sindacale, del modello contrattuale, della modalità di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, della partecipazione dei lavoratori ai risultati dell’impresa.
Con particolare riferimento alla riforma del sistema della contrattazione, non di poco conto è altresì la pressione esercitata dalle principali istituzioni economico – finanziarie internazionali, affinché si realizzi, anche in Italia, un pieno ed effettivo decentramento
(16) X. XXXXXX, Diritto Sindacale, Cacucci Editore, Bari, 2014, p.16.
(17) Cfr. Art. 1, comma 7, lett. g), Legge 10 dicembre 2014, n. 183.
contrattuale in grado di accrescere i livelli retributivi in linea con l’andamento della produttività.
Preso atto, nel Capitolo I della ricerca, del quadro assai complesso del sistema di relazioni industriali sviluppatosi a livello “macro” (interconfederale) ai fini del governo delle dinamiche salariali e di produttività, il Capitolo II si pone l’obiettivo di indagare, a livello “micro”, come le rappresentanze datoriali e sindacali del settore della Grande Distribuzione abbiano, contestualmente, tradotto le regole concordate in sede confederale, al fine di soddisfare i bisogni di maggiore produttività e redditività dettati da un settore per un verso esposto a forti pressioni competitive e per l’altro fortemente colpito dalla crisi.
I continui shock economici che dal 2008 interessano il Paese hanno un impatto negativo sul settore della grande distribuzione e, più in generale, del commercio a causa del calo del potere d’acquisto delle famiglie italiane e, pertanto, dei consumi (18). A fronte di detti effetti, la gran parte delle aziende del commercio ha dovuto far fronte a molteplici ristrutturazioni aziendali che, nella maggioranza dei casi, hanno cercato il contemperamento tra revisione delle strategie aziendali di business e calmierazione delle ricadute occupazionali. Inoltre, i dati rilevano durante il ciclo 2000-2014 «una battuta d’arresto della crescita del settore del commercio che aveva alimentato la produttività negli anni Novanta» (19).
(18) Si veda X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXX, L’impatto della recessione sulla struttura del commercio italiano, EBINTER NEWS, n. 2, 2014.
( 19 ) CNEL-ISTAT, Progetto CNEL-ISTAT sul tema “Produttività, struttura e performance delle imprese esportatrici, mercato del lavoro e contrattazione integrativa”, Report intermedio, agosto 2015, pp. 16-17, xxx.xxxx.xx.
Lo scenario economico evidenziato costituisce la premessa al confronto tra le associazioni datoriali e sindacali a livello di categoria, per la definizione delle misure utili al rilancio competitivo del settore, nonché alla salvaguardia dell’occupazione.
Il 17 dicembre 2008, Confcommercio con le sole controparti Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil, sottoscrivono le Linee guida per la riforma della contrattazione collettiva (20) che anticipano, in buona parte, i contenuti dell’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009, in particolare con riferimento: all’individuazione dell’indice IPCA “depurato” per gli adeguamenti retributivi all’inflazione; al maggior peso attribuito al secondo livello di contrattazione tramite le clausole di apertura dal CCNL e lo sviluppo di forme retributive incentivanti che colleghino il salario all’andamento della produttività.
Il suddetto assetto della contrattazione diviene oggetto di acceso confronto in occasione della stipula dell’Ipotesi di Accordo “separato” di rinnovo del CCNL del 26 febbraio 2011, sottoscritto definitivamente, con modificazioni, in data 6 aprile 2011.
E’ obiettivo della presente ricerca indagare analiticamente le differenti soluzioni individuate dalle Parti, nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale, al fine di verificare l’effettivo contributo dell’assetto contrattuale scelto alla crescita della produttività del settore del Terziario della Distribuzione e dei Servizi (TDS). Si ritiene inoltre di considerevole importanza, ai fini della verifica della “tenuta” della performance contrattuale, l’analisi delle dinamiche relazionali, sia con riguardo al sistema di rappresentanza sindacale sia a quello datoriale.
(20) Si vedano al sito xxx.xxxx.xx, voce Accordi Interconfederali.
In particolare, è di rilievo la scelta operata, il 27 dicembre 2011, da Federdistribuzione - l’organismo espressione della Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) – di uscire dal sistema di rappresentanza di Confcommercio. Una decisione che ha comportato la cessazione dell’applicazione del CCNL TDS del 26 febbraio 2011 e dalla contrattazione territoriale, a far data dal 31 gennaio 2013.
L’obiettivo è quello di intraprendere un percorso contrattuale, con le controparti sindacali, al fine delle sottoscrizione di un CCNL specifico per il settore della DMO.
Quanto sopra rappresenta l’oggetto di indagine della Capitolo III della ricerca, con lo scopo di comprendere le ragioni che hanno indotto Federdistribuzione ad avviare un percorso negoziale autonomo attraverso l’analisi dei contenuti delle rivendicazioni datoriali – che mirano all’incremento della produttività, nonché al contenimento del costo del lavoro - e sindacali volte, invece, alla tutela dei livelli occupazionali e retributivi. Tali aspetti appaiono ancor più rilevanti anche a seguito della sottoscrizione, il 30 marzo 2015, dell’Ipotesi di Accordo di rinnovo del CCNL TDS da parte di Confcommercio, Filcams-Cgil, Fisacat-Cisl, Uiltucs-Uil scaduto il 31 dicembre 2013, al fine di comprendere le ripercussioni sull’andamento del negoziato per la definizione del CCNL specifico della DMO.
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DELLA CONTRATTAZIONE DI PRODUTTIVITA’ DA PARTE DELL’AUTONOMIA COLLETTIVA
1. Il Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo del 23 luglio 1993
Elevato debito pubblico, alta inflazione e fragile competitività. E’ questa la condizione dell’economia del Paese nei primi anni del 1990, con la quale Governo e Forze sociali devono misurarsi anche al fine di rispettare i requisiti per la partecipazione dell’Italia all’Unione Monetaria dettati dal Trattato di Maastricht del dicembre 1991.
La lunga marcia del metodo della concertazione – avviatasi dalla seconda metà degli anni Settanta, che ha determinato il coinvolgimento dei sindacati confederali nel processo di formazione delle decisioni politiche (c.d. “funzione macroeconomica”) – raggiunge l’apice nella delicata fase di risanamento dei conti pubblici e di stabilizzazione economica. Fisco, politica del lavoro, prezzi e tariffe, politiche retributive sono gli ambiti di intervento della cosiddetta “concertazione nell’emergenza economica”.
Con l’Accordo del 31 luglio 1992 (21), che fa seguito ad una serie di intese parziali sul contenimento del costo del lavoro, Governo e
(21) Protocollo d'intesa sulla politica dei redditi, la lotta all'inflazione e il costo del lavoro, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxx/xxxx.xxxx, indice A-Z, voce Concertazione.
Parti sociali sanciscono l’abolizione dell’istituto della scala mobile che aveva governato, per lungo tempo, l’aggiustamento automatico delle dinamiche retributive alle variazioni dell’indice del costo della vita, provocando una incontrollata ricorsa prezzi-salari, nonché la perdita di importanti margini di competitività. L’Accordo in questione dispone che «per conseguire apprezzabili risultati nell'abbattimento dell'inflazione, rafforzare la competitività dei nostri prodotti sui mercati internazionali e garantire la stabilità del cambio, occorra rendere coerente la dinamica delle retribuzioni unitarie e del costo del lavoro con l'inflazione programmata». Tale indicatore, pertanto, diviene l’unico parametro di riferimento per la contrattazione economica da esercitarsi nell’ambito «di una politica dei redditi che assuma come obiettivo centrale la drastica riduzione del tasso di inflazione».
Sono queste le premesse per la riforma delle relazioni industriali segnata dall’Accordo Interconfederale del 23 luglio 1993 (22) (all’epoca definito come vera e propria «Carta Costituzionale») (23), i cui punti principali riguardano la politica dei redditi, la riforma della struttura e delle procedure contrattuali, la modifica delle forme di rappresentanza sindacale, le politiche del lavoro e le misure di sostegno al sistema produttivo.
In particolare, Governo e Parti sociali adottano lo strumento di politica economica c.d. di “moderazione salariale” (al fine del contenimento dell’inflazione e dei redditi nominali) per favorire lo
(22) Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxx/xxxx.xxxx, indice A-Z, voce Concertazione.
(23) X. XXXXXX, Diritto sindacale, Xxxxxxx, Bari, 2014, p. 173.
sviluppo economico e la crescita occupazionale, mediante l’allargamento della base produttiva e una maggiore competitività del sistema paese.
Il Protocollo razionalizza il sistema di contrattazione collettiva, sancendo il mantenimento delle retribuzioni, negoziate a livello nazionale, entro i tetti dell’inflazione programmata per controllare la dinamica del costo del lavoro. L’obiettivo primario della contrattazione nazionale è la salvaguardia del potere d’acquisto delle retribuzioni e, a tale scopo, ogni due anni, si prevede la comparazione tra inflazione programmata (TIP) e quella effettiva, al fine di apportare i necessari aggiustamenti. Nell’ambito di ciascun rinnovo biennale del CCNL si realizza l’adeguamento dei minimi retributivi al TIP per il biennio successivo, oltre a provvedere al riallineamento delle retribuzioni all’inflazione effettiva del biennio precedente, nel caso in cui questa sia superiore all’inflazione programmata.
Il secondo livello di contrattazione (alternativamente aziendale o territoriale) riguarda materie ed istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli retributivi propri del CCNL. A tale ambito, in particolare, è affidato il collegamento di quote della retribuzione ai risultati di produttività e redditività aziendale o territoriale.
Finalità della previsione di cui sopra è la “spinta” al decentramento contrattuale (comunque “coordinato” e “controllato” dal CCNL), per avvicinare le dinamiche retributive alle condizioni produttive delle aziende e dei territori, stimolando la crescita della produttività per il tramite di incentivi salariali legati ai risultati.
L’architettura definita dall’Accordo di politica dei redditi ha favorito il raggiungimento dell’obiettivo di rientro del tasso di
inflazione, grazie al meccanismo di moderazione salariale che ha consentito una minore reattività dei salari nominali ai prezzi.
D’altro canto, come testimoniato dalla Relazione Finale redatta dalla Commissione per la verifica del Protocollo del 23 luglio 1993 (24), la contrattazione decentrata - che doveva accrescere la variabilità della retribuzione – si è mostrata qualitativamente e quantitativamente insufficiente. In particolare, il contratto decentrato è stato in larga misura caratterizzato da erogazioni di tipo tradizionale, non collegate a parametri oggettivi di produttività, per diverse ragioni: «vischiosità delle prassi precedenti, impreparazione “culturale” dei soggetti negoziali decentrati, resistenza ad allargare le materie oggetto di contrattazione, mancanza di strutture – anche organizzative – adeguate».
Nel decennio che va dal 1993 al 2003 la crescita della produttività totale dei fattori (PTF) (25) è stata praticamente nulla. Lo “scambio distributivo” realizzato dal Protocollo fra maggiore occupazione e moderazione salariale è come se fosse avvenuto in un quadro ove il sistema economico non è stato in grado di giovarsi dei frutti del progresso tecnologico.
Il metodo d’azione “concertativo”, adottato da Esecutivo e Forze sociali per risanare la condizione di crisi economica dell’Italia,
(24) Consultabile al sito xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxx/xxxx.xxxx, indice A-Z, voce Concertazione, in particolare il x.xx 3.1.3.
(25) Cfr. X. XXXXXX e X. XXXXXXXXXXX, “Productivity and reallocation in Italy during the Great Recession”, ISTAT seminari rete ricerca 2015, che misura la porzione di crescita del prodotto attribuibile all’incremento della qualità dei fattori produttivi impiegati (lavoro e capitale) e all’introduzione di nuovi modelli organizzativi. La PTF riflette un insieme vasto di fenomeni non direttamente misurabili quali innovazioni nel processo produttivo, miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e nelle tecniche manageriali, economie di scala, esternalità, riallocazione dei fattori verso utilizzi più produttivi.
avrebbe così indotto ad un’azione “remissiva” del sindacato e ad un atteggiamento “pigro” da parte delle imprese che non hanno scommesso sul terreno dell’innovazione, rinunciando a quote di produttività ( 26 ). Tale aspetto avrebbe decretato il fallimento dell’Accordo del 1993, perché la contrattazione di secondo livello ha raramente portato ad una riforma delle strutture aziendali capace di innalzare la dinamica della produttività che dipenderebbe, infatti, da ulteriori fattori di carattere organizzativo come l’introduzione di tecnologie basate sull’Information and Communication Technology e la diffusione di buone pratiche manageriali.
La perseverante stagnazione dell’andamento della produttività registratasi sino alla seconda metà degli anni 2000 ha inciso negativamente sulla competitività. Il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), dato dal rapporto tra il costo unitario e la produttività del lavoro, è aumentato di oltre il 30% tra il 2000 ed il 2007.
Le considerazioni di cui sopra hanno indotto le Parti sociali, nell’estate del 2008, ad avviare un confronto sulla possibilità di rivedere le regole delle relazioni industriali pattuite nel Protocollo del 23 luglio 1993.
2. L’Accordo – Quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009
Gli effetti della crisi economica che ha interessato l’America nel 2007 investono anche l’Italia a partire dal secondo trimestre del
( 26 ) Cfr. X. XXXXXXXX, Contrattazione, concertazione, dialogo sociale, in C. DELL’ARINGA e X. XXXXXXXX (a cura di), Le Relazioni Industriali dopo il 1993. Un decennio di studi e ricerche, AISRI/FrancoAngeli, Milano, 2005, pp. 154-163.
medesimo anno, confermando l’adagio per cui ‹‹Nel mondo globalizzato, quando gli Stati Uniti starnutiscono gli altri paesi prendono l’influenza›› (27).
Tutti gli indicatori relativi alla performance economica del Paese e, in particolare quelli relativi alla produzione industriale, rallentano. Si assiste, in particolar modo, ad una greve contrazione ciclica della produttività, alla quale consegue un importante incremento del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP). Il cattivo andamento negativo delle misure costituisce la premessa al timore che le ripercussioni sul tessuto produttivo, in termini occupazionali e sociali, possano essere fortemente negative.
Quanto suesposto rappresenta il contesto macroeconomico all’interno del quale si ascrive l’Accordo Quadro di Riforma degli Assetti Contrattuali del 22 gennaio 2009 sottoscritto dal Governo e dalle principali associazioni datoriali e sindacali, ad eccezione della Cgil (28).
L’Accordo vuole cercare di ovviare alle criticità applicative del Protocollo del 1993 e favorire un più esteso decentramento della contrattazione collettiva, al fine di accrescere la produttività e rendere più efficiente la dinamica retributiva. Tuttavia, la mancata condivisione da parte del sindacato maggiormente rappresentativo desta non pochi timori in termini di “tenuta” delle disposizioni pattuite - nonché della loro effettività - data la “natura costitutiva” delle nuove regole della
(27) J. E. Xxxxxxxx, I ruggenti anni Novanta. Lo scandalo della finanza e il futuro dell’economia, Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx, 0000.
(28) Consultabile al sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, indice A-Z, voce Contrattazione collettiva.
contrattazione collettiva (sperimentali per quattro anni e sostitutive di quelle fissate dal c.d. “Protocollo Giugni”) di cui l’Intesa è portatrice.
Rispetto alle logiche egualitaristiche, in termini di distribuzione della ricchezza prodotta, assunte dalla politica dei redditi e sancite nell’Accordo Interconfederale del 23 luglio 1993 ( 29 ), l’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma: il nuovo criterio, sia in termini culturali che valoriali, in base al quale orientare il processo di regolazione congiunta fra sindacati e imprese è quello produttivo-competitivo. Un forte segno di discontinuità in tal senso è riscontrabile nella Premessa, in cui si afferma che lo sviluppo economico e la crescita della occupazione fondata sull’aumento della produttività e l’efficiente dinamica retributiva rappresentano l’obiettivo cardine dell’Accordo.
Pare così opportuno soffermarsi sulle principali innovazioni apportate sul sistema degli assetti contrattuali, potenzialmente considerabili alla stregua di “leve” per l’aumento della produttività e, quindi, della competitività del sistema produttivo.
L’Intesa conferma la struttura “multilivello” del sistema di contrattazione collettiva: il contratto collettivo nazionale di categoria al primo livello e la contrattazione di secondo livello così come definita dalle specifiche intese. In particolare il CCNL, oltre a caratterizzarsi per una nuova durata (triennale sia per la parte economica che per quella normativa) «avrà la funzione di garantire la certezza dei
( 29 ) Cfr. Protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo, 23 luglio 1993, pto. 1, Politica dei redditi e dell’occupazione, in cui le Parti affermano che «La politica dei redditi è uno strumento indispensabile della politica economica, finalizzato a conseguire una crescente equità nella distribuzione del reddito attraverso il contenimento dell'inflazione e dei redditi nominali (…)».
trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale».
In sostituzione del tasso di inflazione programmata (TIP) - le Parti individuano l’IPCA (Indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, quale nuovo indicatore per determinare la dinamica degli effetti economici, quindi, per contrattare incrementi retributivi che siano maggiormente in linea con il reale incremento del costo della vita. La “depurazione” dell’indice avrebbe la finalità di evitare temporanee spinte inflazionistiche, potenzialmente ascrivibili alle oscillazioni dei prezzi dei beni energetici importati, con i conseguenti adeguamenti retributivi automatici per tutelare il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori. Una scelta non priva di critiche, soprattutto da parte della CGIL, poiché avrebbe sottoposto le retribuzioni dei lavoratori al rischio di eventuali shock esogeni (incremento del prezzo del petrolio), i cui effetti negativi si sarebbero direttamente riversati sulle famiglie (aumento, a titolo esemplificativo, del costo delle utenze energetiche o della benzina).
L’elaborazione della previsione IPCA viene affidata ad un soggetto terzo, evitando così la definizione di una previsione artificiale e politicamente costruita - spesso motivo di contenzioso tra le Parti - come avveniva con il TIP. Per gli eventuali scostamenti tra inflazione prevista e quella effettivamente osservata si stabilisce un “momento” di recupero entro la vigenza di ciascun contratto nazionale.
L’obiettivo delle disposizioni summenzionate è quello di identificare il CCNL come rete di protezione finalizzato a prevedere standard minimi di tutela «comuni a tutti i lavoratori», tra i quali – dal
punto di vista macroeconomico - la tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni.
Al secondo livello di contrattazione si attribuisce, invece, un margine d’azione più ampio per incrementare la produttività in sede aziendale e/o territoriale. L’Accordo prevede ( 30 ), per le Parti firmatarie, la possibilità di raggiungere «specifiche intese» modificative (anche in via sperimentale) degli istituti disciplinati dal CCNL, al fine di governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale. La clausola di apertura al cosiddetto “decentramento organizzato” (o “controllato”) – in linea con quanto già realizzato dai sistemi di relazioni industriali a livello europeo - tende così a rendere la dimensione di impresa o di territorio il “genius loci” per la creazione della ricchezza, prima, e la sua condivisione tra coloro che hanno partecipato alla sforzo produttivo, poi.
Al fine di consentire il graduale spostamento del baricentro della contrattazione al secondo livello le Parti sottoscrittrici l’intesa richiedono l’impegno del Governo per incrementare, rendere strutturali, certe e facilmente accessibili le misure di detassazione e decontribuzione del salario «al raggiungimento di obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi rilevanti ai fini del miglioramento della competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico delle imprese, concordati fra le parti» (31).
(30) Cfr. il punto 16.
(31) Cfr. il punto 9.
Da un lato, quindi, il CCNL si conferma quale strumento principe per la definizione degli standard regolatori a livello settoriale, dal punto di vista di tutela della concorrenza e del potere d’acquisto (in termini salario nominale). Dall’altro si riconosce al negoziato di secondo livello, la competenza di determinare quote aggiuntive di retribuzione reale dei lavoratori correlata all’effettivo andamento della produttività. In tal modo, il libero ed autonomo “dispiegarsi” della contrattazione collettiva vuole contribuire, seppur in via potenziale, a improntare relazioni industriali - a livello aziendale o locale - in grado di determinare in modo suppletivo ‹‹la cultura che collega la determinazione del compenso all’effettivo risultato conseguente alla collaborazione lavorativa», esaltare le capacità del singolo, nonché rivalutare il contributo individuale al progetto imprenditoriale. Seppur in forma non del tutto esplicita, modificando gli assetti della contrattazione, le Parti Sociali scelgono di valutare l’opportunità – almeno nelle intenzioni - di apportare, all’interno dei contesti produttivi, quelle modifiche nella organizzazione del lavoro necessarie al fine di consentire una più rapida risposta alle mutevoli condizioni del mercato, ai fabbisogni sempre più esigenti della domanda ed ai cambiamenti continui e repentini dei comportamenti d’acquisto dei consumatori. In questi termini si demarca l’intenzione di rendere la struttura della contrattazione maggiormente aderente alle specifiche ed in continua evoluzione “spinte competitive”.
Il CCNL, pertanto, dovrebbe essere così in grado di governare il passaggio inarrestabile da un sistema produttivo di “massa”, basato su economie di scala (cosiddetto di “hard factors”), ad uno caratterizzato dal “time to market”, all’interno di un contesto concorrenziale sempre
più internazionale, terziarizzato ed orientato alla soddisfazione del cliente (cosiddetto di “soft factors”). In questa ottica gli equilibri tra le forze sociali si ribaltano.
Divengono dunque necessarie relazioni tra imprese e lavoratori non più di cosiddetto “comando-controllo”, bensì basate su un rapporto di tipo cooperativo, collaborativo e partecipativo. L’impresa potrebbe così segnare il proprio passaggio da “luogo del conflitto” al “luogo di comunione di intenti ed interessi”, all’interno del quale gli sforzi produttivi dei lavoratori potranno essere ricompensati in base a criteri di effettiva sufficienza, equità ed efficienza.
3. L’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e l’articolo 8 del
D.L. 138/2011 convertito, con modifiche, in L. n. 148/2011
A soli due anni dalla sottoscrizione dell’Accordo separato sugli assetti della contrattazione del 22 gennaio 2009 (e del relativo Accordo attuativo del 15 aprile 2009 (32)), Confindustria e le Organizzazioni Sindacali si vedono costrette - da un lato a causa dell’aggravarsi della situazione economico-sociale del Paese, dall’altro dalla scelta di Fiat di uscire dalla propria Organizzazione di rappresentanza per la negoziazione di un contratto collettivo specifico (con l’intento di estromettere dall’azienda l’organizzazione sindacale Fiom-Cgil, maggiormente rappresentativa nel settore metalmeccanico) – a rivedere, in parte, il sistema di norme che regolano i comportamenti ed i rapporti di forza tra gli attori delle relazioni industriali.
(32) Consultabile al sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, BANCHE DATI, voce Accordi Interconfederali.
Sono due gli obiettivi da raggiungere tramite la sottoscrizione di una nuova intesa: assicurare regole condivise sui temi della rappresentanza dei lavoratori e dei diritti sindacali e rendere esigibili, quindi, effettive le norme stabilite dai contratti nazionali.
E’ opinione diffusa, infatti, che la performance di un sistema economico dipenda anche dal grado di coordinamento delle regole definite dal processo di contrattazione.
Il sistema italiano degli assetti della contrattazione si caratterizza da un alto grado di coordinamento orizzontale, ovvero, da elevato numero di regole e da un basso coefficiente di coordinamento verticale, vale a dire da scarsa effettività delle norme concordate. Un sistema, sostanzialmente, in cui è il CCNL che tramite le clausole di rinvio ed il principio del ne bis in idem ( 33 ) prescrive le materie negoziabili al secondo livello, ferma restando la possibilità di quest’ultimo di articolare forme di “sgancimento” dalle previsioni normative (ma non economiche) dettate dal CCNL medesimo. Trattasi di un modello di decentramento comunque coordinato dal centro che può qualificarsi incisivo solo se caratterizzantesi per elevata certezza e grado di rispetto dei contenuti negoziali.
Le prassi messe in atto dalle relazioni industriali italiane, anche recenti, mostrano che non sempre i comportamenti degli attori della contrattazione sono stati conformi alle norme dagli stessi pattuite. Ulteriore fattore, questo, di rallentamento della crescita del Paese.
In un sistema economico globale “aperto” alla competizione internazionale – che, in parte, indebolisce la tradizionale struttura contrattuale volta a qualificare il CCNL come strumento diretto a
(33) Principio pur sempre confermato dall’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009.
mettere al riparo il salario dalla concorrenza - le regole stabilite dalla contrattazione collettiva dovrebbero necessariamente contraddistinguersi da due fattori: esigibilità ed adattabilità. Principi che dovrebbero garantire alle aziende un migliore governo e gestione del progresso tecnologico e della costante innovazione di prodotto- processo, permettendo alle stesse di calibrare, in modo più efficace, la propria capacità di risposta alle sollecitazioni di mercato.
Dette considerazioni sono alla base dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 sottoscritto da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil ( 34 ). La firma unitaria dell’Intesa marca una notevole discontinuità rispetto alla pratica dei cosiddetti “accordi separati” a livello interconfederale (ma anche di categoria e aziendale).
Dal punto di vista del valore politico attribuibile all’intesa, la condivisione dell’Accordo da parte della Cgil costituisce la fattiva accettazione di una contrattazione utile a «raggiungere risultati funzionali all’attività delle imprese ed alla crescita di un’occupazione stabile e tutelata […] orientata ad una politica di sviluppo adeguata alle differenti necessità produttive da conciliare con il rispetto dei diritti e delle esigenze delle persone». Ciò a condizione che il sistema di relazioni sindacali sia «regolato e quindi in grado di dare certezze non solo riguardo ai soggetti, ai livelli, ai tempi e ai contenuti della contrattazione collettiva, ma anche sull’affidabilità e il rispetto delle regole stabilite».
Le Parti firmatarie, nell’ambito della loro autonomia contrattuale collettiva, definiscono «pattiziamente» i principi cardine
(34) consultabile al sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, BANCHE DATI, voce Accordi Interconfederali.
per la rilevazione e la misurazione della rappresentatività sindacale, oltre a condividere l’obiettivo di favorire lo sviluppo della contrattazione collettiva di secondo livello, promuovendone l’effettività.
Rispetto all’Accordo quadro del 22 gennaio 2009, rimane invariato il ruolo di “standard” affidato al Ccnl finalizzato a garantire la certezza dei trattamenti economici e comuni a tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati.
Per quanto riguarda il coordinamento tra primo e secondo livello di contrattazione, si ribadisce il principio in base al quale il CCNL determina i contenuti della contrattazione collettiva aziendale, ampliando altresì detta possibilità anche alla legge. In tale ambito, tuttavia, viene meno lo strumento cardine che, dal 1993, governava i rapporti tra i differenti livelli di contrattazione, ovvero il ne bis in idem. Una mancanza che apre alla possibilità di ampliare le materie oggetto del secondo livello di contrattazione, ridimensionando in parte la funzione normativa del contratto nazionale (comunque confermata come suddetto), vale a dire, la definizione di trattamenti minimi
omogenei per tutti i lavoratori.
Il rafforzamento della contrattazione decentrata è altresì dettato dall’attribuzione ai contratti aziendali – come già previsto dall’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 - della facoltà di definire (anche in via sperimentale e temporanea), specifiche intese modificative degli istituti disciplinati dai CCNL, nei limiti e con le procedure previste dai medesimi.
Nel caso in cui i CCNL non dispongano le suddette modalità di articolazione contrattuale e in attesa che i rinnovi ne prevedano la
regolazione, i contratti collettivi aziendali – al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa – potranno, comunque, definire intese derogatorie agli istituti del CCNL che disciplinano, nello specifico, la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro.
Un’altra novità è l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi sottoscritti al secondo livello per la parte economico-normativa, se approvati dalla maggioranza delle Rappresentanze sindacali unitarie (RSU). Tali intese hanno altresì forza vincolante per le associazioni sindacali operanti in azienda espressione delle Confederazioni firmatarie dell’Intesa. Medesimo effetto, ma con differente procedura di approvazione, nel caso in cui in azienda vi siano Rappresentanze sindacali aziendali (RSA). Si vogliono evitare in tal modo eventuali paralisi dei rapporti collettivi in presenza di dissenso tra le XX.XX. appartenenti alle associazioni sindacali firmatarie dell’Accordo.
Il primo aspetto che si ritiene opportuno rilevare è la volontà delle Parti firmatarie dell’Intesa di affermare ancor più il primato del momento negoziale a livello aziendale (piuttosto che in ambito territoriale, come precedentemente disposto dagli assetti contrattuali del 2009).
Si consolida così quel processo di cambiamento delle relazioni tra gli attori sociali volto a valorizzare la contrattazione decentrata, soprattutto aziendale, poiché più “prossima” alle esigenze dei contesti produttivi, quindi, maggiormente idonea a contemperare gli interessi delle imprese - attraverso incrementi di produttività - con le esigenze di maggior salario e tutela reale del potere d’acquisto dei lavoratori.
L’orientamento delle Parti Sociali alla contrattazione d’efficienza è altresì sotteso alla rinnovata richiesta al Governo di incrementare, rendere strutturali, certe e facilmente accessibili le agevolazioni fiscali e contributive che permettono di collegare il salario agli obiettivi di produttività. Trattasi di specifiche forme di incentivazione economica (35) che possono contribuire ad agevolare, da un lato, le imprese ad apportare i necessari aggiustamenti al processo produttivo e all’organizzazione del lavoro “just in time”. Dall’altro, i lavoratori ai quali è riconosciuta la possibilità di percepire maggiori guadagni salariali sulla base dello “sforzo produttivo” effettivamente praticato.
Il delicato e complesso equilibrio raggiunto da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil con l’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 sembrerebbe alterarsi con l’introduzione nell’ordinamento dell’articolo 8, D.L. 138/2011, convertito, con modificazioni, in Legge 148/2011
(36) rubricato «Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità».
La ratio della norma risente dello scenario politico-economico del periodo. Nell’estate del 2011 il mercato finanziario del Paese è sotto “attacco speculativo”. Il 5 agosto, al culmine di una drammatica crisi delle borse europee e di un forte ampliamento del differenziale tra i tassi sui titoli italiani e quelli tedeschi (il cosiddetto spread), il
( 35 ) Per approfondimenti, X. XXXXXXXXX, Lo sgravio contributivo per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, Xxxxxxx Editore, Milano, 2008, pp. 245-254. Con riferimento alla detassazione del salario legato ad incrementi di produttività, X. XXXXXXXXXX, Le misure sperimentali per l’incremento della produttività del lavoro: la detassazione di straordinari e premi, in
X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma del lavoro pubblico e privato e il nuovo welfare, Xxxxxxx, Milano, 2008, pp. 223-234.
Governatore uscente della Banca Centrale Europea (BCE) Xxxx Xxxxxx Xxxxxxx e quello entrante, Xxxxx Xxxxxx, scrivono una lettera al Governo italiano, indicando una serie di misure di politica economica da attuarsi nel breve termine.
In particolare, vi sono due richieste, delle quattro contenute all’interno della lettera (37), che fanno riferimento all’introduzione di maggiori dosi di flessibilità nel mercato del lavoro. Per favorire la crescita, la missiva della BCE rimarca: l'esigenza «di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende […]» e la necessità di stabilire nuove regole su assunzioni e licenziamenti.
Sulla base delle sollecitazioni di cui sopra, il Governo il 13 agosto 2011 vara la cosiddetta “manovra economica bis” (D.L. 138/2001 convertito, con modifiche, in Legge 148/2011), contenente l’articolo 8.
Il precetto può essere letto e interpretato sotto differenti punti di vista. Politico, perchè risponde alla richiesta, posta dalla Banca Centrale Europea, di introdurre minore rigidità nel mercato del lavoro.
Economico, perché può considersi come una riforma del diritto del lavoro tout court, potenzialmente in grado di introdurre nel sistema regole più certe ed esigibili nella gestione del rapporto di lavoro, quindi, utile per attrarre investimenti esteri e consentire il recupero della fiducia sui mercati internazionali.
Sociale, perchè attraverso una tecnica innovativa rispetto ai tradizionali interventi normativi nelle materie proprie dell’autonomia
(37) Si veda al link xxxx://xxx.xx/XXXXXX.
delle relazioni industriali, il Legislatore attribuisce alle Parti Sociali la facoltà di contrattare a livello aziendale o territoriale - anche in pejus - determinate materie lavoristiche e specifici istituti regolati dalle norme di legge, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, purché sottoscritte nel rispetto del criterio maggioritario. Tali intese devono, ad ogni modo, essere finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità del lavoro, all’adozione di forme di promozione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, a incrementi di competitività delle imprese e di salario per i lavoratori, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, a nuovi investimenti e all’avvio di nuove attività.
Fermo restando il rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle norme internazionali sul lavoro, gli ambiti di intervento sui quali le Parti possono prevedere una differente regolazione sono: impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; mansioni del lavoratore, classificazione e all’inquadramento del personale; contratti a termine, contratti a orario modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e somministrazione di lavoro; disciplina dell’orario di lavoro; modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso del rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio.
La reale volontà del Legislatore con la predisposizione della norma in commento, non parrebbe essere quella di “destrutturare” il diritto del lavoro, piuttosto, l’effettiva istituzionalizzazione di
quell’intuizione che – anche dopo la sottoscrizione dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 – vede l’azienda ed il territorio come baricentro per produrre la ricchezza, recuperare la produttività, aumentare la competitività e distribuire maggior salario ai lavoratori. Lo strumento regolatorio idoneo a tal fine è così individuato nella “flessibilità contrattata”.
L’ultimo comma del provvedimento in esame recita: ‹‹Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori››.
Il dettame normativo, molto criticato da parte della dottrina e dagli esponenti sindacali, pare essere un chiaro riferimento alle intese sottoscritte da Fiat, per le quali viene garantita l’applicazione degli accordi sottoscritti a tutto il personale occupato, attraverso l’effetto retroattivo della norma.
Il 21 settembre 2011, in sede di firma definitiva dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno, le Parti Sociali aggiungono al testo una “postilla” con la quale affermano che ‹‹Confindustria, Cgil, Cisl e Uil concordano che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti. Conseguentemente, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil si impegnano ad attenersi all’Accordo Interconfederale del 28 giugno, applicandone compiutamente le norme e a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto detto nel suddetto Accordo Interconfederale››. Un’espressione volta affermare la volontà delle
relazioni industriali di autoregolare la disciplina dell’ordinamento intersindacale, senza l’intervento dello Stato, del Legislatore e in generale della politica, ma sulla base della autonomia negoziale privata collettiva.
Nulla di più, dunque, di un preciso indirizzo alle strutture sindacali e datoriali, sia a livello nazionale che, in particolare, territoriale e aziendale, ad osservare quanto contemplato nell’Intesa del 28 giugno, anche ai fini delle specifiche intese modificative, che l’art. 8 consente per soluzioni più flessibili a fronte di situazioni di crisi o sviluppo occupazionale.
La scelta effettuata da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil con la postilla, parrebbe essere quella di aderire ad un assetto contrattuale controllato dal centro attraverso il CCNL, piuttosto che ad un sistema “spinto” di contrattazione a livello decentrato, come quello delineato dall’art. 8, la cui portata sembrerebbe essere così ridimensionata.
Tuttavia, la cosiddetta “new economy” di cui la globalizzazione ne è la causa, ha contribuito a delineare un sistema produttivo caratterizzato da continue macro trasformazioni, rispetto alle quali una regolamentazione di dettaglio, definita a livello centrale, potrebbe apparire come una sorta di “camicia di forza” rispetto alle persistenti pressioni competitive. Da qui originano le sollecitazioni da parte delle Istituzioni europee affinché nel Paese vengano adottate norme in grado di modellare le dinamiche delle relazioni industriali alle condizioni di mercato delle aziende. Così trova origine l’articolo 8, uno strumento che rimette all’autonoma capacità regolatoria delle forze sociali – nel solco della tradizione sussidiaria delle relazioni industriali italiane – la
possibilità di determinare quelle condizioni di lavoro che consentano lo scambio virtuoso tra maggiore efficienza e maggiore salario.
4. Le Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia del 21 novembre 2012
Il rapporto tra dimensione politica e ruolo delle relazioni industriali diviene particolarmente complesso sullo scadere dell’anno 2011, influenzando le dinamiche interlocutorie tra Stato e attori sociali nelle fasi di produzione normativa.
L’8 novembre 2011 il Presidente della Repubblica in carica, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, riceve al Quirinale il Presidente del Consiglio, Xxxxxx Xxxxxxxxxx, il quale comunica che, a seguito dell’approvazione della Legge di Stabilità per il 2012, rimetterà il proprio mandato da capo del Governo.
Il giorno successivo - mentre si fanno sempre più critiche le condizioni dell’economia italiana, a causa degli effetti dirompenti della crisi finanziaria ( 38) - il Presidente della Repubblica nomina Xxxxx Xxxxx Senatore a vita. La nomina rappresenta una chiara discontinuità nei confronti delle forze politiche e dei mercati finanziari internazionali.
Il 13 novembre, il Presidente Xxxxxxxxxx avvia le consultazioni per l’elezione del neo capo dell’Esecutivo, con i Presidenti di Camera e Senato e le forze politiche. In serata viene affidato l'incarico al Senatore
(38) Cfr. X. XXXXX, Rischio Italia, un mercoledì di paura sui mercati: spread btp- Bund a 575 punti, Bot a un anno al 9 per cento, in Il Sole 24 Ore, xxxx://xxx.xx/xXXXxx. In quei giorni lo spread tra i tassi sui BTP decennali emessi dal Governo italiano e quelli dei Bund tedeschi aumenta fino a toccare 575 punti base.
Xxxxx Xxxxx, che accetta, come da prassi, con riserva e apre la fase di consultazioni con i gruppi parlamentari, le Parti sociali, gli Enti locali e con lo stesso Presidente della Repubblica.
Sin da subito l’azione del Governo deve misurarsi con l’implementazione di due riforme a impatto diretto sulla struttura economico-sociale del Paese: quella del sistema pensionistico e quella del mercato del lavoro.
Previdenza e lavoro sono due capitoli di cruciale rilievo non solo per i risvolti di carattere sociale, ma anche per le conseguenze che gli effetti da esse attesi avranno in termini di credibilità internazionale nei confronti degli investitori.
Entrambe le riforme subiscono non poche critiche sul piano dell’approccio metodologico (ma non solo) con il quale sono progettate. La riforma del mercato del lavoro, in particolare, nasce per lo più priva di consenso mediato con le Parti Sociali che, per tale ragione, non si astengono dall’esprimere le loro critiche. In realtà, la scarsa condivisione del progetto di legge con le associazioni di rappresentanza dovrebbe rappresentare, secondo il cosiddetto “Governo tecnico”, il giusto punto di equilibrio della riforma (39). Tuttavia, la scarsa interlocuzione con le forze produttive del Paese ha determinato i presupposti per una riflessione generale sulla sconfitta del metodo della concertazione o delle relazioni industriali (40).
Il 30 agosto 2012, il Ministro per lo Sviluppo Economico, Xxxxxxx Xxxxxxx – riconoscendo la tradizionale funzione sussidiaria
(39) Cfr. X. XXXXX, Italy's Labor Reforms Are Serious and Will Be Effective, in The Wall Street Journal, xxxx://xxx.xx/XXxxXx.
(40) Cfr. X. XXXXXXXXXX, Riforma del lavoro: una sconfitta della concertazione o delle relazioni industriali, in P. XXXXXX e X. XXXXXXXXXX, Lavoro: una riforma a metà del guado, ADAPT LABOUR STUDIES e-Book series, n. 1, pp.
delle Parti Sociali nelle tematiche attinenti il lavoro - lancia loro un appello affinché concludano un «grande patto per la produttività» (41).
A tal fine, il Governo prevede lo stanziamento economico - aggiuntivo a quello già disposto dalla L. n. 92/2012 per la decontribuzione del salario di produttività - all’interno della Legge di Stabilità per l’anno 2013, pari a 2,1 miliardi di euro nel biennio 2013- 2014, per la detassazione del salario legato agli incrementi di efficienza.
A partire dal 5 settembre 2012, l’Esecutivo avvia una serie di incontri con le rappresentanze dei datori di lavoro e quelle dei lavoratori al fine di «affrontare il tassello fondamentale della produttività del lavoro, tema per il quale spetta alle parti sociali il ruolo di protagonisti» (42).
Al termine di una lunga fase di trattative (43), il 21 novembre 2012 ABI, ANIA, Confindustria, Alleanza delle Cooperative, Rete Imprese Italia da un lato e, dall’altro, Cisl, Uil e Ugl (senza la firma
( 41 ) Cfr. L. LA SPINA, Passera: subito un grande patto per la produttività, xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/0000/00/00/xxxxxxxx/xxxxxxx-xxxxxx-xx-xxxxxx-xxxxx-xxx-xx- produttivita-zmqjt8PeYw6FX8LB9L8y7K/pagina.html.
(42) Si veda, per un maggiore dettaglio, quanto riportato dal sito Xxxxxxxx.xx, in cui il Presidente del Consiglio Xxxxx Xxxxx avrebbe altresì dichiarato: « In effetti, oltre allo spread sugli interessi sui titoli di Stato, che incide negativamente sul costo del credito e sugli investimenti delle imprese, assume grande rilievo lo spread di produttività, che altrettanto pesantemente incide sulla capacità competitiva aziendale», xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxx/0000/00/00/00000/xx-xxxxxxx-xxxxxx-xxxxxxxxxxxx-xxxx- imprese.
(43) Si vedano a mero titolo esemplificativo e per una cronaca sul battito politico- sindacale sul tema dell’intesa per la produttività Il Sole 24 Ore, Camusso Frena è polemica con Xxxxxxx, 11 ottobre 2012; Il Sole 24 Ore, Aggiornare l’Intesa del 2009 per essere competitivi, 11 ottobre 2012; Il Giornale, Intesa e sindacati a un passo dalla rottura, 12 ottobre 2012; Il Sole 24 Ore, si lavora a un’intesa di indirizzo generale; Corriere della Sera, il nodo delle deroghe al contratto, 13 ottobre 2012; Corriere della Sera, Squinzi ottimista, ma l’intesa non c’è ancora, 17 ottobre 2012; Il Messaggero, Produttività, si rischia l’intesa separata, 17 ottobre 2012.
della Cgil) sottoscrivono le Linee programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia (44).
Un’intesa che cerca di orientare i comportamenti delle relazioni industriali chiamate ad attivare responsabilmente il processo di contrattazione collettiva, in quanto “leva” di produttività e competitività utile a rafforzare il sistema produttivo, l’occupazione e le retribuzioni.
Ciò dovrà realizzarsi, come affermato nella Premessa, anche con il sostegno da parte del Governo, al quale si richiede (come già accaduto nei precedenti Accordi Interconfederali del 28 giugno 2012 e del 22 gennaio 2009) che vengano rese strutturali e certe le misure di detassazione e decontribuzione del salario correlato ad incrementi di produttività.
Si ribadisce la volontà delle Parti di consolidare un modello contrattuale in cui il Contratto Collettivo Nazionale abbia la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati.
La contrattazione di secondo livello, invece, dovrà conseguire maggiori guadagni di produttività attraverso un migliore impiego dei fattori produttivi e una più efficiente organizzazione del lavoro, correlando a tali aspetti la crescita delle retribuzioni dei lavoratori.
Si conferma altresì la volontà di favorire la definizione di intese modificative delle norme contrattuali, al fine di renderle maggiormente aderenti alle esigenze degli specifici contesti produttivi. Tali determinazioni possono anche rappresentare un’alternativa ai processi
(44) consultabile al sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, BANCHE DATI, voce Accordi Interconfederali.
di delocalizzazione, divenire un elemento per attrarre investimenti esteri, avviare start-up di imprese. Una formulazione nuova è più ampia, dunque, delle finalità che legittimano il ricorso alle clausole di deroga al CCNL rispetto a quelle stabilite dai precedenti Accordi Interconfederali.
In relazione a quanto già stabilito in tema di competenze attribuite al CCNL, esso dovrebbe altresì divenire lo strumento utile a perseguire la semplificazione normativa ed il miglioramento organizzativo e gestionale. Inoltre, dovrebbe prevedere una chiara delega al secondo livello di contrattazione delle materie e delle modalità che possono incidere positivamente sulla crescita della produttività (prestazione lavorativa, orari, organizzazione del lavoro).
Si consolida pertanto il sistema di decentramento controllato dal livello nazionale, in cui i rapporti (sempre meno gerarchici) tra i differenti livelli contrattuali sono definiti attraverso le clausole di delega e di uscita rispetto al CCNL medesimo. Con riferimento alla funzione di tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni, il CCNL
«deve rendere la dinamica degli effetti economici, definita entro i limiti fissati dai principi vigenti, coerente con le tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore».
In considerazione di quanto sopra, parrebbe esplicita la volontà delle Parti di avviare il superamento del solo IPCA (Indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, quale indicatore per allineare le retribuzioni dei lavoratori all’andamento dei prezzi. In base
alla nuova formulazione adottata dalle “Linee programmatiche” (45), l’IPCA dovrebbe essere supportato da ulteriori parametri più idonei alla tutela reale del potere d’acquisto dei salari: le tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e degli andamenti specifici del settore. L’indicatore adottato dalle Parti Sociali introdotto l’Accordo del 22 gennaio 2009 diverrebbe un tetto massimo di indicizzazione, al di sotto del quale è possibile scendere qualora si verifichino variazioni delle suddette dinamiche.
Al CCNL si attribuisce altresì la possibilità di cedere una quota degli aumenti economici derivanti dai rinnovi, alla pattuizione di elementi retributivi da collegarsi ad incrementi di produttività e redditività definiti dalla contrattazione di secondo livello. L’obiettivo sarebbe quello di consentire il trasferimento di quote nominalmente fisse di retribuzione corrisposte dal primo livello di contrattazione, in forme retributive variabili, erogate al secondo livello, per la tutela reale del potere d’acquisto dei lavoratori, realizzando, pertanto, una cessione di sovranità economica dal CCNL al contratto aziendale o territoriale (46). Una previsione (assieme alla più ampia possibilità di introdurre deroghe peggiorative agli istituti del CCNL) che ha scaturito il dissenso della Cgil alla sottoscrizione del patto, poichè destabilizzerebbe gli assetti contrattuali previgenti, «non garantendo nel contratto nazionale il pieno recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni […]» (47).
(45) «[…] il contratto collettivo nazionale di lavoro avendo l’obiettivo mirato di tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni, deve rendere la dinamica degli effetti economici, definita entro i limiti fissati dai principi vigenti […]»
(46) Cfr. C. DELL’ARINGA, Luci e Ombre, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
( 47 ) Cfr. CGIL, Accordo separato sulla produttività. Una occasione persa da ricostruire. Il giudizio e le proposte della Cgil, xxx.xxxx.xx. Si veda, sempre sul
Ulteriore capitolo affrontato nelle “Linee Programmatiche” è quello relativo alla “Contrattazione collettiva per la produttività”.
Spetta all’autonoma regolazione tra le organizzazioni comparativamente più rappresentative il controllo e la gestione delle materie oggi regolate prevalentemente dalla legge e che possono incidere sulla produttività. La contrattazione collettiva, pertanto, dovrà occuparsi delle tematiche inerenti all’equivalenza delle mansioni, all’integrazione delle competenze, alla ridefinizione di sistemi di orario, alle modalità attraverso le quali rendere compatibili l’impiego delle nuove tecnologie con la tutela dei diritti dei lavoratori.
Positivo, quindi, che gli attori sociali intendano ampliare il raggio d’azione su materie ed istituti volti ad incidere sull’efficienza organizzativa, ma solo se effettivamente le “buoni intenzioni” si traducono in espliciti ambiti da affrontare tramite la contrattazione.
Per la finalità di cui sopra, con la Legge di Stabilità per il 2013
(48) il Governo provvede a stanziare le risorse economiche (promesse a settembre 2012 ai fini del raggiungimento del patto sulla produttività) per finanziare lo sgravio fiscale connesso al salario d’efficienza.
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 gennaio 2013 ( 49 ) definisce retribuzione di produttività le voci retributive erogate in esecuzione di contratti con espresso riferimento ad indicatori quantitativi di produttività, redditività, qualità, efficienza, innovazione o, in alternativa, le voci retributive in esecuzione di
punto, X. XXXXXXX, Produttività, soldi buttati. L’intesa resterà sulla carta, xxx.xxxxxx.xx, in cui si considera: «Se oggi una quota delle risorse che servono per rinnovare un contratto nazionale può essere destinata alla contrattazione aziendale o di territorio, si corre il rischio di eliminare un livello di contrattazione, perché le erogazioni salariali contrattate non si sommeranno più come in precedenza».
(48) Cfr. art. 1, cc. 481 e 482, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
(49) Si veda sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, INDICE A-Z, voce Produttività
contratti che prevedano l’attivazione di almeno una misura in almeno tre delle seguenti aree di intervento: modelli flessibili di orario di lavoro, programmazione aziendale flessibile delle ferie, modelli organizzativi - gestionali e nuove tecnologie, interventi di fungibilità delle mansioni (50).
Con l’obiettivo di favorire la massima estensione dei benefici economici (forse anche a discapito di una effettiva crescita della dinamica della produttività, il 24 aprile 2013) Confindustria, CGIL, CISL e UIL (e, a seguire, anche le rappresentanze di imprese e lavoratori degli altri settori produttivi) sottoscrivono l’Accordo che, da un lato, rende operativi i contenuti del D.P.C.M. del 22 gennaio 2013, ma, dall’altro, svuota di contenuto l’Accordo sulla produttività. L’intesa del 24 aprile, infatti, conferma il modello e la funzione dei due livelli di contrattazione, così come esplicitato nell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, anche in relazione alle procedure per l’efficacia delle intese modificative (51).
(50) Si vedano i chiarimenti del Ministero del Lavoro sulle due nozioni di produttività, tramite l’emanazione della Circolare n. 15, 3 aprile 2013 pubblicata sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, INDICE A-Z, voce Produttività.
( 51 ) Sul punto si veda la nota diramata dalla Cgil il giorno della sottoscrizione dell’Accordo con Confindustria reperibile al link xxxx://xxx.xx/xXxXxx.
CAPITOLO II
LA CONTRATTAZIONE DI PRODUTTIVITA’ NEL SETTORE DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZZATA
1. Il significato della contrattazione di produttività nel settore della Grande Distribuzione organizzata
Con la crisi economico-finanziaria del 2008, si interrompe il periodo di crescita del commercio italiano. L’impatto della recessione incide fortemente sul potere d’acquisto delle famiglie, ovvero, sulla variabile determinante che attiva le spese per i consumi. Questi raggiungono il livello più basso durante il 2012, anno in cui le famiglie sembrerebbero rassegnate a prendere atto del perdurare della fase di recessione e delle prospettive di riduzione delle risorse disponibili anche per effetto dell’aumento della pressione fiscale (52).
Gli indici di produttività del settore commercio decelerano. Nel quinquennio 2001-2005 la produttività del lavoro registra un tasso di variazione media annua negativo, pari allo 0,4%. La flessione si accentua nel periodo successivo: tra il 2006 ed il 2010 il tasso medio annuo di variazione si attesta su un valore del -0,9%. Con il manifestarsi della crisi, si registra un vero e proprio crollo della produttività, ridottasi complessivamente del 9,2% nel biennio 2008-
(52) Cfr. EBINTER NEWS – BILATERALITA’ NEL TERZIARIO, Redditività nel settore Terziario, n. 2, 2013, xxx.xxxxxxx.xx e ISFOL – REF Ricerche, Commercio. Le previsioni al 2014: valore aggiunto, produttività ed occupazione, xxx.xxxxx.xx.
2009 (53). Il settore è stato infatti interessato dal fenomeno del “labour hoarding” (54): la caduta del valore aggiunto è stata quasi interamente assorbita dalla contrazione della produttività del lavoro, mentre la domanda di lavoro si è ridotta in misura minore.
Trattasi, pertanto, di una vera e propria battuta di arresto della crescita di un settore che, nel corso degli anni Novanta, aveva contribuito ad alimentare il positivo andamento della produttività del Paese ( 55 ). Per tale ragione, l’impiego efficiente della forza lavoro diviene un tema centrale nel confronto sindacale, soprattutto nel momento in cui anche le strategie commerciali e le politiche distributive devono essere riviste dalle aziende, al fine di evitare l’uscita dal mercato.
A ben vedere, tuttavia, la definizione di politiche contrattuali in grado di determinare e assicurare una maggiore competitività del settore è oggetto di riflessione, anche sindacale (56), ben prima della “tornata contrattuale” del 2011. In tale prospettiva, nel rispetto del sistema di contrattazione sancito a livello interconfederale dall’Accordo del 23 luglio 1993 ( 57 ) e delle prime esperienze di
(53)ISFOL – REF Ricerche, Commercio. Le previsioni al 2015: valore aggiunto, produttività ed occupazione, xxx.xxxxx.xx.
(54) ISFOL – REF Ricerche, cit.. Il labour hoarding implica che vi sia un incremento della produttività non appena la ripresa comincia a manifestarsi: man mano che i livelli produttivi aumentano, la manodopera presente viene utilizzata in maniera più intensiva.
(55) Cfr. CNEL, Progetto Cnel-Istat sul tema “Produttività, struttura e performance delle imprese esportatrici, mercato del lavoro e contrattazione integrativa”. Report Intermedio, 2015, p. 17.
(56) Sul punto si rimanda a X. XXXXXXX (a cura di), L’evoluzione e riforma della contrattazione nel Terziario, Turismo e Servizi, Consiglio Generale Fisascat Cisl. Auditorium Xxx Xxxxx, Xxxx, 00 dicembre 2005.
( 57) Secondo l’opinione dell’attuale Segretario Nazionale Fisascat-Cisl Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, il Protocollo sugli assetti contrattuali del luglio 1993 non è stato utile allo sviluppo della contrattazione di secondo livello, a causa della parcellizzazione delle
contrattazione territoriale sostenute dal cosiddetto “Patto di Natale” del 1998 (58), anche nel settore Terziario in senso lato, si è cominciata a delineare – a partire dalla prima metà degli anni 2000 - la volontà di promuovere con maggiore incisività ed effettività la tendenza al decentramento della contrattazione, con l’obiettivo di una migliore performance produttiva. In questi termini, già nel periodo richiamato sopra, si propone il contratto nazionale di lavoro quale strumento con un ruolo di garanzia minima per consentire ai lavoratori dei vari comparti economici, anche quelli dei settori più “polverizzati”, di avere un livello garantito di tutela salariale e normativa, che non può prescindere da una validazione della contrattazione collettiva stipulata dalle parti.
Il territorio viene individuato come livello idoneo a sviluppare le nuove iniziative di contrattazione a fianco di quelle aziendali locali e dei grandi gruppi. Si ritiene dunque già necessario definire il rapporto tra il CCNL, il secondo livello territoriale e la contrattazione aziendale, alla luce del peso delle materie negoziabili direttamente a livello decentrato, il quale deve crescere in termini di rilevanza di contenuti e non più essere considerato soltanto in termini di semplice gestione di intese definite in ambito nazionale (come, ad esempio, l’organizzazione del lavoro, gli orari, l’andamento del mercato del lavoro locale, ecc.).
aziende che operano nel settore Terziario. Cfr. CENTRO STUDI CISL FIRENZE, La contrattazione decentrata nei settori Terziario, Turismo e Servizi, 29 settembre 2011 e 23 febbraio 2012.
(58) Cfr. Patto sociale per l’occupazione e lo sviluppo, 22 dicembre 1998, grazie al quale maturarono le prime forme di contrattazione territoriale, regionale o di distretto più vicine alle esigenze delle realtà territoriali e delle strutture produttive di piccola dimensione, alle quali non è in grado di rispondere la contrattazione nazionale e per le quali anche la contrattazione aziendale era inadeguata, così M.V. BALLESTRERO, Diritto Sindacale, Torino, Giappichelli, 2014, p. 269.
Emerge altresì la necessità di stabilire un equilibrio complessivo del sistema atto a garantire concretamente i recuperi salariali in relazione alle dinamiche inflattive ed alla perdita di potere d’acquisto dei lavoratori nell’ambito dei CCNL, da affiancare a meccanismi che effettivamente eroghino quote retributive legate alla redditività ed alla produttività delle aziende o dei settori territoriali nel livello decentrato.
In termini più generali cominciano a gettarsi le basi per una strategia contrattuale flessibile ed aderente alle esigenze concrete dei diversi ambiti economici del settore del Terziario.
Opportuna è poi una riflessione sullo “stato di salute” delle imprese che operano nel settore del commercio, per delineare lo scenario economico che costituisce lo sfondo in cui sviluppano e si confrontano i “rapporti di forza”.
Prima della crisi economico-finanziaria del 2008, sia il commercio tradizionale sia quello moderno sono cresciuti in un contesto favorevole. Tra il 2000 e il 2007 i punti vendita aumentano di oltre 57 mila unità (8%) e la rete italiana “in sede fissa” raggiunge il suo massimo storico con 778.500 unità. Se si aggiungono gli ambulanti, le unità salgono a 940.400. Di questa estesa e assai capillare rete distributiva la componente moderna nel 2007 era valutabile in 53 mila esercizi, 25 mila alimentari e 28 mila non alimentari (59). Se si considerano separatamente le diverse componenti del sistema, emergono però alcune differenze.
L’alimentare tradizionale evidenzia una leggera riduzione (- 1,5%), cui fa riscontro una assai marcata crescita di quello non
(59) EBINTER NEWS – BILATERALITA’ NEL TERZIARIO, Redditività nel settore Terziario, n. 2, 2013, xxx.xxxxxxx.xx, pp. 23.
alimentare (10,2%). Molto più dinamico è lo sviluppo della componente moderna: l’alimentare aumenta al 21,7% e il non alimentare al 33,8%.
Mentre nel primo caso il processo di modernizzazione della rete incide negativamente sulla componente più tradizionale, l’aumento del mercato non alimentare consente a entrambe di crescere in modo significativo (60).
Questa è la situazione che si presenta all’inizio della crisi. Dopo cinque anni, alla fine del 2012, la rete totale in sede fissa segna una diminuzione di 11.700 punti vendita (-1,5%) e scende a 767 mila unità. Una riduzione nel complesso contenuta, che risulta inoltre più che compensata dalla crescita dell’ambulantato: gli esercizi totali aumentano quindi di 6 mila unità.
Se si tiene conto dell’ambulantato, la crisi sembra quindi avere avuto un impatto nullo sul numero totale di esercizi in essere. Tuttavia, se si considerano i diversi comparti emergono differenze significative.
Nel commercio tradizionale la battuta d’arresto risulta più marcata nel non alimentare (-2,4%) rispetto all’alimentare (-1,2%): il primo inverte in modo netto l’andamento del periodo pre-crisi, mentre il secondo rallenta, seppure di poco, il suo trend negativo. Situazione opposta si verifica nell’ambulantato, dove il non alimentare cresce (+20 mila unità) a fronte di una riduzione degli esercizi alimentari (2.500 unità). Per quanto riguarda la componente moderna, l’alimentare si ferma (+1,1), mentre il non alimentare continua a crescere, seppure a tassi meno elevati che nel periodo precedente (+11.4%) (61).
(60) EBINTER NEWS – BILATERALITA’ NEL TERZIARIO, cit., p. 24.
(61) EBINTER NEWS – BILATERALITA’ NEL TERZIARIO, cit., p. 24.
La crescita dell’occupazione nel commercio si interrompe nel 2008. La contrazione complessivamente registrata nel periodo 2008- 2009, pari al 3,1%, è tuttavia contenuta, se confrontata con la caduta dell’attività. Ciononostante, gli obiettivi prioritari del settore permangono quelli della salvaguardia dei livelli occupazionali, a fronte dei molteplici processi di crisi, nonché il rilancio dei consumi attraverso un miglioramento dei margini di competitività, produttività ed efficienza organizzativa delle aziende. In questi termini, i fattori correlati all’organizzazione del lavoro - in un comparto economico che vede imprese di piccole-medie dimensioni e grandi concorrere in modo congiunto tra loro – risultano decisivi, al fine di consentire la conciliazione tra la complessa pluralità ed eterogeneità delle esigenze produttive.
L’articolazione degli orari, l’esigibilità delle forme contrattuali flessibili che danno risposta alle specifiche esigenze delle imprese e la contrattazione di secondo livello in grado di ridistribuire eventuali guadagni di produttività, sono le determinanti che possono incidere positivamente sull’efficienza del comparto. Trattasi di strumenti atti a predisporre politiche di fidelizzazione della clientela per la strutturazione di una offerta adattabile, capace di intercettare le dinamiche di mutamento nelle preferenze di acquisto dei consumatori in maniera puntuale e continua.
Detto contesto rappresenta la cornice di riferimento entro la quale Confcommercio e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil avviano il negoziato che porterà alla sottoscrizione (con le sole sigle Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil) dell’Ipotesi di Accordo di rinnovo del
Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti da aziende del Terziario della Distribuzione e dei Servizi.
2. Le principali novità del CCNL TDS 2011 in tema di produttività del lavoro
2.1 Il CCNL TDS nel nuovo assetto della contrattazione dell’Accordo – Quadro del 22 gennaio 2009
L’Ipotesi di Accordo di rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti da aziende del Terziario della Distribuzione e dei servizi (da ora, CCNL TDS) del 26 febbraio 2011 sottoscritto definitivamente, con modifiche, il 6 aprile 2011 da Confcommercio, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil è coerente non solo con gli assetti contrattuali – non condivisi dalla Cgil - sanciti, a livello interconfederale, dall’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009, bensì con il modello di contrattazione stabilito, per il settore del Terziario, dalle Linee guida per la riforma della contrattazione collettiva del 17 dicembre 2008 ( 62 ) pattuite da Confcommercio e Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil.
L’intesa, in anticipo rispetto al summenzionato Accordo Quadro, intende delineare, per un periodo sperimentale quadriennale, un sistema di contrattazione collettiva orientato all’aumento della produttività e delle retribuzioni dei lavoratori.
(62) Si vedano al link: xxxx://xxx.xx/XxxXX0.
Nello specifico, si conferma un assetto su due livelli ( 63): il contratto collettivo nazionale e la contrattazione aziendale o, alternativamente, territoriale. Per entrambi i livelli, viene stabilita una durata triennale sia per la parte economica che per quella normativa, al fine di determinare maggiore semplificazione del processo di rinnovo (64).
Con la finalità di rendere la dinamica retributiva coerente con l’andamento dell’inflazione, le Parti definiscono l’IPCA (Indice dei prezzi al consumo, armonizzato, elaborato da Eurostat per l’Italia) depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati.
Saranno individuate, entro la vigenza contrattuale, le modalità di recupero degli eventuali scostamenti tra l’inflazione prevista e quella effettiva.
Il sistema della bilateralità viene riconosciuto quale strumento idoneo in grado di favorire un modello di relazioni sindacali partecipative, nonché utile alla regolazione dei rapporti ed alla prevenzione del conflitto ( 65 ). Dopo essere nato in alcune realtà territoriali, il fenomeno della bilateralità trova la propria regolazione
(63) In coerenza con l’assetto bipolare del sistema di contrattazione collettiva italiano. Si veda, nel merito, X. XXXXX, L’accordo quadro e l’accordo interconfederale del 2009: contenuti, criticità e modelli di relazioni industriali, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n.1, Milano, Xxxxxxx, 2009, p. 356.
(64) Per un approfondimento generale sulla scelta delle Parti di aumentare la durata del CCNL per la parte economica, si veda X. XXXXX, Prospettive evolutive delle relazioni industriali in Italia: la riforma degli assetti contrattuali, in Diritto delle Relazioni Industriali, Milano, Xxxxxxx, n. 2, 2009, p. 327, nonché, per una disamina degli effetti economici derivati dalla suddetta scelta I. XXXXX, Indagine conoscitiva sull’assetto delle relazioni industriali e sulle prospettive di riforma della contrattazione collettiva, 11ma Commissione (Lavoro pubblico e privato), Roma, Camera dei Deputati, 25 novembre 2008, p. 10.
( 65 ) In merito al funzionamento, nonché alle caratteristiche del sistema della bilateralità di settore, si veda X. XXXXXXX e X. XXXXXXXXXX (a cura di), L’evoluzione delle bilateralità nel Terziario Globale, EBINTER, 2011.
all’interno del contratto collettivo nazionale, che fa della sua promozione e diffusione uno degli scopi principali. Gli enti bilaterali sono tradizionalmente considerati, dalle associazioni datoriali e sindacali di categoria, la sede opportuna per la gestione dei contratti di lavoro flessibili, per lo sviluppo delle politiche formative e del welfare contrattuale. A queste funzioni, se ne sono aggiunte altre nel corso del tempo come, per esempio, quelle in tema di conciliazioni delle controversie di lavoro e di gestione degli strumenti di sostegno al reddito (66).
Le Parti, sempre all’interno dell’intesa, concordano altresì un meccanismo che, alla data di scadenza del precedente contratto, riconosca una copertura economica a favore dei lavoratori in servizio alla data di raggiungimento dell’accordo.
Per consentire il regolare svolgimento del negoziato per il rinnovo del CCNL, si conferma un periodo di “tregua” di sette mesi dalla data di presentazione della piattaforma rivendicativa. In caso di mancato rispetto, si può richiedere la revoca o la sospensione dell’azione messa in atto durante il periodo di “pace sindacale”.
Il secondo livello di contrattazione, aziendale (previsto per le imprese con più di 30 dipendenti) o territoriale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal CCNL o dalla legge e secondo il principio del “ne bis in idem”. La contrattazione aziendale o territoriale dovrà essere sostenuta da adeguate e strutturali misure di incentivazione fiscale e contributiva legate al recupero della
(66) Cfr. M. C. XXXXXXXX e X. XXXXXXX, I sistemi bilaterali di settore, in X. XXXXXXXX e X. Xx Xxxxxx, La bilateralità fra tradizione e rinnovamento, Milano, Xxxxxx Xxxxxx, 2011, p. 202.
produttività, quindi, all’incremento del salario ( 67 ). Sul punto, “Si evidenzia come nei settori rappresentati da Confcommercio, la produttività non si misuri solo in numero di ore lavorate, ma forte valenza assume la modalità di utilizzo delle ore stesse, nella logica qualità del servizio offerto e di conseguente crescita aziendale” (68). Al fine di incentivare la contrattazione di secondo livello, Confcommercio e Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil concordano sulla possibilità del CCNL di individuare “elementi economici di garanzia” retributiva per i lavoratori non coperti dalla contrattazione aziendale o territoriale (69).
Infine, si prevede la possibilità di modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici o normativi regolati dal CCNL anche al fine di governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi aziendale o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, sulla base di parametri oggettivi individuati dal contratto nazionale (70).
Dette Linee Guida hanno un impatto dirompente all’interno del sistema di relazioni sindacali ( 71 ) del settore del Commercio,
(67) In tal senso, la finalità sarebbe quella di rendere la contrattazione di secondo livello lo strumento principale per la partecipazione dei lavoratori agli incrementi di produttività e di redditività aziendale. In merito, si veda X. XXXX, Le forme retributive incentivanti, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, fasc. 4, 2010, p. 649
(68) Cfr. Linee guida per la riforma della contrattazione collettiva del 17 dicembre 2008, punto 8.
(69) Per un approfondimento sulle criticità derivanti dall’introduzione dell’elemento perequativo si rimanda, su tutti, a X. XXXXXXX, Una dichiarazione d’intenti: l’accordo quadro del 22 gennaio 2009 sulla riforma degli assetti contrattuali, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. 1, Milano, Xxxxxxx, 2009, p. 191.
( 70) In relazione al progressivo spostamento del baricentro della contrattazione a livello decentrato, X. XXXXXX, L’aziendalizzazione nell’ordine giuridico-politico del lavoro, in Diritto e Lavoro, n. 2, 2013, pp. 213-238.
(71) Molto critiche, sul punto, anche le opinioni di differente dottrina, tra i quali, a titolo esemplificativo, X. XXXXXXX, Retribuzione e assetto della contrattazione collettiva, in, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, n. 1, Milano, Xxxxxxx, pp. 707- 708, il quale evidenzia che il nuovo assetto contrattuale delineato dall’Accordo
costituendo la premessa per la sottoscrizione dell’Ipotesi di Accordo di rinnovo del CCNL TDS, del 26 febbraio 2011. La Filcams-Cgil, infatti, non condividendo la nuova “architettura” della contrattazione definita dall’intesa raggiunta il 17 dicembre 2008, è parte non firmataria anche del suddetto Accordo di rinnovo che, pertanto, si qualifica “separato” (72).
In particolare, le ragioni giustificatrici della scelta operata dall’organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa del settore sono: il recepimento integrale dei contenuti dell’Accordo Quadro del
22 gennaio 2009 (con particolare riguardo all’indice IPCA ed alla possibilità di definire, al secondo livello di contrattazione, intese modificative agli istituti regolati dal CCNL), la nuova regolazione dell’istituto della malattia, l’indebolimento della normativa sui permessi individuali per i neoassunti, l’introduzione nel CCNL dei contenuti previsti dalla Legge 4 novembre 2010, n. 183 (cosiddetto “Collegato Lavoro”), con peculiare riguardo agli istituti della certificazione dei contratti di lavoro e dell’arbitrato di equità. La strategia adottata dalla Filcams-Cgil è appunto quella del non riconoscimento e della non legittimazione politica dell’accordo separato. Dal punto di vista giuridico, invece, l’O.S. sostiene che il
Quadro del 2009 (recepito dalle differenti categorie con intese specifiche come le Linee Guida del dicembre 2008) «ha inferto un colpo ferale all’ordine preesistente». (72) Per una rassegna dottrinale sul tema degli accordi separati si rimanda in via principale a X. XXXXXXX, Accordi Separati, in Diritti, Lavori, Mercati, Editoriale scientifica, n. 3, 2009 e X. XXXXXXXXXX, Gli accordi sindacali separati tra formalismo giuridico e dinamiche intersindacali, in Diritto delle Relazioni Industriali, Milano, Xxxxxxx, n. 2, 2011, pp. 346-361, nonché X. XXXXXXXX, Gli accordi separati: un vulnus letale per le relazioni industriali in Quaderni di Rassegna Sindacale n. 3, 2010.
contratto nazionale non sia applicabile e non abbia efficacia per tutti i lavoratori (73).
L’azione del sindacato dunque si concentra nella messa in atto di forme di contrasto del CCNL TDS del 2011, in particolare attraverso la contrattazione di secondo livello. Viene così definita una vera e propria “campagna di riconquista” del contratto collettivo finalizzata alla neutralizzazione, alla disapplicazione o al miglioramento graduale
(74) degli effetti derivanti dall’Accordo separato.
Per quanto riguarda i contenuti dell’intesa, la soluzione economica individuata per la chiusura del negoziato, in linea con quanto previsto nell’Accordo Quadro del 2009, è quella di prevedere effetti economici durante il triennio di vigenza contrattuale, compatibili con l’andamento dell’indice di adeguamento retributivo all’inflazione IPCA. Viene concordato un incremento lordo medio (parametrato al quarto livello del sistema di inquadramento) di 86 euro fino al 31 dicembre 2013.
(73) Per un’analisi delle tesi che sostengono l’inapplicabilità del CCNL TDS 2011 ai lavoratori non iscritti alle XX.XX. stipulanti, si veda la relazione di M.G. GABRIELLI, Seminario Contrattazione II livello FILCAMS CGIL 26 e 27 maggio 2011, xxxx://xxx.xx/XxXXx0. Dal punto di vista dottrinale, per una diversa interpretazione si rimanda a X. XXXXXXXXXX, Gli accordi sindacali separati tra formalismo giuridico e dinamiche intersindacali, in Diritto delle Relazioni industriali,
n. 2, Milano, Xxxxxxx, pp. 346-361.
(74) A titolo esemplificativo, come indica M.G. XXXXXXXXX, cit., «[…] al pagamento del 66% per i primi tre giorni di malattia si sostituisce l’80% o dove la maturazione dei permessi in 4 anni viene ridotta in un percorso di maturazione più breve. E’ chiaro che il realismo e il contesto di difficoltà, farebbero apparire, per la situazione data, questo risultato contrattuale come un miglioramento. Lo scenario che però si determina sarebbe più compromesso, perché questo significa inserirsi nel solco del contratto separato, legittimandolo implicitamente e in tal caso, le dichiarazioni sul non riconoscimento politico e dei contenuti non sarebbero sufficienti a sostenere – almeno in questa fase – la nostra posizione.».
Pare opportuno rilevare, in merito alla scelta delle Parti di ricorrere all’indice IPCA al netto dei beni energetici importati per gli adeguamenti retributivi, che rispetto all’inflazione programmata (il precedente indice utilizzato nella contrattazione collettiva), fra il 2000 e il 2011, l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto in media di più: 1,7% contro 2,1% (inflazione programmata).
Rispetto agli altri indici di inflazione (IPCA “complessivo”, FOI, NIC) (75), l’IPCA al netto dei beni energetici importati è cresciuto in media un decimo di punto in meno. L’indice utilizzato dalla contrattazione (IPCA al netto degli energetici importati), quindi, da un punto di vista prettamente statistico, risulta più vicino al costo della vita rispetto al tasso di inflazione programmata. L’IPCA adottato con l’Accordo del 2009, infatti, non risente della estrema volatilità di prezzo derivante dai prodotti energetici importati, essendo invece una misura di inflazione maggiormente connessa a determinanti domestiche di costo e quindi più idonea in sede di contrattazione salariale.
Questi dati, quindi, confermano la correttezza della scelta operata dalle Parti Sociali che hanno sottoscritto l’Accordo del 2009 ai fini di una più fedele lettura dell’effettivo aumento del costo della vita rispetto al quale orientare l’aumento delle retribuzioni medie (76).
Con riferimento al primo livello contrattuale – sempre in ottemperanza a quanto disposto dall’Accordo sugli assetti della contrattazione - durante l’arco di vigenza del CCNL (dal 1 gennaio
(75) L’IPCA è l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea, il FOI è l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati e il NIC è l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività.
( 76 ) Cfr. X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX - in collaborazione con Federdistribuzione, Indice IPCA e contrattazione collettiva, ADAPT UNIVERSITY PRESS, E-book series, vol. 8, 2013, pp. 27-30.
2011 al 31 dicembre 2013), si stabilisce una fase sperimentale dell’assetto della contrattazione che prevede una durata triennale del contratto nazionale, sia per la parte economica che per quella normativa.
La piattaforma per il rinnovo contrattuale dovrà essere presentata dalle XX.XX. nei sei mesi antecedenti la scadenza del CCNL (rispetto ai precedenti tre mesi), mentre, il periodo di tregua sindacale, di durata pari a sette mesi, decorrerà dalla data di scadenza del contratto nazionale, ovvero, in caso di ritardata presentazione della piattaforma, dal momento della definizione della medesima successivo al ritardo. In occasione di ogni rinnovo, le Parti individuano un meccanismo che riconosca una copertura economica a favore dei lavoratori in servizio alla data di raggiungimento dell’accordo, con decorrenza dal momento della scadenza del contratto precedente.
Le Parti rivedono altresì l’ambito di intervento della contrattazione di secondo livello nell’ottica di rilanciarne l’azione ed evitare mere sovrapposizione di costi. Vengono pertanto individuati dei cosiddetti “criteri guida” utili ad orientare l’attività e l’azione delle Parti, prevedendo, al contempo, la possibilità di realizzare anche intese derogatorie o sospensive in talune specifiche fattispecie.
Nell’ambito dei summenzionati “criteri guida”, le Parti ribadiscono il principio della impossibilità di definizione di accordi di secondo livello su materie già negoziate a livello nazionale (ne bis in idem) e quello della sussidiarietà, in base al quale il secondo livello si realizza per le materie espressamente delegate dal CCNL. Vengono altresì rafforzati gli aspetti relativi all’alternatività e non sovrapponibilità della contrattazione territoriale rispetto a quella
aziendale. Ciò implica che gli accordi territoriali non potranno trovare applicazione nei confronti delle aziende che abbiano già un’intesa (anche nel caso in cui questa riguardi temi differenti rispetto a quello territoriale).
Con riferimento alla tipologia di contrattazione di secondo livello in concreto applicabile a ciascuna azienda, l’Accordo di rinnovo, nel ribadire la distinzione collegata ai requisiti dimensionali (aziende che occupano fino a trenta dipendenti e aziende con più di trenta dipendenti), introduce un nuovo criterio che permette alle imprese di scegliere se applicare la contrattazione territoriale, ovvero utilizzare esclusivamente l’elemento economico di garanzia. Le aziende che occupano fino a trenta dipendenti potranno scegliere se applicare la contrattazione territoriale oppure applicare l’elemento di garanzia retributiva. Quelle oltre la soglia dei trenta dipendenti potranno optare se applicare la contrattazione aziendale, oppure - nel caso in cui siano prive di intese definite in tale ambito - ricorrere alla contrattazione territoriale od alla erogazione dell’elemento economico di garanzia. Le imprese che abbiano unità produttive distribuite in più province, indipendentemente dal numero di lavoratori occupati, potranno scegliere se: applicare la contrattazione aziendale oppure, nel caso in cui non abbiano concluso intese specifiche, ricorrere ai singoli contratti territoriali stipulati nelle diverse province; applicare il contratto territoriale della provincia in cui ha sede legale l’azienda o, in alternativa, ricorrere all’elemento economico di garanzia.
Viene poi sancito il principio della variabilità dei riconoscimenti economici. Il criterio necessario per l’erogazione di premi, od emolumenti di analoga natura, si fonda sull’effettivo incremento della
produttività dell’impresa, per cui diviene necessario collegare le predette somme ad indicatori di efficienza. Al secondo livello, si possono disciplinare esclusivamente le erogazioni economiche variabili, non predeterminabili, che abbiano i requisiti per poter beneficiare delle misure di agevolazione fiscale e contributiva, con riferimento alle quali il CCNL esclude espressamente la computabilità ai fini del TFR.
Per quanto concerne i cosiddetti “contenuti”, l’Accordo precisa che si può ricorrere alla contrattazione di secondo livello per le materie espressamente demandate dal CCNL, nonché per la definizione di intese derogatorie finalizzate al miglioramento dei livelli di produttività, competitività ed efficienza delle imprese, sulle materie inerenti il mercato del lavoro (ad esclusione dell’apprendistato) e lo svolgimento del rapporto di lavoro (escluse le previsioni relative all’orario di normale di lavoro, l’orario di lavoro dei minori, le ex festività e le ferie solo con riferimento alla determinazione del periodo).
In tema di agevolazioni fiscali, l’Accordo precisa che gli istituti del lavoro straordinario, supplementare, le clausole elastiche e flessibili, il lavoro a turno, il lavoro domenicale e festivo, quello notturno, i premi variabili e di rendimento, si considerano voci retributive in grado di consentire incrementi di produttività efficienza, competitività, qualità e redditività. Di conseguenza, qualora tali istituti
– già disciplinati dal CCNL – siano previsti in accordi di secondo livello, beneficiano, in via diretta, dell’agevolazione fiscale, consistente nell’applicazione, nell’anno 2011, dell’imposta sostitutiva del 10%
sulle componenti accessorie della retribuzione corrisposte ai lavoratori dipendenti (77).
Un altro elemento che qualifica il sistema di contrattazione di secondo livello è quello relativo alla possibilità - in linea con quanto previsto dall’Accordo di categoria del 17 dicembre 2008 e quello interconfederale del 22 gennaio 2009 - di realizzare, intese con effetti derogatori o sospensivi degli istituti del CCNL nei casi di superamento di situazioni di crisi; di sviluppo economico e occupazionale; di avvio nuove attività, ampliamento, ristrutturazione e rilancio delle medesime; di eventuali situazioni di emersione dal lavoro sommerso in presenza di idonei provvedimenti legislativi (78).
Tuttavia, si esclude la possibilità per le Parti di pattuire interventi modificativi su: i minimi retributivi; le ferie e le ex festività (32 ore di permesso retribuito); diritti di informazione e assetti contrattuali; le regole della contrattazione, gli strumenti paritetici e la bilateralità; la tutela della salute; la conciliazione delle controversie; le quote dei fondi nazionali Est (assistenza sanitaria dipendenti), For.Te. (formazione dei dipendenti), Qu.A.S. (assistenza sanitaria quadri), Quadrifor (formazione dei quadri); l’orario normale settimanale (40 ore) e quello dei minori.
L’assetto della contrattazione definito dal CCNL TDS 2011 risente delle difficoltà derivanti dagli effetti della crisi che il settore deve gestire. Per tale motivo la “performance contrattuale” tiene conto del legame imprescindibile tra crescita della produttività ed esigenze di competitività delle imprese che, soprattutto nel comparto del terziario,
(77) Si veda CONFCOMMERCIO, FILCAMS-CGIL, FISASCAT-CISL E UILTUCS- UIL, Accordo Quadro per la detassazione nel settore nel Terziario, 6 aprile 2011.
(78) Cfr. l’articolo “Crisi, sviluppo, occupazione, Mezzogiorno”.
significano produzione di valore aggiunto attraverso modelli organizzativi “customer oriented” ed elevate professionalità dei lavoratori, in grado di garantire alta qualità del servizio offerto al consumatore moderno. Quest’ultimo, infatti, predilige un’offerta di prodotti e servizi il più possibile ampia e variegata, oltre ad attribuire molta importanza alla comodità ed alla rapidità negli acquisti, in coerenza con le specifiche esigenze di armonizzazione dei tempi di lavoro e di svago.
2.2 L’incremento retributivo e l’elemento perequativo
«Nonostante questa bassa crescita il contratto garantirà ai lavoratori aumenti salariali compatibili con il valore economico di riferimento concordato tra le parti, conosciuto come IPCA che prevede un incremento complessivo nel prossimo triennio del 5,61%» (79). Così, in data 26 febbraio 2011, Confcommercio commenta la rilevanza economica dell’Accordo di rinnovo del contratto nazionale (80).
L’aumento retributivo contrattato per il triennio 2011-2013 corrisponde ad un valore monetario pari a ottantasei euro complessivi, al IV livello (81), determinati su una base di calcolo così composta: paga base (IV livello) al 31 dicembre 2010 (921,46 euro), contingenza
(79) Cfr. il comunicato Confcommercio consultabile al link xxxx://xxx.xx/0xxXxX.
(80) Per un confronto tra i livelli retributivi definiti nell’ambito dei rinnovi contrattuali nei principali settori dell’economia si veda X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX - in collaborazione con Federdistribuzione, Indice IPCA e contrattazione collettiva, ADAPT UNIVERSITY PRESS, E-book series, vol. 8, 2013, pp. 31-43.
(81) In particolare, si prevede l’erogazione di sei tranches: 10 euro (1 gennaio 2011); 13 euro (1 settembre 2011); 15 euro (1 aprile 2012); 16 euro (1 ottobre 2012); 16 euro (1 ottobre 2013).
(524,22 euro), terzo elemento nazionale (2,07 euro), superminimo medio (50 euro) e due scatti di anzianità (media stimata pari a 41,32 euro). Considerato il totale di dette componenti, l’aumento contrattato è inferiore all’inflazione realizzata (7,1%) (82).
L’incremento retributivo pari a ottantasei euro – la cui incidenza sulla retribuzione convenzionale si attesta al 5,6% - è però perfettamente coerente con il valore dell’IPCA previsto al momento della stesura del contratto (aumento triennale, tasso nominale: 5,5%) (83).
Si ritiene opportuno rilevare come, a differenza di quanto previsto dalle medesime Parti sottoscrittrici le Linee guida per la riforma della contrattazione collettiva del 17 dicembre 2008 ( 84 ), all’interno del contratto collettivo non venga fatto alcun riferimento specifico alla connessione tra salario ed inflazione o alla sua misurazione, né si cita esplicitamente il riferimento all’IPCA. Allo stesso modo, non è regolato anticipatamente l’eventuale recupero della differenza economica tra l’aumento retributivo contrattato e l’inflazione verificata.
(82) Si veda, Istat, Comunicazione, 30 maggio 2014, in cui l’inflazione a consuntivo è pari al 2,6% (2011); al 3,2% (2012) ed all’1,3% (2013), xxxx://xxx.xx/0xxXxx.
(83) Si veda, Istituto di studi e analisi economica. Comunicato stampa, 21 maggio 2010, in cui l’inflazione prevista è pari a 2,0% (2011); 1,8% (2012) e 1,7% (2013).
(84) Si veda il terzo punto dell’intesa, secondo alinea, in base al quale «Si condivide la necessità di un parametro nazionale cui agganciare la dinamica salariale, dei rinnovi nazionali a partire da un valore retributivo medio, quale un indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato, armonizzato da Eurostat per l’Italia), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati e che andrebbe elaborato da un soggetto terzo (es. Banca d’Italia).
La verifica sugli eventuali scostamenti è di competenza delle parti stipulanti che potranno definire modalità e condizioni per il recupero entro la vigenza contrattuale».
Il CCNL abroga la previgente indennità di vacanza contrattuale automatica in caso di mancato accordo di rinnovo del contratto nazionale, dopo tre mesi dalla sua scadenza. In precedenza, le Parti prevedevano la corresponsione di un elemento provvisorio, pari al 30% del tasso di inflazione programmato, applicato ai minimi retributivi contrattuali, inclusa la ex indennità di contingenza. L’Accordo di rinnovo del 2011, più semplicemente, prevede che le parti individuino un meccanismo che riconosca una copertura economica a favore dei lavoratori in servizio alla data del rinnovo del contratto, con decorrenza dalla data di scadenza del CCNL precedente e senza riferimenti all’inflazione (85).
In recepimento dell’Accordo del 22 gennaio 2009 viene sancita la possibilità di riconoscere un elemento economico di garanzia come alternativa alla contrattazione aziendale o territoriale di un premio di risultato. Il datore di lavoro, in tal modo, potrà scegliere se applicare il contratto di II livello o procedere all’erogazione del suddetto elemento economico. In questo ultimo caso, l’elemento perequativo sarà riconosciuto a tutti i lavoratori a tempo indeterminato, agli apprendisti ed ai lavoratori con contratto di inserimento con la retribuzione di novembre 2013, sempre che siano in forza al 31 ottobre del medesimo anno e che risultino iscritti nel libro unico da almeno sei mesi (86). L’importo è assorbito comunque, sino a concorrenza, da ogni trattamento economico individuale o collettivo aggiuntivo, rispetto a
(85) X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, cit., p. 33.
(86) L’ammontare dell’elemento economico di garanzia è pari, per le aziende fino a 10 dipendenti, a 115 euro (Quadri, I e II livello); 100 euro (III e IV livello); 85 euro (V e VI livello). Per le aziende con organico superiore l’elemento perequativo è di 140 euro (Quadri, I e II livello); 125 euro (III e IV livello) e 110 euro (V e VI livello).
quanto previsto dal CCNL TDS, che venga corrisposto successivamente al 1 gennaio 2011.
Trattasi dunque di una penalizzazione indiretta per le aziende finalizzata a compensare il lavoratore della perdita di reddito, derivante dalla mancata implementazione della contrattazione di secondo livello.
La presenza di tale istituto, tuttavia, potrebbe rappresentare un limite alla diffusione delle retribuzioni di produttività definite in ambito decentrato, poiché potrebbe aumentare il costo atteso di un eventuale contratto di secondo livello. Il datore di lavoro, infatti, potrebbe essere chiamato a concedere incrementi retributivi maggiori rispetto a quelli già previsti dall’elemento di garanzia (87).
2.3 La regolazione dell’istituto della malattia finalizzata alla riduzione dell’assenteismo
Con la sottoscrizione definitiva dell’Accordo di rinnovo del CCNL TDS del 6 aprile 2011, Confcommercio, Fisascat-Cisl e Uiltucs- Uil modificano la disciplina relativa all’istituto della malattia. Con riferimento al trattamento economico, si confermano le percentuali di indennizzo ed integrazione alle quali il dipendente ha diritto: un’indennità pari al 50% della retribuzione giornaliera, per i giorni di malattia dal quarto al ventesimo e pari a due terzi della retribuzione stessa, per i giorni di malattia dal ventunesimo in poi, posta a carico dell’Inps. Ulteriori integrazioni, poste a carico del datore di lavoro, dell’indennità di cui sopra sono altresì previste al fine di raggiungere: il
(87) Per un approfondimento, F. D’XXXXXX e X. XXXXXXXXXXXXX, Diffusione e prospettive della contrattazione aziendale in Italia, in Questioni di Economie e Finanza, n. 221, luglio 2014.
100% della retribuzione giornaliera netta cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto per i primi tre giorni di malattia (periodo di carenza); il 75% per i giorni dal quarto al ventesimo; il 100% per i giorni dal ventunesimo in avanti.
Con la finalità di prevenire possibili abusi del ricorso alla malattia, il CCNL dispone un sistema “innovativo” che penalizza l’assenteismo dovuto ad eventi brevi e ripetuti, attraverso la revisione del periodo di carenza a carico del datore di lavoro.
A far data dal 1 aprile 2011 il trattamento economico da corrispondere al lavoratore nei primi tre giorni di malattia, nel corso di ciascun anno di calendario (1 gennaio – 31 dicembre), è graduato nella misura del 100% per i primi due eventi morbosi; del 66% per il terzo evento; del 50% per il quarto evento e, a partire dal quinto, il trattamento economico cesserà di essere corrisposto. Per “evento” si intende il certificato medico prodotto.
Le Parti convengono l’individuazione di alcune ipotesi che non rilevano ai fini della computabilità del trattamento economico di malattia, quali: il ricovero ospedaliero, il day hospital, l’emodialisi; l’evento di malattia certificato con prognosi iniziale non inferiore a 12 giorni; la sclerosi multipla o progressiva e le patologie gravi e continuative che comportino terapie salvavita documentate da specialisti del servizio sanitario nazionale; gli eventi morbosi delle lavoratrici verificatisi durante il periodo di gravidanza. Tale aspetto è stato ulteriormente chiarito dalla relativa “dichiarazione a verbale”, con la quale le Parti sottoscrittrici si sono date atto che per il computo degli eventi morbosi, utile ai fini dell’applicazione del nuovo regime di trattamento economico, l’ipotesi di continuazione di malattia e la
ricaduta nella stessa sono considerate un unico evento morboso, secondo i criteri amministrativi indicati dall’Inps per l’erogazione dell’indennità a suo carico.
L’Ente Bilaterale del Terziario (EBINTER), anche attraverso gli Enti Bilaterali Territoriali, procederà alla realizzazione di un monitoraggio degli effetti della nuova disciplina della malattia, secondo modalità da definire.
Con riferimento alle gravi patologie che comportano terapie salvavita, periodicamente documentate da specialisti del servizio sanitario nazionale, le Parti concordano un indennizzo pari al 100%, per i primi 60 giorni successivi al termine del periodo di comporto di 180 giorni. Condizione necessaria per la concessione del periodo è proprio che l’assenza sia causata da patologia grave e continuativa che comporti il ricorso a terapie salvavita. Infine, si precisa che per l’individuazione dei casi in cui sia corretta l’applicazione della norma - poiché non esiste una elencazione esaustiva di tutte le c.d. “gravi patologie” - è il particolare tipo di terapia salvavita a qualificare la gravità della patologia.
L’obiettivo delle norme definite dalle parti nel CCNL TDS 2011 è pertanto quello di salvaguardare la produttività e la competitività delle imprese, che non può tuttavia comportare la compressione del legittimo diritto dei lavoratori, effettivamente malati, a esimersi dallo svolgimento della prestazione lavorativa, per curarsi, senza per ciò automaticamente perdere in tutto o in parte la retribuzione. La “stretta” sull’assenteismo è dunque bilanciata dall’ulteriore intervento di grande sensibilità e attenzione verso i lavoratori malati.
2.4 Il welfare contrattuale: l’assistenza sanitaria integrativa
Nel periodo di prolungata crisi economica e dal momento in cui anche il bilancio dello Stato non è in grado di sostenere i crescenti costi della sanità, le Parti, nel CCNL TDS 2011, ritengono necessario favorire lo sviluppo dei Fondi Sanitari Integrativi (comunque, non sostitutivi dell’intervento in materia da parte dello Stato) strutturati e attivati dagli accordi bilaterali, allo scopo di contenere e ridurre l’incidenza della spesa sanitaria sul bilancio pubblico ( 88 ). In particolare, nel 2006, viene istituito il Fondo Est (e il Fondo Qu.A.S. per i Quadri), in attuazione delle previsioni del CCNL Terziario e del Turismo, sottoscritti da Confcommercio, Fipe, Fiavet e da Filcams- Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil, con lo scopo di garantire assistenza sanitaria integrativa ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato ed agli apprendisti.
Con il rinnovo del CCNL TDS del 2011 – a seguito della Circolare Ministero del Lavoro n. 43, del 15 dicembre 2010 (89) - si ritiene pertanto necessario rafforzare l’effettività del sistema della bilateralità di settore, mediante l’individuazione di adempimenti cogenti ed alternativi nei confronti delle aziende che scelgano di esercitare la libertà sindacale “negativa”, non aderendo agli organismi bilaterali (90).
(88) Cfr. X. XXXXXXX, Prefazione, in P. XX XXXXX, X. FUMO, X. XXXXXXXXX, I. XXXXXXXXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di ), Il Welfare contrattuale nel terziario – L’assistenza sanitaria integrativa e il welfare contrattuale, Ebinter News, n. 1, 2012.
(89) Si veda sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx, Indice A-Z, voce, Bilateralità
( 90 ) Per un approfondimento sulla obbligatorietà o meno di iscrizione agli enti bilaterali X. XXXXXX, Note su enti bilaterali e libertà contrattuale, in Lavoro nella giurisprudenza, 2007, pp. 1169 e ss. e X. XXXXXXXX, Il ruolo degli organismi
Per quanto concerne gli enti bilaterali territoriali, si rafforza l’alternatività fra l’adesione all’Ente ed il versamento di un Elemento distinto della retribuzione (Edr), da corrispondere per 14 mensilità al lavoratore, disponendo, da un lato, la triplicazione della somma destinata al dipendente (pari allo 0,30%) e, dall’altro, facendo rientrare il predetto Edr all’interno della retribuzione di fatto (91).
Con particolare riguardo ai fondi di assistenza sanitaria integrativa Est (ex art. 95) e Quas (ex art. 115), così come regolati nella parte economico-normativa del CCNL TDS, viene istituito un triplo canale che riconosce la possibilità al datore di lavoro di scegliere se aderire o meno al fondo, nonché le modalità di versamento del contributo al medesimo.
Con riferimento al Fondo Est, la quota di iscrizione è pari a dieci euro mensili per ciascun lavoratore con rapporto di lavoro a tempo pieno (sette euro mensili per il personale a tempo parziale) a carico dell’azienda, a cui si aggiungono, dal 1 giugno 2011, un euro mensile a carico del dipendente, incrementato a due euro dal 1 gennaio 2012.
bilaterali nel decreto attuativo della legge 14 febbraio 2003, n. 30: problemi e prospettive, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del D.lgs. 10 settembre 2003, n.
276. Il diritto transitorio e i tempi della riforma, Collana ADAPT-Fondazione “Xxxxx Xxxxx”, x. 0, Xxxxxx, Xxxxxxx, pp. 650-677.
(91) Si veda l’art. 195 del CCNL TDS 2011, che definisce “retribuzione di fatto” l’insieme delle seguenti voci: paga base nazionale conglobata, indennità di contingenza, terzi elementi nazionali o provinciali ove esistenti, eventuali scatti di anzianità per gli aventi diritto, nonché tutti gli altri elementi retributivi aventi carattere continuativo ad esclusione dei rimborsi spese, dei compensi per lavoro straordinario, delle gratificazioni straordinarie o una tantum e di ogni elemento espressamente escluso dalle Parti dal calcolo di singoli istituti contrattuali ovvero esclusi dall’imponibile contributivo a norma di legge.
In relazione alla cassa Qu.A.S., a decorrere dal 1 giugno 2011, il contributo è così suddiviso: trecentocinquanta euro a carico dell’azienda e cinquantasei euro a carico del quadro, somma a cui si deve aggiungere il contributo di solidarietà all’Inps, in misura pari al 10% dell’importo.
Con decorrenza dal 1 maggio 2011, in caso di omissione del versamento del contributo al Fondo, l’azienda è tenuta ad erogare al dipendente, per 14 mensilità, un elemento distinto della retribuzione, non assorbibile, pari a quindici euro lordi (trentacinque euro mensili nel caso sia un lavoratore appartenente alla categoria dei quadri – in caso di omissione del versamento del contributo al fondo Qu.A.S.), rientrante nella retribuzione di fatto. In caso di lavoratori a tempo parziale, l’Edr da corrispondere in busta paga al lavoratore rimane invariato nel suo importo.
Di notevole rilievo è poi la previsione che dispone la non obbligatorietà di iscrizione al Fondo di assistenza contrattuale, purché al lavoratore siano garantite le medesime prestazioni previste dai nomenclatori di Est e di Qu.A.S.. Pertanto, le aziende che non intendano iscriversi ai Fondi contrattuali dovranno comunque garantire le medesime prestazioni, seppur mediante la stipula di una polizza sanitaria con altro Fondo, Cassa di assistenza o assicurazione (92).
E’ possibile, così, evidenziare come, certamente, le suddette previsioni stabiliscano una vera e propria obbligazione a carico del datore di lavoro per quanto riguarda le prestazioni del Fondo Est (e della Cassa Qu.A.S.). Tuttavia, si tratta di una obbligazione facoltativa, che si configura quando la prestazione permane unica, ma il debitore ha
(92) Cfr. FONDO EST, Circolare 13 maggio 2011, n. 3.
facoltà di liberarsi eseguendo una diversa prestazione (e tale facoltà può essere esercitata solo mediante esecuzione della prestazione sussidiaria, rimanendo così adempiente il debitore).
È, infatti, stabilito che l'azienda che ometta il versamento delle quote agli enti bilaterali “è tenuta alternativamente” o a versare in busta paga un elemento distinto della retribuzione o ad assicurare le medesime prestazioni garantite. Si sposta dunque l’accento dalla vincolatività per le imprese al riconoscimento di diritti “di natura retributiva - alla stregua di una retribuzione aggiuntiva o integrativa - per i tutti i lavoratori ai quali si applica il contratto collettivo, al fine di evitare discriminazioni. La soluzione pare così operare in un ambito di legittimità costituzionale, dal momento che il datore di lavoro che non intenda versare la quota contributiva all’ente resterà libero di farlo, ma d’altro lato, per non ledere l’altrui diritto del lavoratore, non potrà sottrarsi all’obbligo di erogarne direttamente il corrispettivo.
D’altro lato la legittimità della legislazione che riconosce benefici normativi e contributivi a favore delle imprese a condizione che applichino “integralmente” (quindi anche le previsioni concernenti gli enti bilaterali) i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi può essere affermata, configurando il rispetto della disciplina collettiva alla stregua di un onere e non di un obbligo per il datore di lavoro. Questi, infatti, resta comunque libero di scegliere la soluzione più conveniente. In tal senso è l’orientamento della Corte Costituzionale (Sent. n. 270/1987), che ha avuto modo di respingere le diverse censure di illegittimità sollevate sul punto, ritenendo che l’applicazione del contratto collettivo sia da imputare ad una libera scelta del datore di lavoro interessato al godimento dei benefici, per cui
non si potrebbe dedurne né una violazione del diritto costituzionale di libertà di associazione né una illegittima estensione erga omnes del contratto collettivo.
Secondo autorevole dottrina, si tratterebbe in tal caso per il datore di lavoro dell’attuazione di un “dovere-libero” (93). In base ad altre opinioni, l’ampio sviluppo della normativa di sostegno alle imprese farebbe tuttavia ravvisare nelle agevolazioni fiscali e contributive strumenti indispensabili per la permanenza sul mercato, dovendo dunque ritenersi superata, da un punto di vista fattuale, la teoria dell’onere (94).
Infine, sempre con riferimento al Fondo di assistenza sanitaria dei dipendenti, si precisa che: dal 1 marzo 2011 la quota una tantum prevista a carico dell’azienda, per ciascun lavoratore, dovrà essere erogata solo dalle aziende che si iscrivono per la prima volta al fondo ed il versamento dovrà riguardare unicamente i lavoratori (che non siano mai stati iscritti ad Est) in forza all’azienda al momento della prima iscrizione. Dal 1 gennaio 2014, invece, l’ammontare del contributo a carico dell’azienda per i lavoratori a tempo parziale sarà equiparato a quello versato per i lavoratori a tempo pieno. Analoghe disposizioni sono state previste per il Fondo “Sanimpresa”, lo strumento assistenziale del contratto territoriale di Roma e provincia.
(93) X. XXXXXXXX, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, Jovene, 1994, p. 273.
(94) X. XXX, Bilateralità e Lavoro, Centro Studi Cisl, xxxx://xxx.xx/x0xXXx.
2.5 La maturazione dei permessi e l’organizzazione flessibile della prestazione lavorativa
Al fine di consentire un incisivo recupero della produttività per le aziende tramite la calmierazione del costo del lavoro (diminuzione del divario tra ore lavorate ed ore pagate), con il rinnovo del CCNL TDS 2011, Confcommercio e le XX.XX. rivedono il meccanismo di maturazione dei permessi retribuiti. Il personale assunto a far data dal 1 marzo 2011 ha accesso ad un regime orario di quaranta ore settimanali per i primi ventiquattro mesi, al termine dei quali maturano, per intero, i monte ore di permessi (56 ore per le aziende fino a 15 dipendenti, oppure 72 ore per quelle aventi un organico superiore). Pertanto, ai lavoratori assunti dal 1 marzo 2011 e indipendentemente dai regimi di orario adottati in azienda - ferme restando le 32 ore di ex festività (gruppi di 4 o 8 ore di permesso retribuito in sostituzione delle festività abolite) ( 95 ) - vengono riconosciute il 50% delle ulteriori ore di permesso, decorsi ventiquattro mesi dall’assunzione e il 100% trascorsi quarantotto mesi ( 96 ). Successivamente a tale periodo, i permessi vengono riconosciuti nelle aziende che operano con orario pari a quaranta ore settimanali, mentre si procede all’assorbimento, così come previsto dall’articolo 121 del CCNL TDS 2011, nelle aziende che adottino regimi di orario a trentotto o trentanove ore settimanali.
Si puntualizza, inoltre, che in caso di trasformazione in con- tratto a tempo indeterminato di contratti di apprendistato, contratti a tempo determinato e contratti di inserimento, il computo dei
(95) Cfr. comma 1, art. 146, CCNL TDS 2011.
(96) Cfr. commi terzo e quarto, art. 146, CCNL TDS 2011.
quarantotto mesi decorrerà dalla data della prima assunzione, considerando esclusivamente i periodi di iscrizione nel libro unico del lavoro successivi al 1 marzo 2011.
Per i contratti a tempo determinato stipulati precedentemente al 1 marzo 2011, si applica la disciplina contrattuale preesistente fino alla scadenza del termine. In caso di assunzione successiva al 1 marzo 2011, invece, si applica la nuova disciplina e, quindi, inizia a decorrere il computo dei quarantotto mesi.
Con l’obiettivo di incrementare la produttività del lavoro e, al contempo, offrire un miglior servizio alla clientela, si introduce la maggiorazione del 30% della retribuzione per la prestazione lavorativa ordinaria resa nella giornata di domenica, dai lavoratori assunti anche con contratto a tempo parziale. Tale specifica ha risolto alcune criticità derivanti dal rinnovo precedente, in base alle quali le aziende che potevano e volevano aprire la domenica indicavano sul contratto l’obbligo di lavoro nella suddetta giornata e non necessariamente prevedevano una maggiorazione.
Si conferma altresì la disciplina prevista per la generalità dei lavoratori relativa al lavoro domenicale - con la salvaguardia degli accordi di secondo livello stipulati successivamente all’entrata in vigore del CCNL TDS del 18 luglio 2008 - oltre che la formula che consente di individuare il numero di domeniche per le quali è consentito di richiedere prestazioni di lavoro domenicale in presenza di necessità organizzative. Vista dall'osservatorio di alcune aziende (97), detta norma aggraverebbe il problema della saltuarietà delle aperture
(97) Cfr. Il Sole 24 Ore – Job24, Commercio alla prova del libero orario, 2 settembre 2011.
domenicali e renderebbe più difficile la programmazione e l'organizzazione del lavoro. Solo con la liberalizzazione su tutto il territorio nazionale, operata dal cosiddetto Decreto “Salva Italia” (98) vengono superate le diversificate forme di burocrazia locale, con la possibilità di definire i turni di lavoro nella giornata di domenica, attraverso il ricorso di personale volontario disposto anche ed eventualmente a spostarsi di punto vendita e persone assunte specificatamente per coprire tale fascia di prestazioni.
La liberalizzazione degli orari ha incrementato mediamente le ore lavorate del 5%. Estendendo questo risultato all’intero settore della Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) si possono stimare 400 milioni di euro annui di maggiori salari erogati. Parte di queste maggiori ore lavorate è stata coperta con nuovo personale, in particolare, 4.200 nuove assunzioni effettuate con diverse tipologie contrattuali ma in maggioranza (55%) attraverso contratti a tempo determinato part time, ivi compresi i contratti part time week end. Va inoltre sottolineato che la liberalizzazione degli orari, anche laddove non ha portato nuova occupazione, è servita a sostenere quella esistente, minacciata dalla gravità della crisi tutt’ora in corso. Il lavoro domenicale e festivo è remunerato, in base al rinnovo del CCNL TDS 2011, con una maggiorazione del 30% rispetto al salario abituale, pari a circa 17 euro all’ora. Una percentuale che può essere incrementata dai contratti integrativi.
Il 40% di chi lavora la domenica e nei giorni festivi lo fa su base volontaria. Per la parte restante le imprese sono organizzate con una turnazione, applicata con preavviso nei confronti dei collaboratori. In
(98) Cfr. art. 31, comma 1, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201.
ogni caso per ogni lavoratore è previsto un giorno di riposo settimanale. Inoltre per i lavoratori assunti con riposo settimanale normalmente coincidente la domenica, il numero massimo di domeniche lavorabili è 24/25 nell’anno (99).
In linea generale non si può che essere d’accordo con questa linea d’intervento. Mercati improntati ad assetti concorrenziali stimolano l’innovazione, gli investimenti produttivi e attirano le migliori risorse. I prezzi risultano in linea con i costi sostenuti dai soggetti più efficienti e non da quelli più opportunistici o più protetti. I benefici per la collettività dei consumatori sono massimi. Tuttavia, la Confcommercio – nello svolgimento della propria funzione di organo di rappresentanza e, quindi, di sintesi tra istanze provenienti da esigenze aziendali e produttive differenti – si è dimostrata disponibile a forme di regolamentazione minima degli orari commerciali, affinché il comparto del retail cosiddetto di prossimità non venisse di fatto messo in crisi dalle grandi superfici di vendita (100).
Dal punto di vista del sindacato, il tema del lavoro domenicale (e festivo) rappresenta da sempre un fattore insostenibile di sviluppo del settore del commercio. Le conseguenze negative delle liberalizzazioni, infatti, si ripercuoterebbero sui lavoratori, i quali, prestando attività lavorativa nei giorni del fine settimana o nei periodi di festa peggiorerebbero le proprie condizioni di vita, rinunciando al diritto alla socialità. In questa prospettiva sono state avviate da parte
( 99) Per maggiori dettagli si rimanda a Federdistribuzione, Liberalizzazione degli orari commerciali, 2 luglio 2015, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
(100) A titolo esemplificativo, UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO, L’impatto sui negozi di prossimità della totale liberalizzazione del commercio al dettaglio, giugno 2013, xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx. Più di recente, invece, UFFICIO STUDI CONFCOMMERCIO, Sulla totale liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura dei negozi, 9 luglio 2015.
del sindacato (soprattutto dalla Filcams-Cgil) diverse campagne finalizzate alla sensibilizzazione, al confronto ed al dibattito sugli effetti dannosi scaturenti dalla liberalizzazione degli orari commerciali (101).
Ad ogni buon conto, le argomentazioni suddette rappresentano una delle motivazioni principali che contribuisce a indebolire i rapporti associativi tra la Confederazione Generale del Commercio e Federdistribuzione, la Federazione di rappresentanza delle aziende alimentari e non alimentari della Distribuzione Moderna Organizzata (DMO). Tale realtà si contraddistingue, infatti, per specificità, in termini di organizzazione del lavoro (ma non solo), di carattere industriale. Da questo punto di vista, emergono alcuni elementi di “fragilità” del CCNL TDS 2011 rinvenibili, in modo indiretto, dall’analisi dei contenuti dei contratti integrativi aziendali (102) delle principali aziende associate a Federdistribuzione.
A titolo esemplificativo, al secondo livello, si rileva con frequenza una regolazione migliorativa del trattamento economico di malattia corrisposto dall’azienda nei giorni di assenza del lavoratore dal quarto al ventesimo. Questo a dimostrazione dell’alta sensibilità delle imprese a tutelare maggiormente i dipendenti nei periodi più lunghi di malattia, rispetto a quelli di breve durata. Tuttavia, l’impatto di questi ultimi episodi, nelle aziende della distribuzione moderna, è stato
(101) Per citarne alcune, si ricordi la campagna nazionale “La festa non si vende”; la “giornata europea per le domeniche libere dal lavoro” promossa dall’European Sunday Alliance (un network europeo dei sindacati, organizzazioni della società civile e delle comunità religiose); la raccolta firme “libera la domenica” e la campagna “La festa non si vende, si vive”. Per maggiori dettagli, xxx.xxxxxxx.xxxx.xx..
( 102 ) Per una rapida consultazione, si veda la Banca Dati sulla contrattazione disponibile al sito internet della Fisascat-Cisl, xxxx://xxxxxxxxx.xxxxxxxx.xx.
relativamente contenuto. I lavoratori – soprattutto nei momenti di picco di afflusso della clientela nei punti vendita – tenderebbero alla maggiore presenza nei luoghi di lavoro anche grazie alla corresponsione, da parte delle imprese, di maggiorazioni retributive più elevate rispetto a quelle definite dalla sola contrattazione nazionale.
Difficilmente esigibili, a livello di azienda o territorio, sono poi le intese aventi effetti derogatori o sospensivi degli istituti del CCNL nei casi di superamento di situazioni di crisi; di sviluppo economico e occupazionale; di avvio nuove attività, ampliamento, ristrutturazione e rilancio delle medesime; di eventuali situazioni di emersione dal lavoro sommerso in presenza di idonei provvedimenti legislativi; oppure per l’incremento della produttività e della competitività aziendale. Ad esclusione di qualche eccezione di sospensione o rateizzazione di alcuni elementi economici, l’effettiva realizzazione delle intese di cui sopra parrebbe rimessa alla volontà ultima della organizzazione sindacale, talvolta maggiormente orientata alla conservazione dello “status quo”, piuttosto che al miglioramento delle performance economiche d’azienda. Una definizione nel CCNL della derogabilità di specifici istituti, sulla base di alcuni parametri condivisi tra le Parti nel CCNL medesimo (come, ad esempio, l’andamento aziendale o situazioni specifiche a livello territoriale) - previo un mero confronto preventivo “proceduralizzato” - potrebbe meglio consentire il contemperamento tra l’esigenza di maggiore competitività aziendale con la tutela dei livelli occupazionali e dei diritti dei lavoratori.
La produttività per le imprese della DMO scopre il proprio significato anche nella maggiore adattabilità della prestazione realizzabile sia attraverso una migliore definizione degli orari di lavoro
(che soddisfino l’esigenza di ampie fasce di apertura a servizio della clientela), sia mediante l’aumento dell’efficienza, attraverso lo sviluppo e l’implementazione di prestazioni polivalenti, ovvero, dallo svolgimento di una pluralità di mansioni funzionali e di stimolo anche allo sviluppo professionale dei lavoratori (103).
Trattasi, da un lato, di forme di flessibilità “produttiva” (la variazione del numero di ore lavorate connessa alla variazione – giornaliera, settimanale, mensile o stagionale – dei volumi di attività e dei picchi vendita) ottenibile, ad esempio, attraverso il ricorso a prestazioni rese a tempo parziale, i contratti a tempo determinato, la somministrazione di lavoro, nonché il lavoro supplementare e straordinario; dall’altro di esigenze di flessibilità “funzionale” o “flessibilità dei compiti” intesa come possibilità di variare i contenuti specifici del lavoro assegnati ai collaboratori, nella logica dell’incremento del potenziale di sostituibilità all’interno dei reparti o, in alcuni casi, tra reparti diversi (job rotation) (104).
Pare altresì opportuna una riflessione su una tematica molto importante per le imprese della DMO, inerente al welfare contrattuale, quindi sulle forme di previdenza complementare ed assistenza integrativa sanitaria. Con riguardo a quest’ultima, dovrebbe svilupparsi una vera e propria cultura della prevenzione, in grado di ridurre gli oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale e di migliorare il benessere dei cittadini. In tal senso, sarebbe opportuna un’analisi della
(103) Per un approfondimento si veda M.S. XXXXX, Riflessioni sul lavoro nella Distribuzione Moderna Organizzata, in Bollettino ADAPT, 5 luglio 2013, xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
(104) Cfr. X. XXXXXXXX, Flessibilità e qualità del lavoro nella grande distribuzione organizzata. Analisi di alcuni casi aziendali, in Impresa Progetto – Electronic Journal of Management, n. 1, 2011, p. 11.
composizione dei nomenclatori dei Fondi bilaterali contrattuali per capire se, effettivamente, le prestazioni erogate a favore dei dipendenti corrispondono al modo più efficiente per rispondere ai fabbisogni riscontrati (105).
Quanto sopra evidenziato rappresenta esigenze peculiari di un settore, quale quello della Distribuzione Moderna Organizzata, che contemplano una visione di un commercio votato al servizio del consumatore e al continuo miglioramento della filiera produttiva.
Un insieme di culture e valori che, secondo le aziende del comparto, meritano – in definitiva - di essere meglio riconosciuti e diffusi.
( 105 ) Cfr. M.S. MOTTA, Tavola rotonda: “Sanità Pubblica, Sanità Privata ed Assistenza Sanitaria Integrativa nella contrattazione collettiva”, in RBM Salute – in collaborazione con CENSIS, Sanità, Previdenza e Assistenza: prospettive evolutive del welfare integrativo, pp. 91-92, giugno 2014.
CAPITOLO III
VERSO LA SOTTOSCRIZIONE DEL CCNL DELLA DISTRIBUZIONE MODERNA ORGANIZZATA: TRA ISTANZE DI PRODUTTIVITA’ E TUTELA DELL’ OCCUPAZIONE
1. Le caratteristiche del settore della Distribuzione Moderna Organizzata
Il settore della Distribuzione Moderna Organizzata (DMO) si caratterizza per la presenza di imprese distributive, operanti nei settori alimentare e non alimentare, che svolgono la propria attività attraverso le più innovative formule del commercio: centri commerciali e ipermercati, supermercati grandi e piccoli, grandi magazzini, grandi superfici specializzate, discount, cash and carry, franchising.
Il settore dedica attenzione al servizio del consumatore ed alla ricerca di una sempre maggiore efficienza al proprio interno e in tutta la filiera (106).
La Distribuzione Moderna Organizzata opera nel tessuto distributivo italiano che si distingue, rispetto al resto dell’Europa, per la presenza di punti vendita del commercio tradizionale e per una capillarità sul territorio che garantisce la prossimità al cliente.
( 106 ) Cfr. la definizione puntuale di Distribuzione Moderna Organizzata in FEDERDISTRIBUZIONE (in collaborazione con Università Cattolica Sacro Cuore- Altis), La DMO nell’economia italiana, in Bilancio di sostenibilità di settore 2012, 2012, p. 8.
Il settore, costituito prevalentemente da aziende italiane, con vocazione nazionale e regionale si avvantaggia del contributo delle realtà straniere (107).
Nell’ambito alimentare, la quota dei gruppi italiani è superiore all’80%. La struttura di questo comparto distributivo è, per la parte preponderante, composta da aziende a carattere regionale o multiregionale, facenti capo a imprenditori italiani, spesso accorpati nella cosiddetta Distribuzione Organizzata.
Nel settore non alimentare il peso delle imprese italiane può essere stimato oltre il 50%. Tale coesistenza di aziende, nazionali e non, ha portato un miglioramento della capacità di rivolgersi ai clienti: se le aziende italiane hanno conoscenza delle abitudini e dei consumi della popolazione, le imprese internazionali hanno introdotto una cultura orientata ai bisogni dei consumatori, all’innovazione e all’attenzione del servizio (108).
Obiettivo del settore è poi quello della tutela del potere d’acquisto del consumatore. Questo è reso possibile anche dalla varietà delle formule distributive della DMO e dalla elevata concorrenza che sussiste tra le insegne distributive, volta a realizzare vantaggi in termini di prezzi per i consumatori. Inoltre, mediante una rigorosa selezione dei fornitori, politiche commerciali orientate alla convenienza, strategie assortimentali che consentono ai clienti la più ampia scelta sulla scala prezzi, la DMO è in grado di presentare un’offerta adatta a “tutte le
(107) Cfr. FEDERDISTRIBUZIONE cit., pp. 12-15 e 21-23.
(108) Cfr. FEDERDISTRIBUZIONE (in collaborazione con Università Cattolica Sacro Cuore-Altis), Bilancio di sostenibilità di settore 2014. DMO ruolo sociale e contributo al paese, voce La struttura distributiva, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xx-xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxx/.
tasche”, soddisfacendo in tal modo ogni tipo di cittadino (c.d. “democrazia dei consumi”).
Nel settore alimentare negli ultimi 10 anni (2004-2013) a fronte di un aumento di tariffe e servizi del 30,9% e di un’inflazione del 18,4% i prezzi dei prodotti di Largo Consumo Confezionato sono aumentati solo del 10,5%. In tale comparto la tutela del potere d’acquisto dei consumatori avviene attraverso diverse modalità.
Uno strumento importante ad elevato ricorso è quello delle promozioni mentre un rilevante mezzo per sostenere la convenienza per il consumatore è lo sviluppo della Marca Del Distributore (MDD), ovvero quei prodotti venduti con il nome dell’insegna, attraverso i quali la catena stabilisce una relazione di fiducia con il cliente, proponendo un prodotto che ha un rapporto qualità/prezzo ottimale. A parità di qualità con i marchi più famosi, il suo prezzo è del 30-40% più basso, pertanto, particolarmente apprezzato nel periodo di crisi. La convenienza è resa altresì possibile anche dai “primi prezzi”: prodotti destinati principalmente a coloro che hanno minori disponibilità economiche. Alcune catene hanno intrapreso poi la strada dell’Every Day Low Price (EDLP), abolendo le promozioni e mantenendo sempre i prezzi bassi per tutto l’anno: una politica di risparmio costante per il consumatore che non lo vincola ai calendari promozionali. Anche nel settore non alimentare il consumatore può contare sulla DMO per acquisti di prodotti di qualità a prezzi contenuti. La presenza di grandi insegne particolarmente orientate al prezzo vantaggioso, le catene in
franchising, l’utilizzo sempre maggiore di promozioni garantiscono costantemente un’offerta di convenienza (109).
Per quanto concerne l’andamento economico del settore, è opportuno considerare che la struttura distributiva complessiva del commercio italiano si compone, nel 2013, di 945.509 unità, in flessione dello 0,1% (-951), rispetto al 2012. Dell’insieme degli esercizi commerciali, la quota dei negozi tradizionali ammonta, nel 2013, a 704.404, in calo dello 0,4% rispetto all’anno precedente (-2.589 unità). La DMO nel medesimo periodo di riferimento, invece, vede una riduzione del numero dei punti vendita a 58.528, quindi del -2,2% rispetto al 2012 (-1300 unità). Solo l’ambulantato registra una variazione positiva dal 2012 al 2013 con circa 3.000 unità in più (+1,6%).
Nel 2013 il fatturato complessivo (definito in termini di valore aggiunto) (110) delle imprese della DMO, alimentari e non alimentari, è stato prossimo ai 111 miliardi di euro. Particolarmente significativo è che il 71,6% del suddetto valore aggiunto sia destinato alla remunerazione del personale. Trattatasi di un valore elevato, che viene reimmesso direttamente nel circuito dei consumi. Il 21,5% è poi rappresentato dagli ammortamenti e circa il 3% è la remunerazione del
(109) Cfr. FEDERDISTRIBUZIONE (in collaborazione con Università Cattolica Sacro Cuore-Altis), cit., voce Tutela del potere d’acquisto, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx-xxx-xxxxxx-xxxxxxxxx/.
( 110 ) Si veda, per approfondimenti, FEDERDISTRIBUZIONE cit., voce Creare valore aggiunto, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx-xxxxxx- aggiunto/.
Il valore aggiunto esprime la ricchezza generata dalle imprese del settore nella loro attività. Si misura tramite la differenza tra ricavi ottenuti, costi esterni (relativi all’acquisizione dei fattori produttivi dai fornitori), componenti finanziarie/straordinarie e ammortamenti (rappresentazione figurativa della remunerazione degli investimenti).
capitale di credito. Il 4,9% è la componente legata al pagamento delle tasse e la remunerazione degli azionisti risulta negativa per il -0,9%. Il solo costo del lavoro rappresenta il 44% dei costi di gestione (111).
Emerge così il quadro di un settore labour intensive, che ancora realizza investimenti e che ha indicatori di redditività contenuti o addirittura negativi, come avvenuto nel 2013. L’elevata intensità del fattore lavoro richiesta dal comparto non può che determinare conseguenze dirette nella composizione del mercato del lavoro.
L’occupazione nella DMO si caratterizza per una popolazione ad elevata presenza femminile (58%) e relativamente giovane: il 18% ha un’età inferiore ai 30 anni; il 69% rientra nella fascia 30-50 anni mentre il 13% ha un’età superiore ai 50 anni.
Con riferimento alle tipologie contrattuali maggiormente utilizzate, si evidenzia che il 91% delle assunzioni avviene a tempo indeterminato, ciò in considerazione del fatto che – da sempre – tale tipologia contrattuale è quella che meglio riesce a consentire, alle imprese della DMO, la possibilità di sviluppo interno della carriera dei collaboratori. Il ricorso al contratto a tempo determinato avviene per una quota pari al 5%, mentre le tipologie quali apprendistato, stage e altre forme rappresentano il 4% del totale delle assunzioni.
Di rilievo è la percentuale rappresentata dalla modalità di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale (46%).
Attraverso il ricorso al part time i lavoratori della DMO, in particolare donne e giovani, hanno la possibilità di conciliare il lavoro con la propria vita privata. Per le lavoratrici tale modalità di
( 111) Cfr. il Comunicato Stampa FEDERDISTRIBUZIONE, Facciamo Chiarezza,
svolgimento della prestazione riconosce la possibilità di un miglior bilanciamento tra tempi di vita e tempi di lavoro. Dal punto di vista delle imprese, la possibilità di poter disporre di risorse umane a tempo parziale consente una più efficiente organizzazione del mercato “interno” del lavoro a fronte della ciclicità dei periodi giornalieri, settimanali e dell’anno, tipici del settore di riferimento. Non stupiscono perciò i dati ( 112 ) che rilevano nell’arco temporale 2009-2012 un incremento della percentuale delle assunzioni a tempo parziale dal 44% al 46%. Tali valori ben rappresentano l’esigenza sempre più considerevole del lavoratore, di conciliare la “vita produttiva” vissuta e condivisa in ambito lavorativo, con quella familiare ed il tempo libero.
Il bisogno di organizzazione dei tempi da parte dei collaboratori passa anche attraverso la gestione degli orari di lavoro, caratterizzati da flessibilità per il 75% dei casi. Un quinto delle aziende del settore ha attivato lo strumento della banca delle ore, l’istituto contrattuale che consiste nell’accantonamento, in un apposito conto individuale, di un numero di ore lavorate aggiuntivo all’orario contrattuale. Lo strumento risponde a particolari esigenze dei collaboratori e permette una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro e una migliore gestione dei tempi, nel rispetto delle esigenze aziendali.
Il telelavoro, invece - modalità lavorativa indipendente dalla sede fisica dell’ufficio e dell’azienda, favorita da una strumentazione informatica e telematica e caratterizzato da una grande flessibilità organizzativa - è offerto dall’11% delle aziende associate.
( 112 ) FEDERDISTRIBUZIONE (in collaborazione con PricewaterhouseCoopers), Analisi sulla gestione del capitale umano nel retail. Indagine 2013 su dati 2012, maggio 2013, in Convegno Federdistribuzione, “Occupabilità”, salario e produttività. Innovare il lavoro: antichi e nuovi nodi irrisolti, Atti del Convegno, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx_xxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx.xxx.
Sempre con riferimento alla composizione del mercato del lavoro del settore, il 61% degli occupati possiede un titolo di studio di diploma di scuola media superiore o laurea. Investimenti in formazione sono altresì attuati dalle aziende, per le quali la valorizzazione del capitale umano rappresenta una priorità. Nonostante la crisi, le ore di formazione dedicate a ogni singolo collaboratore (full time equivalent) continuano a crescere: dal 2006 al 2013 l’andamento è del +105%.
La crescita professionale avviene anche attraverso le scuole di mestiere attivate presso le strutture interne delle aziende, che permettono una formazione mirata e specialistica. Nel settore si sviluppa costantemente l’offerta di nuovi servizi oltre ad ampliare quella merceologica. Questo fa sì che all’interno della DMO si formi e si dia occupazione a giovani che vogliono intraprendere mestieri “storici” (salumiere, panettiere, macellaio, ecc.) o nuove professioni (visual merchandiser, personal shopper, ecc.) (113).
Peculiarità, quelle evidenziate nelle righe che precedono, che meritano di essere prima riconosciute e poi valorizzate al massimo dai protagonisti delle relazioni sindacali e di lavoro. In primis perché sono foriere di produttività e incidono positivamente sia sul benessere
( 113 ) Si veda, per approfondimenti, FEDERDISTRIBUZIONE cit., voce L’occupazione nella DMO, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx-xxxxx-xxx/. Pare altresì opportuno puntualizzare che la formazione quale opportunità di apprendimento e crescita per i propri collaboratori è al centro delle strategie delle aziende di Federdistribuzione, tanto che il 93% delle stesse ha pianificato corsi per lo sviluppo delle competenze professionali che si rivolgono trasversalmente a tutte le figure presenti in azienda, sia ai neo assunti con percorsi di inserimento e acquisizione di competenze particolari, sia ai dipendenti già inseriti nella struttura. L’82% delle aziende associate mette in atto attività formative per la crescita aziendale, che pongono le basi affinché i lavoratori possano intraprendere, con solide competenze e conoscenze, percorsi interni di progresso e sviluppo professionale.
economico delle imprese che dei lavoratori; in secundis perché rappresentano un fattore decisivo per la competitività del settore nel mercato nazionale ed internazionale.
2. La legittimazione di Federdistribuzione per la sottoscrizione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro della DMO
2.1. L’uscita di Federdistribuzione dal sistema di rappresentanza di Confcommercio
La principale organizzazione autonoma rappresentativa delle imprese della Distribuzione Moderna Organizzata è, in Italia, Federdistribuzione, la quale agisce nei confronti degli organismi e delle istituzioni nazionali e internazionali.
La Federazione ha l’obiettivo di valorizzare il ruolo delle moderne forme di distribuzione, nel quadro del processo di ammodernamento generale del Paese, nell’interesse delle imprese aderenti alla Federazione, del settore della Distribuzione Moderna Organizzata nel suo complesso e dell’intera collettività.
Le imprese associate sviluppano un giro d’affari pari a 61,7 miliardi di euro (di cui 8,5 miliardi di euro in franchising), che rappresenta una quota del 48,5% del totale fatturato della DMO.
La rete distributiva delle imprese associate è composta da
15.100 esercizi diretti e in franchising mentre il livello occupazionale è pari a 223.500 addetti (114).
(114) Dati 2015, riferiti all’anno 2014, cfr. xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, voce Chi siamo
– Universo rappresentato.
La Federazione si compone di cinque associazioni nazionali che rappresentano un universo articolato di imprese e di multicanalità che si differenziano per dimensioni, forme distributive e merceologie trattate: ADA (Associazione Distributori Associati); ADIS (Associazione Distribuzione Ingrosso a Self Service); AIRAI (Associazione Imprese Retailer Alimentare); ANCIDIS (Associazione Nazionale Commercio Imprenditoriale al Dettaglio e Imprese Specializzate non Food) e FEDERDISTRIBUZIONE FRANCHISING (115).
Dalle peculiarità del settore della DMO suesposte emerge un carattere di distintività del comparto (rispetto alla più variegata e multiforme realtà del grande distribuzione e del commercio al dettaglio) anche nelle modalità di organizzazione del lavoro (116).
Quest’ultimo delicato aspetto implica, anche in termini di rappresentanza degli interessi collettivi sul piano istituzionale, una capacità di risposta adattiva e reattiva ai continui e complessi stimoli espressi da aziende, talvolta multinazionali, e di grandi dimensioni.
In base a tali presupposti Federdistribuzione, il 27 dicembre 2011, annuncia la propria decisione di operare in forma autonoma rispetto a Confcommercio (117), sulla base del fatto che la Federazione rappresenta «[…] Una realtà coesa intorno a valori forti, con una visione di un commercio votato al servizio del consumatore e al continuo miglioramento di sé stesso, alla ricerca di sempre maggiore
( 115) Per un maggiore dettaglio, xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, voce Chi siamo – Le associazioni aderenti.
(116) Cfr. Capitolo II, § 2.5.
( 117 ) Confcommercio è la Confederazione Generale Italiana delle Imprese, delle Attività Professionali e del Lavoro Autonomo, è la più grande rappresentanza d'impresa in Italia, xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx, voce Chi siamo.
efficienza al proprio interno e in tutta la filiera, alla sostenibilità economica, sociale e ambientale del Paese e dei suoi territori.
Questa cultura e questi valori meritano di essere meglio conosciuti e diffusi. Federdistribuzione intende portarli direttamente all’attenzione di istituzioni, media e clienti e così contribuire al dibattito che ci deve portare a una Italia più forte, per il futuro di tutti.» (118). Una scelta di maggiore prossimità rispetto alle esigenze espresse dalle aziende rappresentate, nonostante l’impegno della Confederazione Generale «[…] per fare valere le ragioni del modello italiano di pluralismo distributivo, in cui una vitale compresenza di piccole, medie e grandi superfici di vendita agisce come fattore di rafforzamento della concorrenza e della qualità del servizio reso ai consumatori» (119).
In tal modo, si apre nel settore del commercio una sorta di conflitto di rappresentanza tra istanze che rilevano la necessità di modelli competitivi (si pensi, ad esempio, al tema delle aperture domenicali e festive) e concorrenziali differenti che possono altresì emergere dalla eterogenea struttura d’impresa (grande azienda distributiva versus piccola impresa al dettaglio).
Federdistribuzione innesca dunque un processo di decentramento contrattuale a livello nazionale/settoriale (e non geografico, come può accadere, invece, nell’ambito di quelle relazioni sindacali che attribuiscono un maggior peso alla contrattazione di
( 118 ) Si veda il comunicato stampa, Scelta di rappresentanza autonoma di Ferderdistribuzione, xxxx://xxx.xx/XXxXxx.
(119) Si veda il comunicato diffusi da Confcommercio, Confcommercio su uscita Federdistribuzione: dispiacere per la decisione assunta, 27 dicembre 2011, xxxx://xxx.xx/0X0XXx.
secondo livello). Ciò a salvaguardia della distintività di un settore, quale quello della DMO, i cui bisogni non possono che essere tutelati sulla base di politiche economiche sussidiarie e di prossimità, piuttosto che da logiche politiche definite a livello centrale e, pertanto, lontane dagli effettivi interessi da tutelare (120).
Dal punto di vista prettamente giuridico, l’uscita della Federazione dal sistema di rappresentanza di Confcommercio, sulla base di quanto sancito dall’art. 39 della Costituzione, svincola pacificamente la medesima dall’applicazione del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i dipendenti da aziende del Terziario, della Distribuzione e dei Servizi - sottoscritto, definitivamente, con modifiche, il 6 aprile 2011 (CCNL TDS 2011) da Confcommercio, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil - a far data dalla sua scadenza. Infatti, «[…] Nel caso in cui il datore di lavoro receda dalla propria organizzazione, si libera dall’obbligo di applicare i contratti collettivi stipulati successivamente al recesso, ma resta vincolato fino alla scadenza all’applicazione di quello vigente nel momento in cui si è verificato il recesso» (121).
(120) Diverso, in merito, il punto di vista espresso da X. XXXXXXXX, Contrattazione collettiva e rappresentanza dei datori di lavoro, in Diritto dei Lavori, n. 1, marzo 2011, la quale, argomentando in relazione alla c.d. “vicenda Fiat” ed al possibile ruolo di rappresentanza che dovrà essere svolto da Confindustria, cita la formazione di “Rete Imprese Italia”, l’organizzazione costituita dalle 3 grandi organizzazioni dell’artigianato, Confartigianato, CNA e Casartigiani e dalle due organizzazioni del commercio Confesercenti e Confcommercio. Secondo l’A. l’associazione di rappresentanza (esempio del processo di centralizzazione) «[…] fa venire meno i criteri organizzativi dell’impresa, ovvero quella autonomia tipica delle imprese artigiane e l’orientamento politico da sempre presente nelle organizzazioni sindacali e rafforza il criterio numerico, essendo per la maggior parte piccole imprese.».
(121) Si veda, su tutti, X. XXXXXXX, R. DE XXXX XXXXXX, X. XXXX, X. XXXX, Il diritto sindacale, Torino, UTET giuridica, 2006, pp. 158-159.
Vero è, in ogni caso, che il percorso utile alla strutturazione effettiva di uno specifico settore dell’economia del Paese, con proprie e distintive logiche di funzionamento – in termini di organizzazione del lavoro – non può che essere condiviso, tramite la logica del riconoscimento reciproco, con le Organizzazioni Sindacali (XX.XX.) di categoria, per un bilanciamento equilibrato dei rapporti di forza tra istanze di maggiore produttività e competitività e tutela degli interessi dei lavoratori.
In coerenza con la scelta di intraprendere un percorso autonomo di rappresentanza e con la volontà di voler avviare un percorso con le XX.XX. di categoria per la sottoscrizione di un contratto collettivo specifico del settore, Federdistribuzione, con lettera inviata a Filcams – Cgil, Fisascat – Cisl e Uiltucs – Uil il 25 gennaio 2013 (122), comunica la cessazione, a far data dal 31 dicembre 2013, dell’applicazione del CCNL per i dipendenti da aziende del Terziario della Distribuzione e dei servizi del 26 febbraio 2011 sottoscritto definitivamente, con modifiche, il 6 aprile 2011 e di ogni ulteriore contratto collettivo sottoscritto da Confcommercio, nonché di tutta la contrattazione territoriale, e nelle parti in cui si fa riferimento alla contrattazione sopraindicata, della contrattazione aziendale e delle prassi collettive.
Si ufficializza, in tal modo, la volontà della Federazione di proporre l’avvio di un confronto per affrontare le dinamiche
( 122 ) Si veda UILTUCS LOMBARDIA, Federdistribuzione disdetta il contratto nazionale del Terziario, xxxx://xxx.xx/XxXX00
contrattuali future tra le quali anche i possibili riflessi sulla bilateralità (enti, formazione, pensione e sanità integrativa) (123).
Tuttavia, secondo la Filcams-Cgil «Il nuovo scenario della GDO cade in un contesto già difficile (disdetta dell’Associazione datoriale Angem, la firma del CCNL firmato con Federsicurezza dalla sola Uiltucs, la richiesta di un CCNL di settore da parte delle associazioni datoriali delle agenzie di scommesse, etc.) che si muove in direzione contraria rispetto alla linea CGIL sulla ricomposizione contrattuale con riduzione del numero di contratti.» (124).
2.2 La presentazione dell’ipotesi di piattaforma da parte delle XX.XX.
In coerenza con le regole contrattuali di settore definite dalle Parti (125), sei mesi prima della scadenza del CCNL (126), ovvero il 20 giugno 2013 le XX.XX. di categoria Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil inviano, direttamente, alle associazioni datoriali - Confcommercio-Imprese per l’Italia, Confesercenti,
(123) Cfr. la lettera inviata dalla FilcamsCgil alle strutture sindacali territoriali apparsa come comunicato Federdistribuzione: disdetta applicazione CCNL TDS, 30 gennaio 2013, xxxx://xxx.xx/xxxx0x.
(124) Si veda nota n. 122.
(125) Cfr. Parte II, § 2, x.xx. 2.1, Il CCNL TDS nel nuovo assetto della contrattazione dell’Accordo – Quadro del 22 gennaio 2009.
(126) In base all’art. 244 – Decorrenza e durata del CCNL TDS 2011, «Il presente contratto decorre dal 1° gennaio 2011 ed avrà vigore fino a tutto il 31 dicembre 2013.
Il contratto si intenderà rinnovato secondo la durata di cui al primo comma se non disdetto, tre mesi prima della scadenza, con raccomandata a.r.. In caso di disdetta il presente contratto resterà in vigore fino a che non sia stato sostituito dal successivo contratto nazionale.
Salve le decorrenze particolari previste per singoli istituti, le modifiche apportate con il presente accordo di rinnovo decorrono dalla data di sottoscrizione del presente accordo.».
Federdistribuzione, ANCC Coop, C.C.I. Federazione Nazionale Cooperative di Consumo e Distribuzione - l’ipotesi di piattaforma unitaria (127) per i rinnovi del CCNL della Distribuzione Cooperativa e del CCNL TDS, al fine di sottoporla alla consultazione delle lavoratrici e lavoratori, che dovrà concludersi il 30 settembre (128).
La ritrovata unitarietà delle XX.XX., rispetto al precedente rinnovo non sottoscritto dalla Filcams-Cgil ( 129 ), deve tuttavia interfacciarsi con le diverse istanze espresse dalle rappresentanze datoriali, in quanto portatrici di interessi, visioni e bisogni differenti.
Il carattere unitario della piattaforma contrattuale emerge altresì dal fatto che si configura “unica” per tutte le rappresentanze del settore commercio (seppur con il tradizionale mantenimento della “distintività” del settore della distribuzione cooperativa). Vero è che nell’essere formalmente indirizzata alle singole associazioni datoriali legittima e riconosce prerogative che, per specificità settoriali, sono tra loro differenti e, pertanto, non possono essere soggette ad un confronto unitario.
Il sindacato prende dunque atto della scomposizione della rappresentanza datoriale, come evidenziato nel medesimo documento rivendicativo (130), e la proposta di una piattaforma contrattuale unica
(127) Si veda al link: xxxx://xxx.xx/Xx0x0X.
(128) Si dovrà poi attendere il 24 ottobre 2013, giorno in cui l’Assemblea Nazionale delle delegate e delegati, al termine della consultazione, valuterà gli emendamenti proposti e approverà definitivamente la piattaforma.
(129) Xxx. Xxxxxxxx XX, § 0.0.
( 000 ) «[…] In questo quadro, la piattaforma unitaria rappresenta un atto di responsabilità delle organizzazioni sindacali, nella consapevolezza che l’attuale problematico contesto economico e sociale nel quale si trova ad operare il settore del terziario distributivo, impone la massima convergenza di sforzi, per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori nella crisi, per la ricerca di sintesi utili allo sviluppo delle imprese e per la crescita dell’occupazione. Medesimo atto di responsabilità è
parrebbe così essere la doverosa risposta al tentativo di costruire tavoli separati di contrattazione che potrebbero nascondere, dietro la richiesta di specificità di settore, la volontà di dividere e indebolire ulteriormente i lavoratori e il sindacato (131). Secondo quest’ultimo, la vicenda più significativa sarebbe proprio la dissociazione di Federdistribuzione da Confcommercio il cui effetto, quasi sicuramente, potrebbe portare ad un nuovo contratto collettivo: quello della DMO.
Sul piano contrattuale, la conseguenza più preoccupante per il sindacato, della scelta operata da Federdistribuzione, è il rischio di un effetto dumping fra le imprese, con conseguenze negative sulle condizioni economiche e normative del fattore lavoro. «La piattaforma “unica” non intende annullare le diversità presenti nel sistema delle imprese, in particolare per quanto riguarda il sistema della cooperazione di consumo, dove gli elementi di distintività verranno affrontati con una proposta specifica. Nulla che possa preludere, almeno in questa fase, ad un “contratto unico” di tutto il settore distributivo». In base alle strategie del sindacato, nel breve e medio termine sarebbe già un risultato importante «evitare che alla moltiplicazione dei contratti possa anche aggiungersi la moltiplicazione di enti bilaterali e fondi contrattuali di assistenza sanitaria e previdenziale» (132).
I contenuti della piattaforma, presentata dalle XX.XX. alle
richiesto alle associazioni datoriali, chiamate a frenare ed invertire la tendenza ad una scomposizione della propria rappresentanza, le cui conseguenze negative ricadrebbero sulle lavoratrici e sui lavoratori, attraverso il rischio di una diversificazione dei trattamenti, alimentando una concorrenza sleale tra imprese».
( 131 ) Si veda il comunicato Uiltucs Lombardia, Pronta la bozza di piattaforma rivendicativa del terziario e della distribuzione, xxxx://xxx.xx/0Xxx0x.
( 132 ) Cfr. X. XXXXXXX, Terziario distributivo. Pronta la piattaforma. Unica ed Unitaria in Diario del Terziario, 17 giugno 2013, pp. 17-18, xxx.xxxxxxx.xxxx.xx.
controparti datoriali, risentono del contesto economico di crisi, cambiando i termini del confronto. Si vorrebbe consentire il passaggio da una contrattazione “di scambio” ad una “di progetto”, che miri alla costituzione di occupazione stabile.
Nel merito delle rivendicazioni oggetto della suddetta piattaforma, si richiede l’estensione delle materie oggetto dei diritti d’informazione, prevedendo percorsi partecipativi delle rappresentanze sindacali (aziendali/unitarie) alla vita aziendale, attraverso fasi informative su: investimenti, piani di sviluppo, modello commerciale, formazione del personale e situazione economica nelle imprese con più di 30 dipendenti. Inoltre si vorrebbe intervenire sulla possibilità di indire le assemblee sindacali anche da parte delle XX.XX. territoriali.
Nel settore del terziario, infatti, non è possibile istituire assemblee e, quindi, entrare in contatto con i lavoratori, se prima non si costituisce una rappresentanza sindacale aziendale.
Altro capitolo importante è quello relativo alla contrattazione di secondo livello che si vorrebbe rilanciare – anche attraverso la destinazione di una quota salariale in assenza di contrattazione decentrata - ponendo al centro l’organizzazione del lavoro, con particolare riferimento al lavoro domenicale e alla possibilità per tutti i lavoratori di usufruire di un congruo numero di domeniche libere. A tal proposito, nella piattaforma, si stabilisce la volontà di individuare un congruo numero di festività religiose e civili da osservare, attraverso la chiusura degli esercizi ed il relativo godimento per i lavoratori.
Per quanto concerne la tematica del mercato del lavoro, si richiede la stabilizzazione del diritto di precedenza ai lavoratori con contratto a tempo determinato rispetto a nuove assunzioni a termine e