COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) LAPERTOSA Presidente
(CO) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia (RM) SIRENA Membro designato dalla Banca d'Italia
(BO) SOLDATI Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(MI) AFFERNI Membro di designazione rappresentativa dei clienti
XXXXXX XXXXXX
Seduta del 30/10/2020
FATTO
I ricorrenti hanno affermato che:
-mediante l’avviso notificato l’11 settembre 2019, l’Agenzia delle Entrate avrebbe liquidato l’imposta di registrazione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in un processo civile tra le parti;
-entro il termine di 60 giorni da tale notificazione, le parti avrebbero potuto pertanto provvedere al pagamento dell’importo di € 217,50 ovvero impugnare l’avviso ricevuto;
-decorsa una settimana da tale notificazione, la banca resistente avrebbe tuttavia addebitato tale importo sul loro conto corrente, senza informarli;
-richiesta di chiarimenti su tale addebito, la banca resistente avrebbe loro comunicato, il 4 ottobre 2019, di aver proceduto all’immediato pagamento dell’importo richiesto dall’Agenzia dell’Entrate, addebitandolo poi sul loro conto
corrente;
-a seguito del reclamo presentato l’11 ottobre 2019, la banca resistente avrebbe affermato che tale comportamento sarebbe conforme a quanto statuito nell’art. 11 del contratto di conto corrente stipulato tra le parti;
-la suddetta clausola contrattuale sarebbe tuttavia vessatoria, ai sensi dell’art. 33 del codice del consumo;
-mancherebbero i presupposti stabiliti dall’art. 1186 c.c. per dichiararli decaduti dal beneficio del termine, poiché non sarebbero incorsi in alcun grave inadempimento, né si sarebbe verificato alcun improvviso peggioramento delle garanzie da loro offerte;
-non sussisterebbero neppure i presupposti della compensazione disciplinata dall’art. 1241 c.c., poiché il loro debito non sarebbe certo, né esigibile;
-l’addebito di cui si è detto sarebbe pertanto illegittimo e il suo importo dovrebbe essere restituito dalla banca resistente;
-avrebbero inoltre subìto un danno patrimoniale, in quanto non disporrebbero di liquidità ulteriore rispetto a quella costituita dai loro redditi pensionistici accantonati sul conto corrente di cui sono titolari;
-tale danno sarebbe equitativamente determinabile nella somma di € 1.000,00. Ciò posto, i ricorrenti hanno chiesto che: -la banca resistente sia condannata al pagamento della somma complessiva di € 1.217,50.
La banca ha resistito al ricorso, affermando che:
-questo Arbitro non potrebbe pronunciarsi nel merito della controversia, trattandosi della liquidazione dell’imposta di registro della sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in un processo civile tra le parti;
-avendo ricevuto l’avviso di cui si è detto, avrebbe provveduto, il 17 settembre 2019, al pagamento dell’importo liquidato, al fine di non incorrere in maggiori oneri;
-avrebbe contestualmente proceduto alla compensazione del proprio credito con il saldo attivo del conto corrente intestato ai ricorrenti, ai sensi dell’art. 1241 c.c.;
-la domanda di risarcimento del danno sarebbe comunque generica e sprovvista di alcun riscontro probatorio.
Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che: -in via pregiudiziale, il ricorso sia dichiarato inammissibile per materia; -nel merito, il ricorso sia respinto.
Nella seduta del 18 settembre 2020, il Collegio di Roma, il quale era territorialmente competente a pronunciarsi sul ricorso in questione, ha dubitato che sussistano i presupposti della compensazione legale disciplinata dall’art. 1241 e ha ritenuto che l’art. 11 del contratto di conto corrente stipulato tra le parti costituisca una clausola abusiva e pertanto nulla, ai sensi degli artt. 33 e 36 del codice del consumo.
Mediante l’ordinanza di rimessione (n. 18363/20 del 21 ottobre 2020), in particolare, il Collegio di Roma ha ritenuto che, trattandosi di una questione di particolare importanza, essa dovesse essere rimessa al Collegio di Coordinamento, anche al fine di evitare l’insorgere di eventuali contrasti interpretativi tra i Collegi di questo Arbitro.
DIRITTO
In via pregiudiziale, la banca resistente ha eccepito (a p. 2 delle controdeduzioni) che questo Arbitro non potrebbe pronunciarsi sul merito della controversia, in quanto essa avrebbe a oggetto la liquidazione dell’imposta di registrazione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in un processo civile tra le parti.
A tale proposito, si deve premettere che, secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (sez. I, § 4), «all’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari».
Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno contestato l’importo liquidato mediante l’avviso dell’Agenzia delle Entrate di cui si è detto, né hanno negato di essere solidalmente obbligati al suo pagamento. Essi hanno piuttosto contestato la legittimità dell’addebito di tale importo sul loro conto corrente da parte della banca
resistente, la quale aveva preventivamente provveduto al pagamento nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Trattandosi dunque di una contestazione relativa al rapporto di conto corrente tra i ricorrenti e la banca resistente, l’eccezione pregiudiziale da quest’ultima sollevata è infondata e deve essere respinta.
Passando al merito della controversia, si deve rilevare che il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro ha già esaminato la questione che costituisce oggetto del presente giudizio, affermando il principio di diritto secondo il quale, affinché operi la compensazione prevista dall’art. 1853 c.c., non occorre che il conto corrente bancario di cui si tratta sia stato chiuso (Collegio di coordinamento, decisione n. 2420 del 17 marzo 2016).
Tale principio di diritto dev’essere tuttavia coordinato con quanto ripetutamente statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui: «È sufficiente il dissenso del cliente della banca alla compensazione, per far sì che la compensazione stessa non avvenga in modo automatico come previsto in generale dalla norma. Infatti, la disposizione di cui all’art. 1853 c.c. (a mente della quale, se tra la banca ed il correntista esistono più rapporti o più conti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente salvo patto contrario), dettata allo scopo di garantire la banca contro ogni scoperto non specificamente pattuito che risulti a debito del cliente quale effetto di un qualsiasi rapporto o conto corrente fra le due parti, prevede che la compensazione tra saldi attivi e passivi, anche a favore del correntista, sia attuata mediante annotazioni in conto, e, in particolare (alla luce del principio dell'unità dei conti), attraverso la immissione del saldo di un conto, come posta passiva, in un altro conto ancora aperto (con le modalità proprie di tale tipo di operazione), salva manifestazione di volontà di segno contrario da parte del cliente. Alla luce di ciò, ove risulti la volontà negativa in ordine ad una eventuale compensazione dei crediti, l’automatismo descritto dalla norma non può trovare attuazione» (da ultimo, x. Xxxx. civ., 23 gennaio 2020, n. 1445, sottolineature aggiunte).
Nel caso di specie, risulta che i ricorrenti abbiano manifestato la loro volontà negativa in ordine alla compensazione dell’importo da essi dovuto alla banca a titolo di regresso e il saldo positivo del conto corrente di cui sono intestatari. Dal contratto di conto corrente che è stato stipulato tra le parti può peraltro desumersi che una volontà favorevole all’annotazione in conto corrente dei loro debiti nei confronti della banca sia stata manifestata dai ricorrenti con esclusivo riguardo agli interessi di cui siano debitori, nonché alle spese di tenuta del conto stesso.
Ne consegue che mancano i presupposti di applicazione dell’art. 1853 c.c., nonché, a maggior ragione, quelli dell’art. 1241 x.x., xxxxxx x’xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxx attivo del conto corrente da parte della banca. Non sussiste pertanto alcuna ipotesi di compensazione legale.
La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 3 delle controdeduzioni) che si tratterebbe di una compensazione volontaria, secondo quanto generalmente stabilito dall’art. 11 del contratto di conto corrente stipulato tra le parti, nella parte in cui esso prevede che: «La compensazione avrà luogo in qualsiasi momento, ancorché i crediti, seppure in monete differenti, non siano liquidi ed esigibili, senza obbligo di preavviso o formalità, fermo restando che dell’intervenuta compensazione – contro la cui attuazione non potrà in nessun caso eccepirsi la convenzione di assegno – la banca darà prontamente comunicazione al Correntista» (all. 6 alle controdeduzioni, sottolineatura aggiunta).
Si deve tuttavia rilevare che tale clausola è abusiva ai sensi dell’art. 33, 1° comma, del codice del consumo, in quanto determina un significativo squilibrio di diritti e di obblighi a carico dei consumatori contraenti, in violazione del principio di buona fede.
Infatti, la compensazione di cui si tratta è operata dalla banca mediante l’annotazione sul conto corrente dell’importo dovuto dai suoi titolari, ossia soddisfacendosi in via di autotutela. È viceversa evidente che, viceversa, i suoi titolari non potranno di fatto procedere ad alcuna annotazione dei loro eventuali crediti nei confronti della banca stessa, cosicché essi non potranno parimenti
soddisfarsi in via di autotutela. Si tratta dunque di un potere privato che può essere esercitato dalla banca nei confronti dei correntisti, ma non da questi ultimi nei suoi confronti: si viene così a creare un significativo squilibrio di diritti e di obblighi contrattuali a svantaggio dei consumatori correntisti.
All’abusività di tale clausola, consegue la nullità necessariamente parziale del contratto, il quale rimane valido per il resto (art. 36, 1° comma, cod. cons.).
Rilevata dunque la nullità della clausola contrattuale di cui si tratta, questo Arbitro accerta che l’importo di € 217,50 è stato indebitamente addebitato sul conto corrente dei ricorrenti e, ai sensi dell’art. 2033 c.c., dev’essere pertanto loro restituito a titolo di ripetizione dell’indebito.
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Venendo alla domanda risarcitoria del ricorrente, questo Xxxxxxx (ad es., nella decisione del Collegio di Roma, n. 1027 del 2013) ha fatto dichiaratamente proprio l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive restando estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso» (Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1781; Cass. civ., 19 gennaio 2007, n. 1183).
Secondo la regola generale che è dettata dall’art. 2697, 1° comma, c.c., grava pertanto sul ricorrente l’onere di dare la prova dell’esistenza (an debeatur) e della consistenza (quantum debeatur) del danno del quale ha domandato risarcimento. Resta peraltro ovviamente fermo che, laddove sia stata dimostrata dal ricorrente l’esistenza di un danno risarcibile, ma sia impossibile o comunque eccessivamente difficile quantificarlo esattamente, esso potrà essere liquidato da questo Arbitro in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.
Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno dato alcuna prova di aver subìto un danno risarcibile, cosicché la loro domanda è infondata e deve essere pertanto
respinta.
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Al fine di dare sinteticamente una risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
1. Qualora i titolari di un conto corrente bancario abbiano manifestato la loro contrarietà alla compensazione legale di un loro debito con il saldo attivo di tale conto, tale compensazione non può operare.
2. La clausola contrattuale, secondo cui il debito dei correntisti nei confronti della banca sarà compensato comunque con il saldo attivo del loro conto corrente, è abusiva nei confronti dei consumatori e pertanto nulla, ai sensi del combinato disposto dell’art. 33, 1° comma, cod. cons. con l’art. 36 cod. cons.
P.Q.M.
Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, dispone che l’intermediario riaccrediti alla parte ricorrente, con giusta valuta, la somma di euro 217,50. Respinge nel resto.
IL PRESIDENTE
firma 1