LA TRASCRIZIONE DEL CONTRATTO PRELIMINARE
S
LA TRASCRIZIONE DEL CONTRATTO PRELIMINARE
di Xxxxxxxx xx Xxxxx 1181
INEDIFICABILITÀ DI FATTO PER CARENZA DI OPERE DI URBANIZZAZIONE
di Xxxxxxxx Xxxxxxx 1183
NORMATIVA
NOVITÀ NORMATIVE
a cura di Xxxxxxxxxx Xxxxxx 1189
GIURISPRUDENZA
Costituzionale
LA RISERVA DI LEGGE NELLA DISCIPLINA DELLE DESTINAZIONI FUNZIONALI
Corte costituzionale 23 luglio 1997, n. 259
nota di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx 1193
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxx Xxxxx 1199
Civile
EFFETTI DELLA CESSIONE GRATUITA DI UN TERRENO A FAVORE DI UN COMUNE
Cassazione civile, sez. II, 9 settembre 1997, n. 8743
nota di Xxxxxxxx Xx Xxxxx 1202
ADOZIONE DI STRUMENTI URBANISTICI ED ERRORE SULL’EDIFICABILITÀ DEL SUOLO
Cassazione civile, Sez. un., 1° luglio 1997, n. 5900;
Cassazione civile, sez. II, 13 giugno 1997, n. 5349
commento di Xxxxxx Xxxxxxxxx 1204
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxxx Xx Xxxxx 1212
Amministrativa
ACTIO AD EXHIBENDUM E ATTIVITÀ DI DIRITTO PRIVATO DELL’AMMINISTRAZIONE
Consiglio di Stato, sez. IV, 2 aprile 1997, n. 539; Consiglio di Stato, sez. V, 7 marzo 1997, n. 228; Consiglio di Stato, sez. IV, 17 giugno 1997, n. 649;
Tar Puglia, Bari, sez. I, 17 luglio 1997, n. 512
commento di Xxxxxxx Xxxxxx 1217
PREVALE L’OPZIONE DELL’ESCLUSIONE AUTOMATICA PER GLI APPALTI INTERNI IN REGIME TRANSITORIO
Consiglio di Stato, sez. IV, ord. 16 settembre 1997, n.1827;
Tar Puglia, Bari, sez. II, 27 settembre 1997, n. 705
nota di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx 1233
I NUOVI TERMINI PROCESSUALI ABBREVIATI: NOTIFICA DEL RICORSO E REGIME TRANSITORIO
Tar Calabria, sede di Catanzaro, 17 luglio 1997, n. 491
commento di Xxxxx Xxxxxx 1237
ESCLUSIONE DALLA GARA PER ERRORE DEL CASELLARIO GIUDIZIALE
Tar Friuli–Venezia Giulia, 8 maggio 1997, n. 341;
Tar Friuli–Venezia Giulia, 19 luglio 1997, n. 551
commento di Xxxx Xx Xxxxx 1244
L’AVVIO DEI LAVORI DI COLTIVAZIONE DELLA CAVA NON PROVA LA CONOSCENZA DELLA RELATIVA AUTORIZZAZIONE
Tar Puglia, Bari, sez. II, 27 settembre 1997, n. 701
nota di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx 1254
SOMMARIO
1179
URBANISTICA EAPPALTI
Anno I
n. 11/1997
}
SPUNTI RICOSTRUTTIVI IN TEMA DI VARIANTE IMPLICITA EX ART. 1, COMMA 5, L. 1/1978
Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 1997, n. 421
commento di Xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx 1256
VALUTAZIONI TECNICHE E ISTRUTTORIA DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
Tar Lombardia, sez. III, 12 maggio 1997, n. 586
commento di Xxxx Xxxxx 1262
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx 1267
Penale
LIMITI DEL SINDACATO DEL GIUDICE PENALE SULLA CONCESSIONE EDILIZIA
Cassazione penale, sez. III, 24 aprile 1997, Catalano
commento di Xxxxx Xxxxxxx 1273
LA RILEVANZA PENALISTICA DELLA NATURA DELLA CONCESSIONE EDILIZIA
Cassazione penale, Sez. un., 29 gennaio 1997, Botta
commento di Xxxx Xxxxx 1280
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxx Xxxxxxx 1283
Libri
SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE 1287
S
SOMMARIO
1180
URBANISTICA EAPPALTI
Anno I
n. 11/1997
INDICI
INDICE DEGLI AUTORI 1288
INDICE CRONOLOGICO 1288
INDICE ANALITICO 1289
MENSILE DI NORMATIVA, GIURISPRUDENZA, PRASSI E OPINIONI
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Codice civile
LA TRASCRIZIONE
DEL CONTRATTO PRELIMINARE
di Xxxxxxxx xx Xxxxx
O
OPINIONI
La legge 28 febbraio 1997 n. 30 stabilisce, all’art. 3 (aggiungendo l’articolo 2645 bis), che i contratti preliminari, aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai numeri 1) 2) 3) e 4) dell’art. 2643, anche se sottoposti a condizione e relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risulta- no da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenti- cata o accertata giudizialmente.
L’art. 2643, ai numeri 1, 2, 3 e 4, dispone che si devono rendere pubblici col mezzo della trascri- zione:
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili;
2) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il dirit- to di usufrutto sui beni immobili, il diritto di superficie, i diritti del concedente e dell’enfiteuta;
3) i contratti che costituiscono la comunione dei diritti menziona- ti nei numeri precedenti;
4) i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali, il di- ritto di uso sopra beni immobili, il diritto di abitazione.
Ciò premesso, va rilevato che l’art. 3 citato tende a garantire il promissario acquirente, non solo ri- spetto all’acquisto di immobili esi- stenti, ma anche di immobili in caso di realizzazione. Da taluno si è par- lato anche di trasparenza immobi- liare.
Intanto va precisato che la di- sposizione in esame assume rile- vanza nel contesto della disciplina della vendita, in quanto il contratto definitivo, stipulato in esecuzione del preliminare o della sentenza che accoglie la domanda giudiziale di trasferimento dell’immobile, ha per effetto della trascrizione effica- cia dalla data di trascrizione del preliminare e prevale sulle trascri- zioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la tra- scrizione del preliminare.
Prima d’ora non era possibile trascrivere il contratto preliminare
di vendita, anche se è doveroso os- servare che l’art. 2652, n. 2, già consentiva (e consente) la trascri- zione delle domande dirette ad ot- tenere l’esecuzione in forma spe- cifica dell’obbligo a contrarre.
In tale ultimo caso la trascrizio- ne della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda.
Va altresì osservato che la l. n. 30/1997 prevede che la trascrizio- ne può riguardare sia immobili già costruiti – anche se il trasferimen- to sia sottoposto a condizione o a termine essenziale – sia i fabbrica- ti da costruire o in corso di costru- zione.
Per tale ultimo caso la opportu- nità della nuova normativa emerge dalla considerazione che spesso il costruttore – con la stipula del pre- liminare e ancor prima del defini- tivo – incamera l’intero prezzo di acquisto.
Sono innumerevoli i casi di co- struttori che avendo incassato l’in- tero prezzo hanno poi consentito iscrizioni ipotecarie, specie per ef- fetto di mutui contratti con istituti di credito, di gran lunga superiori al prezzo pattuito per il singolo ce- spite promesso in vendita.
La nuova disciplina riguarda la fattispecie di promessa di vendita non quella di trasferimento dell’im- mobile sia pure contenuto nella scrittura preliminare.
In proposito va segnalato:
a) che l’elemento distintivo tra contratto definitivo e contratto preliminare è dato dalla volontà delle parti che nel contratto defini- tivo è rivolta direttamente al tra- sferimento della proprietà o di al- tro diritto, mentre nel contratto preliminare fa dipendere tale tra- sferimento da una futura manife- stazione di consenso (Cass. 7 lu- glio 1994, n. 6401);
b) che il trasferimento del pos- sesso della cosa e il pagamento del prezzo non comportano sempre e
necessariamente che le parti ab- biano voluto l’immediato trasferi- mento della proprietà, ben poten- do rappresentare un’esecuzione anticipata di una futura vendita (Cass., 9 settembre 1991 n. 9478). Riguardo all’argomento speci- fico in esame è bene osservare che nel caso di scrittura privata di tra- sferimento l’acquirente si può ben tutelare, a norma dell’art. 2652, n. 3, con la trascrizione della doman- da diretta all’accertamento giudi- ziale della sottoscrizione di scrit- tura privata in cui si contiene un atto soggetto a trascrizione ed a iscrizione (x. Xxxx. 4 novembre 1982, n. 5802). Non si può, quindi, condividere l’orientamento con- trario espresso da Xxxx. 21 ottobre
1993, n. 10434.
Riguardo all’immobile da co- struire va, poi, rilevato che si ritie- ne soggetta a trascrizione la com- pravendita di un immobile futuro che configura un’ipotesi di vendi- ta obbligatoria idonea a produrre l’effetto traslativo della proprietà al momento in cui l’immobile ven- ga ad esistenza, che resta nell’am- pia dizione dell’art. 2643, n. 1, cioè tra gli atti che trasferiscono la proprietà degli immobili.
Ora, per una valutazione com- plessiva della nuova normativa va, inoltre, ricordato (x. Xxxx. 5 aprile 1994, n. 3239) che, con la trascri- zione ex art. 2652, n. 2 c.c. della do- manda proposta ex art. 2932 c.c. e poi della successiva scadenza di accoglimento della domanda, l’at- tore prevale sugli acquirenti dello stesso xxxxx causa che abbiano tra- scritto posteriormente alla detta trascrizione. Per ottenere tali effetti l’attore non ha l’onere di trascrive- re il contratto preliminare in quanto il trasferimento della proprietà è l’effetto della sentenza costitutiva di accoglimento della domanda (Cass. 5 aprile 1994, n. 3239).
L’efficacia della trascrizione
Secondo la nuova normativa la trascrizione del preliminare ha effi-
Codicecivile
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
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cacia temporale. Ed infatti, gli ef- fetti cessano e si considerano come mai prodotti, se entro un anno dalla data convenuta per la conclusione del contratto definitivo e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizio- ne predetta, non sia eseguita la tra- scrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comun- que esecuzione del contratto preli- minare o della domanda giudiziale di cui all’art. 2652, comma 1, n. 2. L’efficacia temporale è ulterior- mente prolungata nel caso di pen- denza del giudizio di esecuzione specifica del contratto preliminare. La proposta può poi essere con- sentita dal promittente venditore con la rinnovazione del prelimina-
re.
Va, altresì, rilevato che l’obbliga- torietà della trascrizione del preli- minare è collegata necessariamente alla stipula di un preliminare redatto o con la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.
La sfera di applicazione della legge è, quindi, molto ristretta.
Sussiste un’ulteriore condizio- ne per consentire la trascrizione: i contratti preliminari aventi ad og- getto porzioni di edifici da costi- tuire o in corso di costruzione de- vono indicare, per essere trascritti, la superficie utile della porzione di edificio e la quota del diritto spet- tante al promissario acquirente re- lativa all’intero costruendo edifi- cio espressa in millesimi.
Si è anche precisato che «la tra- scrizione è eseguita con riferimen- to al bene immobile per la quota determinata secondo le modalità indicate».
Non appena l’edificio viene ad esistenza gli effetti della trascri- zione si producono rispetto alle porzioni materiali corrispondenti alle quote di proprietà predetermi- nate, nonché alle relative parti co- muni.
Non ha rilevanza l’eventuale differenza di superficie o di quota contenuta nei limiti di un ventesi- mo rispetto a quelle indicate.
La norma è quanto mai oppor- tuna in riferimento alla possibilità di varianti in corso d’opera e di modifiche al progetto definitivo.
Ovviamente ogni problema è diversamente risolvibile in sede di stipula del contratto definitivo.
Non va trascurato il rilievo che la nuova normativa contiene una
nozione legale di «edificio esi- stente», per la quale si intende per esistente l’edificio nel quale sia stato eseguito il rustico – com- prensivo dei muri perimetrali del- le singole unità – e completata la copertura.
In proposito va ricordato che la Corte di cassazione, con sentenza 5 settembre 1989, n. 3854, ha af- fermato che nella vendita di cosa futura l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza; e a tal fine va indivi- duato il momento in cui si perfe- ziona il processo produttivo della cosa nelle sue componenti essen- ziali, essendo irrilevante che essa manchi di alcuna rifinitura o di qualche accessorio non indispen- sabile per la sua utilizzazione.
L’art. 2875 bis
Ci sembra che il legislatore ab- bia ecceduto laddove, all’art. 2875 bis, ha previsto che nel caso di mancata esecuzione del contratto preliminare il credito del promis- sario acquirente abbia privilegio speciale sul bene immobile ogget- to del contratto preliminare stesso. Si tratta, quindi, di un privilegio speciale che prevale sulle ipoteche
trascritte in precedenza.
In tal modo si offre l’occasione al promissario acquirente di sot- trarsi ai debiti ipotecari stipulando un contratto preliminare con un terzo con la contestuale riscossio- ne del prezzo e successiva risolu- zione del contratto medesimo.
La legge fa salve solo le iscri- zioni ipotecarie effettuate a garan- zia dei mutui concessi al promis- sario acquirente per l’acquisto del bene e quelle iscritte per debiti che lo stesso promissario acquirente si accolla espressamente.
Si fa, per altro, questione sulla retroattività della disposizione in relazione alle ipoteche iscritte an- teriormente all’entrata in vigore della legge 30 del 28 febbraio
1997.
Va inoltre segnalato che le nuo- ve disposizioni modificano l’art. 72 del r.d. n. 267 del 16 marzo 1942 – legge fallimentare – con- cernente gli effetti del fallimento nel caso di vendita non ancora ese- guita.
Come è noto, l’art. 72, ultimo comma, della legge fallimentare stabilisce che nel caso di fallimen-
to del promittente venditore il cu- ratore può scegliere tra esecuzione e scioglimento del contratto.
In tale ultimo caso il promissa- rio acquirente non può opporre al fallimento nemmeno la domanda di esecuzione specifica, già pro- mossa ai sensi dell’art. 2932, fon- data sul preliminare (Cass. 16 febbraio 1982 n. 953 e più recen- temente Trib. Pavia, 1° aprile 1982). Precedentemente il pro- missario acquirente non aveva al- tra scelta che insinuarsi al passivo
– in via chirografaria – per il cre- dito corrispondente al prezzo pa- gato.
Oggi, con la nuova disposizio- ne 2875 bis, l’acquirente ha diritto di far valere il proprio credito nel passivo, senza che sia dovuto il ri- sarcimento del danno e gode del privilegio di cui all’art. 2775 bis a condizione che gli effetti della tra- scrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente al- la data della dichiarazione di falli- mento.
O
OPINIONI
Codicecivile
1182
URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
Edilizia e urbanistica
INEDIFICABILITA’ DI FATTO PER CARENZA DI OPERE
DI URBANIZZAZIONE
di Xxxxxxxx Xxxxxxx
O
OPINIONI
Ediliziae urbanistica
L’art. 31 comma 5 della legge 17
agosto 1942, n. 1150, introdotto dalla c.d. legge ponte 6 agosto 1967, n. 765, subordina il rilascio della concessione edilizia alla sus- sistenza delle opere di urbanizza- zione primaria (1) ovvero alla pre- visione della realizzazione di tali opere da parte dell’amministrazio- ne comunale nel successivo trien- nio.
La mancanza di opere di urba- nizzazione determina, quindi, una inedificabilità per circostanze di fatto, che prevale anche sulle even- tuali previsioni edificatorie degli strumenti urbanistici.
Per ovviare al rischio di un’iner- zia connessa anche alle rigidità fi- nanziarie dei Comuni, ai proprietari è consentito espressamente dall’art. 31 comma 5 cit. di assumere «l’im- pegno di procedere all’attuazione delle medesime (urbanizzazioni) contemporaneamente alle costru- zioni oggetto della licenza». Si trat- ta di una singolare e significativa af- fermazione della surrogabilità dell’azione privata in caso di inerzia dei poteri pubblici, che trova però riscontro anche in altri istituti del di- ritto urbanistico (2).
In effetti la possibilità, ricono- sciuta dall’art. 31 comma 5 cit., della realizzazione diretta di opere di urbanizzazione da parte dei pri- vati ha avuto ampia attuazione nel- la prassi. Ma proprio la concreta at- tuazione di questa possibilità è stata accompagnata dall’emergere di talune problematiche, specie in relazione alla quantità, tipologia e costo delle opere che devono esse- re attuate dai privati ed, in partico- lare, da parte del soggetto che in- tenda edificare per primo in una zona priva di urbanizzazioni.
Le opere di urbanizzazione quale presupposto dell’edificabilità
In primo luogo va osservato co- me sostanzialmente competa
all’amministrazione comunale, at- traverso le proprie scelte di pianifi- cazione urbanistica, determinare in quali zone consentire uno sviluppo edificatorio non preceduto dall’ap- provazione di un programma plu- riennale di attuazione (3) o da piani attuativi (4). In questi casi, poiché l’edificazione necessariamente pre- suppone l’esistenza, ovvero la pros- sima formazione delle opere di ur- banizzazione primaria, dovrebbe riconoscersi uno stretto legame tra le scelte urbanistiche e la politica dei lavori pubblici dell’Ente Locale. Altrimenti la mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione, aven- do un riflesso diretto sull’edificabi- lità, precluderebbe l’attuazione di previsioni contenute nel P.R.G.
Spesso, però, si riscontra uno ia- to fra previsione urbanistica e pro- grammi di attuazione delle opere. In tali casi, per evitare l’inedifica- bilità di fatto, al privato non resta che intervenire direttamente, rea- lizzando le opere di urbanizzazione necessarie per l’intervento, ossia, in altre parole, le opere di urbaniz- zazione che l’amministrazione ab- bia individuato come necessarie.
In questo modo si evidenzia un primo profilo di rilievo, per la vi- cenda in esame, di «sostituzione» del privato all’Amministrazione comunale: le opere di urbanizza- zione di per sé sono fungibili (co- me qualsiasi intervento materia- le), e perciò possono essere realizzate anche dal privato con effetti equipollenti all’opera pub- blica, ma la valutazione circa la lo- ro necessità e sufficienza è riser- vata all’Amministrazione.
Resta, inoltre, il fatto che la situa- zione di chi debba attuare diretta- mente le urbanizzazioni risulta pe- nalizzata rispetto alla posizione dei soggetti che, chiedendo di edificare successivamente, si trovino ad ope- rare in una zona già urbanizzata e quindi possono limitarsi a versare il
Note:
(1) Come è noto, l’elencazione delle opere di urbanizzazione primaria è con- tenuta nell’art. 4, comma 1 della legge 29 settembre 1964, mentre l’elenco del- le opere di urbanizzazione secondaria, contenuto nell’art. 4, comma 2 della stessa legge, è stato modificato dall’art. 44 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e dall’art. 17 della legge 11 marzo 1988, n. 67.
(2) Basti pensare alla alternatività fra il piano particolareggiato, di iniziativa pubblica, e il piano di lottizzazione, di iniziativa privata. Per questa tematica cfr., da ultimo, Xxxxx, Piano di lottizza- zione e comparti edificatori, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1996, XI, 149. An- cora più evidente è la fungibilità fra ini- ziativa privata e iniziativa pubblica per quanto riguarda i piani di recupero.
(3) Una posizione differenziata riguar- da, ovviamente, i Comuni non soggetti all’obbligo di dotarsi di programma plu- riennale di attuazione. Questa consi- derazione, assolutamente scontata, deve però indurci a riflettere meglio sul significato dell’art. 13 della l. n. 10/1977, quale mezzo di pianificazione temporale degli interventi urbanistici, ritenuto originariamente come un mez- zo per imporre un nuovo regime dell’at- tività edilizia e istitutivo della regola se- condo cui lo sviluppo edificatorio deve essere coerente con le attività di urba- nizzazione governate dal Comune.
In realtà il programma pluriennale, già
«depotenziato» nella sua portata dal d.l.
n. 9/1982 (c.d. legge Xxxxxxxxx), è stato scarsamente applicato, fino ad essere, di recente, oggetto di abrogazione in una lunga serie di decreti legge non convertiti (DD.LL. nn. 468/1994, 551/1994, 649/1994, 24/1995, 88/1995, 193/1995, 310/1995, 400/1995, 498/1995, i cui ef- fetti peraltro sono stati fatti salvi dall’art. 2, comma 61, della l. n. 662/1996). Su questa tematica cfr. Greco, Programmi Pluriennali di Attuazione, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1997, XII, 48.
Per le ipotesi di «rilancio» dei program- mi pluriennali, prospettate anche da una Commissione ministeriale presie- duta da P. Xxxxxx Xxxxxxx, cfr. dello stes- so Xxxxxx Xxxxxxx, Riforma urbanistica: da dove cominciare, in Riv. giur. urbani- stica, 1996, 441 ss.
(4) Si ricordi che, nel caso di sottoposizio- ne dell’attività edificatoria a piano di lottiz- zazione, il lottizzante deve farsi carico delle urbanizzazioni di zona (cfr. quanto previsto nell’art. 28 della l. n. 1150/1942, come modif. dalla l. n. 765/1967).
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
contributo di concessione determi- nato, per quanto concerne la quota afferente agli oneri di urbanizzazio- ne, sulla base delle tabelle parame- triche previste dall’art. 5 della l. n. 10/1977. Nella maggior parte dei casi, infatti, il costo di realizzazione delle opere di urbanizzazione è no- tevolmente superiore agli oneri concessori calcolati ai sensi della l. n. 10/1977.
Il rimedio all’inerzia dell’am- ministrazione, costituito dalla al- ternatività fra iniziativa pubblica ed iniziativa privata, risulta forte- mente «asimmetrico», e quindi imperfetto, perché penalizza chi, per primo, debba intervenire in una zona non ancora urbanizzata.
L’art. 31, l. 1150/1942
quale norma
di chiusura del sistema
Se si cerca di ricostruire in posi- tivo il quadro della materia, va os- servato come il problema appena enunciato nasca da un difetto di coordinamento fra le previsioni dell’art. 31 della legge urbanistica e succ. mod. e le previsioni della successiva l. n. 10/1977. Tale ulti- ma legge, nell’introdurre il regime di generale onerosità della conces- sione edilizia, ha delineato il con- tributo concessorio nei termini di una prestazione forfetaria (quasi di «tassa», è stato detto), riferita solo in via indiretta ai costi che l’amministrazione comunale deve effettivamente affrontare per do- tare di infrastrutture nuove zone.
Tuttavia, a ben vedere, l’attività edificatoria risulta sottoposta a ta- le regime di onerosità, secondo pa- rametri predeterminati ai sensi dell’art. 5, l. n. 10/1977, solo nelle zone già urbanizzate (o urbaniz- zande nel triennio). Nelle zone non urbanizzate, infatti, l’eserci- zio dello ius aedificandi risulta, in realtà, sempre subordinato all’as- sunzione dell’onere di realizzare le opere di urbanizzazione (5).
Storicizzare l’art. 31 della legge urbanistica collocandolo nel conte- sto normativo precedente all’istitu- to concessorio non consente di elu- derne l’applicazione. Tale norma, infatti, anche dopo la l. n. 10/1977, mantiene inalterata la propria fun- zione che è quella di fissare una re- gola di chiusura del sistema, a tute- la di interessi igienico–sanitari, inibendo «comunque ed in ogni ca-
so» il rilascio del titolo concessorio in assenza delle urbanizzazioni pri- xxxxx (6).
Tale inedificabilità di fatto trova giustificazione nella peculiare rile- vanza degli interessi sociali e igie- nico–sanitari che impongono di far precedere l’edificazione dalla for- mazione delle opere di urbanizza- zione. Pertanto, mentre in sede di approvazione degli strumenti urba- nistici a carattere programmatico, sarà possibile prevedere delle di- rettrici di sviluppo insediativo an- che in zone non ancora dotate di servizi, in sede di rilascio del prov- vedimento puntuale si dovrà verifi- care, in concreto, la sussistenza di tali dotazioni, la cui mancanza, ex art. 31 cit., impedirà la traduzione in atto della previsione di edificabi- lità contenuta nello strumento ur- banistico.
La posizione soggettiva del privato e la mancanza di forme di tutela
Pur con tutti i limiti ed incoeren- ze appena illustrati, l’attuazione di- retta delle opere resta comunque l’unico strumento a disposizione del proprietario per superare l’iner- zia dell’amministrazione.
Infatti vi è una assoluta carenza di rimedi efficaci che consentano al privato di reagire avverso la mancata inclusione di determinate opere nei programmi dei lavori pubblici o avverso la incompleta attuazione dei piani stessi. Viene infatti comunemente affermato che il privato, rispetto a tali scelte, assume una posizione caratteriz- zata da un interesse di mero fatto, che non legittima la proposizione di alcuna azione giudiziale.
Quanto detto ci riporta, inevita- bilmente, al tema delle ragioni che giustificano l’attribuzione all’am- ministrazione di una ampia discre- zionalità nel determinare le politi- che di investimento attraverso piani, programmi e scelte attuati- ve (7), atti che, di fatto, per quanto attiene al loro contenuto, rimango- no insindacabili da parte del giudi- ce amministrativo, fatti salvi solo i casi di evidente illogicità od irra- gionevolezza.
In sostanza, quindi, restano aperti tre ordini di problemi:
a) l’intervento diretto del priva- to (unico rimedio alla inedificabi- lità di fatto) non si attua in condi-
zioni di «indifferenza economica» per il costruttore; si tratta quindi di capire se possano essere utilizzati gli strumenti generali di riequili- brio di prestazioni sperequate (ar- ricchimento senza causa, ecc.);
b) il privato non ha la possibilità di incidere sulle scelte dell’ammi- nistrazione locale circa l’attuazio- ne delle opere; questo significa che il privato, in concreto, non ha la disponibilità di rimedi che eviti- no i risultati sperequati sopra ri- chiamati;
c) si constata ancora una non
Note:
(5) Prescindiamo qui dall’esame di ogni questione inerente alla ragionevolezza della regola in esame, sia per la diversi- tà che si crea nell’esplicazione dello ius aedificandi, sia per il fatto che si confi- gura una prestazione svincolata dai principi di parità e proporzionalità, im- posta in via di fatto, pena l’inedificabili- tà.
(6) Le ragioni di tale inedificabilità sono ricercate nell’interesse a che ogni inse- diamento sia inserito in un sistema di servizi e dotazioni di quartiere, la ga- ranzia dei quali opererebbe come con- dizioni sospensive dello ius aedifican- di, pur connaturale al diritto di proprietà e riconosciuto dallo strumento urbani- stico. In proposito cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 novembre 1992, n. 1221, in Foro it., 1993, III, 265; Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 1991, n. 1355, in Foro amm., 1991, 2948; Cons. Stato, sez. V, 23 lu- glio 1994, 793, Foro amm., 1994, 1752. Per una illustrazione delle teorie cultu- rali e politiche che hanno correlato la promozione sociale e personale degli abitanti alla qualità urbanistica ed igie- nica della città cfr. Xxxxxxx, Diritto Ur- banistico, Milano, 1990, 50.
(7) Sul tema mi permetto di rinviare alle riflessioni svolte in Silenzio–rifiuto su istanza di concessione e sopravve- nienza di nuova disciplina urbanistica, in questa Rivista, 794, specialmente nota 17.
Il legislatore ha riconosciuto la rilevan- za delle opere pubbliche e dei riflessi di tali politiche sulla sfera soggettiva dei proprietari consentendo la presenta- zione di «osservazioni» avverso il pro- gramma triennale dei lavori pubblici di cui all’art. 14 della l. n. 109/1994 (c.d. legge Merloni), programma che do- vrebbe contenere anche una precisa indicazione delle priorità degli interven- ti a cui le amministrazioni debbono at- tenersi. Quand’anche non voglia rico- noscersi carattere meramente pro- grammatico a tali previsioni, resta co- munque irrisolto il problema della di- screzionalità assoluta dell’amministra- zione nell’inserire determinati interven- ti nel piano privilegiando, in un contesto di risorse scarse, l’urbanizzazione di talune zone a detrimento di altre.
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URBANISTICA EAPPALTI
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mancanza di corrispondenza ne- cessaria fra previsioni urbanistiche e politiche dei lavori pubblici. Le previsioni urbanistiche rappresen- tano, al più, una precondizione per l’attuazione delle opere pubbliche (nel senso che le opere pubbliche devono essere compatibili con gli strumenti urbanistici), ma non esi- ste oggi (né esisteva in passato, quando il sistema dei programmi pluriennali era più stringente) un obbligo per il Comune di eseguire le opere di urbanizzazione previste dallo strumento urbanistico.
Alla luce di queste considera- zioni si deve concludere che lo ius aedificandi, ritenuto coessenziale al diritto di proprietà, può essere vanificato dalla mancata conver- genza tra potere di pianificazione urbanistica e programmi di attua- zione delle opere pubbliche (8).
Una recente soluzione proposta dal Consiglio di Stato
Di recente il Consiglio di Sta- to (9) ha avuto modo di interveni- re sulla questione degli obblighi che incombono su chi edifichi per primo in una zona non urbanizza- ta, approdando ad una soluzione che testimonia la ricerca di solu- zioni di equità, anche se non può ritenersi del tutto soddisfacente.
Il giudizio concerneva un ca- xxxxxxx edificato in base a una concessione, successivamente an- nullata dal giudice amministrativo, proprio a causa della mancanza delle opere di urbanizzazione pri- xxxxx. Dopo la sentenza di annulla- mento della concessione, il Sinda- co «confermava» il contenuto della concessione annullata (10), dando atto che il concessionario aveva as- sunto l’impegno di realizzare diret- tamente «talune» opere di urbaniz- zazione primaria.
Il Consiglio di Stato, nell’esa- minare il ricorso proposto contro il nuovo provvedimento del Sinda- co, dopo aver riconosciuto che l’adeguatezza del livello di urba- nizzazione di una zona deve essere valutata in concreto, caso per ca- so (11), passa ad esaminare la con- sistenza e la natura dell’obbligo a carico del privato ed accoglie un postulato del tutto indimostrato e difficilmente condivisibile. La de- cisione, infatti, afferma che a cari- co del proprietario che intervenga per primo, in una zona non urba-
nizzata, non può essere imposta la realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione necessarie per l’intervento, ma deve essere impo- sta solo una «parte», da determi- narsi tenendo conto delle dimen- sioni dell’intervento stesso.
Ritengo di dover dissentire da questa soluzione. A me pare che la soluzione ai problemi sopra enun- ciati non possa essere trovata con- sentendo al primo costruttore di attuare solo alcune opere, più strettamente funzionali alla pro- pria edificazione.
In definitiva, l’intero ragiona- mento del Consiglio di Stato si fonda sulla possibilità di indivi- duare due distinti livelli di dota- zione di opere di urbanizzazione primaria:
a) un livello «ordinario» fissato dalle regole pianificatorie generali ed avente la funzione di garantire uno sviluppo organico ed equili- brato del territorio, tendenzial- mente perseguibile solo attraverso l’iniziativa diretta dell’Ente pub- blico, ovvero raggiungibile attra- verso il programma pluriennale di attuazione o la pianificazione ese- cutiva;
b) un livello «minimale» atto a garantire «vivibilità di base» ai sin- goli manufatti, raggiungibile attra- verso l’iniziativa sostitutiva dei privati.
Da tale postulato, dato per im- plicito nella decisione, discende il corollario – rimasto indimostrato
– secondo cui il privato che edifica per primo in una zona verde non dovrebbe sopportare integralmen- te i costi delle urbanizzazioni «di zona», idonee cioè a servire anche le successive edificazioni (12).
Secondo il Consiglio di Stato il primo costruttore dovrebbe accol- larsi solamente i costi di quelle ope- re «necessarie e sufficienti perché il nuovo manufatto sia adeguatamen- te servito e nessun onere aggiuntivo ricada sulla comunità per la costru- zione». In altre parole, chi edifica per primo in zona non urbanizzata dovrebbe farsi carico solo delle ope- re necessarie all’inserimento «mini- male» del proprio manufatto e non dovrebbe, invece, provvedere alle urbanizzazioni dell’intera zona.
Il corollario, che mi sembra fondato su una lettura riduttiva del concetto di opera di urbanizzazio- ne, viene utilizzato come argo- mento per dimostrare la bontà del-
la soluzione proposta. Infatti, nella decisione si afferma, a dimostra- zione della possibilità di graduare il
Note:
(8) Infatti al potere di pianificazione ter- ritoriale compete indicare la previsione di edificabilità (in potenza), mentre ai programmi dei lavori pubblici compete attuare le urbanizzazioni in una deter- minata zona (consentendo, in concre- to, la successiva edificazione).
(9) Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 1996, n. 1254, in Foro amm., 1996, 2893.
(10) La sentenza si presta ad una critica circa l’interpretazione operata dall’art. 11 della l. n. 47/1985. Secondo tale nor- ma, l’amministrazione deve procedere all’annullamento della concessione solo
«ove non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative».
Tale possibilità si colloca, pertanto, in posizione antecedente e pregiudiziale rispetto all’esercizio del potere sanzio- natorio ed, anzi, relega quest’ultima a soluzione residuale.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittima una applicazione estensiva di tale prin- cipio, travalicando la stessa lettera della norma, che si riferisce esclusivamente ai «vizi delle procedure», limitando quin- di la «sanabilità» ai soli profili formali re- lativi al procedimento di rilascio della concessione.
Nel caso di specie l’opera realizzata con la concessione annullata contra- stava, invece, in termini «sostanziali» con la normativa edilizia, mancando le urbanizzazioni. Si è, tuttavia, affermato che, anche in tal caso, il privato può
«regolarizzare» la propria edificazione e rimuovere anche il «vizio sostanzia- le» presentando un atto unilaterale di impegno alla realizzazione in proprio delle urbanizzazioni mancanti.
Tale principio rischia di avvalorare una concezione dell’attività edificatoria che svuota di ogni rilievo autonomo la con- cessione–atto, apprezzando quale uni- co profilo di legittimità rilevante la con- formità alle previsioni degli strumenti urbanistici, da ciò arguendo che si pos- sa supplire, anche in via successiva, ad ogni diverso vizio, non solo del pro- cedimento, ma anche della concessio- ne–provvedimento.
Tale ricostruzione non pare cogliere come l’esercizio dello ius aedificandi, fatte salve le limitate ipotesi sottoposte a regime di denuncia di inizio attività in cui si è avuta una effettiva liberalizza- zione e l’ipotesi, ben diversa, prevista dall’art. 13 della legge 47/85, sia attività ancora fortemente «provvedimentaliz- zata» che risente direttamente degli ef- fetti di eventuali vizi del titolo concesso- rio.
(11) Cfr. già Cons. giust. amm., 27 feb- braio 1992, n. 57, in Cons. Stato, 1992, 298.
(12) Si pensi, per esemplificare, ad una strada di calibro ridotto o ad una con- dotta idrica o fognaria di portata mini- ma, atta a soddisfare esclusivamente le esigenze del fabbricato edificato per primo.
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livello di urbanizzazione di una zona, che «nulla induce a ritenere che il primo costruttore della zona debba servire i costruttori futuri con opere idonee alle loro even- tuali esigenze».
Questo ragionamento si presta ad una serie di critiche, sia in rela- zione alla tipologia e consistenza delle opere che il primo costrutto- re deve attuare, sia in relazione al- la natura ed entità del relativo im- pegno finanziario.
Una prima critica è di ordine strettamente formale.
Lo stesso art. 31 della legge ur- banistica, come modif. dalla l. n. 765/1967, consente infatti al pri- vato di surrogarsi all’amministra- zione comunale nel realizzare «le medesime opere» che questa do- vrebbe avere già attuato o accin- gersi ad attuare nel triennio (13).
La lettera della legge vuole quin- di affermare la fungibilità del sog- getto attuatore sottolineando, vice- versa, l’invarianza delle opere da attuare.
Un’altra critica muove dall’esa- me delle conseguenze patrimoniali per il costruttore.
Si è già detto come l’attività so- stitutiva del privato dovrebbe at- tuarsi, tendenzialmente, in condi- zioni di indifferenza economica. D’altra parte i costi che il privato incontra per realizzare direttamen- te le opere di urbanizzazione devo- no essere «scomputati» (14) dal to- tale del contributo di concessione altrimenti dovuto. Il privato, di re- gola, non dovrebbe essere gravato di oneri ulteriori rispetto a quelli che avrebbe comunque dovuto af- frontare versando il contributo cal- colato secondo le previsioni dell’art. 5 della l. 10/1977, salvo che le opere, come però spesso ac- cade, abbiano costi superiori.
In tali casi, secondo il Consiglio di Stato, si dovrebbe ridurre al mi- nimo l’impegno del privato, con- sentendogli di attuare opere di mo- desto rilievo, lasciando, tuttavia, che la eventuale differenza, che do- vesse ancora residuare fra quanto dovuto in applicazione delle tabel- le e quanto effettivamente speso, resti integralmente a carico del co- struttore stesso. L’esigenza di una indifferenza economica non risul- ta, quindi, del tutto soddisfatta.
Si noti, ancora, che rimane del tutto sullo sfondo, nel ragiona- mento del Consiglio di Stato, la si-
tuazione di chi utilizzerà le costru- zioni una volta realizzate. Tale situazione, invece, è al centro dell’attenzione del legislatore, e la sua considerazione era all’origine delle modifiche apportate all’art. 31 della legge urbanistica dalla legge n. 765/1967.
Infine, ancora pare impensabile che il primo costruttore possa edi- ficare solo una parte delle opere di urbanizzazione. Infatti le opere di cui si tratta sono spesso costituite da manufatti «indivisibili» di cui risulta strutturalmente impossibile una realizzazione frazionata in più soluzioni (15).
Una soluzione possibile ed ulteriori problemi
Ritengo che soluzione più equi- librata sia quella di non ammettere limitazioni circa la consistenza delle opere da attuare, preveden- do, invece, che la quota di costo in esubero possa essere recuperata dal costruttore attraverso un’azio- ne di arricchimento senza causa.
Questa azione potrebbe essere ammessa, innanzi tutto, nei confronti del Comune (16), che è il soggetto destinato ad acquisire la titolarità delle opere di urbanizzazione. D’al- tra parte il Comune, ammettendo il privato alla realizzazione diretta del- le opere, ne riconosce l’utilità, e que- sto requisito tradizionalmente con- nota l’actio de in rem verso nei confronti della P.A.
Si tenga presente che la decisio- ne del Consiglio di Stato ha affer- mato, fra l’altro, che l’amministra- zione comunale potesse limitarsi ad acquisire un atto unilaterale di impegno a realizzare le opere di ur- banizzazione (17), secondo una prassi ben consolidata.
La soluzione non mi convince del tutto, per due ordini di motivi. Si tenga presente che la disponibi- lità del privato deve essere oggetto di un apprezzamento di natura tec- nica (18) da parte dell’ammini- strazione. Ciò premesso, nell’am- bito di una apposita convenzione, al costruttore devono essere impo- ste a favore del Comune delle spe- cifiche garanzie circa il corretto adempimento degli obblighi as- sunti: questo risultato non pare possibile attraverso meri atti d’im- pegno unilaterali.
Inoltre non deve trascurarsi co- me a monte dell’atto convenziona-
le si debba collocare una sequenza di atti amministrativi aventi la fina- lità di verificare i profili finanziari, strutturali ed urbanistici che con- notano complessivamente l’attivi- tà sostitutiva del privato. Tale atti- vità, infatti, dovrà essere attuata secondo modalità tecniche tali da garantire un ottimale equilibrio co-
Note:
(13) La medesima indicazione si ricava anche dal testo dell’art. 11 della l. n. 10/1977 secondo cui il contributo di ur- banizzazione può essere «sostituito dalla realizzazione delle stesse opere».
(14) Si veda quanto previsto dall’art. 11 della legge 20 gennaio 1977, n. 10.
(15) Non appare condivisibile l’affer- mazione del Consiglio di Stato (sent. cit nel testo) secondo cui per le esigenze di un capannone sarebbe sufficiente una strada privata, si immagina di ridot- te dimensioni, funzionale solo a garan- tire accessibilità agli occupanti e non idonea a soddisfare esigenze viabilisti- che diffuse.
Infatti se il privato deve eseguire le
«medesime opere» che la X.X. xxxxxx- be realizzare in proprio è evidente co- me il privato non possa essere ammes- so a realizzare solo una quota parte di tali opere parametrata sull’incidenza del proprio utilizzo, né risulta possibile affermare che il privato possa realizza- re un segmento di tali opere od opere diverse o «minori».
(16) Da ultimo sull’azione di arricchi- mento senza causa nei confronti della P.A., Xxxx. Sez. un. 10 febbraio 1996, n. 1025, in Foro amm., 1996, 2574, con nota di Annunziata.
(17) Anche se nel nostro ordinamento l’atto unilaterale, secondo l’art. 1324 x.x., x xxxxxxxxxxx xx xxxxxxxx xxxx xxx xx- xx previsti dalla legge, la prassi ammini- strativa (avallata anche da alcune nor- me regionali) ammette il privato lo
«scomputo» delle opere di urbanizza- zione dal contributo di concessione non sulla base di una convenzione, ma sulla base di un mero atto unilaterale d’obbligo. A favore di questa prassi cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 giugno 1983, n. 220, in Foro amm., 1983, I, 1330.
(18) In particolare pare che il potere di ammettere il privato all’attuazione di- retta delle opere sia un potere vincola- to, mentre alla P.A. residua il potere di esprimere un giudizio di natura tecnica circa le modalità di intervento cui il pri- vato dovrà attenersi. In giurisprudenza:
«Il principio della alternatività del paga- mento con la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione è subordinato alla previa intesa con l’amministrazio- ne comunale e deve ritenersi che tale intesa non possa consistere solo nell’impegno del privato ad effettuarle ma abbisogni della stipula di apposita convenzione» Tar Marche, 28 aprile 1995, 182, in Foro amm., 1995, 2781.
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sti–benefici, in un’ottica di effica- cia della spesa pubblica. In sintesi, le opere di urbanizzazione realiz- zate direttamente dal privato, qua- lificabili come opere pubbliche in senso oggettivo (19), restano inte- gralmente sottoposte ai principi ge- nerali che regolano la materia dei lavori pubblici.
È chiaro che ammettere invece un mero atto unilaterale si traduce in una elusione sistematica di tutti questi doveri del Comune e nella
formazione di opere sganciate dal- la necessaria preventiva valuta- zione della parte pubblica.
Nota:
(19) Si è andato infatti affermando un concetto di opera pubblica in senso og- gettivo secondo cui tutte le opere di ur- banizzazione primaria debbono essere considerate opere pubbliche. Tale è anche l’opinione del Consiglio di Stato, sez. V, 3 ottobre 1992, n. 939, in Cons. Stato, 1992, I, 1303.
Diversa è la valutazione da riservare alle opere di urbanizzazione seconda- ria che possono consistere sia in opere pubbliche (quando la proprietà e la ge- stione debbano traslare in capo ad una P.A.) ovvero in opere di pubblico inte- resse (ove la proprietà delle stesse non debba traslarsi in capo ad una P.A., ad. es. si pensi ad una chiesa o ad un porto turistico), in termini, Xxxxxxx, op. cit., 271.
Cfr. Pallotino, Opere e lavori pubblici, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1995, X, 339; Galletto, Opere di urbanizzazione, in Dig. Disc. Priv., Torino, 1996, XV, 95.
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Dalla Gazzetta Ufficiale
NOVITA’ NORMATIVE (*)
a cura di Xxxxxxxxxx Xxxxxx
ACQUEDOTTI
Decreto del Ministero dei lavori pubblici 5 agosto 1997
Autorizzazione all’utilizzo delle economie di appal- to per l’esecuzione di lavori suppletivi e di variante di progetti originari in materia di acquedotti non di competenza statale finanziati con mutui da parte della Cassa depositi e prestiti a favore della regione Campania (G.U. 11 settembre 1997, n. 212)
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 20, comma 1, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, la Regione Campania è autorizzata ad utilizzare le economie, ammontanti complessivamente a L. 1.280.370.010, derivanti dall’appalto dei «lavori di completamento dell’acque- dotto – secondo lotto» del C.A.P.S. di Sorrento, finan- ziato per l’esecuzione dei lavori di variante tecnica e suppletivi al progetto originario.
ALIENAZIONE FABBRICATI
Legge della Regione Abruzzo 27 gennaio 1997, n. 7 Alienazione fabbricati provenienti dalla riforma fon- diaria di proprietà dell’Agenzia regionale per i Servi- zi di sviluppo agricolo (G.U. 20 settembre 1997, n. 38, 3a serie speciale, regioni)
Al fine della determinazione del prezzo di aliena- zione di cui all’articolo 1, punto 8, della l. n. 560/1993, per gli alloggi provenienti dalla riforma fondiaria che siano ubicati in zone disagiate dell’ex alveo del Fucino e fuori dei centri urbani, si stabilisce che la rendita catastale, presa a riferimento, è ridotta del 30%. All’articolo 5, precisa che le unità immobi- liari acquistati ai sensi della presente legge non pos- sono essere alienate per un periodo di dieci anni dalla data del contratto di acquisto e comunque fino a che non sia stato pagato interamente il prezzo.
La legge 24 dicembre 1993, n. 560 richiamata reca norme in materia di alienazione degli alloggi di edili- zia residenziale pubblica (pubblicata nella G.U. 31 dicembre 1993, n. 306).
In base a tale normativa sono alloggi di edilizia re- sidenziale pubblica quelli acquisiti, realizzati o recu- perati, ivi compresi quelli di cui alla legge 6 marzo 1976, n. 52, a totale carico o con concorso o con con- tributo dello Stato, della Regione o di enti pubblici ter- ritoriali, nonché con i fondi derivanti da contributi dei lavoratori ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 60, e successive modificazioni, dallo Stato, da enti pub- blici territoriali, nonché dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e dai loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale.
ANALISI DEL SUOLO
Decreto del Ministero per le politiche agricole 1° agosto 1997
Approvazione dei «Metodi ufficiali di analisi fisica del suolo» (G.U. 2 settembre 1997, n. 204, suppl.
ord., n. 173)
Il presente decreto, approva e rende ufficiali i me- todi di analisi fisica del suolo. Nelle sue premesse il decreto ricorda tra l’altro la Convenzione internazio- nale contro la desertificazione, negoziata nel 1994, sottoscritta dall’Italia e di prossima ratifica che ha dedicato una diffusa e particolare attenzione alle pro- blematiche di difesa, conoscenza e salvaguardia del suolo. Richiama ancora la dichiarazione della Confe- renza europea sullo sviluppo rurale tenuta a Cork del 1996 dove si è affermato che le politiche degli Stati membri dell’Unione europea devono promuovere lo sviluppo rurale che sostiene la qualità e la bellezza dei paesaggi rurali europei, con riferimento partico- lare alle risorse naturali, alla biodiversità e all’identi- tà culturale del territorio.
Richiama infine il rilievo che, per una valida poli- tica nazionale di programmazione dell’uso del suolo a fini agricoli, forestali ed altri ad essi collegati, va perseguita un’approfondita conoscenza dello stesso, nei suoi vari aspetti e che pertanto occorre, tra l’altro, definire al meglio le analisi da effettuare con l’indivi- duazione di metodi di analisi fisica conformi alle più recenti acquisizioni ed uniformi su tutto il territorio nazionale, coerenti con le tendenze e gli indirizzi co- munitari ed internazionali.
AREE NATURALI PROTETTE
Legge della Regione Abruzzo 13 gennaio 1997, n. 4
L.R. 8 giugno 1993, n. 24 modificata ed integrata con L.R. 25 novembre 1994, n. 89 sulla disciplina delle funzioni di controllo sugli atti dei parchi natu- rali e delle aree protette regionali. Ulteriori modifi- che ed integrazioni (G.U. 13 settembre 1997, n. 37, 3a serie speciale, regioni)
La presente legge, in conformità ai principi stabi- liti dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, disciplina il riordino del sistema delle autonomie locali e delle re- lative funzioni nelle materie indicate negli articoli 117, primo comma e 118, secondo comma della Co- stituzione nel rispetto dei principi di autodetermina- zione, cooperazione e programmazione socio–eco-
Nota:
(*) Per un’informazione completa si rimanda il lettore al Codice dell’Edilizia – Rassegna di legislazione regiona- le, IPSOA, per le sintesi di normativa regionale.
NORMATIVA
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URBANISTICA E APPALTI
n. 11/1997
nomica e secondo i criteri di sussidiarietà e flessibilità.
Deliberazione del Comitato per le aree naturali protette 2 dicembre 1996
Approvazione dell’aggiornamento, per l’anno 1996, del programma triennale per le aree naturali protette 1994–1996 (G.U. 13 settembre 1997, n. 214, suppl.
ord., n. 183)
Il presente programma, come previsto dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394, art. 4, comma 6, costituisce l’aggiornamento per l’anno 1996 del programma trien- nale per le aree naturali protette 1994–1996, (P.T.A.P. 1994–1996), deliberato dal Comitato per le aree natu- rali protette nella seduta del 18 dicembre 1995.
Ai sensi dell’art. 4, comma 1 lettera a), della legge 6 dicembre 1991, n. 394, fanno parte del sistema del- le aree naturali protette, oltre alle aree di reperimen- to, terrestri e marine, di cui agli articoli 34 e 36 della l. n. 394/1991 e all’articolo 31 della l. n. 979/1982:
a) le aree iscritte nell’Elenco ufficiale delle aree naturali protette, così come approvato dal Comitato per le aree naturali protette in data 2 dicembre 1996;
b) i territori che presentano caratteristiche natura- listiche ed ambientali tali da essere individuati quali zone umide di importanza internazionale ai sensi del- la convenzione di Ramsar, come da elenco allegato (allegato A);
c) i territori che presentano caratteristiche natura- listiche ed ambientali tali da essere individuati quali Zone di protezione speciale (ZPS) ai sensi della di- rettiva n. 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici;
d) i territori che presentano caratteristiche natura- listiche ed ambientali tali da essere individuati quali Zone di protezione speciale ai sensi della direttiva n. 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna sel- vatiche, ossia Siti di importanza comunitaria (SIC) designati dallo Stato mediante un atto regolamenta- re, amministrativo e/o contrattuale, nei quali siano applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conser- vazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o del- le popolazioni delle specie per cui l’area naturale è designata.
Decreto del Ministero dell’ambiente 14 luglio 1997 Trasferimenti dei finanziamenti attribuiti alle regioni e agli enti di gestione dei parchi nazionali, nella misu- ra del 95% di ciascuna assegnazione, nell’ambito del secondo Programma triennale per le aree naturali protette 1994–1996 e del relativo aggiornamento per l’anno 1996 (G.U. 12 settembre 1997, n. 213)
ATTIVITA’ ESTRATTIVE
Legge della Regione Friuli–Venezia Giulia 20 maggio 1997, n. 21
Determinazione transitoria del fabbisogno estrattivo in materia di sabbie e ghiaie e modifiche ai regimi autorizzativo e sanzionatorio di cui alle leggi regio- nali 18 agosto 1986, n. 35, e 27 agosto 1992, n. 25, in materia di attività estrattive. Modifiche alle leggi
regionali 14 giugno 1996, n. 22, e 24 gennaio 1997,
n. 5, in materia di smaltimento di rifiuti solidi (G.U. 27 settembre 1997, n. 39, 3a serie speciale, regioni)
BENI CULTURALI E STORICI
Legge della Regione Abruzzo 22 febbraio 1997,
n. 17
Disposizioni per il recupero e la valorizzazione delle capanne a tholos e delle case di terra cruda (G.U. 27 settembre 1997, n. 39, 3a serie speciale, regioni)
Decreto del Ministero per i beni culturali e am- bientali 12 giugno 1997
Dichiarazione di notevole interesse pubblico del cen- tro storico di Montefiore Conca e parte dell’area colli- nare circostante siti nel comune di Montefiore Conca in provincia di Rimini (G.U. 1° ottobre 1997, n. 229)
CALAMITA’ NATURALI
Ordinanza del Ministro dell’interno 28 settem- bre 1997, n. 2668
Interventi urgenti diretti a fronteggiare i danni con- seguenti alla crisi sismica iniziata il giorno 26 set- tembre 1997 che ha colpito il territorio delle regioni Marche e Umbria (G.U. 30 settembre 1997, n. 228)
Legge della Regione Piemonte 26 maggio 1997, n. 25
Interventi della Regione a seguito dell’incendio alla Cappella della Sindone, al Duomo di Torino e all’ala ovest del Palazzo Reale dell’11 aprile 1997 (G.U. 20 settembre 1997, n. 38, 3a serie speciale, regioni)
La Regione Piemonte partecipa alla realizzazione degli interventi alla Cappella della Sindone, al Duo- mo di Torino e all’ala ovest del Palazzo Reale resi ne- cessari dall’incendio che si è sviluppato la sera dell’11 aprile 1997.
Legge della Regione Umbria 13 maggio 1997, n. 19 Ulteriori modificazioni di alcuni articoli delle leggi regionali 1° luglio 1981, n. 34, 31 maggio 1982, n.
26 e 23 marzo 1995, n. 13, sulle attività di ripristino e ricostruzione delle opere e dei beni colpiti dal si- sma del 19 settembre 1979 e successivi (G.U. 20 set- tembre 1997, n. 38, 3a serie speciale, regioni)
COMUNITA’ MONTANE
Legge della Xxxxxxx Xxxxxxx 00 dicembre 1996,
n. 92
Modificazioni alla L.R. 18 agosto 1992, n. 39 con- cernente: «Riforma e riordino delle comunità mon- tane» (G.U. 13 settembre 1997, n. 37, 3a serie spe- ciale, regioni)
CONTRATTI DELLA P.A.
Decreto del Ministero del tesoro 4 agosto 1997 Approvazione della nuova formulazione degli arti- coli 56, 57 e 58 del capitolato d’oneri generali per le forniture e i servizi eseguiti a cura del provveditora- to generale dello Stato approvato con decreto mini- steriale del 28 ottobre 1985 (G.U. 25 settembre
1997, n. 224)
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URBANISTICA E APPALTI
n. 11/1997
Art. 56 – Collegio arbitrale: «Le controversie in- sorte fra il provveditorato generale dello Stato e l’im- presa possono essere risolte da un collegio arbitrale composto da tre persone: un magistrato della giusti- zia amministrativa, con funzioni di Presidente, no- minato dal Presidente del Consiglio di Stato, previa designazione da parte del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa; un dirigente nomina- to dall’amministrazione, scelto tra coloro che non abbiano attribuzioni nel servizio che ha posto in esse- re il contratto; e un arbitro designato dall’impresa; venendo a mancare, per qualsiasi causa durante il corso del giudizio arbitrale, uno degli arbitri, provve- de alla sua tempestiva sostituzione l’autorità o la par- te che aveva nominato l’arbitro mancante.
Disimpegna le funzioni di segretario del collegio un funzionario dell’amministrazione.
Il collegio arbitrale si riunisce presso l’ammini- strazione e decide secondo le norme di diritto, anche in ordine alle spese e agli onorari del giudizio.
Contro la pronuncia arbitrale è ammessa l’impu- gnazione secondo le disposizioni del codice di proce- dura civile.»;
Art. 57 – Richiesta di arbitrato: «La richiesta con cui si propone l’arbitrato può essere inoltrata a decor- rere dal giorno del ricevimento della lettera con cui vengono notificate all’impresa le decisioni dell’am- ministrazione adottate in via amministrativa, in ordi- ne alla vertenza ovvero dalla data del verbale redatto in ordine alle conclusioni dell’amministrazione sulla materia controversa.
La richiesta di arbitrato deve contenere chiara- mente i termini della controversia e l’indicazione della persona scelta come arbitro, e deve essere noti- ficata nella forma delle citazioni (a mezzo cioè di uf- ficiale giudiziario).
Subito dopo la notifica, a cura della parte più dili- gente, viene promossa la nomina del Presidente del collegio arbitrale.
Non formano oggetto di domanda di arbitrato le vertenze relative ai prodotti o materiali presentati al collaudo e quelle relative alle condizioni tecniche delle forniture, per le quali decide insindacabilmente l’amministrazione.»;
Art. 58 – Ricorso al giudice ordinario: «La parte attrice ha facoltà d’escludere la competenza arbitra- le, proponendo domanda davanti al giudice compe- tente, a norma delle disposizioni del codice di proce- dura civile e del testo unico 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modifiche e integrazioni.
La parte convenuta nel giudizio arbitrale ai sensi dell’articolo precedente ha facoltà, a sua volta, di escludere la competenza arbitrale. A questo fine, en- tro trenta giorni dalla notifica della domanda di arbi- trato, deve notificare la sua determinazione all’altra parte, la quale, ove intenda proseguire il giudizio, de- ve proporre domanda al giudice competente a norma del comma precedente.
I contratti inoltre possono escludere il ricorso al collegio arbitrale, in deroga ai precedenti articoli 56 e 57.
Dalla data del presente decreto rimangono abro- gati i corrispondenti articoli del capitolato d’oneri generale approvato con decreto ministeriale del 28 ottobre 1985.».
EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA
Legge della Regione Veneto 16 maggio 1997, n. 14 Modifiche ed integrazioni alla L.R. 2 aprile 1996, n. 10 «Disciplina per l’assegnazione e fissazioni dei ca- noni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica» (G.U. 6 settembre 1997, n. 36, 3a serie speciale, re- gioni)
EVENTI ALLUVIONALI
Ordinanza della Regione Toscana 15 settembre 1997, n. B/275
Eventi alluvionali del novembre 1996. Ordinanza del Ministero dell’interno delegato per il coordina- mento della protezione civile n. 2591 del 29 maggio 1997. Contributo straordinario per favorire la ripre- sa delle attività produttive nei territori colpiti dagli eventi alluvionali del novembre 1996 (G.U. 2 otto- bre 1997, n. 230)
GIUBILEO DEL 2000
Decreto della Presidenza del Consiglio dei Mini- stri (Ufficio del programma per Roma capitale) 24 giugno 1997
Modificazioni ed integrazioni del Piano degli inter- venti per il Giubileo (G.U. 3 settembre 1997, n. 205, suppl. ord., n. 174)
IMPATTO AMBIENTALE
Decreto del Presidente della Repubblica 7 agosto 1997
Proroga dei termini per la valutazione di impatto ambientale relativa al progetto delle opere mobili di bocche di porto della laguna di Venezia (G.U. 22 set- tembre 1997, n. 221)
RISERVE NATURALI
Legge della Regione Abruzzo 22 febbraio 1997,
n. 16
Istituzione della riserva naturale guidata «Gole del Sagittario» (G.U. 27 settembre 1997, n. 39, 3a serie speciale, regioni)
RISTRUTTURAZIONE IMMOBILI
Legge della Regione Valle d’Aosta 24 dicembre 1996, n. 47
Concessione di finanziamento al Comune di Aosta per la ristrutturazione dell’immobile destinato a dor- mitorio pubblico (G.U. 20 settembre 1997, n. 38, 3a serie speciale, regioni)
La Regione concede al Comune di Aosta un finan- ziamento per un importo non superiore a lire 1.000.000.000, per l’esercizio finanziario 1996, a co- pertura delle spese per la progettazione ed esecuzio- ne dei lavori di ricostruzione dell’immobile da adibi- re a dormitorio pubblico, sito in quel Comune (via Xxxxxxxx), nonché per l’acquisto degli arredi e la si- stemazione dell’area verde esterna.
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URBANISTICA E APPALTI
n. 11/1997
SALE SPETTACOLO
Legge della Regione Abruzzo 27 gennaio 1997, n. 6 Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 10 lu- glio 1996, n. 48 concernente «Attivazione delle ri- sorse necessarie alla costruzione, ristrutturazione, acquisizione e utilizzo di sale per ogni forma di spet- tacolo» (G.U. 20 settembre 1997, n. 38, 3a serie spe- ciale, regioni)
STRUTTURE DI VENDITA
Legge della Regione Basilicata 19 maggio 1997,
n. 22
Sospensione temporanea del rilascio dei nulla–osta regionali per l’apertura di grandi strutture di vendita (G.U. 20 settembre 1997, n. 38, 3a serie speciale, re- gioni)
Con la presente legge è sospeso l’iter amministra- tivo delle domande pervenute e/o che perverranno al- la Regione Basilicata volte ad ottenere il rilascio dei nulla–osta regionali per l’apertura di grandi strutture di vendita al dettaglio di cui agli articoli 26 e 27 della legge 11 giugno 1971, n. 426 fino all’approvazione delle indicazioni programmatiche e di urbanistica commerciale previste dall’articolo 30 del decreto ministeriale 4 agosto 1988, n. 375 e, comunque, non
oltre il 31 dicembre 1997.
STRUTTURE TURISTICHE
Legge della Regione Friuli–Venezia Giulia 18 aprile 1997, n. 17
Disciplina delle strutture ricettive turistiche nella Regione Friuli–Venezia Giulia (G.U. 30 agosto 1997, n. 35, 3a serie speciale, regioni)
La presente legge individua le strutture ricettive turistiche della regione Friuli–Venezia Giulia disci-
plinandone la tipologia, la classifica, l’apertura e le tariffe, anche in attuazione dei principi stabiliti dalla legge 17 maggio 1983, n. 217 e dalla legge 25 agosto
1991, n. 284.
VINCOLI PAESAGGISTICI
Decreto Assessoriale della Regione Sicilia 28 maggio 1997
Approvazione del piano territoriale paesistico dell’isola di Ustica (G.U. 9 settembre 1997, n. 210, suppl. ord., n. 179)
Con tale decreto, ai sensi dell’articolo 1 bis della
l. n. 431/1985 e dell’articolo 3 della L.R. n. 80/1977, è approvato il piano territoriale paesistico dell’isola di Ustica, risultante dagli elaborati grafici, dalle schede, dalla parte motivata e descrittiva delle norme di attuazione.
Con riferimento alle zone sottoposte a precedente vincolo paesaggistico, giusta D.P.R.S. n. 4756 del 25 agosto 1967 e dell’art. 1 della l. n. 431/1985, la So- printendenza per i beni culturali ed ambientali di Pa- lermo esercita la tutela paesaggistica in conformità alle disposizioni del suddetto piano territoriale paesi- stico.
ZONE MONTANE
Legge della Regione Basilicata 19 maggio 1997,
n. 23
Norme per la tutela e lo sviluppo delle zone montane (G.U. 20 settembre 1997, n. 38, 3a serie speciale, re- gioni)
Attiene alla tutela dello sviluppo della montagna. La normativa nazionale di riferimento è la legge 31 gennaio 1994, n. 97, (in G.U. 9 febbraio 1994, n. 32) recante: «Nuove disposizioni per le zone montane».
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URBANISTICA E APPALTI
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NOVITÀ 1997
CODICE CIVILE EDITIO MINOR
a cura di Xxxxx Xxxxxxxxxxx
IPSOA, 1997, III ed.
Il volume, alla sua terza edizione, contiene il testo del codice civile aggiornato al 1° gennaio 1997 ed è opportunamente annotato con la normativa collegata e le sentenze della Corte Costituzionale.
L’opera è completata dalla Costituzione, dai trattati comuni- tari in vigore e da un’ampia selezione di leggi complemen- tari ordinate per materia (tra le novità si segnalano: il D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, c.d. decreto Eurosim, e le disposi- zioni in materia di immigrazione in vigore dopo la mancata conversione del D.L. 13 settembre 1996, n. 477).
In appendice viene riportata la legge 31 dicembre 1996, n. 675 – Tutela delle persone ed altri soggetti rispetto al tratta- mento dei dati personali, la legge 31 dicembre 1996, n. 676
– Delega al Governo in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali e, per i soli punti di interesse per le materie civilistiche, la legge, collegata alla finanziaria 1997, 23 dicembre 1996, n. 662 e
il D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28
febbraio 1997, n. 30 (in addenda).
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Edilizia e urbanistica
LA RISERVA DI LEGGE NELLA DISCIPLINA
DELLE DESTINAZIONI FUNZIONALI
G
GIURISPRUDENZA
Costituzionale
Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n. 259 – Pres. Granata – Red. Onida (G.U., 1a serie spe- ciale 30 luglio 1997, n. 31)
L’art. 2, comma 1, della legge regionale dell’Xxxxxx– Romagna 8 novembre 1988, n. 46 – nel testo anterio- re alle modifiche ad esso apportate dall’art.16, com- ma 2, della legge regionale 30 gennaio 1995, n. 6 – è incostituzionale per violazione dell’art.117 Cost. in quanto viola il principio fondamentale della mate- ria, stabilito dall’art. 25, comma 4, della legge 28 febbraio 1985, in base al quale il mutamento di desti- nazione non è soggetto al regime della concessione edilizia quando non sia connesso con modificazioni strutturali dell’immobile.
... Omissis ...
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso per l’annul- lamento di un’ordinanza del Sindaco di un Comune, che ingiungeva al ricorrente il ripristino dell’origina- rio uso abitativo di un immobile di sua proprietà, adi- bito a ufficio, senza realizzazione di opere, in assenza di concessione edilizia, il Tribunale amministrativo regionale per l’Xxxxxx–Romagna, con ordinanza emessa il 3 novembre 1995, pervenuta a questa Corte il 19 settembre 1996, ha sollevato questione di legit- timità costituzionale, per contrasto con l’art. 117 del- la Costituzione, in relazione all’art. 25 della legge statale 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico–edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), dell’art. 2, comma 1, della legge regionale dell’Xxxxxx–Roma- gna 8 novembre 1988, n. 46 (Disposizioni integrative in materia di controllo delle trasformazioni edilizie ed urbanistiche) – nel testo anteriore alle modifiche ad esso apportate dall’art. 16, comma 2, della legge regionale 30 gennaio 1995, n. 6 (Norme in materia di programmazione e pianificazione territoriale, in at- tuazione della legge 8 giugno 1990, n. 142, e modifi- che e integrazioni alla legislazione urbanistica ed edilizia) –, «nella parte in cui impone ai Comuni l’in- dividuazione, in sede di pianificazione urbanistica, dei mutamenti di destinazione d’uso da assoggettare a concessione nonché l’obbligatorietà della conces- sione per taluni casi, anche se non connessi ad inter- venti edilizi, laddove la norma statale prevede come facoltativi gli interventi pianificatori dei Comuni, li consente con riferimento ad ambiti determinati e non con portata generale e, soprattutto, attribuisce ai Co- muni la potestà di assoggettare tali variazioni sola- mente ad autorizzazione».
La norma statale indicata come parametro interpo-
sto, vale a dire l’art. 25 della l. n. 47/1985, nel testo, oggi sostituito, cui fa riferimento il remittente, deman- da alla legge regionale di stabilire «criteri e modalità cui dovranno attenersi i Comuni, all’atto della predi- sposizione di strumenti urbanistici, per l’eventuale re- golamentazione, in ambiti determinati del proprio ter- ritorio, delle destinazioni d’uso degli immobili nonché dei casi in cui per la variazione di essa sia ri- chiesta la preventiva autorizzazione del Sindaco»; e dispone che «la mancanza di tale autorizzazione com- porta l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 10»
– relativo alle norme sanzionatorie per i casi di opere eseguite senza autorizzazione – «ed il conguaglio del contributo di costruzione se dovuto».
La disposizione regionale impugnata prevede che
«in sede di predisposizione degli strumenti urbanisti- ci i Comuni sono tenuti ad individuare le destinazioni d’uso degli immobili i cui mutamenti, anche non connessi a trasformazioni fisiche, sono subordinati a concessione fermo restando che la concessione è do- vuta qualora il mutamento comporti il passaggio dall’uno all’altro» dei cinque raggruppamenti di ca- tegorie di funzioni indicati dalla stessa norma. Tali ultimi mutamenti di destinazione sono compresi dall’art. 1, comma 1, lettera a, della stessa legge re- gionale – non impugnato in questa sede – tra le «va- riazioni essenziali rispetto alla concessione per gli effetti di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47»; a sua volta l’art. 6, comma 3, della legge, pure non impu- gnato, prevede che «ai fini sanzionatori di cui al capo I della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nel caso di mu- tamenti dell’uso non connessi a trasformazioni fisi- che, la demolizione e ripristino deve intendersi esclusivamente come rimozione dell’uso abusiva- mente posto in essere e ripristino dell’uso preceden- te, ovvero dell’uso stabilito od ammesso».
2. – Il Tar remittente premette che la medesima questione era stata sollevata con ordinanza del 21 di- cembre 1993 della stessa autorità (x.x. x. 458 del 1994), a seguito della quale questa Corte dispose, con l’ordinanza n. 182/1995, la restituzione degli atti al giudice a quo. Successivamente alla ordinanza di rimessione del 1993, erano infatti intervenuti, da un lato, la legge regionale dell’Xxxxxx–Romagna 30 gennaio 1995, n. 6, che all’art. 16, comma 2, aveva sostituito l’impugnato art. 2 della legge regionale n. 46/1988, dall’altro lato il decreto legge 27 marzo 1995, n. 88, che, all’art. 8, comma 12, aveva sostitui- to l’ultimo comma dell’art. 25 della legge statale n. 47/1985, indicata come norma interposta ai fini del giudizio di costituzionalità: onde si ritenne necessa- ria una nuova valutazione della rilevanza da parte del giudice a quo alla luce dello jus superveniens.
Secondo il remittente, poiché il provvedimento
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impugnato venne emanato nel vigore del primitivo testo della legge regionale n. 46/1988, alla cui stre- gua va valutata la sua legittimità, e poiché né la legge regionale n. 6/1995, modificativa della norma de- nunciata, né le modifiche apportate alla legge statale
n. 47/1985 dai decreti legge n. 88, n. 193, n. 310 e n. 400 del 1995, non convertiti in legge, operano re- troattivamente, la questione a suo tempo sollevata deve ritenersi ancora rilevante.
Confermate le valutazioni di non manifesta infon- datezza esposte nella precedente ordinanza (x.x. x. 458 del 1994), il giudice a quo ha disposto pertanto nuovamente la rimessione degli atti a questa Corte.
3. – Nel precedente atto introduttivo, che più am- piamente argomentava le censure di incostituzionali- tà sinteticamente riprese nell’ordinanza di rimessio- ne in esame, si rilevava che, imponendo ai Comuni di individuare, in sede di pianificazione urbanistica, i mutamenti di destinazione d’uso da assoggettare a concessione anche se non connessi ad interventi edi- lizi comportanti trasformazioni fisiche dell’ambien- te, si veniva a concretare una triplice violazione della norma statale di principio: in quanto quest’ultima prevedeva come facoltativi, e non obbligatori, gli in- terventi pianificatori del Comune in materia; in quanto li consentiva limitatamente ad ambiti deter- minati del territorio comunale, e non con portata ge- nerale; e, soprattutto, in quanto attribuiva al Comune la potestà di assoggettare le variazioni di destinazio- ne d’uso, in casi determinati, ad autorizzazione e non già a concessione. Inoltre sarebbe stata in contrasto con la legge statale anche la previsione diretta di fat- tispecie per le quali si imponeva la necessità di con- cessione, così comportando sostituzione e supera- mento di qualsivoglia valutazione del Comune.
4. – Si è costituito il Presidente della Giunta regio- nale dell’Xxxxxx–Romagna, chiedendo sia dichiarata l’inammissibilità per irrilevanza e l’infondatezza del- la questione.
In una memoria successivamente depositata la di- fesa della Regione eccepisce in primo luogo la inam- missibilità della questione sotto il profilo della rile- vanza, in ordine alla quale il remittente avrebbe motivato in modo sbrigativo e lacunoso. Secondo l’in- terveniente, la nuova legge regionale n. 6/1995, che ha mutato la denominazione dell’atto permissivo del Co- mune in quella di «autorizzazione» e ha reso più espli- cita la responsabilità del Comune nell’individuazione, in sede di pianificazione, delle zone soggette a vincolo specifico quanto ai mutamenti di destinazione d’uso, varrebbe come elemento interpretativo della legge impugnata.
In ogni caso, poiché il giudizio a quo verte sulla legittimità di un ordine di ripristino dell’uso origina- rio dell’immobile, a suo tempo ineseguito, e suscetti- bile di operare solo prescrivendo un futuro compor- tamento, dopo l’abrogazione della disposizione di legge regionale che prevedeva tale comportamento dovrebbe ritenersi inoperante anche il provvedimen- to che in essa trovava il suo presupposto legale: onde la questione di costituzionalità dovrebbe ritenersi or- mai irrilevante nel giudizio a quo.
In secondo luogo, il nuovo testo dell’art. 25 della
l. n. 47/1985, ora sostituito stabilmente dall’art. 2, comma 60, ultima parte, della l. n. 662/1996, e che
lascia al legislatore regionale la più ampia autonomia nella disciplina dei mutamenti delle destinazioni d’uso, sopprimendo i limiti precedentemente posti, non consentirebbe più di pervenire ad una dichiara- zione di illegittimità della legge regionale per una presunta «precedente incostituzionalità». Il vincolo derivante dalla legge statale a carico di quella regio- nale non attiene infatti, secondo l’interveniente, ai diritti costituzionali dei cittadini, ma solo alla neces- saria prevalenza dell’indirizzo politico statale rispet- to a quello regionale, onde il mutamento del primo, nel senso «fatto in anticipo proprio» dalla legge re- gionale, avrebbe sanato definitivamente ogni pre- sunto vizio della legge regionale medesima.
5. – In subordine l’interveniente ripropone gli ar- gomenti già svolti in relazione alla precedente ordi- nanza di rimessione, che dimostrerebbero l’infonda- tezza della questione.
La «concessione» di cui era parola nella legge re- gionale abrogata non si identificherebbe con la con- cessione edilizia prevista dalla legislazione statale, ma indicherebbe semplicemente il provvedimento comunale permissivo richiesto, e in relazione alla cui mancanza il cambiamento di destinazione d’uso sen- za opere era sanzionato solo con l’ordine di rimozio- ne dell’uso abusivo, al di fuori di qualsiasi sanziona- bilità in sede penale, che sarebbe riservata ai casi di esecuzione di lavori. Sotto questo profilo dunque la legge regionale impugnata non sarebbe stata in con- trasto con i principi fondamentali della legislazione statale.
Per quanto riguarda il carattere doveroso e non meramente facoltativo della disciplina comunale del mutamento di destinazione, postulato dalla legge im- pugnata, l’interveniente argomenta che la legge sta- tale consentiva alla Regione di fissare i criteri in base ai quali tale disciplina dovesse ritenersi o meno ne- cessaria.
In ordine poi all’estensione della disciplina impo- sta dalla legge regionale all’intero territorio del Co- mune, l’interveniente sostiene che essa non può dirsi arbitraria, in relazione alla situazione di una Regione dal territorio fittamente urbanizzato, e che comunque la legge regionale lasciava i Comuni totalmente libe- ri quanto alla sostanza della normativa.
L’interveniente sviluppa infine alcune considera- zioni sulla insufficienza e l’incongruità della disci- plina recata dal testo originario dell’art. 25 della leg- ge statale n. 47/1985, che non distingueva fra mutamento della destinazione determinata dalla con- cessione – il quale richiederebbe comunque un atto ricognitivo dell’amministrazione – e uso di fatto dif- forme da quello ufficiale, che può essere a seconda dei casi lecito o illecito. Il nuovo uso lecito porrebbe da un lato un problema di ordine economico, appa- rendo incongruo che esso, se diviene stabile, non comporti il conguaglio, ove dovuto, dei contributi corrisposti in sede di rilascio della concessione; dall’altro lato, problemi di carattere conoscitivo, do- vendosi consentire all’amministrazione di conoscere gli usi di fatto difformi da quelli ufficiali. Sul terreno sanzionatorio, mentre la legge statale si riferiva in- congruamente alle sanzioni di cui all’art. 10 della stessa legge, concepite essenzialmente per l’esecu- zione di opere, la legge regionale avrebbe invece le-
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GIURISPRUDENZA
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gittimamente prescelto la sanzione della rimozione dell’uso difforme, che costituisce il solo modo di da- re efficace tutela al bene protetto.
Anche per queste considerazioni, secondo l’inter- veniente, non si poteva ridurre il problema della di- sciplina amministrativa delle destinazioni d’uso ad una semplice «applicazione» del vecchio testo dell’art. 25 della legge statale n. 47/1985.
6. – Si è costituito il ricorrente nel giudizio princi- pale, chiedendo la dichiarazione di illegittimità co- stituzionale dell’art. 2 della legge regionale n. 46/1988, «in relazione all’articolo 1 della stessa leg- ge», per contrasto con l’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 25 della l. n. 47/1985.
Dopo aver ricordato le deduzioni svolte davanti al giudice a quo, la parte richiama le argomentazioni esposte nel precedente giudizio davanti alla Corte. In particolare rileva che il provvedimento impugnato davanti al Tar ha fatto applicazione della legge regio- nale n. 46/1988, onde solo rimuovendo la norma ap- plicata si può giungere ad una pronunzia di annulla- mento del provvedimento medesimo; e che le ragioni che militano a sostegno della illegittimità costituzio- nale della legge regionale sono le stesse che condus- sero la Corte a dichiarare costituzionalmente illegit- tima la legge regionale del Veneto n. 61/1985, con la sentenza n. 73/1991.
La parte privata critica poi le tesi sostenute dalla Regione nell’atto di invervento avanti alla Corte nel giudizio concluso con l’ordinanza n. 182/1995 (e ri- prese dalla difesa della Regione medesima nella me- moria sopra richiamata al punto 5). In particolare nega che la «concessione» di cui parla l’art. 2 della legge re- gionale n. 46/1988 (nel testo originario) sia qualcosa di diverso dalla concessione edilizia vera e propria, come conferemerebbe del resto il collegamento fra detto art. 2 e l’art. 1 della stessa legge, che considera
«variante essenziale» la modifica di destinazione d’uso senza trasformazioni fisiche, quando si realizzi un passaggio dall’uno all’altro dei raggruppamenti di categorie fissati dallo stesso art. 2, comma 1. Né po- trebbe deporre in senso contrario la previsione, nell’art. 6, comma 3, della legge regionale, della sola sanzione dell’ordine di ripristino dell’uso originario dell’immobile, trattandosi dell’unica sanzione ipotiz- zabile, in mancanza di opere edilizie. Poiché nel caso di specie si è ritenuto illegittimo il cambiamento di de- stinazione d’uso in assenza di concessione, e si è fatta applicazione dell’art. 7 della l. n. 47/1985, inteso a re- primere appunto gli abusi posti in essere in assenza di concessione, tanto basterebbe per giungere ad una de- claratoria di illegittimità costituzionale della legge re- gionale.
Deduce la difesa della parte che, discostandosi da quanto previsto dall’art. 25 della legge statale n. 47/1985, il legislatore regionale, con la norma impu- gnata, ha dato prescrizioni dirette ed immediatamen- te operative in alcune ipotesi, sottoponendo ad auto- rizzazione o a concessione il cambio d’uso senza necessità del filtro dello strumento urbanistico. Si sa- rebbe fatto ricorso ad un meccanismo in forza del quale si determina un obbligo generale di ottenere una autorizzazione o una concessione per potere ope- rare un cambio d’uso senza trasformazioni fisiche, imponendo una valutazione indifferenziata dell’in-
tero territorio comunale, e non di singoli ambiti terri- toriali. La norma statale interposta circoscriverebbe ad un ristretto quadro i limiti apponibili alla libertà di fruizione degli immobili, in conformità all’art. 42 della Costituzione.
La difesa del Mezzetti si sofferma quindi sulle modifiche recate alla legge impugnata dalla nuova normativa dettata dalla Regione con la legge 30 gen- naio 1995, n. 6, che, in particolare, ha sostituito inte- gralmente l’art. 2, eliminando ogni riferimento alle concessioni edilizie, ed ha evitato di porre delle pre- scrizioni dirette, facendo invece rinvio alle previsio- ni urbanistiche dei Comuni, divenuti unici soggetti destinatari della legge.
La nuova legge, prosegue, non ha tuttavia regolato le situazioni pregresse, rivolgendosi solo al futuro, sicché la rilevanza della questione resta immutata: solo con la caducazione della norma, infatti, si può giungere all’annullamento dell’ordine di ripristino dell’uso abitativo (vengono richiamate, in proposito, l’ordinanza n. 583 del 1988 e la sentenza n. 260 del 1986, relative ad ipotesi di ius superveniens che ha tuttavia lasciato nei termini originari la situazione del rapporto all’esame del giudice a quo).
Considerato in diritto
1. – La censura di illegittimità costituzionale, ri- proposta dal giudice remittente a cui gli atti erano sta- ti restituiti con l’ordinanza n. 182/1995 di questa Corte, ha per oggetto il testo originario dell’art. 2, comma 1, della legge regionale dell’Xxxxxx–Roma- gna 8 novembre 1988, n. 46, per contrasto con i prin- cipi espressi nel testo a sua volta originario dell’art. 25 della legge statale 28 febbraio 1985,n . 47, e con- seguentemente con l’art. 117 della Costituzione.
Sia la disposizione impugnata, sia la norma statale indicata come parametro interposto, non sono oggi più in vigore. In particolare, l’art. 2 della legge regio- nale n. 46/1988 è stato sostituito dall’art. 16, comma 2, della legge regionale 30 gennaio 1995, n. 6; e l’art. 25, ultimo comma, della legge statale n. 47/1985, già sostituito – con testi non uniformi – da una serie di decreti legge reiterati, a partire dal d.l. n. 88/1995 e fino al d.l. n. 495/1996, tutti decaduti per mancata conversione in legge, è stato infine sostituito – con un testo ancora diverso – dall’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di raziona- lizzazione della finanza pubblica), contenente una nuova formulazione dell’art. 4 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito con modificazioni dalla leg- ge 4 dicembre 1993, n. 493: il comma 20 di tale ulti- mo articolo reca un nuovo testo di detto art. 25, ulti- mo comma, della l. n. 47/1985. In quest’ultima formulazione si demanda interamente alla legge re- gionale la possibilità di stabilire quali mutamenti di destinazione d’uso, connessi o non connessi a tra- sformazioni fisiche, siano subordinati a concessione, e quali ad autorizzazione: così rimuovendo i vincoli alla legislazione regionale che discendevano, in ma- teria, dal precedente testo, e rispetto ai quali si è posto il problema della conformità o meno della legge re- gionale impugnata. Il comma 61 del citato art. 2 della legge n. 662 del 1996, a sua volta, ha disposto la sal- vezza degli effetti di tutti i decreti legge precedente- mente succedutisi, e sopra ricordati.
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2. – L’eccezione sollevata dalla Regione interve- nuta, secondo cui la questione dovrebbe ritenersi irri- levante per l’avvenuta abrogazione e sostituzione della disposizione impugnata ad opera della legge re- gionale n. 6/1995, non può essere accolta.
Tale sopravvenienza normativa è stata infatti va- lutata dal giudice a quo, a cui questa Corte aveva all’uopo restituito gli atti con l’ordinanza n. 182/1995: ed esso ha ritenuto tuttora sussistente la ri- levanza della questione, con motivazione non im- plausibile, riferita alla necessità di valutare la legitti- mità dell’atto amministrativo impugnato alla luce della disciplina regionale in vigore all’epoca della sua emanazione, ancorché poi (non retroattivamen- te) modificata.
3. – Del pari non può accogliersi l’ulteriore pro- spettazione della Regione intervenuta, secondo cui l’avvenuta sostituzione della norma statale di princi- pio – invocata come parametro interposto ai fini della valutazione di legittimità costituzionale della dispo- sizione regionale impugnata – con una norma che ha fatto venir meno i vincoli preesistenti, che si sostiene fossero violati dalla medesima disposizione impu- gnata, ne precluderebbe la dichiarazione di illegitti- mità costituzionale.
A tal fine non è necessario risolvere il delicato problema degli effetti che produrrebbe, in ordine alla validità e all’efficacia della legge regionale preesi- stente, in ipotesi contrastanti con un principio fonda- mentale della legislazione statale, ad essa anteriore, la sopravvenienza di una legge statale recante nuovi principi, con i quali la legge regionale risulti invece compatibile.
Nella specie è decisivo il rilievo che la norma sta- tale di principio, con la quale si sostiene contrastas- se la disposizione di legge regionale impugnata, è rimasta in vigore per l’intero arco temporale di vi- genza di quest’ultima. Quando è sopravvenuta la nuova norma statale (la prima volta con l’art. 8 com- ma 4, del d.l. 27 marzo 1995, n. 88, a voler tenere conto della «catena» di decreti legge reiterati e non convertiti, della clausola di sanatoria dei loro effetti successivamente inclusa nell’art. 2, comma 61, del- la l. n. 662/1996) la disposizione regionale impu- gnata era già stata abrogata e sostituita dall’art. 16 della legge regionale 30 gennaio 1995, n. 6. Onde la norma regionale che il giudice a quo afferma di do- ver applicare è sempre rimasta, per l’intero arco del- la sua vigenza, nei medesimi rapporti con la norma- tiva statale di principio, rispetto alla quale il remittente rileva un contrasto tale da determinarne l’illegittimità.
Una volta dunque presupposto – come motivata- mente assume il giudice a quo – di dover fare appli- cazione di quella norma regionale, in quanto atta, in ragione del tempo, a qualificare la fattispecie, non si può sfuggire all’esigenza di risolvere la questione di costituzionalità che con riguardo ad essa si pone, per contrasto con i principi della legislazione statale vi- genti all’epoca in cui essa era in vigore.
È evidente poi che la soluzione della questione, ri- ferendosi ad una situazione normativa ormai supera- ta, non è suscettibile di aver alcun riflesso sui rappor- ti fra successiva legislazione regionale in materia e legislazione statale a sua volta sopravvenuta.
4. – Nel merito, la questione è fondata nei limiti di seguito precisati.
Il giudice a quo indica quattro ragioni di contrasto della norma regionale con i principi di quella statale: il carattere obbligatorio e non facoltativo della disci- plina comunale dei mutamenti di destinazione d’uso senza opere; la diretta statuizione di casi in cui tali mu- tamenti sono sottoposti a concessione, senza il «filtro» delle scelte urbanistiche del Comune; l’estensione di tale disciplina all’intero territorio e non solo ad ambiti determinati del Comune; infine, la previsione della concessione e non dell’autorizzazione come strumen- to di controllo di tali mutamenti.
Di queste ragioni di contrasto, la prima non sussi- ste: il rinvio ad una regolamentazione «eventuale» delle destinazioni d’uso, contenuto nella norma sta- tale, non significa che la legge regionale, cui veniva demandata la statuizione dei criteri per la disciplina della materia, non potesse disporre che tale regola- mentazione fosse obbligatoria per i Comuni.
Anche la seconda ragione di asserito contrasto è superabile: la statuizione regionale, secondo cui in ogni caso determinate variazioni erano soggette a concessione, può intendersi nel senso che comunque si richiedeva il preventivo intervento dello strumento urbanistico comunale. Né il vincolo così creato a ca- rico dei Comuni è in contrasto con la norma statale, che demandava alla legge regionale il compito di sta- bilire «criteri e modalità» cui i Comuni, all’atto della predisposizione degli strumenti urbanistici, «do- vranno attenersi».
Al contrario, la norma regionale è irrimediabil- mente in contrasto con quella statale là dove estende la necessaria regolamentazione all’intero territorio del Comune e non solo ad «ambiti determinati» di es- so (cfr. sentenza n. 73/1991): né l’opportunità, fatta valere dalla Regione, di tener conto di un territorio fittamente urbanizzato può valere a consentire il su- peramento di un vincolo recato da una norma di prin- cipio statale.
Parimenti in contrasto con la norma statale è la previsione della sottoposizione dei mutamenti di de- stinazione senza opere a concessione comunale, an- ziché a semplice autorizzazione.
In primo luogo, non può ritenersi che la «conces- sione» comunale, a cui la norma regionale assoggetta- va determinati mutamenti di destinazione d’uso senza opere, sia qualcosa di diverso dalla concessione edili- zia alla quale si riferisce la legge statale n. 47/1985, e ancor prima l’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. La distinzione fra concessione e autorizzazione, infat- ti, è netta nella legislazione statale, anche ai fini delle sanzioni applicabili nei casi di mancanza dell’una e dell’altra (cfr. gli artt. 7 e 20, e, rispettivamente, l’art. 10 della l. n. 47/1985), né si può ritenere che la legge regionale, successiva a quella statale, l’abbia ignorata. D’altra parte, che la norma impugnata intendesse rife- rirsi proprio alla concessione edilizia, è confermato anche dal fatto che l’art. 1, comma 1, lettera a, della legge regionale n. 46/1988 ricomprendeva i muta- menti di destinazione d’uso, anche non connessi a tra- sformazioni fisiche, che comportassero il passaggio dall’uno all’altro dei raggruppamenti di categorie in- dicati nell’impugnato art. 2, comma 1, fra le «varia- zioni essenziali rispetto alla concessione per gli effetti
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di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47». Inoltre l’art. 6, comma 3, della stessa legge regionale, nel dettare la disciplina sanzionatoria per i casi di mutamenti dell’uso non connessi a trasformazioni fisiche, faceva riferimento non già all’art. 10 della l. n. 47/1985, ma genericamente ai «fini sanzionatori di cui al capo I della legge» medesima, nonché alla «demolizione» e al «ripristino», che la legge statale menziona, nell’art. 7, a proposito delle opere eseguite senza concessione (pur stabilendo, la norma regionale, che demolizione e ripristino debbono «intendersi esclusivamente» co- me rimozione dell’uso abusivo e ripristino dell’uso precedente o di quello stabilito o ammesso).
5. – Il contrasto, per le parti indicate, con la norma statale comporta necessariamente la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma regionale de- nunciata: infatti la norma statale invocata nella spe- cie, essendo rivolta proprio ai legislatori regionali, per demandare loro una determinata disciplina, ma anche per vincolarne le scelte, esprime principi che limitano, ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, l’autonomia di quei legislatori nell’esercizio della loro competenza «concorrente».
... Omissis ...
Nota
Il Tribunale regionale per l’Xxxxxx–Romagna, con ordinanza emessa il 3 novembre 1995, rimette all’at- tenzione della Corte la verifica della legittimità costi- tuzionale della disciplina dettata dall’art. 2, comma 1, della legge regionale 8 novembre 1988, n. 46 – nel testo anteriore alle modifiche ad esso apportate dall’art. 16, comma 2, della legge regionale 30 gen- naio 1995, n. 6 – «in relazione all’art. 1 della stessa legge», per contrasto con l’art. 117 della Cost. in rela- zione all’art. 25 della l. n. 47/1985.
È ben noto che sia la disposizione impugnata, sia la norma statale indicata come parametro interpo- sto, non siano oggi più in vigore. In particolare, l’art. 2 della l.r. n. 46/1988 è stato sostituito dall’art. 16, comma 2, della l.r. n. 6/1995; e l’art. 25, ult. comma, della l. n. 47/1985 è stato da ultimo sostitui- to dall’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre
1996, n. 662.
Precisamente l’art. 16, comma 2, della l.r. 30 gen- naio 1995, n. 6 dispone che «Fermo restando quanto disposto dagli artt. 35 e 36 della l.r. n. 47/1978 per le zone omogenee A, gli strumenti urbanistici e le loro varianti possono individuare in ambiti determinati del territorio comunale le destinazioni d’uso compa- tibili degli immobili nel rispetto dei limiti, vincoli e standards fissati dalle norme vigenti»; l’art. 2, com- ma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 prevede, invece, che «Le leggi regionali stabiliscono quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordi- nare a concessione e quali mutamenti connessi e non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immo- bili o di loro parti e siano subordinati ad autorizzazio- ne».
In questa sede si intende solo sottolineare quali siano i problemi applicativi, introdotti dalla nuova legge statale, dal momento che questi sono tuttora
oggetto di interpretazione sia da parte della dottrina sia da parte della giurisprudenza.
Nel nuovo testo dell’ultimo comma dell’art. 25, così come modificato dalla l. n. 662/1996, non ritro- viamo una disciplina sostanziale per i nuovi muta- menti d’uso da recepire negli strumenti urbanistici, ma solo obblighi procedurali.
Non vi è più il riferimento ad «ambiti determinati» contenuto nell’originaria formulazione dell’art. 25 della l. n. 47/1985, che richiama la zonizzazione qua- le modalità fondamentale attraverso cui deve passare la pianificazione dei mutamenti d’uso.
Si può, quindi, affermare che, al di là dei profili procedurali ed autorizzatori, il modificato ultimo comma dell’art. 25 non ha apportato significative modificazioni nel regime dei cambi d’uso.
La Corte, tuttavia, non ha accolto l’eccezione sol- levata dalla Regione intervenuta, secondo cui la que- stione dovrebbe ritenersi irrilevante per l’avvenuta abrogazione e sostituzione della disposizione impu- gnata ad opera della l.r. n. 6/1995.
Nella specie la Corte ha ritenuto decisivo che la norma statale di principio, con la quale si sostiene contrastasse la disposizione di legge regionale impu- gnata, è rimasta in vigore per l’intero arco temporale di vigenza di quest’ultima.
La vexata quaestio delle modifiche di destinazio- ne d’uso, effettuate senza esecuzione di opere edili- zie, si arricchisce quindi per effetto della pronuncia in commento di un ulteriore e rilevante capitolo, che offre lo spunto per svolgere considerazioni sui rap- porti legge statale – legge regionale.
La norma, oggetto diretto del sindacato della Cor- te, collide con i parametri di principio della materia individuati dall’art. 25, comma 4, della legge 28 feb- braio 1985, n. 47, che demanda alla legge regionale il compito di stabilire «criteri e modalità cui dovran- no attenersi i Comuni, all’atto della predisposizione di strumenti urbanistici, per l’eventuale regolamen- tazione, in ambiti determinati del proprio territorio, della destinazione d’uso degli immobili, nonché dei casi in cui per la variazione di essa sia richiesta la pre- ventiva autorizzazione del Sindaco».
Si ricava dalla lettura della suddetta norma statale che i criteri posti in sede di legge regionale sono poi filtrati ed attuati in sede di strumento urbanistico.
Il legislatore ha voluto così subordinare lo ius utendi alla disciplina degli strumenti urbanistici, solo a seguito di espressa legge regionale.
La Corte, dovendo giudicare della costituzionalità della legge regionale impugnata e facendo riferimen- to pertanto alla legislazione statale di principio allora vigente, ha ritenuto che l’assoggettamento al con- trollo dell’amministrazione del mutamento di desti- nazione «funzionale» è subordinato ad un preventivo apprezzamento di insieme del territorio. Tale apprez- zamento è volto alla verifica della sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità con il territo- rio urbanistico.
Viene così dichiarata l’incostituzionalità della normativa – come quella della Regione dell’Xxxxxx– Romagna – che si è sostituita ai Comuni assoggettan- do direttamente i mutamenti di destinazione senza opere a concessione comunale, anziché a semplice autorizzazione.
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Le ragioni che militano a sostegno della illegitti- mità costituzionale della legge regionale in questio- ne sono le stesse che condussero la Corte a dichiarare costituzionalmente illegittima la legge regionale del Veneto n. 61/1985 con la decisione n. 73/1991, in Fo- ro it., 1991, I, 1989.
La Corte, in sostanza, anche con la suddetta prece- dente pronuncia ha sostenuto che la determinazione della concreta disciplina dei modi di utilizzazione degli immobili sul territorio deve avvenire solo nel momento finale dell’iter normativo previsto, cioè
«nell’atto amministrativo» di pianificazione urbani- stica comunale.
Con la pronuncia in esame, quindi, la Corte non fa che ribadire il ruolo del Comune nella disciplina delle modifiche delle destinazioni d’uso. Ruolo che è di necessario filtro delle regole dettate a livello su- periore, in quanto tale disciplina deve essere subor- dinata ad un preventivo apprezzamento del territo- rio.
Il richiamato apprezzamento risulta, peraltro, pos- sibile solo al momento della pianificazione del terri- torio stesso.
La legge regionale, oggetto diretto del sindacato della Corte, anziché disciplinare il potere di regola- mentare, in ambiti determinati del territorio, le desti-
nazioni d’uso, si sostituisce invece ai Comuni nell’assoggettare indiscriminatamente tutti i muta- menti di destinazione d’uso.
La decisione in commento delinea pertanto con precisione un sistema di disciplina urbanistica, che mette capo, quanto «ai criteri e modalità», alla pote- stà legislativa delle Regioni e, quanto alla sua appli- cazione, alla potestà amministrativa dei Comuni.
La disciplina dello ius utendi risulta così una ma- teria soggetta alla riserva di legge (relativa), ai sensi dell’art. 42, comma 2, Cost.
In altri termini, seguendo il ragionamento della Corte, la legge ordinaria deve contenere gli elementi ed i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’Amministrazione. Proprio l’art. 25 della l. n. 47/1985, che ha dato un contributo decisivo alla solu- zione della controversia, si pone in linea con il sud- detto indirizzo garantista. Richiede, infatti, una legge (legge regionale) e l’atto amministrativo (strumento urbanistico di pianificazione del territorio).
Si può concludere che la legge regionale deve solo contenere i criteri ed i principi fondamentali, cui de- ve attenersi la P.A. in sede di pianificazione al fine di evitare che quest’ultima attività si svolga in maniera del tutto discrezionale.
C. C.
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Diritto costituzionale
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxx Xxxxx
DECISIONIDELLACORTE
nella specie il principio di cui all’art. 25 Cost. risulta
GIURISPRUDENZA
rispettato in quanto i «biocidi», contemplati dalla nor-
Osservatorio
Ambiente
Corte costituzionale, ordinanza 23 luglio 1997, n. 270 – Pres. Granata – Red. Mirabelli (G.U. 1a se- rie speciale, 6 agosto 1997, n. 32)
È manifestamente infondata la questione di legitti- mità costituzionale in riferimento agli artt. 25, com- ma 2, e 3 della Costituzione, degli artt. 9 e 18 del
d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 132 (attuazione della di- rettiva n. 80/68/CEE concernente la protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose), in base al numero 2 dell’allegato elenco II, nella parte in cui sanzionano lo scarico abusivo di biocidi.
Con ordinanza emessa il 23 settembre 1996, nel corso di procedimento penale promosso in relazione alla condotta di scarico senza autorizzazione nel sot- tosuolo di acque reflue contenenti una sostanza bio- cida (difenilammina), il Pretore di Trento, sezione distaccata di Mezzolombardo, ha sollevato questio- ne di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 25, capoverso, e 3 della Costituzione, degli artt. 9 e 18 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 132 (attuazione della direttiva n. 80/68/CEE concernente la prote- zione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose) in base al numero 2 dell’allegato elenco II, che comprende i
«biocidi e loro derivati» tra le sostanze che possono avere un effetto nocivo sulle acque sotterranee ed il cui scarico non autorizzato è sanzionabile ai sensi della legge 10 maggio 1976, n. 319, recante «Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento».
A parere del giudice rimettente l’uso del termine generico «biocidi» comporterebbe, con la vulnera- zione degli invocati parametri costituzionali, e se- gnatamente del principio di tassatività delle fattispe- cie penali, una obiettiva incertezza circa gli elementi costitutivi del reato, essendo diverse in ambito scien- tifico le valutazioni su «ciò che deve definirsi bioci- da». Di qui, alla luce della discrezionalità del giudice in sede di individuazione delle sostanze de quibus e di enucleazione del reato, la possibilità di innescare, con vulnerazione dell’art. 3 Cost., ingiustificate di- sparità di trattamento.
La Corte delle leggi respinge in modo perentorio la questione di costituzionalità.
È pacifico, esordisce la Consulta, che la legge, nel delineare i fatti penalmente rilevanti, può ricorrere a locuzioni di uso comune o a termini il cui significato può essere ricavato da nozioni non giuridiche, purché sia comprensibile e sufficientemente determinata la condotta penalmente sanzionata. Tanto premesso,
xxxxxx comunitaria alla quale si è data esecuzione con la legge in esame e conosciuti nel linguaggio tecnico– scientifico, rientrano nel catasto nazionale dei rifiuti speciali. Trattasi inoltre di sostanze prese in conside- razione dal legislatore nel sistema di tutela ambienta- le, accanto ai pesticidi ed alle sostanze fitofarmaceuti- che, in sede di enucleazione di altre fattispecie di reato. In definitiva, attesa l’ampia conoscenza del ter- mine in ambito scientifico, la condotta sanzionata pe- nalmente, in una materia necessariamente tecnica, è sufficientemente determinata. Ne deriva, oltre al ri- spetto dell’art. 25 Cost., l’assenza di ogni violazione dell’art. 3 Cost., posto che l’individuazione del pre- supposto del reato non è legata alla discrezionalità del giudice e, quindi, non è idonea ad ingenerare ingiusti- ficate disparità di trattamento.
La compatibilità con l’art. 25 Cost. del ricorso del
legislatore penale, in sede di descrizione del reato, a termini di uso comune o il cui significato possa essere desunto alla luce di nozioni non giuridiche è stata a più riprese sostenuta dalla Consulta. Cfr. tra le tante Xxxxx Xxxx., 00 luglio 1995, n. 414 (in Cons. Stato, 1995, II, 1325): «Non viola i principi di stretta legalità, di ra- gionevolezza e di personalità della responsabilità pe- nale (di cui agli artt. 25, 3 e 27 Cost.) l’art. 589 c.p., in tema di omicidio xxxxxxx, in relazione agli artt. 1 e 2, legge 29 dicembre 1993, n. 578, sulla definizione unitaria del concetto di morte come cessazione irre- versibile delle funzioni cerebrali, essendo consentito, nella descrizione della fattispecie penale, fare ricorso ad elementi – scientifici, etici, di fatto o di linguaggio comuni – ed a nozioni proprie di discipline giuridiche non penali e tenuto conto, inoltre, che il rinvio anche implicito alle predette fonti esterne, pur quando si sia verificato un mutamento delle stesse rispetto al mo- mento in cui la norma penale fu emanata, costituisce una consentita forma di interpretazione logico–siste- matica, di tipo assiologico e rispondente al principio dell’unità dell’ordinamento, e non implica il ricorso, indebito in campo penale, all’analogia».
In conformità Xxxxx Xxxx., 00 luglio 1996, n. 312
(in Foro it., 1996, I, 2957): «È infondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costi- tuzionale dell’art. 41, comma 1, d.lgs. 15 agosto 1991 n. 277, nella parte in cui impone al datore di la- voro di ridurre al minimo, in relazione alle conoscen- ze acquisite in base al progresso tecnico, i rischi deri- vanti da esposizione al rumore mediante misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili, privilegiando gli interventi alla fonte, in ri- ferimento agli artt. 25, comma 2 e 70 Cost.» (la Corte precisa in motivazione che per misure concretamente attuabili debbono intendersi quelle che, nei diversi settori e nelle differenti lavorazioni, corrispondono
costituzionale
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ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti organizzativi e procedurali altret- tanto generalmente acquisiti, sicché, penalmente censurata è soltanto la deviazione dei comportamenti dell’imprenditore dagli standards di sicurezza pro- pri, in concreto e al momento, delle diverse attività produttive).
Silenzioassenso
Corte costituzionale, ordinanza 23 luglio 1997, n. 267 – Pres. Granata – Red. Chieppa (G.U. 1a serie speciale, 6 agosto 1997, n. 32)
È inammissibile, per difetto di rilevanza, la questio- ne di legittimità costituzionale dell’art. 1 bis, comma 3, del d.l. 29 marzo 1995, n. 96, recante «Interventi per la salvaguardia di Venezia e l’adeguamento dei sistemi di smaltimento delle acque usate e degli im- pianti igienico–sanitari nei centri storici e nelle isole dei Comuni di Venezia e Chioggia», introdotto con la legge di conversione 31 maggio 1995, n. 206, nella
parte in cui, in violazione degli artt. 3, 9, 10, 11, 32,
97, 117 e 118 della Costituzione, prevede la forma- zione del silenzio assenso per gli interventi edilizi di trasformazione e modifica del territorio lagunare. È altresì inammissibile la questione di legittimità co- stituzionale dell’art. 5 della legge 16 aprile 1973, n. 171, recante «Interventi per la salvaguardia di Vene- zia», nella parte in cui, in violazione dei medesimi parametri costituzionali, non contempla la presenza di esponenti della Regione nella Commissione per la salvaguardia di Venezia chiamata ad esprimere pa- rere vincolante per gli interventi in parola.
Nell’ambito di due distinti procedimenti penali il Pretore di Venezia ha dubitato della legittimità costi- tuzionale dell’art. 1 bis, comma 3, del d.l. 29 marzo 1995, n. 96, recante «Interventi per la salvaguardia di Venezia e l’adeguamento dei sistemi di smaltimento delle acque usate e degli impianti igienico–sanitari nei centri storici e nelle isole dei Comuni di Venezia e Chioggia», introdotto con la legge di conversione 31 maggio 1995, n. 206.
Soggetta a censura risulta in particolare la previ- sione a tenore della quale ove la Commissione per la salvaguardia di Venezia, deputata alla formulazione di parere vincolante sugli interventi di modifica del territorio nell’ambito della conterminazione laguna- re, non si pronunci entro un certo termine in via espressa, il parere si intende reso in senso favorevole. Il Giudice rimettente reputa al riguardo che la pre- disposizione del meccanismo del silenzio assenso non possa trovare applicazione per le domande o ri- chieste di interventi di trasformazione e modifica del territorio lagunare, compreso nella conterminazione, oggetto di specifica tutela ambientale e paesaggisti- ca, ponendosi in contrasto, oltre che con il principio di eguaglianza rispetto a coloro i quali abbiano otte- nuto il provvedimento concessorio espresso, con una pluralità di norme costituzionali (artt. 3, 9, 10, 11, 32, 97, 117 e 118 della Costituzione), poste a presidio di
principi ed interessi fondamentali.
Agli strali pretorili si espone altresì l’art. 5 della
legge 16 aprile 1973, n. 171, recante «Interventi per la salvaguardia di Venezia», nella parte in cui non con- templa la presenza di esponenti della Regione nella ci- tata Commissione per la salvaguardia di Venezia, con- fliggendo con i menzionati parametri costituzionali, e segnatamente con l’esigenza che la valutazione dell’intervento di modifica del territorio sia effettuata dall’autorità amministrativa competente.
La Corte liquida in poche battute le questioni sot- toposte alla sua attenzione.
Quanto alla pretesa incostituzionalità dell’art. 1 bis, comma 3, del d.l. n. 96/1995, introdotto con la legge di conversione n. 206/1995, manca il requisito della rilevanza della censura posto che al momento della pronuncia del giudice a quo il termine per la formazione del silenzio assenso era ancora in corso e, quindi, non si era formato il presupposto per l’ap- plicabilità della norma denunciata.
In merito, invece, alla disciplina in tema di com- posizione della Commissione la Consulta rispedisce al mittente i dubbi di costituzionalità osservando che l’art. 5 della legge n. 171/1973 prevede espressamen- te la presenza nella Commissione di tre rappresen- tanti della Regione Veneto, di talché ogni argomenta- zione sulla partecipazione effettiva di detti soggetti non costituisce questione di legittimità costituziona- le della norma che disciplina la formazione dell’or- gano collegiale, ma esclusivamente problema di le- gittimità del funzionamento della Commissione con i conseguenti vizi dell’attività e responsabilità in ca- so di inerzia.
XXXXXX PROMOVIMENTO DELGIUDIZIODELLACORTE
ICIedindennitàdiespropriazione
Corte d’Appello di Firenze, ordinanza 18 aprile 1997 (G.U., 1a serie speciale, 17 settembre 1997, n.
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Non è manifestamente infondata la questione di le- gittimità costituzionale dell’art. 4 delle legge 23 ot- tobre 1992, n. 421 nonché dell’art. 16 del d.lgs. 30
dicembre 1992, n. 504, in riferimento agli artt. 3, 43 e 113 della Costituzione, nella parte in cui la norma- tiva disciplina l’ipotesi della presentazione, da parte del soggetto espropriato, di dichiarazione ICI che sottostimi l’area, ma non affronta la fattispecie in cui l’espropriato non abbia presentato affatto la dichia- razione ICI.
Come noto l’art. 5 bis del d.l. n. 333/1992, conv. in
l. n. 359/1992, prevede che per le aree edificabili l’in- dennità di esproprio va computata sulla base della se- misomma di valore venale dell’area e del reddito do- minicale rivalutato degli ultimi dieci anni, decurtata del 40% in caso di mancato intervento della cessione volontaria. Sul menzionato criterio di computo ha in- ciso in modo rilevante la disciplina dettata dal d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, istitutivo, in attuazione di delega conferita con legge 23 ottobre 1992, n. 421, dell’imposta comunale sugli immobili (I.C.I.).
Il primo comma dell’art. 16, nel perseguire un evi-
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dente intento anti–speculativo, prevede che l’inden- nità di esproprio di area edificabile non può essere superiore al valore dell’area stessa, indicato dall’espropriato nell’ultima denuncia o dichiarazio- ne presentata.
Si afferma, quindi, il principio, evidentemente orientato in senso preventivo–repressivo di eventuali infedeltà dichiarative, in forza del quale l’indennità di esproprio di aree edificabili non può eccedere il valore determinato a fini fiscali. Principio che, inve- ro, è stato ritenuto iniquo da quanti (Caringella – De Marzo, L’indennità di esproprio e l’occupazione ap- propriativa nel panorama normativo–giurispruden- ziale, Milano, 1997, cap. II) hanno rimarcato l’illogi- cità dell’attribuzione di un vantaggio in capo all’espropriante (che può non essere il Comune), sub specie di decurtazione dell’indennità di esproprio, a motivo della predetta infedeltà dell’espropriato. Se- condo gli AA: «affiora il consistente dubbio che, at- traverso l’innesto di siffatto meccanismo di raccordo tra la dichiarazione finalizzata al computo dell’im- posta comunale sugli immobili e la determinazione dell’indennizzo espropriativo, il legislatore abbia in- trodotto un meccanismo improprio di lotta nei con- fronti degli illeciti fiscali, doppiamente censurabile nella misura in cui, per un verso, attribuisce alla sud- detta dichiarazione effetti che vanno ben al di là del suo settore di pertinenza, dato appunto dal prelievo fiscale; dall’altro, comporta un irrazionale disanco- ramento della commisurazione dell’indennità dalla sua finalità primaria, estrinsecantesi nel ristoro del pregiudizio inferto alla vittima, non già nella puni- zione degli illeciti eventualmente dalla medesima perpetrati».
Tanto premesso sul piano del quadro di riferimen- to la Corte d’Appello di Firenze si trova alle prese con fattispecie, non direttamente contemplata dalla norma – che si occupa di dichiarazione ai fini ICI di valore inferiore all’indennità di esproprio – in cui l’espropriato aveva del tutto omesso la presentazione della dichiarazione ICI. L’assenza di una disciplina normativa non risulta infatti colmabile in via inter- pretativa. Per un verso infatti non appare convincen- te la tesi secondo cui l’assenza della dichiarazione si risolverebbe a vantaggio dell’espropriato nel senso dell’inapplicabilità della ricordata normativa del 1992, inconcepibile essendo che venga premiata in tal modo l’evasione e che al contempo venga discri- minato chi abbia presentato la dichiarazione ICI e ve- da a questa commisurato il computo dell’indennizzo. Non si può neanche ipotizzare che l’omessa dichiara- zione equivalga ad una dichiarazione di valore pari allo zero, trattandosi di soluzione contraria al princi- pio del giusto indennizzo. Se infine si reputa che all’omessa dichiarazione sopperisca l’accertamento d’ufficio si avalla una soluzione che snatura il mec- canismo legislativo, inteso a punire l’obbligato per la sottostima dell’area, lasciando il problema insoluto quando l’accertamento manchi o ritenga la natura agricola dell’area.
In altri termini il legislatore delegato del 1992, non avendo supplito al silenzio della legge delega (l.
n. 421/1992), non ha compiutamente attuato la dele- ga conferita in modo completo e logico lasciando re- siduare una carenza disciplinatoria stigmatizzabile alla luce degli artt. 3, 43 e 113 Cost.
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IN LIBRERIA
CODICE DELLA FAMIGLIA
a cura di Xxxxxxx Xxxxxxxxx
IPSOA, 1996, L. 150.000
Il «Codice della famiglia» è una raccolta di norme tratte dalle disposizioni costituzionali, dalle norme di diritto internazionale privato, nonché dal codice civile e dalla legge sul divorzio in tema di rapporti personali e patrimo- nial tra coniugi.
Ogni norma è seguita da un breve, ma puntuale, com- mento d’autore che evidenzia il significato e la ratio ispira- trice, i vari problemi interpretativi, lo stato della giurispru- denza e della dottrina al riguardo, ma pure, ove possibile, segnala l’emergere di nuove questioni, magari espresse dalla pratica, ma non ancora esaminate, nelle elaborazioni
dottrinali.
Un indice cronologico delle sentenze riportate, un indice analitico e una ricca appendice legislativa completano l’opera.
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Edilizia e urbanistica
EFFETTI DELLA CESSIONE GRATUITA DI UN TERRENO
A FAVORE DI UN COMUNE
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GIURISPRUDENZA
Civile
Cassazione civile, sez. II, 9 settembre 1997, n. 8743 – Pres. Xxxxxxxx – Est. Fantacchiotti – Foianesi e altro c. Comune di Firenze
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La cessione gratuita di un terreno in favore di un Co- mune, stipulata in esecuzione di una convenzione di lottizzazione, al fine di assicurare la possibilità di de- stinazione del bene a verde pubblico, prevista dal pia- no di lottizzazione attuativo del P.R.G., fa solo entrare il bene nel patrimonio comunale, senza attribuirgli i caratteri che ne consentono la collocazione nella ca- tegoria dei beni del patrimonio indisponibile, giacché essi sono individuabili solo in presenza di un’effettiva e concreta destinazione a pubblico servizio.
... Omissis ...
Motivi
I ricorrenti denunciano la «violazione e falsa ap- plicazione degli artt. 826, 828, 1145, 1153 e 1167 cod. civ. nonché vizio di omessa, insufficiente e con- traddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia», sostenendo che: a) contrariamente a quanto asserito dai giudici di appello, la semplice previsione, nel piano di lottizzazione, della destina- zione di un terreno a verde pubblico non basta per at- tribuire allo stesso la corrispondente destinazione pubblica e, con l’acquisto in proprietà dell’ente pu- blico, la qualità, quindi, di bene patrimoniale indi- sponibile essendo piuttosto necessario, perché il be- ne possa essere ricompreso nella categoria predetta, che la funzione pubblica sia concretamente ed effet- tivamente attuata; b) l’art. 828 cod. civ. dispone solo che i beni del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, senza escluder- ne, in generale, la commerciabilità e, quindi, la usu- capibilità.
La prima delle due censure che compongono il motivo in esame è senz’altro fondata e deve essere conseguentemente accolta.
Dopo avere enumerato i beni che, per loro natura, sono riservati al patrimonio indisponibile dello Stato o fanno comunque necessariamente parte di tale pa- trimonio non appena acquistati dallo Stato, l’art. 826 cod. civ. dispone che fanno anche parte del patrimo- nio indisponibile dello Stato, delle Province e dei Co- muni, secondo la loro appartenenza, gli edifici desti- nati a sede dei pubblici uffici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati ad un pubblico servizio.
È così evidente, per questi beni, che l’appartenen- za al patrimonio indisponibile dello Stato o di altro ente pubblico territoriale richiede, oltre che l’acqui-
sto in proprietà del bene medesimo (c.d. requisito soggettivo), anche la sua destinazione a pubblico ser- vizio (c.d. requisito oggettivo).
Ma, poiché la causa del particolare regime dei beni con pubblica destinazione, siano essi demaniali o pa- trimoniali indisponibili, riposa nella presenza di fatto degli attributi che, in base alla legge, li qualificano come beni dell’uno o dell’altro tipo (sent. 6 ottobre 1954, n. 3317 – in motivazione –) ed, in altri termini, dalle caratteristiche proprie del bene, e non da un me- ro atto di volontà dell’Amministrazione, questa Cor- te, dopo alcune iniziali oscillazioni, poi superate da alcune pronuncie delle Sezioni unite (tra le quali: sent. 6 febbraio 1978, n. 529) ha ripetutamente chia- rito che la disposizione dell’art. 826 cod. civ., che le- ga l’appartenenza alla categoria (o tipo) dei beni del patrimonio indisponibile alla destinazione ad un pubblico servizio deve necessariamente riferirsi ad una concreta ed effettiva utilizzazione del bene e non ad un mero progetto di utilizzazione, che di per sé esprime solo una intenzione, o ad una mera risoluzio- ne che, ancorché espressa in un atto amministrativo, non incide, di per sé, sulle oggettive caratteristiche del bene.
Non basta, cioè, né la mera intenzione, comunque manifestata, della P.A. né un atto amministrativo di assegnazione inattuato o, più in generale, una attività amministrativa di natura esclusivamente provvedi- mentale (in termini sent. 12 marzo 1974, n. 652; più in generale sent. n. 1604/1968; sent. n. 2226/1961; sent. n. 6950/1993; sent. n. 10733/1996; Cons. Stato 13 dicembre 1977, n. 1191; Cons. Stato 6 febbraio
1981, n. 30; Cons. Stato 30 luglio 1974, n. 561).
Tale principio, nei casi in cui il bene sia privo dei caratteri strutturali necessari per il servizio, conduce alla necessità che siano quanto meno iniziate le opere di trasformazione che in qualche modo possano sta- bilire un reale collegamento di fatto, e non meramen- te intenzionale, alla funzione pubblica programmata. Questi principi non sono stati correttamente appli- cati nella sentenza impugnata che ha fatto dipendere la destinazione del bene al pubblico servizio dalla ap- provazione della lottizzazione n. 220 e dalla conte- stuale stipulazione della relativa convenzione facen- done così decorrere l’assegnazione al patrimonio indisponibile, che, come si è detto, presuppone l’ap- partenenza del bene alla P.A., dal contratto di dona- zione successivamente perfezionatosi per dare ese- cuzione alla convenzione di lottizzazione. È infatti evidente che nessuno dei predetti atti realizza una concreta destinazione a verde pubblico del terreno. Non il P.R.G., che ha solo funzione programmati-
ca e l’effetto di attribuire alla zona, o anche ai terreni in esso eventualmente indicati specificamente, solo
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una vocazione da realizzare attraverso gli strumenti urbanistici di secondo livello o ad essi equiparati, ed attraverso le successive attività di esecuzione di que- sti strumenti; non il provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, che individua solo il terre- no specificamente interessato dal progetto di desti- nazione pubblica; non la convenzione che, secondo l’orientamento del tutto pacifico di questa Corte, è solo un contratto oneroso di scambio tra i privati e la P.A. (sent. n. 580/1985; sent. n. 2567/1984; sent. n. 3541/1982) che si inserisce nella fase organizzativa del processo di realizzazione del programma urbani- stico, e non nella fase della sua materiale esecuzione, che richiede ulteriori atti giuridici, come il trasferi- mento al Comune dei beni da destinare al pubblico servizio, e materiali di trasformazione delle aree con- siderate; non, infine, il contratto di donazione al Co- mune del terreno, che trattandosi di un atto privato, può porre in essere solo un presupposto essenziale per la concreta destinazione del terreno pubblico ser- vizio ma non ne può determinare e tantomeno realiz- zare la concreta utilizzazione da parte della P.A. al quale è stato trasferito, come spazio di uso pubblico (art. 7, nn. 3 e 4, legge urbanistica).
L’errore giuridico nel quale è incorsa la Corte ter- ritoriale conduce dunque alla cassazione della sen- tenza impugnata con rinvio ad altro giudice che, nel riesame, si atterrà al seguente principio di diritto:
la cessione gratuita di un terreno al Comune, stipu- lata in esecuzione di una convenzione di lottizzazio- ne al fine di assicurare la possibilità di destinazione del bene a verde pubblico, prevista dal piano di lottiz- zazione attuativo del P.R.G., fa solo entrare il bene nel patrimonio del Comune senza attribuirgli i carat- xxxx che ne consentono la collocazione nella categoria dei beni del patrimonio indisponibile, potendo questi dipendere esclusivamente da una effettiva e concreta destinazione a pubblico servizio.
L’accoglimento della prima delle due censure che compongono il motivo in esame esclude la necessità di esaminare la seconda.
Al giudice di rinvio conviene rimettere anche la pronuncia sulle spese di questo giudizio.
... Omissis ...
Nota
Parte attrice aveva convenuto in giudizio il Comu- ne di Firenze, chiedendo l’accertamento del diritto di proprietà di un appezzamento di terreno, acquisito in forza di usucapione ventennale. Gli attori, in partico- lare, sostenevano di avere posseduto il suolo uti do- mini dal 21 aprile 1966, data in cui avevano sotto- scritto con l’originaria proprietaria un contratto preliminare di compravendita.
L’ente convenuto, nell’opporsi alla domanda, aveva richiesto la condanna degli attori al rilascio del terreno, giacché questo gli era stato ceduto dalla proprietaria, in esecuzione di un piano di lottizza- zione, che ne prevedeva il trasferimento a titolo gra- tuito, al fine di realizzare la sua destinazione a verde pubblico. Per effetto di tale negozio il suolo era da ricomprendere nel patrimonio indisponibile del Co- mune.
La Corte d’Xxxxxxx, nel riformare la decisione dei giudici di prime cure, avevano accolto la domanda ri- convenzionale dell’ente territoriale.
La II sezione ha cassato la sentenza dei giudici di secondo grado, rilevando che il tenore letterale dell’art. 826 c.c. induce a richiedere, per l’inclusione dei beni nella categoria del patrimonio indisponibile, due requisiti: quello soggettivo, legato all’apparte- nenza del bene all’ente pubblico, e quello oggettivo, connesso alla destinazione ad un pubblico servizio. Nell’interpretare il significato normativo di quest’ultimo presupposto, la S.C. ha puntualizzato che la causa del particolare regime dei beni con pub- blica destinazione, siano essi demaniali o patrimo- niali indisponibili, va individuata nella presenza in fatto degli attributi che consentono di ricondurre il bene all’una o all’altra categoria (in dottrina, per la necessità che i beni abbiano ricevuto effettivamente la rispettiva destinazione, si veda già A.M. Xxxxxxxx, voce Beni pubblici, in Enciclopedia del diritto, V, Milano, 1959, 296). In questa prospettiva, la Corte ha ribadito l’insufficienza di un mero progetto di utiliz- zazione o di una risoluzione, che, sebbene tradottasi in un atto amministrativo, non incide, di per sé, sulle
caratteristiche oggettive del bene.
Negli stessi termini, nella giurisprudenza più re- cente, si veda Cass., Sez. un., 2 dicembre 1996, n. 10733, in Foro it., 1996, I, 3663, e 23 giugno 1993,
n. 6950, id., Rep. 1993, voce Demanio, n. 9; nonché Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 1981, n. 30, in Cons. Stato, 1981, I, 154.
L’aspetto più problematico della decisione è rap- presentato da quello che, nell’economia della moti- vazione, appare un mero obiter. La II sezione ha, in- fatti precisato che, nei casi in cui il bene sia privo dei caratteri strutturali necessari per il servizio, la con- creta destinazione potrà ritrarsi dal fatto che siano quantomeno iniziate le opere di trasformazione che valgano, in qualche modo, a stabilire un reale colle- gamento di fatto, e non meramente intenzionale, coll’opera programmata. Quante perplessità tale af- fermazione possa generare in sede applicativa, tutte le volte che l’ente pubblico non sia rimasto, come in- vece nella specie decisa, completamente inerte, è fa- cile immaginare. Tuttavia, deve rilevarsi che, qualo- ra il terzo invochi l’intervenuto decorso del termine stabilito per l’usucapione, la presenza di un’attività di trasformazione antecedente al compimento del termine ben potrebbe incidere, più che sul regime giuridico del bene, sulla continuità o sulla non inter- ruzione che devono accompagnare il possesso ad usucapionem. D’altra parte, è dubbio che un’attività di manipolazione del fondo, iniziata anteriormente all’inizio del possesso del terzo, ma mai proseguita per tutto il corso del tempo necessario ad usucapire possa davvero integrare quell’effettiva e concreta utilizzazione del bene valorizzata dalla decisione in epigrafe.
G.D.M.
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Civile
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Edilizia e urbanistica
ADOZIONE DI STRUMENTI URBANISTICI ED ERRORE SULL’EDIFICABILITA’
DEL SUOLO
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GIURISPRUDENZA
Civile
I
Cassazione civile, Sez. un., 1° luglio 1997, n. 5900 – Pres. Xxxxx – Est. Xxxxx – P.M. Xxxxxxx xxxxx Xxxxx (conf.) – Multari c. Xxxxxxxxx e altri
2.17755–2.53362
La falsa rappresentazione del contraente in ordine alla natura edificatoria o non di un terreno, pur deri- vando dall’inesatta conoscenza della norma che pre- vede la destinazione urbanistica di questo, integra l’ipotesi dell’errore di fatto e non di diritto, poiché, concernendo i caratteri reali del bene, cade su una qualità che, secondo il comune apprezzamento, deve considerarsi determinante del consenso.
... Omissis ...
Motivi della decisione
1.– Con il primo motivo del ricorso denunziandosi la violazione degli artt. 1428, 1429 e 1431 c.c., 8 e 10
della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e 15 e 58 della legge della Regione Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, si censura la sentenza impugnata sul punto relati- vo alla ritenuta essenzialità dell’errore.
In proposito si sostiene che l’errore del venditore sul valore del bene non è essenziale e che, nel caso in esame, non può parlarsi di errore sulla qualità del fondo promesso in vendita poiché questo, alla data del contratto, non aveva mutato la propria destina- zione urbanistica, essendo ancora in itinere il proce- dimento di formazione del piano regolatore generale che aveva operato la modifica ed essendo, quindi, un fatto incerto ed eventuale la natura edificatoria del terreno.
Si richiamano, al riguardo, i principi di diritto, se- condo cui le prescrizioni adottate dagli strumenti ur- banistici in itinere hanno efficacia vincolante solo dal momento dell’approvazione, e l’errore sulla na- tura di un terreno deve sussistere al momento della prestazione del consenso e presupporre l’esistenza di elementi obiettivi idonei a dimostrare l’edificabilità attuale del suolo, non la mera prospettiva di una futu- ra possibilità edificatoria, anche se tale prospettiva possa incidere sul valore del bene.
Inoltre, si contesta l’argomento che la Corte di ap- pello ha desunto dall’applicazione delle cd. misure di salvaguardia, osservandosi che queste hanno la fun- zione d’impedire una trasformazione del territorio diversa da quella prevista dal piano adottato e di xxx- xxxx che la sua attuazione sia pregiudicata dall’esecu- zione di opere permesse dal precedente strumento ur- banistico, ed operano, quindi, solo nei confronti del
privato, imponendo la sospensione dell’esame delle sue istanze di concessione e di autorizzazione con es- so contrastanti, ma non verso l’Amministrazione pubblica che può disporre del bene vincolato in qual- siasi momento.
Il motivo è infondato.
Ai fini della risoluzione del contrasto si deve, in- nanzitutto, precisare che l’errore sulla natura di un terreno è errore di fatto e non di diritto e cade su una qualità dell’oggetto, perché la falsa rappresentazione della norma, che ne prevede la destinazione urbani- stica, si risolve nell’inesatta conoscenza dell’edifica- bilità o inedificabilità del suolo, cioè di una circo- stanza relativa ai suoi caratteri reali, giacché un fondo non fabbricabile (agricolo, spazio pubblico, ecc.), pur appartenendo al medesimo genere di quel- lo sfruttabile per scopi edilizi, se ne differenzia per il suo impiego.
Ed è evidente che i contraenti di una compravendi- ta, poiché si determinano alla sua conclusione per le qualità del terreno e per le utilità che possano ricava- re rispettivamente dalla cessione e dall’acquisto di esso, incorrano in errore essenziale se abbiano igno- rato la vera natura dell’immobile.
L’errore non è, invece, influente sulla validità del contratto qualora verta esclusivamente sul valore, perché, in tal caso, esso riguarda i motivi che possono avere indotto le parti al negozio, i quali non hanno un’incidenza diretta sulla formazione della volontà.
Pertanto, l’errore delle parti sul valore del terreno e sul suo prezzo di vendita è irrilevante, essendo relati- vo alla convenienza economica del contratto e rappre- senta una conseguenza soltanto indiretta dell’ignoran- za dell’inesatta conoscenza della qualità del bene.
Ciò premesso, si deve rilevare, con specifico rife- rimento alla questione oggetto del contrasto, che, per uno dei due orientamenti di questa Corte, è privo di rilevanza l’errore di colui il quale abbia promesso di vendere o abbia venduto un terreno non edificatorio in base al piano regolatore in vigore, ignorando che, al momento della conclusione del contratto, l’immo- bile risultava incluso in una zona fabbricabile in uno strumento urbanistico adottato dal Comune, ma non in vigore perché non ancora approvato dalla Regio- ne. E al riguardo si afferma che l’errore sulle qualità essenziali della cosa oggetto del contratto deve sussi- stere al momento della prestazione del consenso, perché, se riferito a situazioni sopravvenienti, si ne- gherebbe il fondamento stesso della rilevanza dell’errore, cioè l’esistenza di una volontà negoziale formatasi in maniera abnorme.
E si aggiunge che, fino a quando non si sia conclu- so con l’approvazione definitiva l’intero procedi- mento amministrativo di formazione dello strumento
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urbanistico, questo, non essendo in vigore, non inci- de sui diritti dei privati, sui loro rapporti e su quelli tra gli stessi e l’Amministrazione pubblica, e le sue disposizioni non hanno alcuna efficacia vincolante (sent. nn. 4984 del 1991, 3809 del 1988, 2915 del
1985).
Secondo le Sezioni unite questo indirizzo restritti- vo non può essere condiviso e deve essere, invece, accolto quello che considera configurabile l’errore essenziale (sent. nn. 3892, 4955 del 1985).
Ai sensi dell’art. 1429, n. 2 del codice civile, «l’er- rore è essenziale ... quando cade sull’identità dell’og- getto della prestazione ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in re- lazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso».
Un terreno non edificatorio e compreso, però, in zona di espansione edilizia, in uno strumento urbani- stico non in vigore, ma già adottato dal Consiglio co- munale, costituisce per l’apprezzamento della gene- ralità dei consociati, un’entità diversa dagli altri terreni non fabbricabili – che nello strumento stesso abbiano conservato la destinazione originaria – sotto il profilo funzionale ed economico e anche dal punto di vista delle qualità essenziali.
La deliberazione di adozione del piano regolatore o del programma di fabbricazione, come atto colle- giale esprimente la volontà definitiva dell’ente pub- blico, conferisce a questi strumenti edilizi un’effica- cia immediata, sia pur limitata. Infatti, in conseguenza dell’adozione, divengono operanti, ai sensi dell’art. 4 della legge 1° giugno 1971, n. 291 (riformatore del precedente sistema di cui alle leggi 3 novembre 1952, n. 1902 e 6 agosto 1967, n. 765) le cd. misure di salvaguardia, le quali conferiscono ai Sindaci dei Comuni il potere–dovere di sospende- re ogni decisione sulle domande di concessione e au- torizzazione edilizie in contrasto con il piano o pro- gramma adottato. Inoltre, per l’art. 8, secondo comma della legge 26 maggio 1965, n. 590, è esclusa la prelazione agraria per i terreni destinati, nello stru- mento adottato, ad utilizzazione edilizia, industriale o turistica.
L’immediata operatività degli strumenti urbani- stici adottati è confermata dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, la quale all’art. 26 prevede la non assog- gettabilità a concessione e ad autorizzazione delle opere interne alle costruzioni non contrastanti con gli strumenti urbanistici adottati; e, all’art. 13, la possi- bilità per il responsabile dell’abuso di «ottenere la concessione o l’autorizzazione quando l’opera ese- guita in assenza della concessione o autorizzazione è conforme agli strumenti urbanistici generali e di at- tuazione approvati e non in contrasto con quelli adot- tati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda». E, proprio per queste ragioni, si è ritenuto più vol- te, per la determinazione dell’indennità di espropria- zione e dell’importo dell’imposta di registro, che il carattere edificatorio dei terreni possa desumersi an- che dalla destinazione ad essi assegnata negli stru- menti urbanistici semplicemente adottati (sent. n.
11811/1990).
Infine è significativo che per la giurisprudenza del Consiglio di Stato le deliberazioni di adozione degli
strumenti urbanistici siano autonomamente e imme- diatamente impugnabili, prima dell’approvazione dell’autorità regionale, per l’idoneità che esse hanno di produrre propri effetti (sent. n. 1028/1996).
Pertanto, deve ritenersi che un suolo considerato edificatorio in uno strumento urbanistico adottato costituisca un’entità immobiliare qualitativamente diversa e distinta da un terreno, al quale non sia attri- buita questa destinazione e che integri errore essen- ziale su una qualità della cosa la vendita o la promes- sa di vendita di un terreno fabbricabile nella falsa convinzione che si tratti di suolo agrario o di spazio pubblico. Ed esattamente si è al riguardo affermato da questa Corte (sent. n. 4955/1985) che «per l’es- senzialità dell’errore non conta solo la contrapposi- zione tra le due estreme condizioni dell’edificabilità e della inedificabilità, perché se non valesse alcuna altra situazione non riconducibile all’uno o agli altri degli estremi considerati, sarebbe, in ogni caso, privo di rilievo il comune apprezzamento, che pur vale ad attribuire carattere essenziale a una qualità, idonea a fare assegnare la cosa, secondo il concetto corrente nella pratica, ad una piuttosto che ad altra categoria». Nella specie, la Corte d’appello si è adeguata all’indirizzo accolto da queste Sezioni unite, in quan- to ha ritenuto che gli attori, avendo promesso la ven- dita della proprietà del suolo destinato a spazio pub- blico per il piano regolatore vigente, mentre risultava incluso in zona fabbricabile nel nuovo strumento ur- banistico già adottato con deliberazione del Consi- glio del Comune di Bruino, erano incorsi in errore es- senziale, determinante nella formazione del loro consenso contrattuale. Infatti ha correttamente rico- nosciuto che un terreno avente il requisito dell’edifi- cabilità per lo strumento urbanistico adottato, costi- tuisce, secondo il comune apprezzamento, un bene di qualità diversa da quello che di tale requisito sia pri-
vo.
2. – Con il secondo motivo, denunziandosi la vio- lazione degli artt. 1428 e 1431 c.c. e l’omessa moti- vazione circa un punto decisivo della controversia, si censura la sentenza impugnata per la ritenuta ricono- scibilità dell’errore.
Si sostiene che la Corte d’appello ha affermato es- sere stato il convenuto «a perfetta conoscenza della edificabilità del terreno» promessogli in vendita, in base al contenuto letterale della clausola inserita nel contratto preliminare («il terreno in oggetto è com- preso in zona spazio pubblico nello strumento edili- zio in fase di salvaguardia urbanistica»), e in consi- derazione della qualità di consigliere del Comune di Bruino del geometra, incaricato dallo stesso conve- nuto, di accertare la situazione urbanistica di detto terreno.
Tale assunto, si afferma, è privo di fondamento e la relativa motivazione è contraddittoria e, comun- que, inadeguata. La clausola contrattuale, infatti, era inidonea a fare conoscere la destinazione attuale del suolo promesso in vendita, perché si limitava a indi- care che esso si trovava in una zona vincolata secon- do il precedente strumento edilizio in salvaguardia, ma nulla diceva in ordine alla sua natura edificatoria, trattandosi di un progetto in itinere, né potendo pre- sumersi che questa destinazione e non l’altra a spazio pubblico sarebbe stata quella definitiva. Era, però,
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certo che all’epoca del contratto e fino all’approva- zione del progetto preliminare, non si poteva edifica- re per l’esistenza del vincolo a spazio pubblico e, del resto, se attraverso la clausola si fosse potuta chiarire la natura dell’area, entrambe le parti sarebbero state in grado di percepirlo, e non solo il convenuto che non aveva particolari cognizioni tecnico–urbanisti- che.
Quanto, poi, alla qualità di consigliere del Comu- ne di Bruino del geometra incaricato dell’accerta- mento della natura del suolo in questione, le conclu- sioni del Giudice d’appello erano apodittiche, sia perché si trattava di un tecnico scelto d’intesa con i promittenti venditori (che, anzi, lo avevano indica- to), sia perché costoro non avevano provato, né il convenuto ammesso, di averlo incaricato di accertare la destinazione urbanistica del suolo.
Si aggiunge che era arbitrario presumere che detto geometra, solo perché consigliere del Comune di Bruino all’epoca dell’adozione del piano regolatore, fosse a conoscenza delle destinazioni di tutti i terreni distribuiti nel territorio comunale e, soprattutto, che ne avesse messo al corrente il promissario acquiren- te. Anche questo motivo è infondato.
Per la rilevanza dell’errore, come causa di annul- lamento del contratto, si richiede, oltre alla essenzia- lità la sua riconoscibilità (art. 1428 c.c.), la quale pre- suppone che una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo, in relazione alle circostanze del contratto o alla qualità dei contraenti (art. 1431 c.c.). Nella specie, la Corte d’appello, premesso che la statuizione, con cui il Tribunale aveva ravvisato l’esistenza dell’errore (sia pure non essenziale) dei promittenti alienanti, era passata in giudicato non es- sendo stata impugnata, ha ritenuto che il promissario fosse stato addirittura a conoscenza di tale errore al momento della sottoscrizione del contratto prelimi- nare in base a due considerazioni. Innanzi tutto per la formulazione della premessa di tale contratto («Il terreno in oggetto è compreso in zona SP. – spazio pubblico – nello strumento urbanistico edilizio in fa- se di salvaguardia urbanistica), e, inoltre, perché del- la situazione del terreno in questione si era interessa- to un geometra da lui incaricato, che, come consigliere del Comune di Bruino, aveva partecipato alle votazioni della deliberazione di adozione del piano regolatore nel quale il suolo degli attori era sta- to incluso in zona destinata all’edificazione.
Questa pronuncia non è affetta dai vizi denunziati perché, sotto il profilo giuridico, la Corte ha corretta- mente parificato la conoscenza dell’errore alla sua ri- conoscibilità (senza porsi, quindi, il problema della rilevanza della sua eventuale astratta irriconoscibili- tà), data la ratio della norma dell’art. 1431 c.c., che è quella di tutela dell’affidamento incolpevole del destinatario della dichiarazione; e perché, sotto l’aspetto della motivazione, il suo giudizio si è risolto in un apprezzamento di fatto, che è insindacabile in sede di legittimità, essendo sorretto da argomenta- zioni logiche ed esaurienti.
In presenza dei requisiti della essenzialità e della ri- conoscibilità dell’errore esattamente il Giudice d’ap- pello ha annullato il contratto preliminare di compra- vendita del diritto di proprietà del terreno concluso dal Vicentini e dalla Rechichi con il Multari.
Consegue che si deve rigettare il ricorso, e, sussi- stendo giusti motivi, si devono compensare tra le par- ti le spese di questo giudizio.
... Omissis ...
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Cassazione civile, sez. II, 13 giugno 1997, n. 5349 – Pres. Girone – Est. Pontorieri – P.M. Nardi (conf.) – Tribulato x. Xxxxxxx
2.17755
Ai fini della domanda di annullamento del contratto preliminare di compravendita, deve essere qualifica- to come errore di diritto quello avente ad oggetto la natura, edificatoria o non, del suolo che ne costitui- sce oggetto, in quanto la prescrizione del P.R.G. ha natura di norma giuridica.
... Omissis ...
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione o falsa applicazione degli artt. 1427 e segg., 1362 e segg. e 2967 c.c., nonché omessa o in- sufficiente motivazione su un punto decisivo in re- lazione ai nn. 3 e 5 c.p.c., la Tribulato deduce che er- roneamente i giudici hanno disatteso la sua domanda di annullamento del preliminare. Sostie- ne, infatti, che la motivazione della Corte di Cata- nia, con la quale è stato affermato che le era nota l’edificabilità del terreno al momento del prelimi- nare, è del tutto erronea perché frutto di una inter- pretazione delle clausole contrattuali in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.
La censura è infondata.
È pur vero, infatti, che, al momento della stipula- zione del preliminare, una parte del terreno secondo la previsione del P.R.G., adottato quasi due anni pri- ma e non ancora approvato, era edificabile, ma ap- punto per questo il fondo oggetto del contratto è stato ritenuto dalle parti sia ancora a destinazione agricola sia di probabile (e non frutto di mera eventualità, co- me vorrebbe la ricorrente) futura parziale edificabili- tà ed hanno quindi previsto che ove il promittente compratore avesse potuto legittimamente predispor- re un piano di lottizzazione avrebbe dovuto destinare all’edificazione il lotto di terreno riservatosi dalla promittente venditrice e porre a proprio carico i mag- giori oneri fiscali.
Come esattamente hanno ritenuto i giudici del me- rito proprio dall’esame complessivo dell’atto si evin- ce la chiara intenzione dei contraenti sicché è indub- bio che, per effetto di quanto inequivocabilmente concordato da loro, sia da escludere che la promitten- te non fosse a conoscenza dell’avvenuta adozione del
P.R.G. e della inclusione nello stesso della previsione di una parziale (seppur modesta, circa 18.000 mq. su 107.952) edificabilità del fondo (peraltro, poi, venu- ta meno per la mancata approvazione del piano).
Inoltre, come esattamente il controricorrente rile- va, trattandosi di prescrizione di piano regolatore ge- nerale, la stessa deve essere considerata norma giuri- dica ai fini del possibile annullamento del contratto
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per errore, ai sensi degli artt. 1427 e 1429 c.c., e come tale la conoscenza di esso va presunta.
Con il secondo motivo di censura, denunziando la violazione dell’art. 1467 c.c., nonché omessa o insuf- ficiente motivazione su un punto decisivo, la Tribu- lato deduce che l’imprevedibilità che, nella specie, renderebbe palesemente onerosa, oltre ogni limite, la sua prestazione riguardava non l’edificabilità bensì lo straordinario aumento di valore che era stata la conseguenza, non prevedibile, dell’inserimento del terreno nello strumento urbanistico, essendosi, il prezzo di mercato del fondo, quadruplicato per effet- to della nuova regolamentazione edilizia.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte distrettuale, infatti, ha affermato che l’avere le parti previsto il possibile mutamento di de- stinazione del fondo vale ad escludere che l’eventua- le eccessiva onerosità potrebbe comunque essere conseguente al verificarsi di avvenimenti straordina- ri ed imprevedibili sicché – va qui aggiunto – era da ritenere non improbabile persino il dedotto (e non provato) quadruplicarsi del valore dell’immobile.
Inoltre, come esattamente rileva il controricorren- te, non essendo stata differita al momento del con-
tratto definitivo l’esecuzione della parte economica delle obbligazioni assunte, avendo il Cutrufo intera- mente versato il prezzo concordato ed ottenuto il tra- sferimento del possesso del bene (cfr. Cass. 16 mag- gio 1991 n. 5480), non può trovare applicazione la norma di cui all’art. 1467 c.c. invocata.
Invero, allorché le parti abbiano eseguito, antici- pandole al momento del contratto preliminare, le ob- bligazioni che dovrebbero adempiere alla data del contratto definitivo – quali nel caso in esame di com- pravendita, il pagamento del prezzo e la consegna del- la cosa – rimane preclusa la domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta nel frattempo, mancando il differimento della esecuzione delle ob- bligazioni di carattere economico al successivo mo- mento della stipula dell’atto definitivo ed essendo l’alterazione dell’equilibrio patrimoniale fra le presta- zioni, intervenuta successivamente all’adempimento. Alla stregua delle suesposte considerazioni il ri- corso della Tribulato va interamente rigettato con conseguente condanna alle spese di questa fase del
giudizio.
... Omissis ...
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IL COMMENTO
di Xxxxxx Xxxxxxxxx
L’oggetto delle sentenze
Le sentenze in rassegna vertono sostanzialmente sulla rilevanza dell’errore concernente la qualità del bene oggetto del contratto, di cui agli artt. 1428 e ss. c.c.
I fatti oggetto delle controversie all’origine delle sentenze sono analoghi.
Nel caso deciso dalla sentenza sub II, la promitten- te venditrice si era opposta alla richiesta di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., domandando l’annulla- mento dello stesso preliminare, in quanto il fondo og- getto del contratto, dalla stessa ritenuto di natura agricola, era in realtà stato qualificato come edifica- bile dal P.R.G., già adottato anche se non ancora ap- provato. In secondo luogo, la promittente venditrice sosteneva la sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione, a causa dell’imprevedibilità dello straordinario aumento di valore del bene.
La Cassazione ha confermato le decisioni dei giu- dici di merito, i quali avevano accolto la domanda proposta ai sensi dell’art. 2932 c.c. e avevano disatte- so le domande riconvenzionali spiegate dalla conve- nuta. La S.C., in particolare, ha rigettato il ricorso, re- putando infondati entrambi i motivi di censura. In primo luogo, infatti, dal tenore complessivo dell’atto poteva evincersi la previsione, da parte dei contraen- ti, di una futura, sia pur eventuale, edificabilità, talché era da escludersi che la promittente non fosse a conoscenza dell’avvenuta adozione del P.R.G. Inoltre, la II sezione ha ritenuto che la prescrizione di un piano regolatore generale, ai fini del possibile annullamento del contratto per errore, deve essere considerata norma giuridica la cui conoscenza si pre- sume. L’eccessiva onerosità, d’altro canto, doveva
escludersi, in quanto il fatto stesso che le parti aves- sero previsto il possibile mutamento di destinazione del fondo, valeva ad escludere la straordinarietà e l’imprevedibilità di tale evento, rientrante nell’alea che le stesse parti si erano rappresentate. Inoltre, il ri- getto della domanda di risoluzione per eccessiva onerosità è stato confermato, giacché l’asserito mu- tamento dell’equilibrio contrattuale era irrilevante, ai fini dell’art. 1467 c.c., in quanto sarebbe potuto av- venire soltanto successivamente all’adempimento, poiché le prestazioni dedotte nel preliminare – paga- mento del prezzo e trasferimento del possesso – era- no già state eseguite al momento della stipula.
Anche nel caso deciso dalle Sezioni unite le parti avevano stipulato un contratto preliminare di com- pravendita di un terreno, inserito dal piano regolato- re, come era stato precisato anche nell’atto, in una zo- na adibita a spazio pubblico. Successivamente i promittenti venditori avevano appreso che, già all’epoca della stipula del preliminare, il fondo era stato inserito in zona edificabile dal piano regolatore adottato dal Comune ed in attesa di approvazione re- gionale (poi successivamente intervenuta). I promit- tenti venditori, per queste ragioni, avevano chiesto l’annullamento del contratto, deducendo l’errore sulla qualità del bene promesso in vendita.
La sentenza d’appello, che aveva accolto la doman- da, era stata impugnata in Cassazione dal promissario acquirente con ricorso articolato in due motivi: con il primo si contestava l’essenzialità dell’errore, poiché esso era caduto tutt’al più sul valore del bene e non sulle qualità dello stesso, essendo, all’epoca del con- tratto, ancora in itinere il procedimento di formazione del piano regolatore che aveva operato la modifica ed essendo incerta, di conseguenza, la natura edificatoria
del terreno; il secondo investiva la riconoscibilità dell’errore, in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, dal contenuto del contratto, non poteva desumersi la sua conoscenza, della poten- ziale edificabilità del fondo. Nessun elemento presun- tivo, inoltre, avrebbe potuto trarsi dal fatto che il geo- metra, da lui incaricato dell’accertamento della natura del bene, fosse un consigliere comunale che aveva partecipato alla delibera di adozione dello strumento urbanistico, in quanto era difficile che costui potesse essere a conoscenza di tutti i terreni distribuiti nel Co- mune e, soprattutto, che ne avesse messo al corrente il promissario acquirente.
Le Sezioni unite, investite della decisione in ra- gione del contrasto creatosi nel tempo tra le sezioni semplici, hanno rigettato entrambi i motivi di ricor- so.
In primo luogo, la Suprema Corte ha qualificato l’errore sulla natura del terreno quale errore di fatto e non di diritto. E, quindi, con riguardo alla vexata quaestio avente ad oggetto la rilevanza dell’errore ori- ginato dall’ignoranza delle qualificazioni rivenienti da strumenti urbanistici non ancora definitivi, le Se- zioni unite hanno optato per la tesi meno restrittiva, sottolineando come un suolo, per il quale sia prevista una nuova destinazione da un P.R.G. adottato, ma non ancora approvato, abbia, per ciò solo assunto una di- versa fisionomia, sia sotto il profilo funzionale ed eco- nomico che sotto quello delle intrinseche qualità es- senziali.
Ne rimane, pertanto, confermata l’essenzialità dell’errore come determinante del consenso, nel caso in cui in contratto sia stata dedotta una natura diversa da quella prevista dallo strumento urbanistico in iti- nere.
Quanto poi alla ignoranza dell’errore, contestata col secondo motivo di ricorso, anche in questo caso la Cassazione non ha condiviso la censura, sia per il tenore letterale del contratto, ove si era riconosciuto che lo strumento edilizio era in fase di salvaguardia, sia perché la situazione del terreno era stata verifica- ta, su incarico del ricorrente, da un geometra, il quale, per le sue conoscenze tecniche e per il fatto di essere consigliere comunale, non poteva non essere a cono- scenza della natura attuale del terreno.
Teorie generali in tema di errore
La nostra disamina non può prescindere da una ri- cognizione della disciplina civilistica in tema di erro- re quale causa di annullamento del contratto.
L’errore–vizio (contrapposto all’errore ostativo che cade sulla dichiarazione o sulla trasmissione del- la stessa) consiste in una falsa rappresentazione della realtà che concorre a determinare la volontà del sog- getto (1).
La disciplina, contenuta negli artt. 1427 e ss. c.c., è improntata essenzialmente ai criteri di essenzialità e riconoscibilità dell’errore, che trovano la loro ratio nel volere al contempo tutelare sia l’integrità del pro- cedimento di formazione del consenso, che il legitti- mo affidamento della parte la quale non sia incorsa in errore. Pertanto, chi intenda chiedere l’annulla- mento di un negozio dovrà dimostrare, innanzi tutto, che un’inesatta rappresentazione della realtà ha in-
fluito sul processo formativo della sua volontà nego- ziale; quindi, che tale erronea rappresentazione è ca- duta su un aspetto rilevante ai fini del regolamento negoziale; infine, che tale patologia del consenso prestato era nota o quantomeno riconoscibile per l’altro contraente.
Le parti, insomma, hanno due interessi contrappo- sti, in quanto chi si è indotto a concludere il contratto sulla base di una falsa rappresentazione della realtà ha tutto l’interesse a ottenere l’annullamento del con- tratto stesso ed il conseguente ripristino dello stato quo ante, mentre l’altro contraente vuole che sia tute- lato il suo affidamento e che il contratto sia eseguito nei termini della stipula, nonostante l’errore altrui. Tale errore, infatti, si forma spontaneamente nella mente di un soggetto, senza che l’altro contraente svolga deliberatamente alcun ruolo causale nella in- duzione all’errore stesso (altrimenti la fattispecie sa- rebbe evidetemente diversa) (2).
Come è noto, l’errore si distingue, tra l’altro, in er- rore di fatto ed errore di diritto, il quale ultimo ricorre quando il consenso di una parte sia determinato da falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicabi- lità o la portata di una norma giuridica, imperativa o dispositiva, e tale vizio sia rilevabile dall’altro con- traente con l’uso della normale diligenza (3). L’erro- re di diritto, in tanto assume rilevanza come causa di annullamento, in quanto esso sia stato la ragione uni- ca o principale di conclusione del contratto. La scelta legislativa sottolinea con chiarezza il profilo dell’es- senzialità (4).
Deve precisarsi che è del tutto indifferente e non rileva l’errore che cada sulla disciplina giuridica del contratto (5). Xxxxxxx autore ha voluto utilizzare la disciplina dell’errore di diritto per superare il dogma dell’irrilevanza dei motivi, ponendo in luce che esso è contraddetto proprio, anche a tacer d’altro, dalla di- sciplina dettata in tema di errore di diritto, rilevante anche quando cade sul motivo, sempre che sia stato la ragione unica o principale del contratto (6).
Riguardo all’essenzialità dell’errore, secondo la prevalente dottrina, il relativo parametro andrebbe valutato alla stregua di due criteri in concorso tra di loro: un primo, di carattere oggettivo, afferisce all’at- tinenza dell’errore alle circostanze estrinseche del contratto; un secondo è volto a comparare, da un pun-
Note:
(1) Per tutti, si vedano X. Xxxxxxxxx, Istituzioni di diritto ci- vile, Padova, 1992, 143; X. Xxxxxxx, Manuale di diritto priva- to, Napoli, 1992, 900.
(2) Per tutti si veda X. Xxxxxxxxx, in AA.VV., Istituzioni di dirit- to privato, a cura di X. Xxxxxxx, Torino, 1996, 699.
(3) Cass. 1° marzo 1995, n. 2340, in Giust. civ., 1995, I,
2438.
(4) X. Xxxxx in Trattato di diritto privato, a cura di P. Resci- gno, vol. 10, Obbligazioni e contratti, Tomo II, Torino, 1990, 150.
(5) X. Xxxxxxx, op. cit., 903; Cass., 21 dicembre 1994, n. 11032, in Giust. civ., Mass., 1994, fasc. 12.
(6) X. Xxxxxxx–Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 160; Cass. 28 marzo 1984, n. 2052, in Foro it., 1984, I, 1540; contra, C.M. Xxxxxx, Diritto civile, 3, Il con- tratto, Milano, 1987, 616.
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to di vista soggettivo, la rilevanza dell’errore rispetto all’intento negoziale (7). Il criterio oggettivo costi- tuirebbe il discrimen fondamentale per eliminare quegli errori che cadono sui motivi e sono ritenuti so- litamente irrilevanti. Il criterio soggettivo, invece, servirebbe proprio ad escludere, in funzione dell’es- senzialità, quelle ipotesi in cui un errore, pur essendo potenzialmente rilevante per la fattispecie, non abbia concretamente deviato la volontà negoziale. La stes- sa irrilevanza dell’errore sul motivo, peraltro, come si è detto, è un principio che si è andato via via incri- nando, a seguito dell’affermazione che la legge, co- me in determinati casi riconosce rilevanza ai motivi, così potrebbe prevedere l’annullabilità del negozio per errore sul motivo, analogamente a quanto accade in materia testamentaria, nelle donazioni e nella di- sciplina della transazione (8). Ciò non impedisce, tuttavia, alla dottrina, di ripetere, in via del tutto ge- nerale, che l’attinenza dell’errore al contenuto del contratto sia imprescindibile al fine di realizzare una adeguata tutela dell’affidamento (9).
In tale contesto assume indubbio ed in parte con- traddittorio rilievo l’elaborazione della c.d. presup- posizione, il cui svolgersi conduce, in buona sostan- za, ad un notevole ridimensionamento del dogma dell’irrilevanza dei motivi. Grazie all’istituto della presupposizione può giungersi, infatti, ad attribuire rilevanza a circostanze esterne al contratto che, pur se non espressamente richiamate, ne costituiscono l’oggettivo presupposto, talché, parte della dottri- na (10), per tale via, riconosce efficacia invalidante all’errore sul motivo, ove questo sia riconoscibile o riconosciuto.
Ciò posto, concentrando l’attenzione sulla fatti- specie di errore pertinente alla nostra ricerca, occorre analizzare la previsione di cui al n. 2 dell’art. 1429 c.c., la quale indica sia la falsa rappresentazione della cosa indicata nei suoi connotati esteriori, che impedi- sce al soggetto la consapevolezza di quale sia il bene sostanzialmente determinato (e non l’errata indica- zione dell’oggetto stesso che, altrimenti, si tradur- rebbe in errore ostativo) (11), sia la falsa rappresen- tazione di qualsiasi caratteristica della cosa che, secondo il comune intendimento, possa esserne con- siderata qualità (12): il criterio del comune apprezza- mento, poi, funge da misura concreta dell’efficacia determinante dell’errore.
Copiosa è la giurisprudenza in ordine all’errore che cade sulle caratteristiche urbanistiche del fondo oggetto di contratto. Mentre si è consolidata l’opi- nione secondo la quale costituisce errore essenziale quello relativo al ritenuto carattere rustico di un ter- reno in realtà già edificatorio, non altrettanto può dir- si qualora al momento della stipulazione del contrat- to l’edificabilità sia prevista in uno strumento urbanistico non ancora definitivo. Se in dottrina si è affermato che non è rilevante l’errore sulle qualità del bene, non ancora esistenti al momento del con- senso (13), in giurisprudenza, si sono succedute so- luzioni contrastanti. Mentre da un lato, infatti, varie pronunzie hanno richiesto l’esigenza dell’attualità della destinazione edificatoria al momento della con- clusione del negozio (14), altre decisioni hanno op- tato per la sufficienza di una semplice previsione di tale destinazione in uno strumento urbanistico che,
seppure provvisorio, consenta di applicare le cc.dd. clausole di salvaguardia (15). Per tal motivo, pertan- to, sono intervenute le S.U., a sanare un contrasto or- mai da troppo tempo in atto.
L’errore sul valore della prestazione, invece, può dare luogo, ove ne ricorrano i requisiti, all’azione di rescissione per lesione, ma non costituisce errore es- senziale e, quindi, non è causa di annullabilità del contratto, qualunque sia l’entità della sproporzione tra le reciproche prestazioni, salvo che non sia conse- guenza di un errore su di una qualità essenziale della cosa (16).
Riguardo al requisito della scusabilità, la cui elabo- razione aveva assunto notevole rilevanza sotto l’im- pero del codice del 1865, la scelta legislativa attuale sembra aver intrapreso una strada diversa, prescin- dendo da qualunque profilo di colposità dell’errante e spostando l’attenzione sulla diligenza dell’altra parte contraente, il cui affidamento necessita di protezione, attraverso il diverso criterio della riconoscibilità dell’errore (17).
Secondo un orientamento, sarebbe riconoscibile e, perciò, rilevante come causa di annullamento del con- tratto, soltanto l’errore che una persona di media av- vedutezza sia in grado di valutare come determinante, avuto riguardo alle circostanze della fattispecie (18). L’esigenza di tutela della circolazione dei beni ha fatto emergere, quindi, un principio di buona fede oggetti- va, grazie al quale si è subordinato il rilievo dell’inte- grità del volere alla tutela dell’affidamento ingenera- to, che esige la riconoscibilità dell’errore e, quindi, un suo minimo grado di apparenza (19). Tale oggettività,
Note:
(7) X. Xxxxxxx Xxxxxxx, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, 500; X. Xxxxx, Teoria generale del ne- gozio giuridico, in Trattato Xxxxxxxx, XX, 0, Xxxxxx, 1952, 428;
X. Xxxxxxxxx, L’errore nella dottrina del negozio giuridico,
Padova, 1963, 340.
(8) X. Xxxxxxx–Xxxxxxxxxx, La transazione, Napoli, 1975, 147.
(9) C.M. Xxxxxx, op. cit., 439.
(10) X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxxxxx ed errore sui motivi nei contratti, in Riv. dir. civ., I, 1958, 100.
(11) X. Xxxxxxxxx, op. cit., 396.
(12) X. Xxxxxxxxx, op. cit., 401.
(13) X. Xxxxxxxxx, op. cit., 407.
(14) Cass. 10 maggio 1985, n. 2915, in Giur. agr., 1986, 285;
Cass. 6 giugno 1988, n. 3809, in Giust. civ., Mass., 1988,
fasc. 6; Cass. 6 maggio 1991, n. 4984, in Foro it., 1992, I,
466; Cass. 13 giugno 1997, n. 5337, inedita.
(15) Cass. 29 giugno 1985, n. 3892, Riv. not., 1985, 1208;
Cass. 12 ottobre 1985, n. 4955, Riv. giur. edil., 1986, I, 102;
Cass. 28 marzo 1990, n. 2518, in Giust. civ., Mass., 1990,
fasc. 3.
(16) Cass. 24 luglio 1993, n. 8290, in Giust. civ., Mass., 1993,1227; Cass. 25 marzo 1996, n. 2635, in Foro it., 1996, I, 2063.
(17) X. Xxxxxxx–Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile,
Napoli, 1989, 165.
(18) Cass., 1° ottobre 1993, n. 9777, in Foro it., 1994, I, 429.
(19) X. Xxxxxxxxx, Errore (Diritto civile), in Noviss. Dig. it., Torino, 1960, 670.
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1209
URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
peraltro, secondo la tesi prevalente, non può intender- si in senso assoluto come paragonabile alla situazione di un qualunque terzo estraneo alla vicenda negoziale, in quanto è comunque necessario che il giudizio sulla riconoscibilità sia ponderato in concreto, tenendo conto della situazione psicologica delle parti e delle circostanze, le quali non possono che rilevarsi, prima di tutto, dal contenuto stesso del contratto (20). Per- tanto, la verifica della riconoscibilità, richiesta dagli artt. 1431 e 1428 c.c. a tutela dell’altro contraente, im- pone un’indagine strettamente correlata al fondamen- tale principio di buona fede (21). La riconoscibilità, poi, andrà valutata necessariamente con riferimento al tempo della conclusione del contratto (22).
Il presupposto dell’esigenza della riconoscibilità sta nell’unilateralità dell’errore, cioè nella contrappo- sizione tra una volontà inficiata nella sua formazione ed un’altra immune da qualsiasi vizio; allorquando, invece, vi siano due volontà concordi ed entrambe vi- ziate dal medesimo errore, non può trovare applica- zione il principio dell’affidamento e, quindi, non ope- ra il principio della riconoscibilità, perché, in tal caso, ciascuno dei due contraenti ha dato causa all’invalidi- tà del negozio indipendentemente dall’altro (23).
La dottrina prevalente e la giurisprudenza quasi concorde, infine, facendo leva sulla ratio dell’art. 1431, volta, come si è detto, a tutelare l’incolpevole affidamento del destinatario della dichiarazione, escludono che, ove l’errore sia concretamente rico- nosciuto, possa rilevare l’astratta irriconoscibilità dello stesso (24).
I percorsi argomentativi delle sentenze: analisi critica
Passando, più nel concreto, a sviscerare i principi enunciati dalla sentenza della II sezione, si può osser- vare che la Corte ha seguito due strade sostanzial- mente parallele: per un verso, ha valorizzato la rite- nuta conoscenza della natura del suolo all’epoca di conclusione del negozio, per altro verso, ha attribuito rilevanza allo strumento urbanistico adottato e non ancora approvato, parificato ad una norma giuridica. Non convince, tuttavia, il sillogismo utilizzato dalla S.C., la quale, premessa l’equiparazione delle dispo- sizioni del P.R.G. alle norme giuridiche, ne ha tratto la conseguenza che la loro conoscenza deve ritenersi presuntivamente sussistente.
Il presupposto che, in questi casi, si verta in ipotesi di errore di diritto è stato escluso dalla sentenza delle Sezioni unite in rassegna. L’errore sulle caratteristi- che di edificabilità del fondo, infatti, anche se provo- cato dall’ignoranza della legge urbanistica, dev’es- sere ricondotto all’errore sulle qualità dell’oggetto, ai sensi del n. 2 dell’art. 1429 c.c., piuttosto che all’errore di diritto, perché la destinazione del fondo è attinente alle sue caratteristiche reali, in senso fun- zionale, economico e sociale (25).
Ma, anche a voler prendere in considerazione la tesi dell’errore di diritto, veramente non si comprende il significato del richiamo alla presunzione di conoscibi- lità della parte caduta in errore. Così ragionando, in- fatti, si verrebbe a negare la stessa astratta configura- bilità dell’errore di diritto. Affatto estraneo alla disciplina dell’errore di diritto è, infatti, considerato il
principio generale dell’inescusabilità dell’ignoranza della legge, proprio in forza della considerazione che lo stesso art. 1429, n. 4, c.c. esclude la rilevanza, in te- ma di errore, della presunzione di conoscenza delle norme giuridiche. Non si tratterebbe, infatti, di sottrar- si all’imperatività della norma, bensì di valutare l’in- cidenza sulla volontà negoziale dell’ignoranza o falsa conoscenza della stessa (26).
Meno interessante appare il secondo motivo della decisione, per il quale si può solo osservare che, se è vero che le parti si erano rappresentate la possibilità di un mutamento di destinazione del fondo e, quindi, avevano attribuito al contratto una forma di aleato- rietà astrattamente idonea ad escludere la possibilità di risoluzione per eccessiva onerosità, non è men ve- ro che qui la stessa aleatorietà era esclusa dalla pre- esistenza di una situazione dedotta come meramente eventuale. Xxxxxx, invece, nel segno l’obiezione se- condo la quale la mancanza del differimento dell’esecuzione delle prestazioni impedisce l’appli- cazione di un istituto previsto esclusivamente per le ipotesi di esecuzione continuata o differita.
Andando ad esaminare la più corposa sentenza delle Sezioni unite, si può preliminarmente osservare come essa sia intervenuta, come già accennato, a sa- nare un contrasto tra due contrapposte teorie sostenu- te negli anni dalle sezioni semplici. Si è già riferito della tesi restrittiva, secondo la quale, per aversi erro- re essenziale, è necessaria l’esistenza di elementi og- gettivi atti a dimostrare l’edificabilità attuale del suo- lo al momento del consenso: non sarebbe, perciò, sufficiente la prospettiva di una futura possibilità di edificazione, anche ove sia in corso di approvazione uno strumento urbanistico, che preveda la trasforma- zione dell’area da agricola in edificatoria, atteso che detto strumento, prima della approvazione, è inido- neo ad incidere sui diritti dei privati ed a regolare i rapporti di diritto comune, anche nei riguardi della
P.A. Sebbene la circostanza sia idonea ad incidere sul valore del bene (27), non sussistendo l’attuale edifi- cabilità del suolo, si configurerebbe unicamente un errore sulla convenienza economica dell’affare, di per sé irrilevante.
Si è accennato anche alla opinione meno rigorosa
Note:
(20) X. Xxxxxxx–Xxxxxxxxxx, op. cit., 164; Cass. 29 novembre 1985, n. 5972, in Foro it., Rep., 1985, voce Lavoro (rappor- to), n. 552.
(21) Cass., 1° febbraio 1991 n. 980, in Giust. civ., Mass., 1991, fasc. 2.
(22) X. Xxxxxxxxx, op. cit., 229.
(23) Si veda, di recente, la rassegna curata da X. Xxxxxxxxx, Errore bilaterale: nozioni e rimedi giurisdizionali, in questa Rivista, 642.
(24) X. Xxxxxxxxx, xx. xxx., 000; X. Xxxxxxx–Xxxxxxxxxx, op. cit., 165; X. Xxxxxxxxx, op. cit., 671; C.M. Xxxxxx, op. cit., 613; Cass., 29 giugno 1985, n. 3892, Riv. notar., 1985, 1208.
(25) Cass., 17 dicembre 1991, n. 13578, in Giust. civ.,
Mass., 1991, fasc.12.
(26) Cass., 29 giugno 1985, n. 3892, cit.
(27) Cass., 6 giugno 1988, n. 3809, cit.
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secondo la quale, invece, nell’ipotesi di contratto avente ad oggetto un terreno situato in una zona rite- nuta non edificabile e per la quale sia stato adottato ma non ancora approvato un P.R.G., che ne preveda l’utilizzabilità a fini edificatori, l’errore cade su una qualità dell’oggetto determinante del consenso e rientrante, quindi, nella previsione dell’art. 1429, n. 2, c.c. (28).
La sentenza, ai fini della risoluzione del contrasto, si schiera a favore della tesi dell’errore di fatto e non di diritto: infatti, la falsa rappresentazione della real- tà, in questo caso, si risolve nell’inesatta conoscenza circa l’edificabilità del suolo, circostanza relativa ai caratteri reali dello stesso. È evidente che i contraen- ti, i quali si determinano alla conclusione di una pro- messa di vendita, in funzione delle qualità del terreno e per le utilità che rispettivamente possono ricavare dal contratto, incorrono in errore essenziale ove ignorino la reale natura dell’immobile (29).
Questa tesi è sicuramente preferibile: il riferimen- to all’errore di fatto che cade sulle qualità del bene consente di attribuire diversa identità ad un fondo non ancora edificabile, ma compreso in zona di espansione edilizia da strumento urbanistico provvi- sorio, rispetto ad un altro fondo non fabbricabile che, nello stesso strumento, abbia conservato destinazio- ne agricola, stante la differente considerazione che, secondo il comune apprezzamento, scaturisce da tale qualificazione (30). Ritenendo diversamente, appa- rirebbe privo di rilievo il comune apprezzamento, che pur vale ad attribuire carattere essenziale ad una qualità, ai sensi del n. 2 dell’art. 1429 c.c.
Il ragionamento merita di essere condiviso, anche alla luce degli svariati effetti immediati (cc.dd. misure di salvaguardia) provocati dall’adozione del P.R.G. in fase di approvazione, pure richiamati a supporto della tesi sostenuta dalla sentenza in esame.
Riconosciuta, così, l’essenzialità dell’errore, oc- corre soffermarsi ora sulla sua riconoscibilità. E qui la Cassazione segna una svolta importante, puntualiz- zando la parificazione della conoscenza effettiva dell’errore alla riconoscibilità richiesta dall’art. 1431
c.c. Tale norma, la quale richiede una forma di diligen- za media per la rilevabilità dell’errore, è posta a tutela della parte che incontra l’altrui viziata volontà, senza aver concorso all’erronea formazione della stessa. Si vuole, quindi, proteggere, come si è più sopra accen- nato, il legittimo affidamento di chi nell’errore non sia incorso. Ne consegue che la tutela di tale affidamento non può che cedere il passo, quando sussista la concre- ta conoscenza della situazione viziata ed indipenden- temente dalla astratta riconoscibilità della stessa. Cer- to, la fattispecie giunta al vaglio delle Sezioni unite, proprio per tale ultimo motivo si discostava parzial- mente dagli altri precedenti giurisprudenziali, ove il giudizio verteva sulla vera e propria riconoscibilità. Ciò non toglie che nell’ipotesi normale si dovrà torna- re a fare riferimento ai criteri della diligenza media, sia pure temperati, come d’altronde si è già evidenzia- to, dalla situazione psicologica e materiale attinente al caso concreto.
Tale diligenza media, peraltro, non potrà dirsi esaurita nell’aver prestato fede alle caratteristiche ri- sultanti dall’acquisizione del semplice certificato di destinazione urbanistica (31), in quanto non sembra
plausibile che un soggetto, il quale intenda impe- gnarsi in una transazione commerciale di sicura rile- vanza economica, si fermi alle caratteristiche risul- tanti prima facie da una certificazione probabilmente non aggiornata. Costui, invece, normalmente si in- formerà, attraverso un parere tecnico o raccogliendo informazioni attendibili, circa la possibilità di sfrut- tamento economico presente e futuro del bene in og- getto, al fine di rappresentarsi con chiarezza le sue qualità.
Note:
(28) Cass., 12 ottobre 1985, n. 4955, cit.
(29) Cass., 17 dicembre 1991, n. 13578, cit.
(30) Cass., 12 ottobre 1985, n. 4955, cit.
(31) Così X. Xxxxx, L’efficacia immediata della modifica dell’area si rileva anche dalle misure di salvaguardia, in Gui- da al diritto, n. 28, 1997, 41.
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Diritto civile
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxxx Xx Xxxxx
APPALTI E LAVORI PUBBLICI
ficati su aree di proprietà della cooperativa, per esse-
GIURISPRUDENZA
re successivamente ceduti ai soci di questa. La
Osservatorio
Soggettoobbligatoalpagamento delcorrispettivo
riconducibilità della fattispecie all’art. 15, comma 3,
l. n. 60/1963 ha consentito alla Corte di ritenere che, nel caso di specie, l’appalto era stato stipulato dalla
civile
1212
cooperativa, quale proprietaria del suolo e degli edi-
ficandi fabbricati e non quale ente diverso dal desti-
URBANISTICA
Cassazione civile, sez. I, 9 luglio 1997, n. 6208 - Pres. Sensale - Est. Xxxxxxxxx
2.63574 – 2.27207
Con riguardo alla realizzazione di alloggi per lavora- tori da destinarsi ad una cooperativa dietro apporto del terreno da parte dei soci di essa, secondo le previ- sioni dell’art. 15, comma 3, n. 3 della legge 14 febbraio 1963, n. 60, e per il caso in cui, ai sensi dell’art. 30, comma 1 della stessa legge, detta cooperativa, ammes- sa al finanziamento pubblico, si avvalga della facoltà di assumere direttamente il compito della costruzione, conferendo in appalto la relativa opera, anziché dele- gare la stipulazione del contratto ad un ente prescelto quale stazione appaltante dall’istituto autonomo per le case popolari, la cooperativa medesima assume la ve- ste non di nudus minister di tale istituto, ma di appal- tante e, quindi, risponde verso l’appaltatore delle ob- bligazioni costituite con quel contratto.
In tema d’appalto di opere pubbliche, l’art. 35, com- ma 3 del capitolato generale approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, laddove accorda gli interessi secondo i tassi bancari per il ritardato pagamento del corrispettivo dovuto all’appaltatore, include in detti interessi l’intero pregiudizio da mora debendi solo con riferimento a detto corrispettivo, e, pertan- to, quando si verifichi la mora del committente anche per il debito inerente agli interessi, non deroga all’art. 1224, comma 2 c.c., sulla risarcibilità del danno maggiore, sempre che il creditore ottemperi all’onere di dedurre e dimostrare un nocumento ulte- riore (non desumibile in via presuntiva soltanto dalla sua qualità d’imprenditore, già scontata da detta norma con l’attribuzione degli interessi sul capitale bancario).
Una società cooperativa edilizia aveva convenuto in giudizio lo IACP di Bari e l’imprenditore che ave- va realizzato la costruzione di trenta alloggi, delibe- rata dalla Gescal.
L’attrice aveva chiesto che lo IACP fosse condan- nato a pagare all’appaltatore il residuo corrispettivo contrattuale.
Il giudice di primo grado aveva accolto la doman- da, mentre la Corte d’appello, a fronte della riconven- zionale spiegata dall’appaltatore, aveva condannato la cooperativa a versare le somme ancora dovute.
La Corte di cassazione ha confermato quest’ulti- ma sentenza, rilevando che gli alloggi erano stati edi-
xxxxxxx delle opere.
Per queste ragioni, la Corte ha escluso che potesse- ro trovare applicazione i principi elaborati dalla S.C., in tema di non riferibilità dei debiti verso l’appaltatore alla stazione appaltante, ogniqualvolta questa conclu- da il contratto quale mero preposto alla stipulazione per conto del dominus del rapporto, ossia del benefi- ciario delle opere (Cass., sez. I, 19 febbraio 1991, n. 1714, in Arch. giur. oo. pp., 1991, 791).
La Corte ha, infine, escluso l’operatività, nel caso di specie, delle regole in materia di delegazione am- ministrativa, ravvisabile soltanto nel rapporto tra enti pubblici (Cass., 3 novembre 1983, n. 6474, in Rass.
avv. Stato, 1984, I, 182).
Quanto alla seconda massima, si veda Cass., sez. I, 12 settembre 1991, n. 9555, in Arch. giur. oo. pp., 1991, 2101.
Appalti pubblicieformascritta
Cassazione civile, sez. I, 18 luglio 1997, n. 6629 - Pres. Corda - Est. Milani
2.63564
Nei contratti a forma vincolata non occorre che la volontà negoziale sia manifestata da entrambi i con- traenti contestualmente, dovendosi ritenere osserva- to il requisito della forma scritta ad substantiam pur se le sottoscrizioni siano contenute in documenti di- versi, anche cronologicamente distinti, quando il se- condo documento sia inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente l’incon- tro dei consensi.
Il principio in epigrafe è stato più volte ribadito dalla S.C. Si vedano, ad esempio, Xxxx., sez. I, 4 maggio 1995, n. 4856 (in Foro it., Rep. 1995, voce Arbitrato, n. 84, con riferimento alla clausola com- promissoria); Cass., sez. II, 1° dicembre 1992, n. 12819 (id., Rep. 1992, voce Contratto in genere, n. 251).
Nel caso di specie, la I sezione ha ritenuto che il requisito della forma scritta del contratto di appalto di opere pubbliche fosse integrato, da un lato, dalle deliberazioni della Giunta di un Comune di affida- mento e di approvazione dei lavori, dall’altro, dalla sottoscrizione da parte dell’imprenditore di un atto di sottomissione.
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Appalti pubblicieazione diarricchimentosenzacausa
Cassazione civile, sez. I, 17 luglio 1997, n. 6570 - Pres. Vessia - Est. Ferro
2.18316
Nel caso di azione di arricchimento proposta da un appaltatore nei confronti di un ente pubblico territo- riale, a seguito dell’esecuzione di opere fondata su un contratto non validamente perfezionatosi per il difetto della relativa delibera da parte dell’organo competente, il riconoscimento da parte dell’ente del- la utilità delle opere medesime può risultare implici- tamente per facta concludentia.
La I sezione della S.C. torna a ribadire che l’azio- ne di arricchimento ingiustificato nei confronti della
P.A. differisce da quella ordinaria, in quanto non è sufficiente il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma è necessario che questo abbia ricono- sciuto tale utilità o in maniera esplicita o in modo im- plicito, mediante l’utilizzazione della prestazione al- trui consapevolmente attuata dai suoi organi rappresentativi (si veda, per tutte, Xxxx. 27 febbraio 1991, n. 2111, in Foro it., Rep. 1991, voce Arricchi- mento senza causa, n. 3).
La Corte ha, altresì, precisato che il riconosci- mento implicito assume rilevanza solo se discende da comportamenti imputabili a coloro ai quali è ri- messa la formazione della volontà dell’ente (Xxxx., sez. III, 11 novembre 1994, n. 9458, id. Rep. 1994, voce cit., n. 12) e può derivare dall’utilizzazione dell’opera (Cass., sez. I, 7 marzo 1995, n. 2656, in Arch. civ., 1995, 1575, che ha valorizzato l’appron- tamento dei servizi necessari per l’agibilità di un edificio destinato dall’ente a sede dei propri uffici). Nel caso di specie, la sentenza d’appello, confer- mata sul punto dalla S.C., aveva ravvisato il ricono- scimento dell’utilitas in un coacervo di elementi si- gnificativi, quali l’approvazione del progetto dei lavori, successivamente eseguiti, da parte della Giunta comunale, l’inclusione nell’ordine del giorno del Consiglio dell’affidamento dei lavori alla società che li avrebbe realizzati, l’inserzione delle opere nell’ambito della viabilità comunale, con la loro de-
stinazione alla pubblica fruizione.
La I sezione ha, infine, affermato che con riferi- mento a tutte le obbligazioni di valore – comprese in particolare quelle derivanti dalla disciplina sull’ar- ricchimento senza causa – trova applicazione il prin- cipio che il danno da ritardo non può essere liquidato mediante interessi calcolati (a far tempo dalla data in cui il ritardo assume giuridica rilevanza) sulla som- ma liquidata alla stregua dei valori monetari del tem- po della decisione, poiché, nel caso in cui il giudice adotti come criterio di risarcimento del danno da ri- tardato adempimento quello degli interessi, fissan- done il tasso, è consentito soltanto calcolare tali inte- ressi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma corrispondente al valore oggetto dell’obbligazione si incrementa no-
minalmente in base agli indici prescelti di rivaluta- zione monetaria, ovvero a un indice medio. In so- stanza la Corte ha fatto applicazione, in subiecta materia, dei principi che si leggono in Cass., Sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712 (in Corr. giur., 1995, 462).
Licitazioneprivata eresponsabilitàprecontrattuale
Cassazione civile, Sez. un., 26 maggio 1997, n. 4673 - Pres. La Torre - Est. Xxxxx
2.14835
La domanda del partecipante ad una gara d’appalto, indetta dalla P.A. a licitazione privata e successiva- mente annullata dalla stessa amministrazione, diret- ta a far valere la responsabilità precontrattuale di quest’ultima ai sensi dell’art. 1337 c.c., è sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario per rientrare in quella del giudice amministrativo, atteso che nel corso del procedimento di licitazione gli interessati non hanno la qualità di possibili futuri contraenti, cui si riferisce il citato art. 1337 c.c., ma soltanto quella di partecipanti alla gara, cui è riconosciuto unicamente l’interesse legittimo al corretto esercizio del potere di scelta da parte dell’amministrazione stessa, senza che possa configurarsi quella relazione specifica tra soggetti consistente nello svolgimento delle trattative, che nella menzionata disposizione del codice civile costituisce il presupposto dell’ob- bligo di comportamento secondo buona fede, valido anche per l’autorità amministrativa.
La decisione in epigrafe è stata resa a seguito della proposizione di regolamento di giurisdizione da par- te di un’Unità socio–sanitaria locale, convenuta in giudizio da una società, che lamentava i danni soffer- ti per effetto dell’annullamento della gara d’appalto, indetta con il sistema della licitazione privata.
Le Sezioni unite hanno ribadito che l’obbligo di comportarsi secondo buona fede nel corso delle tratta- tive vincola anche la P.A. che abbia deciso di avvalersi della trattativa privata. Al contrario, l’art. 1337 c.c. è inapplicabile, quando sia stato adottato il procedimen- to di licitazione privata, poiché, durante il suo svolgi- mento, manca negli interessati la qualità di parti, inte- se come futuri possibili contraenti, cui si riferisce la norma. In definitiva, i partecipanti alla gara sono tito- lari dell’interesse legittimo al corretto esercizio, da parte dell’autorità amministrativa, del potere di scelta dell’imprenditore che, alle condizioni più convenien- ti, dia ad essa maggiori garanzie, ma non hanno alcun diritto soggettivo alla prosecuzione del procedimento e al rispetto della regola sancita dall’art. 1337 c.c.
È stata, pertanto, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Negli stessi termini, si vedano Cass., Sez. un., 6 ot- tobre 1993, n. 9892 (in Corr. giur., 1994, 208); Cass.
29 luglio 1987, n. 6545 (in Foro it., 1988, I, 460), che ha valorizzato la circostanza secondo la quale i sin- goli concorrenti conoscono la propria offerta, ma non quella degli altri, talché non possono esprimere una valutazione preventiva circa l’esito favorevole del provvedimento né invocare un legittimo affida-
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GIURISPRUDENZA
Osservatorio civile
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URBANISTICA EAPPALTI
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mento per la conclusione del contratto. Con quest’ul- tima decisione, anzi, la S.C. ha escluso la responsabi- lità precontrattuale della P.A., anche se vi sia stato l’annullamento giurisdizionale degli atti relativi alla soppressione della gara e alla stipula di un contratto a trattativa privata con altra impresa, perché il giudicato amministrativo di annullamento non modifica la con- sistenza della situazione soggettiva dedotta in giudi- zio, che rimane immutata come interesse legittimo.
ESPROPRIAZIONE
PERPUBBLICAUTILITÀ
Indennitàspettante all’affittuarioeritardatopagamento
i frutti civili che sarebbero stati prodotti dall’indenni- tà, qualora la stessa fosse stata tempestivamente corri- sposta in relazione ai termini previsti dall’art. 12, l. n. 865/1971, per il compimento degli adempimenti oc- correnti ai fini del trasferimento (mediante la cessione volontaria o mediante l’espropriazione).
GIURISDIZIONE
Aziendeconsortilieappaltod’opera
Cassazione civile, Sez. un., 9 luglio 1997, n. 6225
- Pres. La Torre - Est. Amirante
2.27068
La natura di enti pubblici economici da riconoscere
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GIURISPRUDENZA
Osservatorio civile
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
(salvo contrarie indicazioni emergenti dai singoli
statuti) alle aziende consortili soggette alla discipli-
Cassazione civile, sez. I, 18 luglio 1997, n. 6627 - Pres. Corda - Est. Ferro
2.14841
Il principio secondo cui, per le obbligazioni pecunia- rie della P.A. per le quali le norme della contabilità pubblica stabiliscono (in deroga al criterio di cui al terzo comma dell’art. 1182 cod. civ.) che i pagamenti si effettuino presso gli uffici di tesoreria dell’ammi- nistrazione debitrice, il ritardo nel pagamento non determina automaticamente gli effetti della mora ex re ai sensi dell’art. 1219, secondo xxxxx, n. 3 c.c., non può trovare applicazione con riguardo ad inte- ressi che esigano di essere qualificati come corri- spettivi, in quanto destinati a sostituire i frutti civili che sarebbero stati prodotti dalla immediata dispo- nibilità della somma di danaro costituente l’oggetto dell’obbligazione della P.A. (nella specie, l’obbliga- zione aveva ad oggetto la corresponsione di indenni- tà di espropriazione spettante all’affittuario e com- portava l’applicazione dell’ultimo comma dell’art. 12 della legge n. 865 del 1971, aggiunto con l’art. 14
della legge 28 gennaio 1977, n. 10).
Gli eredi di un affittuario, in favore del quale l’en- te espropriante aveva liquidato, ma non corrisposto l’indennità prevista dall’art. 17, l. n. 865/1971, ave- vano convenuto in giudizio il Comune obbligato, al fine di ottenerne la condanna al pagamento.
Versata l’indennità nel corso del giudizio, restava da risolvere la questione concernente la decorrenza degli interessi.
I giudici di primo grado avevano negato il diritto alla corresponsione degli interessi, assumendo che non era configurabile l’obbligazione accessoria, poiché non era venuta in essere l’obbligazione prin- cipale, stante la mancata accettazione dell’indennità nel termine previsto dalla legge. La Corte d’appello, pur svincolando l’obbligazione avente ad oggetto l’indennità in questione dalle vicende relative all’in- dennità principale, aveva fatto decorrere gli interessi dal giorno della costituzione in mora, in forza della natura quérable del credito.
La Corte di cassazione ha, invece, qualificato gli interessi richiesti come corrispettivi, in tal modo indi- viduando la causa debendi nell’esigenza di garantire
na del T.U. delle leggi sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni e delle province (r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578) nonché del d.P.R. 4 ot- tobre 1986, n. 902 (contenente il regolamento delle aziende di servizi dipendenti dagli enti locali) e della legge 8 giugno 1990, n. 142 sull’ordinamento delle autonomie locali, comporta che le controversie con- cernenti l’aggiudicazione di un appalto stipulato da una di dette aziende, quando essa agisca in proprio e in posizione di parità con gli aspiranti alla gara e non già quale concessionario di un ente pubblico non economico, appartengono alla cognizione del giudice ordinario, in quanto gli atti attinenti alla procedura di scelta dell’aggiudicatario non ineri- scono alla organizzazione dell’ente e non sono ido- nei a degradare la posizione soggettiva dei terzi in essi coinvolti a interesse legittimo (senza che in con- trario assuma rilievo l’applicabilità all’appalto (per richiamo fattone dall’appaltante, spontaneamente o in quanto obbligatovi) del decreto legislativo 19 di- cembre 1991, n. 406, di attuazione della direttiva co- munitaria n. 89/440 in materia di procedure di ag- giudicazione degli appalti di lavori pubblici, rilevando, ai fini del carattere autoritativo o non de- gli atti del procedimento di aggiudicazione, la quali- tà del soggetto che li ha posti in essere, non la loro disciplina sostanziale.
Nel corso di una controversia promossa dinanzi al Tar dell’Abruzzo da una società, che aveva impugnato il provvedimento di aggiudicazione, relativo all’ap- palto per la costruzione del sistema di telecontrollo di un acquedotto, emesso dall’Azienda speciale Acque- dotto del Ruzzo–Asar, quest’ultima aveva proposto ricorso per regolamento di giurisdizione.
La Corte ha ribadito che l’Asar è un’azienda con- sortile assimilabile agli enti pubblici economici, talché, qualora non sussista un provvedimento trasla- tivo di pubblici poteri, che consenta di qualificare l’azienda come organo indiretto della P.A. (si veda, ad es., Cass., 29 dicembre 1990, n. 12221, in Foro it., 1991, I, 3405), deve ritenersi che le controversie con- cernenti l’aggiudicazione di un appalto sono devolu- te alla giurisdizione dell’a.g.o. (con riguardo agli enti pubblici economici, si veda Cass., Sez. un., 28 no- vembre 1996, n. 10616, in questa Rivista, 407; per
una recente affermazione del principio, con riferi- mento ad un’azienda municipalizzata, si veda Cass., Sez. un., 6 giugno 1997, n. 5085, in questa Rivista, 1134). In senso contrario non depone la circostanza che nel bando fosse stato richiamato il d.lgs. n. 406/1991, poiché la qualificazione degli atti di un procedimento in termini privatistici o pubblicistici è correlata alla natura del soggetto che li pone in essere e non al contenuto della disciplina sostanziale.
Le Sezioni unite hanno, altresì, chiarito che, in tale prospettiva privatistica, l’art. 67, comma 2 del d.P.R.
n. 902/1986, che prevede la facoltà dell’azienda di ri- solvere il contratto per sopravvenuti motivi di inte- resse pubblico, deve essere interpretato come confi- gurante un’ipotesi di recesso, non dissimile da quella disciplinata dall’art. 1671 c.c.
OCCUPAZIONEAPPROPRIATIVA
Annullamentodelladichiarazionedip.u.
Cassazione civile, sez. I, 16 luglio 1997, n. 6515 - Pres. Corda - Est. Verucci
2.15237
Lo ius superveniens costituito dall’art. 3, comma 65,
l. n. 662/1996, che ha aggiunto il comma 7 bis all’art. 5 bis, d.l. n. 333/1992, conv. in l. n. 359/1992, si ap- plica a quelle occupazioni illegittime di suoli che so- no riconducibili all’istituto dell’occupazione appro- priativa e che quindi non può trovare applicazione nei casi in cui tale fattispecie non è configurabile, per mancanza di valida dichiarazione di pubblica utilità: in tal caso, realizzandosi solo un fatto illecito, generatore di danno, il privato ha diritto al risarci- mento commisurato al valore venale del bene.
Nel caso di specie, la dichiarazione di p.u. era sta- ta travolta dall’annullamento giurisdizionale del P.E.E.P., in attuazione del quale era stata disposta la procedura espropriativa che aveva interessato il ter- reno del resistente. Sulla rilevanza della dichiara- zione di p.u., ai fini del perfezionamento della fatti- specie estintivo–acquisitiva si veda, tra l’altro, la recentissima Cass, Sez. un., 4 marzo 1997, n. 1907, in questa Rivista, 525.
La Corte ha, quindi, escluso l’applicabilità del nuovo criterio risarcitorio delineato dall’art. 5 bis, comma 7 bis, l. n. 359/1992, aggiunto dall’art. 3, comma 65, l. n. 662/1996, giacché questo appare strettamente correlato, per ragioni letterali e sistema- tiche, all’esistenza di una «causa di pubblica utilità».
Ediliziaconvenzionataedagevolata enuovicriteririsarcitori
dall’art. 3, comma 65, l. n. 662/1996) prevedendo, per la liquidazione del danno derivante da occupa- zione illegittima, l’applicazione dei criteri dettati dal comma 1 del medesimo art. 5 bis, per la determi- nazione dell’indennità (con esclusione della ridu- zione del 40 per cento e con aumento del 10 per cen- to dell’importo) ha richiamato il citato primo comma esclusivamente al fine di mutuarne il crite- rio oggettivo di liquidazione del danno, indipen- dentemente dalla qualità (pubblica o privata) dei soggetti chiamati a risponderne. Per l’individua- zione di tali soggetti occorre far riferimento all’art. 3, l. n. 458/1988 che ha inteso estendere l’applica- zione della cosiddetta «accessione invertita» alle opere di edilizia residenziale pubblica agevolata o convenzionata facenti capo a privati (e perciò di per sé non rientranti nell’ambito dell’istituto così come costruito dalla giurisprudenza), non ritenendosi giustificata una disparità di trattamento in situazio- ni caratterizzate dall’identica esigenza politico– economico–sociale di assecondare la costruzione di alloggi per le categorie meno abbienti. Ne conse- gue che i criteri di liquidazione del danno di cui al comma 7 bis dell’art. 5 bis, l. n. 359/1992 sono ap- plicabili anche nell’ipotesi di opere non apparte- nenti allo Stato o ad altri enti pubblici e perciò non
«soggettivamente» pubbliche.
Cassazione civile, sez. I, 5 agosto 1997, n. 7202 - Pres. Corda – Est. Xxxxxxxxx
2.
L’art. 3, comma 65, l. n. 662/1996 (che ha aggiunto il comma 7 bis, all’art. 5 bis, l. n. 359/1992) deve rite- nersi applicabile indistintamente a tutte le occupa- zioni illegittime che non consentano la restituzione dell’immobile, comprese quelle relative ad opere di edilizia popolare ed economica, dovendosi escludere che per esse l’art. 3, l. n. 458/1988 preveda una disci- plina particolare, posto che detta norma si limita a prevedere il risarcimento del danno per il proprieta- rio delle aree illegittimamente occupate, senza indi- care le modalità per la liquidazione dello stesso, mo- dalità che, perciò, ben possono essere fissate da una legge successiva con criteri diversi da quello del va- lore venale del suolo.
L’interpretazione accolta dal S.C. con le due deci- sioni che si riportano risolve autorevolmente uno dei tanti dubbi esegetici sollevati dalla formulazione let- terale del nuovo comma 7 bis dell’art. 5 bis, l. n. 359/1992.
Negli stessi sensi, si vedano le osservazioni di chi scrive in La nuova disciplina del risarcimento del danno da occupazione appropriativa, in questa Rivi- sta, 142; contra, App. Reggio Calabria, ordinanza 16 gennaio 1997, n. 292, id., 1099.
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GIURISPRUDENZA
Osservatorio civile
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
Cassazione civile, sez. I, 9 agosto 1997, n. 7440 - Pres. Corda - Est. Senofonte
2.15089 – 2.16354
In tema di espropriazione per pubblica utilità l’art. 5 bis, l. n. 359/1992 al comma 7 bis (introdotto
Accesso ai documenti
ACTIO AD EXHIBENDUM
E ATTIVITA’ DI DIRITTO PRIVATO DELL’AMMINISTRAZIONE
G
GIURISPRUDENZA
Amministrativa
Consiglio di Stato, sez. IV, 2 aprile 1997, n. 539
– Pres. Xxxxxxx – Est. Carbone – S.p.a. Ferro- vie dello Stato x. Xxxxxxx
2.67221
Il diritto di accesso, sancito dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, non è esercitabile nei confronti degli at- ti riconducibili all’attività di diritto privato svolta dal concessionario di un pubblico servizio.
... Omissis ...
Diritto L’appello è fondato.
Come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, la legge consente l’accesso a rappresen- tazioni del contenuto di atti formati dalle pubbliche amministrazioni o comunque utilizzati ai fini dell’at- tività amministrativa (art. 22, comma 2, l. n. 241/1990). Deve, quindi, trattarsi di atti inseriti in un procedimento e tale conclusione trova conferma sia nella collocazione della normativa in una legge dedi- cata alla disciplina del procedimento amministrati- vo, sia in vari riferimenti contenuti nell’art. 24, com- ma 2, lett. d) della stessa legge e negli articoli 2, comma 2, e 3, comma 1, del d.P.R. n. 352/1992. È sta- to, pertanto, escluso che il diritto di accesso possa esercitarsi nei confronti dell’attività di diritto privato (IV sez., n. 412/1995; VI sez., n. 1083/1995 e nn. 297 e 1734/1996).
Tale è la attuale natura della appellante, alla stre- gua della sua configurazione in società per azioni as- sunta a seguito della delibera C.I.P.E. 12 agosto 1992. In particolare, la Sezione ritiene non condivisi- bile, per il caso di specie, l’argomentazione utilizzata dal giudice di prime cure, secondo cui – pur non po- tendosi escludere il carattere privatistico dell’attività delle Ferrovie dello Stato S.p.A. – ad essa si estende la disciplina della l. n. 241/1990 in virtù dell’art. 23 della stessa legge, che ne dispone l’applicazione an- che alle società concessionarie di un servizio pubbli- co. Secondo un orientamento ormai consolidato, da cui il Collegio non ritiene di doversi discostare (cfr. le già citate VI sez., n. 297/1996), richiamata dallo stesso giudice di primo grado, relativa alla S.I.A.E., nonché, con specifico riferimento ad una concessio- naria di servizio pubblico come l’Ente Poste, VI sez.,
n. 1734/1996, tale estensione deve essere limitata all’attività che comporta l’esercizio di poteri pubbli- cistici, o comunque relativa alla gestione del servizio pubblico.
Ciò non accade nel caso di specie, in cui si doman- da l’accesso ad atti relativi agli atti relativi al procedi-
mento di assegnazione della dirigenza del I reparto movimento di linea di Napoli, ovvero ad atti inerenti al rapporto di impiego intrattenuto con la società, benché instauratosi con una procedura di tipo con- corsuale.
Alla stregua delle esposte considerazioni, l’appel- lo in epigrafe va accolto.
Sussistono, peralto, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
... Omissis ...
Consiglio di Stato, sez. V, 7 marzo 1997, n. 228
– Pres. Calabrò – Est. Xxxxxxx Xxxxxx – Associa- zione Cavalieri Italiani del Sovrano Ordine di Malta c. USL RM/H
2.67221
È inammissibile la richiesta di accesso ai documenti qualificata dalla tutela di un interesse dell’istante non correlato ad alcuna azione dell’amministrazio- ne, di diritto pubblico o privato, ove non sussista quindi quell’esigenza di trasparenza e conoscenza dell’attività amministrativa, che costituisce la ratio del diritto di accesso disciplinato dalla legge 7 ago- sto 1990 n. 241.
... Omissis ...
Diritto
1. L’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovra- no Militare Ordine di Malta ha chiesto all’azienda sa- nitaria intimata l’accesso alla documentazione ammi- nistrativa riguardante il dott. Xx Xxxxxxxx, dipendente dell’azienda.
A fondamento della richiesta di accesso, l’Asso- ciazione adduce la circostanza della pendenza di una controversia giudiziaria con lo stesso dott. Xx Xxxx- xxxx in relazione a un rapporto di lavoro intercorso con lo stesso.
La richiesta di accesso riguardava la posizione la- vorativa del Di Gianvito con l’azienda, lo stipendio lordo percepito dal mdico, il modello 101 e la docu- mentazione relativa alla ritenuta d’acconto.
L’azienda, in risposta, forniva notizie sugli incari- chi ricoperti dal Xx Xxxxxxxx e sui parametri retributi- vi corrispondenti agli incarichi. Nessuna risposta ve- niva fornita sulla documentazione fiscale.
Il Tribunale amministrativo, rilevando che l’am- ministrazione ha fornito all’associazione notizie suf- ficienti, ha respinto il ricorso di primo grado.
2. L’appello è infondato.
La norma che disciplina l’accesso ai documenti amministrativi, nel richiedere la sussistenza di un in- teresse giuridicamente qualificato, consente, in pri-
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n. 11/1997
mo luogo all’amministrazione e poi al giudice, di ef- fettuare una valutazione circa la correlazione tra l’interesse dedotto dall’istante a fondamento della pretesa e il contenuto della pretesa medesima, nel senso che l’accesso può ben essere consentito nella misura in cui esso, in modo ragionevole e congruo, soddisfa l’interesse «giuridicamente qualificato» che legittima l’istante all’accesso.
Nella fattispecie in esame, pertanto, esattamente il Tribunale amministrativo, e ancor prima l’ammini- strazione, hanno ritenuto che l’interesse dell’asso- ciazione appellante a ottenere la documentazione concernente il Di Xxxxxxxx in relazione a una contro- versia in corso fosse stato adeguatamente soddisfatto dalle notizie fornite dall’amministrazione sanitaria. D’altra parte, va considerato, su di un piano più generale, che, nella specie, la richiesta di accesso è qualificata dalla tutela di un interesse dell’istante che non è correlato ad alcuna nozione dell’amministra- zione, di diritto pubblico o di diritto privato. L’ammi- nistrazione sanitaria, infatti, semplicemente detiene gli atti relativi al rapporto di servizio che intercorre con il Di Xxxxxxxx, atti che l’associazione istante in- tende conoscere per tutelare un proprio interesse nei
confronti dello stesso Xx Xxxxxxxx.
Non occorre, pertanto, nella specie nemmeno quell’esigenza, di trasparenza e conoscenza dell’azio- ne amministrativa, che costituisce la ratio del diritto di accesso disciplinato dalla l. n. 241/1990.
L’appello va quindi respinto.
... Omissis ...
Consiglio di Stato, sez. IV, 17 giugno 1997, n. 649 – Pres. Xxxxxxxx – Est. De Lipsis – Ministe- ro delle Finanze c. Dirstat–Finanze
2.67221
Non può escludersi, in generale, il diritto di accesso ad atti che, pur ricadendo nella sfera di diritto privato della pubblica amministrazione, si riferiscono ad uno dei settori più importanti dell’amministrazione finan- ziaria, onde assicurare, anche in questo campo, la trasparenza dell’azione amministrativa nonché il suo svolgimento imparziale a tutela di posizioni giuridi- che rilevanti, nell’ottica della concreta attuazione del principio della «visibilità del potere pubblico».
Il presupposto del «diritto» all’accesso ai documenti della pubblica amministrazione è costituito dalla sussistenza di una situazione che l’ordinamento pro- xxxxx e dal fatto che esiste un interesse che legittima il soggetto istante ad agire per la tutela di quella si- tuazione; interesse, peraltro, non limitato alla titola- xxxx di una posizione strettamente personale di diritto soggettivo o interesse legittimo ed azionabile anche indipendentemente dall’esistenza di una lesione del- la posizione giuridica del richiedente.
... Omissis ...
Diritto
1. Come diffusamente evidenziato in narrativa, l’adito Tar ha accolto la richiesta di accesso presenta- ta da una associazione sindacale del Ministero delle
finanze, la Dirstat–Finanze, intesa a potere visionare la documentazione attinente ai rapporti esistenti tra il Ministero delle finanze e la Società Sogei affidata- ria della gestione del servizio informatico dell pre- detta amministrazione finanziaria.
Si duole, ora, l’appellante Ministero, sostenendo, in termini generali, la non ammissibilità, nella fatti- specie, della istanza di accesso e, comunque, la non ostensibilità dei richiesti documenti sulla base delle seguenti ragioni:
a) gli atti che si intendono visionare non sarebbero stati indicati specificamente, come stabilito dagli artt. 25, legge 27 agosto 1990, n. 241 e 13 d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352; essi sarebbero stati «indicati per mere categorie e (molto spesso) si tratterebbe di atti per i quali non è certa l’esistenza»;
b) il Sindacato che ha presentato l’istanza sarebbe carente di interesse legittimante l’accesso ed avrebbe semplicemente esternato una mera volontà di effet- tuare un (inammissibile) controllo generalizzato dei rapporti tra Ministero e Sogei;
c) alcuni degli atti richiesti (contratti, affidamenti, incarichi, atti di verifica) ricadrebbero nell’ambito della sfera di diritto privato della Pubblica Ammini- strazione e, pertanto, in quanto atti non amministrati- vi, non sarebbero accessibili;
d) parte della documentazione richiesta riguarde- rebbe vicende già conclusesi, sicché sarebbe da escludersi qualsiasi interesse partecipativo del Sin- dacato; né potrebbe ipotizzarsi in capo all’Ammini- strazione una sorta di «dovere di informazione suc- cessiva»;
e) i documenti invocati non sarebbero comunque ostensibili ai sensi delle lettere b), c) e d) della citata
l. n. 241/1990, in quanto la loro «divulgazione reche- rebbe grave pregiudizio alla corretta gestione delle entrate ed in generale all’organizzazione ammini- strativa italiana nel suo complesso»;
f) la non ostensibilità dei richiesti documenti sareb- be fondata anche sotto il profilo che trattasi di «atti preparatori di atti di carattere generale, di pianifica- zione, di programmazione e di atti relativi a procedi- menti tributari», per i quali è escluso l’accesso.
Tutte le su esposte doglianze sono prive di pregio.
2. In via preliminare, ritiene il Collegio di dovere evidenziare alcuni importanti punti dell’odierna vi- cenda giudiziaria.
Innanzi tutto, non può non riconoscersi alla Socie- tà Sogei – che gestisce, tramite apposite convenzioni stipulate con l’Amministrazione finanziaria, il servi- zio informatico del Ministero delle Finanze, ivi com- presa la banca dati – la natura giuridica di concessio- naria di un pubblico servizio e, pertanto, essa rientra tra i soggetti nei cui confronti, ai sensi dell’art. 23 della menzionata l. n. 241/90, può essere attivato il diritto di accesso.
Invero, il predetto sistema informatico costituisce una componente essenziale dell’organizzazione del citato Ministero e ne rappresenta uno strumento inso- stituibile per l’esercizio delle attività istituzionali al- le quali è preposto.
Lo spirito del rapporto concessorio di cui trattasi è, in sostanza, quello di affidare ad un unico organi- smo la responsabilità di tutte le attività per il funzio- namento del sistema informativo del Ministero delle
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finanze, ferma restando la responsabilità dell’Am- ministrazione nel fissare gli obiettivi e controllare i risultati: ne consegue che, in effetti, il regime con- trattuale operante ha sostanzialmente contribuito a far assumere alla Sogei una importanza di rilievo per il perseguimento dei compiti istituzionali cui è pre- posta l’Amministrazione finanziaria.
In tale quadro di riferimento non può, in generale, negarsi il diritto di accesso ad atti che si riferiscono ad uno dei settori di attività più importanti dell’Am- ministrazione finanziaria, onde assicurare, anche in questo campo, la trasparenza dell’azione ammini- strativa nonché il suo svolgimento imparziale a tutela di posizioni giuridiche rilevanti, nell’ottica della concreta attuazione del principio della «visibilità del potere pubblico».
Né può indurre a diverse conclusioni la circostan- za (evidenziata dall’appellante Amministrazione nei motivi di doglianza e della quale si tratterà in seguito) relativa alla carenza in capo al soggetto richiedente l’accesso di un «interesse partecipativo».
Al riguardo, devesi osservare che la tutela che la menzionata l. n. 241/90 accorda alla situazione sog- gettiva attiva collegata al diritto di accesso è unica, tanto se essa si manifesta in sede partecipativa al pro- cedimento amministrativo, quanto se essa attenga al- la conoscenza di documenti amministrativi già for- mati o detenuti dall’Amministrazione.
3. Con una prima prospettazione censoria l’appel- lante Ministero contesta la ritenuta completezza dell’istanza di accesso da parte dei primi giudici, as- sumendo, al contrario, che essa sarebbe stata formu- lata in termini generici e probabilistici, senza la spe- cifica indicazione dei documenti che si intendevano visionare.
L’assunto è privo di pregio.
Osserva il Collegio che il soggetto interessato alla conoscenza di atti amministrativi non ha un onere di individuazione dettagliata dei documenti che intende visionare (anche per il decisivo motivo che, sovente, tali atti non sono portati alla sua conoscenza diretta o indiretta). Ciò che importa ai fini dell’ammissibili- tà di una istanza di accesso è che – all’atto della pre- sentazione della domanda – siano forniti elementi utili alla individuazione dei documenti richiesti.
Nel caso di specie, non può revocarsi in dubbio che la domanda del Sindacato di potere esaminare ed estrarre copia di una serie di atti inerenti i rapporti tra l’Amministrazione finanziaria e la Sogei S.p.A. fosse sufficientemente definita nei suoi contenuti sostanzia- li nonché articolatamente rappresentata a livello di ca- tegoria giuridica di atti che si intendevano visionare (nel senso che l’istante aveva richiesto proprio l’ac- cesso delle convenzioni stipulate tra il Ministero e la Società: gli atti di affidamento di incarichi specifici al- la predetta società: gli atti di collaudo dei beni e servizi prodotti dalla citata società nella subiecta materia li- mitatamente alle commesse ricevute dal menzionato Dicastero nel quinquennio 1990–1995; i documenti istruttori relativi alla «valutazione dei costi di gestione dell’attività di supporto connessa alle operazioni di accertamento con adesione»; e così di seguito), a nulla rilevando la mancata indicazione degli estremi crono- logici e protocollari degli atti richiesti e la loro formale ed analitica specificazione.
D’altra parte la mancata completezza dell’istanza di accesso – anche sotto il profilo della ritenuta gene- ricità degli atti richiesti – non comporta ex se l’auto- matica reiezione dell’istanza medesima, dovendo in tali casi l’Amministrazione, ai sensi dell’art. 4, com- ma 6, del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, concedere al richiedente la possibilità di perfezionare la doman- da entro il termine ivi previsto.
4. Con un secondo motivo di censura l’Ammini- strazione sostiene che erroneamente l’adito Tar ha ri- tenuto sussistente in capo al Sindacato Dirstat un in- teresse qualificato ad avere accesso ai documenti richiesti, trattandosi, invece, di una sostanziale ester- nazione di una volontà di effettuare un controllo ge- neralizzato sull’intera gamma dei rapporti tra Mini- stero e Sogei. Più di particolare, saremmo in presenza di «un’aspirazione a conoscere ogni dato possibile sulla vita del Ministero perché così vi può essere una (mera) possibilità (genericamente intesa) di più proficua azione sindacale».
Anche tale censura non appare fondata.
Invero, per quanto riguarda la legittimazione e l’interesse all’accesso, il Sindacato appare qualifica- to in ragione del fatto che si tratta di documenti i quali
– in quanto afferenti a scelte di spettanza della Pub- blica Amministrazione, attinenti allo svolgimento di attività normalmente riservate anche a funzionari e dirigenti aderenti al sindacato stesso – hanno una in- dubbia incidenza sul piano dell’organizzazione del lavoro e dell’esercizio di compiti propri, affidati, per legge o per contratto di lavoro, a funzionari dell’am- ministrazione finanziaria (che, indubbiamente, po- trebbero vedere sminuita la loro professionalità a se- guito di affidamento ad un soggetto esterno di compiti di loro spettanza).
D’altra parte, come ormai affermato da un costan- te orientamento di questo Consiglio di Stato, dal qua- le la Sezione non ha motivo di discostarsi nel caso di specie, ai fini della legittimazione all’accesso agli at- ti della Pubblica Amministrazione, ai sensi dell’art. 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, non è necessario possedere tutti i requisiti che legittimerebbero il ri- corso giurisdizionale avveso un atto lesivo della po- sizione soggettiva vantata (ivi compreso l’attualità dell’interesse ad agire in giudizio per la tutela imme- diata della posizione sostanziale sottostante); a tal uopo, è sufficiente che l’istante sia titolare di una po- sizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse alla richiesta si fondi su tale posizione (Cons. Stato, IV sez., 11 gennaio 1994, n. 21; id., VI sez., 19 luglio
1994, n. 1243).
In altri termini, il presupposto del «diritto» all’accesso ai documenti della Pubblica Ammini- strazione è costituito dalla sussistenza di una situa- zione che l’ordinamento protegge e dal fatto che esi- ste un interesse che legittima il soggetto istante ad agire per la tutela di quella situzione; interesse, pe- raltro, non limitato alla titolarità di una posizione strettamente personale di diritto soggettivo o inte- resse legittimo ed azionabile anche indipendente- mente dalla esistenza di una lesione della posizione giuridica del richiedente (IV sez., 10 settembre 1996, n. 1024).
Xxxxxx, nella fattispecie in esame, come eviden- ziato in preedenza, gli atti richiesti attengono a scelte
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organizzative dell’Amministrazione, potenzialmen- te idonee ad incidere sulla professionalità dei funzio- nari del ricorrente Ministero; da ciò ne consegue l’in- teresse dell’associazione sindacale, che tutela la categoria professionale rappresentata, alla visione di tutti quegli atti in forza dei quali si sono instaurati o sono in corso di definizione una serie di rapporti giu- ridici tra amministrazione finanziaria e Sogei, aventi riflessi sui compiti normalmente rientranti nelle competenze ordinarie dei propri iscritti, nonché a co- noscere su quali basi i predetti rapporti sono sorti e in che maniera essi andranno ad esplicarsi.
Sul punto, devesi richiamare – a conforto delle su esposte conclusioni – anche l’art. 7 del vigente con- tratto collettivo nazionale di lavoro di categoria rela- tivo al comparto dei ministeri, che prevede che siano fornite informazioni alle Organizzazioni Sindacali in merito alla introduzione di nuove tecnologie e pro- cessi di organizzazione del lavoro ed altresì sulle concessioni in appalto di attività proprie dell’Ammi- nistrazione.
Ora, questo specifico «diritto di informazione» spettante al Sindacato – contrariamente a quanto rite- nuto dall’appellante Ministero – non può essere con- trapposto ad un «dovere di informazione successiva, antitetico all’accesso», né può essere inteso come un quid minus rispetto alla ostensione materiale dell’at- to, al contrario, «diritto di informazione» e «visibili- tà del documento» sono aspetti complementari del medesimo assetto complessivo afferente al sistema di garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione am- ministrativa.
Pertanto, sotto il profilo in esame, l’istanza di ac- cesso del Sindacato non può essere interpretata come una domanda diretta ad attuare una sorta di controllo generalizzato sui rapporti tra amministrazione finan- ziaria e Xxxxx.
5. Né potrebbe fondatamente sostenersi che l’ac- cesso de quo riguarderebbe documentazione afferen- te a vicende ormai conclusesi, sicché – nella specie
– sarebbe da «... escludersi sia qualsiasi, anche ipote- tica, forma di rilevanza dei documenti per iniziative giudiziarie, sia qualsiasi interesse partecipativo ad un procedimento amministrativo in itinere».
A prescindere dall’evidente rilievo che alcuni tra i documenti richiesti si riferiscono al rapporto con- cessorio in atto per la gestione del sistema informati- co del Ministero delle Finanze, tendenzialmente de- stinato a durare fino all’anno 2001 (in quanto affidato alla Sogei con concessione novennale a de- correre dal 1992), devesi, tuttavia, ribadire che il re- quisito dell’attualità è del tutto irrilevante ai fini di una corretta azionabilità del diritto di accesso, che non è limitato nella sua proposizione dalla previa sussistenza di una lesione della posizione giuridica del richiedente (e, quindi, a fortiori, dalla sua attuali- tà).
Inoltre, è sicuramente riduttivo limitare il diritto di accesso alla sola funzione partecipativa nel procedi- mento amministrativo, dovendosi altresì tener conto dell’accesso informativo o conoscitivo, ugualmente previsto e tutelato dalla richiamata legge n. 241/1990, rispetto a quegli atti che abbiano spiegato effetti diretti o indiretti nei confronti dell’istante.
6. Seguendo l’ordine di argomentazioni articolate
nell’appello, il Collegio deve darsi carico di esami- nare la tesi sostenuta dall’Amministrazione circa la non ammissibilità dell’accesso nei confronti di atti – come quelli che si intendono visionare nel caso di specie – rientranti – secondo l’appelante – nella sfera di diritto privato della Pubblica Amministrazione.
La su esposta tesi non è condivisibile, anche alla luce della recente giurisprudenza della Sezione.
In disparte la natura giuridica degli atti in questio- ne, il cui accertamento, peraltro, spetta, con effetto di giudicato, al giudice davanti al quale essi vengono impugnati, devesi rilevare che, quand’anche gli atti de quibus fossero di diritto privato (come prospettato dall’appellante Ministero), il diritto di accesso non sarebbe per ciò stesso escluso.
La questione è stata, di recente, riesaminata dalla Sezione, la quale, con la decisione n. 82, del 4 feb- braio 1997, ha superato il diverso orientamento espresso in precedenza con la sentenza richiamata dall’appellante Amministrazione (sez. IV, 5 giugno 1995, n. 41). Ciò sul presupposto che l’accesso confi- gurato dalla citata l. n. 241/90 è correlato non agli atti amministrativi, ma alla attività di diritto amministra- tivo, la quale compete nel suo ambito concettuale l’attività di diritto amministrativo e l’attività di dirit- to privato (che costituisce cura concreta di interessi della collettività non meno della prima).
D’altra parte, sarebbe illogico discriminare l’at- tuazione della trasparenza in base al criterio formale del regime giuridico, amministrativo o privatistico, delle attività delle pubbliche amministrazioni.
Del pari sarebbe riduttivo – specie in un contesto sociale sempre più sospettoso della «cultura del se- greto» ed ansioso di pervenire a livelli di comparteci- pazione democratica realmente appaganti – relegare il diritto di accesso unicamente a fattispecie nelle quali la P.A. si trovi ad agire in posizione di suprema- zia ovvero detenga potestà particolari.
Pertanto, anche sotto l’esaminato profilo, l’istan- za di accesso presentata dal Sindacato si appalesava ammissibile.
7. Con l’ulteriore doglianza l’appellante Ministero sostiene la non ostensibilità dei richiesti documenti sul presupposto che tratterebbesi di atti la cui visione sarebbe preclusa ai sensi delle lettere b), c) e d) del comma 2 dell’art. 24 della citata l. n. 241/90. Si tratte- rebbe, cioè, di documenti la cui divulgazione – in quanto comportante accesso a notizie inerenti alla banca dati costituita da c.d. sistema di Anagrafe Tribu- taria ed ai relativi sistemi di sicurezza – recherebbe grave pregiudizio alla corretta gestione delle entrate ed in generale all’organizzazione amministrativa ita- liana nel suo complesso.
Inoltre, gli atti richiesti ricadrebbero, altresì, nel di- vieto di divulgazione contemplato nell’ultimo comma del predetto art. 24 (grave pregiudizio all’azione am- ministrativa ed atti preparatori di atti di carattere gene- rale, di pianificazione, di programmazione e relativi alla formazione di procedimenti tributari).
Osserva al riguardo il Collegio che la esclusione dall’accesso prevista dalle menzionate lettere b) e c) dell’art. 24 concerne, rispettivamente, le scelte di po- litica monetaria e valutaria effettuate dalla Banca d’Italia e dal Ministero del tesoro nonché l’ordine
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pubblico, la prevenzione e la repressione della crimi- nalità.
Xxxxxx, nella fattispecie in esame, non sembra che nell’attività svolta dal Ministero delle finanze nella materia de qua possano configurarsi apprezzabili margini di interconnessione con le predette aree di esclusione dalla conoscibilità degli atti medesimi né che i documenti formanti oggetto della richiesta di accesso del Sindacato possano, sotto questo profilo, essere ritenuti coperti da segreto.
D’altra parte, qualora nell’atto richiesto dovesse- ro comparire dati o notizie raccolte dall’anagrafe tri- butaria, i quali, ai sensi della vigente normativa, deb- bono comunque restare coperti dal segreto d’ufficio, ben potrebbe l’Amministrazione consentire l’acces- so in parte qua, con gli «omissis» del caso, limitan- dolo soltanto a quella parte non rientrante nelle ri- chiamate deroghe alla divulgazione dell’atto.
Per quanto concerne, poi, la dedotta applicabilità al caso di specie della clausola di salvaguardia conte- nuta nell’ultimo comma del richiamato art. 24 della 241 (esclusione o limitazione dell’accesso in funzio- ne della tutela accordata a specifici interessi pubblici o privati), rileva innanzi tutto il Collegio che una cor- retta interpretazione di tale previsione normativa non dovrebbe consentire all’Amministrazione di respin- xxxx – automaticamente e definitivamente – l’istanza di accesso, come è avvenuto nella fattispecie in esa- me. Invero, la P.A. – qualora ritenga che la conoscen- za dei documenti richiesti pregiudichi gravemente l’azione amministrativa – può paralizzare tempora- neamente il diritto di accesso, differendone l’eserci- zio al momento in cui venga meno la possibilità di pregiudizio od ostacolo per l’attività amministrativa. Tale differimento è stato, poi, dallo stesso legisla- tore specificamente previsto per una determinata ca- tegoria di atti, stabilendosi che, salvo diverse dispo- sizioni di legge, non è consentito accedere agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedi- menti di cui all’art. 13, il quale – come è noto – indi- vidua, a sua volta, le ipotesi in cui non si applicano le disposizioni del Capo III, enumerando, al primo comma, gli atti a contenuto lato sensu generale e, al
secondo xxxxx, i procedimenti tributari.
In corretta applicazione dei su esposti principi e considerazioni, devesi, sul punto, concludere che:
a) il rigetto in blocco dell’istanza di accesso (im- pugnato in primo grado) sul presupposto che l’osten- sibilità dei documenti richiesti non sarebbe consenti- ta dall’ultimo comma dell’art. 24, in quanto la conoscenza degli atti avrebbe ostacolato gravemente lo svolgimento dell’azione amministrativa, non si appalesa legittimo potendosi in siffatti casi, tutt’al più, differire l’esercizio del diritto in questione, pre- via adeguata motivazione;
b) i documenti richiesti con l’istanza di accesso non appaiono riconducibili ad atti preparatori diretti all’emanazione di atti di programmazione o pianifi- cazione, né, in linea tendenziale, essi sembrano affe- rire a procedimenti tributari volti all’emanazione del provvedimento finale di imposizione, per i quali scatta il divieto di divulgazione normativamente pre- visto;
c) resta impregiudicata per l’Amministrazione la possibilità – una volta riscontrata la palese afferenza
di alcuno tra i documenti richiesti con procedimenti tributari (ivi compresi quelli relativi al c.d. accerta- mento con adesione) – di limitare la divulgazione a quei dati o atti per i quali l’accesso può essere con- sentito.
8. Alla stregua delle rappresentante considerazio- ni l’appello va respinto per quanto di ragione e, per l’effetto, va confermata l’impugnata decisione.
Va conseguentemente ordinata l’esibizione dei documenti richiesti dal Sindacato Dirstat–Finanze nei limiti e con le modalità sopra esposte.
La peculiarità degli argomenti trattati e la circo- stanza che le questioni affrontate non sono ancora state oggetto di univoco e consolidato indirizzo giu- risprudenziale inducono il Collegio a compensare le spese della presente fase del giudizio.
... Omissis ...
Tar Puglia – Bari, sez. I, 17 luglio 1997, n. 512
– Pres. Xxxxx – Est. Caringella – X. Xxxxxxxxx
c. S.p.a. Ferrovie dello Stato
2.67221
L’esigenza di assicurare il controllo sull’imparziali- tà ed il buon andamento dell’azione amministrativa è ravvisabile, in assenza di indicazioni normative di segno contrario, anche per l’attività privatistica del- la Pubblica Amministrazione. È quindi illegittimo il rifiuto opposto dalla S.p.a. ferrovie dello Stato a fronte dell’istanza di accesso formulata da dipen- dente in relazione agli atti relativi a concorso interno per il passaggio a qualifica superiore. A sostegno dell’assunto depone anche la considerazione che, pur se a seguito della privatizzazione formale, la
S.p.a. in menzione, concessionaria ex lege di pub- blico servizio, conserva spiccati connotati pubbli- cistici.
... Omissis ...
Diritto
Il ricorso è originato da diniego opposto dalla
S.p.a. Ferrovie dello Stato avverso istanza di accesso presentata da una dipendente in riferimento agli atti della graduatoria relativa ad un concorso interno per il passaggio a qualifica superiore.
Premesso che il diniego si fonda esclusivamente sul carattere non autoritativo degli atti dei quali si chiede l’ostensione, in quanto atti afferenti a rappor- to di lavoro retto da disciplina privatistica, occorre affrontare la vexata quaestio dell’applicabilità, o me- no, all’attività privatistica dell’amministrazione dei principi di trasparenza e pubblicità delineati dagli artt. 22 ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dal re- lativo regolamento di esecuzione, emanato con
d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352.
L’orientamento della giurisprudenza amministra- tiva in subiecta materia non è univoco.
Secondo un indirizzo restrittivo il diritto di accesso riguarda esclusivamente i documenti afferenti all’atti- vità pubblicistica dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, in materia di accesso agli atti della S.A.C.E.; sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1559, in tema di accesso alla relazione del direttore dei
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lavori di cui al r.d. 25 maggio 1895, n. 350; sez. VI, 2 aprile 1997, n. 539, relativa proprio a fattispecie di ac- cesso di dipendente delle Ferrovie dello Stato agli atti relativi al procedimento di assegnazione di incarico dirigenziale).
Argomento a sostegno della tesi in questione è la considerazione del diritto di accesso come contrappe- so in favore dell’amministrato nei confronti del sog- getto pubblico che si trovi in una condizione di potestà ed utilizzi strumenti pubblicistici. Da tale premessa si ricava infatti che nei casi in cui la P.A. agisca in regime di diritto privato, senza godere di potestà o situazioni di supremazia derivanti dall’esercizio della funzione autoritativa, non è giustificabile alcuna ingerenza uti- lizzando l’accesso.
L’indirizzo estensivo reputa invece contraria al tenore letterale ed alla ratio della legge sulla tra- sparenza amministrativa qualsivoglia distinzione, ai fini della delimitazione dell’esercizio dell’actio ad exhibendum, tra attività pubblicistica e privati- stica dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 1997, n. 82, in materia di accesso al proce- dimento di approvazione, da parte del Ministero del Tesoro, del piano di ristrutturazione dell’Ente Cinema S.p.a. e delle società controllate; Tar Pu- glia, sez. II, 16 febbraio 1996, n. 36, in materia di accesso alla relazione del direttore dei lavori; Tar Campania, Salerno, 31 luglio 1996, n. 824, rifor- mata dalla citata decisione di Xxxx. Stato, sez. VI, n. 539/1997).
A supporto di tale opzione, alla quale il Collegio ritiene di aderire, milita, in primis, il tenore letterale della disciplina di legge. Infatti, l’art. 22, commi 1 e 2, della l. n. 241, nel mettere a fuoco il perimetro oggettivo del diritto di accesso, correla quest’ulti- mo non agli «atti amministrativi», essi sì espressio- ne di potestà pubblicistiche, ma all’«attività ammi- nistrativa» in senso lato, tale dovendosi intendere, in forza dei principi generali regolatori della mate- ria, l’attività di cura concreta dell’interesse colletti- vo, a prescindere dalla veste formale pubblica o pri- vata. La conclusione è corroborata, sempre sul versante normativo dall’osservazione che, per un verso, l’art. 23 consente apertis verbis l’accesso agli atti dei concessionari di pubblici servizi, ossia di soggetti di natura privata, mentre, per altro verso, l’art. 22 ricomprende nella nozione di documento accessibile anche atti solo utilizzati dalla pubblica amministrazione, anche se formati da soggetti pri- vati.
Al di là del profilo letterale, la bontà dell’opzione estensiva è confortata dalla stessa ratio del diritto di accesso – diritto codificato, in un’ottica assai ampia, in epoca assai anteriore, dagli altri paesi della Comu- nità europea e dagli stessi organismi comunitari – concepito come strumento diretto ad assicurare un controllo dei soggetti legittimati sull’imparzialità e sul buon andamento dell’azione della p.a. Non è in- fatti dubitabile che, anche laddove dismetta i panni pubblicistici per agire jure privatorum, la P.A. debba operare in modo funzionale al perseguimento dell’interesse collettivo e, a tal fine, essere controlla- bile secondo gli strumenti approntati dalla normativa del 1990. Non è quindi condivisibile l’impostazione intesa a ravvisare nell’accesso un mero strumento di
riequilibrio della disparità tra soggetto pubblico, do- tato di potestà imperativa, e interlocutore privato, de- stinato a subire l’esercizio di tale potestà. Detta esi- genza si appalesa, alla stregua delle considerazioni esposte, concorrente, in termini di mera eventualità, rispetto all’esigenza, invero costante, di assicurare una verifica della correttezza dello svolgersi dell’azione della P.A., esigenza, ripetesi, indifferen- temente ravvisabile in materia di attività pubblicisti- ca e privatistica.
Applicando le coordinate ermeneutiche al caso che ci occupa, deve concludersi che illegittimamente la S.p.a. «ferrovie dello Stato», concessionaria ex le- ge di pubblico servizio ai sensi dell’art. 23 della l. n. 241, pur senza contestare il presupposto soggettivo legittimante rappresentato dall’interesse giuridica- mente rilevante, ha negato l’accesso della dipenden- te agli atti concernenti un concorso interno per il pas- saggio a qualifica superiore. La circostanza che il rapporto di lavoro sia regolato dalla disciplina priva- tistica non toglie infatti che l’ente in questione deve operare, anche nella gestione del rapporto con i di- pendenti e, in generale, nell’ambito delle scelte di ca- rattere organizzativo, nell’ottica del perseguimento degli interessi della collettività destinataria del servi- zio. Merita sul punto rilevare che la funzionalizza- zione dell’operato della S.p.a. Ferrovie dello Stato all’interesse pubblico e la conseguente sottoposizio- ne alla disciplina dell’accesso, sono rese ancor più evidenti dalla considerazione che – stanti il carattere meramente formale della privatizzazione sancita con la delibera CIPE del 1992, la profonda ingerenza di soggetti pubblici, anche non azionisti, nelle scelte gestionali ed organizzative e l’assoluta continuità delle funzioni assolte – l’ente in questione, conces- sionario ex lege di pubblico servizio, presenta tuttora spiccate connotazioni pubblicistiche (Corte Cost. sentenza 28 dicembre 1993, n. 466, la quale ha con- cluso per la permanenza del potere di controllo della Corte dei Conti sulle società per azioni derivati dalla privatizzazione degli enti pubblici economici; Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498, che ha ritenu- to sussistere la giurisdizione del giudice amministra- tivo per le gare di appalto indette dalla S.p.a. Ferrovie dello Stato sull’assunto che gli enti privatizzati in ter- mini meramente formali conservano uno spiccato ri- lievo pubblicistico).
Il ricorso va pertanto accolto; a tanto consegue l’annullamento dell’atto impugnato e la declaratoria del diritto di accesso.
... Omissis ...
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IL COMMENTO
di Xxxxxxx Xxxxxx
Le fattispecie
Le decisioni in rassegna si occupano tutte dell’ap- plicabilità della disciplina sull’accesso ai documenti all’attività di diritto privato dell’amministrazione, mostrando quanto sia ancora lontana una soluzione definitiva del problema dell’accessibilità degli atti che non pertengono all’attività provvedimentale dell’am- ministrazione (1). Nella decisione n. 539/1997, la IV sezione era chiamata a pronunciarsi sulla configurabi- lità del diritto di accesso di un privato agli atti relativi al rapporto di lavoro tra le Ferrovie dello Stato S.p.a. e un terzo. Analogamente il Tar Puglia nella sentenza
n. 512/1997 era chiamato a decidere sul rifiuto oppo- sto dalle Ferrovie S.p.a. alla richiesta di una propria dipendente di accedere agli atti relativi ad un concorso interno per il passaggio a qualifica superiore. Nella fattispecie decisa dalla V sezione nella sentenza n. 228/1997 veniva invece in considerazione il diritto di un’associazione di accedere alla documentazione fi- scale riguardante il rapporto di lavoro tra un’azienda sanitaria e un medico. Infine, nella decisione della IV sezione n. 649/1997, la controversia concerneva l’ac- cesso da parte di un’organizzazione sindacale agli atti relativi alla convenzione tra il Ministero delle Finanze e una società privata per la gestione del servizio infor- matico della stessa amministrazione.
L’interpretazione «funzionale» in senso stretto prevalente
nella giurisprudenza amministrativa
Nella pronuncia n. 539/1997, la IV sezione rifor- ma la decisione del giudice di primo grado, che aveva ordinato alle Ferrovie dello Stato S.p.a. di esibire i documenti relativi al rapporto di lavoro con un pro- prio dipendente. Pur condividendo la qualificazione operata dal tribunale amministrativo delle Ferrovie dello Stato S.p.a. come concessionario di un pubbli- co servizio (2), al quale si estende la disciplina sull’accesso in virtù dell’art. 23 della l. n. 241/1992, il Collegio precisa che il diritto di accesso opera solo con riferimento all’attività del concessionario «che comporta l’esercizio di poteri pubblicisti, o comun- que relativa alla gestione del servizio pubblico». Se- condo il collegio non assume alcun rilievo che il rap- porto cui si riferiscono i documenti richiesti sia stato instaurato attraverso un procedimento concorsuale. Nella stringata motivazione si richiama l’orienta- mento prevalente nella giurisprudenza amministrati-
Note:
(1) Sull’accesso alla documentazione amministrativa la let- teratura è ormai amplissima: cfr. in particolare Caringella, Il procedimento amministrativo, III ed., Napoli, 1995; v. inoltre Xxxxx, Segreto procedimentale e diritto di accesso agli atti e alle informazioni della p.a., in Nuova rass., 1990, 1889 ss.; Xxxx Xxxxxx, Il diritto di accesso agli atti degli enti locali, in Foro amm., 1990, 2974 ss.; Scarciglia, L’accesso ai docu- menti amministrativi, in Nuova rass., 1991, 274 ss.; Corso– Teresi, Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, Rimini, 1991; Arena, La trasparenza ammini- strativa ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi,
in AA.VV., L’accesso ai documenti amministrativi, Bologna, 1991; Paleologo, La legge 1990 n. 241: procedimenti ammi- nistrativi ed accesso ai documenti dell’amministrazione, in Dir. proc. amm., 1991, 8 ss.; Aprile, Il diritto di accesso ai do- cumenti amministrativi, in TAR, 1991, II, 396 ss.; Xxxxxxx, L’ac- cesso ai documenti amministrativi, in AA.VV, Lezioni sul pro- cedimento amministrativo, Torino, 1992, 121 ss.; Mazzamuto, Sul diritto d’accesso nella legge n. 241 del 1990, in Foro amm., 1992, 1571 ss.; Nicosia, Procedimento amministrativo. Principi e Materiali, Napoli, 1992, 82 ss.; Xxxxxxx, Diritto di ac- cesso partecipativo e diritto di accesso conoscitivo: posizioni soggettive ed effettività, in Foro amm., 1992, 1799 ss.; Xxxxxxx Xxxxxx, Un contributo alla trasparenza dell’azione amministrati- va: partecipazione procedimentale e accesso agli atti, in Dir. proc. amm., 1992, 56 ss. (anche in Studi in memoria di Xxxxxx Xxxx, Milano, 1992, I, 697 ss.); Botto, Brevi riflessioni in mate- ria di accordi di diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Quad. reg., 1992, 579 ss.; Xxxxxxxx, Brevi note sull’ambito di applicazione della legge n. 241/1990, in Reg. e gov. locale, 1992, 327 ss.; Romano–Xxxxxxx, Considerazioni in tema di diritto di accesso, in Scritti per Xxxx Xxxxxxxxx, Milano, 1992, 442 ss.; Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 1993, II, 993 ss. (1103 ss.); Tarantini, Pubblicità degli atti e diritto di accesso, in Cavallo (cur.), Procedimento amministrativo e diritto di accesso, Na- poli, 1993, 49 ss.; Xxxxxxx, Il diritto di accesso agli atti ammi- nistrativi ed i limiti alla sua operatività nell’attuale panorama legislativo e giurisprudenziale, in Giur. it., 1993, III, 1, 265 ss.; Castiello, La legge n. 241 del 1990 sul procedimento ammini- strativo e le sue disposizioni di principio, Roma, 1993; Gotti, Le condizioni per l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Rass. giur. en. elett., 1993, I, 231 ss.; Xxxxx, La nuova legge sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Riv. amm., 1993, 893 ss.; Rosi, Diritto di accesso ai documenti amministrativi. Profili di diritto straniero e comunitario, in Riv. amm., 1993, 412 ss.; Berlucchi, Ancora sull’accesso ai documenti ammini- strativi, in Dir. regione, 1994, 813 ss.; De Xxxxxxx, Appunti in tema di accesso alla documentazione amministrativa, in Scritti in onore di Xxxxxx Xxxxx, Milano, 1994, I, 803 ss.; Cingo- lo, Dal diritto di accesso al diritto alla curiosità: breve storia di una involuzione, in Rass. avv. Stato, 1994, I, 311 ss.; Xxxxxxxxx, Alcune osservazioni sui profili sostanziali e processuali del di- ritto di accesso ai documenti amministrativi, Dir. proc. amm., 1994, 206 ss.; Fiorentino, Il diritto di accesso agli atti ammini- strativi: una normativa tuttora incompiuta, in Legalità e giusti- zia, 1994, III, 1, 567 ss.; A. Travi (cur.), Commentario alle nuo- ve norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, in Nuove leggi civili commentate, 1995, 1, 8, 106, 141; Franco, Il nuovo pro-
cedimento amministrativo, 3 ed., Bologna, 1995, 294 ss.;
Miele, Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso. Lo stato di attuazione della legge 7 agosto 1990 n. 241 con am- xxx xxxxxxxx xx xxxxxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; Romano–Tas- sone, A chi serve il diritto di accesso? (Riflessioni su legittima- zione e modalità d’esercizio del diritto di accesso nella legge
n. 241/1990), in Dir. amm., 1995, 315 ss.; Clarich, Il diritto d’accesso ai documenti amministrativi, in Giorn. dir. amm., 1995, 132 ss.; Xxxxxxxx, L’accesso ai documenti amministrati- vi, ivi, 1995, 1061 ss.; AA.VV., Il procedimento amministrativo. Commento alla legge 7 agosto 1990, n. 241, Padova, 1996, 129 ss.; Scognamiglio, Il diritto di accesso nella disciplina del- la legge 7 agosto 1990 n. 241, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, 93 ss.; Teresi, Il diritto di accedere agli atti della pubblica am- ministrazione, in Studi in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Mode- na, 1996, IV, 1645 ss.; Xxxxxxx Irelli, Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxx- xxxx, Xxxxxx, 0000, 463 ss.
(2) Come noto, la F.S. S.p.a. è concessionaria ex lege del servizio pubblico essenziale già svolto dal soppresso ente Ferrovie Stato per atto di concessione del Ministero dei tra- sporti, in attuazione degli artt. 14 e 18 d.l. 11 luglio 1992, n. 333 conv. dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, cfr. Cons. Stato, Ad. gen., 1° ottobre 1993 n. 93, Min. trasp., in Cons. Stato, 1995, I, 134 ss.
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va, secondo cui il diritto di accesso attiene funzio- nalmente all’attività «amministrativa», ove al ter- mine «amministrativo» è attribuito il significato proprio di esercizio di funzioni pubbliche autoritati- ve. In questa prospettiva le espressioni normative
«documento amministrativo» e «attività ammini- strativa» (art. 22, secondo xxxxx, l. n. 241/1990),
«atti relativi a procedimenti amministrativi» (art. 24, secondo xxxxx, lett. d) e «atti del procedimen- to» (artt. 2, secondo comma e 3, primo comma,
d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352), suonano come riferi- menti univoci ai rapporti tra amministrazione e pri- vato, nei quali la prima agisce nell’esercizio di pote- stà autoritative o comunque in situazione di supremazia rispetto al secondo (3).
Per un verso, siffatta interpretazione «funzionale» della disciplina sull’accesso, nella quale l’inquadra- mento dogmatico del soggetto che ha emanato l’atto cede il posto alla nozione di funzione pubblica, ha consentito di ricomprendere nel novero dei soggetti obbligati anche gli Enti pubblici economici, limitata- mente alla documentazione attinente all’attività orga- nizzativa (4). La soluzione è confermata nella deci- sione n. 297/1996 della IV sezione e nella decisione
n. 1734/1996 della VI sezione.
Nella prima si esclude che i cataloghi e i repertori conservati dalla S.I.A.E. abbiano natura di atti di or- ganizzazione dell’ente stesso e si nega l’accessibilità degli stessi da parte delle società titolari di diritti pa- trimoniali su opere musicali (5), mentre nella secon- da il diritto di accesso alla documentazione richiesta (documenti relativi a misure disciplinari assunte nei confronti del richiedente) è esclusa semplicemente con la riconduzione degli stessi all’attività imprendi- toriale esercitata dall’Ente Poste (6).
In entrambe le pronunce il diritto di accesso non è quindi escluso tout court, ma limitato agli atti degli enti pubblici economici che sono espressione di una funzione pubblica (7).
Per altro verso, l’interpretazione accolta dalla giu- risprudenza prevalente, che esclude l’accessibilità degli atti che ricadono nella sfera di diritto privato dell’amministrazione, tradisce l’attaccamento ad una concezione dei rapporti tra attività dell’ammini- strazione e i principi di imparzialità e trasparenza or- mai superata dalla moderna dottrina e abbandonata da quella giurisprudenza, ancora minoritaria, che ha affermato la generale ammissibilità del diritto di ac- cesso con riferimento a tutti gli atti riconducibili ad una «azione» dell’amministrazione. Se nella deci- sione in esame tale concezione rimane nelle pieghe della motivazione, in altre pronunce il giudice ammi- nistrativo si è fatto carico di chiarire le conseguenze che da essa discendono ai fini della sottrazione dell’attività privatistica dell’amministrazione dalla disciplina sull’accesso. Nelle sentenza n. 1159/1997, la V sezione ha escluso la configurabilità in capo all’appaltatore di un diritto di accesso agli atti interni del procedimento di collaudo (relazione del direttore dei lavori ex art. 63 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, relazione «segreta» della Commissione di collaudo e relazione finale della stessa Commissione), osser- vando che la «tutela del diritto di accesso ai docu- menti amministrativi è necessariamente collegata agli obiettivi di garanzia di imparzialità, buon anda-
mento e possibilità di verifica dei criteri adottati dall’amministrazione nel perseguimento degli inte- ressi pubblici che le sono affidati dalla legge» e che dalla necessaria connessione della disciplina sull’ac- cesso con siffatti obiettivi «deriva che l’espressione ‘‘attività amministrativa’’, ai fini della norma in esa- me, deve intendersi riferita all’attività dell’ammini- strazione che sia espressione di ‘‘funzione ammini- strativa’’ in senso stretto; di quell’attività – cioè – che, rappresentando esercizio di potestà amministra- tiva, sia finalizzata all’emanazione di provvedimenti amministrativi di natura autoritativa. Solo in tal caso, infatti, si giustifica l’attribuzione dell’actio ad exhi- bendum al privato, onde rendere concretamente pos- sibile a quest’ultimo sia la verifica della legittimità e della correttezza dell’azione amministrativa, che la partecipazione al procedimento amministrativo allo scopo di sottoporre all’amministrazione la valutazio- ne di eventuali interessi secondari pubblici e priva- ti» (8).
Ulteriore corollario dell’interpretazione accolta è la lettura della disciplina sull’accesso come strumen- to per il ristabilimento dell’equilibrio nel rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione: in questa pro- spettiva il diritto di accesso è destinato ad operare so- lo ove sussista la necessità di una perequazione tra le posizioni, ossia nei rapporti in cui il soggetto pubbli- co si trovi in una condizione di potestà ed eserciti strumenti pubblicistici. Diversamente, quando l’am- ministrazione scende nell’arena del diritto privato, si
Note:
(3) Ricorrendo all’interpretazione letterale della norma, han- no escluso che il diritto di accesso possa esercitarsi nei con- fronti dell’amministrazione che agisce iure privatorum: Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, in Cons. Stato, 1995, I, 654 ss., e in Rass. giur. en. elettr., 1996, 508 ss.; Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 1995, n. 1083, in Cons. Stato, 1995, I, 1415, e in Foro amm., 1995, 2267 ss.; Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 1996, n. 297, in Giur. it., 1996, III, 1, 408 s.; in Foro amm., 1996, 935 ss.; in Cons. Stato, 1996, I, 450, ed ivi, II, 1843 ss., con nota di Baldanza, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi riguardo all’attività di diritto pri- vato degli Enti pubblici economici: rilettura di alcune pronun- ce giurisprudenziali; Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 1996, n. 1734, in Giur. it., 1997, III, 186 ss.; Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1559, ibidem, e in questa Rivista, 423 ss., con nota di Montaruli, Accesso ai documenti ammi- nistrativi e attività privatistica della Pubblica amministrazio- ne; Tar Sicilia, sez. Catania, 8 marzo 0000, x. 000, xx XXX, 0000, X, 0000 ss., ed ivi, 1996, II, 133 ss., con nota di Bruga- letta F., La legge sulla trasparenza amministrativa e la tra- sformazione degli enti pubblici in società per azioni; Tar Campania, Napoli, 6 dicembre 1996, n. 592, in TAR, 1997, 664 ss.; Tar Marche, 27 gennaio 1997 n. 60, ivi, 1997, 1062; Tar Xxxxxx Xxxxxxx, Bologna, sez. I, 18 dicembre 1996, ivi, 1997, 587; Tar Molise, 3 ottobre 1995, n. 197, ivi, 1995, I, 4929; Tar Lazio, sez. I, 24 gennaio 1992, n. 70, in Foro it., 1993, III, 141.
(4) Già Cons. Stato, Ad. gen., 12 aprile 1987 n. 7, in Cons. Stato, 1987, I, 253, sugli schemi predisposti dalla Commis- xxxxx Xxxxx.
(5) Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 1996, n. 297, cit., 409.
(6) Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 1996, n. 1734, cit., 190.
(7) X. xxxxxxxxxxxxxx Xxx Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx, xxx. X, 00 dicembre 1996, cit.
(8) Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1559, cit.
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assume che essa agisca attraverso atti «paritetici», in relazione ai quali non è configurabile un diritto di ac- cesso (9).
La disciplina sul procedimento e la trasformazione
degli enti pubblici economici in S.p.a.
Un ulteriore problema, che rimane sullo sfondo della decisione commentata, è costituito dalla gene- rale applicabilità della disciplina sul procedimento all’attività svolta da enti pubblici economici trasfor- mati in società per azioni.
Come noto, a partire dagli anni ’90, si è avviata la trasformazione di numerosi enti pubblici (Ferrovie, Poste, Anas), ex aziende autonome, in società per azioni, nell’ambito dell’ampio piano di privatizza- zione illustrato al Parlamento dal Governo nel 1992 e volto a soddisfare le esigenze di risanamento della finanza pubblica, favorendo al contempo la diffusio- ne della proprietà azionaria, nella convinzione che il mercato azionario costituisca uno strumento essen- ziale per promuovere e sostenere lo sviluppo delle imprese (10). In particolare la trasformazione delle Ferrovie dello Stato in società per azioni è avvenuta con il d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con la legge 8 agosto 1992, n. 359, cui sono seguite le deli- bere C.I.P.E. 12 giugno e 12 agosto 1992.
Della trasformazione degli enti pubblici economici in società per azioni si è occupata la Corte costituzio- nale, precisando che «la semplice trasformazione de- gli Enti pubblici economici di cui all’art. 15 della l. n. 359/1992 non può essere, infatti ritenuto motivo suffi- ciente a determinare l’estinzione del controllo di cui all’art. 12 della l. n. 259/1958, fino a quando perman- ga inalterato nella sostanza l’apporto finanziario dello Stato alla struttura economica dei nuovi soggetti, cioè fino a quando lo Stato conservi nella propria disponi- bilità la gestione economica delle nuove società me- diante una partecipazione esclusiva o prevalente al ca- pitale azionario delle stesse» (11). Secondo la Consulta quindi le società sorte dalla trasformazione dei precedenti enti pubblici economici potranno sot- trarsi al controllo della Corte dei Conti solo quando, con la dismissione finale dell’azionariato pubblico, esse si affrancheranno dall’influenza dominante eser- citata dalla pubblica autorità; nel frattempo i nuovi soggetti non solo «conservano connotazioni proprie della loro originaria natura pubblicistica, quali quelle, ad esempio, che si collegano all’assunzione della ve- ste di concessionarie necessarie di tutte le attività in precedenza attribuite o riservate agli Enti originari», ma rimangono caratterizzati da una natura differen- ziata e speciale rispetto ai soggetti privati costituiti nella forma della società per azioni (12).
Il giudice costituzionale è stato evidentemente mos- so dal convincimento che l’autentico passaggio di un soggetto dal regime pubblico a quello privato possa av- venire solo con il trasferimento del controllo di un’im- presa dalle mani pubbliche a quelle private, quando cioè si realizzerà, per utilizzare un’espressione abusata, la privatizzazione «sostanziale» (13). Sebbene tale ragionamento nasconda spesso prese di posizione di carattere ideologico (14), che portano a trascurare gli effetti dell’innovazione strutturale operata dalla priva-
tizzazione, e sia sicuramente da seguire il suggerimento di non utilizzare la nozione di impresa «sostanzialmen- te pubblica», introdotta dalla Corte costituzionale per confermare il controllo da parte della Corte dei Conti, per fini diversi da quelli per cui era stata proposta (15), xxxxxx precorrere i tempi le recenti affermazioni della
Note:
(9) V. Cons. Stato, sez. IV, 5 giugno 1995, n. 412, cit., nella quale si afferma che «il diritto di accesso [...] rappresenta una sorta di contrappeso in favore dell’amministrato nei confronti di una posizione del soggetto pubblico o assimilato (ivi incluso un concessionario privato) che si trovi in una condizione di potestà ed eserciti strumenti pubblicistici». La ricostruzione è condivisa nella motivazione di Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 1996, n. 1559, cit., 187.
(10) Art. 18 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359; art. 1 del d.l. 5 dicembre 1991,
n. 386, convertito nella legge 29 gennaio 1992, n. 35, recan- te disposizioni in materia di trasformazione di enti pubblici economici. In dottrina, in generale sulle privatizzazioni, x. Xxxxxxxxx (cur.), Privatizzazione ed efficienza della pubblica amministrazione alla luce del diritto comunitario, Milano, 1996; Ammannati, Le privatizzazioni delle imprese pubbli- che in Italia, Milano, 1995; Clarich, Privatizzazioni, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1996, XI, 568 ss.; Id., Privatizzazioni e trasformazioni in atto nell’amministrazione italiana, in Dir. amm., 1995, 519 ss. (anche in Studi in onore di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, cit., II, 539 ss.); Xxxxxx, La politica italiana delle privatizzazioni: aspetti generali: aspetti legali, in Cons. Sta- to, 1992, II, 1793 ss.; Xxxxxx, Privatizzazioni terzo livello: strumenti giuridici e mezzi finanziari per l’esecuzione di ope- re pubbliche, in TAR, 1994, II, 291 ss.; Xxxxxxxxx, Le privatiz- zazioni in Italia: leggi e documenti, in Riv. soc., 1994, 187 ss.; Xxxxxxx, Stato e mercato: le cd. privatizzazioni, in Dir. economia, 1994, 469 ss.; Jaeger, Problemi attuali delle pri- vatizzazioni in Italia, in Giur. comm., 1992, I, 989 ss.
(11) Xxxxx Xxxx., 00 dicembre 1993, n. 466, in Giur. cost., 1993, 3845 ss., con note di Xxxxx, La «mano pubblica» e la gestione in forma privata di attività economiche: problemi processuali e sostanziali in un interessante conflitto, e di Pi- nelli, Xxxxxxxx e giurisprudenza in un’interpretazione ade- guatrice.
(12) Sotto il profilo della responsabilità penale, la giurispru- denza ha precisato che «la legge sulle privatizzazioni delle imprese pubbliche non ha inciso sul quadro normativo dei delitti contro la p.a. e, quindi, sulle qualifiche di pubblico uffi- ciale e di incaricato del pubblico servizio dei loro dipendenti, che non vengono meno solo perché una legge (o altro atto avente efficacia normativa che ad essa si ricolleghi) trasfor- mi un ente pubblico economico in una società per azioni», Corte d’App. di Roma, 27 aprile 1994, in Foro it., 1994, II, 605 ss.
(13) Xxxxxxxxxxx, La legge sulla privatizzazione degli enti pubblici economici, in Riv. soc., 1992, 126 ss. (127 s.), il quale passa in rassegna i diversi significati con cui è impie- gata l’espressione «privatizzazione», sottolineando che di privatizzazione può parlarsi unicamente quando l’ente pas- sa dalla sfera pubblica a quella privata con il trasferimento del controllo dalle mani pubbliche a quelle private. Anche Xxxxxx, Intervento, in Le privatizzazioni: forma di società per azioni e titolarità pubblica del capitale, in Rass. giur. en. elett., 1994, 872 ss., precisa che finché non avviene la di- smissione dell’azionariato pubblico, il soggetto continua ad essere la longa manus dell’organizzazione dello Stato.
(14) Metteva in guardia dalle possibili contaminazioni ideo- logiche del ragionamento giuridico già Xxxxxxx, Pubblico e privato nell’organizzazione e nella disciplina delle imprese, in Scritti degli allievi offerti ad Xxxxxxx Xxxxxxx nel quarante- simo anno dell’insegnamento, Milano, 1968.
(15) Cfr. Gattamelata–Police, Società per azioni di diritto speciale, procedure ad evidenza pubblica, ideologie dei giu- dici, in Riv. trim. dir. app., 1997, 116 ss. (123 s.).
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completa sottrazione dell’attività delle società privatiz- zate dall’applicabilità della l. n. 241/1990 e in partico- lare dall’operatività del diritto di accesso.
Così il tribunale amministrativo siciliano ha esclu- so il diritto dei dipendenti di accedere ad atti delle F.S.
S.p.a. relativi al pagamento delle prestazioni lavorati- ve, osservando che in seguito della trasformazione in società per azioni «le Ferrovie dello Stato non si in- quadrano più, istituzionalmente, nell’apparato orga- nizzativo della P.A., ricomprendente, oltre lo Stato ap- parato, tutti gli enti pubblici, economici e no, i quali si trovino rispetto allo Stato in un particolare rapporto (di coordinamento, intervento e vigilanza), in conse- guenza dell’attività espletata, ed ai quali siano attri- buiti pubblici poteri; pertanto, pur potendosi la mede- sima qualificare società d’interesse pubblico, per lo spiccato interesse che l’attività svolta riveste per la collettività, si tratta pur sempre di un soggetto privato, non ricompreso nella P.A., nei cui confronti non trova applicazione la legge 7 agosto 1990, n. 241» (16). L’affermazione deve essere parsa prematura allo stes- so giudicante, che si preoccupa di precisare subito che, a prescindere dalla natura privatistica della F.S. S.p.a., il diritto di accesso non poteva configurarsi con riferimento ad atti di natura privatistica, come quelli contenenti la richiesta di pagamento di somme avan- zate al datore di lavoro (17).
Di segno opposto è la conclusione cui giunge il Tar Puglia nella decisione qui pubblicata. Dopo aver espresso una motivata adesione all’orientamento che considera operante il diritto di accesso anche con riferi- mento all’attività privatistica dell’amministrazione, ri- levando al contempo l’assenza di qualsiasi contrario re- ferente normativo, il giudice amministrativo pugliese accoglie il ricorso e ordina alle F.S. S.p.a. di esibire i documenti relativi alla procedura concorsuale, preci- sando che la «funzionalizzazione dell’operato della
S.p.a. Ferrovie dello Stato all’interesse pubblico e la conseguente sottoposizione alla disciplina dell’acces- so, sono rese ancora più evidenti dalla considerazione che – stanti il carattere meramente formale della priva- tizzazione sancita con delibera CIPE del 1992, la pro- fonda ingerenza di soggetti pubblici, anche non azioni- sti, nelle scelte gestionali ed organizzative e l’assoluta continuità delle funzioni assolte – l’ente in questione, concessionario ex lege di pubblico servizio, presenta tuttora spiccate connotazioni pubblicistiche».
Accesso ai documenti
e attività autoritativa della P.A.
La posizione assunta dalla giurisprudenza preva- lente in ordine alla delimitazione dei confini dell’ap- plicabilità della disciplina sull’accesso, fondata sul criterio formale del regime giuridico, amministrati- vo o privatistico, dell’attività cui si riferiscono gli atti richiesti risulta difficilmente assentibile alla luce del- le recenti innovazioni normative introdotte nella stessa l. n. 241/1990, ove si acceda ad una interpreta- zione della disciplina sull’accesso in relazione siste- matica con gli altri istituti introdotti dal legislatore, e dalla coeva legge sulle autonomie locali. Anche le innovazioni introdotte nel diritto interno in attuazio- ne del diritto comunitario sulle clausole abusive e sulle procedure di aggiudicazione di pubblici appalti
possono svuotare di effettività la limitazione intro- dotta dalla giurisprudenza alla disciplina sull’acces- so alla documentazione amministrativa.
Nuovi modelli dell’agire amministrativo e clausole vessatorie
nei contratti con i consumatori
La delimitazione dell’applicabilità della discipli- na sull’accesso in ragione del regime giuridico cui è soggetta l’azione amministrativa non pare infatti praticabile in relazione a quell’attività dell’ammini- strazione che oggi l’art. 11 della l. n. 241/1990 am- mette in generale possa svolgersi secondo moduli ne- goziali. Se la disciplina entrerà a regime nella prassi amministrativa, la «perfetta equivalenza, dichiarata ex lege, fra autonomia privata e discrezionalità am- ministrativa» (18) non potrà che mettere in crisi un criterio che definisca i confini dell’operatività del di- ritto di accesso in ragione della qualificazione pub- blicistica o privatistica degli atti. A meno di non so- stenere che la garanzia dell’accesso non operi con riferimento all’attività che si svolge secondo moduli consensuali, la regola praticata dalla giurisprudenza prevalente potrebbe essere fatta salva solo attribuen- do all’attività una connotazione pubblicistica, ope- rando però in contrasto con la ricostruzione comune- mente accolta in dottrina del nuovo istituto: se infatti la componente pubblicistica costituita dal permanere del legame con l’interesse pubblico può legittimare la riconduzione dell’accordo alla categoria del con- tratto di diritto pubblico (19), il richiamo ai «principi del codice civile in materia di obbligazioni e contrat- ti» e la sostanziale posizione di pariteticità tra il pri- vato e l’amministrazione concorrono a mitigare il principio dell’unilateralità e dell’autoritatività, che tradizionalmente hanno contraddistinto l’esercizio della funzione pubblica (20).
Note:
(16) Tar Sicilia, Catania, 8 marzo 1996, n. 279, cit.
(17) Si afferma infatti che «a prescindere dalla natura priva- tistica della Società Ferrovie dello Stato, gli atti della mede- sima ai quali è consentito l’accesso sono soltanto i docu- menti amministrativi – e cioè ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle P.A., o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa (art. 22 comma 2, legge 7 agosto 1990, n. 241) – con esclusione quindi degli atti formati dai privati, come quelli contenenti ri- chiesta di pagamento di somme avanzate al datore di lavo- ro, a valere come atti interruttivi di prescrizione, qualificabili come atti di natura privatistica, e dei quali l’autore avrebbe potuto conservare copia».
(18) Xxxxxxxxxx, La legge sul procedimento tre anni dopo, in
Foro amm., 1994, 2000 ss. (2007 s.).
(19) Cfr. recentemente Xxxxx Xxxxxxxx, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico, Milano, 1997, 45 ss.; Immor- dino, Legge sul procedimento amministrativo, accordi e contratti di diritto pubblico, in Dir. amm., 1997, 102 ss., ove ult. riff.
(20) Secondo una parte della dottrina anche la facoltà di re- cesso previsto dall’art. 11 si configura come «un diritto pote- stativo tipico dei contratti di durata», anche se il suo eserci- zio diventa doveroso in presenza di sopravvenuti motivi di interessi pubblici, Corso–Teresi, Procedimento amministra- tivo e diritto di accesso ai documenti, cit., 74 ss.
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Un ulteriore settore nel quale il criterio fondato sul- la distinzione tra attività pubblicistica e attività priva- tistica può risultare di non agevole applicazione è co- stituito dalla privatizzazione della gestione dei servizi pubblici locali attraverso la costituzione di S.p.a., co- me previsto dall’art. 22 della l. n. 142/1990. La norma citata, nel prevedere differenti modelli per la gestione del servizio pubblico locale, attribuisce la scelta dell’uno o dell’altro all’amministrazione: questo può essere svolto dall’amministrazione stessa, oppure affi- dato a un terzo estraneo all’amministrazione attraverso lo strumento della concessione o, infine, ad una S.p.a. cui l’amministrazione si limita a partecipare. Come puntualmente osservato in dottrina, si tratta di modalità differenti, ma tra loro alternative (21), con la conse- guenza che una volta scelto lo strumento della S.p.a., il nuovo soggetto opera come persona giuridica privata, nell’esercizio della propria autonomia, senza che la partecipazione anche maggioritaria dell’ente possa in- fluire sulla sua natura o sul regime giuridico degli atti da questo compiuti. In ogni caso, le possibilità di un condizionamento derivante dalla partecipazione azio- naria pubblica risultano ridotte dopo la l. n. 428 del 23 dicembre 1992 (art. 12), che consente la costituzione della S.p.a. senza il vincolo della proprietà maggiorita- ria dell’ente locale (22). Peraltro, non v’è dubbio che le società partecipate perseguono un interesse pubblico e che tale interesse continua ad essere perseguito anche quando la partecipazione dell’amministrazione sia di minoranza, ma come correttamente precisato dalle Se- zioni unite «una società di capitali non può emanare atti (oggettivamente) amministrativi, espressione di un po- tere (delegato dall’ente pubblico), ma soltanto atti di di- ritto privato» (23).
In relazione a questi settori, nei quali il legislatore consente all’amministrazione di agire secondo mo- duli alternativi rispetto al provvedimento ammini- strativo o all’ente pubblico, il criterio impiegato dal- la giurisprudenza per delimitare l’applicabilità della disciplina sull’accesso, se inteso rigidamente, non può che implicare l’esclusione del diritto di accesso o portare a forzature nella qualificazione dell’attività cui si riferiscono gli atti richiesti.
Qualora si escludesse l’operatività della disciplina prevista dalla l. n. 241/1990, deve peraltro considerar- si la possibilità di un intervento, per alcuni aspetti,
«suppletivo», in funzione di garanzia della trasparen- za dell’attività contrattuale, della nuova disciplina sul- le condizioni generali di contratto. È noto il tradizio- nale atteggiamento contrario all’assoggettamento alla disciplina codicistica sulle condizioni di contratto dell’attività contrattuale dell’amministrazione, come altrettanto note sono le aperture della giurisprudenza all’applicabilità degli artt. 1341 e 1342 x.x. xx contratti conclusi con l’amministrazione (24); peraltro l’attua- zione nel diritto interno della dir. n. 13/93/Cee con l’inserimento degli artt. 1469 bis – 1469 sexies nel co- dice civile a tutela dei contratti tra professionisti e con- sumatori (legge 6 febbraio 1996 n. 52) se, da una par- te, determina una frattura nella regolamentazione delle condizioni generali di contratto (rispetto agli artt. 1341 e 1342 cc.), dall’altra si impone con indiscu- tibile cogenza nei confronti di tutti i soggetti dell’ordi- namento, in forza del principio della primauté del di- ritto comunitario (25). Nel caso dell’attività di
prestazione di servizi da parte della pubblica ammini- strazione troverà certo applicazione il terzo comma dell’art. 1469 ter, in forza del quale «non sono vessa- torie le clausole che riproducono disposizioni di leg- ge» (26), ma al di fuori dei settori disciplinati da leggi e regolamenti opereranno anche nei confronti dei sog- getti erogatori di pubblici servizi, sia pubblici che pri- vati, le disposizioni del primo e secondo comma del citato articolo, secondo cui «la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto» e «la valutazione del carattere vessatorio della clauso- la non attiene alla determinazione dell’oggetto del
Note:
(21) Caringella, Le società per azioni deputate alla gestione dei servizi pubblici: un difficile compromesso tra privatizza- zione e garanzie, in Foro it., 1996, 1364 ss. (1370 s.). In ge- nerale sulle società a partecipazione comunale, si rinvia ai contributi monografici di Piras, Servizi pubblici e società a partecipazione comunale, Milano, 1994 e di Cammelli–Zi- roldi, Le società a partecipazione pubblica nel sistema loca- le, Xxxxxx, 0000.
(22) Sull’innovazione, cfr. Pajno, Servizi pubblici e tutela giurisdizionale, in Dir. amm., 1995, 551 ss. (598 s.), il quale sottolinea che rispetto all’obiettivo perseguito con l’art. 22 della legge 142 del 1990, il ricorso al modello societario nel- la l. 498 del 1992 risponde alla diversa esigenza di affidare il servizio alla prevalente mano privata, in un’ottica simile a quella della concessione. V. inoltre Cammelli–Ziroldi, Le so- cietà a partecipazione pubblica nel sistema locale, cit., 269 ss.; Andreani, Questioni nuove nella recente legislazione in tema di società di capitali con partecipazione degli enti loca- li, in Dir. amm., 1995, 245 ss.; Xxxxxxx, La gestione dei servi- zi pubblici locali mediante società per azioni, ivi, 275 ss.
(23) Xxxx., Sez. un., 6 maggio 1995, n. 4992, in Giust. civ., 1995, I, 2994 ss., con nota critica di Xxxxxx, Brevi conside- razioni per una interpretazione estensiva della dir. n. 89/440/CEE; in Foro it., 1996, 1364 ss., con nota di Carin- gella, Le società per azioni deputate alla gestione dei servizi pubblici: un difficile compromesso tra privatizzazione e ga- ranzie; in Giornale dir. amm., 1996, 636 ss., con nota di Var- rone, Diritto amministrativo comunitario e riparto di giurisdi- zione; in Rass. giur. en. elettr., 1996, 141 ss., con nota di Garzia, Appalti delle società a partecipazione pubblica e tu- tela dei partecipanti alle gare; in Riv. amm., 1995, 1052 ss., con nota di Crea, Ancora una sentenza sulla natura giuridi- ca delle società a partecipazione degli enti locali; in Riv. it. dir. pub. comunit., 1995, 1062 ss. con nota di Xxxxx, Appalti di lavori affidati da S.p.A. in mano pubblica: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche paradosso. In margi- ne alla decisione, cfr. anche Volpe, Le sezioni unite della Corte di Cassazione di nuovo sulla strada della teoria dell’organo indiretto: abbandono temporaneo o addio defi- nitivo?, in Riv. trim. appalti, 1995, 207 ss.
(24) Cfr. Xxxxxx, Pubblica amministrazione e condizioni ge- nerali di contratto, in Leggi civ. comm., 1995, II, 305 ss., ove ampi riff. alla giurisprudenza.
(25) Sulla direttiva comunitaria e sulla legge di attuazione, cfr. ampiamente Alpa–Patti, Le clausole vessatorie nei con- tratti con i consumatori. Commentario agli artt. 1469 bis – 1469 sexies del Codice civile, Milano, 1997. V. anche Co- stanza, Condizioni generali di contratto e contratti stipulati dai consumatori, in Giust. civ., 1994, 543 ss.; Xxxxxxx, «Con- dizioni generali» di contratto, diritto comunitario e leggi spe- ciali (Artt. 1341 e 1342 c.c.), in Giust. civ., 1995, 239 ss.
(26) Sulla disposizione v. Sirena, sub comma 3 art. 1469 ter, in Alpa–Patti, Le clausole vessatorie nei contratti con i con- sumatori, cit., I, 583 ss. e Xxxxxxx, Le clausole vessatorie nei contratti di fornitura di acqua e di gas, ivi, II, 1145 ss.
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contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile». In tali ipotesi, l’attività contrattuale del soggetto erogatore deve quindi con- formarsi al principio di trasparenza e uniformarsi al dovere di informazione nei confronti dell’utente pri- vato (27), anche laddove non si ritenesse applicabile la disciplina della l. n. 241/1990.
Atti del concessionario di un pubblico servizio che violano il diritto comunitario sugli appalti
Un’altra possibile fonte di incongruenze è costitui- ta dal regime degli atti del concessionario di un pub- blico servizio tenuto a seguire nella propria attività procedure ad evidenza pubblica. Come già ricordato, nella decisione de qua il Consiglio di Stato ha consi- derato irrilevante che il rapporto di lavoro con la F.S. S.p.a., cui si riferivano gli atti richiesti, fosse stato in- staurato attraverso un procedimento concorsuale, op- tando per la riconduzione di tali atti all’attività di dirit- to privato del concessionario. Richiamando la decisione n. 1734/1996, nella quale si era negato l’ac- cesso ai documenti di una concessionaria di un pubbli- co servizio come l’Ente Poste, i giudici ribadiscono che l’art. 23 della l. n. 241/1990 non estende l’operati- vità del diritto di accesso indistintamente a tutti gli atti del concessionario di pubblico servizio, ma solo agli atti che costituiscono esercizio di poteri pubblicistici.
Il possibile contrasto tra le diverse soluzioni accolte in giurisprudenza si avverte immediatamente ove si consideri il principio affermato nella decisione n. 498 del 20 maggio 1995, secondo cui gli atti delle F.S.
S.p.a. compiuti nel corso della procedura di aggiudi- cazione di un appalto disciplinata dal diritto comuni- tario costituiscono atti amministrativi e rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo (28).
Per quanto la decisione si presti alla critica di applica- re con troppa disinvoltura la nozione di impresa «ogget- tivamente pubblica» (29), rinvenendo nell’ordinamento comunitario gli elementi per l’adozione di tale nozione, è la stessa trasposizione nel diritto interno del sistema di tutela introdotto dalle direttive ricorsi in materia di ap- palti (30), operata con la previsione dell’azione di an- nullamento dinanzi al giudice amministrativo come pre- giudiziale dell’azione di risarcimento proponibile al giudice ordinario (l’art. 13 della l. n. 142/1992), a con- durre ad una omologazione del regime giuridico degli atti dei soggetti, pubblici o privati, tenuti all’osservanza del diritto comunitario sugli appalti (31).
Deve ritenersi che anche a tali atti si estenda il di- ritto di accesso sancito dagli artt. 22 e 23 della l. n. 241/1990: diversamente si cadrebbe nell’incongruen- za di sottrarre alla disciplina atti che, quanto a tutela giurisdizionale, sono soggetti al regime dei provvedi- menti amministrativi (32). Certo, l’intero sistema può
Note:
(27) X. Xxxxxx, sub commi 1 e 2 art. 1469 ter, in Alpa–Patti, Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, cit., I, 505 ss. e 559 ss.
(28) Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498, in Foro amm., 1995, 1010 ss., in Giur. it., 1996, III, 164 ss., con nota di Mameli, Organi indiretti della pubblica amministrazione e giurisdizione del giudice amministrativo; in Dir. proc. amm.,
1996, I, 158 ss., con nota di Police, Dai concessionari di opere pubbliche alle società per azioni «di diritto speciale»: problemi di giurisdizione; in Riv. trim. app., 1997, 99 ss., con nota di Gattamelata–Police, Società per azioni di diritto speciale, pro- cedure ad evidenza pubblica, ideologie dei giudici.
(29) Gattamelata–Police, Società per azioni di diritto specia- le, procedure ad evidenza pubblica, ideologie dei giudici, cit.
(30) Sulle quali sia consentito il rinvio a Protto, L’effettività della tutela giurisdizionale nelle procedure di aggiudicazio- ne di pubblici appalti, Milano, 1997.
(31) A norma del quale, «i soggetti che hanno subito una le- sione a causa di atti compiuti in violazione del diritto comuni- tario in materia di appalti pubblici di lavori o di forniture o del- le relative norme interne di recepimento possono chiedere all’Amministrazione aggiudicatrice il risarcimento del dan- no». Il secondo comma precisa che «l’azione di risarcimento è proponibile dinanzi al giudice ordinario da parte di colui che ha ottenuto l’annullamento dell’atto lesivo con sentenza del giudice amministrativo». La scelta del legislatore di ripar- tire tra giudice amministrativo e giudice ordinario la tutela complessivamente accordata dal legislatore comunitario si fonda sulla facoltà riconosciuta dall’art. 2 comma 5 della dir.
n. 89/665/CEE a tenore del quale «Gli Stati membri possono prevedere che, se un risarcimento danni viene domandato a causa di una decisione presa illegalmente, per prima cosa l’organo che ha la competenza necessaria a tal fine annulli la decisione contestata». La previsione risarcitoria della dir.
n. 13/92 ha trovato analoga attuazione con l’art. 11 della leg- ge 19 dicembre 1992, n. 489, il quale dichiara applicabile l’art. 13 della l. n. 142/1992 alle violazioni commesse dalle amministrazioni nel corso delle procedure di aggiudicazione di pubblici appalti nei cd. settori esclusi. La tutela risarcitoria è stata da ultimo estesa alla disciplina sulle procedure di ag- giudicazione degli appalti di servizi, così come previsto dall’art. 41 della dir. n. 50/92 del 18 giugno 1992 che coordi- na le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, con l’ennesimo richiamo all’art. 13 della l. n. 142/1992 effettuato dall’art. 30 del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157 che provvede all’attuazione della direttiva citata. Occor- re ricordare infine il rinvio all’art. 13 della l. n.142/1992 ope- rato dal terzo comma dell’art. 31 della legge quadro in mate- ria di lavori pubblici dell’11 febbraio 1994, n. 109 (legge Merloni), che, sostanzialmente, aveva generalizzato il rime- dio risarcitorio previsto dalla legge comunitaria per le gare di valore comunitario alle violazioni della legge quadro e del regolamento di attuazione, sopprimendo, almeno nel setto- re degli appalti di lavori, l’intollerabile discriminazione tra si- tuazioni soggettive di rilievo meramente nazionale e situa- zioni soggettive di matrice comunitaria. Tuttavia, il riferimento all’art. 13 della l. n. 142/1992 non compare più nel testo dell’art. 31 bis, introdotto dal d.l. 3 aprile 1995, n. 101 convertito dalla legge 2 giugno 1995, n. 216 (legge Mer- loni bis). Sul significato dell’omissione, x. Xxxxxxxxxxx–Ro- baldo, La legge quadro in materia di lavori pubblici, 2 ed., Mi- lano, 1995; Xxxxx, La riforma della legge Xxxxxxx, in Giornale dir. amm., 1995, 365 ss.; Xxxxxxxxxx, La legge sugli appalti graduata e modificata. A quando l’assetto definitivo?, in Corr. giur., 1995, 531 ss.; Id., Le novità della legge quadro sui lavori pubblici, ivi, 1995, 1007 ss.; Xxxx, Il nuovo assetto dei lavori pubblici: dalla l. n. 109/1994 alla legge n. 216/1995, in Nuova rass., 1995, 2314 ss.; Xxxxxx, La legge quadro in materia di lavori pubblici. Dalla legge Merloni al te- sto unificato Bargone. I decreti legge dal n. 331 del 31 mag- gio 1994 al n. 26 del 31 gennaio 1995 e il disegno di legge Xxxxxx, in Amm. it., 514 ss.; De Rose, La «Merloni bis» sulle opere pubbliche (legge 2 giugno 1995 n. 216): Principali aspetti innovativi e loro compatibilità comunitaria, in Cons. Stato, 1995, II, 1093 ss.; Xxxxxxxx, I profili processuali della nuova disciplina sui lavori pubblici (art. 31 bis e art. 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificata dalla legge 2 giugno 1995, n. 216), in Riv. trim. app., 1995, 403 ss.
(32) Affermano l’applicabilità della disciplina sull’accesso agli atti della serie procedimentale dei contratti ad evidenza pubblica, in particolare a gli atti che intervengono nella pro- cedura di aggiudicazione di un appalto, Teresi, Il diritto di ac- cedere agli atti della pubblica amministrazione, cit., 1657; Sandulli, Brevi note sull’ambito di applicazione della l. n. 241/1990, cit., 1992, 327 ss.
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essere condotto a coerenza qualificando gli atti com- piuti dal soggetto tenuto ad applicare il diritto comuni- tario come atti a contenuto imperativo (33), di talché non risulterebbe scalfita la tesi che limita il diritto di accesso all’attività che costituisce esercizio di potestà pubbliche autoritative. Ma la natura autoritativa degli atti compiuti dall’amministrazione e, a maggior ragio- ne, da un soggetto privato nel corso della procedura per l’aggiudicazione di un appalto è revocata in dub- bio dalla recente dottrina (34), mentre pare più ade- rente al fenomeno in discorso la nozione di atto «a re- gime amministrativo», per il carattere e la qualificazione «oggettiva» operata dalla legge, indi- pendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto che lo ha adottato (35). Anche la giurisdizio- ne del giudice amministrativo sugli atti di un soggetto privato che violano il diritto comunitario prevista dal primo comma dell’art. 13 della l. n. 142/1992 non si radica in base al soggetto da cui promana l’atto impu- gnato, ma in base alla normativa violata (36).
Alla luce delle cennate innovazioni legislative, un’interpretazione della disciplina sull’accesso non rigidamente collegata al regime giuridico formale dell’attività, ma incentrata sul vincolo di scopo dell’attività, che non muta secondo lo strumento pubblicistico o privatistico impiegato o secondo la natura del soggetto che agisce, risulta sicuramente più flessibile e agevolmente adattabile alle innova- zioni normative e alle trasformazioni in atto nel dirit- to amministrativo.
In questa prospettiva deve sottolinearsi, contraria- mente a quanto affermato nella giurisprudenza pre- valente, la neutralità delle espressioni impiegate dal legislatore del 1990, in particolare della nozione di
«documento amministrativo» di cui al citato art. 22, che consente di estendere l’esercizio del diritto di ac- cesso agli atti interni dell’amministrazione (37) e al- le procedure contrattuali rette dal diritto privato (38), e in relazione alla quale non sembra proponibile una limitazione della disciplina all’attività dell’ammini- strazione che costituisce espressione della funzione provvedimentale (39).
Interpretazione «funzionale» in senso ampio della disciplina sull’accesso
Alla luce di quanto fin qui osservato, sono da ac- cogliere con favore le conclusioni cui il Consiglio di Stato giunge nelle altre due decisioni qui pubblicate, nelle quali sono ravvisabili le prime prese di posizio- ne nel senso dell’applicabilità della disciplina sull’accesso anche all’attività privatistica dell’am- ministrazione. Sebbene non sia consentito ravvisare in tali pronunce un revirement rispetto al cennato orientamento, esse introducono comunque nel judge made law elementi di incertezza tali da rendere fin d’ora necessario un intervento nomofilattico dell’adunanza plenaria.
Nella pronuncia n. 649/1997, la IV sezione affer- ma infatti che la disciplina sull’accesso si estende in generale e indistintamente a tutti gli atti relativi al rapporto concessorio tra l’amministrazione e un pri- vato, anche quindi agli atti che ricadono nella sfera di diritto privato dell’attività dell’amministrazione. Nella fattispecie, il giudice d’appello considera am-
missibile la richiesta di esaminare ed estrarre copia dei documenti relativi alla convenzione e ai contratti stipulati dal Ministero delle finanze con un’impresa privata per la realizzazione del servizio informatico della stessa amministrazione finanziaria, compresi gli atti relativi all’affidamento di incarichi specifichi e gli atti di verifica e di collaudo dei beni e servizi for- niti. Dopo aver premesso che la società concessiona- ria rientra nei soggetti nei cui confronti opera il dirit- to di accesso in forza dell’art. 23 della l. n. 241/990, e che il sistema informatico costituisce un elemento essenziale per l’organizzazione e il perseguimento degli scopi istituzionali dell’amministrazione finan- ziaria, il Collegio riconosce che l’accesso agli atti re- lativi ad un settore così importante dell’amministra- zione finanziaria non può essere escluso, onde assicurare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa a tutela di situazioni giuridicamente rilevanti. Nel caso specifico, il Collegio ravvisa la le- gittimazione e l’interesse all’accesso in capo al sin- dacato trattandosi di atti che, in quanto afferenti a scelte di spettanza dell’amministrazione, hanno una indubbia incidenza sul piano dell’organizzazione del lavoro e dell’esercizio di compiti propri, affidati per
Note:
(33) In questi termini, Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 1995 n. 454, in Giornale dir. amm, 1995, 1067 ss., con nota critica sul punto di Xxxxxxxxxxxx, L’affidamento a trattativa privata e la tutela dei terzi.
(34) V. per tutti Pericu, L’attività consensuale della Pubblica Amministrazione, in AA.VV., Diritto amministrativo, cit., II, 1297.
(35) Xxxxx, I contratti dell’Amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986, secondo cui gli atti amministrativi at- traverso cui si forma la volontà negoziale dell’amministrazio- ne si distinguono dai provvedimenti «per almeno due aspetti salienti: mancanza di autoritarietà e contenuto negoziale» (97). Si tratta quindi di atti che, sebbene soggetti ad un regime giuridico per alcuni aspetti rapportabile a quello dei provvedi- menti amministrativi, sono atti «ad effetti civilistici e a conte- nuto negoziale» (98). Cfr. per alcuni rilievi critici, Xxxxx, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, 1 ss. (18 s.).
(36) Xxxxx, Appalti di lavori affidati da S.p.A. in mano pubbli- ca: un revirement giurisprudenziale non privo di qualche pa- radosso, cit., 1070.
(37) Corso–Teresi, Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, cit., 137; Castiello, La legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo e le sue disposi- zioni di principio, cit., 36. In giurisprudenza si era inizialmen- te negato l’accesso agli atti interni (Tar Veneto, sez. I, 17 gennaio 1995, n. 82, in TAR, 1995, I, 1151 ss.), per poi am- metterlo recentemente quando tali atti «siano suscettibili di utilità per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti», Tar Lazio, sez. I, 11 dicembre 1996, n. 2245, ivi, 1997, 8, e inci- dentalmente Tar Sicilia, Catania, 8 marzo 1996, n. 279, cit. Il nuovo orientamento è stato accolto dal Consiglio di Stato nella decisione Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1996, n. 820, in Foro amm., 1996, 2223.
(38) Arena, La trasparenza amministrativa ed il diritto di ac- cesso ai documenti amministrativi, cit., 30.
(39) Così Xxxxxxxx, sub. art. 23, in Travi (cur.), Commentario alle nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, cit., 124 ss.; Romano–Xxxxxxx, A chi serve il diritto di accesso? (Ri- flessioni su legittimazione e modalità d’esercizio del diritto di accesso nella legge n. 241/1990), cit., 327 ss.
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legge o per contratto di lavoro, a funzionari dell’am- ministrazione finanziaria (40).
Riecheggiano nella motivazione gli argomenti già ampiamente utilizzati dalla stessa Sezione nella pre- cedente decisione n. 82 del 4 febbraio 1997, nella quale si era affermato che il diritto di accesso è corre- lato esplicitamente dalla l. n. 241/1990 non agli «atti amministrativi», ma all’«attività amministrativa», intesa in senso ampio come l’attività che «compren- de nel suo ambito concettuale l’attività di diritto am- ministrativo e l’attività di diritto privato, che costi- tuisce cura concreta degli interessi delle collettività non meno della prima» (41). Nella fattispecie i giudi- ci amministrativi hanno riconosciuto all’ammini- stratore unico revocato dalla carica il diritto di acces- so alla documentazione relativa ai rapporti tra il Ministero del tesoro, in qualità di azionista di mag- gioranza, e l’Ente Cinema S.p.a., tra cui gli atti pre- paratori e presupposti della delibera assembleare di revoca. Nella stessa decisione il Collegio precisa che rientrano nella disciplina sull’accesso non solo gli at- ti formati da pubbliche amministrazioni, ma tutti gli atti comunque utilizzati ai fini dell’attività ammini- strativa, compresi gli atti del concessionario di un pubblico servizio, che può essere anche un soggetto privato.
Alla stessa conclusione pare giungere, con affer- mazioni meno incidenti sulla ratio decidendi, la V Sezione nella decisione n. 228/1997. Nella motiva- zione si precisa infatti che la richiesta presentata da un’associazione di accedere alla documentazione fi- scale relativa al rapporto di lavoro tra un USL roma- na e un medico non è ammissibile poiché non corre- lata ad alcuna «azione dell’amministrazione, di diritto pubblico o di diritto privato», intendendo evi- dentemente per azione amministrativa qualsiasi atti- vità dell’amministrazione volta concretamente al perseguimento di un interesse pubblico. Non diver- samente dalla pronuncia n. 1083/1995 della VI se- zione, l’esclusione del diritto di accesso è fondata unicamente sulla rilevazione che la documentazione richiesta non pertiene ad alcuna attività dell’ammini- strazione, lato sensu intesa, ma è detenuta dalla stes- sa nell’adempimento di doveri previsti dalla legge a carico indistintamente di soggetti privati e pubblici (dichiarazione dei redditi, modello 101, documenta- zione relativa alla ritenuta di acconto) (42).
È evidente la concezione estensiva di «funzione amministrativa» alla base dell’orientamento ancora minoritario che riconosce l’accessibilità degli atti re- lativi all’attività di diritto privato dell’amministrazio- ne (43). Orientamento che si colloca pienamente nel solco dell’autorevole insegnamento, secondo cui lo scopo connaturato all’essere amministrazione pubbli- ca «si inserisce come un momento ineliminabile in tutti gli atti dell’ente, sia di diritto pubblico che di di- ritto privato» (44), con la conseguenza che pur essen- do l’amministrazione capace di porre in essere negozi di diritto privato, essa non opera in una semplice sfera di liceità (in cui qualunque fine può essere perseguito nell’ambito delle leggi), ma agisce in una sfera che esattamente ne delimita gli scopi da raggiungere e, in ordine a quelli, i poteri che può esercitare. L’attività di diritto privato dell’amministrazione non è attività li- bera se non in senso formale, non è, in altri termini,
manifestazione di intrinseca volontà di soddisfaci- mento dei propri interessi (come l’autonomia privata), mentre rimane in concreto vincolata in funzione di un interesse collettivo il cui appagamento è proiezione dell’essenza stessa dell’amministrazione (45). È quindi il vincolo di scopo che sostanzialmente diffe- renzia l’attività amministrativa, anche se esercitata nelle forme del diritto privato, da quella di un soggetto qualsiasi, e che ne implica l’assoggettamento ai pre- cetti di trasparenza e di imparzialità a cui è in definiti- va è preordinata la disciplina sull’accesso ai docu- menti. Il principio di imparzialità sancito nell’art. 97 Cost. non può essere infatti considerato una mera nor- ma di scopo, ossia una norma che si limita a prescrive- re indirizzi d’azione o che contiene astratte proclama- zioni di diritti senza determinare il contenuto o i mezzi per la loro soddisfazione. Se quindi il principio ha por- tata generalissima, operando in modo uniforme e co- stante in relazione alle diverse attività dell’ammini- strazione (46), alla sua effettività deve seguire l’applicazione della disciplina sull’accesso ai docu-
Note:
(40) La riconduzione degli atti all’attività organizzativa assu- me quindi rilievo esclusivo ai fini della verifica dell’ammissibili- tà in concreto dell’actio ad exhibendum del sindacato, mentre rimane estranea all’iter argomentativo seguito nella motiva- zione la dicotomia tra atti pubblicistici e atti privatistici. Lo stesso pare doversi dire per il ragionamento seguito in Cons., Stato, 13 gennaio 1994, n. 2, in Foro amm., 1994, I, 39, con oss. di Chieppa, nella quale si è riconosciuto il diritto di acces- so ai dipendenti dell’E.F.I.M. in relazione ad atti di pagamento di prestazioni lavorativi o di affidamento di incarichi e ad atti ricognitivi della situazione economica dell’Ente, mentre non sembra aver assolto un ruolo decisivo ai fini dell’applicabilità della disciplina sull’accesso la constatazione che tali atti si configuravano come «attuativi della programmazione» e «fi- nalizzati all’organizzazione dell’Ente».
(41) Cons. Stato, 4 febbraio 1997, n. 82, in questa Rivista, 423 ss., con nota di Xxxxxxxxx, Accesso ai documenti am- ministrativi e attività privatistica della Pubblica ammini- strazione; in Giur. it., 1997, III, 385 ss., con nota di Xxxxx- xx Xxxxxxx, Accesso ad atti di diritto privato di pubbliche am- ministrazioni.
(42) Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 1995, n. 1083, cit. Lascia quindi perplessi la riconduzione della decisione alla giurisprudenza che ha negato che il diritto accesso possa esercitarsi nei confronti della attività di diritto privato dell’amministrazione, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 1996, n. 297, cit., 408.
(43) Come osserva Xxxxxxx Xxxxxxx, Accesso ad atti di dirit- to privato di pubbliche amministrazioni, cit., nella decisione
n. 82 del 1997, la IV sezione del Consiglio di Stato ricollega l’accesso «all’attività amministrativa oggettivamente consi- derata, ossia alla funzione, che comprende sia l’attività di- sciplinata dal diritto amministrativo sia quella regolata dal di- ritto privato».
(44) Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo, Padova, 1987, 155.
(45) Sulla rispondenza all’interesse pubblico di ogni attività dell’amministrazione, x. Xxxxxxxxxx, L’imparzialità ammini- strativa, Padova, 1965, 137; Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 107. Come non menzionare la nota osserva- zione di Mantellini, Lo Stato e il codice civile, Firenze, 1880 (ristampa 1978), 47, secondo cui lo Stato quando «aggiun- ge veste civile nella gestione ciò fa senza pregiudizio della sua ragione politica».
(46) Xxxxxxxxxx, L’imparzialità amministrativa, cit., 382.
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menti, che è volta dichiaratamente al fine di «assicura- re la trasparenza dell’attività amministrativa e di favo- rirne lo svolgimento imparziale».
Come afferma lo stesso Xxxxxxxx, non può esclu- dersi il diritto di accesso con riferimento a quei rap- porti che, pur rientrando nella sfera di diritto privato, sono di fondamentale importanza per il perseguimen- to dei fini istituzionali cui è preposta l’amministrazio- ne. Viene in proposito in considerazione l’insegna- mento secondo cui ove si limitasse l’operatività del principio costituzionale di imparzialità ad alcune delle attività dell’amministrazione «si accetterebbe in real- tà che l’imparzialità non sia l’appannaggio che di una parte circoscritta della complessiva attività ammini- strativa, di guisa che questa, considerata appunto nel suo complesso, non potrebbe seriamente dirsi impar- ziale» (47).
Non si può negare che rispetto ai nuovi modelli dell’agire amministrativo l’estensione della discipli- na sull’accesso renda addirittura improponibile un suo collegamento con la nozione di «funzione ammi- nistrativa» – del resto non pare del tutto causale l’espressione «azione amministrativa» impiegata nella decisione n. 228/1997 (48) –, ma la soluzione accolta nelle recenti decisioni della IV sezione pare l’unica praticabile, se si intende evitare «che il regi- me privatistico, la cui ragionata diffusione non è da deprecare, diventi un mezzo per eludere i principi fondamentali e costituzionali sull’attività delle pub- bliche amministrazioni» (49).
Qualificazione giuridica dell’interesse del privato
Posta la presenza dei principi inderogabili di tra- sparenza ed imparzialità volti a regolare immediata- mente ed in ogni momento l’azione amministrativa, e considerata la neutralità del termine «documento amministrativo», si pone il problema dell’individua- zione degli esatti confini dell’operatività della disci- plina sull’accesso. Qualche indicazione pare potersi utilmente trarre dalle pronunce n. 228 e n. 649 del 1997, nelle quali, una volta ammessa l’estensione del diritto di accesso ai documenti relativi ad ogni attivi- tà, privatistica o pubblicistica, che costituisce cura concreta dell’interesse pubblico, l’ammissibilità dell’actio ad exhibendum pare condizionata unica- mente dell’espressione «chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti», impiegata dal legislatore per individuare i soggetti legittimati all’accesso (50). Come ricorda il Collegio nella decisione n. 649, la giurisprudenza, dopo un primo periodo in cui considerava il diritto di accesso come posizione strumentale alla tutela di una situa- zione soggettiva giudizialmente azionabile (diritto soggettivo o interesse legittimo), pare oggi definiti- vamente orientata a ritenere sufficiente la sussistenza di una qualsiasi posizione considerata meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico e di un in- teresse del privato fondato su tale posizione, senza che sia necessaria la sussistenza di tutti i requisiti che legittimerebbero un ricorso giurisdizionale (51), ammettendo finanche che il privato possa agire indi- pendentemente da una lesione attuale della sua posi- zione giuridica (52).
Poiché la norma non ha affatto introdotto un’azione popolare a tutela della trasparenza amministrativa, la delimitazione dell’operatività della disciplina sull’ac- cesso rimane quindi condizionata dalla qualificazione dell’interesse alla luce del principio di imparzialità e trasparenza dell’amministrazione, secondo criteri non dissimili, ma meno rigorosi di quelli seguiti nell’indi- viduazione degli interessi rilevanti nella giurisdizione amministrativa (53). In tale operazione sembra che l’interprete debba operare una Abwägung tra gli inte- ressi in gioco, ponderando la posizione del richiedente con la possibile lesione di altri interessi pubblici e pri- vati (54). Il successivo passaggio è costituito dalla ve- rifica dell’interesse del richiedente, nozione che come l’intesse ad agire attiene all’interesse materiale del privato, ma che diversamente da questo non presup- pone l’attualità della lesione. I due criteri, quello cioè della qualificazione normativa e dell’interesse, sono separatamente verificati nella decisione n. 649, nella quale la qualificazione della posizione del sindacato è qualificata con riferimento al «diritto di informazio- ne» che spetta alle organizzazioni sindacali, escluden- do che nella fattispecie l’istanza di accesso fosse diret- ta ad attuare una sorta di controllo generalizzato sul rapporto tra l’amministrazione e la società privata. Sotto il profilo dell’interesse, il Collegio rileva che
«gli atti che attengono a scelte organizzative dell’am- ministrazione, potenzialmente idonee ad incidere sul- la professionalità dei funzionari [...]; da ciò ne conse- gue l’interesse dell’amministrazione sindacale, che tutela la categoria professionale rappresentata, alla visione di tutti quegli atti in forza dei quali si sono in-
Note:
(47) Xxxxxxxxxx, L’imparzialità amministrativa, cit., 136.
(48) Come osserva puntualmente Benvenuti, Semantica di funzione, in Studi in onore di Xxxxx Xxxxxxxxx, Rimini, 1987, 153 ss. (167) «[...] è conseguenza inevitabile della imposta- zione che vede l’atto come espressione del potere e ogni qualvolta vi sia un potere, non importa se pubblico o privato né quale natura abbia quest’ultimo, quando esso è esercita- to da un soggetto esso dà luogo a funzione [...]. Una impo- stazione di questo genere non abbisogna di interventi con parametri, o notazioni, o elementi estranei al meccanismo giuridico: vi è solo da dire che una esigenza di chiarezza di termini obbliga il giurista a limitare l’uso dell’espressione a questo ristretto significato mentre per altri fenomeni si pos- sono utilizzare altre espressioni come attribuzione, compe- tenza, attività, azione e, ancora, compiti, quando soprattutto si abbia di mira il collegamento finale tra azione di un sogget- to e la ragione di essa».
(49) Xxxxxxx Xxxxxxx, Accesso ad atti di diritto privato di pub- bliche amministrazioni, cit.
(50) Su tali questioni cfr. ampiamente Scognamiglio, Il diritto di accesso nella disciplina della legge 7 agosto 1990, n. 241, cit.
(51) Cons. Stato, 19 luglio 1994, n. 1243, in Foro amm., 1994, 1813 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 11 gennaio 1994, n. 8, in Foro amm., 1994, 47; Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 1993, n. 1036, in Cons. Stato, 1994, 492.
(52) Cons. Stato, sez. IV, 10 settembre 1996, n. 1024, in Fo- ro amm., 1996, 2608.
(53) Sulla necessità della qualificazione normativa degli in- teressi legittimi, cfr. ampiamente Xxxxx, Giustizia ammini- strativa, Bologna, 1994, 106 ss.
(54) Baldanza, Il diritto di accesso ai documenti amministra- tivi riguardo all’attività di diritto privato degli Enti pubblici eco- nomici: rilettura di alcune pronunce giurisprudenziali, cit.
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staurati o sono in corso di definizione una serie di rap- porti giuridici tra amministrazione e Sogei, aventi ri- flessi sui compiti normalmente rientranti nelle com- petenze ordinarie dei propri iscritti, nonché a conoscere su quali basi i predetti rapporti sono sorti e in che maniera essi andranno ad esplicarsi».
Peraltro, non sembra potersi escludere che la giuri-
sprudenza manifesti anche in tale campo la stessa ten- denza dimostrata nell’opera di selezione degli interessi rilevanti nella giurisdizione amministrativa, ampliando la schiera dei soggetti legittimati all’accesso sovrappo- nendo al piano sostanziale della qualificazione norma- tiva il momento fattuale della concreta utilità che il ri- chiedente può ritrarre dall’accessibilità dell’atto.
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Consiglio di Stato, sez. IV, ordinanza 16 set- tembre 1997, n. 1827; Pres. Xxxxxxxx – Rel. De Nictolis – S.p.a. Putignano Costruzioni c. S.p.a. Intercantieri Vittadello
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Accoglie l’appello proposto nei confronti dell’ordi- nanza 29 maggio 1997, n. 1790 del Tar Lombardia, sez. III, la quale aveva ritenuto che, caducato re- troattivamente il d.l. n. 671/1996, è illegittima la pro- secuzione delle operazioni selettive sulla base del re- gime di esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti interni. Per l’effetto, in riforma dell’or- dinanza impugnata, respinge l’istanza di sospensiva proposta nei confronti del provvedimento gravato in primo grado.
... Omissis ...
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, sez.
IV, ha pronunciato la presente ordinanza (...)
per l’annullamento dell’ordinanza del Tar Lom- bardia – Milano: sezione III n. 1790/1997, resa tra le parti, concernente aggiudicazione gara appalto;
Visti gli atti e documenti depositati con l’appello; Vista l’ordinanza di accoglimento della domanda incidentale di sospensione della esecuzione del prov-
vedimento impugnato in primo grado;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di: Azienda Lombarda Edilizia Residenziale, s.p.a. Intercantieri Vittadello;
Udito il relatore Cons. Rosanna De Nictolis e uditi altresì per le parti l’Avv. Xxxxxxx, delegato Avv. Tra- vi, Xxxxxx Xxxxxxxxx delegato Avv. Xxxxxxxx Ab- xxxxxxx e Clarizia;
Vista anche l’ordinanza C.d.S., V°, 3 giugno 1997, n. 1097;
Ritenuto che non sussistono i presupposti previsti dall’ultimo comma del citato art. 21;
P.Q.M.
Accoglie l’appello (Ricorso numero 7056/97) e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, respinge l’istanza di sospensiva proposta nei con- fronti del provvedimento impugnato in primo grado.
Tar Puglia, Bari, sez. II, 27 settembre 1997, n. 705 – Pres. Corasaniti – Rel. Mangialardi – Xxxxxxxx Xxxxxx x. Istituto «Xxxxxxx de Bellis» di Castellana Grotte
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La vacatio legis determinatasi, in tema di offerte anomale negli appalti interni, a seguito della manca-
ta conversione in legge del d.l. 31 dicembre 1996, n. 671 trova soluzione in base al principio secondo cui le norme di gara costituiscono lex specialis della procedura concorsuale. Ne deriva che ove sia il ban- do di gara (pubblicato nel novembre del 1996, in vi- genza dell’originario regime transitorio di cui all’art. 21, comma 1 bis della l. n. 109/1994 e succ. mod.) che la lettera di invito (inviata nel febbraio 1997, nella vigenza del d.l. n. 671/1997 poi non con- vertito) abbiano espresso l’intendimento dell’ammi- nistrazione di escludere automaticamente le offerte ritenute anomale in base al parametro indicato (per- centuale di ribasso della media superiore alla media delle percentuali di ribasso aumentata di un quinto) tali determinazioni sono diventate criterio di gara e quindi vanno rispettate dall’Amministrazione. Di- versamente opinando, vi sarebbe quanto meno viola- zione della par condicio dei concorrenti che su quei criteri hanno fatto affidamento.
... Omissis ...
Diritto Il ricorso è infondato.
La materia delle offerte anomale trova la sua più
recente disciplina nell’art. 21 comma 1 bis della leg- ge 11 febbraio 1994, n. 109, così come modificato
dall’art. 7, d.l. 3 aprile 1995, n. 101 convertito con
modificazioni in legge 2 giugno 1995, n. 216.
La norma si compone di due parti dato che disci- plina sia il regime ordinario di valutazione delle of- ferte anomale che quello transitorio (da valere sino al 1° gennaio 1997).
Un nuovo regime transitorio, diverso per quel che concerne gli appalti «comunitari» ma identico per quelli «interni», è stato dettato con validità sino al 1° gennaio 1998 dall’art. 4, d.l. 31 dicembre 1996, n. 670, decreto legge che poi non è stato convertito in legge.
Come è noto, inoltre, sono anomale le offerte che presentino una percentuale di ribasso superiore ad un parametro – soglia di anomalia –, che nel regime or- dinario è fissato entro il primo gennaio di ogni anno dal Ministro dei lavori pubblici, sentito l’Osservato- rio sulla base dell’andamento delle offerte ammesse alle gare espletate nell’anno precedente; nel regime transitorio detto parametro è stato determinato, per ogni singola gara, dalla media aritmetica dei ribassi delle offerte ammesse aumentata di un quinto.
Orbene individuata la offerta anomala, gli effetti operativi sono diversi a seconda che trattasi di appalti comunitari (quelli cioè di importo pari o superiore a 5 milioni di ECU corrispondenti a 9.927.000.000 lire italiane) ovvero di appalti interni (quelli cioè di im- porto inferiore a quello sopra indicato); per i primi in-
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fatti l’offerta che supera la percentuale come predeter- minata va sottoposta a verifica in contraddittorio circa la sua composizione prima di provvedere alla sua esclusione, mentre per i secondi l’offerta che supera la soglia si presume anomala in via assoluta e pertanto si procederà alla sua esclusione automatica.
Per completezza aggiunge il Collegio che nella prima fase del regime transitorio – cioè per il periodo sino al 1° gennaio 1997 – la esclusione automatica giusto ultimo periodo del comma 1 bis, art. 21 sopra citato era disposta per entrambe le categorie di appal- ti; la giurisprudenza quasi unanime però ebbe a rite- nere che detta esclusione automatica per gli appalti comunitari era incompatibile con la normativa euro- pea e sussisteva l’obbligo per i giudici e l’ammini- strazione di disapplicarla. Detti orientamenti sono stati fatti propri dall’art. 4, d.l. 31 dicembre 1996, n. 670 il quale, come xxxxxx detto, nel prorogare il regi- me transitorio in attesa del decreto del ministero del lavoro di determinazione della soglia di anomalia (Decreto poi intervenuto il 28 aprile 1997 e pubblica- to nella G.U. dell’8 maggio 1997) ebbe a disporre per gli appalti comunitari la verifica in contraddittorio della anomalia, ferma restando per gli appalti interni la procedura della esclusione automatica.
Fatte queste premesse, è intuibile come sia di fon- damentale importanza nella presente controversia, in cui si contesta la esclusione automatica disposta nei confronti della ricorrente e la conseguente aggiudi- cazione di gara alla contro interessata impresa, deter- minare se l’appalto de quo sia comunitario cioè di importo superiore ai cinque milioni di ECU (come sostenuto dalla ricorrente impresa) ovvero interno in quanto di importo inferiore.
Orbene pare al Collegio anche alla luce della cor- posa documentazione prodotta agli atti di causa che l’appalto per cui è causa non possa essere ricondotto tra quelli comunitari.
Infatti l’appalto riguarda i lavori di completamen- to del nuovo ospedale di Castellana Grotte – VII stralcio ove l’espressione VII stralcio non è uno dei lotti che compongono l’appalto (come si assume dal ricorrente che lo ricollega ad un progetto del 1989) ma l’appalto nella sua globalità. Infatti se è pur vero che l’originario progetto per il completamento dell’ospedale di Castellana Grotte approvato nel 1989 (che a sua volta faceva seguito a precedenti la- vori che nel corso di circa un ventennio avevano inte- ressato la nuova sede, lavori di volta in volta finan- ziati dalla Regione e denominati I stralcio, II stralcio e così via) prevedeva opere stimate per un importo superiore a 32 miliardi, è pur vero che il CIPE nell’ambito del programma pluriennale di cui all’art. 20, l. n. 67/1988 autorizzava un finanziamento di soli 7.700.000.000 e l’Amministrazione per non perdere detto finanziamento disponeva per un ridimensiona- mento del progetto originario dando formale incari- co (nota del 19 ottobre 1993) all’xxx. Xxxxxx, autore del progetto del 1989, di redigere un progetto esecu- tivo nell’autorizato importo di 7,7 miliardi, progetto che nella prassi amministrativa veniva denominato VII stralcio del completamento generale dell’Ospe- dale «V.zo dell’Erba». Tale progetto veniva approva- to con delibera dell’Ente Ospedaliero n. 802 del 29 dicembre 1994 e quindi a seguito di prescrizioni ed
osservazioni dettate dal Comitato Regionale Tecnico Amministrativo e dal Nucleo regionale di Valutazio- ne, riapprovato definitivamente con delibera del Commissario straordinario n. 107 dell’8 febbraio 1996 per un importo totale di 7.700.000.000 di cui li- re 6.364.908.285 per lavori a base d’asta e lire 1.335.091.715 per somme a disposizione dell’Am- ministrazione; intervenuta quindi l’approvazione re- gionale (delibera di G.R.n. 1462 dell’11 aprile 1996) per la sua realizzazione è stato indetto l’appalto col sistema della licitazione privata in base al criterio del massimo ribasso ai sensi dell’art. 21, l. n. 109/94 co- me integrata e modificata dalla l. n. 216/1995, preve- dendosi espressamente nel bando di gara la esclusio- ne automatica delle offerte «che presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto la media aritmetica dei ribassi di tutte le offerte ammes- se».
Pare quindi indubitabile al Collegio che l’appalto in questione sia appalto interno e pertanto le censure rappresentante nel 2° motivo di gravame di violazione della disciplina posta dalla Direttiva n. 93/37/C.E.E. possono essere subito disattese perché inconferenti, riguardando la invocata normativa gli appalti comuni- tari.
Va pure respinto l’articolato primo motivo di gra- vame in cui si assume da parte della ricorrente impre- sa che in nessun caso in ipotesi di appalti comunitari, la esclusione della offerta che superi la soglia di ano- malia possa essere disposta automaticamente.
Si è già detto che si è di fronte ad appalto interno e quindi ogni disquisire sulla esclusione automatica nell’ambito di appalti comunitari qui non si pone.
La ricorrente prospetta comunque l’illegittimità dell’operato della stazione appaltante perché, quand’anche si ritenesse l’appalto interno, anche in tal caso non sarebbe stato possibile procedere alla esclusione automatica.
Basa la sua tesi sulla circostanza che se è pur vero che il bando di gara (del novembre 1996) prevedeva la esclusione automatica, il bando e quindi la partico- lare disposizione non sarebbero stati richiamati nella lettera di invito (del 21 gennaio 1997) e comunque – continua – il regime transitorio regolato dall’inciso finale dell’art. 21, l. n. 109/1994 avrebbe cessato di produrre i suoi effetti il 2 gennaio 1997 con la conse- guenza che, atteso che l’art. 4 del d.l. 31 dicembre 1996 che aveva prorogato detto regime al 1° gennaio 1998 non è stato reiterato né convertito in legge, si sa- rebbe creata una vacatio legis quanto alla regolamen- tazione dei meccanismi di individuazione ed esclu- sione delle offerte anormalmente basse con la ulteriore conseguenza che sarebbe illegittima ogni forma di esclusione automatica.
La articolata censura va disattesa.
Va subito detto che la lettera di xxxxxx, che secondo la ricorrente non richiamando il bando non prevede- rebbe la clausola della esclusione automatica, faceva pure riferimento alle vigenti disposizioni che al tem- po (21 gennaio 1997) erano quelle dettate dal d.l. 31 dicembre 1996 disponente per gli appalti interni per la esclusione automatica delle offerte che «presenta- no una percentuale di ribasso superiore alla media dei ribassi di tutte le offerte ammesse incrementata di
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un quinto della media stessa», prescrizione questa identica a quella indicata nel bando.
Non è poi da parlarsi di violazione del principio tem- pus regit actum perché la «novità» introdotta dal preci- tato D.L. rispetto al regime transitorio dettato nell’ulti- mo inciso comma 1 bis, art. 21, l. n. 109 riguardava gli appalti comunitari ma non già gli interni per cui veniva confermato l’automatismo della esclusione.
La gara poi, come si è detto (si è detto) si è svolta durante il periodo di regime transitorio, rectius du- rante le due fasi del regime transitorio risalendo l’in- dizione ed il bando nel novembre del 1996 (in vigen- za quindi dell’ultimo inciso comma 1 bis, art. 21 l. n. 109 come modificata ed integrata) e l’espletamento della licitazione nel febbraio 1997 (in vigenza del d.l. 31 dicembre 1996). La mancata conversione del cita- to D.L. porta la ricorrente a parlare di vacatio legis e quindi di impossibilità di provvedere ad esclusione automatica per carenza di parametri e quindi ancora di necessità di applicazione del principio della verifi- ca in contraddittorio della offerta sospettava di ano- malia.
Premette il Collegio che per gli appalti interni vi- ge, invece, ed a regime il principio dell’automatismo della esclusione, introdotto dal terzultimo inciso comma 1 bis, art. 21 l. n. 109: «Relativamente agli appalti pubblici di importo inferiore alla soglia co- munitaria, l’amministrazione interessata procede al- la esclusione automatica delle offerte che presentino una percentuale di ribasso superiore alla percentuale fissata ai sensi del primo periodo del presente com- ma». Il regime transitorio è infatti dettato nell’ultimo inciso del citato comma («Fino al 1° gennaio 1997 sono escluse ...omissis...») che ha solo il significato di ovviare alla impossibilità di determinare la soglia di anomalia da parte del Ministero dei lavori pubblici per mancanza di dati dell’Osservatorio, sicché la de- roga transitoria riguarda tale ultimo profilo (modali- tà di determinazione della soglia) e non già il princi- pio della esclusione automatica.
Comunque il problema della vacatio legis conse- guente alla mancata conversione in legge del d.l. 31 dicembre 1996 trova soluzione con riferimento al principio che le norme di gara costituiscono lex spe- cialis. Quando l’amministrazione e nel bando e nella lettera di invito (con riferimento alla legislazione vi- gente) ha espresso la volontà di procedere alla esclu- sione automatica della offerta individuata anomala in base ad un parametro indicato (percentuale di ribasso superiore alla media delle percentuali di ribasso au- mentata di un quinto) tali determinazioni sono diven- tate criterio di gara e quindi vanno rispettate da essa stessa amminitrsazione, come nella specie avvenuto. Diversamente opinando vi sarebbe quanto meno vio- lazione della par condicio dei concorrenti che su quei criteri di gara hanno fatto affidamento.
Infine quanto alla sollevata (3° motivo) questione di illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1bis–ult. cpv, l. n. 109/1994 perché secondo la ricor- rente la esclusione automatica si porrebbe in striden- te contrasto col principio del buon andamento della P.A., la stessa non pare al Collegio – in riferimento al ricorso in esame – manifestamente fondata. Va qui infatti ribadito che l’appalto di cui si è discusso è ap- palto interno, che le norme di gara volute dalla ammi-
nistrazione si esprimevano per detto automatismo, che comunque l’istituto della esclusione automatica della offerta anormalmente bassa (non nuovo nel no- stro ordinamento) rispetta fini acceleratori dell’azio- ne amministrativa che risulta invece obiettivamente
«appesantita» dalla procedura di verifica in contrad- dittorio e possibili conseguenti contenziosi sul risul- tato della stessa, a detrimento il tutto di un appronta- mento subitaneo dei lavori dell’opera pubblica con rischi di lievitazione di xxxxxx.
Il ricorso va quindi respinto.
Le spese di giudizio ivi comprese quelle della fase cautelare seguono la soccombenza liquidandosi co- me da dispositivo.
... Omissis ...
Nota
Continua la serie dei dicta giurisprudenziali volti a chiarire le conseguenze rivenienti, in tema di offerte anomale negli appalti interni, dalla caducazione del
d.l. n. 670/1996, il quale aveva prorogato, in attesa dell’intervento dei provvedimenti ministeriali neces- sari per l’avvento della disciplina a regime, la norma- tiva transitoria, ribadendo il principio dell’esclusione automatica delle offerte anomale negli appalti sotto- soglia.
Con la pronuncia riportata della IV sezione del Consiglio di Stato (relativa a fattispecie in cui il bando di gara era stato pubblicato il 3 gennaio 1997 preve- dendo, al pari della successiva lettera di invito, l’esclusione automatica) appare ormai chiara la pro- pensione dei Magistrati di Palazzo Spada in favore dell’operatività e della legittimità del regime di esclu- sione automatica delle offerte anomale nel periodo connotato dalla ricordata vacatio legis, anteriormente all’avvento della disciplina a regime. La decisione del Consiglio si pone infatti sulla stessa lunghezza d’onda delle ordinanze della sezione V, 3 giugno 1997, n. 1097; 1° luglio 1997, n. 1318; 1° luglio 1997, 1320 (l’ultima delle tre ordinanze è pubblicata in questa Ri- vista, 904).
In dette occasioni la V sezione, in sede di riforma (al pari della pronuncia della IV che si riporta) di de- cisioni cautelari di segno contrario della sezione III del Tar Lombardia, aveva tratto linfa dalla considera- zione che per le procedure sottosoglia, stante l’assen- za di un vincolo comunitario ostativo all’esclusione automatica e nell’attesa del varo del decreto (poi in- tervenuto il 28 aprile 1997, in questa Rivista, 617, con nota di S. Vasta, Le offerte anomale, tra regime ordinario e disciplina transitoria) per l’avvento del- la disciplina a regime dell’art. 21, comma 1 bis, non è preclusa l’attuazione di previsioni di bando sta- tuenti l’esclusione automatica sulla base del decreto legge pur decaduto anteriormente all’esclusione ed alla successiva aggiudicazione. Nella specie la posi- zione era stata rafforzata, in chiave cautelare, dalla valutazione comparativa degli interessi in ballo, con- cretantesi nella considerazione che «appare preva- lente l’interesse pubblico dell’amministrazione alla sollecita realizzazione dei lavori».
Di qui la riforma, come nel caso che ci occupa, delle decisioni del Tribunale meneghino, il quale aveva ritenuto che, cancellata retroattivamente la
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proroga del regime transitorio in tema di esclusione automatica delle offerte anomale e mancando, prima dell’intervento delle determinazioni del Ministero dei lavori pubblici intese all’individuazione della so- glia di anomalia (poi intervenute con d.m. 28 aprile 1997), i presupposti per l’operatività del regime ordi- nario in punto di esclusione delle offerte anomale, non resta che applicare l’art. 5 della l. n. 14/1973, che prevede la verifica delle offerte reputate anomale al fine di vagliarne la serietà e l’affidabilità (in confor- mità Tar Lazio, sez. II, ordinanza 19 aprile 0000, x. 000, xx xxxxxx Xxxxxxx, 000; Tar Trento, 26 maggio
1997, n. 122).
L’orientamento del Consiglio di Stato è condiviso dal Tar Puglia, sez. II, 27 settembre 1997, n. 705 (sub II), il quale pone l’accento sul rilievo che le norme di gara costituiscono lex specialis della procedura con- corsuale. Ne deriva che ove sia il bando di gara (pub- blicato nel novembre del 1996, in vigenza dell’origi- nario regime transitorio di cui all’art. 21, comma 1 bis della l. n. 109/1994 e succ. mod.) che la lettera di invi- to (inviata nel febbraio 1997, nella vigenza del d.l. n. 670/1997 poi non convertito) abbiano espresso l’in- tendimento dell’amministrazione di escludere auto- maticamente le offerte ritenute anomale in base al pa- rametro indicato (percentuale di ribasso della media superiore alla media delle percentuali di ribasso au- mentata di un quinto) tali determinazioni sono diven- tate criterio di gara e quindi vanno rispettate dall’Am- ministrazione. «Diversamente opinando, vi sarebbe quanto meno violazione della par condicio dei con- correnti che su quei criteri hanno fatto affidamento». In senso contrario ha concluso il Tar Puglia, sez. II, 10 luglio 1997, n. 522, in questa Rivista, 1016, con ri- ferimento all’ipotesi di gara bandita dopo la caduca- zione del d.l. n. 670/1996 ma prima del d.m. 28 aprile 1997: «negli appalti sottosoglia non è applicabile il metodo dell’esclusione automatica delle offerte ano- male ove il bando di gara sia posteriore alla caduca- zione del d.l. n. 670/1996 ed anteriore all’emanazione del d.m. 28 aprile 1997. Trova infatti applicazione il criterio previsto dalla legge vigente all’epoca del ban- do, ossia quello del procedimento di verifica in con- traddittorio delle offerte reputate anormalmente bas- se». Conf. Tar Calabria, Catanzaro, 20 giugno 0000,
x. 000, xx xxxxxx Xxxxxxx, 0000.
Fin qui gli orientamenti, non sempre omogenei, che vanno prendendo corpo in sede pretoria circa il regime transitorio nelle offerte anomale per gli appalti sottoso- glia. Al di là delle sottili disquisizioni in merito al pote- re delle Amministrazioni appaltanti di supplire nel pe- riodo transitorio alla mancata adozione del decreto ministeriale di individuazione della soglia di anomalia e di procedere quindi all’applicazione del criterio auto- matico di esclusione, resta forte e, per così dire, assor- bente il sospetto di incostituzionalità in merito ad un congegno normativo che, nella fase transitoria come in quella a regime, sulla scorta di un dato meramente quantitativo, sottopone a sorti antitetiche la verifica delle offerte anomale negli appalti soprasoglia (verifica in contraddittorio) ed in quelle sottosoglia (esclusione automatica). Il sospetto ha, come noto, nonostante la contraria opinione di Tar Puglia, Bari, sez. II, 3 settem- bre 1997, n. 619, in questa Rivista, 1136, ha già trovato sponda in giurisprudenza con il Tar Lombardia, sez. III,
ordinanza 21 maggio 1997, n. 33, in questa Rivista, 763 e 995, con nota di X. Xxxxxxx, La normativa sull’esclu- sione delle offerte anomale finisce alla Corte costitu- zionale, la quale ha rimesso alla Consulta la verifica della legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1 bis , della l. n. 109/1994, e succ. mod., in relazione al meccanismo di esclusione automatica. In particolare, la normativa transitoria, nel contemplare l’esclusione au- tomatica delle offerte che presentino una percentuale di ribasso che superi di oltre un quinto la media aritmetica dei ribassi ammessi, prevederebbe un’area di anomalia troppo ampia, in contrasto con il principio di buon an- damento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.
Quanto agli appalti sottosoglia, la norma è anche in sospetto contrasto, secondo i giudici lombardi, con l’art. 3 Cost. nella parte in cui «si traduce nell’ appli- cazione, per gli appalti sottosoglia, dell’esclusione automatica, piuttosto che dell’obbligo, imposto dalla normativa comunitaria per gli appalti soprasoglia, della verifica in contraddittorio».
Non si possono inoltre non condividere le autorevoli osservazioni di quanti in dottrina (R. De Nictolis, La di- sciplina transitoria delle offerte anomale al vaglio del- la giurisprudenza, in questa Rivista, 324) dubitano del- la conformità a Costituzione della disciplina, sia transitoria che a regime, «in relazione all’art. 97 Cost., sotto il profilo che impedire all’Amministrazione di ve- rificare le offerte in contraddittorio e di giovarsi di of- ferte apparentemente anomale ma in concreto effettiva- mente vantaggiose, finisce con il contrastare con il principio di buon andamento dell’Amministrazione medesima; in relazione all’art. 41 Cost., per la lesione della libera concorrenza che si produce, impedendo l’accesso agli appalti pubblici ad imprenditori realmen- te competitivi; in relazione all’art. 3 Cost. sotto un du- plice profilo: da un lato, per la disparità di trattamento degli operatori economici negli appalti di importo infe- riore alla soglia comunitaria rispetto agli appalti di im- porto pari o superiore, nei quali vi è una verifica in con- traddittorio; dall’altro lato, per l’irragionevolezza dell’esclusione automatica in luogo di quella previo contraddittorio, irragionevolezza che denota il vizio di eccesso di potere legislativo».
Il toro non viene preso per le corna neanche dal pro- getto della legge «Merloni ter», disegno n. 2288 allo studio in Senato, il quale, all’art. 6, in sede di riscrittura dell’art. 21, comma 1 bis, prevede che «relativamente agli appalti di lavori pubblici di importo inferiore alle soglie comunitarie, l’Amministrazione interessata pro- cede all’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentino una percentuale di ribasso superiore a quanto stabilito ai sensi del primo periodo del presente comma», ossia un «ribasso superiore alla media arit- metica del 50 per cento delle offerte di ribasso incre- mentata di una percentuale della media stessa ricom- presa tra il 20 ed il 50 per cento secondo quanto stabilito nel bando di gara. La media va calcolata con l’esclusione del 25 per cento delle offerte di minor ri- basso e del 25 per cento delle offerte di maggior ribas- so, arrotondati all’unità superiore se il numero com- plessivo delle offerte è dispari». La procedura di esclusione automatica non è peraltro esercitabile ove il numero delle offerte valide sia inferiore a otto.
F.C.
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Appalti e lavori pubblici
I NUOVI TERMINI PROCESSUALI ABBREVIATI: NOTIFICA DEL RICORSO E REGIME TRANSITORIO
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Amministrativa
Tar Calabria, sede di Catanzaro, 17 luglio 1997, n. 491 – Pres. Xxxxx – Est. De Xxxxxxxxx – Xxxxxx e Pellegrino c. Comune di Martirano
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La riduzione dei termini processuali alla metà, previ- sta dall’art. 19, comma 3, del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella leg- ge 23 maggio 1997, n. 135, ha portata generale, comprendendo anche i termini per la notifica e il de- posito del ricorso.
La nuova disciplina processuale ha immediata ap- plicazione anche nei giudizi in corso e nei rapporti sostanziali in atto. Pertanto, il termine ridotto a tren- ta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizio- nale, operante anche nell’ipotesi in cui il termine originario di sessanta giorni sia ancora pendente, decorre: 1) dalla piena conoscenza del provvedi- mento impugnato se questa è intervenuta dopo l’en- trata in vigore del d.l. n. 67/1997; 2) dall’entrata in vigore del d.l. n. 67/1997 (27 marzo 1997), se la co- noscenza si è verificata prima di tale data.
Nelle materie indicate dall’art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, nella legge 23 maggio 1997, n. 135, è irricevibile il ricorso depositato dopo oltre quindici giorni dalla sua notificazione, nonché dopo oltre quindici giorni dal 25 maggio 1997 (data di entrata in vigore della legge di conversione).
L’errata interpretazione dell’art. 19 del d.l. n. 67/1997 non costituisce idoneo presupposto per la concessione del beneficio dell’errore scusabile, non potendosi ritenere normativamente inevitabile l’eventuale ignoranza, in punto di fatto, di una nor- ma di legge processuale immediatamente efficace, trattandosi di disposizione di contenuto assoluta- mente chiaro.
... Omissis ...
Diritto
Il ricorso in esame risulta notificato all’Ammini- strazione resistente di cui in epigrafe in data 13 mag- gio 1997 e, quindi, depositato in data 12 giugno 1997.
Il ricorso è pertanto irricevibile a causa della tardi- vità della sua notificazione rispetto al termine abbre- viato di giorni trenta decorrente dalla data della piena conosenza del provvedimento impugnato ovvero, se successiva, dalla data di entrata in vigore del d.l. 25
marzo 1997, n. 67, nel testo risultante per effetto del- le modifiche apportate a seguito dell’entrata in vigo- re della citata legge di conversione, avvenuta il gior- no successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 24 maggio 1997, e dunque con effetto dal 25 maggio 1997.
Nel caso in esame, la tardività della notificazione del ricorso si ravvisa rispetto alla data di entrata in vi- gore del citato decreto legge, essendo il ricorso stato notificato oltre trenta giorni dopo il 27 marzo 1997, alla stregua della previsione dell’art. 19, comma 3, del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. in legge 23 mag-
gio 1997, n. 135.
Invero, ai sensi di tale previsione normativa, in te- ma di giudizi aventi ad oggetto – come nel caso di spe- cie – provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi comprese le procedure di occupazione ed espro- priazione delle aree ad esse destinate, nonché (con ef- fetto dal 25 maggio 1997) anche provvedimenti relati- vi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico amministrative ad esse connesse, i termini processuali sono ridotti della metà. Pertanto, sia il termine processuale per la notifica del ricorso introduttivo, sia quello concernente il
«deposito» del gravame notificato, devono intender- si pari, rispettivamente, a trenta ed a quindici giorni. Termini che, appunto, decorrono dalla data della piena conoscenza dell’atto impugnato o da quella dell’ultima notifica, se si tratta di eventi successivi al 27 marzo 1997 (o al 25 maggio 1997 per quanto attie- ne alle integrazioni apportate dalla citata legge di conversione); ovvero, in caso contrario, da tali ulti-
me date.
Inoltre, il ricorso è altresì ed autonomamente irri- cevibile perché depositato dopo oltre quindici giorni dalla sua notificazione, nonché dopo oltre quindici giorni dal 25 maggio 1997, data di entrata in vigore delle modifiche ad esso apportate dalla citata legge di conversione n. 135/1997.
Sebbene la conoscenza degli atti impugnati o la notificazione del ricorso siano avvenute precedente- mente alla entrata in vigore del citato d.l. n. 67/1997, tuttavia – in omaggio al principio tempus regit actum proprio della materia processuale – l’abbreviazione di cui trattasi opera egualmente sui termini non anco- ra spirati per le notifiche o per il deposito dell’atto in- troduttivo, anche se ovviamente solo a decorrere dal- la data in cui il citato decreto legge è entrato in vigore.
I residui termini di notifica e di deposito dunque, con effetto dal 27 marzo 1997, si sono ridotti rispetti- vamente a trenta ed a quindici giorni.
La tardività di dette attività processuali rispetto ai
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termini di cui si è detto – sulla cui perentorietà non vi sono dubbi, così come per tutti i termini processua- li assegnati alle parti per il compimento di un dato at- to o di una data attività – determina l’irricevibilità del ricorso.
Non potendosi ritenere normativamente inevita- bile l’eventuale misconoscenza, in punto di fatto, di una norma di legge processuale immediatamente ef- ficace, e trattandosi di disposizione di contenuto as-
IL COMMENTO
di Xxxxx Xxxxxx
Il caso concreto
La sentenza in esame, pronunciata nella forma ab- breviata, all’esito dello speciale giudizio immediato, introdotto dall’art. 19 del d.l. n. 67/1997, affronta al- cuni delicati problemi concernenti l’ambito applica- tivo della nuova disciplina del processo in materia di opere pubbliche, nella parte in cui si prevede, al com- ma 3, che tutti i termini processuali sono ridotti alla metà (1).
I punti essenziali affrontati dal tribunale sono due.
1) L’abbreviazione dei termini concerne anche il termine per la notificazione del ricorso introduttivo del giudizio?
2) La nuova normativa incide anche sui termini in corso, determinandone l’immediata riduzione?
Le questioni giuridiche sono ben delineate dai giudici calabresi che, nel pieno rispetto del canone di sinteticità imposto dalla motivazione abbreviata, sviluppano in modo chiaro e con il giusto approfon- dimento critico tutti gli argomenti posti a sostegno delle soluzioni ermeneutiche prescelte.
È comunque utile chiarire i termini sostanziali della vicenda, che appare emblematica di una situazione transitoria comune a un numero rilevante di processi amministrativi, salve alcune varianti correlate al di- verso intrecciarsi e sovrapporsi delle date di notifica e di deposito del ricorso con i momenti di entrata in vi- gore del decreto legge e della legge di conversione.
L’interessato ha impugnato il provvedimento rite- nuto lesivo il 13 maggio 1997, ossia dopo la data di entrata in vigore del decreto legge n. 67/1997 (27 marzo 1997). Quindi, ha eseguito il deposito del ri- corso in data 12 giugno 1997, vale a dire il trentesimo giorno dopo la notificazione, in epoca successiva all’entrata in vigore della legge di conversione (25 maggio 1997).
Da qui nasce la questione concernente la tempesti- vità dei due adempimenti processuali, effettuati sì nel rispetto dei termini ordinari previsti dall’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (sessanta giorni per la notifica del ricorso e trenta giorni per il deposito del ricorso stesso, decorrenti dall’ultima notifica), ma ben oltre i termini dimezzati di trenta e di quindici giorni, calcolati in applicazione dell’art. 19, comma 3 del d.l. n. 67/1997.
Va rimarcato, in punto di fatto, che la sentenza non chiarisce, esplicitamente, in quale momento l’inte- ressato abbia avuto conoscenza legale od effettiva del provvedimento impugnato. Peraltro, la motiva-
solutamente chiaro, neppure ricorrono gli estremi per la concessione – anche d’ufficio, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale – dell’errore scusabile e della conseguente remissione in termini della parte.
La cennata circostanza integra tuttavia giusto mo- tivo per disporre la compensazione integrale, fra le parti, delle spese del presente giudizio.
... Omissis ...
zione del tribunale fa ritenere che, in mancanza di prova contraria, tale evento si sia verificato in un’epoca certamente anteriore al 25 marzo 1997 (da- ta di entrata in vigore del decreto legge), poiché, altri- menti, nella prospettiva seguita dai giudici, non sa- rebbe sorto alcun dubbio in ordine all’applicabilità del nuovo termine ridotto. Assai probabilmente, poi, la conoscenza del provvedimento è intervenuta non più di trenta giorni prima del 25 marzo 1997, perché, in caso contrario, il ricorso sarebbe risultato irricevi- bile, anche in base alla disciplina precedente le inno- vazioni introdotte dal d.l. n. 67/1997, senza necessità di applicare le regole dell’art. 19.
La vicenda in esame, dunque, propone due distinti problemi:
A) il primo, di diritto transitorio, concerne l’ambi- to temporale di applicazione della nuova disciplina;
B) il secondo, riguardante l’ordinamento proces- suale stabilmente modificato dall’art. 19, concerne la inclusione della notifica del ricorso tra gli atti proces- suali assoggettati alla riduzione dei termini.
Gli argomenti del tribunale
Questi sono, in sintesi, i passaggi essenziali della motivazione espressa dalla pronuncia in commento.
1) La nuova disciplina di abbreviazione dei termi- ni si applica, indistintamente, a tutti i termini proces- suali, compreso quello per la proposizione del ricor- so giurisdizionale.
2) La norma, avendo carattere processuale, si ap- plica immediatamente, anche ai giudizi in corso e ai rapporti sostanziali già sorti, al momento della sua entrata in vigore.
3) La modifica introdotta dalla legge di conversio- ne (sostituzione della locuzione «i termini proces- suali» con l’espressione «tutti i termini processuali»)
Nota:
(1) Per un commento generale alla disciplina introdotta dall’art. 19 sia consentito rinviare a Lipari, La mini–riforma del processo amministrativo nella legge n. 135/1997, in questa Rivista, 740 e ss.; id., Il giudizio immediato in materia di opere pubbliche: prime decisioni dei Tar e del Consiglio di Stato, in questa Rivista, 895. Per un interessante com- mento al decreto legge, prima della conversione, si veda Pagano, Disposizioni antidisoccupazione e processo am- ministrativo, in questa Rivista, 493.
Lo specifico problema della disciplina dei termini è diffusa- mente affrontato da De Xxx, I termini processuali del nuovo rito, in questa Rivista, 833.
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ha una portata solo chiarificatrice dell’originario te- sto normativo, inidonea ad alterare in modo signifi- cativo l’originario valore precettivo della disposizio- ne, con la conseguenza che l’abbreviazione del termine per la notifica del ricorso opera a partire dall’entrata in vigore del decreto legge.
4) La decorrenza del nuovo termine dimezzato per la notifica del ricorso va determinata distinguendo due ipotesi. Se la conoscenza del provvedimento è intervenuta dopo l’entrata in vigore del decreto legge (27 marzo 1997), tale momento coincide con il dies a quo da cui calcolare il termine di trenta giorni. Se, invece, l’interessato ha acquisito cognizione legale del provvedimento dopo il 27 marzo 1997, il termine di trenta giorni inizia a decorrere da tale data.
5) L’inequivocità della nuova disciplina proces- suale impedisce, in radice, la rimessione in termini della parte ricorrente, non essendo ipotizzabile alcun errore scusabile.
Riduzione del termine per proporre ricorso e nozione di termine processuale
I passaggi di questo articolato iter argomentativo inducono ad alcune riflessioni.
In primo luogo, occorre verificare se l’abbrevia- zione dei termini concerne anche la notificazione del ricorso.
La conclusione affermativa del tribunale appare in linea di massima corretta e, comunque, coerente con un orientamento interpretativo volto, senza apprez- zabili esitazioni, a considerare processuale anche il termine previsto per la notificazione del ricorso al giudice amministrativo.
Tuttavia, un’attenta valutazione della formula let- terale della norma, e, in particolare, l’analisi dei due aggettivi «tutti» e «processuali» che qualificano il sostantivo «termini», potrebbe condurre a diversi ri- sultati. In questa prospettiva esegetica, l’esito inter- pretativo del Tar, pur condivisibile nel suo nucleo es- senziale, appare tutt’altro che scontato.
L’espressione «processuali», già contenuta nella versione originaria del decreto legge, e non modifi- cata dalla legge di conversione, potrebbe dar luogo a serie difficoltà interpretative. In effetti, non sembra dubitabile che essa sia idonea a comprendere ogni termine «endoprocessuale», riferito cioè alla fase conseguente alla introduzione della lite. È invece as- sai meno certo che essa comprenda anche i termini per la proposizione della domanda giudiziale.
A stretto rigore, il processo inizia non prima della notificazione del ricorso: pertanto, tale fase tempora- le si pone al di fuori della sequenza degli atti proces- suali in senso proprio (2).
E proprio la locuzione generale utilizzata dall’art. 152 del codice di procedura civile per definire il con- cetto di termine processuale («termini per il compi- mento degli atti del processo») sembra condurre alla soluzione più restrittiva.
In concreto, la questione relativa alla individua- zione esatta del concetto di «termini processuali» è stata affrontata dagli interpreti con specifico riferi- mento all’applicazione della normativa concernente la sospensione feriale, con risultati applicativi tutt’altro che uniformi.
Basta osservare, al proposito, che la Cassazione, do- po aver escluso, in linea generale, la natura processuale dei termini stabiliti a pena di decadenza per l’esercizio di un’azione giudiziaria (3), ha invece affermato la na- tura processuale del termine quando l’azione giudizia- ria costituisce l’unico rimedio a disposizione dell’inte- ressato per non perdere il suo diritto (4).
La giurisprudenza amministrativa è peraltro asso- lutamente pacifica nel senso che la sospensione dei termini processuali concerne anche il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale (5), anche
Note:
(2) Si vedano sulla questione Xxxxxxx e Xxxxxxx, Xxxxxxx (Di- ritto processuale civile), in Enc. giur. Treccani, 6 e 12 ss.
(3) La sospensione dei termini durante il periodo feriale, pre- vista dall’art. 1, legge 7 ottobre 1969, n. 742, riguarda sol- tanto i termini processuali, e, pertanto, non è applicabile con riferimento ai termini previsti, a pena di decadenza, per la proposizione di un’azione giudiziaria (nella specie: impu- gnazione della deliberazione assembleare di una società), che hanno natura sostanziale (Cass., 23 agosto 1985, n. 4494).
In senso analogo, si è affermato che poiché il diritto di riscat- to di cui all’art. 39, l. n. 392/1978 può essere esercitato non soltanto con la proposizione di un’azione giudiziaria, ma an- che al di fuori del processo, con una dichiarazione unilatera- le di carattere negoziale, è manifestamente infondata l’ec- cezione di legittimità costituzionale dell’art. 1, legge 7 otto- bre 1969, n. 742, nella parte in cui non contempla fra i termi- ni soggetti a sospensione nel periodo feriale quello – co- munque di natura sostanziale – di sei mesi previsto per l’esercizio del diritto di riscatto di cui innanzi, in riferimento all’art. 24 cost. (Cass., 17 novembre 1988, n. 6222, in Foro
it., 1990, I, 101).
(4) La sospensione nel periodo feriale, di cui all’art. 1, l. n. 742/1969, si applica anche al termine, previsto a pena di de- cadenza e senza rimedio alternativo, per l’impugnazione giudiziale della delibera di esclusione di socio di cooperativa (nella specie, adottata dal consiglio di amministrazione) (Cass., 28 maggio 1991 n. 6041, in Foro it., 1991, I, 2368; in Corr. giur., 1991, 1235, con nota di Xxxxxxx, Opposizione all’esclusione del socio: termine processuale o sostanzia- le?, in Società, 1991, 1359, con nota di Xxxxxxx, Opposizione all’esclusione del socio dalla cooperativa).
(5) Fra le tante decisioni, si vedano Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1977, n. 177, in Cons. Stato, 1977, I, 310; Id., sez. IV, 13 maggio 1980, n. 535, in Foro amm., 1980, I, 166. Secondo il Consiglio di Stato, l’istituto della sospensione dei termini processuali per il periodo feriale, previsto dalla legge 7 ottobre 1969 n. 742, ha carattere generale e si applica, quindi, anche al giudizio amministrativo, con l’unica deroga relativa al procedimento per la sospensione dell’esecuzio- ne del provvedimento impugnato (Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1993, n. 485, in Foro amm., 1993, 706; in Cons. Stato, 1993, I, 525).
La sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, disciplinata con legge 14 luglio 1965, n. 818 e 7 ottobe 1969,
n. 742 con riguardo alle giurisdizioni ordinarie ed ammini- strative, ha applicazione oggettiva indipendentemente dall’interesse della difesa (Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 1993, n. 240, in Foro amm., 1993, 490; in Cons. Stato, 1993, I, 392).
L’estensione della sospensione al termine per proporre il ri- corso è enunciata chiaramente da alcune pronunce dei Tar: la disciplina della sospensione dei termini processuali nel pe- riodo feriale è applicabile non solo ai casi di compimento di atti di rilievo processuale in rapporti giudiziali già costituiti, ma anche agli atti introduttivi del giudizio (Tar Marche 16 febbraio 1984, n. 60, in Foro amm., 1984, 1257; Tar Puglia 9 maggio
1981, n. 101, in Rass. giur. Enel, 1982, 667; Tar Piemonte 17
marzo 1981, n. 206, in Foro amm., 1981, I, 1733).
(segue)
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se non risulta che la questione sia stata approfondita in tutti i suoi vari risvolti (6).
A ben vedere, la tesi ampliatrice, al di là della sua opinabile base concettuale, sembra largamente ispi- rata dalla giusta preoccupazione di interpretare la di- sciplina in materia di sospensione dei termini proces- suali nel senso concretamente più favorevole alla parte ricorrente. In questa prospettiva, correttamente legata al metodo teleologico nella ricostruzione del significato della norma, non può trascurarsi che pro- prio in riferimento all’atto introduttivo del giudizio amministrativo emerge quell’esigenza essenziale di assicurare al soggetto leso dal provvedimento tutto il tempo necessario per apprestare adeguatamente le proprie difese, fruendo anche del periodo feriale.
Ciò chiarito, si deve rilevare che la stessa interpre- tazione lata dell’art. 19, nell’ampliare il concetto di atto processuale determina, in pratica, un risultato del tutto opposto a quello di garantire alla parte la più ampia possibilità di difesa.
La dubbia ragionevolezza della riduzione del termine per proporre il ricorso
Dunque, la formale coerenza del sistema, caratte- rizzato da un unico concetto di «atto processuale», si risolve in una contraddizione sostanziale, perché una linea interpretativa originata dall’esigenza di assicu- rare effettività al diritto di accesso alla giustizia, si ri- solve, in questo caso, nella obiettiva limitazione delle facoltà di difesa del soggetto leso da un provvedimen- to amministrativo.
Si prospetta allora un serio dubbio sulla ragione- volezza dell’innovazione legislativa, certamente ap- prezzabile nella parte in cui riduce i termini endopro- cessuali, ma meno giustificabile nella scelta di abbreviare il già esiguo termine decadenziale per la proposizione del ricorso.
Si potrebbe obiettare che l’abbreviazione, operan- do indistintamente per tutte le fasi del processo, col- pisce equamente il ricorrente e le parti resistenti. An- zi, in alcuni casi, la riduzione dei tempi processuali può, in concreto, sbilanciare il processo a tutto van- taggio della parte attrice. In questo senso, giova ri- cordare, che il ricorrente, nell’eventualità (non im- probabile) in cui depositi immediatamente il ricorso appena notificato, insieme all’istanza di sospensiva, potrebbe ottenere (con esito favorevole) la definizio- ne immediata del merito della controversia nella pri- ma camera di consiglio utile dopo la scadenza del ter- mine di cinque giorni dopo la notificazione. Nel caso limite (a parte la possibilità di ulteriore abbreviazio- ne del termine), la sentenza di accoglimento del ri- corso, pronunciata in forma abbreviata, potrebbe es- sere pubblicata subito dopo la scadenza del quinto giorno successivo alla notifica del ricorso. E queste considerazioni inducono a prospettare qualche fon- dato dubbio sulla congruità delle nuove cadenze pro- cessuali, segnalando l’opportunità di affidare al giu- dice, nell’esercizio dei suoi poteri di direzione del giudizio, il compito di ripristinare l’effettivo con- traddittorio tra le parti, mediante il differimento della trattazione del merito del ricorso, consentendo alle parti intimate di perfezionare le proprie difese.
Ma, pur tenendo conto di queste obiezioni, sembra
evidente che l’abbreviazione dei termini determina conseguenze sfavorevoli (e senza rimedi correttivi) essenzialmente sul soggetto che si afferma leso dal provvedimento amministrativo, costretto, in appena trenta giorni, ad apprestare la difesa tecnica (con tutte le ulteriori difficoltà derivanti dall’anacronistica im- posizione della procura speciale alle liti) e a curare la notifica del ricorso all’autorità emanante e ad almeno uno dei controinteressati.
Va aggiunto che il legislatore, quando, anche in tempi recenti, ha assunto la determinazione di ridurre a trenta giorni il termine per la proposizione del ri- corso, ha dettato disposizioni esplicite e chiare (si pensi alla disciplina del ricorso in materia di diniego di accesso o contro i provvedimenti concernenti gli stranieri extracomunitari).
Da qui potrebbe nascere il dubbio che la norma ab- bia un raggio di azione ampio e generalizzato, ma non comprendente il ricorso introduttivo del giudizio.
Tuttavia, né la relazione governativa di accompa- gnamento del decreto legge, né i lavori parlamentari in sede di conversione, assai veloci e, salvo alcuni ap- porti di un certo livello, piuttosto superficiali (e co- munque bruscamente stroncati dal voto di fiducia vo- luto dal Governo) offrono elementi chiarificatori decisivi in merito all’effettiva intenzione del legisla- tore.
Va sottolineato, peraltro, che una proposta emen- dativa diretta a conservare l’ordinario termine di ses-
Note:
(segue nota 5)
Altre pronunce del Consiglio di Stato hanno precisato l’estensione oggettiva della disciplina sulla sospensione, ri- tenuta applicabile:
— ai ricorsi in materia di accesso ai documenti: il ricorso giu- risdizionale per la tutela del diritto di accesso alla documen- tazione amministrativa, nelle ipotesi previste dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 art. 25, deve essere depositato nel ter- mine di trenta giorni decorrente dall’ultima notificazione, in applicazione, nella materia in oggetto, del termine previsto dalla l. Tar, art. 21. Il ricorso predetto, pertanto, non può es- sere posto in decisione prima del decorso di trenta giorni dall’ultima notifica, con esclusione del periodo, ove inciden- te sul decorso del termine anzidetto, della sospensione fe- riale delle attività processuali (Cons. Stato, sez. VI, 10 feb- braio 1996, n. 184, in Foro amm., 1996, 596; in Cons. Stato,
1996, I, 269);
— ai ricorsi elettorali: la legge 7 ottobre 1969, n. 742, sulla sospensione feriale dei termini processuali, è applicabile in tutti i processi amministrativi, ivi comprese le controversie che richiedono pronta decisione quali quelle elettorali, sen- za che venga in rilievo la natura della materia controversa, con eccezione per la questione della sospensione dell’atto impugnato (Cons. giust. amm. Sicilia 17 dicembre 1986, n. 261, in Cons. Stato, 1986, I, 1971);
— ai ricorsi in materia di pubblico impiego: Cons. Stato, sez. VI, 14 giugno 1996, n. 829.
(6) Va peraltro segnalata una non recente decisione del Consiglio di Stato, secondo la quale, la legge 7 ottobre 1969
n. 742, in connessione con la finalità di esonerare, nel corso del periodo feriale estivo, avvocati e procuratori dagli oneri delle attività giudiziali non assolutamente urgenti, disciplina i soli termini di natura processuale, dai quali esulano, in quanto logicamente antecedenti al possibile instaurarsi di un qualsiasi processo, eppertanto a questo estranei, quelli relativi alla maturazione della legale conoscenza di un prov- vedimento amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 9 maggio 1978 n. 403, in Riv. amm., R.I., 1978, 639).
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santa giorni per la proposizione del ricorso (ferma re- stando l’abbreviazione di tutti gli altri termini) non ha trovato accoglimento. Ciò potrebbe indurre a rite- nere che il Parlamento abbia implicitamente optato per la soluzione più lata circa l’ambito applicativo della disposizione.
Anche accogliendo questa interpretazione, tutta- via, vanno rimarcate alcune incongruenze della scel- ta legislativa.
A) C’è da chiedersi se, nella prospettiva di una ge- neralizzata accelerazione del rito in materia di opere pubbliche, la riduzione del termine a soli trenta giorni sia davvero ragionevole, considerando la complessità delle questioni solitamente prospettate in questo tipo di controversie e l’incidenza evidente sugli interessi sostanziali delle parti, tutelati costituzionalmente (di- ritto di proprietà, libertà d’impresa, tutela giurisdizio- nale dei diritti e degli interessi legittimi). A ben vede- re, l’esigenza di rilanciare i cantieri può sì giustificare una disciplina processuale derogatoria e differenziata, ma non pare consentire una limitazione così marcata dei diritti essenziali delle parti.
B) D’altro canto, occorre osservare che la riduzio- ne di trenta giorni del termine per proporre ricorso sembra idonea a determinare un vantaggio abbastan- za trascurabile alla sollecita definizione del proces- so, a fronte di un pregiudizio alqunato evidente alle ragioni della difesa.
C) E l’incongruenza della disciplina sembra ulte- riormente evidenziata dalla circostanza che l’abbrevia- zione dei termini, riferita solo al processo, non è esten- sibile ai ricorsi amministrativi ordinari e straordinari. In tal modo, la stessa esigenza di conseguire rapidamente l’inoppugnabilità dell’atto risulta concretamente vani- ficata e l’abbreviazione si risolve in una mera limitazio- ne delle prerogative di tutela giurisdizionale.
Le modifiche apportate dalla legge di conversione
Proseguendo l’analisi linguistica della formula normativa dell’art. 19, comma 3, occorre esaminare attentamente l’aggettivo «tutti», introdotto dalla leg- ge di conversione. L’esatta individuazione del signi- ficato del mutamento letterale apportato dal Parla- mento assume un ruolo di un certo rilievo per stabilire il regime transitorio in concreto applicabile. Va subito evidenziato che il vocabolo è stato intro- dotto dalla legge di conversione, allo scopo di chiari- re l’effettiva portata della nuova disciplina in materia
di termini processuali.
La preoccupazione del legislatore è stata quella di eliminare ogni possibile equivoco sull’ambito appli- cativo della disposizione. In effetti, la sua collocazio- ne all’interno dell’articolo poteva anche far pensare che l’abbreviazione dei termini fosse limitata alla so- la materia cautelare o al nuovo giudizio immediato con decisione in forma abbreviata.
Il tribunale non attribuisce particolare peso a que- sta modifica, lasciando intendere una sostanziale adesione alla tesi secondo cui la nuova dizione costi- tuirebbe solo una sorta di miglioramento tecnico del- la formula linguistica della disposizione, senza alcun effetto innovativo sul suo significato precettivo.
Questa tesi è anche attendibile, ma, come verrà
precisato in seguito, anche così circoscritta, la modi- fica assume un rilievo significativo ai fini della rile- vanza dell’errore scusabile: se lo stesso legislatore ordinario riconosce l’opportunità di apportare dei correttivi migliorativi al testo della disposizione, de- ve ammettersi che il testo originario era suscettibile di ingenerare equivoci di una certa consistenza.
Sembra comunque da condividere l’affermazione secondo cui la modifica apportata dalla legge di con- versione svolge una funzione esclusivamente chiari- ficatrice dell’intento normativo di abbreviare tutti i termini processuali, ancorché relativi a fasi diverse dall’incidente originato dalla domanda di sospensio- ne (7).
Lo scopo «acceleratorio» che caratterizza in modo evidente l’impianto complessivo dell’art. 19 sembra giustificare razionalmente il generalizzato dimezza- mento dei termini processuali, ancorché non riferiti espressamente alla fase cautelare.
D’altro canto, una diversa interpretazione in chia- ve limitatrice della portata della disposizione (nella sua versione originaria) avrebbe condotto anche a concrete difficoltà applicative, non essendo chiaro se l’abbreviazione dovesse riguardare solo la fase cau- telare, oppure anche il giudizio immediato.
E anche la lettura degli atti parlamentari evidenzia che il legislatore intendesse non già modificare il contenuto precettivo della disposizione, innovando la norma varata dal Governo, ma, piuttosto, perfezio- nare la formula tecnica dell’articolo, eliminando ogni possibile dubbio interpretativo.
Pertanto, appare corretta la soluzione prospettata dal tribunale, secondo cui la nuova disciplina dei ter- mini processuali opera sin dall’entrata in vigore del decreto legge.
L’abbreviazione e i termini in corso: la nuova disciplina
Fatti questi chiarimenti concernenti l’ambito og- gettivo di operatività dell’art. 19, occorre esaminare il punto concernente la sfera temporale di applicazio- ne della nuova normativa.
Le premesse sistematiche del ragionamento svolto dai giudici di Catanzaro sono estremamente convin- centi: in mancanza di apposita disciplina transitoria, le norme racchiuse nell’art. 19, compresa quella relativa alla riduzione dei termini, trovano applicazione im- mediata, nel senso che operano nei processi già inizia- ti e riguardano anche i rapporti sostanziali in atto.
Si tratta di una corretta specificazione del princi- pio generale xxxxxxxxx nella formula tempus regit ac- tum, che risulta derogato solo in base ad apposite re- gole di volta in volta adottate dal legislatore (8).
Peraltro, come avverte lo stesso tribunale, la piena operatività del principio può presentare concrete dif- ficoltà applicative. In particolare, si tratta di stabilire quali conseguenze si verificano se i «vecchi» termini
Note:
(7) Xx Xxx, op. cit., 833.
(8) Per una chiarissima impostazione del problema genera- le si veda Fazzalari, Efficacia della legge nel tempo, in Riv. trim. dir. proc., 1989, 893.
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sono già in corso quando sopravviene una nuova di- sciplina normativa che ne riduce la durata, senza nul- la specificare in ordine alla disciplina transitoria.
Non pare dubitabile, in primo luogo, che la nuova normativa è assolutamente inidonea a determinare l’immediata consumazione del termine ancora in corso al momento dell’entrata in vigore della disci- plina modificatrice. Si pensi all’ipotesi in cui dopo il trentunesimo giorno sopravvenga una norma che ri- duca il termine di decadenza per la proposizione del ricorso a soli trenta giorni: in tale ipotesi sembra age- vole concludere che in capo alla parte non si verifica alcun effetto preclusivo (9).
Si prospettano allora due diverse soluzioni alter- native.
A) La nuova disciplina non si applica ai termini in corso alla data di entrata in vigore della norma modi- ficatrice;
B) La nuova disciplina si applica anche ai termini in corso, ma con decorrenza dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni.
La seconda tesi, accolta dal Tar, ha il pregio di of- frire una soluzione che contempera in modo equili- brato l’esigenza di immediata applicazione della nuova disciplina con l’interesse alla tutela delle parti del processo, individuando, al tempo stesso, un crite- rio oggettivo certo per segnare il passaggio dal vec- chio al nuovo regime.
Va aggiunto che la tesi sostenuta dal tribunale sembra raccordarsi coerentemente con la regola con- tenuta nell’art. 252 delle disposizioni di attuazione del codice civile, in forza della quale, «quando per l’esercizio di un diritto ovvero per la prescrizione o per l’usucapione il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in cor- so, ma il nuovo termine decorre (...) dall’entrata in vigore del codice stesso».
Poiché l’applicazione della normativa transitoria non deve risolversi, in concreto, nella dilatazione de- gli originari termini, lo stesso articolo precisa che, in ogni caso, non si applica il nuovo termine, quando, in base alla precedente normativa, resti a decorrere un termine minore.
Secondo una certa linea interpretativa, la disposi- zione assume il valore di un «principio generale», su- scettibile di regolare (in assenza di norme speciali) il fenomeno della successione di leggi concernenti la durata di termini processuali e sostanziali.
In particolare, l’art. 252 è stato spesso richiamato dalla giurisprudenza contabile, al fine di stabilire il regime applicabile nel caso di successione di leggi concernenti la durata del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità degli amministratori e dei funzionari pubblici (10).
L’applicabilità della disciplina previgente ai termini in corso
Tuttavia, l’altra opinione, secondo cui continua, in ogni caso, ad operare la precedente e maggiore dura- ta del termine, appare più rispettosa delle esigenze di tutela della parte ricorrente, messa in condizione di promuovere il ricorso giurisdizionale nei tempi pre-
ventivati al momento della conoscenza del provvedi- mento lesivo.
Sotto il profilo concettuale, si può affermare che la generica regola tempus regit actum, applicata ai termi- ni in corso, presenta qualche margine di ambiguità. È anche possibile sostenere che il termine ancora pen- dente, quale realtà per definizione diacronica, soggia- ce ai mutamenti normativi intervenuti durante il suo svolgimento.
Tuttavia, appare più corretta la tesi secondo cui il momento a cui occorre fare riferimento per indivi- duare la normativa applicabile deve essere identifi- cato con la data a partire dalla quale il termine inizia a decorrere (11). Infatti, con il verificarsi dell’evento costitutivo del diritto di impugnazione (conoscenza del provvedimento lesivo), si cristallizza il momento processuale da assumere quale parametro temporale per l’individuazione della legge applicabile.
Molto opportunamente si è indicato, ad ulteriore supporto di questa conclusione, la tesi affermatasi in relazione all’innovazione introdotta dal d.P.R. 24 no- vembre 1971, n. 1199, che portò il termine per il ri- corso straordinario al Capo dello Stato da 180 a 120 giorni, senza dettare alcuna disposizione transitoria per i termini pendenti. La giurisprudenza consultiva si attestò subito nel senso che, nel silenzio della legge dovesse rimanere inalterato il termine precedente, qualora fosse tuttora in corso (12).
Note:
(9) Fazzalari, op. cit., 893.
(10) Nel giudizio di responsabilità amministrativa, per i fatti verificatisi anteriormente alla l. n. 142/1990 (tra il 1963 e il 1972) si applica il termine prescrizionale decennale ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2934 x.x. x xx. x 000 xxxx. xxx.
x.x. (Xxxxx dei conti, sez. riun., 28 novembre 1994, n. 1008/1994/A, in Riv. corte conti, 1994, fasc. 6, 81).
In senso analogo si è affermato che nell’ipotesi in cui il diritto sia stato tempestivamente azionato secondo la normativa vigente non può porsi un problema di termini prescrizionali da considerare eventualmente secondo la nuova normativa poiché non può dirsi perdurante l’inerzia del titolare del dirit- to; e, pertanto, in disparte il rilievo che l’art. 58, 4° comma,
l. n. 142/1990 va interpretato alla luce dell’art. 252 disp. att.
c.c. quale espressione di un generale principio che regola lo ius superveniens, alla domanda giudiziale notificata (nella specie, il 15 marzo 1988) deve essere attribuito effetto inter- ruttivo della prescrizione ben prima che potesse farsi que- stione dell’eventuale applicazione del diverso termine di cui all’art. 58 suddetto (Corte dei conti, sez. riun., 23 giugno 1993, n. 890/1993/A, in Riv. corte conti, 1993, fasc. 6, 55). Il più favorevole termine prescrizionale previsto dagli artt. 58, l. n. 142/1990 e 1, l. n. 20/1994 non trova applicazione ove alle rispettive date di entrata in vigore di tali norme resi- dui un termine inferiore rispetto al quinquennio per l’operati- vità della relativa prescrizione (Corte dei conti, sez. I, 11 gen- naio 1995, n. 2, in Nuova rass., 1995, 610; in Riv. corte conti, 1995, fasc. 1, 128).
(11) La tesi è affermata da De Xxx, op. cit., 833, la quale ri- chiama l’esigenza di rispetto degli effetti giuridici derivanti da atti compiuti sotto l’impero della legge previgente e che si prolungano sotto il vigore della legge sopravvenuta e so- prattutto l’esigenza di non sottrarre alla parte, che deve compiere un atto, una frazione del tempo, messo a sua di- sposizione dalla norma previgente.
(12) Si vedano le decisioni citate da De Xxx, op. cit., 834, no- ta 16: Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 1973, n. 2435, in Cons. Stato, 1973, I, 683; Sez. II, 21 ottobre 1975, ivi, 1976, I, 1493. La stessa posizione è stata affermata da Xxxxxxxxx, La riforma dei ricorsi amministrativi, Milano, 1975, 103.
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Né pare sostenibile che l’art. 252 delle disposizioni di attuazione al codice civile abbia una portata tale da incidere anche sulla materia disciplinata dall’art. 19. Al riguardo, occorre sottolineare che si tratta di una norma sostanziale, per cui appare assai proble- matica la sua estensione a fattispecie di carattere pro-
cessuale.
In secondo luogo, va evidenziato che, semmai, l’art. 252, dettando un’apposita disciplina transito- ria, pone in luce la circostanza che in mancanza di in- dicazioni esplicite in tal senso, le nuove regole non si applicano ai termini in corso.
E si è posto in luce un ulteriore dato particolar- mente significativo, concernente la disciplina tran- sitoria introdotta dall’art. 72 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545, in materia di processo tributario, se- condo cui, qualora, alla data di insediamento dei nuovi organi di giustizia tributaria – pendano termi- ni per la proposizione di atti o di ricorsi, questi pos- sono essere compiuti o proposti nei termini stabiliti dalla nuova legge, decorrenti dalla data di insedia- mento (13).
L’errore scusabile
Ma anche volendo optare per la soluzione inter- pretativa indicata dalle decisioni in esame, le consi- derazioni finora svolte consentono di evidenziare più di una perplessità in merito alla decisione di non con- cedere il beneficio dell’errore scusabile e la conse- guente rimessione in termini. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, la norma appare tutt’altro che inequivoca per almeno tre motivi:
1) Potrebbe dubitarsi della sua applicabilità alla notificazione del ricorso.
2) Prima della legge di conversione permaneva qualche incertezza in ordine alla limitazione della norma alla sola fase cautelare o al giudizio immedia- to.
(14) È ricorrente l’affermazione secondo cui l’istituto dell’er- rore scusabile ha carattere generale e va applicato quando ne ricorrano i presupposti anche d’ufficio, alle ipotesi di atti impugnati dinanzi ai giudici od altri organi incompetenti o ca- renti di giurisdizione (Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 1995, n. 194, in Foro amm., 1995, 582).
In senso analogo, si afferma comunemente che l’applicabili- tà dell’errore scusabile presuppone uno stato di dubbio sul termine, sulle forme o sulle modalità di tutela di una posizio- ne giuridica, per le oggettive difficoltà d’interpretazione di una norma, per la particolare complessità di una fattispecie concreta, per i contrasti giurisprudenziali esistenti, per il comportamento dell’amministrazione idoneo, per non esse- re univoco, ad ingenerare convincimenti non esatti, e questa situazione deve sussistere per tutto il periodo nel quale si sarebbe dovuto proporre il ricorso, sì da rendere pienamen- te giustificabile l’errore commesso (Cons. Stato, sez. IV, 20 giugno 1994, n. 522, in Cons. Stato, 1994, I, 738).
Per tale motivo, è inaccoglibile la richiesta del beneficio dell’errore scusabile nell’impugnazione di un piano regola- tore, fondata unicamente su circostanze di rilievo soggetti- vo, quali la residenza all’estero e la scarsa presenza in Italia, poiché l’Istituto dell’errore scusabile presuppone una situa- zione d’incertezza interpretativa, fondata su circostanze og- gettive riconducibile allo stato della normativa, alla difficoltà di qualificazione dell’atto da impugnare e dei suoi effetti, al comportamento fuorviante della p.a., alla particolare com- plessità della fattispecie (Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 1993, n. 436, in Foro it., 1993, III, 601).
(15) Ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile che con- sente la rimessione in termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale, non sono sufficienti la semplice buona fede del ricorrente e l’esistenza di fattori soggettivi, ma occorre che obiettivamente l’errore tragga origine da incertezze o difficoltà di interpretazione delle norme, dalla novità della questione o dalla oscillazione della giurisprudenza (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1994, n. 1181).
(16) Si veda, fra le tante, la decisione del Tar Valle d’Aosta, 15 novembre 1994, n. 150, (in Trib. amm. reg., 1995, I, 108; in Foro amm., 1995, 109), secondo cui la mancata indicazio- ne nel provvedimento amministrativo del termine per ricor- rere non determina l’invalidità del provvedimento stesso, trattandosi di elemento estrinseco, inidoneo ad inficiare il contenuto sostanziale dell’atto, ma può dar luogo solo alla rimessione in termini per errore scusabile.
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3) È quanto meno opinabile che la nuova normati- va sia applicabile ai termini già in corso.
In una prospettiva più generale, occorre conside- rare anche i seguenti punti.
A) L’indirizzo giurisprudenziale in materia di er- rore scusabile tende ad essere alquanto largo, attento a verificare la ricorrenza di situazioni che penalizza- no, di fatto, le ragioni della parte ricorrente (14).
B) La novità della disciplina introdotta è spesso considerata autonoma giustificazione della scusabilità dell’errore, anche indipendentemente dall’apprezza- mento di concrete difficoltà interpretative (15).
C) Il mancato rispetto della norma contenuta nell’art. 3, comma 4, della l. n. 241/1990, che impone di indicare, in ogni atto notificato al destinatario, il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere, pur non incidendo sulla validità del provvedimento, compor- ta, secondo la più recente giurisprudenza, la rimes- sione in termini dell’interessato che abbia confidato su un termine più lungo, o, addirittura, sull’assenza di termini perentori per la contestazione giudiziale del provvedimento (16).
Note:
(13) Xx Xxx, op. cit., 834.
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Appalti e lavori pubblici
ESCLUSIONE DALLA GARA PER ERRORE DEL CASELLARIOGIUDIZIALE
I
Tar Friuli–Venezia Giulia, 8 maggio 1997, n. 341 – Pres. Bagarotto – Est. Zuballi – Friulcos
S.p.a. c. Comune di Spilimbergo ed altri
2.28156 – 2.67428
In una licitazione privata con aggiudicazione secondo il criterio del xxxxxxx xxxxxxx sull’elenco prezzi (art. 21, l. n. 109/1994), la ditta non aggiudicataria è legit- timata a ricorrere in caso di illegittima esclusione di ditta terza, ove la riammissione di quest’ultima deter- mini un diverso calcolo della media delle offerte, a se- guito del quale la ricorrente presumibilmente (anche se non sicuramente) risulterebbe vincitrice.
È illegittima l’esclusione dalla gara a fronte di un mero errore formale (consistente nell’anno di nasci- ta, sbagliato, contenuto in un certificato rilasciato dal Casellario giudiziale), facilmente riconoscibile sulla base di un semplice confronto con gli altri do- cumenti prodotti dalla ditta partecipante e che peral- tro non può essere inteso come irregolarità, che inve- ce consiste in un vizio non sanabile del documento presentato.
In caso di dubbio interpretativo relativo alle regole di una gara, va privilegiata l’interpretazione più fa- vorevole all’ammissione, anche alla luce della l. n. 241/1990 e del principio in essa espresso, relativo al- la salvezza degli atti prodotti dall’interessato, ove l’amministrazione sia in grado, anche con la colla- borazione di altre pubbliche amministrazioni, di ve- rificarne l’esattezza ovvero di correggere eventuali errori materiali presenti negli atti stessi.
L’interpretazione delle clausole di gara e l’esame dei documenti prodotti dai partecipanti non possono essere talmente rigidi dal privare di rilevanza la buo- na fede dei concorrenti.
... Omissis ...
Diritto
Preliminarmente va esaminata l’eccezione di irri- cevibilità del ricorso, così qualificata dal Comune (ma in realtà carenza di legittimazione della ricorren- te), il quale contesta l’esclusione dalla gara di una ditta terza. In sostanza, ad avviso del Comune, la dit- ta istante agirebbe quale sostituto processuale non autorizzato, e quindi sarebbe carente della legittima- zione ad agire.
L’eccezione risulta priva di pregio.
Invero, l’esclusione dalla gara della ditta Silac, as- seritamente illegittima, si ripercuote direttamente sul calcolo della media delle offerte e quindi ha come conseguenza l’aggiudicazione (basata, nel caso in
esame, unicamente su parametri matematici prefis- sati) a ditta diversa da quella risultata vincitrice.
L’illegittimità della esclusione della ditta terza ap- pare quindi funzionale ad un diverso calcolo della media delle offerte e quindi ad una diversa aggiudi- cazione della gara, per cui l’interesse ad agire in giu- dizio della ditta istante, che rimette in gioco l’esito della gara e che presumibilmente (anche se non sicu- ramente) risulterebbe vincitrice, non può essere po- sto in dubbio. Il Comune in realtà confonde l’interes- se ad agire con il motivo di ricorso, strumentale ad una diversa aggiudicazione.
Venendo ora al merito della questione, essa si in- centra sulla asseritamente illegittima esclusione del- la ditta Xxxxx Xxxxxxxxxxx, dovuta alla circostanza che la stessa ha prodotto il certificato della Camera di commercio ed il certificato del Casellario giudizia- rio, dai quali risultano discordanti le date di nascita del consigliere delegato Cetera Xxxxxxx e del Diret- tore tecnico Xxxxxxxx Xxxxxxxx.
Da ciò l’amministrazione ha dedotto l’irregolarità della documentazione prodotta, rilevando che le date errate erano quelle riportate sui certificati del casella- rio giudiziario rilasciati dal Tribunale di Padova, co- me risulta da informazioni telefoniche assunte dal Comune presso la ditta Silac.
Inoltre, l’amministrazione ha rilevato che i citati certificati del casellario, riportanti date errate, po- trebbero riguardare persone diverse, e quindi, richia- mato il punto C) delle norme di gara, che sancisce l’esclusione dalla gara stessa ove sia incompleto o mancante alcuno dei documenti richiesti, ha provve- duto ad escludere dalla gara stessa la ditta Silac.
Ad avviso di questo Collegio l’esclusione risulta errata.
Infatti, la disposizione che sancisce l’esclusione va interpretata alla luce del principio della massima partecipazione alla gara, oltre che a quello della par condicio. Per irregolarità quindi bisogna intendere un vizio non sanabile del documento presentato, non già un mero errore, tra l’altro facilmente individuabi- le e correggibile da un semplice confronto fra le date di nascita risultanti dal Casellario giudiziale e dai certificati della Camera di commercio.
Va poi rilevato che gli errori, riguardanti l’anno di nascita (1976 invece che 1936 in un caso e 1974 inve- ce di 1971 nell’altro) non solo sono facilmente spie- gabili con un banale «lapsus calami» di trascrizione, ma, in presenza della concordanza degli altri dati (giorno, mese e località di nascita) non potevano dare adito a dubbi sull’identità dei soggetti cui si riferiva- no.
Inoltre, dal codice fiscale dei due interessati era agevolmente ricavabile la data esatta di nascita.
Va poi rilevato che da un lato l’errore è dipeso dall’Ufficio del Tribunale di Padova e non da fatto
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della ditta Xxxxx, e d’altro lato che lo stesso risulta del tutto irrilevante per comprovare quanto i certificati erano chiamati a documentare, stante l’evidente identità dei soggetti cui detti certificati si riferivano. Va infine richiamata la nota giurisprudenza secon-
do cui, ove insorga un dubbio interpretativo relativo alla regola di una gara, va privilegiata l’interpreta- zione più favorevole all’ammissione; inoltre, la ge- nerica previsione, contenuta nel bando di gara, se- condo cui l’inosservanza di qualsiasi prescrizione del bando stesso comporta l’esclusione dalla gara, non può essere interpretata in senso talmente rigoro- so da portare all’esclusione dalla gara stessa per ogni irregolarità formale, che risulti irrilevante per la scel- ta dell’amministrazione (si veda Consiglio di Stato, sezione IV, 14 marzo 1990, n. 182).
Inoltre, va sottolineata l’incongruenza del com- portamento dell’amministrazione, la quale ha inter- pellato la ditta per avere chiarimenti sul punto (forni- ti telefonicamente, come risulta dal verbale in atti). Non si comprende infatti che senso aveva chiedere delucidazioni ove il vizio non fosse stato sanabile.
Infine, come risulta dalla documentazione in atti, la ditta non solo ha tempestivamente fornito le richie- ste delucidazioni telefonicamente, ma ha inviato due certificati del casellario giudiziale corretti, quattro giorni dopo la richiesta, un tempo ragionevole per munirsi dei certificati medesimi.
Quanto al richiamo alla l. n. 241/1990, effettuato dal resistente Comune nelle sue memorie, esso si ri- torce contro le sue tesi difensive, in quanto dalla stessa legge si evince agevolmente il principio della salvezza degli atti prodotti dall’interessato, qualora l’ammini- strazione sia in grado, anche con la collaborazione di altre pubbliche amministrazioni, di verificarne l’esat- tezza ovvero di correggerne eventuali errori materiali. Lo spirito di collaborazione tra privato e pubblica amministrazione che ispira l’intera l. n. 241/1990, ampiamente invocata dal Comune nella sua memo- ria, non sembra aver ispirato la condotta dell’ammi-
nistrazione resistente nella vicenda che ne occupa.
Infine, non si può non tacere che l’interpretazione delle clausole di gara e lo stesso esame dei documenti prodotti dai partecipanti non possano essere talmente rigidi dal non considerare anche la buona fede delle ditte partecipanti alla gara, che nel caso in esame ap- pare evidente.
In sostanza non di irregolarità della documenta- zione si trattava, ma di un semplice errore materiale, tra l’altro causato da altra pubblica amministrazione e facilmente rilevabile e correggibile.
Ne discende la fondatezza dell’unico motivo di ri- corso.
Di conseguenza va annullato il provvedimento di esclusione della ditta Silac dalla gara de qua, e vanno altresì annullati tutti i provvedimenti successivi, ivi compresa l’aggiudicazione della gara stessa.
L’amministrazione comunale dovrà rinnovare tut- ti gli atti di gara a far tempo dalla illegittima esclusio- ne, per cui dovrà rideterminare la media ed aggiudi- care i lavori alla ditta che risulterà vincitrice.
Le spese di giudizio, secondo la ben nota regola, seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispo- sitivo.
... Omissis ...
II
Tar Friuli–Venezia Giulia, 19 luglio 1997, n. 551 – Pres. Bagarotto – Est. Cardoni – Cli- maimpianti Udine S.r.l. c. Comune di Pozzuolo del Friuli ed altro (sentenza ex art. 19, d.l. 25 marzo 1997, n. 67, conv. in legge 23 maggio
1997, n. 135)
2.28156 – 2.67428
È illegittima l’esclusione dalla gara a fronte di un mero errore formale (consistente nell’anno di nasci- ta, sbagliato, contenuto in un certificato rilasciato dal Casellario giudiziale), facilmente individuabile ed emendabile sulla base di un semplice confronto con gli altri documenti prodotti dalla ditta parteci- pante e che peraltro non può essere inteso come irre- golarità, che invece consiste in un vizio non sanabile del documento presentato.
In caso di dubbio interpretativo relativo alle regole di una gara, va privilegiata l’interpretazione più fa- vorevole all’ammissione, anche alla luce del princi- pio espresso dall’art. 18, l. n. 241/1990 e relativo al- la salvezza degli atti prodotti dall’interessato, ove l’amministrazione sia in grado, anche con la colla- borazione di altre pubbliche amministrazioni, di ve- rificarne l’esattezza ovvero di correggere eventuali errori materiali presenti negli atti stessi.
L’interpretazione delle clausole di gara e l’esame dei documenti prodotti dai partecipanti non possono essere talmente rigidi dal privare di rilevanza la buo- na fede dei concorrenti.
... Omissis ...
Diritto
Come già giudicato da questo Tribunale in un re- cente caso analogo (Tar Friuli–Venezia Giulia 8 maggio 1997, n. 341), la disposizione di gara che sancisce l’esclusione va interpretata alla luce del principio della massima partecipazione alla gara stessa e di quello della par condicio.
Per irregolarità, quindi, bisogna intendere un vizio non sanabile del documento presentato, non già un mero errore formale, tra l’altro facilmente individua- bile ed emendabile sulla base di un semplice con- fronto tra l’anno di nascita della sig.ra Zilli risultante dal certificato del Casellario Giudiziale e quella indi- cata negli altri certificati prodotti.
Va poi rilevato che l’errore riguardante l’anno di nascita non solo è facilmente spiegabile con un xxxx- le lapsus calami di trascrizione, ma, in presenza della concordanza degli altri dati (giorno, mese e località di nascita), non può dare adito a dubbi sull’identità del soggetto cui si riferisce la certificazione.
Va poi rilevato, da un lato, che l’errore è dipeso dall’Ufficio del Tribunale e non da fatto della ditta ri- corrente e, d’altro lato, che lo stesso risulta irrilevan- te per comprovare quanto il certificato è destinato a documentare, stante l’evidente identità del soggetto cui detto certificato si riferisce.
Va infine richiamata la nota giurisprudenza secon- do cui, ove insorga un dubbio interpretativo relativo alla regola di una gara, va privilegiata l’interpreta- zione più favorevole all’ammissione.
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Amministrativa
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Inoltre, la previsione contenuta nella lettera d’in- xxxx (art. 17 lettera H), secondo cui l’inosservanza di qualsiasi prescrizione concernente la produzione do- cumentale comporta l’esclusione dalla gara, non può essere interpretata in senso talmente rigoroso da por- tare all’esclusione stessa anche per un errore mate- riale che risulti evidente e, come tale, irrilevante per la scelta dell’amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 1990, n. 182).
Inoltre, giova notare che la l. n. 241/1990 (art. 18) ha stabilito il principio della salvezza degli atti pro- dotti dall’interessato, qualora l’amministrazione sia in grado, anche con la collaborazione di altre pubbli- che amministrazioni, di verificarne l’esattezza ovve- ro di correggere eventuali errori materiali presenti negli atti stessi.
Infine, va rilevato che l’interpretazione delle clau- sole di gara e lo stesso esame dei documenti prodotti dai partecipanti non possono essere talmente rigidi
dal privare di rilevanza la buona fede dei ricorrenti, che, nel caso in esame, appare evidente.
In sostanza, non di irregolarità della documenta- zione si tratta, ma di un semplice errore materiale, tra l’altro causato da altra pubblica amministrazione e facilmente rilevabile e correggibile.
Ne discende la fondatezza del ricorso.
Di conseguenza va annullato il provvedimento di esclusione della ditta ricorrente dalla gara e vanno al- tresì annullati tutti i provvedimenti successivi, ivi compresa l’aggiudicazione della gara stessa.
L’amministrazione comunale, in base al principio di conservazione degli atti amministrativi, dovrà rin- novare tutti gli atti di gara a far tempo dalla illegitti- ma esclusione, per cui dovrà ripetere la valutazione dell’offerta ed aggiudicare i lavori alla ditta che risul- terà vincitrice.
Sussistono sufficienti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
... Omissis ...
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n. 11/1997
IL COMMENTO
di Xxxx Xx Xxxxx
Premessa
Le sentenze in esame si inseriscono temporalmente a cavallo della nota innovazione normativa che, trami- te lo strumento acceleratorio contemplato dall’art. 19 del decreto legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, in legge 23 maggio 1997, n. 135 (1), consente di giungere in tempi ristretti ad una decisione di merito resa in forma di sentenza, in caso di ricorsi «aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e attività tecnico–amministrative ad essa connesse e provvedimenti di aggiudicazione, affidamento ed ese- cuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità [...]» ove il ricorrente abbia proposto istanza di sospensione dell’esecuzione ex art. 21, u.c., l. Tar.
La prima delle due decisioni precede l’innovazio- ne normativa e risulta pertanto pronunciata ad esito di un’istruttoria «normale»; la seconda invece è fi- glia del nuovo rito applicabile al settore delle opere pubbliche, che, come noto, prevede per la sentenza una «motivazione in forma abbreviata» (2).
Entrambe affrontano un caso praticamente identi- co, relativo alla esclusione da una gara per un errore formale, che in tutti e due i casi ed in piena coerenza il Tar chiamato a pronunciarsi ha ritenuto illegittima. I motivi d’interesse forniti dalle due decisioni so- no molteplici ed andranno partitamente esaminati, dopo un breve riepilogo dei fatti per i quali vi è stato
processo.
I casi di specie
La sentenza n. 341 dirime il caso relativo al ricorso proposto da una ditta (la Friulcos), la quale, vistasi non aggiudicataria in una licitazione privata per i la- vori di ampliamento di una scuola elementare, ha im- pugnato l’esclusione dalla medesima gara di un’altra ditta (la Silac), ritenendola illegittima.
La riammissione alla gara di quest’ultima, secon-
do la ricorrente, avrebbe rideterminato – in virtù dell’offerta da essa Silac proposta – il ricalcolo dei valori in base ai quali determinare poi l’aggiudica- zione, che, giusta la prospettazione della ricorrente, sarebbe poi di necessità andata a proprio favore.
L’esclusione della Silac era per parte sua dovuta ad un’erronea indicazione – dalla stazione appaltante ritenuta irregolarità non sanabile – dell’anno di na- scita del Consigliere delegato e del Direttore tecnico nei certificati prodotti al fine di partecipare alla gara, errore unicamente ascrivibile all’Ufficio del Casella- rio giudiziale e dovuto evidentemente ad una svista di quest’ultimo.
Il Tribunale, risolvendo il problema dell’ammissi- bilità dell’impugnazione in termini di interesse ad agire (nel caso di specie quindi ritenuto sussistente), ha poi accolto il ricorso ravvisando l’illegittimità dell’esclusione disposta dal Comune di Spilimbergo e condannando quest’ultimo alle spese di giudizio.
La sentenza n. 551 fa riferimento ad un caso iden- tico di esclusione per erronea indicazione di un anno di nascita nel certificato rilasciato dall’Ufficio del Casellario giudiziale.
In questo frangente, più semplicemente, è la ditta
Note:
(1) Su cui vedasi, Xxxxx X., Giustizia amministrativa, Pado- va, 1997, addendum; Pagano, Giudice amministrativo e opere pubbliche in questa Rivista, 739; Lipari, La mini–rifor- ma del processo amministrativo nella legge n. 135/1997, ibi- dem, 740; De Leo, I termini processuali del nuovo rito, ibi- dem, 833; Lipari, Il giudizio immediato in materia di opere pubbliche: prime decisioni dei Tar e del Consiglio di Stato, ibidem, 895; Xxxxxxxxx, Xxx provvedimenti in tema di ope- re pubbliche dimezzati tutti i termini del giudizio, in Guida al diritto, n. 21/97; Xxxxxxxxx, Anche con la definizione im- mediata del giudizio la sentenza resiste alla prova della chiarezza, in Guida al diritto, n. 24/97.
(2) Art. 19, d.l. n. 67/1997, conv. in l. n. 135/1997, comma 2.
esclusa (la Climaimpianti) a ricorrere per l’annulla- mento dell’esclusione da essa subita e della conse- guente aggiudicazione ad altra ditta partecipante alla medesima procedura di gara (trattativa privata prece- duta da gara ufficiosa ex art. 8, l.r. Friuli–Venezia Giulia 19 agosto 1996, n. 31), anch’essa relativa a la- vori di ampliamento di una scuola elementare.
Il Tribunale, facendo esplicito riferimento in mo- tivazione alla propria sentenza di appena due mesi prima, accoglie il ricorso ravvisando l’illegittimità dell’esclusione disposta dal Comune di Pozzuolo, in questo caso però decidendo di compensare le spese di giudizio.
Le due vicende, a parte il profilo «di rito» relativo al ricorso Friulcos, sono pertanto analoghe. Dopo l’esame degli elementi caratterizzanti la prima delle due sentenze, si passeranno in rassegna gli aspetti co- muni alla due decisioni qui commentate.
Ricorso per l’esclusione dalla gara di un partecipante «terzo»
Nel ricorso Friulcos (sent. n. 341/1997) il Tribu- nale ha dovuto preliminarmente esaminare un’ecce- zione di irricevibilità dell’impugnativa giurisdizio- nale, esposta nelle difese della Amministrazione resistente.
La ricorrente sindacava in sostanza l’illegittima esclusione di altra ditta, non ricorrente e quindi pre- sumibilmente acquiescente al provvedimento della stazione appaltante; la riammissione avrebbe influito sul calcolo delle medie, il quale, giusta un complesso ragionamento, avrebbe favorito (secondo quanto da essa ricorrente prospettato) proprio la stessa Friul- cos.
Secondo Tar Lazio, Latina, 1° marzo 1984, n. 62 (3), «salvo espressa previsione normativa, non è consentito, dinanzi al giudice amministrativo, far va- lere posizioni o interessi altrui da parte di soggetti non titolari della specifica situazione soggettiva né diretta- mente lesi dal provvedimento amministrativo».
«Pertanto – prosegue la stessa decisione – i con- correnti non aggiudicatari di una gara per licitazione privata condotta in base al metodo indicato nell’art. 3, legge 2 febbraio 1973, n. 14 (aggiudicazione in fa- vore della ditta la cui offerta eguagli o si avvicini maggiormente alla media delle offerte) non sono le- gittimati ad impugnare l’atto di esclusione di una o più ditte dalla gara, in quanto incidente sulla forma- zione della media delle offerte, ancorché l’impugna- tiva possa in qualche modo soddisfare il loro interes- se al rinnovo della gara ed alla modifica della media delle offerte già valutate dall’amministrazione».
Questo, ad avviso di quel Giudicante, «anche in considerazione degli effetti abnormi che potrebbero derivare dall’ammissibilità di tali ricorsi (contesta- zione dell’esclusione di alcune, e non tutte, delle dit- te escluse; possibilità di aggiudicazione, in sede di rinnovo della gara, proprio ad una ditta la quale ave- va proposto acquiescenza all’esclusione e viene riammessa a partecipare a seguito di ricorso di al- tri)».
Il Tar Friuli–Venezia Giulia si muove – in un caso sostanzialmente identico – in direzione opposta:
«l’esclusione dalla gara della ditta Silac, asserita-
mente illegittima, si ripercuote direttamente sul cal- colo della media delle offerte e quindi ha come con- seguenza l’aggiudicazione (basata, nel caso in esame, unicamente su parametri matematici prefis- sati) a ditta diversa da quella risultata vincitrice».
«L’illegittimità della esclusione della ditta terza – si prosegue – appare quindi funzionale ad un diverso calcolo della media delle offerte e quindi ad una di- versa aggiudicazione della gara, per cui l’interesse ad agire in giudizio della ditta istante, che rimette in gioco l’esito della gara e che presumibilmente (anche se non sicuramente) risulterebbe vincitrice, non può essere posto in dubbio. Il Comune in realtà confonde l’interesse ad agire con il motivo di ricorso, strumen- tale ad una diversa aggiudicazione».
Il problema viene quindi risolto dal Tribunale in termini di interesse ad agire, allorquando la difesa dell’amministrazione resistente aveva parlato di «ir- ricevibilità».
Per vero, secondo pacifica dottrina (4) (oscura es- sendo peraltro la portata letterale dell’art. 26, l. Tar), la ricevibilità ha carattere esclusivamente formale, ed attiene solo alla fase del deposito del ricorso, dell’atto di intervento o del ricorso incidentale.
Trattasi di questioni qui evidentemente non in gio- co, per cui appare corretta sotto questo profilo la pun- tualizzazione del Giudicante.
Quanto poi al profilo dell’interesse (anche alla lu- ce di precedente contrario per un caso analogo), oc- correva forse ulteriore approfondimento: il Tar Friu- li–Venezia Giulia si limita a rilevare che qui l’interesse «non può essere posto in dubbio».
Interesse e legittimazione (5) costituiscono – se- condo la dottrina (6) – condizioni dell’azione.
L’interesse (7), secondo la giurisprudenza, deve essere personale, diretto ed attuale.
La personalità dell’interesse esprime l’esigenza che esso sia proprio del soggetto che lo fa valere, e ne chiede tutela (8); il suo carattere diretto ed attuale evidenzia la necessità che, l’atto di cui si chiede l’an- nullamento abbia leso o concorso a ledere la posizio- ne del ricorrente e che dalla sua caducazione, quindi, quest’ultimo possa trarre vantaggio (9).
La legittimazione (ad causam) esprime l’apparte-
Note:
(3) Richiamata dal Comune resistente nelle proprie scritture difensive. La si legga in T.A.R., 1984, I, 1199.
(4) Ex multis, Satta, op. cit., 408; Virga, Diritto amministrati- vo, II, Milano, 1995, 418.
(5) Vexatae quaestiones del processo amministrativo. Cfr. bibliografia di cui alle note seguenti.
(6) Assieme alla possibilità giuridica di ottenere il provvedi- mento richiesto; cfr. Caianiello, Manuale di diritto proces- suale amministrativo, Torino, 1994, 522.
(7) Xxxxxxx Xxxxxxxx (Manuale di diritto processuale ci- vie, Principi, 5ª ed. Milano, 1992, 147), esso va inteso quale
«rapporto di utilità corrente fra la lesione di un diritto, che è stata affermata, e il provvedimento di tutela giurisdizionale che viene domandato».
(8) Satta, op.cit., 160.
(9) Ibidem. Il vantaggio può essere anche meramente po- tenziale, secondo copiosa giurisprudenza. Cfr. Xxxxxxxxx, Il processo amministrativo, I, Milano, 1984, 627.
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nenza soggettiva dell’azione, cioè l’identità di xxxxx che ha proposto la domanda con colui che – con rife- rimento alla lesione di un suo diritto, ch’egli afferma esistente – possa pretendere per sé il provvedimento di tutela giurisdizionale domandato nei confronti di xxxxx che è stato chiamato in giudizio (10).
Il problema della legittimazione si risolverebbe in quello dell’interesse e della sua titolarità in capo a chi agisce (11).
Il precedente del Tar Lazio citato (12) e contrario alla sentenza qui in commento, faceva riferimento al- la legittimazione.
Ad avviso di chi scrive, sembra invece maggior- mente condivisibile la soluzione (in termini di «inte- resse») offerta dalla sentenza n. 341/1997: appare proprio questione di interesse – la legittimazione ad causam conseguendo di necessità, ove quest’ultimo profilo venisse riconosciuto – quella di garantire tu- tela all’istanza della Friulcos, tesa alla richiesta di an- nullamento di un’esclusione altrui, che però si river- berebbe in una mancata utilità propria, alla luce di un procedimento matematico inteso all’individuazione del vincitore della gara.
La meccanicità del procedimento selettivo e la
«presumibilità» dell’aggiudicazione integrerebbero i requisiti della personalità delle lesione lamentata dalla Friulcos, lesione parimenti da intendersi come diretta, oltre che attuale (profilo quest’ultimo non in contestazione) (13).
L’elemento più dubbio risulta in sostanza quello della configurazione di una lesione «diretta».
In realtà infatti è la Silac a patire una vera lesione diretta, essendo invece mediato e conseguente il be- neficio ottenibile dalla ricorrente Friulcos a fronte dell’accoglimento della propria istanza.
L’interesse della ricorrente – se è lecita l’espres- sione – è «diretto» solo in via «mediata», ma il Giudi- cante ha ritenuto che esso non potesse essere posto in dubbio, e pertanto fosse degno di tutela, con conse- guente ammissibilità (14) del ricorso.
Non appaiono però privi di pregio i motivi di per- plessità per i quali invece Tar Lazio, Latina n. 62/1984 era giunto a soluzione opposta: e se infatti
– dopo la riammissione della Silac – risultasse vinci- trice quest’ultima, ovvero altra ditta ancora (magari del tutto estranea al giudizio) (15)?
Esclusione dalla gara per errore formale: l’iter argomentativo
Esaminato il profilo discriminante tra le due sen- tenze in commento, è possibile esaminare quanto vi è di comune alle medesime.
Entrambe, come già rilevato, riguardano l’esclu- sione da gare (16) (in un caso licitazione privata, nell’altro gara ufficiosa nell’ambito di una trattativa privata) fondata su di un errore materiale contenuto nei certificati del Casellario giudiziale richiesti ai partecipanti alle stesse procedure (rectius ai loro le- gali rappresentanti e direttori tecnici).
La motivazione del Tar Friuli–Venezia Giulia, praticamente identica nei due casi, si articola nel se- guente ragionamento.
1. Le disposizioni di gara che sanciscono l’esclu- sione vanno interpretate alla luce del principio della
massima partecipazione alla gara stessa e di quello della par condicio.
2. Le «irregolarità» devono intendersi come «vi- zio non sanabile del documento presentato», che è cosa da tenere distinta dal «mero errore formale»; nei casi di specie l’errore non solo è facilmente spiegabi- le con un banale lapsus calami, ma in presenza della concordanza degli altri dati (giorno, mese e località di nascita) non può nemmeno dare adito a dubbi sull’identità del soggetto cui si riferisce la certifica- zione.
3. L’errore è dipeso dall’ufficio del Tribunale e non dal fatto delle ditte; inoltre, esso è «irrilevante per comprovare quanto il certificato è destinato a do- cumentare, stante l’evidente identità dei soggetti cui detti certificati si riferivano».
4. Ove insorga dubbio interpretativo relativo alla regola di una gara, «va privilegiata l’interpretazione più favorevole all’ammissione; inoltre, la generica previsione, contenuta nel bando di gara, secondo cui l’inosservanza di qualsiasi prescrizione del bando stesso comporta l’esclusione dalla gara, non può es- sere interpretata in senso talmente rigoroso da porta- re all’esclusione dalla gara stessa per ogni irregolari- tà formale, che risulti irrilevante per la scelta dell’amministrazione (si veda Consiglio di Stato, se- zione IV, 14 marzo 1990, n. 182)».
5. Alla luce dei principi espressi dalla l. n. 241/1990 (in particolare dall’art. 18 della stessa leg- ge), va applicata la regola della «salvezza degli atti prodotti dall’interessato, qualora l’amministrazione sia in grado, anche con la collaborazione di altre pub-
Note:
(10) Xxxxxxxx, op. cit., 150. Cfr. Xxxxxxxxxx, op.cit., 536 ss., per una approfondita disamina della questione nel processo amministrativo (anche alla luce della stessa nozione, so- stanziale ovvero meramente processuale, dell’interesse le- gittimo).
(11) Cfr. Xxxxx, op. cit., 178.
(12) Tar Lazio, Latina, 1° marzo 1984, n. 62.
(13) «Nonostante gli sforzi finora compiuti, particolarmente in sede dottrinaria, non si può dire che si sia giunti a tutt’oggi, alla elaborazione di un criterio soddisfacente, idoneo ad in- dividuare, nella vasta gamma degli interessi che vengono coinvolti e spesso sacrificati dalla pubblica Amministrazio- ne, gli interessi dei soggetti, la cui posizione si distingue da quella degli altri consociati, ai fini della legittimazione al ri- corso. Basti scorrere le numerose prospettazioni teoriche, finora tentate, per rendersi conto che si tratta di un panora- ma estremamente nebuloso, in cui non si è ancora trovata la bussola per orientarsi»: così Xxxxxxxxx, op. cit., 608. Cfr. anche Trattato di diritto amministrativo, vol. XXVI (Giustizia amministrativa), a cura di Xxxxxxxxx e Laschena, Padova, 1997, 104 ss.
(14) Virga, op. cit., 418.
(15) La Silac era infatti stata evocata in giudizio dalla ricor- rente Friulcos.
(16) «L’esclusione dalla gara è dichiarazione del difetto di legittimazione a partecipare alla gara; è atto di mero accla- ramento se il difetto di legittimazione deriva da esclusioni stabilite da norme o da atti dell’autorità non relativi alla gara; è atto di acclaramento che può comportare una sia pur ridot- ta discrezionalità quando il titolo per la partecipazione è re- golato dal bando di gara»: così Xxxxxxxx, Diritto amministra- tivo, II, Milano, 1993, 380.
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bliche amministrazioni, di verificarne l’esattezza ov- vero di correggere eventuali errori materiali presenti negli atti stessi».
6. L’interpretazione delle clausole di gara e lo stes- so esame dei documenti prodotti dai partecipanti, in- fine, non possono essere talmente rigidi dal privare di rilevanza la buona fede dei ricorrenti, che, nel caso in esame, appare evidente.
Come può notarsi, lungi dal fondare il proprio convincimento sul semplice richiamo alla clausola contenuta nella lex specialis di gara per dire che nel caso di specie ad essa non poteva farsi riferimento, in quanto la discrepanza di date non può ritenersi una
«irregolarità», il Tar Friuli–Venezia Giulia ha ritenu- to di fare ulteriore richiamo a principi d’ordine gene- rale (legge sul procedimento), a regole di buona am- ministrazione (nel dubbio, garantire la massima partecipazione alla gara), a considerazioni di buon senso ed equità (l’errore è dovuto al fatto di una P.A., non alle ditte, che versano in buona fede, eppertanto non devono per questo subire le conseguenze di fatto a sé non ascrivibile).
La sentenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 1990, n. 182) (17) alla quale ci è richiamati in entrambe le sentenze suggeriva una regola ermeneutica, mirante a smussare la testuale ri- gidità di previsioni del bando di gara secondo cui
«l’inosservanza di qualunque prescrizione in esso contenuta avrebbe comportato senz’altro l’esclusio- ne dalla gara stessa».
Detta rigidità, secondo i Giudici di Palazzo Spada,
«non può essere intesa in senso così rigoroso da por- tare all’esclusione dalla gara per ogni irregolarità dell’istanza o della documentazione, cui tuttavia non sia dato, secondo alcun ragionevole profilo, collega- re possibilità di rilevanza sulla scelta futura dell’am- ministrazione».
Nelle sentenze in commento in realtà il Tar Friuli– Venezia Giulia non ha qualificato come «irregolare» la documentazione delle ditte escluse, bensì ha rite- nuto che il rilevato «errore meramente formale» fos- se ontologicamente un qualche cosa di diverso.
La motivazione con la quale si è deciso di riam- mettere alla gara la Climaimpianti in un caso, la Silac nell’altro, risulta pertanto diversamente fondata ri- spetto alla considerazione articolata nella richiamata massima del Consiglio di Stato, inserita dal Tar Friu- li–Venezia Giulia ad abundantiam, ma in realtà di- stante dai casi de quibus.
La parte motiva delle sentenze in commento infat- ti radica il proprio convincimento nella rilevata esi- stenza di più vizi che possano venire ad inficiare, con conseguenze più o meno gravi, l’esito della prequali- ficazione alla procedura ad evidenza pubblica.
Irregolarità ed errore meramente formale
Esisterebbero da un lato le «irregolarità», dall’al- tro gli «errori meramente formali», cui devono ag- giungersi (ma esulano dai casi in questione) la man- canza ovvero l’incompletezza della documentazione fornita dai partecipanti.
L’erronea indicazione dell’anno di nascita nel cer- tificato rilasciato dal Casellario non sarebbe allora una irregolarità, la quale invece ricorrerebbe nei casi,
diversi da quelli di specie, di un «vizio non sanabile del documento presentato».
Sotto questo profilo, le sentenze in esame non so- no state però in grado di chiarire con compiutezza il significato della «sanabilità», né hanno chiarito in quali termini detta caratteristica verrebbe a discrimi- nare la «irregolarità» dall’errore meramente forma- le, definito qui peraltro «facilmente individuabile ed emendabile sulla base di un semplice confronto».
Un contributo alla ricostruzione della categoria viene da Consiglio di Stato, sez. IV, 9 maggio 1985,
n. 173 (18), secondo il quale «è illegittima l’esclu- sione dalla gara di una impresa che abbia prodotto una polizza fideiussoria viziata da un mero errore materiale facilmente riconoscibile», nel caso di spe- cie consistente nell’aver scritto un importo in mi- gliaia anziché in milioni.
Parimenti, giova rammentare che sono state rite- nute illegittime le esclusioni disposte per aver pro- dotto un documento irregolarmente autenticato (19) ovvero con marche da bollo irregolarmente annulla- te (20), o ancora nel caso in cui fosse stato indicato un nome di battesimo erroneo (21).
Sfugge però il reale discrimen; probabilmente la giustizia del caso concreto impedisce di distinguere tra caso dell’errore (sempre emendabile) e caso dell’irregolarità (talvolta emendabile, e comunque da interpretarsi sempre cum grano salis).
Anche perché si è pure rilevato che «ogni qualvol- ta il bando di gara (o la lettera di invito) imponga a pena di esclusione l’osservanza di determinate pre- scrizioni, non è data facoltà alla commissione di gara o all’amministrazione appaltante derogare ad es- se» (22).
Ed il risultato è che non vi è conveniente certezza, né per i partecipanti né per le amministrazioni appal- tanti, che sono chiamate a decidere, in tempi com- prensibilmente ristretti (ed eventualmente a poi pa- gare le conseguenze) in merito alle esclusioni.
Per fare un esempio ex multis, l’omessa indicazio- ne della data nel certificato di iscrizione all’A.N.C. è stata ritenuta motivo di legittima esclusione (23), allorquando altro Tar ha ritenuto illegittima l’esclu- sione per «aver prodotto fotocopia del certificato di iscrizione all’A.N.C. non riproducente, per incom- pleta riproduzione fotostatica, la data del rilascio, es-
Note:
(17) Nel ricorso Società Toto c. Comune di Chieti ed altro, in Riv. giur. edil., 1990, I, 725, nonché in Foro amm., 1990, 622 e Cons. Stato, I, 375 (s.m.).
(18) Che conferma Tar Lazio, sez. III, 6 dicembre 1982, n. 1256, in T.A.R., 1983, I, 70 (s.m.).
(19) Cons. Stato, sez. V, 11 marzo 1976, n. 452, citata in Xxxx, Gare di appalto e contratti, Milano, 1995, 120.
(20) Cons. Stato, sez. VI, 31 gennaio 1984, n. 38, in Cons. Stato, 1984, I, 103.
(21) Cons. Stato, sez. V, 17 maggio 1974, n. 330, in Xxxx,
op. cit., 120.
(22) Da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 28 aprile 1994, n. 600, in Foro amm., 1994, 828.
(23) Da Tar Lombardia, sez. II, 5 giugno 1993, n. 362, in Xxxx, op. cit., 123.
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sendo ammessa in questo caso la regolarizzazio- ne (24).
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha peral- tro collegato l’irrilevanza delle irregolarità alla cir- costanza che non fosse alterata la par condicio dei concorrenti e che non fosse presente alcuna fraudo- lenta volontà di sottrarsi agli obblighi imposti per la partecipazione alla gara (25).
Occorrerebbe infatti distinguere tra norme cogenti, e quindi inderogabili, tra cui rientrano necessariamen- te quelle poste in essere a tutela dell’amministrazione appaltante perché rispondenti ad un suo particolare in- teresse (26), quelle indirizzate ad un corretto svolgi- mento della gara e, infine, quelle dirette a tutelare la par condicio dei concorrenti, e norme prescrittive o derogabili, tra cui le semplici irregolarità che non inci- dono «sulla scelta del contraente» e che «non inficia- no le relative operazioni» di gara (27).
Lumi a tal proposito sono forniti da una recente sentenza del Tar Lombardia, Brescia, 15 aprile 1996,
n. 477 (28), secondo la quale «nella procedura per l’aggiudicazione dei contratti della P.A. il principio della par condicio vieta che l’Amministrazione, con la richiesta di chiarimenti, consenta, in pratica, al con- corrente, di completare la sua domanda successiva- mente al termine stabilito in via generale dal bando di gara; pertanto, per disporre l’integrazione documenta- le, è necessario che gli atti tempestivamente depositati e già in possesso dell’amministrazione, contengano elementi che costituiscano indizio e rendano ragione- vole ritenere il possesso del requisito di partecipazio- ne, non espressamente ed univocamente documenta- to, con l’assenza di una causa di esclusione, dovendo l’organo pubblico richiedere chiarimenti e completa- mento documentale quando dai documenti già presen- ti appaia estremamente probabile (benché natural- mente, non del tutto certo) che il ricorrente abbia le qualità previste dalla lettera di invito».
Solo ove gli elementi integrativi siano tali per cui
«la loro acquisizione comporti termini non compati- bili con l’urgenza di definire il procedimento di asse- gnazione» è consentito derogare a tale onere, ma in tal caso, evidentemente, prevale l’interesse primario alla realizzazione dell’opera.
Proprio il principio della par condicio può essere allora il fondamento – ed il punto di partenza – per la comprensione del problema.
Del resto, le sentenze in commento hanno per par- te loro rilevato che le disposizioni di gara che sanci- scono l’esclusione vanno interpretate alla luce del principio della massima partecipazione alla gara stessa e di quello della par condicio.
Partendo da tale concetto e da quanto affermato in Tar Lombardia Brescia (supra), si potrebbe dire che ciò che altera la par condicio costituisce sempre irre- golarità non sanabile, eppertanto motivo di legittima esclusione.
Il lapsus calami dovrebbe dar vita all’errore mera- mente formale, che il principio della massima parte- cipazione dovrebbe far ritenere sanabile (purché ciò possa esserlo prontamente, dando evidentemente pe- so alla riconoscibilità).
Fra questi due estremi andrebbe collocata l’irre- golarità sanabile che non altera la par condicio, che
– pur non sussumibile entro la categoria dell’errore
meramente formale – darebbe spazio a situazioni che ripugna a giustizia (sostanziale) escludere dalla emendabilità, anche alla luce del criterio della massi- ma partecipazione.
Altra e diversa prospettazione consisterebbe nel di- re che o c’è errore (sanabile) o c’è irregolarità (non sa- nabile), ma si tratta, evidentemente, di questione ter- minologica, senza dimenticare che più categorie logico–giuridiche si individuano, più c’è margine sia di alea che di speranze di sanatoria (in sede di qualifi- cazione, ovvero di impugnativa giurisdizionale) (29).
L’art. 18 della l. n. 241/1990
e il «principio» da esso desumibile
In ambedue le sentenze in commento, il Tar Friuli– Venezia Giulia fa riferimento alla l. n. 241/1990 (30) e ad un «principio», da essa desumibile.
Va notato che la violazione di detto «principio» non era stata dedotta da nessuno dei ricorrenti, epper- tanto trattasi, alla luce della nota regola della non ri- levabilità ufficiosa dei vizi nel processo amministra- tivo (31), di argomento ad abundantiam.
Note:
(24) Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 3 settembre 1992, n. 618, in Xxxx, op. cit., 118.
(25) Es. Cons. Stato, sez. V, 6 giugno 1990, n. 477, in Xxxx, op. cit., 117, che ha ritenuto valida la prestazione di una cau- zione effettuata mediante consegna a mano anziché presso la tesoreria.
(26) Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 1995, n. 1277, in Foro amm., 1995, 1860 (s.m.).
(27) Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 1995, n. 936, in Foro amm., 1995, 1241 (s.m.).
(28) In T.A.R., 1996, I, 1868 (s.m.).
(29) Va rammentato che, recentemente, il Consiglio di Stato ha ritenuto che «il principio, in virtù del quale l’esclusione da una gara per inosservanza delle formalità delle offerte può essere comminata solo se le prescrizioni rispondano ad un particolare interesse della P.A. e garantiscano la parità dei concorrenti, ha un mero carattere suppletivo, perché opera soltanto laddove una formalità non sia espressamente pre- vista a pena d’esclusione dalla gara. In tal caso, vige il diver- so principio dell’imperatività dell’atto amministrativo ed il cri- terio teleologico recede di fronte al criterio formale» (Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 1995, n. 1277, cit.). Si è poi detto che il «particolare interesse della P.A. appaltante» non sus- siste «nel caso di offerta irregolarmente presentata da un unico concorrente», in quanto «la vicenda si risolve in una mera irregolarità non incidente sugli interessi di altri concor- renti o della stessa P.A. segnatamente se il bando non pre- vedeva alcuna specifica sanzione al riguardo» (Cons. Sta- to, sez. V, 30 giugno 1995, n. 936, cit.).
X. Xxxxxxxxxx, Discrezionale la valutazione delle prescrizioni
contenute nei bandi di gara, in questa Rivista, 1032 ss., con- figura «l’irregolarità formale» come quella che non incide di- rettamente sul corretto andamento della gara, o che comun- que è sanabile successivamente, senza porre in pericolo gli interessi tutelati. L’Autore altresì dà atto di opposte tenden- ze nella recentissima giurisprudenza del Consiglio di Stato, da un lato propensa a sanzionare, con l’esclusione, prescri- zioni che espressamente l’esclusione non comminavano, e dall’altro a reinterpretare le prescrizioni più «formali», fa- cendo salva l’ammissione alla gara.
(30) Legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di ac- cesso ai documenti amministrativi».
(31) Xxxxxxxxxx, op. cit., 710.
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Anzi, l’unico a far riferimento alla legge sul pro- cedimento era stata l’amministrazione resistente nel ricorso Friulcos, la quale, ad avviso del Tar Friuli– Venezia Giulia, da detto argomento addotto ad appa- rente sostegno alle proprie argomentazioni aveva conseguito un vero e proprio effetto «boomerang»:
«quanto al richiamo alla l. n. 241/1990, effettuato dal resistente Comune nelle sue memorie – rileva il Tar
– esso si ritorce contro le sue tesi difensive, in quanto dalla stessa legge si evince agevolmente il principio della salvezza degli atti prodotti dall’interessato, qualora l’amministrazione sia in grado, anche con la collaborazione di altre pubbliche amministrazioni, di verificarne l’esattezza ovvero di correggerne eventuali errori materiali».
L’art. 18 della l. n. 241, dopo essersi soffermato sulle «misure organizzative idonee a garantire l’ap- plicazione delle disposizioni in materia di autocerti- ficazione e di presentazione di atti e documenti» (comma 1), ai commi successivi così dispone: (...)
«2. Qualora l’interessato dichiari che fatti, stati e qualità sono attestati in documenti già in possesso della stessa amministrazione procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del proce- dimento provvede d’ufficio all’acquisizione dei do- cumenti stessi o di copia di essi.
3. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsa- bile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubbli- ca amministrazione è tenuta a certificare».
Il «principio» espresso dal comma secondo, in realtà non è nuovo al nostro ordinamento (32), in quanto già l’art. 2 del d.P.R. 2 agosto 1957, n. 678 (33) così recitava: «I requisiti della cittadinanza, della buona condotta e dell’esistenza di precedenti penali sono accertati d’ufficio dall’amministrazione che deve emettere il provvedimento.
L’amministrazione non può richiedere al privato atti o certificati concernenti fatti e circostanze che ri- sultino attestati in documenti già in suo possesso o che essa sia tenuta a certificare».
La giurisprudenza aveva tuttavia limitato la porta- ta precettiva di quest’ultima disposizione (34), so- stanzialmente disapplicata nella prassi (35).
L’aver ritenuto invece vigente e pienamente ope- rante il principio de quo appare quindi piuttosto si- gnificativo.
Andrebbe comunque chiarita la portata della di- sposizione, anche per dare un valore alle norme che prevedono obblighi di produzione documentale (nel- la specie, certificati), quando, secondo il comma 3 dell’art. 18, l. n. 241/1990, lo stesso responsabile del procedimento potrebbe accertare d’ufficio «i fatti, gli stati e le qualità [...] che altra pubblica ammini- strazione è tenuta a certificare».
Il Tar Friuli–Venezia Giulia, a questo proposito, ha rilevato che «la l. n. 241/1990 (art. 18) ha stabilito il principio della salvezza degli atti prodotti dall’interes- sato, qualora l’amministrazione sia in grado, anche con la collaborazione di altre pubbliche amministra- zioni, di verificarne l’esattezza ovvero di correggere eventuali errori materiali presenti negli atti stessi».
La recente legge c.d. Bassanini–bis (36), sub art. 1, delegifica l’intera materia della documentazione amministrativa, stabilendo che specifici regolamen-
ti (37) dovranno partitamente indicare gli stati, fatti o qualità per i quali l’autocertificazione deve essere intesa come definitiva, e non già come temporanea- mente sostitutiva di una documentazione da esibire comunque prima dell’emanazione del provvedimen- to finale.
Le nuove disposizioni (che dovranno conformarsi ai principi contenuti nell’articolo 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241) (38), provvederanno alla «eli- minazione o riduzione dei certificati o delle certifica- zioni richieste ai soggetti interessati all’adozione di provvedimenti amministrativi o all’acquisizione di vantaggi, benefici economici o altre utilità erogati da soggetti pubblici o gestori o esercenti di pubblici ser- vizi» (39), anche mediante l’«ampliamento delle ca- tegorie di stati, fatti, qualità personali comprovabili dagli interessati con dichiarazioni sostitutive di certi- ficazioni» (40).
La questione relativa alla reale portata del princi- pio cui fa menzione il Tar Friuli–Venezia Giulia è pertanto ancora aperta, ed occorre attendere gli esiti dell’attività normativa regolamentare tratteggiata dalla recente l. n. 127/1997 per ricostruzioni più pun- tuali e soddisfacenti.
Errore di un’altra amministrazione e suoi effetti per il privato
Ove insorga dubbio interpretativo relativo alla re- gola di una gara, «va privilegiata l’interpretazione più favorevole all’ammissione»: si tratta, evidente- mente, di un principio coerente allo stesso interesse a «promuovere e consentire il più ampio confronto in una vasta gamma di situazioni comparative per poi pervenire all’aggiudicazione alle migliori condizio- ni contrattuali possibili» (41).
Note:
(32) Bassani–Italia, Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti, Milano, 1991, 348.
(33) In G.U. 10 agosto 1957, n. 199.
(34) Ad es. Cons. Stato, sez. VI, 28 febbraio 1990, n. 315 in La Sett. giur., 1990, I, secondo il quale «alle procedure di concorso non è applicabile l’art. 10, legge 4 gennaio 1968,
n. 15 (in forza della quale la P.A. non può richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati, e qualità personali risultanti dai documenti in suo possesso o che essa stessa è tenuta a certificare); pertanto non è interdetto alla P.A. richiedere, ai fini della partecipazione a concorso, documenti e certifi- cati concernenti stati, fatti e qualità personali risultanti da documenti in possesso della stessa o che debbano essere certificati da questa e dai suoi organi».
(35) Anche in relazione alla successiva legge 4 gennaio 1968, n. 15, in particolare artt. 2 e 3.
(36) Legge 15 maggio 1997, n. 127, recante «Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei provvedi- menti di decisione e di controllo» in G.U., suppl. ord. n. 98/L del 17 maggio 1997, n. 113.
(37) Da emanarsi, giusta l’art. 1, comma 1, legge cit., entro il 18 maggio 1998.
(38) Art. 1, comma 3, l. n. 127/1997.
(39) Art. 1, comma 3, lett. a, l. n. 127/1997. (40) Art. 1, comma 3, lett. b, l. n. 127/1997.
(41) Tar Xxxxxx, Xxxxx, xxx. XX, 00 maggio 1991, n. 369, in
Foro amm., 1992, 643 (s.m.).
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
Qui per vero viene in luce il fatto dell’esclusione per errore di un’altra amministrazione. Sul punto, le sentenze in commento rilevano che «non si può non tacere che l’interpretazione delle clausole di gara e lo stesso esame dei documenti prodotti dai partecipanti non possono essere talmente rigidi dal non conside- rare anche la buona fede delle ditte partecipanti alla gara, che nel caso in esame appare evidente».
Quella enunciata dal Tar Friuli–Venezia Giulia, più che regola di buona amministrazione, è regola di buon senso, se non di equità (quale giustizia del caso concreto).
Nell’ordinamento vigente – secondo Tar Lazio, La- xxxx, 12 agosto 1988, n. 574 (42) – «è vigente il princi- pio secondo il quale gli atti di provenienza privata, quali le domande, i ricorsi ecc. debbono essere inter- pretati dalla pubblica amministrazione secondo il cri- terio oggettivo della buona fede sancito dagli artt. 1366 e 1321 c.c., senza trarre affrettate conclusioni da errori od omissioni facilmente riconoscibili ed evitan- do che sul privato ricadano le conseguenze di un for- malismo eccessivo e fine a se stesso, quale quello che verrebbe perseguito qualora l’amministrazione non si attivasse per verificare l’esistenza di un presupposto non documentato in modo compiuto» (43).
A fortiori – verrebbe da dire – il principio opera se l’errore è ascrivibile ad un’altra amministrazione per atti solo in via mediata provenienti da un privato, an- che alla luce del potere – dovere di emenda (art. 18, commi 2 e 3, l. n. 241/1990, su cui supra).
Le decisioni in commento si collocano, sul punto, nello stesso filone.
Andrebbe comunque meglio chiarito il «peso» della buona fede in evenienze quali quelle in com- mento.
Si potrebbe infatti a contrariis sostenere l’esisten- za, per i partecipanti ad una pubblica gara, dell’onere di verificare la regolarità della documentazione, in mancanza della quale verifica il partecipante distrat- to imputet sibi la propria manchevolezza.
In realtà, trattasi di questione di ragionevole affi- damento; del resto, chi può pensare che un Ufficio del Casellario si metta a fornire – su richiesta – certi- ficati «sbagliati» (e per ottenere i quali i richiedenti sono ritualmente tenuti ad esibire i loro documenti di riconoscimento, presumibilmente contenenti dati corretti)?
L’effetto conformativo e la decisione sulle spese
Le sentenze, a riprova della sensibilità del giudice amministrativo e nell’ottica di un sindacato obiter esteso al rapporto (44), oltre che ai provvedimenti impugnati dai ricorrenti, si soffermano sugli ulteriori obblighi delle Pubbliche amministrazioni a seguito del disposto annullamento delle esclusioni e delle susseguenti aggiudicazioni a favore di terzi.
«L’amministrazione comunale – secondo i giudici del Tar Friuli–Venezia Giulia – in base al principio di conservazione degli atti amministrativi, dovrà rinno- vare tutti gli atti di gara a far tempo dalla illegittima esclusione, per cui dovrà ripetere la valutazione dell’offerta ed aggiudicare i lavori alla ditta che risul- terà vincitrice» (sentenza n. 551/1997).
Come a dire che sarà considerato elusivo del giu-
dicato, eppertanto esposto ai rimedi previsti dall’or- dinamento, un comportamento delle amministrazio- ni teso a considerare interamente nullificate tutte le fasi di gara, con la necessità di dar vita a procedure ad evidenza pubblica del tutto nuove (nuovo bando, nuovi inviti ecc.).
Il chiarimento non è pertanto inutile.
Appare invece difficilmente comprensibile la scelta di disporre nell’un caso la condanna alle spese, nell’altro la compensazione.
Si badi, il Tar ha ritenuto di condannare alle spese il Comune di Spilimbergo (allorquando veniva pe- raltro in luce il problema della legittimazione e/o in- teresse della ricorrente), mentre, due mesi dopo, ha considerato di doverle compensare tra Comune di Pozzuolo e Climaimpianti.
In realtà, ad avviso di chi scrive, c’erano più moti- vi per ritenere la condanna alle spese anche in questa seconda evenienza.
Innanzi tutto, la questione era già stata trattata dal- lo stesso Tribunale, per cui – al di là della reale cono- scibilità della sentenza per il Comune di Pozzuolo – chi continuava a tenere lo stesso atteggiamento (escludere cioè un concorrente per un errore formale a lui non imputabile) avrebbe dovuto andare punito, e non premiato, come in realtà nel caso di specie è so- stanzialmente accaduto.
In secondo luogo, nel caso della sentenza n. 551/1997, si è trattato di procedura «abbreviata», nella quale i tempi più stretti (45) costringono le dife- se ad attività serrate, le quali dovrebbero trovare va- lorizzazione anche in relazione all’atteggiamento del giudicante circa il regime delle spese, «secondo il principio della soccombenza».
A meno di ritenere che una decisione in tempi ab- breviati sia già di per sé un premio per il ricorrente.
L’art. 19 del d.l. n. 67/1997, conv. in l. n. 135/1997
Merita qualche cenno ulteriore il profilo relativo all’applicazione dell’art. 19 del d.l. n. 67/1997, conv. in l. n. 135/1997, in relazione alla sentenza n. 551/1997 del Tar Friuli–Venezia Giulia.
Un evidente motivo di interesse fornito dal con- fronto tra le sentenze in commento nasce proprio dal fatto che la prima delle due sia frutto di un processo
«ordinario», mentre la seconda, su di un tema analo- go, si esprime con una «motivazione in forma abbre- viata» (46).
Ora, se è noto che già l’art. 65, n. 3, r.d. 17 agosto
Note:
(42) In Foro amm., 1989, 317.
(43) Cfr. anche Tar Lazio, Latina, 6 settembre 1988, n. 582, in Foro amm., 1989, 1202.
(44) Anche in sede di giurisdizione di legittimità : cfr. Verbari, Principi di diritto processuale amministrativo, 2ª ed., Milano, 1995, spec. Parte II e 346 ss.
(45) A norma del comma 3 dell’art. 19, d.l. n. 67/1997, conv. in l. n. 135/1997 infatti «tutti i termini processuali sono ridotti alla metà».
(46) Secondo la formula dell’art. 19, comma 2, d.l. n. 67/1997 conv.
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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URBANISTICA EAPPALTI
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1907, n. 642 (47) impone al giudicante di contenere al minimo la motivazione, si può rilevare come, nel caso di specie, la motivazione – articolata nei due ca- si attraverso gli stessi ragionamenti e spesso con espressioni identiche – non sia stata di molto diffe- rente.
Nella sentenza n. 341/1997 l’esposizione in fat- to (48) era piuttosto puntuale ed articolata, dando at- to in modo assai analitico dei contenuti degli atti di causa; nella sentenza n. 551/1997 invece si è utilizza- ta una formulazione riassuntiva assai stringente in punto di fatto (simile – se si vuole – ai considerata di un’ordinanza), per poi soffermarsi in diritto in termi- ni «quantitativi» del tutto analoghi a quelli del caso precedentemente deciso.
Se si considera che, nel caso de quo la disposizio- ne secondo la quale «il dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dalla data dell’udienza con deposito in cancelleria» (art. 19, comma 3, d.l. n. 67/1997, conv. in l. n. 135/1997) è stata interpretata nel senso che tutta la sentenza andasse in quel termi- ne depositata (49), le innovazioni acceleratorie non possono che essere accolte con favore.
È probabile che lo scotto dell’innovazione lo si pa- ghi in casi ben più complessi di quelli di specie, dove la ponderazione di scelte spesso difficili dovrà fare i conti con termini giugulatorii per gli stessi giudicanti (e non solo per le difese, come già notato).
È comunque evidente come la rapidità di decisione non possa che tornar utile alle stesse amministrazioni, che evidentemente vedono minimizzato lo «stallo» susseguente ad un ricorso giurisdizionale avverso una loro determinazione: se si pone mente alle implicazio-
ni che la materia delle opere pubbliche ha in termini di interesse alla pronta realizzazione di quanto pro- grammato dalla P.A., in termini occupazionali, in pun- to risarcimento danni e sotto tanti altri profili ancora va senz’altro ribadito il giudizio positivo sulla novità normativa.
Conclusioni
Poco resta da aggiungere rispetto a quanto già rile- vato. Le sentenze vanno senz’altro condivise quanto al disposto annullamento per un errore assolutamen- te formale, che il buon senso delle amministrazioni avrebbe dovuto ab initio ritenere emendabile, senza che si dovesse giungere – come poi è avvenuto – ad un annullamento disposto in sede giurisdizionale.
Circa la motivazione dell’annullamento, sarebbe stato forse auspicabile un ulteriore approfondimento, che consentisse di chiarire più precisamente la diffe- renza tra errore meramente formale ed irregolarità (emendabile o meno).
Resta la perplessità in merito alla decisione sulle spese, mentre va ribadito il plauso alla novità normati- va del rito ex art. 19, d.l. n. 67, conv. in l. n. 135/1997.
Note:
(47) Oltre che, naturalmente, più in generale l’art. 132, com- ma 2, n. 4 c.p.c.
(48) Qui omessa.
(49) La sentenza è stata depositata il giorno successivo a quello della Camera di consiglio fissata per la discussione dell’istanza di sospensione.
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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URBANISTICA EAPPALTI
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IN LIBRERIA
CODICE DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
ANNOTATO CON LA GIURISPRUDENZA
Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx, 1996, L. 260.000 (cod. 00003497)
Il Codice rappresenta un indispensabile strumento di rico- struzione della frammentata disciplina del procedimento amministrativo e del diritto d’accesso e fornisce, al tempo stesso, un’utile guida interpretativa dell’orientamento giuri- sprudenziale in materia.
L’opera raccoglie la normativa generale, introdotta dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e dai relativi decreti di attua- zione, la legislazione regionale, la normativa statutaria di comuni e province, nonché la disciplina di attuazione adot-
tata dalle amministrazioni statali e dalle altre amministra- zioni pubbliche. Xxxxxxxxx, infine, i regolamenti di semplifi- cazione previsti dalla legge n. 537/1993.
Ciascun articolo è annotato con la giurisprudenza dei Tribu- nali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato.
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Edilizia e urbanistica
L’AVVIO DEI LAVORI DI COLTIVAZIONE DELLA CAVA NON PROVA LA CONOSCENZA DELLA RELATIVA AUTORIZZAZIONE
GIURISPRUDENZA
Amministrativa
Tar Puglia, Bari, sez. II, 27 settembre 1997, n. 701 – Pres. Corasaniti – Rel. Xxxxxxxxxxx – Ere- menegildo De Xxxxxxx ed altri c. Regione Pu- glia ed altro
2.18432 – 2.18433
Al fine di stabilire la tempestività del ricorso, la pie- na conoscenza idonea a far decorrere il termine per l’impugnativa esige che siano noti non solo l’esisten- za dell’atto, ma anche il contenuto di questo nei suoi termini essenziali. La presunzione di tale conoscenza deve essere ancorata ad elementi univoci e sicuri, ta- li da rendere certo, e non semplicemente probabile, che in un determinato momento l’interessato abbia avuto cognizione dell’atto.
La mera circostanza dell’intrapresa dell’attività di estrazione da una cava non comporta di per sé cono- scenza del decreto ministeriale di autorizzazione, ben potendo trattarsi di attività abusiva. Né la prova della conoscenza può essere tratta dall’apposizione nel cantiere di cartello recante gli estremi del prov- vedimento autorizzativo.
... Omissis ...
Diritto
(...)
2.) Ancora in xxx xxxxxxxxxxx, il Tribunale deve esa- minare l’eccezione pregiudiziale di irricevibilità del ricorso, spiegata dalla società controinteressata inti- mata.
Si sostiene che i ricorrenti avrebbero attinto cono- scenza dell’atto impugnato almeno dall’aprile 1996, periodo nel quale sarebbero state avviate le attività di coltivazione della cava, con affissione in loco di ap- posito cartello riportante gli estremi del decreto as- sessorile autorizzativo, e, quanto ad una di essi (Xxxxxxxxx Xxxxx), di sicuro dal mese di giugno 1996, nel quale fu indirizzato un esposto al Comune di Castellana Grotte.
Osserva il Collegio che, in linea generale, per i provvedimenti per i quali non sia prevista e/o non vi sia stata notificata o comunicazione individuale, non può ritenersi sufficiente la mera astratta conoscibili- tà, essendo necessaria la prova della effettiva e piena conoscenza dell’atto, comprensiva anche del suo contenuto (cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, 30 maggio 1996, n. 412, nonché C.g.a., 28 marzo 1991, n. 123), che deve essere ancorata ad elementi univoci e sicuri, tali da rendere certo e non semplicemente probabile che l’interessato abbia avuto cognizione dell’atto in un determinato momento storico (Tar Puglia, Bari, sez. I, 23 gennaio 1997, n. 14; Cons. Stato, sez. V, 14
aprile 1993, n. 490; id., sez. VI, 9 settembre 1992, n.
639).
Sulla scorta di tali principi è stato, pertanto, negato (con riguardo all’impugnazione di concessioni edili- zie) che l’apposizione nel cantiere di un cartello indi- cante gli estremi del provvedimento costituisca mez- zo idoneo a far acquisire ai terzi la piena conoscenza dell’atto e del progetto edilizio ad esso sottostante e, quindi, a far decorrere il termine decadenziale di im- pugnazione (Tar Lombardia, Milano, 4 agosto 1992,
n. 540; Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1985, n. 482).
Nel caso di specie, dunque, non può ritenersi certa la conoscenza, in capo ai ricorrenti dell’esistenza (e del contenuto) del decreto assessorile impugnato né in riferimento all’avvio dei lavori estrattivi, né in re- lazione all’affissione del cartello indicante gli estre- mi del provvedimento.
Con riguardo ai primi, mentre per un verso non è documentato, sebbene soltanto affermato, l’avvio nell’aprile 1996, deve escludersi che essi possano as- sumere significazione inequivoca in ordine all’esi- stenza del titolo autorizzativo, poiché, come rilevato dal difensore dei ricorrenti, il mero fatto storico dello svolgimento di lavori non è circostanza dalla quale possa desumersi, in via deduttiva, la sicura esistenza di un provvedimento di autorizzazione, ben potendo essere i lavori abusivi e sine titulo.
Quanto all’apposizione del cartello, da un lato esula la prova che essa sia effettivamente avvenuta nell’aprile 1996 (nessun elemento essendo desumi- bile al riguardo dalle fotografie esibite, né dalla bolla di accompagnamento del tabellone, dalla quale può soltanto evincersi sotto quale data esso è stato conse- gnato (25 marzo 1996), non anche, ed ovviamente, quando sia stato installato); d’altro canto, non vi è possibilità di affermare con certezza che tutti i rico- renti (o anche solo taluno di essi) abbiano preso vi- sione del cartello e dei dati ivi indicati, poiché non è provato che essi dovessero necessariamente transita- re dinanzi all’ingresso del cantiere della cava.
Del pari non è certo – non essendo stato esibito l’esposto – che la ricorrente Xxxxxxxxx Xxxxx avesse contezza dell’esistenza di lavori autorizzati, o non abbia piuttosto segnalato il mero svolgimento di la- vori ritenuti abusivi.
L’eccezione, in definitiva, risulta sfornita di sup- porto probatorio e deve essere disattesa.
... Omissis ...
Nota
La pronuncia del tribunale barese applica alla fat- tispecie dell’impugnazione di decreto di autorizza- zione all’estrazione da una cava principi ormai col-
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URBANISTICA EAPPALTI
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laudati in giurisprudenza in tema di decorrenza del termine per l’impugnazione innanzi al G.A. Nella specie la società controinteressata aveva eccepito la tardività del ricorso in considerazione della cono- scenza pregressa, da parte del ricorrente, dell’inizio dei lavori estrattivi e dell’affissione nel cantiere di cartello recante gli estremi del provvedimento auto- rizzativo.
Il Collegio respinge l’eccezione osservando in li- nea generale che «la piena conoscenza idonea a fare decorrere il termine per la impugnativa esige che sia- no noti non solo l’esistenza dell’atto, ma anche il contenuto di questo nei suoi termini essenziali» (Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 28 marzo 1991, n. 123, in Giur. amm. sic., 1991, 38) e che «al fine di stabilire la tempestività del ricorso, la presun- zione di piena conoscenza del provvedimento deve essere ancorata ad elementi univoci e sicuri, tali da rendere certo, e non semplicemente probabile, che in un determinato momento l’interessato abbia avuto cognizione dell’atto» (Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 1993, n. 490, in Cons. Stato, 1993, I, 542 (m)). Appli- cando al caso di specie le coordinate ermeneutiche in questione deve quindi rimarcarsi che né l’inizio dei lavori né l’apposizione del cartello nel cantiere di- mostrano la conoscenza pregressa dell’atto, men che meno del suo contenuto: quanto all’inizio dei lavori non può infatti escludersi che si tratti di lavori abusi- vi; in merito al cartello non è detto che tutti i ricorren- ti siano transitati davanti al cantiere sì da poter attin- xxxx conoscenza del cartello e del provvedimento.
La decisione affronta problematica analoga a
quella a più riprese fronteggiata dalla giurisprudenza in tema di concessione edilizia. È al riguardo affer- mazione ricorrente quella secondo cui «la mera cir- costanza di un’attività edilizia in corso di svolgimen- to in area che si assume inedificabile non comporta piena conoscenza della concessione edilizia, occor- rendo a tal fine il fatto obiettivo del completamento delle strutture edilizie esterne, suscettibili di ingene- rare la percezione integrale dell’attività costruttiva autorizzata» (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1985, n. 482, in Riv. giur. edil., 1986, I, 370).
Sempre in tema di concessione edilizia merita ri- cordare che, in fattispecie simile a quella di cui tratta- si, è stato ritenuto che «il termine per l’impugnativa, da parte di un controinteressato, della concessione di costruzione di un edificio, decorre non già dall’espo- sizione dell’ordine di cantiere, nel quale sono indica- ti il numero e gli estremi della concessione edilizia, bensì dalla data di dichiarazione dell’ultimazione dei lavori, firmata dal direttore dei lavori» (Cons. Stato, sez. II, 8 marzo 1995, n. 2491, in Cons. Stato, 1996, I, 533 (m)). In altra ipotesi è stato per converso esclu- so che la mera ultimazione dei lavori sia circostanza sufficiente ad attestare la piena conoscenza del prov- vedimento, essendo necessari elementi univoci che attestino la conoscenza da parte del terzo del conte- nuto lesivo dell’atto di concessione, specie ove il ter- zo medesimo non risieda nel luogo in cui è stata rea- lizzata la costruzione (Tar Veneto, n. 76/1985, in I TAR, 1985, I, 1276).
D.C.
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IN VETRINA
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Edilizia e urbanistica
SPUNTI RICOSTRUTTIVI
IN TEMA DI VARIANTE IMPLICITA EX ART. 1, COMMA 5, L. 1/1978
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
Consiglio di Stato, sez. V, 30 aprile 1997, n. 421
– Pres. Calabrò – Est. Trovato – Smeriglia c. Comune di Reggio Calabria e altro
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La variante implicita nell’approvazione di un pro- getto d’opera pubblica ex art. 1, comma 5, l. n. 1/1978 non ha la stessa natura degli atti di program- mazione urbanistica.
Le misure di salvaguardia non possono trovare giu- stificazione in una variante implicita al piano rego- latore.
... Omissis ...
Diritto
... Omissis ...
7) Con il primo motivo d’appello si pone la que- stione se la misura di salvaguardia prevista dal com- ma 2 dell’articolo unico, legge 3 novembre 1952, n. 902 – che autorizza il Prefetto (oggi Presidente della regione) ad ordinare, su richiesta del Sindaco, la so- spensione dei lavori di trasformazione delle proprie- tà private che sono tali da compromettere o rendere più onerosa l’attuazione del piano regolatore genera- le e particolareggiato – possa trovare applicazione anche nei confronti delle varianti, che non sono stru- menti di pianificazione generale del territorio, e più in particolare – ed in linea subordinata – nei confronti delle cosiddette varianti implicite per la ragione che mentre le misure di salvaguardia sono poste, come in parte si è già detto, a tutela di strumenti urbanistici in itinere rivolti a disciplinare la materia urbanistica d’interesse generale, le varianti implicite, invece, so- no essenzialmente rivolte in modo singolare all’ap- provazione di un progetto di opera pubblica, in cui la variante stessa ha solo una funzione ed un effetto ser- vente e strumentale.
Nei riguardi delle due fattispecie ipotizzate esisto- no differenze sostanziali, il che richiede da parte di questo collegio una risposta articolata.
Sulla prima delle due questioni, questo giudice non ha che da richiamare il principio affermato da questo Consesso (Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1987, n. 246; Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 1994,
n. 1332) secondo cui l’adozione di una variante è suf- ficiente a giustificare la misura di salvaguardia. Pro- nuncia dalla quale non v’è ragione di discostarsi, at- teso che la variante altro non è che un brano di piano regolatore (o di altro strumento urbanistico), geneti- camente omogeneo, che, una volta approvato, va a costituire, inscindibilmente, corpo unico col piano esistente, assumendone la stessa natura.
Peraltro, la variante è uno strumento indispensabi- le al fine di precorrere l’obsolescenza dello strumen- to urbanistico, in modo che esso conservi sempre, at- traverso l’aggiornamento, l’impronta dell’attualità e della modernità.
Per quanto riguarda la variante implicita, la que- stione di fondo da risolvere è se essa, dal punto di vi- sta ontologico, possa farsi rientrare nel novero degli strumenti urbanistici specificatamente individuati dalla legge – piani regolatori, piani particolareggiati, programmi di fabbricazione – a difesa dei quali le mi- sure di salvaguardia sono appunto adottate.
Al riguardo giova considerare che la variante im- plicita, anche quando nel provvedimento che la con- tiene non formi oggetto di una specifica manifesta- zione di volontà, è una qualificazione giuridica che l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica acquista automaticamente col semplice richiamo della norma di cui all’art. 1, l. n. 1 1978 (come è acca- duto nel caso di specie), e ciò anche quando il proget- to sia in contrasto con le previsioni del piano urbani- stico, e senza neppure l’obbligo di una previa verifica della sua compatibilità.
La legge ha una sua precisa collocazione tempora- le, e trova una sua giustificazione politica nella ne- cessità, all’epoca avvertita, di accelerare i tempi di realizzazione dei progetti dei lavori pubblici, in una congiuntura nella quale si rendeva manifesta la ne- cessità di un volano efficace che servisse ad impri- mere una spinta produttiva nell’economia del Paese. Tuttavia, così disponendosi, non si può non rilevare come si sia messo in crisi il principio di legalità dell’azione amministrativa, atteso che le amministra- zioni pubbliche sono rimaste praticamente svincolate, per tutta la durata della deroga, dall’osservanza delle previsioni urbanistiche per la realizzazione delle ope-
re pubbliche di loro competenza.
Questione certamente avvertita dal legislatore del 1978, il quale significativamente limitò a tre anni l’efficacia nel tempo della disposizione eccezionale. In effetti quel che è avvenuto ha comportato il ca- povolgimento della gerarchia dei valori giuridici, in quanto l’atto approvativo del progetto, degradando la forza precettiva della norma primaria dello stru- mento urbanistico, dalla posizione di oggetto con- formato è passato a diventare atto conformativo dell’ordinamento, dando luogo ad una grave ano-
malia giuridica.
Ma con le superiori considerazioni sull’auto- nomatismo dell’effetto variante diventa più chiaro che lo scopo esclusivo, si vorrebbe dire la causa tipi- ca del provvedimento approvativo del progetto, non è l’atto di programmazione urbanistica, bensì la rea- lizzazione dell’opera pubblica. Rispetto a quest’ulti-
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mo, l’effetto variante, attribuito dalla legge indipen- dentemente da una specifica manifestazione di volontà dell’organo deliberante, ha carattere mera- mente formale e strumentale, e precisamente quello di conferire a posteriori veste legale ad un intervento che altrimenti sarebbe trasgressivo dell’ordinamento giuridico.
Ed allora due ragioni concorrenti militano in favo- re della tesi dell’appellante.
La prima è quella che la variante implicita non ha la stessa natura degli atti di programmazione urbani- stica e non può essere pertanto compresa nel novero degli strumenti a difesa dei quali soccorrono le misu- re di salvaguardia. La variante, infatti, non è atto creativo di programmazione, ma piuttosto elemento di rottura dell’ordine urbanistico normato.
La seconda è quella che – a parte ogni pur giusta considerazione sul rapporto diacronico fra la legge del 1952 e quella del 1978 – le norme che fanno ecce- zione alle regole generali non possono trovare appli- cazione oltre i casi ed i tempi in esse considerati (art. 14 disp. prel.).
Cosicché sul punto può concludersi che la misura di salvaguardia nei confronti di una variante implici- ta non può trovare applicazione e che pertanto, per quanto riguarda il caso in esame, è ininfluente l’effi- cacia di variante attribuita alle due deliberazioni di giunta e di consiglio comunale approvative del pro- getto di completamento della via S. Xxxx.
Con questa parziale esclusione il discorso potreb- be ritenersi anche chiuso – posto che, per il venir me- no del presupposto sul quale si regge, ciò determina la caduta del decreto di salvaguardia adottato dal Pre- sidente della regione Calabria.
8) Data l’imporatnza della causa, il Collegio, tut- tavia non vuol mancare di pronunciarsi sugli altri profili di censura dedotti.
Per l’affinità col precedente punto, ritiene di dover esaminare la questione relativa alla vigenza delle mi- sure di salvaguardia all’epoca in cui sono state adot- tate le due deliberazioni (di giunta municipale e di consiglio comunale) approvative del progetto.
E come prima cosa tiene per fermo, come dato ir- refutabile, che l’effetto variante dei provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 1, l. n. 1 1978 è stato tenuto in vita sino al 31 dicembre 1987, e non come assume il Comune sino al 31 dicembre 1988 (art. 1 comma 3 l. 27 settembre 1986, n. 588). Altro dato di certezza è di codesto effetto era riservato soltanto alle delibe- razioni adottate dal consiglio comunale.
Ora, le deliberazioni assunte sull’affare in discus- sione sono due, e per entrambe occorre verificare se ricorrano le predette condizioni, e cioè la tempestività dell’atto e la sua attribuibilità al consiglio comunale. La prima, del 29 dicembre 1986, è della giunta municipale. Adottata entro il termine legale, non può tuttavia avere efficacia di variante perché non pro-
viene dal consiglio comunale.
La seconda è del consiglio comunale e contiene due principali determinazioni:
a) ratificare la deliberazione della giunta munici- pale 29 dicembre 1986, n. 5070;
b) «confermare come atto proprio la deliberazione
n. 5070 1986 ribadendo che l’approvazione del pro- getto in esame costituisce ad ogni effetto adozione di
variante allo strumento urbanistico vigente per le im- plicanze di natura urbanistica che l’attuazione dell’opera comporta (comma 5 dell’art. 1, legge 3 gennaio 1978, n. 3 e successive proroghe)».
Il primo punto da esaminare è se codesti due prov- vedimenti, adottati dopo la scadenza del termine del 31 dicembre 1987, abbiano effetto retroattivo. La ra- tifica – è pacifico – questo effetto ce l’ha. Epperò non altrettanto pacifico perché controverso, è se abbia anche quello di attribuire al consiglio la paternità dell’atto ratificato. Il Collegio propende per la tesi negativa. Ed invero il consiglio comunale, in sede di ratifica di una deliberazione adottata dalla giunta municipale per motivi di urgenza, è chiamato solo a verificare se ricorressero o meno gli estremi dell’ur- genza, e non anche a compiere valutazioni sull’op- portunità e convenienza della deliberazione stessa, che resta sempre atto di diversa autorità (Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 1972, n. 239).
Ciò si spiega col fatto che fino alla riforma del 1990 (art. 32 della legge n. 142, che sugli atti fonda- mentali crea una sfera di competenza riservata) il consiglio comunale non aveva l’esclusiva disponibi- lità dei poteri funzionali ad esso attribuiti, sicché si andrebbe sicuramente fuori strada qualora, alla ricer- ca di possibili analogie, si volesse istituire un paralle- lismo fra l’art. 140 del testo unico della legge comu- nale e provinciale, approvata con r.d. 4 febbraio 1915, n. 148, e gli art. 70 e 77 della vigente Costitu- zione. Nessun accostamento è possibile fra la ratifica e l’atto parlamentare di conversione in legge del de- creto adottato in via d’urgenza dal Governo.
Il vero è che in presenza di una situazione d’urgen- za i poteri del consiglio passano alla giunta municipa- le che li assume e li esercita come propri, residuando al consiglio nient’altro che un potere di controllo sulla sussistenza dei presupposti giustificativi dell’assun- zione di quei poteri.
Pertanto, appare conseguenziale che i provvedi- menti adottati nell’esercizio dei poteri medesimi so- no e restano atti di giunta municipale.
Per la parte relativa all’atto di convalida, con il quale il consiglio comunale ha fatto proprio l’atto della giunta municipale, vi è da dire che l’atto mede- simo, sanando il vizio d’incompetenza, rende possi- bile il passaggio al consiglio della paternità dell’at- to convalidato, ed altresì con efficacia retroattiva, come ritiene la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza. Ma ad una condizione, e cioè che l’autorità che procede alla convalida abbia ancora la disponibilità dell’effetto che l’atto convalidato ver- rebbe a produrre (Cons. giust. amm. 28 gennaio 1993, n. 5; Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 1996, n.
625).
Nel caso di specie, allorché il provvedimento ven- ne assunto (28 ottobre 1988), tale disponibilità non era più prerogativa del consiglio, essendo l’effetto variante venuto meno, per la scadenza del termine, il 31 dicembre 1987. La deliberazione consiliare n. 2585 del 1988 non può perciò conseguire l’effetto voluto perché il consiglio comunale nel momento in cui deliberava più non aveva il potere relativo.
Anche sotto questo ulteriore profilo, dunque, è il- legittima la deliberazione consiliare impugnata nella parte in cui conferisce effetto di variante al progetto
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di opera pubblica approvata, ed anche per questa ra- gione, come per la precedente, è illegittimo, per di- fetto del presupposto, l’impugnato decreto del Presi- dente della regione Calabria.
9) È parimenti fondata la censura dedotta in primo grado e ripresa in appello circa il difetto di motiva- zione da cui è affetto il provvedimento di salvaguar- dia, che trova la sua giustificazione nel fatto che la prosecuzione dei lavori di costruzione di un fabbrica- to in c.a. renderebbe più onerosa la realizzazione dell’opera pubblica (completamento via S. Xxxx), in quanto si verrebbe a verificare una notevole valoriz- zazione del suolo privato sul quale la stessa opera pubblica dovrebbe essere realizzata.
Pare al collegio che detta motivazione sia inade- guata rispetto ai parametri stabiliti dalla giurispru- denza. La quale in merito ha stabilito, ripetutamente e pacificamente che la misura di salvaguardia di cui al comma 2, l. n. 902 1952 può essere adottata solo previa attenta ponderazione dell’interesse primario tutelato dalla norma (la salvaguardia del piano rego- latore in itinere) con altri interessi privati e pubblici pure meritevoli di considerazione, e che, pertanto es- sa è illegittima ove sia mancata la attenta compara- zione dell’interesse all’attuazione del piano con gli altri consistenti interessi di opposto contenuto, allo scopo di stabilire se questi costituissero interessi mi- nori da subordinare e sacrificare al piano (per tutte: Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 1973, n. 556).
Non basta quindi l’affermazione, ripetitiva della formula dell’enunciato legislativo della sussistenza della maggiore onerosità della realizzazione del pia- no, ma occorre prima stabilire in che cosa consista la maggiore onerosità, e poi operare una comparazione
con il sacrificio imposto al privato, onde dedurre quale dei due, in quanto minore, sia preferibile sacri- ficare. E questa comparazione appare tanto più ne- cessaria nel caso di specie per due ordini di ragioni. In primo luogo perché trattasi non di salvaguardare un nuovo piano, ma di rendere immediatamente ope- rativa una variante riguardante solo la licenza che con la misura si viene a sospendere (Cons. Stato, sez. IV, 1° luglio 1977, n. 636); in secondo luogo per ra- gioni di trasparenza, per allontanare dallo Smeriglio ogni sospetto, pur legittimo in presenza di una vicen- da giudiziaria che ha assunto toni di asprezza, che ai suoi danni si sia voluto consumare un abuso.
10) Sul piano procedimentale, merita infine con- divisione la censura riguardante l’omesso adempi- mento delle formalità di cui agli art. 6 ss. legge 18 aprile 1962, n. 167.
Il tenore dell’art. 1 comma 5, legge 3 gennaio 1978,
n. 1, al riguardo è molto chiaro; per cui prima della sua approvazione con le modalità ivi indicate, la delibera- zione che adotta il progetto dell’opera pubblica non può dirsi efficace.
11) Alla stregua delle superiori considerazioni le due deliberazioni del comune di Reggio Calabria im- pugnate in primo grado devono ritenersi illegittime nella parte in cui attribuiscono l’effetto di variante al progetto di opera pubblica adottato, e conseguente- mente è illegittimo il provvedimento del Presidente della regione Calabria che su di essa fonda il proprio presupposto.
Quanto alle spese, appare giusto che esse seguano la soccombenza, nella misura che viene stabilita in dispositivo.
... Omissis ...
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IL COMMENTO
di Xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
La sentenza che si commenta affronta l’istituto del- la variante dello strumento urbanistico, implicita nell’approvazione del progetto d’opera pubblica ex art. 1, comma 5 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, for- nendone un’interpretazione che la sottrae dal novero degli atti di pianificazione del territorio. Detta varian- te, afferma il Consiglio di Stato, «è una qualificazione giuridica che l’atto di approvazione del progetto di opera pubblica acquista automaticamente col sempli- ce richiamo della norma di cui all’art. 1, l. n. 1/1978». Ne consegue che l’effetto di variante dello strumento urbanistico «ha carattere meramente formale e stru- mentale, e precisamente quello di conferire a posterio- ri veste legale ad un intervento che altrimenti sarebbe trasgressivo dell’ordinamento giuridico».
Le surriportate statuizioni offrono l’occasione per riflettere sui rapporti tra programmazione urbanisti- ca e localizzazione delle opere pubbliche.
Rapporto tra previsioni urbanistiche
e scelta localizzativa dell’opera pubblica
Nel nostro ordinamento il collegamento tra piani- ficazione urbanistica e realizzazione delle opere pubbliche è risalente nel tempo. Il principio, già rica- vabile dall’art. 92, l. n. 2359/1865, è enunciato
dall’art. 29, l. n. 1150/1942, secondo il quale le opere pubbliche non devono essere in contrasto con le pre- scrizioni del piano regolatore e del regolamento edi- lizio vigenti nel territorio in cui esse ricadono (1). Si tratta, peraltro, di principio che ha registrato numero- se eccezioni, tra cui quella della l. n. 1/1978 rappre- senta uno dei fenomeni più rilevanti (2). Com’è noto la legge 3 gennaio 1978, n. 1, sull’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche e di impianti in- dustriali, all’art. 1, comma 5 prevede, nel caso in cui vi sia l’esigenza di localizzare un’opera pubblica su area che gli strumenti urbanistici non destinano a pubblici servizi, un meccanismo di variante automa-
Note:
(1) Per una disamina dei rapporti tra pianificazione urbani- stica e realizzazione di opere pubbliche, si rimanda a Xxxxxxx Xxxxxxx, La dichiarazione di pubblica utilità, Milano, 1983. L’Autore ricava dall’esegesi delle norme della materia la conclusione della pienezza del principio per cui l’insedia- mento delle opere pubbliche deve sottostare al governo del territorio determinato dalla pianificazione urbanistica.
(2) Per un esame dei procedimenti di localizzazione di ope- re pubbliche si rimanda a Urbani–Xxxxxxxxxx, Diritto urbani- stico, Torino, 1994.
tica delle previsioni di piano connessa all’approva- zione del progetto (3). La legge, come dà atto la sen- tenza che si commenta, ha una precisa collocazione temporale, giustificata dalla necessità di imprimere una spinta produttiva all’economia nazionale, abbre- viando i tempi della procedura di approvazione delle opere pubbliche. L’eccezionalità del procedimento era collegata con la limitazione della durata tempora- le (tre anni) della norma ( comma 7 dell’art. 1). Il ter- mine, a dimostrazione dello straordinario favore in- contrato dalla disposizione «eccezionale», dopo ripetute proroghe, veniva definitivamente abrogato dall’art. 8, legge 10 febbraio 1989, n. 48. L’esperien- za concreta permette, oggi, di dire che l’esigenza ac- celeratoria, sottesa alla l. n.1/1978, non era di caratte- re transeunte. Ciò, d’altro canto, significa che il ruolo dello strumento urbanistico, identificato dalla legge urbanistica come fonte precettiva primaria, cui anche le opere pubbliche si devono adeguare, non è più tale, giacché il ricorso ad un procedimento di approvazio- ne del progetto d’opera pubblica con effetto di varia- zione automatica del piano, inverte il rapporto tra pianificazione e scelta particolare. In queste ipotesi, è stato notato (4) come, sul piano sostanziale, il com- pito della pianificazione urbanistica diventi quello di assorbire la scelta settoriale. Su di un piano più forma- le, si segnala la tesi di chi ravvisa nel procedimento di variante implicita una conferma che tutte le opere pubbliche sono sottoposte al regime della pianifica- zione urbanistica (5).
Il progressivo allargamento della sfera di discipli- na del territorio in variante implicita al piano regola- tore, costringe a domandarsi se a detta attività possa- no applicarsi gli strumenti tipici della pianificazione urbanistica, tra cui l’istituto delle misure di salva- guardia (6).
Lo stato della giurisprudenza
Sul piano ontologico, la natura della variante, co- siddetta implicita, ex l. n. 1/1978 non risulta approfon- dita dalla giurisprudenza corrente. In talune massime si legge che la delibera comunale di approvazione di un progetto d’opera pubblica, in variante alle previ- sioni del piano regolatore, ai sensi dell’art. 1, l. n. 1/1978, è immediatamente impugnabile in quanto co- stituisce presupposto per l’applicazione delle misure di salvaguardia (7). La medesima giurisprudenza af- ferma, nel contempo, che la variante introdotta ai sen- si dell’art. 1, 5 ° comma l. n. 1/1978 è inefficace sino al momento dell’approvazione regionale (8). L’affer- mazione si collega alla regola secondo cui, presuppo- sto di legittimità del procedimento espropriativo e del progetto dell’opera, è la conformità alla disciplina ur- banistica, nel senso che l’insediamento delle opere pubbliche deve sottostare al governo del territorio de- terminato dalla pianificazione urbanistica (9).
Il problema del coordinamento tra adozione del progetto d’opera pubblica e disciplina urbanistica non si esaurisce nei termini sopra esposti. Uno spun- to che merita approfondimento viene dalla sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato, 1° giugno 1989, n. 356 (10), secondo cui: «la valenza urbanisti- ca dell’approvazione di un progetto di opera pubbli- ca a norma dell’art. 1, comma 5, della l. n. 1/1978, non
consiste nell’assimilazione di detta delibera ad un atto di pianificazione generale, bensì introduce una certa
Note:
(3) La disposizione in parola testualmente prevede che:
«Nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli stru- menti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi, la deliberazione del consiglio comunale di approva- zione del progetto costituisce adozione di variante degli strumenti stessi, non necessita di autorizzazione regionale preventiva e viene approvata con le modalità previste dagli articoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167, e suc- cessive modificazioni ed integrazioni».
(4) Xxxxxx Xxxxxxx, Profili funzionali dell’urbanistica, Milano, 1984, 55 ss.
(5) Cfr. Xxxxxxx Xxxxxxx, op. cit. L’Autore, per fronteggiare le opposte tesi di chi ravvisava nella l. n. 1/1978 una sorta di
«sbandamento» della localizzazione delle opere pubbliche nella pianificazione, sottolinea che la previsione della tem- poraneità (oggi, peraltro, venuta meno) conferma la prima- rietà del ruolo della definizione urbanistica dell’assetto dei luoghi sulla determinazione e realizzazione delle opere pub- bliche.
(6) Ricordiamo che le misure di salvaguardia, disciplinate dall’art. unico della l. n. 1902/1952 e succ. mod. ed int., rap- presentano il potere di sospendere ogni determinazione sul- le domande di concessione edilizia in contrasto con il piano regolatore, il programma di fabbricazione ed i piani partico- lareggiati a far tempo dalla loro data di adozione. La giuri- sprudenza ne sottolinea il carattere cautelare, strumentale ad impedire la realizzazione di opere in contrasto con gli obiettivi dello strumento urbanistico; cfr. Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 1989, n. 356 in Cons. Stato, 1989, I, 615.
(7) Cfr. Tar Abruzzo – L’Aquila, 20 gennaio 1984, n. 23 e 28 maggio 1984, n. 257, in I T.A.R., 1984, I, 1020 e 2229; Tar Lazio – Latina, 9 luglio 1986, n. 278 e 17 luglio 1986, n. 304, in I T.A.R., 1986, I, 2737 e 2741; Tar Lombardia – Milano, sez. II, 27 febbraio 1987, n. 19, in I T.A.R., 1987, I, 1346. Analogo principio si trae da Tar Lazio – Latina, 21 dicembre 1991, n. 1368, in I T.A.R., 1992, I, 123, che – in parte motiva – qualifica la delibera comunale di approva- zione del progetto d’opera pubblica come proposta di va- riante del piano regolatore generale. L’applicabilità delle misure di salvaguardia, previste dall’articolo unico l. n. 1902/1952 a tutela della conclusione del procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, suppone l’assimila- zione della «variante» ex lege n. 1/1978 alle varianti degli strumenti di pianificazione urbanistica. In questo senso si legge nella decisione del Tar Lazio – Latina, 9 luglio 1986,
n. 278, cit.: «La delibera comunale di approvazione di un progetto di opera pubblica in variante alle destinazioni del- lo strumento urbanistico vigente, ai sensi dell’art. 1, com- ma 5, legge 3 gennaio 1978, n.1, è immediatamente impu- gnabile prima dell’approvazione regionale, in quanto produce gli stessi effetti lesivi dell’atto di adozione del pia- no regolatore o di una sua variante».
(8) Cfr. Tar Abruzzo – L’Aquila, 20 gennaio 1984, n. 23 cit. Esprimono il medesimo avviso: Cons. Stato, sez. IV, 15 lu- glio 0000, x. 000, xx Xxxx. Xxxxx, 0000, X, 000; Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 0000, x. 000, xx Xxxx. Xxxxx, 0000, X, 000; Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 0000, x. 000, xx Xxxx. Xxxxx, 0000, X, 000; Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 1997, n. 336, in Giornale dir. amm., 1997, n. 8, 755.
(9) Sul punto cfr.: Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 1989, n. 356, cit.; Cons. Giust. sic., 11 luglio 1985, n. 100, in Cons. Stato, 1985, I, 834, secondo cui: «l’acquisizione del suolo occorrente per la realizzazione di un’opera pubblica deve sempre presupporre la disponibilità urbanistica del suolo stesso, ossia la compatibilità del progettato insediamento con le prescrizioni del piano regolatore generale». In termini si leggano: Tar Sardegna, 5 aprile 0000, x. 000, xx X X.X.X., 0000, X, 0000; Tar Veneto, sez. I, 24 maggio 0000, x. 000, xx X X.X.X., 0000, X, 0000; Tar Puglia – Bari, sez. II, 9 aprile 1992, n. 143, in I T.A.R., 1992, I, 2256.
(10) Cit. sub nota 8.
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elasticità nelle preesistenti destinazioni dello stru- mento urbanistico generale vigente». L’approvazio- ne regionale si spiega, secondo altra sentenza della IV sezione (11), «sotto il duplice profilo che si viene:
a) a contraddire scelte originariamente compiute in modo formale e presumibilmente ponderato nonché con il concorso della stessa Regione; b) a sacrificare aspettative private legittimamente fondate sullo stru- mento vigente». Fornisce ulteriore materia di rifles- sione sulla natura, urbanistica o meno, della variante implicita ex art. 1, l. n. 1/1978, la ulteriore statuizione contenuta nella sentenza testé citata che nega la pos- sibilità di ricorrere a quello strumento qualora il Co- mune non sia dotato di uno strumento urbanisti- co (12). Anche se non va trascurata l’esistenza di opinioni contrarie, secondo cui –ad esempio– la va- riante a norma dell’art. 1, comma 5, l. n. 1/1978 può incidere anche su di un piano regolatore ancora in iti- nere (13).
Le variegate statuizioni della giurisprudenza nella travagliata materia delle espropriazioni ex l. n. 1/1978, che abbiamo passato in rassegna, danno la misura dell’oscillazione tra l’affermazione del primato della pianificazione urbanistica sulla progettazione delle opere pubbliche e la tendenza a far prevalere la scelta progettuale concreta, rispetto a quelle previste dai pia- ni urbanistici, con una valenza di tipo pianificatorio.
La posizione della sentenza n. 421/1997
La sentenza n. 421/1997 della IV sezione del Con- siglio di Stato si segnala per lo sforzo ricostruttivo del- la fattispecie della variante implicita. Essa parte dalla definizione della variante ordinaria, prevista dall’art. 10, l. n. 1150/1942, di cui riconosce natura e funzione omogenee al piano regolatore (14), per concludere che la variante implicita, ex art. 1, comma 5, l. n. 1/1978, non ha la stessa natura degli atti di program- mazione urbanistica, in quanto non è «atto creativo di programmazione, ma piuttosto elemento di rottura dell’ordine urbanistico normato». Difatti la variante implicita rappresenta «una qualificazione giuridica che l’atto di approvazione del progetto di opera pub- blica acquista automaticamente col semplice richia- mo della norma di cui all’art. 1, l. n. 1/1978. e ciò an-
che quando il progetto sia in contrasto con le previsioni del piano urbanistico, e senza neppure l’ob- bligo di una previa verifica della sua compatibilità». Detto effetto automatico prova che «la causa tipica del provvedimento approvativo del progetto, non è l’atto di programmazione urbanistica, bensì la realizzazione dell’opera pubblica. Rispetto a quest’ultimo, l’effetto variante, attribuito dalla legge indipendentemente da una specifica manifestazione di volontà dell’organo deliberante, ha carattere meramente formale e stru- mentale, e precisamente quello di conferire a posterio- ri veste legale ad un intervento che altrimenti sarebbe trasgressivo dell’ordinamento giuridico». Quest’ano- malia nel rapporto gerarchico tra programmazione ur- banistica e progettazione dell’opera pubblica, insita nella l. n. 1/1978, è stigmatizzata dal Consiglio di Sta- to in quanto viene messo in crisi il principio di legalità dell’azione amministrativa «atteso che le Ammini- strazioni pubbliche sono rimaste praticamente svinco- late per tutta la durata della deroga, dall’osservanza
delle previsioni urbanistiche per la realizzazione delle opere pubbliche di loro competenza».
Il corollario di queste affermazioni è che la varian- te implicita non può essere compresa nel novero de- gli strumenti a difesa dei quali sono poste le misure di salvaguardia (15). Né l’applicazione delle misure di salvaguardia può discendere da un’interpretazione estensiva della l. n. 1902/1952, in quanto vi osta la previsione dell’art. 14 delle preleggi, in base alla quale le norme che fanno eccezione a principi gene- rali non possono essere applicate oltre i casi in esse previsti.
Considerazioni conclusive
Il dilemma ricostruttivo, le cui possibili soluzioni sono state sin qui passate in rassegna, va, a conclusio- ne del presente scritto, calato nell’esegesi della nor- ma positiva. L’art. 1, l. n. 1/1978 si apre con l’attribu- zione della pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, implicita all’approvazione del progetto. La dichiarazione di pubblica utilità, che è il primo atto del procedimento espropriativo, ai sensi del comma 3 della disposizione citata, cessa di avere effetto se i lavori non vengono iniziati entro il triennio: è evi- dente il monito del legislatore perché la celerità im- pressa al procedimento non venga vanificata in sede di realizzazione del progetto. Il successivo comma 4 introduce una prima possibilità di discostarsi dalle previsioni del piano regolatore, giacché l’approva- zione del progetto di un’opera non corrispondente al- lo specifico servizio pubblico indicato nello stru-
Note:
(11) Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1987, n.247, in Cons. Stato, 1987, I, 538.
(12) Cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, n. 473, in Cons. Stato, 1984, I, 706, il quale osserva che la particolare procedura espropriativa prevista dall’art. 1, l. n. 1/1978 è utilizzabile so- lo in presenza di uno strumento urbanistico approvato ed ef- ficace, perché altrimenti verrebbe a mancare il richiesto ac- certamento della conformità dell’opera pubblica all’assetto territoriale pianificato.
(13) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 1986, n. 363, in
Cons. Stato, 1986, I, 654.
(14) È regola pacifica: cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 29 lu- glio 1980, n. 807, in Cons. Stato, 1980, I, 973. La giurispru- denza avverte che lo ius variandi è connaturale alla funzio- ne di programmazione urbanistica e non incontra limiti di di- mensione, a condizione che sia la risultante di una scelta di carattere generale: in questi termini Cons. Stato, sez. IV, 27 dicembre 1988, n.1083, in Cons. Stato, 1988, I, 1585; Tar Lazio, sez. II, 20 maggio 1991, n.904, in I T.A.R., 1991, I, 2154.
(15) Diversa conclusione vale per le varianti ordinarie, a cui la sentenza n. 421/1997 riconosce l’applicabilità delle misu- re di salvaguardia, in considerazione della loro omogeneità con il piano regolatore generale. La regola è ricorrente; in termini cfr. Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1987, n. 246, in Cons. Stato, 1987, I, 538; Cons. Stato, sez. V, 17 novembre 1994, n. 1332, in Cons. Stato, 1994, I, 1569. La giurispru- denza riconosce la possibilità di applicare le misure di salva- guardia anche ad altri strumenti: per i piani di ricostruzione, cfr. Cons. Stato, sez. II, 30 giugno 1982, n. 733, in Cons. Stato, 1984, I, 1614; per i piani di recupero, cfr. Tar Lombar- dia – Brescia, 2 febbraio 1985, n. 1856, in I T.A.R., 1985, I, 1269; per i piani di edilizia economica e popolare, cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 dicembre 1976, n. 1489, in Foro amm., 1976, I, 2995.
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mento urbanistico vigente, non comporta necessità di varianti a quest’ultimo. La «rottura» con il princi- pio del primato del piano regolatore raggiunge l’api- ce nel comma 5, il quale prevede che l’approvazione del progetto dell’opera su area non destinata a pub- blici servizi «costituisce adozione di variante degli strumenti stessi, non necessita di autorizzazione re- gionale preventiva e viene approvata con le modalità previste dagli artt. 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modificazioni ed integra- zioni». Com’è noto, la necessità di autorizzare pre- ventivamente la variante al piano regolatore era det- tata dall’art. 10, l. n. 1150/1942 (16); si trattava di autorizzazione volta a verificare la corrispondenza della proposta modifica con i criteri informatori del piano. L’esenzione da tale sub–procedimento evi- denzia la frattura con la programmazione urbanisti- ca. In questo senso appaiono particolarmente perti- nenti le notazioni della giurisprudenza, che abbiamo in precedenza esaminato, la quale sottolinea come l’effetto conformativo sia una presa d’atto della scel- ta sottesa all’opera pubblica (17). Resta da verificare il significato del richiamo agli artt. 6 e ss., l. n. 167/1962 e succ. mod. ed int.. Ricordiamo che gli artt. 6 e ss., legge cit., regolano il procedimento di pubblicazione, ed approvazione dei piani di edilizia economica e popolare; in particolare, l’art. 8 prevede la possibilità di approvare piani in variante al piano regolatore, mentre l’art. 9 equipara i piani per le zone di edilizia economica e popolare ai piani particola- reggiati, attribuendo i medesimi effetti; soggiungia- mo che tra gli effetti dell’adozione del piano partico- lareggiato, vi è proprio l’applicazione delle misure di salvaguardia (ex art. unico, l. n. 1902/1952). Sen- nonché il rimando dell’art. 1, comma 5, l. n. 1/1978 agli artt. 6 ss., l. n. 167/1962 è rivolto alle «modalità» e quindi al procedimento disciplinato da queste nor- me, nulla dicendo circa il contenuto delle stesse, quando, invece, l’art. 9, l. n. 167/1962 stabilisce espressamente l’effetto («hanno valore») equiordi- nato dei piani per l’edilizia economica e popolare e dei piani particolareggiati. Il silenzio del legislatore conduce ad un’interpretazione restrittiva della porta- ta del richiamo alla l. n. 167/1962, limitato al proce- dimento. Corrobora questa conclusione l’ulteriore disposizione, contenuta al comma 6 dell’art. 1, l. n. 1/1978, secondo cui la Regione approva il progetto in variante nei successivi 60 giorni. Tale celerità pro- cedimentale (non può importare se nella prassi non viene rispettata) si discosta dalla sequenza discipli- nata dall’art. 8, l. n. 167/1962, riducendo ancora i tempi di approvazione. La spinta acceleratoria trova rispondenza in altre fasi del procedimento: ricordia- mo l’insegnamento della giurisprudenza maggiorita- ria, che non ritiene necessario, nel sistema della l. n. 1/1978, adempiere alle formalità partecipative ex att. 10 e 11, l. n. 865/1971, prima dell’emanazione del decreto d’occupazione d’urgenza, ritenendo che det- te formalità garantistiche possano essere svolte nel corso del procedimento espropriativo, proprio in considerazione delle esigenze di rapidità nell’attua- zione dei progetti di opere pubbliche (18).
In conclusione, l’interpretazione letterale condu-
ce, ad avviso di chi scrive, ai medesimi risultati
dell’esame ontologico della fattispecie svolto dalla sentenza n. 421/1997, in commento.
La riconduzione dell’atto di approvazione dell’opera pubblica nell’ambito del procedimento espropriativo, sfrondato da implicazioni di program- mazione urbanistica, permette di applicare al proble- ma dell’eventuale rilascio – in pendenza del procedi- mento di approvazione regionale – di concessioni edilizie, antitetiche alla realizzazione dell’opera pub- blica, le regole proprie dell’espropriazione; è noto che il potere ablatorio non trova impedimento nella pre- senza di fabbricati sull’area: già la l. n. 2359/1865 par- la di espropriazione di «immobili» e non di aree. In definitiva, sino a quando il procedimento dichiarativo della pubblica utilità non sia pervenuto alla piena effi- cacia (19), non appare legittimo il diniego dell’auto- rizzazione ad edificare (20).
Note:
(16) Per l’art. 25, comma 3, l. n. 47/1985 le varianti urbanisti- che non sono più soggette a preventiva autorizzazione re- gionale.
(17) Oltre alla sentenza in commento, si rinvia a: Cons. Sta- to, sez. IV, 1° giugno 1989, n. 356, cit. sub nota n. 8; Cons. Stato, sez. IV, 27 aprile 1987, n. 247, cit. sub nota 11.
(18) La regola, elaborata da: Cons. Stato, Ad. plen., 18 giu- gno 1986, n. 6 e 9 ottobre 1986, n.10, in Cons. Stato, 1986, I, 747 e 1431 è condivisa dalla successiva giurisprudenza, cfr. ad esempio: Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 1993, n.1021, in Cons. Stato, 1993, I, 1411; Cons. Stato, sez. IV, 29 maggio 1995, n. 400, in Cons. Stato, 1995, I, 646.
(19) Si rimanda alla giurisprudenza citata sub nota 8.
(20) Secondo un risalente orientamento della giurispruden- za, pur con la doverosa avvertenza che si tratta di decisioni precedenti alla l. n. 1/1978. Cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1967, n. 295, in Foro amm., 1967, I, 525; ed inoltre: Cons. Stato, sez. V, 22 aprile 1961, n. 155; sez. IV, 14 marzo 1961,
n. 165; sez. V, 14 marzo 1959, n. 160, tutte in Mass. giur. Cons. Stato, 1932–1961, 1582.
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
Processo amministrativo
VALUTAZIONI TECNICHE E ISTRUTTORIA
DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
G
GIURISPRUDENZA
Amministrativa
Tar Lombardia, sez. III, 12 maggio 1997, n. 586 – Pres. Mariuzzo – Est. Savoia – S.r.l. Flo- rentia c. IACP Milano e Impresa Pessina
2.13826
La cognizione del giudice amministrativo non è limi- tata al c.d. sindacato esterno, inerente alla congruità e alla ragionevolezza delle valutazioni compiute dall’Amministrazione, ma si estende anche alla fon- datezza della pretesa fatta valere dal ricorrente in giudizio e quindi alla verifica della conformità dell’operato dell’Amministrazione rispetto alla nor- ma. Ai fini di tale verifica il giudice amministrativo può disporre una consulenza tecnica, ancorché la vertenza attenga a un provvedimento che sia espres- sione di discrezionalità tecnica (nella fattispecie si trattava della verifica dell’anomalia di un’offerta per un appalto): l’ammissibilità della consulenza si ricava dal codice di procedura civile e dai principi sul processo affermati dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.
... Omissis ...
Fatto e diritto
Rilevato:
che con i ricorsi in epigrafe la ditta ricorrente ha im- pugnato, da una parte, le determinazioni con cui lo IACP ha provveduto all’approvazione della gara per i lavori relativi alla manutenzione straordinaria, all’adeguamento di impianti e all’abbattimento di bar- riere architettoniche per gli stabili ubicati in Xxxxxx, Xxx Xxxxxxxx 0 e Xxx Xxxxxxx 0, fabbricati nn. 12 e 13, limitatamente al III lotto, e, dall’altra, la definitiva ag- giudicazione degli stessi lavori alla ditta Pessina;
che i detti ricorsi possono essere riuniti, attesa la loro connessione oggettiva e soggettiva;
che nella relativa gara a procedura aperta veniva individuata la soglia di anomalia, con successiva ve- rifica dell’offerta delle ditte prima e seconda classifi- cata, estranea restando da detta verifica la ricorrente, collocatasi al terzo posto della graduatoria di gara;
che a’ sensi dell’art. 21 della l. n. 109/1994 le ditte partecipanti sono obbligate, a pena di esclusione, a presentare le giustificazioni dei prezzi offerti per le voci maggiormente significative, pari ad almeno il 75% dei lavori;
che l’istituto resistente, al momento della verifica dell’anomalia dell’offerta della prima ditta, aveva considerato solo quelle presentate in sede di gara, e, senza richiedere nuove giustificazioni, le aveva rite- nute congrue, escludendo conseguentemente la ne- cessità di acquisirne delle altre;
che la ricorrente ha censurato siffatto modo di agi- re, contestando sia la mancanza di verifica sia la in- congruenza della stessa, ritenendo l’offerta econo- micamente non valida;
che, inoltre, a suo avviso l’offerta avrebbe dovuto essere esclusa automaticamente sul solo fondamento della acclarata anomalia, tale essendo la previsione normativa allora vigente;
che la Sezione ha respinto la domanda di sospen- sione dell’aggiudicazione, ritenendo non applicabile la invocata esclusione automatica;
che la ricorrente ha proposto motivi aggiunti, rei- terando l’istanza cautelare, nuovamente respinta;
che il Consiglio di Stato, adito in sede di appello, ha annullato l’ordinanza della Sezione sul presuppo- sto della mancata verifica dell’anomalia dell’offerta da parte dell’istituto resistente;
che quest’ultimo, conformandosi senza riserva al- cuna alla pronuncia del Consiglio di Stato, ha xxxxxx- sto alle ditte interessate le giustificazioni della rispet- tiva offerta, le quali venivano ritenute congrue;
che lo IACP ha quindi nuovamente aggiudicato la gara alla ditta controinteressata e che pure tale aggiu- dicazione è stata qui gravata, sia per motivi analoghi a quelli proposti con il primo ricorso, sia perché an- che la nuova valutazione di congruità sarebbe immo- tivata e priva di riscontri oggettivi;
che anche in tale secondo giudizio venivano pro- posti motivi aggiunti, mentre la pronuncia cautelare veniva differita alla decisione del merito;
ritenuto:
che la delibera impugnata con il primo ricorso è sta- ta integralmente sostituita da quella successiva, che ne ha confermato il dispositivo, epperò previo adempi- mento dell’obbligo di verifica dell’anomalia e conse- guente accertamento della serietà ed attendibilità dell’offerta originariamente presentata dall’impresa aggiudicataria;
che i due ricorsi hanno dunque ad oggetto l’identi- ca gara, rispetto alla quale il ricordato intervento del Consiglio di Stato, ancorché adottato in sede cautela- re, ha indotto l’Istituto a rinnovare parzialmente il procedimento per ricondurlo a canoni di legittimità; che la rivalutazione dell’offerta presentata dalla controinteressata, nonché di quella della seconda graduata debbono essere conseguentemente verifi- cate con riferimento alla contestata antieconomicità delle stesse, dedotta con il primo ricorso e reiterata
con il secondo;
che va quindi affermato che la presente controver- sia è sostanzialmente unica proponendosi la ricor- rente, dopo aver visto accolta la domanda pertinente l’obbligo di verifica, di far accertare in giudizio la fondatezza della susseguente pretesa di aggiudicare
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la gara a suo favore, previa dimostrazione del presup- posto di fatto della ridetta non accettabilità delle altre offerte presentate dalle controinteressate;
che per quanto attiene all’eccezione di inammissi- bilità del secondo ricorso, sollevata dall’Istituto sul ri- lievo che la seconda aggiudicazione sarebbe interve- nuta in mera esecuzione della pronuncia cautelare del Consiglio di Stato, va osservato che, diversamente da quanto a tal fine argomentato, si tratta di delibera che, riprendendo autonomamente in esame la vicenda di gara, ha sì reiterato la precedente aggiudicazione, ma sulla scorta di elementi nuovi e diversi rispetto a quelli innanzi apprezzati;
che in sede di discussione orale la ricorrente ha ri- chiesto l’ammissione di una verificazione o consu- lenza tecnica d’ufficio, sia pure subordinatamente al non accoglimento delle dedotte censure di natura sin- tomatica;
considerato:
che la Sezione ha da tempo affermato che, «per quanto attiene all’individuazione dei presupposti della fattispecie normativa, la cognizione in sede giurisdizionale non può ritenersi limitata all’accerta- mento dei vizi dell’atto e al solo sindacato esterno di quest’ultimo, ma si confronta direttamente con la norma anche ai fini di una possibile diversa defini- zione della vicenda litigiosa, onde accertare la fonda- tezza della pretesa affacciata in giudizio» (cfr. Tar Lombardia, sez. III, 16 luglio 1996, n. 1198);
che se nella controversia in esame ci si limitasse al
c.d. sindacato esterno, il giudice dovrebbe, alla luce delle censure di carenza di motivazione, limitarsi a va- lutare la congruità e logicità delle ragioni addotte dalla Commissione stessa, il che definirebbe solo il pendente rapporto processuale, ma non già l’instaurata contro- versia, contestualmente affidata a ragioni sostantive, direttamente incidenti sul possibile esito della gara;
che, infatti, siffatto modo di condurre il processo, procedendo attraverso l’eventuale assorbimento dell’ultima doglianza dedotta, lascerebbe in ombra i reali contenuti della vicenda litigiosa, che si defini- sce non già nell’astratta valutazione sulla esattezza del ragionamento dell’Istituto, quanto sulla reale e concreta sufficienza delle giustificazioni addotte a comprova della serietà delle offerte, presentate dalle imprese controinteressate;
che è avviso del Collegio che soltanto per tale via sia possibile garantire in concreto l’effettività della tutela giurisdizionale in ordine allo svolgimento del- la gara all’esame;
che è conseguentemente necessario ai fini del de- cidere accertare se le giustificazioni prodotte dalle controinteressate a richiesta dell’Istituto siano o me- no idonee ad accreditare l’affidabilità delle offerte presentate: e ciò sul fondamento di elementi di ordi- ne rigorosamente oggettivo, quali i listini dei prezzi, i contratti di lavoro ovvero anche la particolare capa- cità organizzativa della stessa società;
che va conseguentemente disposta una consulen- za tecnica d’ufficio preordinata a consentire la ri- chiesta verifica;
che la circostanza che si verta nella specie in tema di discrezionalità tecnica non esclude l’ammissibili- tà di tale mezzo di prova coerentemente con l’orien- tamento espresso dalla Sezione nella sentenza n. 458/96, laddove ha affermato che «con riguardo a tutti i processi diversi da quello avanti il giudice ordi- nario, il codice di procedura civile rappresenta il pro- totipo di essi, al quale va quindi fatto necessario rife- rimento» (cfr. Corte Cost. 17 maggio 1995, n. 177;
Cons. Giust. xxx.xx, 13 giugno 1996, n. 196);
che nella medesima pronuncia è stato, poi, richia- mato l’art. 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848 e direttamente applicabile nel processo ammi- nistrativo (cfr. ord. n. 64/1994 della Corte Cost.), per affermare che deve essere costantemente garantita la parità delle posizioni processuali in causa, in modo che ciascuna di esse possa far valere le proprie prete- se, attingendo ad un adeguato regime probatorio;
che detto ordine di idee è rafforzato dalla congiun- ta, tassativa prescrizione dell’art. 13 della stessa Convenzione, che codifica il diritto al giusto proces- so, quale garanzia a che le pretese affacciate davanti ad un Giudice siano da questi saggiate sul loro intrin- seco fondamento di fatto e di diritto (cfr. sent. 20 ago- sto 1996, n. 1319 della Sezione);
che al fine di espletare il suddetto mezzo istrutto- rio va data delega al Giudice relatore quanto alla no- mina del CTU, al giuramento di questi e alla formula- zione dei quesiti;
... Omissis ...
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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IL COMMENTO
di Xxxx Xxxxx
Premessa
La sentenza del Tar Lombardia, sez. III, può essere presa in considerazione da due punti di vista diversi. Il primo punto di vista riguarda l’interpretazione accolta dal Tar, in riferimento alla possibilità, per il giudice amministrativo, di disporre in via generale una consulenza tecnica. Da questo punto di vista la soluzione accolta dal Tar non mi pare condivisibile. Il secondo punto di vista riguarda l’esigenza di una riflessione più incisiva sui mezzi istruttori a di- sposizione del giudice amministrativo, nelle ipotesi di giurisdizione di sola legittimità. Da questo altro
punto di vista la pronuncia del Tar Lombardia espri- me il disagio (condivisibile) di fronte a una disciplina dei mezzi istruttori che risulta inadeguata.
Inammissibilità della consulenza tecnica nel nostro processo amministrativo
Con riferimento alla giurisdizione amministrativa di legittimità, l’art. 44, comma 1, t.u. Cons. Stato, che a sua volta riproduce l’art. 16 della legge Crispi del 1889, dispone che il giudice amministrativo possa
«richiedere ... nuovi schiarimenti o documenti, ovve- ro ordinare all’amministrazione ... di fare nuove veri- ficazioni». Solo nelle ipotesi di giurisdizione di me-
xxxx, ai sensi dell’art. 44, comma 2, t.u. Cons. Stato, il giudice amministrativo «può inoltre ordinare qua- lunque altro mezzo istruttorio», che l’art. 27, r.d. 17 agosto 1907, n. 642, specifica in esame di testimoni, effettuazione di ispezioni, esecuzione di perizie.
Queste disposizioni sono state interpretate nel sen- so che nelle ipotesi di giurisdizione di legittimità siano ammesse richieste di chiarimenti, di documenti o di verificazioni e che siano invece escluse le perizie e gli altri mezzi di prova consentiti per la giurisdizione di merito (1). La perizia (consulenza tecnica) è ammessa solo, con norma che ha carattere d’eccezione, dall’art. 16, legge 28 gennaio 1977, n. 10, sul contenzioso in materia edilizia, ed è stata introdotta, in seguito a un noto intervento della Corte costituzionale, nel conten- zioso in materia di pubblico impiego (2).
L’esclusione della perizia nel processo amministra- tivo di legittimità fu riconosciuta anche da quella au- torevole dottrina che, alla considerazione della cospi- cua limitazione nei mezzi istruttori per i giudizi di legittimità, replicò che «nel potere di ordinare all’Am- ministrazione di fare nuove verificazioni è incluso an- che quello di ordinare che le dette verificazioni assu- mano il contenuto di una perizia, di un accesso od ispezione o di una inchiesta testimoniale» (3). L’as- sunzione, nei contenuti di una verificazione, di analisi proprie delle perizie o consulenze tecniche non com- portava, infatti, l’ammissibilità della consulenza tec- nica nel processo amministrativo, ma comportava so- lo la possibilità di acquisire al processo attraverso lo strumento delle verificazioni elementi di giudizio ana- loghi a quelli che si sarebbero potuti acquisire con le perizie.
L’inammissibilità della consulenza tecnica è stata dichiarata massicciamente dalla giurisprudenza am- ministrativa (4) e riconosciuta anche dalla giurispru- denza costituzionale (5), e non mi sembra possa esse- re negata attraverso il richiamo al codice di procedura civile. Innanzi tutto, come ci ricordano le analisi di Ni- gro su questo tema, si deve escludere qualsiasi auto- matismo circa l’applicabilità del codice di procedura civile per superare lacune delle leggi sul processo am- ministrativo: processo civile e processo amministrati- vo corrispondono a modelli diversi e gli istituti del pri- mo non trovano necessariamente riscontro nel secondo (6). Inoltre il richiamo al codice di procedura civile può essere giustificato in presenza di una lacuna evidenziabile nella disciplina del processo ammini- strativo: nel caso in esame, invece, non si ha una lacu- na, perché il quadro dei mezzi istruttori nel processo amministrativo è sufficientemente delineato dalla leg- ge. In questo caso attraverso il richiamo al codice di rito non si vorrebbe colmare una lacuna, ma si vorreb- be ottenere un ampliamento dei mezzi istruttori con- templati dalla legge.
Anche il riferimento alla Convenzione europea per i diritti dell’uomo non pare decisivo, a sostegno della soluzione accolta dal Tar (7). Il principio della parità delle posizioni processuali, che il Tar desume dagli artt. 6 e 13 della Convenzione, trova riscontro nel principio dell’equilibrio delle parti nel processo e particolarmente nel contraddittorio, che è già desu- mibile dall’art. 24 Cost. ed è stato più volte affermato dalla Corte costituzionale anche rispetto al processo amministrativo. Corollario di questo principio è la il-
legittimità di ogni posizione di privilegio dell’Am- ministrazione nel giudizio amministrativo, come ha chiarito puntualmente la Corte in varie occasioni (8). Ma allora, se si ritiene che l’esclusione della consu- lenza tecnica possa configurare un ingiusto privile- gio processuale per l’Amministrazione, la soluzione va ricercata in termini di illegittimità costituzionale, e non attraverso una pronuncia che eviti l’applicazio- ne della disciplina incostituzionale.
Sorge quindi il dubbio che il richiamo alla Con- venzione europea abbia rappresentato, nella senten- za in esame, un espediente per evitare di porre il pro- blema nei suoi termini più lineari, ossia nei termini di una questione di legittimità costituzionale. E que- sto dubbio risulta accentuato dal fatto che la Corte costituzionale, nel 1989, era già stata chiamata a pro- nunciarsi sulla legittimità della limitazione dei mezzi istruttori nella giurisdizione amministrativa di legit- timità e aveva dichiarato la questione infondata e inammissibile: infondata perché la Corte non ha ri- scontrato alcuna lesione del diritto alla difesa, e inammissibile perché la concreta inclusione di un mezzo istruttorio in un dato sistema processuale ine- rirebbe, secondo la Corte, alla discrezionalità del le- gislatore (9). D’altra parte una questione analoga,
Note:
(1) Cfr. in questo senso già La Torre, Il sistema delle prove avanti il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, in Studi in occasione del centenario del Consiglio di Stato, vol. III, Roma, 1932, 573.
(2) Xxxxx Xxxx. 00 aprile 1987, n.146, in Dir. proc. amm., 1987, 558, che ha comportato l’introduzione nel processo amministrativo sul pubblico impiego dei mezzi istruttori am- messi nel processo del lavoro. A fronte di una interpretazio- ne restrittiva della portata di questa pronuncia della Corte costituzionale, quale si riscontra attualmente in certa giuri- sprudenza amministrativa, va ribadito che la pronuncia del- la Corte (come è evidenziato anche dal confronto con Corte Cost. 28 giugno 1985, n. 190, in Foro it., 1986, I, 1) si riferi- sce ad ogni ipotesi di giudizio in materia di pubblico impiego, indipendentemente dal fatto che siano coinvolti diritti sog- gettivi o interessi legittimi, o che il giudizio attenga a pretese patrimoniali o all’impugnazione di provvedimenti. In questo quadro si valuti anche Tar Lombardia, sez. III, 11 aprile 1996, n. 463, in Foro it., 1997, III, 118 (richiamato nella sen- tenza in commento), che ha ammesso la consulenza tecni- ca nel giudizio concernente un diniego di assunzione (per inidoneità psichica) in esito a un pubblico concorso.
(3) Xxxxxx, Sulle prove nel procedimento dinanzi alle giuri- sdizioni di giustizia amministrativa, in Giur. it., 1916, III, 106.
(4) Cfr., per esempio, Tar Xxxxxx–Romagna 24 novembre 1992, n. 369, in Trib. amm. reg., 1993, I, 160.
(5) Xxx. Xxxxx Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 1989, I, 2700.
(6) Xxxxx, L’appello nel processo amministrativo, Milano, 1960, 47 ss.
(7) Sui riflessi della Convenzione europea sul processo am- ministrativo, cfr. Xxxxx, La convenzione europea dei diritti dell’uomo nella giurisprudenza dei giudici amministrativi ita- liani, in Dir. amm., 1996, 499 ss.
(8) Cfr., per esempio, Xxxxx Xxxx. 00 dicembre 1974, n. 284, in Giur. cost., 1974, I, 2953.
(9) Xxxxx Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 1989, III, 2700. Questa pronuncia della Corte costituzionale era espressamente presa in considerazione in Tar Lombardia,
(segue)
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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sollevata sempre dal Tar Lombardia avanti alla Corte di giustizia in riferimento al diritto comunitario (10), non aveva avuto successo (11).
Si tenga presente, per una completezza della valu- tazione della pronuncia in commento, che le senten- ze dei Tar che dispongano solo mezzi istruttori non sono appellabili, ma che la decisione di un ricorso as- sunta dal Tar sulla base di una consulenza tecnica, in ipotesi di giurisdizione amministrativa di sola legitti- mità, è ritenuta per ciò stesso viziata (12).
Inammissibilità della consulenza tecnica e «discrezionalità tecnica»
Nel processo amministrativo, come si è visto, l’esclusione della consulenza tecnica è ricavata dalla contrapposizione fra «verificazioni» e «perizie»: nella giurisdizione di legittimità sono ammesse solo
«verificazioni», dunque sono escluse le «perizie» (consulenze tecniche). Tutto il ragionamento presup- pone che «verificazioni» e «perizie» siano istituti di- versi. Questa condizione sembra quasi unanimemen- te affermata e sembra postulata anche nella sentenza in commento.
Tuttavia, se si cerca di capire quali siano i profili di diversità fra i due istituti (e, quindi, se si cerca di capire in che cosa essi siano istituti diversi) il quadro risulta piuttosto frastagliato. È ormai unanime l’ade- sione alla tesi (dimostrata ampiamente da Benvenu- ti) (13), secondo cui le verificazioni non costituisco- no un elemento d’integrazione dell’istruttoria procedimentale condotta precedentemente dall’Am- ministrazione, ma costituiscono un mezzo proprio dell’istruttoria processuale condotta dal giudice: di conseguenza, per questo profilo, non divergono dalle perizie. Per altri profili, però, si riscontra una rilevan- te divergenza di posizioni.
In particolare, secondo alcuni la differenza fra ve- rificazioni e consulenza tecnica concerne i contenuti dell’indagine istruttoria propria dell’uno e dell’altro istituto; secondo altri, invece, la differenza in veste concerne le modalità dell’assunzione e, soprattutto, l’individuazione dei soggetti chiamati ad espletare la prova.
La prima lettura è accolta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato ha affermato che le verificazioni, a differenza delle consulenze tecniche, possono riguardare solo l’«accertamento» di fatti, e non la loro «valutazione»: consistono quin- di in un’attività tipicamente ricognitiva (14).
La ragione di questa limitazione viene ricondotta ai principi sulla giurisdizione di legittimità e soprat- tutto all’esigenza di garantire la riserva all’Ammini- strazione delle valutazioni tecnico–discrezionali. Coerentemente con ciò, sono ritenute invece possibi- li le consulenze nelle ipotesi di giurisdizione di meri- to: in tale giurisdizione, infatti, il giudice xxxxxx- xxxxxxxx può estendere il suo sindacato ai profili dell’opportunità, della convenienza, della condivisi- bilità di una certa soluzione (15).
La seconda lettura ha trovato più ampio seguito nella dottrina (16). In base ad essa le verificazioni possono concernere, oltre all’accertamento dei fatti, elementi riguardanti la loro valutazione: hanno quin-
di la stessa ampiezza di contenuti propria delle con- sulenze.
È stato fatto notare che la posizione del Consiglio di Stato si basa su nozioni equivoche (come quella di
«discrezionalità tecnica») e su affermazioni apoditti- che (come l’equivalenza fra apprezzamenti tecnici e riserva all’Amministrazione di una valutazione tec- nica); che nello stesso tempo, però, non si può esclu- dere la possibilità che in certe ipotesi una valutazione tecnica sia riservata in via esclusiva dal legislatore all’Amministrazione (17).
Ciò induce a ritenere che al giudice amministrati- vo non sia precluso, da ragioni di principio, di dispor- re indagini tecniche inerenti anche a profili valutati- vi: altrimenti lo stesso art. 16, l. n. 10/1977, che riguarda un’ipotesi di giurisdizione di legittimità, nell’ammettere espressamente la possibilità di con- sulenze tecniche risulterebbe contraddittorio. Al giu- dice amministrativo, invece, è precluso disporre in- dagini estese alla valutazione dei fatti in ipotesi in cui tale valutazione sia riservata per legge all’Ammini- strazione.
Questa considerazione evidenzia un ulteriore ele- mento di dissenso rispetto alla pronuncia in com- mento. Secondo il Tar, infatti, la circostanza che una valutazione sia riservata all’Amministrazione (que- sto sembra il senso del riferimento alla «discreziona- lità tecnica» nel testo della sentenza) non precluda un riesame della valutazione da parte del giudice, attra- verso una consulenza tecnica.
Piuttosto, il problema risulta essere un altro.
È il problema della estrema dilatazione, che si è
Note:
(segue nota 9)
sez. III, 11 aprile 1996, n. 463 cit.: nella sentenza del 1996 (che concerneva un giudizio ritenuto di pubblico impiego) il Tar, per escludere la rilevanza della pronuncia della Corte, rilevava che essa «non torna applicabile alla vicenda in esa- me, essendo stata la pronuncia della Corte puntualmente li- mitata alla sola sede della giurisdizione generale di legittimi- tà». Si noti che, invece, la sentenza in commento si riferiva a un caso di giurisdizione di legittimità.
(10) Tar Lombardia, decreto 1° aprile 1992, n. 29, riprodotto da Caranta, Nuove questioni su diritto comunitario e forme di tutela giurisdizionale, in Giur. it., 1993, III, 1, 657.
(11) Xxxxx xx xxxxxxxxx XX 00 febbraio 1994, causa C–236/92, in Foro it., 1995, IV, 229, con nota di Xxxxxxx.
(12) Cons. Stato, sez. VI, 13 luglio 1985, n. 422, in Regioni, 1986, 281 ss.
(13) Benvenuti, L’istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953.
(14) Così Xxxxx, La prova nel processo amministrativo, Mila- no, 1994, 149.
(15) Cfr. Cons. Stato, xxx.XX, 13 luglio 1985, n. 422 cit.; Cons. Stato, sez. VI, 27 maggio 1991, n. 321, in Cons. Sta- to, 1991, I, 1015.
(16) Cfr., oltre allo scritto di Cammeo cit. all’inizio, Benvenu- ti, L’istruzione nel processo amministrativo cit., 304, nota 204; Xxxxxxxxxx, L’istruzione nel processo amministrativo di legittimità, Padova, 1977, 139.
(17) Cfr. Xxxxxxxx, A proposito di apprezzamenti tecnici e mezzi di prova nel giudizio di legittimità, in Regioni, 1986, 281 ss., e, più in generale, Potere amministrativo e valuta- zioni tecniche, Milano, 1985.
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Amministrativa
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prodotta anche ad opera della giurisprudenza ammi- nistrativa, dello spazio assegnato alle valutazioni ri- servate all’Amministrazione. L’espressione «discre- zionalità tecnica» sembra essere stata la «parola magica» che ha comportato, ogni qual volta per capi- re un fatto sia necessario il supporto di cognizioni tecniche complesse, l’affermazione della infungibi- lità e della insostituibilità della valutazione dell’Am- ministrazione. L’ambito delle valutazioni tecniche riservate all’Amministrazione è stato esteso oltre modo, fino a ricomprendere anche ipotesi nelle quali la comprensione del fatto richiede l’utilizzo di regole tecniche che, seppur complesse, siano assolutamente univoche e comunque non ammettano alternative.
A mio giudizio, invece, lo spazio delle valutazioni riservate all’Amministrazione è molto più limitato. Il carattere «riservato» di una valutazione di ordine tecnico non può rappresentare la regola generale, proprio perché si risolve nell’assegnazione all’Am- ministrazione di una posizione di «potere» nei con- fronti del cittadino. Di conseguenza richiede sempre un fondamento specifico.
Per esempio, nel caso all’esame del Tar nella sen- tenza in commento, con riferimento alle giustifica- zioni addotte da un’impresa per i prezzi di una sua of- ferta per un appalto pubblico (ai sensi della disciplina delle offerte anomale dettata dall’art. 21, legge 11 febbraio 1994, n. 109, e succ. modif.), non mi sembra si possano ravvisare, né in base al testo della disposi- zione legislativa, né in base a ragioni più generali, gli estremi per una valutazione dell’Amministrazione con carattere riservato. In base all’art. 21, comma 1,
l. n. 109/1994 e succ. modif. l’esame della giustifica- zione dei prezzi addotta da un’impresa inerisce a va- lutazioni intrinsecamente fungibili, da compiere se- condo criteri oggettivi: la legge, fissando parametri ben precisi ed escludendo radicalmente la rilevanza di certe voci di xxxxxx, intende assicurare la piena ve- rificabilità della giustificazione dell’impresa e con- seguentemente delle relative valutazioni che venga- no compiute dall’Amministrazione. D’altra parte tali valutazioni non coinvolgono profili di responsabilità (politica, gestionale, ecc.) propri dell’autorità ammi- nistrativa: di conseguenza il carattere «riservato» all’Amministrazione della valutazione tecnica non può desumersi neppure in via implicita.
Illegittimità dell’art. 44, comma 1,
t.u. Cons. Stato
Raccogliendo gli elementi riscontrati fino a que- sto punto, si deve rilevare che:
a) non vi sono ragioni sufficienti per escludere che le «verificazioni» ammesse nel giudizio di legittimi- tà possano investire anche profili valutativi, di ap- prezzamento dei fatti;
b) pertanto appare fondata la posizione prevalente in dottrina, secondo cui le «verificazioni» possono avere un oggetto identico a quello di una consulenza tecnica;
c) va invece esclusa la possibilità, per il giudice amministrativo, di disporre (anche nelle forme delle
«verificazioni») indagini tecniche concernenti profi- li valutativi che siano riservati dalla legge all’Ammi- nistrazione;
d) la riserva all’Amministrazione di una valuta- zione tecnica non ha però carattere generale, e in par- ticolare non si può desumere dalla necessità, per una certa valutazione, del ricorso a regole tecniche, sep- pur particolarmente complesse; si deve desumere da elementi più puntuali e specifici.
Queste conclusioni non collimano per nulla con quanto affermato da Corte Cost. 18 maggio 1989, n. 251, cit. (18), che, per l’autorevolezza della fonte, rappresenta un punto di riferimento necessario per il dibattito in materia. Secondo questa sentenza della Corte il sindacato del giudice amministrativo, pro- prio perché si svolgerebbe con «l’intermediazione del procedimento amministrativo», potrebbe ragio- nevolmente esaurirsi con un «sindacato sull’istrutto- ria compiuta dall’Amministrazione» e di conseguen- za sarebbe giustificato «un sistema probatorio che consista essenzialmente nel sindacato sulle modalità con le quali il potere pubblico è stato esercitato». In- vece, a mio giudizio, al giudice amministrativo deve essere consentito, in via di principio, un sindacato sul fatto e sulla coerenza dell’operato dell’amministra- zione rispetto al fatto, tenuto conto anche che un’eventuale incoerenza col fatto costituisce un vi- zio di legittimità dell’atto amministrativo (19) e che comunque la riserva all’Amministrazione di valuta- zioni tecniche non ha carattere generale.
In questo quadro resta ferma la distinzione fra
«verificazioni» e «consulenze tecniche», ma essa non è distinzione di ambiti d’indagine o di contenuti, fra attività ricognitiva e attività «valutativa». Con ri- ferimento alle indagini di ordine tecnico (non si di- mentichi, infatti, che le verificazioni possono avere anche un oggetto più ampio delle consulenze tecni- che: per esempio, possono riguardare l’esame di testi o l’ispezione di luoghi), la distinzione attiene alle modalità dell’assunzione del mezzo istruttorio e in particolare riguarda l’individuazione del soggetto cui può essere demandata dal giudice amministrativo l’effettuazione dell’indagine. Si ricordi, infatti, che tale soggetto, in base all’art. 44, comma 1, t.u. Cons. Stato, non può che essere l’Amministrazione.
A questo punto il problema della legittimità costi- tuzionale della disciplina delle verificazioni nel pro- cesso amministrativo mi pare ineludibile. L’assegna- zione, in via esclusiva, di indagini istruttorie a una parte in causa è inconciliabile con il principio di parità delle parti nel processo che costituisce un corollario dell’art. 24, commi 1 e 2 Cost. Il riconoscimento che, come si è visto sopra, la verificazione può riguardare anche profili valutativi rende ancora più evidente l’in- conciliabilità dell’art. 44, comma 1 con il principio costituzionale, perché, se la verificazione inerisce an- che a profili valutativi, essa ha ragionevolmente un’incidenza maggiore rispetto alla decisione del giu- dice (la contestazione dei suoi risultati appare più pro- blematica) e gli elementi di affinità della verificazione rispetto alla consulenza tecnica diventano ancora più
Note:
(18) Cfr. sub nota 9.
(19) Per questa critica, cfr. AA.VV., La riforma della giustizia amministrativa, in Foro it., 1990, V, 289 ss.
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GIURISPRUDENZA
Amministrativa
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tecnica, e quindi demandata a un consulente scelto con le garanzie di indipendenza e di imparzialità pre- viste dagli artt. 61 e 63 c.p.c. Nello stesso tempo, pe- rò, va riconosciuto che la disciplina delle verificazio- ni dettata nella legge sul processo amministrativo non appare costituzionalmente corretta.
posizione di tendenziale indifferenza rispetto alle parti in causa (cfr. artt. 63 e 51 c.p.c.). Se manca l’indipen- denza, si deve dubitare anche della garanzia di una ef- fettiva imparzialità (20).
In definitiva, le leggi vigenti oggi sul processo amministrativo non consentono al giudice ammini- strativo di disporre, nel processo di legittimità, un’istruttoria secondo le modalità della consulenza
Diritto amministrativo
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Nota:
(20) Si tenga presente che di «imparzialità» deve parlarsi in questo contesto non nel senso richiamato per la funzione amministrativa dall’art. 97 Cost., ma nel senso più pregnan- te previsto per la funzione giurisdizionale: infatti in gioco è un’attività istruttoria in un procedimento giurisdizionale. Non si dimentichi, infine, che anche rispetto alla funzione giuri- sdizionale l’indipendenza è una condizione necessaria per l’imparzialità.
GIURISPRUDENZA
Osservatorio amministrativo
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AMBIENTE
Vincolopaesistico
Consiglio di Stato, sez. VI, 8 luglio 1997, n. 1111
2.67187
In sede di esercizio del potere statale di integrazione degli elenchi delle aree da sottoporre a vincolo pae- sistico, ex art. 82, comma 2, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, l’omissione della pubblicazione di cui all’art. 2 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 non è causa di illegittimità del vincolo ma ne impedisce l’efficacia.
La decisione dei magistrati di Palazzo Spada rifor- ma in parte Tar Puglia, sez. II, 15 marzo 1996, n. 112, che aveva annullato il decreto 1° agosto 1995 del Mi- nistero dei beni culturali nella parte in cui aveva im- posto il vincolo temporaneo di immodificabilità di alcune aree del Comune di Monopoli.
Il Consiglio è chiamato ad occuparsi degli effetti derivanti dall’omissione della pubblicazione di cui all’art. 2 della l. n. 1497/1939, secondo cui l’elenco delle località da vincolare predisposto dall’apposita commissione provinciale viene pubblicato nell’albo dei comuni interessati.
Le doglianze volte a ricavare da detta omissione l’illegittimità del vincolo sono infondate. Difatti l’art. 82 del d.P.R. n. 616/1977 attribuisce al Ministe- ro per i beni culturali ed ambientali un potere svinco- lato dalle procedure previste dalla legge 29 giugno 1939, n. 14987, di talché, nel sistema precedente al varo delle misure partecipative di cui agli artt. 7 xx. xxxxx x. x. 000/0000, l’omissione delle pubblicazioni preventive di cui all’art. 2 della citata legge del 1939 non costituisce causa invalidante. Si richiamano inoltre i precedenti giurisprudenziali a tenore dei
quali «ai fini dell’esercizio del potere di integrazione degli elenchi delle zone di particolare pregio ambien- tale, previsto dall’art. 82, comma 2, d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, è sufficiente il parere del comitato di settore per i beni ambientali ed architettonici, che co- stituisce una sezione del consiglio nazionale per i be- ni culturali e ambientali» (Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 1995, n. 78, in Cons. Stato, 1995, I, 116; 3
febbraio 1994, n. 96, id, 1994, I, 201 (m)).
Sono invece da reputare fondate le censure volte a dedurre dall’omissione delle pubblicazioni de qui- bus l’inefficacia del decreto di cui si discorre. Costi- tuisce infatti jus receptum in sede giurisprudenziale l’osservazione secondo cui «l’imposizione del vin- colo su una bellezza d’assieme si perfeziona dal mo- mento in cui, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, legge 29 giugno 1939, n. 1497, l’elenco delle località pre- disposto dall’apposita commissione provinciale e nel quale è compresa la detta bellezza viene pubbli- cata nell’albo dei comuni interessati ed è da tale data che decorre l’obbligo di non distruggere o modifica- re, che l’art. 7, l. n. 1497/1939 cit. pone a carico dei proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo degli immobili costituenti bellezze naturali» (Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 0000, x. 000, xx, 0000, X, 00 (x); conf. Cons. Stato, sez. VI, 19 dicembre 1986, n. 913, in Foro it., 1987, III, 489).
APPALTI E LAVORI PUBBLICI
Appalti di servizietariffeprofessionali
Tar Puglia, Bari, sez. II, 27 settembre 1997, n. 703
2.67179
Per gli appalti di servizi – ivi compresi, ai sensi del nu- mero 12 dell’allegato 1 del d.lgs. n. 157/1995, i «ser- vizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria anche
integrata» – l’art. 23 del d.lgs. n. 157/1995, in sede di enucleazione del metodo dell’offerta economicamen- te più vantaggiosa, attribuisce alle amministrazioni il potere di definire, nell’ambito di apprezzamenti di ti- po discrezionale, i parametri di valutazione delle of- ferte ed il loro «grado» decrescente di importanza, se del caso espresso in termini numerici di punteggio parziale. Non vi è quindi alcuna previsione che osti all’attribuzione di un’incidenza limitata al fattore prezzo.
L’art. 19 della l. n. 143/1949, nel prevedere che, in sede di computo degli onorari dei professionisti,
«con l’aliquota del progetto esecutivo vanno sempre sommate quelle del progetto di massima e del pre- ventivo sommario da parte dello stesso progettista», è da interpretare nel senso che l’aliquota del proget- to di massima e del preventivo sommario vanno com- putate solo ove questi costituiscano oggetto dell’in- carico.
Con deliberazione n. 15 del 29 gennaio 1996 il Di- rettore generale dell’A.U.S.L. BA/5 ha indetto una licitazione privata con il metodo di cui all’art. 23, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 157/1995 (offerta economicamente più vantaggiosa) per l’affidamento dell’incarico di redazione del progetto esecutivo del- lo stralcio funzionale del nuovo ospedale «San Mi- chele in Monte Laureto di Putignano». Con delibera- zione 6 maggio 1996 il Direttore generale dell’A.U.S.L. ha disposto l’approvazione degli atti di gara e l’aggiudicazione della licitazione privata con affidamento dell’incarico ad un raggruppamento temporaneo di imprese. Un ingegnere escluso impu- gna la menzionata determinazione deducendo la vio- lazione dell’art. 19 della legge 2 marzo 1949, n. 143, richiamato nella lettera di invito, che, in tema di com- puto dell’onorario in termini di ribasso percentuale rispetto all’onorario professionale, obbliga il proget- tista ad indicare con l’aliquota del progetto esecutivo quelle del progetto di massima e del preventivo som- xxxxx. Nella specie l’amministrazione ha erronea- mente valutato anche offerte che non hanno cumula- to agli onorari relativi al progetto esecutivo quelli attinenti al progetto generale.
Deduce altresì il ricorrente, tra l’altro, la violazio- ne dell’art. 29, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 406/1991, che impone di attribuire rilievo preminen- te al prezzo, mentre nella specie al prezzo è stato as- segnato un valore assai modesto (solo 10 punti su 100 complessivi a disposizione della Commissione giu- dicatrice) in un contesto nel quale la somma dei para- metri automatici raggiunge appena la metà del pun- teggio assegnabile per il parametro relativo al valore tecnico.
Il Tribunale, nel rigettare il ricorso, affronta subito detta ultima censura rimarcando che la norma di cui al citato art. 29 del d.lgs. n. 401/1996 trova applica- zione per i soli appalti di lavori pubblici e non per gli appalti di servizi pubblici. Per gli appalti di servizi – ivi compresi, ai sensi del numero 12 dell’allegato 1 del d.lgs. n. 157/1995, i «servizi attinenti all’archi- tettura ed all’ingegneria anche integrata» – viene in- vece in rilievo l’art. 23 del d.lgs. n. 157/1995, il qua- le, in sede di enucleazione del metodo dell’offerta
economicamente più vantaggiosa, ascrive alle stesse amministrazioni il potere di definire, nell’ambito di apprezzamenti di tipo discrezionale, i parametri di valutazione delle offerte ed il loro «grado» decre- scente di importanza, se del caso espresso in termini numerici di punteggio parziale.
Miglior sorte non riserva il Collegio pugliese alla censura relativa al computo degli onorari professio- nali. Posto infatti che il ricorrente non lamenta la vio- lazione del divieto di cui all’art. 4, comma 12 bis del- la l. n. 155/1989, di sfondamento del tetto del 20% del ribasso sulla tariffa professionale, non può rite- nersi che il generico rinvio della lettera di invito all’art. 19 della l. n. 143/1949 rendesse chiara ed uni- voca l’applicabilità dell’art. 19 della stessa normati- va, a tenore della quale «con l’aliquota del progetto esecutivo vanno sempre sommate quelle del progetto di massima e del preventivo sommario da parte dello stesso progettista». Nell’incertezza interpretativa la clausola va quindi traguardata in base al principio ge- nerale del favor partecipantis.
In ogni caso la formulazione della norma di legge non consente di concludere in termini univoci che, nell’ipotesi di conferimento di incarico relativo alla redazione del solo progetto esecutivo spetti sempre e comunque l’aliquota del progetto di massima e del preventivo sommario, ancorché questi non costitui- scano oggetto dell’incarico o siano stati redatti da al- tri. Xxxx l’inciso «da parte dello stesso progettista» sembra limitarne l’applicazione proprio all’ipotesi in cui l’incarico di progettazione esecutiva comprenda quello relativo alla preliminare redazione del proget- to di massima. Né appare decisivo il richiamo al pre- cedente dato da Xxxx., sez. II, 24 marzo 1994, n. 2861, pronuncia che mira soltanto ad escludere che, nell’ipotesi in cui allo stesso progettista sia stato au- tonomamente conferito e compensato anche (e pri- ma) l’incarico per il progetto di massima, questi, in occasione, della redazione del progetto esecutivo, possa nuovamente pretendere l’aliquota del progetto di massima. Non può infine obliterarsi che nel caso di specie la progettazione esecutiva non riguardava l’intera opera ma soltanto uno stralcio funzionale, di talché sarebbe vieppiù incongrua l’obbligatoria ri- chiesta di un’aliquota relativa al progetto di massima per l’intera opera.
Sull’interpretazione dell’art. 19 merita riportare la massima della citata Xxxx., sez. II, 24 marzo 1994, n. 2861, in Riv. giur. edil., 1994, I, 757: «L’art. 19, ulti- mo comma, della tariffa professionale degli ingegne- ri e degli architetti, approvata con legge 2 marzo 1949, n. 143, il quale dispone che l’aliquota del pro- getto esecutivo va sempre sommata con quelle del progetto di massima e del preventivo sommario, de- ve interpretarsi alla stregua del principio secondo cui ad ogni prestazione deve corrispondere un solo com- penso, non potendo la stessa prestazione essere com- pensata due volte, sicché l’operatività della regola di cui alla menzionata disposizione va limitata all’ipo- tesi che il professionista abbia ricevuto solo l’incari- co del progetto esecutivo e gli spetti quindi la liquida- zione di un’unica parcella, mentre non può estendersi all’ipotesi del conferimento di due distinti incarichi, con conseguente diritto ad una duplice li- quidazione; in quest’ultimo caso, infatti, l’attribu-
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zione di un autonomo compenso per il progetto di massima esclude che lo stesso compenso possa esse- re di nuovo attribuito con la parcella relativa al pro- getto particolareggiato».
Appalti di servizieofferteanomale
Tar Valle d’Aosta 22 settembre 1997, n. 112
2.67179 – 2.67308
L’art. 25, d.lgs. n. 157/1995, in tema di verifica delle
dell’obbligo di riscontro al verificarsi della soglia percentuale del quinto oltre la media dei ribassi delle offerte ammesse, qualificante le offerte anomale, co- stituisce, nel sistema della legge statale, una necessa- ria integrazione (e non certo un semplice dettaglio) del principio generale inerente al meccanismo di identificazione delle predette offerte, rispondendo ad una esigenza di uniformare le previsioni dei carat- xxxx di anomalia per tutti gli appalti pubblici di servi- zi».
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Incarichidiprogettazione
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Osservatorio amministrativo
offerte che presentino una percentuale di ribasso su- periore ad un quinto della media aritmetica dei ri-
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bassi ammessi, è applicabile, in assenza di diversa prescrizione legislativa, oltre che agli appalti aggiu- dicati con il metodo del massimo ribasso anche in quelli aggiudicati in base al criterio dell’offerta eco- nomicamente più vantaggiosa.
Con la pronuncia in esame il Tar di Aosta chiarisce che la verifica in contraddittorio delle offerte anoma- le di cui all’art. 25 del d.lgs. n. 157/1995, in tema di appalti di servizi pubblici, opera, attesa l’assenza di prescrizione limitativa sul punto, oltre che nel caso di aggiudicazione secondo il criterio del massimo ri- basso, anche in ipotesi di aggiudicazione con il siste- ma dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il dictum in esame ribadisce le conclusioni raggiunte in materia da Tar Xxxxxx–Romagna, sez. I, ord. 23 mag- gio 1996, n. 312, in Riv. trim. appalti, 1996, 94, nota di Nicodemo: «L’art. 25, d.lgs. n. 157/1995 appare applicarsi ad entrambi i sistemi di aggiudicazione previsti dall’art. 23, 1° comma, lett. a) e b), posto che non esiste alcuna diversa prescrizione al riguardo, ta- le da limitarne la portata; pertanto, in ogni caso, è ri- levante il criterio predeterminato di doverosa attiva- zione di verifica dell’anomalia di cui al 3° comma del citato art. 25».
Sulla costituzionalità della disciplina dettata
dall’art. 25 del d.lgs. n. 157/1995 è intervenuta la Corte costituzionale, con sentenza 29 aprile 1996, 132, id, 1996, 94, nota di Xxxxxxxx: «L’art. 25, d.lgs.
17 marzo 1995, n. 157, recante attuazione della diret- tiva n. 92/50/Cee, in materia di appalti pubblici di servizi, emanato in forza della delega legislativa con- ferita con l’art. 11, legge 22 febbraio 1994, n. 146, non contrasta con i principi della delega e della diret- tiva attuata, n. 92 con l’art. 119 Cost., laddove preve- de che, per l’aggiudicazione degli appalti del genere, in caso di offerte anormalmente basse rispetto alla prestazione richiesta – identificate da una percentua- le di ribasso superiore di un quinto alla media aritme- tica dei ribassi delle offerte ammesse – l’amministra- zione aggiudicatrice deve chiedere precisazioni in merito agli elementi costitutivi dell’offerta ritenuti pertinenti e li deve verificare tenendo conto delle spiegazioni ricevute dall’offerente». Con la stessa pronuncia la Corte delle Leggi ha evidenziato che
«l’art. 25, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 157, recante attua- zione della direttiva n. 92/50/Cee in materia di appal- ti pubblici di servizi, emanato in forza della delega legislativa conferita con l’art. 11, legge 22 febbraio 1994, n. 146, non lede le competenze regionali di cui agli artt. 117 e 118 Cost., atteso che l’indicazione
Tar Calabria, sez. staccata di Reggio Calabria, 3 settembre 1997, n. 641
2.9110
La scelta del professionista cui affidare la progetta- zione dei lavori di costruzione di un’opera pubblica di interesse comunale (collettori emissari di fognatu- re urbane ed impianti di depurazione) deve essere operata attraverso una accurata valutazione, effet- tuata sulla base di criteri predeterminati, dei curri- cula degli aspiranti. La motivazione della scelta non può essere rivenuta in mere formule di stile e non è suscettibile di integrazione in sede di giudizio.
Chiamato a scegliere il professionista cui affidare la progettazione dei lavori di costruzione di un’opera pubblica di interesse comunale (nella specie trattasi di collettori emissari di fognature urbane ed impianti di depurazione) il Consorzio intercomunale fognature urbane che raggruppa vari Comuni calabresi non solo non procede alla predeterminazione dei criteri di valu- tazione dei curricula ma procede, con una Commis- sione composta in violazione del principio affermato dalla Corte Costituzionale in tema di prevalenza della componente tecnica rispetto a quella politica (Corte Cost. 15 ottobre 1990, n. 453) ????? all’affidamento sulla base di una mera formula di stile che non forni- sce alcuna indicazione sull’iter logico seguito tanto da essere attagliabile a qualsiasi soggetto concorrente. Le valutazioni fornite in sede processuale dalla P.A. ad integrazione dello scheletro motivazionale originario non sono suscettibili di considerazione alla luce dell’inammissibilità di un’integrazione postuma della motivazione in sede di giudizio. In questo senso in giurisprudenza, ex multis, Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1995, n. 1025, in Foro amm., 1995, 1514: «Le ragioni, sulle quali la P.A. avrebbe potuto fondare il provvedi- mento impugnato, non possono essere addotte in giu- dizio, non essendo consentita la sanatoria processuale degli atti amministrativi». Cons. Stato, sez. V, 28 apri- le 1995, n. 619, in Cons. Stato, 1995, I, 551 (m): «Non è consentito all’amministrazione di sanare ex post l’invalidità della motivazione di un provvedimento amministrativo con argomentazioni svolte per la pri- ma volta nel corso del processo.»; Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 30 giugno 1995, 241, in Giur. amm. sic., 1995, 458; Tar Sicilia, sez. di Catania, 2 giugno 1995, n. 1541, id, 1995, 587.
Una linea meno rigida è invece adottata da Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 29 ottobre 1994, n. 357, id, 1994, 683: «La ritenuta impossibilità di un’in- tegrazione postuma della motivazione del provvedi-
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mento impugnato non costituisce un principio indero- gabile dell’ordinamento, in quanto esigenze di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, di economicità ed efficacia dell’azione giurisdiziona- le e di giustizia nell’amministrazione possono giusti- ficare deroghe al principio stesso; e va comunque li- mitata ai casi non suscettibili di schiarimenti dell’affare, ai sensi dell’art. 44 r.d. n. 1054/1924». V. anche Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 20 aprile 1993, n. 149, in Foro it., 1993, III, 616: «È legittimo il diniego di rinnovo di concessione per l’impianto e l’esercizio di un ponte radio, per motivi attinenti alla repressione di attività mafiose, anche se la motivazio- ne del provvedimento sia stata integrata in giudizio dalla difesa dell’amministrazione, in riferimento alle informazioni della competente prefettura, relative ai precedenti del richiedente».
Un distinguo tra motivazione e giustificazione è operato da Tar Marche, 2 febbraio 1995, n. 535, Trib. amm. reg., 1995, I, 1775: «È ammissibile, nel corso del giudizio, la giustificazione da parte dell’ammini- strazione di un provvedimento adottato giacché que- sta, a differenza della motivazione, consiste non solo nell’indicazione delle norme che sovrintendono ad esso, ma anche nell’indicazione del tipo di potere esercitato e dei suoi presupposti. Conf. Tar Lombar- dia, sez. III, 20 maggio 1995, n. 743, in Foro amm., 1995, 2749.
In dottrina la spinosa questione è scandagliata da
X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx giuridici: l’integrazione in corso di giudizio del provvedimento impugnato, in Dir. proc. ammin., 1995, 18; X. Xxxx, L’integrazione in giudizio della motivazione del provvedimento: una questione ancora aperta (Nota a Cons. giust. amm. sic., sez. giurisdiz., 20 aprile 1993, n. 149) id, 1994, 577; X. Xxxxx, Integrazione della motivazione nel corso del giudizio e tutela dell’interesse alla le- gittimità sostanziale del provvedimento impugnato, in Giur. amm. sic., 1993, 253.
Soggetti controinteressati
Consiglio di Stato, sez. VI, 1° luglio 1997, n. 1040
2.67245
Unico soggetto controinteressato in caso di ricorso avverso l’atto di aggiudicazione di una gara pubbli- ca è l’impresa risultata aggiudicataria.
Il Consiglio di Stato, nel confermare Tar Toscana, sez. II, 5 marzo 1996, n. 1040, ribadisce il consolida- to principio giurisprudenziale alla stregua del quale il ricorso proposto per l’annullamento di una gara d’appalto va notificato esclusivamente, oltre che all’amministrazione procedente, all’impresa risulta- ta aggiudicataria, non venendo in rilievo alcuna ap- prezzabile esigenza di integrazione del contradditto- rio relativamente ad altre imprese non risultate aggiudicatarie. Dette ultime imprese non sono infatti controinteressate ma cointeressate in relazione al vantaggio potenzialmente riveniente dalla ripetizio- ne della gara in seguito all’annullamento della mede- sima.
A diverse conclusioni non si può addivenire in rela-
zione ai motivi di ricorso diretti a contestare non la le- gittimità dell’intero procedimento di gara ma la sola esclusione dalla procedura dell’impresa ricorrente. Va sul punto ricordato che l’interesse, da parte delle im- prese non risultate aggiudicatarie, alla conservazione della posizione acquisita nella graduatoria della gara non presenta i caratteri della concretezza e dell’imme- diatezza necessari ai fini dell’acquisizione della veste di controinteressato, essendo del tutto eventuale la possibilità che l’Amministrazione proceda all’aggiu- dicazione in favore di una delle imprese non aggiudi- catarie in caso di rinuncia dell’aggiudicataria; ciò non solo per il carattere eventuale della rinuncia ma so- prattutto perché, in caso di rinuncia, l’Amministrazio- ne, lungi dall’essere tenuta ad aggiudicare la gara in favore di impresa collocata subito dopo l’aggiudicata- ria in graduatoria, ben può risolversi, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ad indire nuova gara.
La posizione del Consiglio di Stato si inserisce in un panorama giurisprudenziale omogeneo. Cfr., ex plurimis, Tar Piemonte, sez. II, 3 giugno 1993, n. 221, in Foro it., Rep. 1993, voce Giustizia ammini- strativa, n. 571.
Giova in questa sede ricordare che la giurispru- denza esclude che lo stesso aggiudicatario sia con- trointeressato in caso di ricorso avverso il solo prov- vedimento di esclusione dalla gara del ricorrente. V., al riguardo, Tar Campania, sez. I, 27 luglio 1992, n. 228, in Trib. amm. reg., 1992, I, 4075: «Il ricorso av- verso provvedimento di esclusione (ovvero di non ammissione in sede di prequalificazione nella licita- zione privata) non deve essere notificato all’impresa aggiudicataria, non rivestendo quest’ultima, in tale giudizio, la qualità di contraddittore necessario e controinteressato in senso proprio». In senso opposto ha peraltro concluso la giurisprudenza in caso di con- testualità di esclusione ed aggiudicazione: «L’aggiu- dicatario della gara d’appalto per licitazione privata assume la veste di controinteressato nel ricorso pro- posto dalla concorrente esclusa, laddove esclusione ed aggiudicazione siano avvenute contestualmente, senza soluzione di continuità, nell’ambito xxx xxxxx- xx xx xxxx» (Xxx Xxxxxxxx, sez. II, 30 gennaio 1996, n. 75, in Foro amm., 1996, 1979).
Serviziodigestionedellamensa edipulizia
Tar Marche, 28 maggio 1997, n. 404
2.67179
Per il servizio di gestione mensa e pulizia dei locali di una scuola materna il Comune non è tenuto ad av- valersi dell’opera dei dipendenti, ben potendo, sulla scorta di una prassi amministrativa ormai in evolu- zione e di un mutato quadro generale delle modalità gestionali in tema di servizi pubblici, avvalersi, at- traverso l’affidamento in appalto, di soggetti esterni specializzati.
La ricorrente, curatrice, a seguito di appalto, dei servizi di gestione della mensa e della pulizia dei lo- cali di una scuola materna comunale, invoca la co- stituzione di un rapporto di impiego con il Comune
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GIURISPRUDENZA
Osservatorio amministrativo
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URBANISTICA EAPPALTI
n. 11/1997
facendo valere i principi generali in tema di pubbli- co impiego, alla luce delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, dell’obbligo di rispet- to dell’orario e della predeterminazione della retri- buzione.
Il Tribunale, nel respingere il ricorso, osserva in prima battuta che, non essendovi alcuna norma che imponga all’amministrazione di avvalersi di perso- nale dipendente per l’espletamento dei servizi di cui trattasi, ben può un ente pubblico, nell’esercizio del potere discrezionale di sua pertinenza, fare ricorso a diversi sistemi di organizzazione del servizio, anche con l’affidamento in appalto a operatori economici qualificati, iscritti in appositi albi o elenchi. Detta ul- tima opzione è anzi privilegiata dalla prassi ammini- strativa più recente, la quale, a dimostrazione dell’af- fermarsi di nuovi moduli gestionali in tema di servizi pubblici, tende ad evitare la gestione dei servizi di somministrazione pasti e pulizia dei locali anche da
lavori assentiti dal Sindaco nelle zone sismiche è su- bordinato al rilascio dell’autorizzazione dall’ufficio regionale competente; pertanto deve ritenersi che le- gittimamente la commissione di valutazione degli elaborati di progetto per l’aggiudicazione di un ap- palto concorso per la ristrutturazione di edifici pub- blici, omette verifica della conformità antisismica dei singoli progetti, non richiesta dalle clausole del capitolato (nella specie, si è ritenuta ammissibile l’offerta presentata da una ditta partecipante che non aveva presentato la documentazione di calcolo ai fini della conformità antisismica, aspetto tecnico del pro- getto non riconducibile ai profili qualitativi e funzio- nali di competenza della commissione, rientrando nel ramo delle attribuzioni dell’ufficio idrogeologico regionale)». Cfr. Tar Calabria, 22 giugno 1995, 704, in Trib. amm. reg., 1995, I, 3987.
Pianidiediliziaeconomicaepopolare
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Osservatorio amministrativo
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parte di amministrazioni, come quelle sanitarie, per le quali la ristorazione in ambito ospedaliero costitui-
sce una peculiarità istituzionale del servizio.
Nella specie la costituzione di rapporto di impiego è stata esclusa sulla scorta dell’autonomia della ge- stione da parte dell’interessata – che poteva servirsi anche di suoi collaboratori – dell’assenza del vincolo di subordinazione gerarchica e dell’insensibilità del corrispettivo, assoggettato ad IVA, rispetto al nume- ro di ore di servizio.
EDILIZIAEURBANISTICA
Autorizzazioneantisismica
Consiglio di Stato, sez. V, 6 agosto 1997, n. 875
2.25946
L’autorizzazione antisismica prevista dalla l. n. 64/1974 e dall’art. 5, comma 3, lett. e) del decreto del Ministero del turismo e dello spettacolo 31 dicembre 1988 per le costruzioni in zona sismica è condizione di efficacia, e non di legittimità, della concessione edilizia.
La pronuncia in esame, confermativa di Tar Mar- che 29 gennaio 1993, n. 51 nega che l’autorizzazione regionale attestante la compatibilità dei lavori con la normativa antisismica costituisca condizione di le- gittimità della concessione edilizia. Nel ribadire le conclusioni raggiunte in materia dal Cons. Stato, sez. II, 25 gennaio 1989, n. 1412, i Magistrati di Palazzo Spada osservano che l’autorizzazione antisismica prevista dalla l. n. 64/1974 e dall’art. 5, comma 3, lett. e del decreto del Ministero del turismo e dello spettacolo 31 dicembre 1988 per le costruzioni in zo- na sismica è condizione di mera efficacia, e non di le- gittimità, della concessione edilizia. Ne deriva che il rilascio tardivo di detta autorizzazione non invalida la concessione preventivamente rilasciata ma ne ri- tarda l’efficacia concreta.
Cfr. in materia Cons. Stato, sez. V, 13 febbraio 1990, n. 154, in Foro amm., 1990, 389. «Ai sensi
dell’art. 18, legge 2 febbraio 1974, n. 64, l’inizio di
Consiglio di Stato, Ad. plen., 3 luglio 1997, n. 12
2.52251
Gli indici di densità territoriale contenuti nelle circo- lari del Ministero dei lavori pubblici 27 settembre 1963, n. 4555 e 20 gennaio 1967, n. 425, costituiscono criteri di massima, suscettibili di diversa valutazione, per cui il Comune, in sede di piano per l’edilizia resi- denziale pubblica, ben può assumere motivatamente degli indici inferiori rispetto a quelli delle predette circolari.
Il piano per l’edilizia economica e popolare può le- gittimamente operare come variante al piano regola- tore ricomprendendo anche notevoli estensioni di terreno non destinate ad edilizia residenziale nel pre- vigente strumento urbanistico primario.
L’importante decisione della Plenaria, sollecitata dall’ordinanza della IV sezione 29 gennaio 1997, n. 70, in questa Rivista, 447 e 568, con nota di X. Xxxxx Xxxxxxxxxx, Valutazioni amministrative e circolari nel dimensionamento dei piani di zone, scandaglia due fondamentali aspetti controversi in tema di piani per l’edilizia economica e popolare, ossia l’ammissi- bilità di un discostamento del Comune rispetto agli indici di densità enucleati in sede di circolari ministe- riali e la possibilità di inserire nel piano anche ampie zone non reputate residenziali in sede di piano rego- latore.
In merito al primo punto la giurisprudenza ammi- nistrativa non ha in passato abbracciato una soluzio- ne unitaria.
Secondo una prima interpretazione, infatti, sareb- be illegittima la fissazione di indici di densità territo- riale assai inferiori a quelli previsti dalle circolari 27 settembre 1963, n. 4555 e 20 gennaio 1967, n. 425 (così Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 1995, n. 190, in Cons. Stato, 1995, I, 324).
In senso contrario ha opinato altra fetta dell’elabo- razione pretoria, la quale ha concluso che gli indici di cui alle citate circolari sono suscettibili di deroga, previa adeguata motivazione (Cons. Stato, sez. IV, 27 agosto 1991, n. 684, id, 1991, I, 1143).
L’Adunanza plenaria, nell’optare per detta ultima
soluzione, si sofferma in prima battuta sulla natura giuridica di dette circolari. Alla luce del principio di legalità, in assenza di norma attributiva del potere normativo secondario deve reputarsi che le circolari in questione non abbiano natura regolamentare. Trat- tasi in definitiva di atti che hanno un mero rilievo in- dicativo circa i parametri da considerare in sede di determinazione delle aree da inserire nel piano, da cui possono discostarsi i Comuni ove la relativa de- terminazione sia sorretta da congruo supporto moti- vazionale. Entro questi limiti deve reputarsi che le circolari in menzione – peraltro nate in una prima fa- se applicativa, quando non erano emerse tutte le pro- blematiche connesse con la realizzazione di nuovi in- sediamenti o di veri e propri nuovi quartieri, sulla base degli indici ivi indicati – conservino validità an- che dopo il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8, che ha tra- sferito le competenze in materia alle Regioni, fino a quando queste ultime non abbiano emanato disposi- zioni diverse, nell’esercizio delle funzioni ammini- strative ad esse trasferite (Cons. Stato, sez. IV, 7 set- tembre 1994, n. 689, id, 1994, I, 1189 (m)).
Quanto al secondo problema, relativo alla possibi- lità di inserire nel P.E.E.P. ampie zone non previste come residenziali nell’ambito del piano regolatore generale, l’Adunanza plenaria disattende la statui- zione del giudice di prime. Il Tar Lazio, sez. I ter, 25 novembre 1992, n. 1525, aveva affermato che se è vero che il P.E.E.P., ai sensi del comma 4 dell’art. 3 della legge 18 aprile 1962, n. 167, può operare come variante allo strumento generale è parimenti indubi- tabile che trattasi di «strumento attuativo a orizzonte urbanistico più limitato», che può fungere da varian- te solo se il contenuto sia prevalentemente conforme al piano regolatore. Di qui la possibilità di introdurre limitate zone previste come non residenziali dal pia- no regolatore non certo, come nella specie, di inserire per due terzi aree non residenziali (in conformità Cons. Stato, sez. IV, 27 marzo 1995, n. 190, cit.).
Nel disattendere la conclusione ora esposta l’Adu- nanza plenaria focalizza la diversità di ratio tra il comma 2 ed il comma 4 dell’art. 3 della l. n. 167 cit.
Il comma 2 ha sancito un principio di coerenza tra le previsioni dello strumento urbanistico generale ed il P.E.E.P.: quest’ultimo deve ricomprendere aree già considerate in sede primaria come residenziali poiché sarebbe manifestamente illogico «prescinde- re da uno strumento primario e realizzare senza alcun coordinamento ulteriori alloggi in aree diverse a quelle prese in considerazione da esso».
Il comma 4, invece, «tende ad accelerare la realiz- zazione degli interventi di edilizia residenziale pub- blica, evitando che occorra inutilmente duplicare i procedimenti, quando nel corso dell’approvazione del P.E.E.P. si manifesti l’esigenza di discostarsi dal- lo strumento primario. Il legislatore ha in sostanza in- teso discostarsi dal principio di gerarchia tra stru- menti primari e quelli secondari», ammettendo che il P.E.E.P., pur essendo strumento secondario, «perda tale carattere ed acquisti la natura equiparata a quella dello strumento primario qualora l’Amministrazio- ne, sulla base di una più vasta considerazione del ter- ritorio comunale ed in occasione della valutazione del fabbisogno abitativo, ritenga necessario incidere sulle previsioni del piano regolatore operando in va-
riante a questo in presenza del prescritto procedi- mento». Donde l’ammissibilità di una rivalutazione globale del territorio comunale che si traduca in un modifica del piano regolatore anche consistente e si- gnificativa. La norma citata, infatti, «non pone alcun limite al potere di apportare modifiche al piano rego- latore tramite il P.E.E.P. quando questi continui a de- stinare all’edilizia residenziale una parte delle aree già aventi tale destinazione nello strumento prima- rio. La norma non ha fissato il criterio quantitativo (o della cd. prevalenza), basato sul rapporto tra le aree già destinate ad edilizia residenziale nel piano rego- latore e le aree per la prima volta inserite nel P.E.E.P.: tale criterio non si evince dalla legge e non può essere elaborato in via interpretativa, in quanto altrimenti si andrebbe ad incidere non solo sull’ambito dei poteri di pianificazione e di scelta del procedimento da se- guire ma anche sulle stesse esigenze di accelerazione degli interventi, tenute presenti dal legislatore».
Vedi, sul punto Cons. Stato, sez. IV, n. 684/1991 cit.: «l’indicazione contenuta nell’art. 3, legge 18 aprile 1967, n. 167, secondo cui le aree da compren- dere nei piani per l’edilizia residenziale pubblica so- no, di norma, scelte nelle zone destinate all’edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con prefe- renza per quelle di espansione dell’aggregato urba- no, costituisce una indicazione di principio, che non vincola il Comune in modo assoluto, atteso anche che il 4° comma dello stesso articolo prevede la pos- sibilità dell’adozione di un piano di zona variante al- lo strumento generale, ove si manifesti l’esigenza dei piani in zone non destinate all’edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti».
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GIURISPRUDENZA
Osservatorio amministrativo
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n. 11/1997
Edilizia e urbanistica
LIMITI DEL SINDACATO DEL GIUDICE PENALE
SULLA CONCESSIONE EDILIZIA
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GIURISPRUDENZA
Penale
Cassazione penale, sez. III, 24 aprile 1997 – Pres. Xxxxxxx – Rel. Xxxxxxxx – Imp. Catalano
2.15366
In base all’art. 5, legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, a fronte di una concessione edilizia non è dato al giudice penale sindacare la mera legittimità dell’at- to amministrativo, perché non è consentito sovrap- porre all’opinione dell’organo della P.A., di avere adottato un provvedimento legittimo, la diversa va- lutazione da parte del giudice penale, che quello stesso atto sia privo dei requisiti di legittimità, giacché in sede penale l’atto amministrativo illegit- timo, in quanto tale, è privo di sanzione e non sinda- cabile. Soltanto nel caso in cui si verta in una ipotesi di carenza di potere, denotata da azione amministra- tiva esulante dai relativi presupposti e limiti, è legit- timo e si impone l’intervento del giudice penale, a condizione che tale azione configuri una ipotesi di reato e sia connotata dal relativo elemento psicolo- gico.
... Omissis ...
Svolgimento del processo
L’Avv. Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, difensore di fidu- cia del sig. Xxxxxxx Xxxxxxxx propone appello poi convertito in ricorso per Cassazione avverso la sen- tenza n. 3192/96 del 6 maggio – 16 maggio 1996 con la quale il Pretore di Torino, dott. Xxxxx Xxxx, ha di- chiarato il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxx colpevole del reato di cui all’art. 20 lett. a), l. n. 47/1985 e lo ha condan- nato alla pena di L. 5.000.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:
«1. Non aver commesso il fatto: (...) non corri- sponde al vero l’affermazione del Pretore, secondo la quale si è trattato di “totale demolizione dell’edificio con successiva ricostruzione’’ (sent. pag. 3); i lavori assentiti sono consistiti in lavori di consolidamento statico di un edificio pericolante per la sua vetustà ed i materiali impiegati. Del resto, se prendiamo in esa- me la giurisprudenza esistente sul consolidamento statico, e la sua distinzione dalla ristrutturazione, possiamo dire con sufficiente tranquillità che gli in- terventi svolti sono proprio di consolidamento stati- co. Infatti, la differenza che esiste fra questi due tipi di intervento risiede nel carattere innovativo della ri- strutturazione e nel carattere conservativo del risana- mento statico.
2. Il fatto non è previsto dalla legge come reato.
A norma dell’art. 48, comma 1, l. n. 457/1978, gli interventi di manutenzione straordinaria non sono sog-
getti a concessione, bensì soltanto all’autorizzazione del Sindaco.
3. Estinzione del reato.
Dice l’art. 38, comma 2 della l. n. 47/1985 che “l’oblazione interamente corrisposta estingue i reati dell’art. 41 della l. n. 1150/1942 e successive modifi- che e all’art. 17 della l. n. 10/1977, come modificato dall’art. 20, l. n. 47/1985’’.
A norma dell’art. 39 “l’effettuazione dell’oblazio- ne, qualora le opere non possano conseguire la sana- toria, estingue i reati contravvenzionali’’.
È vero che Xxxxxxxx non ha fatto la domanda di oblazione urbanistica perché non è un soggetto legit- timato dalla normativa urbanistica a fare tale doman- da. Infatti, se colleghiamo i commi 1 e 3 dell’art. 31 e li poniamo in relazione con l’art. 37, comma 1, tro- viamo che, legittimati a fare l’oblazione, sono i pro- prietari e ogni altro soggetto interessato (...).
4. Eccessività della pena inflitta».
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato in riferimento alle osservazio- ni esposte nel primo motivo.
Infatti, rispetto alla vicenda, concisamente, ma esaurientemente compendiata nella surriferita impu- tazione, la difesa e l’accusa – poi, questa, condivisa dal Pretore nell’impugnata sentenza – hanno espres- so contrastanti avvisi circa la natura degli interventi originariamente assentiti e in effetti realizzati e circa la legittimità delle concessioni successivamente rila- sciate dal Sindaco per consentire la prosecuzione dei lavori, che, nel loro corso, s’erano discostati dalla originaria concessione.
Il Pretore è pervenuto alla motivata conclusione che «le concessioni in variante incriminate fossero il- legittime», siccome «in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti». Al riguardo ha evidenziato che il Catalano aveva «ammesso di essersi posto il pro- blema della legittimità degli interventi poi assentiti, sin dal rilascio della concessione n. 108/87, che, a suo dire, aveva tenuto ferma a causa di alcuni dubbi interpretativi sul concetto di ristrutturazione e risa- namento». E che, «anche qualora volesse accedersi alla tesi della difesa, secondo cui il Catalano riteneva applicabile la normativa del nuovo piano regolatore, non potrebbero avanzarsi a scusa i – presunti – dubbi sull’interpretazione del concetto di ristrutturazione – ovvero sulla possibilità di farvi rientrare la demoli- zione e ricostruzione – posto che la Suprema Corte di cassazione è assolutamente monolitica nel respin- xxxx tale tipo di interpretazione». Condivisa invece da alcune decisioni del Consiglio di Stato. Di qui la conferma, a giudizio del Pretore, del concorso del sindaco, siccome extraneus, mediante le concessioni illegittime, nel reato proprio di cui all’art. 20, lett. a)
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imputato agli interessati ai lavori, avendone favorito la prosecuzione.
Xxxxxx, escluso che il sindaco con il rilascio delle due concessioni intendesse deliberatamente favorire gli interessati alla costruzione – in tal caso diversa e più grave sarebbe stata la ipotesi di reato a suo carico
– non può questi esser chiamato a rispondere di con- corso nel reato di cui all’art. 20 lett. a), l. n. 47/1985 per il solo fatto che le concessioni fossero tornate a profitto degli interessati, giacché è nella natura stessa di tali atti avere dei destinatari che ne beneficino.
Parimenti non rileva ai fini della responsabilità penale l’avere il Sindaco, nel rilascio delle conces- sioni, adottato un’interpretazione opinabile non rite- nuta corretta dal magistrato.
Conviene ribadire che, a fronte di un provvedi- mento amministrativo – nel nostro caso le due con- cessioni edilizie – non è dato al giudice penale sinda- care in via principale la mera legittimità di un atto amministrativo. E ciò in base al principio di cui all’art. 5 legge abol. cont. amm. Non è dato cioè so- vrapporre all’opinione dell’organo dell’Ammini-
strazione, di avere adottato un provvedimento legitti- mo, la diversa valutazione, da parte del giudice penale, che quello stesso atto sia privo dei requisiti di legittimità – come appunto ha ritenuto il Pretore – giacché in sede penale l’atto amministrativo illegitti- mo, in quanto tale, è privo di sanzione e non sindaca- bile.
Soltanto nel caso – ma non è quello del sindaco Catalano – in cui si verta in un’ipotesi di carenza di potere denotata da azione amministrativa esulante dai relativi presupposti e limiti, è legittimo e, anzi, si impone l’intervento dell’Autorità giudiziaria penale a condizione che tale azione 1) configuri un’ipotesi di reato e 2) sia connotata dal relativo elemento psi- cologico, che – non va mai dimenticato – del reato è uno degli elementi costitutivi (Cass., sez. III, 22 gen- naio 1993, c.c. 10 dicembre 1992, imp. Xxxxxxx, X.X. xxxxx. conf.; da ultimo Cass., sez. III, c.c. 10 dicem- bre 1996, Xxxxxxx).
Ne consegue l’annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
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GIURISPRUDENZA
Penale
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IL COMMENTO
di Xxxxx Xxxxxxx
La sentenza in commento, nella sua essenziale strin- gatezza (in motivazione, a parte la breve rievocazione del giudizio pretorile e dei motivi del ricorso, nulla di più si legge rispetto al principio enunciato), adotta una tesi che personalmente condividiamo. L’estensore della motivazione non si è posto però il problema dell’inqua- dramento di tale decisione assolutoria («il fatto non co- stituisce reato», si statuisce in dispositivo, nel cassare senza rinvio la decisione di merito) nel contesto del di- ritto urbanistico e nell’ampio dibattito che da almeno un ventennio ha fatto maturare orientamenti diversi,
«arroccati» su opposti versanti.
Il fatto storico
La descrizione del fatto storico può aiutare a capi- re l’interesse che la sentenza suscita nell’opinione pubblica, e non solo in essa. I commentatori sono in- fatti da tempo all’erta nel captare tutti i segnali della Cassazione, anche i più impercettibili, nel dibattito annoso sulla configurabilità di un reato edilizio (e, in caso affermativo, quale) in caso di opere eseguite in conformità ad una concessione rilasciata dal Sindaco ma ritenuta dal giudice penale illegittima perché in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti.
La vicenda è presto narrata. Un soggetto chiede la concessione edilizia per proseguire nei lavori di rico- struzione con strutture di cemento armato e laterizi di un edificio preesistente, già demolito, situato nel perimetro abitato di un piccolo Comune della provin- cia di Torino. Il Sindaco si pone il problema della possibilità di assentire un tale tipo di opera in presen- za di uno strumento urbanistico (nella specie, la L.R. Piemonte n. 56/1977, art. 85, primo comma, lettera
b) che non consente nelle zone perimetrate dei centri abitati interventi eccedenti il restauro e il risanamen- to conservativo. Alla fine, sentita la Commissione Edilizia, risolve il dubbio interpretativo sul concetto
di «ristrutturazione/risanamento conservativo» nel senso di farvi rientrare quelle particolari opere di ri- costruzione/demolizione e rilascia la concessione in variante.
Il P.M. contesta al Sindaco il reato sub art. 20, lett. a), legge 28 febbraio 1985, n. 47, per avere permesso la prosecuzione di opere edilizie in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (presumiamo con una analoga e separata contestazione al titolare della con- cessione e all’esecutore). Il Pretore condanna il Sin- daco alla pena di 5 milioni di ammenda con la moti- vazione, quanto alla opinione emergente dalla concessione, «che la Suprema Corte di cassazione è assolutamente monolitica nel respingere tale tipo di interpretazione», benché, lo si ammette, la stessa ri- sulti condivisa da alcune decisioni del Consiglio di Stato.
Nella vicenda narrata è irrilevante la circostanza che l’imputato sia il Sindaco anziché il privato; quest’ultimo, presumiamo, sarà stato condannato a parte dal Pretore con la medesima motivazione. In- fatti la contestazione mossa al Sindaco non riguarda- va un reato contro la P.A. (abuso, corruzione o altro, ritenuti decisamente insussistenti), bensì la contrav- venzione sub lett. a) della l. n. 47/1985 commessa quale extraneus rispetto al reato proprio addebitato al soggetto interessato alle opere edili.
Il problema delle opere
assentite da una concessione illegittima
La vicenda può dunque essere generalizzata, ri- conducendola al filone della configurabilità o meno di un reato urbanistico–edilizio in presenza di opere conformi ad una concessione ritenuta illegittima. La questione viene spesso individuata con altra «eti- chetta»: la possibilità di disapplicazione nel processo penale di una concessione edilizia regolarmente rila-
sciata dal Sindaco ma ritenuta illegittima dal giudice ordinario.
Le varie tesi elaborate dalla giurisprudenza e dalla dottrina negli ultimi vent’anni possono essere rag- gruppate, grosso modo, nelle seguenti proposizio- ni (1):
— un’opera eseguita in base a concessione illegit- tima è, a tutti gli effetti anche penali, equiparabile all’opera eseguita in assenza di concessione, stante la possibilità (o doverosità) di disapplicazione dell’atto da parte del giudice; con la conseguente ravvisabilità del reato di «opere in assenza di concessione» e ap- plicazione della lett. b) dell’art. 20 della legge 28 feb- braio 1985, n. 47 (ovvero, secondo il momento stori- co, dell’art. 17 della legge «Bucalossi» 28 gennaio 1977, n. 10 o dell’art. 41 della legge urbanistica n. 1150/1942);
— la concessione può essere disapplicata solo quando si presenti con connotati di illiceità; con con- seguente applicazione della lett. b) della norma san- xxxxxxxxxx sopra–citata, solo in presenza di conces- sione illecita (e non meramente illegittima), che sia frutto, cioè, di collusione criminosa;
— la concessione può essere disapplicata anche quando si presenti viziata per un contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti; con conseguente appli- cazione della lett. b) della norma penale, in presenza di concessione sostanzialmente illegittima (anche se non illecita o frutto di pactum sceleris);
— la concessione può essere disapplicata anche quando si presenti viziata nei suoi presupposti di for- ma; con conseguente applicazione della lett. b) della norma citata, in presenza di concessione anche solo formalmente illegittima;
— la concessione illegittima può comunque assu- mere rilevanza, indipendentemente dalla sua disap- plicazione, ai fini del reato di cui alla lettera a) della norma sanzionatoria penale, punito con la sola pena dell’ammenda;
— la concessione, legittima o illegittima, per il so- lo fatto che sia stata rilasciata, non determina alcuna condizione di punibilità per le opere realizzate; con conseguente inapplicabilità sia della lett. b), sia della lett. a) della norma penale.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione sono in- tervenute ben due volte sulla questione (nel 1987 e nel 1993), essendosi il contrasto di orientamenti radi- calizzato sul dilemma se sia corretto o meno equipa- rare, sotto il profilo penale, alla costruzione eseguita
«in assenza di concessione» anche la costruzione eseguita con concessione illegittima, considerando quest’ultima tamquam non esset.
Orientamenti degli anni ’80
e sentenza «Xxxxxxxx» del 1987
Verso la metà degli anni ’80 nella giurisprudenza della Cassazione si verifica una forte contrapposi- zione fra due tesi inconciliabili. Vi sono sentenze che ritengono sempre disapplicabile la concessione illegittima (sia pure con il doveroso «distinguo» sull’elemento soggettivo, ai fini della condanna per il reato previsto dalla lett. b) della norma incrimina- trice); vi sono sentenze che la ritengono disapplica- bile solo nella ipotesi più grave della concessione il-
lecita, costituente di per sé reato perché frutto di collusione fra privati e pubblici amministratori, e mai negli altri casi.
La composizione del contrasto è operata dalle Se- zioni unite con la sentenza «Xxxxxxxx» del 31 gennaio 1987 (2). In motivazione le Sezioni unite provvedono dapprima a fotografare lo stato del contrasto e poi prendono posizione affermando una tesi che susciterà poi un certo scalpore, sintetizzabile nei seguenti ter- mini: ai fini del reato edilizio, non è possibile equipa- rare alla «mancanza di concessione» l’ipotesi della
«concessione illegittimamente rilasciata».
Le reazioni della dottrina
La sentenza non è accolta favorevolmente da tutta la dottrina, che, in alcuni casi, la critica severamente rile- vando alcuni difetti di impostazione del problema (3). Si osserva infatti che l’impostazione doveva essere ri- meditata alla luce, oltre che dell’art. 6, comma primo, della l. n. 47/1985, anche della natura della concessione edilizia, uno strumento normativo che definisce il quid ed il quomodo dell’attività costruttiva del privato e che, sempreché sia conforme agli strumenti urbanistici, identifica «lo statuto urbanistico in base al quale deve eseguirsi l’edificazione». L’art. 6, l. n. 47/1985, primo comma, prescrive, ai fini dell’affermazione della re- sponsabilità penale, che il titolare della concessione, il committente ed il costruttore, devono eseguire le opere in conformità alla «normativa urbanistica» e alle «pre- visioni di piano». Tutto ciò postula che la responsabilità può essere esclusa solo se le opere siano conformi al ti- tolo (cioè, alla concessione) e alla normativa vigente e, reciprocamente, che gli autori devono osservare le pre- scrizioni non solo della concessione ma anche della normativa urbanistica; sicché «nel caso in cui l’opera risulti conforme alla concessione ma in violazione de- gli strumenti urbanistici l’autore della condotta costrut- tiva è responsabile».
La giurisprudenza successiva
Nel periodo immediatamente successivo alla sen- tenza «Xxxxxxxx» del 1987, l’orientamento della
S.C. sembra stabilizzarsi, adeguandosi ai nuovi prin- cipi; ma dura poco. Nel 1989, infatti, la terza sezione
Note:
(1) Per una rassegna delle varie sentenze, di merito e di le- gittimità, sulle diverse tesi enunciate nel testo mi permetto di rinviare al mio volume Reati edilizi e urbanistici, Giurispru- denza sistematica di diritto penale, a cura di F. Bricola e X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 305–333.
(2) Cass. Sez. un. pen. 31 gennaio 1987, Xxxxxxxx, in Foro it., 1989, II, 297, con nota di Barone; in Cass. pen., 1987, 1711, con nota di Xxxxxxx; ibid., 1987, 2095, con nota di Xx- xxxxxxx; in Arch. pen., 1988, 189, con nota di Xxxxxxxxx Xx Xxxxx; in Dir. proc. amm., 1987, 407, con nota di Villata.
(3) Albamonte, Rilevanza penale dell’illegittimità della con- cessione edilizia alla luce della l. 28 febbraio 1985, n. 47, in Cass. pen., 1987, 2095. Critica la sentenza anche Xxxxxxx, Concessione illegittima e contravvenzioni urbanistiche: un cerchio sempre difficile da quadrare, in Cass. pen., 1987, 1711. La commenta favorevolmente invece Barone nella breve nota in Foro it., 1989, II, 297, dichiarando di condivide- re la nota adesiva di Villata, in Dir. proc. amm., 1987, 407, di Xxxxxxxx, in Xxxx xxx., 0000, 00, x xx Xxxxx, xx Xxx. poli- zia, 1988, 97.
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Penale
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penale, con la sentenza «Xxxxxxxxx» del 9 gennaio 1989 (4), effettua una consapevole, e perfino pole- mica, inversione di rotta. In un caso di concessione ritenuta illegittima, perché rilasciata contra legem per un edificio eretto in un luogo sottoposto a vincolo paesaggistico, la S.C., dopo avere osservato che «la decisione delle Sezioni unite non è legge ma solo una interpretazione giurisprudenziale, sia pure autorevo- lissima», sottopone a riesame l’orientamento prece- dente ed effettua una sorta di historia iuris della leg- ge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).
Le conclusioni cui giunge sono opposte rispetto a quelle delle Sezioni unite. «Poiché la fattispecie del- la esecuzione dei lavori in assenza di concessione edilizia», si legge nella sentenza del 9 gennaio 1989,
«coincide con l’altra della edificazione in base a con- cessione illegittima, il giudice può disapplicare quest’ultima ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 17, lett. b), l. n. 10/1977».
La motivazione è che «il principio di tassatività, alla luce della l. n. 47/1985, non viene violato nel pre- vedere la punizione di chi edifica con concessione edilizia illegittima, dovendosi aver riguardo a quello differente di colpevolezza, onde non potrà essere in- vocata alcuna buona fede ovvero errore scusabile su legge penale qualora si tratti di concessione macro- scopicamente illegittima».
Il dibattito riprende vigore in coincidenza anche del maturare di una diversa impostazione, lungamen- te discussa in dottrina, secondo la quale, in caso di ac- certata illegittimità della concessione, potrebbe rav- visarsi non il reato di cui alla lettera b), bensì quello
– meno grave – della lettera a), dell’art. 20 della legge
n. 47/1985 (ovvero, per i fatti pregressi, dell’art. 17, legge n. 10/1977).
La nuova tesi degli anni ’90
Nel 1992 le Sezioni unite, con la sentenza «Moli- nari» del 21 ottobre 1992 (5), giudicando un caso di violazione dell’art. 734 c.p., in tema di deturpamento di bellezze naturali attuato mediante atto autorizzati- vo illegittimo, affrontano un analogo problema in materia di tutela delle bellezze naturali.
«Configurando la contravvenzione di cui all’art. 734 c.p. un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto)», affermano le Sezioni unite, «ed essendo richiesto per la sua punibilità che si verifichi in con- creto la distruzione o l’alterazione delle bellezze pro- tette, rientra nell’esclusivo potere del giudice accerta- re se in concreto l’opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla concessione o dall’autorizzazione o dal nulla– osta amministrativo».
La sentenza è importante perché costituisce una esplicita adesione alla tesi dell’autonomia della tute- la penale rispetto alla sfera provvedimentale riserva- ta alla pubblica amministrazione e riconosce al giu- dice penale il «potere di accertare la corrispondenza tra ipotesi di fatto e fattispecie legale, indipendente- mente da ogni valutazione della pubblica ammini- strazione»; potere posto poi a fondamento della suc- cessiva (e fondamentale) sentenza «Borgia» del 1993 delle Sezioni unite (di cui si dirà oltre).
Incertezze fra i giudici di merito e nuovo contrasto
Appare evidente lo stato di incertezza causato da tali orientamenti, che trova simmetrica rispondenza nella giurisprudenza di merito (6).
Sintomatico è il caso del Pretore di Barletta–Trani del 12 novembre 1992 (7) che ha dato poi occasione alle Sezioni unite di intervenire nuovamente sul te- ma.
Quella vicenda di fatto merita di essere ricordata perché paradigmatica. Alcuni imputati (nella specie, il costruttore, il direttore dei lavori ed i committenti di un’opera edilizia), in possesso di concessione rila- sciata dal Sindaco di Barletta, hanno eretto una pa- lazzina in violazione di alcune norme tecniche di at- tuazione del P.R.G. di quel Comune in tema di distanze dalle strade pubbliche, di volumetria fuori terra e di altezza del sedime. Il reato inizialmente contestato dal P.M. (in adesione al nuovo orienta- mento emergente dalla sentenza «Molinari» del 1992 delle Sezioni unite) è quello previsto dall’art. 20, lett. a), l. n. 47/1985, consistente nella inosservanza delle norme previste dagli strumenti urbanistici e dal rego- lamento edilizio comunale.
Il Pretore assolve, però, tutti gli imputati con l’ar- gomentazione che, essendosi formato l’assenso co- munale sull’attività edificatoria, il giudice penale è privo del potere di accertare la corrispondenza delle opere realizzate alle norme degli strumenti urbanisti- ci, avendo queste formato oggetto di esame in sede di rilascio della concessione; un eventuale riscontro
– afferma il Pretore, aderendo evidentemente alla te- si della sentenza «Xxxxxxxx» del 1987 – importereb- be un inammissibile sindacato di legittimità sul prov- vedimento amministrativo. Il Pubblico Ministero propone ricorso in Cassazione e la terza sezione pe- nale investe nuovamente le Sezioni unite.
In sede di ordinanza di rimessione la questione ri- sulta prospettata nei seguenti termini: se possa confi- gurarsi il reato ex art. 20, lett. a), l. n. 47/1985, qualo- ra l’opera edilizia sia stata realizzata a seguito del rilascio della concessione edilizia ma in violazione delle norme degli strumenti urbanistici (nella specie, il Piano Regolatore); con la consapevolezza di coin- volgere il più ampio problema della c.d. disapplica- zione degli atti amministrativi illegittimi da parte del giudice penale.
Note:
(4) Cass. pen., sez. III, 9 gennaio 1989, Xxxxxxxxx, in Foro it., 1989, II, 297, con nota fortemente critica di Barone; in- Giur. it., 1989, II, 242; inVit. not., 1988, 1134.
(5) Cass. Sez. un. pen. 21 ottobre 1992, Molinari, in Giust. pen., 1993, II, 553; in Cass. pen., 1993, 806; in Riv. pen., 1993, 169 con nota di Santoloci e Maglia; in Impresa, 1993, 663.
(6) Si citano, a titolo di esempio, due sole decisioni di conte- nuto opposto: Pret. Palermo 13 marzo 1993, Puccio, in Giust. pen., 1993, II, 635; Pret. Alcamo 6 febbraio 1991, Ca- vataio, in Cass. pen., 1991, I, 1133.
(7) Pret. Xxxxxxxx–Trani, 12 novembre 1992, inedita, ma con motivazione ampiamente riportata in Cass. sez. un. pen. 12 novembre 1993, Borgia, cit., sub nota 8.
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L’intervento delle Sezioni unite del 1993 (sentenza «Borgia»)
La risposta delle Sezioni unite, con la nota senten- za «Borgia» del 12 novembre 1993 (8), è molto chia- ra nelle sue conclusioni finali: adesione alla tesi della configurabilità del reato ex art. 20, lett. a), punito con la sola pena dell’ammenda.
La motivazione è, però, argomentata in modo complesso attraverso passaggi logici che è opportu- no ripercorrere, perché solo così è possibile com- prendere il «come» vi si giunge.
L’estensore (risulta essere Albamonte ma non sap- piamo se è lo stesso Autore già citato sub nota 3) par- te da lontano, analizzando l’«oggetto della tutela pe- nale» del reato sub lett. a), sia dell’art. 41 della legge urbanistica n. 1150/1942, sia dell’art. 17 della legge
«Bucalossi» n. 10/1977, sia dell’art. 20 della l. n. 47/1985, xxxxx punito costantemente con la sola pena dell’ammenda e tenuto distinto dagli altri abusi puni- ti dalla lett. b) con pena più severa.
L’interesse inizialmente tutelato – l’oggetto della tutela penale, appunto – era costituito in passato dal
«bene strumentale» del controllo e della disciplina degli usi del territorio, come è possibile argomentare dall’art. 32, primo comma, l. n. 1150/1942.
Successivamente, l’entrata in vigore della legge
«ponte» n. 765/1967 (che ha introdotto gli standards urbanistici e la salvaguardia degli usi pubblici e so- ciali del territorio), l’emanazione del d.P.R. 24 luglio 0000, x. 000 (xx cui art. 80 ha ampliato la nozione di
«urbanistica», facendo rientrare nella disciplina dell’uso del territorio «tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente») e la legge «Galasso» 8 agosto 1985 n. 431 (in tema di tutela delle zone di particolare interesse ambientale), hanno comportato un mutamento dell’interesse tutelato.
L’urbanistica non consiste più nella sola disciplina dell’attività edilizia; la sua nozione deve estendersi alla disciplina degli usi del territorio in senso sociale, economico e culturale, ivi compresa la valorizzazio- ne delle risorse ambientali e le relazioni che devono instaurarsi tra gli elementi del territorio, e non soltan- to dell’abitato.
Il mutamento risulta recepito dalla l. n. 47/1985, il cui art. 6, primo comma definisce l’ambito della re- sponsabilità penale, sia per le violazioni riguardanti
«la conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di piano», sia per quelle riguardanti le previsioni «della concessione ad edificare» e le
«modalità esecutive stabilite dalla medesima». Altri elementi sintomatici sono desumibili dall’art. 13 e dall’art. 22, l. n. 47/1985 in tema di sanatoria delle opere solo se conformi ab origine agli strumenti ur- banistici.
Da tali premesse interpretative la S.C. desume che l’oggetto di tutela della norma penale di cui all’art. 20,
l. n. 47/1985 si incentra oggi nel territorio (il c.d. «be- ne–territorio»), un valore «esposto a pregiudizio da ogni condotta che produca alterazioni in danno del be- nessere della collettività e delle sue attività», il cui para- metro di legalità è dato dalla disciplina degli strumenti urbanistici e dalla normativa urbanistica vigente.
Il valore così individuato è tutelato con gradualità crescente (rectius, decrescente): con la comminato- ria delle pene di cui alla lett. c) e lett. b) dell’art. 20, in alcuni casi (interventi in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali, in zo- ne protette e in zone non protette), con la sola pena dell’ammenda ex lett. a) del medesimo art. 20, nelle trasgressioni residuali (sempre che siano penalmente apprezzabili e non depenalizzate).
La «riscoperta» della lett. a), dell’art. 20, l. n. 47/1985
L’art. 20, lett. a), assume così la struttura della nor- ma penale in bianco (come già affermato in Cass. Sez. un. pen. 14 luglio 1992, Xxxxxxx) (9), il cui precetto è integrato dai dati prescrittivi, tecnici e provvedimen- tali di fonte extrapenale: violazione degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi, inosservanza del- le prescrizioni contenute nella concessione edilizia, violazioni affini.
L’accertamento del giudice penale, ai fini del reato in esame, consiste nel raffronto fra opera realizzata (o in corso di realizzazione) e «fattispecie legale», quale descrittivamente risulta dagli elementi extra- penali, di natura amministrativa, ai quali la norma rinvia; sicché gli strumenti urbanistici (per esempio, le norme tecniche di attuazione del piano regolatore), il regolamento edilizio e la concessione costituisco- no il parametro per l’accertamento della liceità o me- no dell’opera edilizia.
In tale contesto la concessione edilizia, quale atto di esternazione formale dell’assenso comunale a co- struire, integra con le sue prescrizioni la fattispecie penale in esame; con la conseguenza che al giudice non è affidato alcun sindacato su tale atto, dovendo egli solo accertare la conformità tra l’ipotesi di fatto (l’opera costruita o in itinere) e la fattispecie legale, in vista dell’interesse sostanziale tutelato; in tale
«fattispecie legale» gli elementi di natura extrapena- le convergono organicamente assumendo un signifi- cato descrittivo.
In conclusione, il reato ex art. 20, lett. a), si configu- ra quando l’opera di trasformazione del territorio ri- sulti realizzata in violazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia; tale parametro, a sua volta, è costituito dalle prescrizioni della concessione edilizia (atto amministrativo), dalle prescrizioni degli stru- menti urbanistici, dalle prescrizioni dei regolamenti edilizi e dalle stesse norme di legge. Da ciò si deduce che l’accertata aporia dell’opera realizzata rispetto agli strumenti normativi ovvero alle norme tecniche del piano regolatore non può portare il giudice penale
Note:
(8) Cass. Sez. un. pen. 12 novembre 1993, Borgia, in Giust. pen., 1994, II, 293; in Cass. pen., 1994, 901, con nota di Xxxxxxx, Le Sezioni unite affermano la rilevanza penale della concessione edilizia in difformità dalla normativa urba- nistica e dalle previsioni di piano; in Riv. giur. edil. 1994, I, 405, con nota di Xxxxxx, Xxxxx sindacabilità dell’atto ammini- strativo da parte del giudice penale; in Corr. giur., 1994, 750 (con gli estremi, però, 21 dicembre 1993), con nota di Xxxxxxx, La tutela penale del «bene territorio».
(9) In Cass. Pen. Mass. Uff., 1992, (m) 191176.
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a concludere per la mancanza di illiceità della condot- ta solo perché risulti rilasciata la concessione edilizia, perché questa, per le sue caratteristiche strutturali e formali, non definisce esaurientemente il c.d. «statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzata» (è tra- sparente l’influenza delle tesi esposte sei anni prima da Xxxxxxxxx nel suo commento critico della senten- za «Xxxxxxxx» delle Sezioni unite del 31 gennaio 1987, di cui si è già detto).
Le conclusioni delle Sezioni unite
La conclusione della S.C. è che l’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All.E), non risulta disatteso, perché l’accertamento del giudice penale non è volto ad incidere sulla sfera dei poteri riservati alla P.A. e quindi ad esercitare un’indebita ingerenza nell’atti- vità amministrativa, ma trova fondamento e giustifi- cazione, in base ad una esplicita previsione normati- va, nella «potestà del giudice di procedere ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzio- nata».
La motivazione, come si può notare, è difficile e complessa ed è forse utile riassumerla con le seguenti
«massime» tratte dal «Massimario ufficiale».
«La previsione di cui all’art. 20, comma primo, lett. a), legge 28 febbraio 1985, n. 47, configura una ipotesi di norma penale in bianco, atteso che per la determinazione del precetto viene fatto rinvio a dati prescrittivi, tecnici e provvedimentali, di fonte extra- penale. Il precetto, infatti, comprende, oltre alle par- ziali difformità delle opere eseguite, la violazione degli strumenti urbanistici e del regolamento edili- zio, l’inosservanza delle prescrizioni della conces- sione e l’inosservanza delle modalità esecutive dell’opera risultanti dai suddetti strumenti e dalla concessione edilizia stessa, oltre che dalla legge.
Il reato di cui all’art. 20, comma 1, lett. a), l. n. 47/1985 è configurabile, nel caso di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia, co- stituito dalle prescrizioni della concessione edilizia, richiamata dalla norma penale ad integrazione de- scrittiva della fattispecie penale, nonché dalle pre- scrizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamen- ti edilizi, ed – in quanto applicabili – da quelle della stessa legge» (10).
Si ricorda, per il mero aspetto pratico, che la Cas- sazione ha annullato la sentenza di assoluzione del Pretore di Barletta–Trani ed ha indicato al giudice del rinvio la questione di merito da risolvere: accertare in concreto le rispettive responsabilità degli imputati sulla base dei diversi ruoli assunti nel contesto dell’esecuzione dei lavori, «con riferimento alla vio- lazione delle prescrizioni normative vigenti».
In altre parole, volendo semplificare, la Cassazio- ne ha escluso che, sussistendo difformità dell’opera realizzata rispetto alle norme tecniche del Piano Re- golatore Generale, il giudice debba sempre conclu- dere per la liceità della condotta quando l’esecutore risulti in possesso della concessione edilizia, perché tale atto non esaurisce tutti i parametri di liceità dell’opera (cioè, lo «statuto urbanistico ed edilizio dell’opera»).
Sembrerebbe la parola fine per l’annoso dibattito,
sebbene in dottrina si registrino alcune reazioni for- temente critiche (11).
Ultimi orientamenti della S.C.
Cosa è accaduto nel frattempo, prima della senten- za «Catalano» del 1997 in commento?
È da segnalare che la sezione terza della Cassazio- ne, nel respingere un ricorso difensivo quasi tutto im- postato sulle vecchie tesi della sentenza «Xxxxxxxx» del 1987 delle Sezioni unite (e con riferimenti impre- cisi alla successiva sentenza «Borgia» del 1993), muove questo testuale rimprovero alla difesa del ri- corrente: «Il frainteso della sentenza Xxxxxx, da parte dell’[imputato] è totale, visto che l’analizzata sen- tenza costituisce la chiara dimostrazione che, nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, a partire dalla sentenza Xxxxxxxx, vi è stata evoluzione» (12). La c.d. «evoluzione» viene narrata e dimostrata nella motivazione, in un apposito paragrafo intitolato ap- punto «L’evoluzione normativa e giurisprudenzia- le», con il richiamo della sentenza «Xxxxxxxxx» del 9 gennaio 1989, della sentenza «Molinari» del 21 otto- bre 1992 (due tappe fondamentali, già citate), nonché della sentenza «De Xxxxxx» del 22 dicembre 1992 (13) (e di altre simili), fino al «traguardo» della nota sentenza «Borgia» delle Sezioni unite del 1993, alla quale risulta essersi adeguata, nelle more, la suc- cessiva sentenza «Pernici» del 1994 (14).
Conclusioni
In conclusione, riteniamo che non si possa fare tanto affidamento sulla sentenza «Catalano» del 1997 (in commento) per ritenere che l’orientamento della Cassazione si sia ammorbidito o che abbia mu- tato rotta. Si tratta di una sentenza di routine dalla quale non traspare alcuna volontà di «ribellione» o di revirement, che deve essere valutata solo come un se-
Note:
(10) In Cass. Pen. Mass. Uff., 1993, (m) 195358, (m) 195359.
(11) Cfr., ad esempio, Xxxxxxx, La tutela penale del «bene territorio», in Corr. giur., 1994, 750. Piena adesione manife- sta però Xxxxxxx nella nota di commento cit. sub nota 8.
(12) Cfr. motivazione di Cass. pen., sez. III, 24 gennaio 1996, Oberto, in Giust. pen., 1997, II, 82 (con nota redazio- nale di commento e riferimenti).
(13) Cass. pen., sez. III, 1° dicembre 1992, De Xxxxxx, in
Mass. Cass. pen., 1993, 58 (solo massima).
(14) Cass. pen., sez. III, 18 febbraio 1994, Pernici, in Cass. pen., 1995, 373, con nota di Xxxxxxxxxxx; in Giust. pen., 1994, III, 279. Cfr. inoltre, in senso conforme o analogo, Cass. pen. sez. III, 13 gennaio 1995, Xxxxxxxxx, in Giust. pen., 1996, II, 57; Cass. pen. sez. III 4 aprile 1995, Marano, in Fo- ro it., 1996, II, 499, con nota di Xxxxxxxx, Concessione edilizia illegittima e reato di costruzione abusiva: una questione an- cora irrisolta; Cass. pen., sez. III, 12 maggio 1995, Di Pa- squale, in Giust. pen., 1996, II, 96; Cass. pen., 1996, 3449; Cass. pen., sez. V, 23 maggio – 29 luglio 1997, n. 7521, Mo- latore, in Guida al diritto, 1997, n. 34, 94 (solo massima). In senso difforme, cfr. però, Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 1993, Dorelli, in Giust. pen., 1994, II, 29; Giur. it., 1994, II, 607; Cass. pen. sez. III 23 dicembre 1994, Xx Xxxxxx, in Riv. pen., 1996, 202; Cass. pen., 1996, 913. Cfr., in dottrina, Xxx- xxxxx, Xxxxx note sui poteri del giudice penale rispetto alle concessioni edilizie in sanatoria illegittime, in Cass. pen., 1995, 3059.
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gnale (forse inconscio) di una resistenza (anche dei giudici della S.C.) nell’aderire in modo automatico ed istintivo alla «accademica» e severa tesi della sen- tenza «Borgia» del 1993, sulla quale – forse – le Se- zioni unite prima o poi dovrebbero ritornare.
Ci permettiamo solo di avanzare delle riserve sulla teoria esposta nella sentenza «Borgia» secondo la quale «la concessione non è idonea a definire esau- rientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzata senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici» (così si leg- ge in motivazione). Così ragionando, l’autore di un’opera edilizia, dopo avere presentato un progetto ed avere ottenuto dal Sindaco una concessione edili- zia formalmente valida (magari dopo estenuanti mo- difiche e correzioni imposte dagli uffici tecnici co- munali) avrebbe l’obbligo, penalmente sanzionato, di verificare ancora, al di là della concessione, il
«quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanisti- ci». Il compito sarebbe agevole ed esigibile se lo
«statuto urbanistico dell’opera» fosse semplice e li- neare nella sua struttura; è compito sovrumano ed inesigibile in presenza di «statuti» comprensibili so- lo a pochi esperti e peraltro desumibili da un faticoso collage di norme statali, regionali, regolamentari e tecniche.
L’obiezione che la lieve sanzione pecuniaria giu- stificherebbe qualsiasi tesi restrittiva per l’aspetto re- pressivo, in vista della tutela del bene–territorio, che è primario, non convince. Il bene–territorio può esse- re agevolmente tutelato dalle sanzioni amministrati- ve «serie» della demolizione e del ripristino coattivo, il cui mancato uso – per la cronica inefficienza della
P.A. – non può giustificare l’uso esasperato della san- zione penale, ancorché lieve o simbolica.
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