FATTO
Cass. Civ., Sez. III, 06/07/2018, n. 17726 – Est. Dott. Cigna
FATTO
Il Tribunale di Torre Annunziata, in parziale accoglimento dell'opposizione proposta da M.A. e M.R. avverso il decreto ingiuntivo per Euro 28.334,17, notificato ad istanza dell'avvocato A.R. ed avente ad oggetto somme per compensi dovuti per prestazioni professionali di quest'ultimo, ha ritenuto valido il patto di quota lite intercorso tra le parti in data 15-12-2009 (in quanto sottoscritto nell'arco temporale di vigenza del D.L.
n. 223 del 2006 - c.d. decreto Bersani - che aveva abrogato la norma che ne sanciva il divieto), ma non dovute le spese generali ed errata la predeterminazione dell'IVA; ha quindi revocato il d.i. opposto, e condannato gli opponenti al pagamento della minor somma di Euro 20.014,25, oltre accessori.
La Corte d'Appello di Napoli ha rigettato l'appello; in particolare la Corte, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che con la stipula del patto di quota lite, legittimo (come detto) in virtù del predetto D.L. n. 223 del 2006, art. 2, le parti poteva derogare anche ai compensi tariffari massimi; al riguardo la Corte ha evidenziato che la previsione della possibilità di pattuire compensi "sganciati" dalla tariffa professionale e riferiti al risultato perseguito ed ottenuto (art. 2, comma 1 lett. a d.l. cit.) non poteva che comportare che i detti compensi potessero essere anche superiore ai massimi tariffari; la Corte, infine, ha ritenuto irrilevanti le sollevate obiezioni di natura deontologica, concernenti un piano diverso rispetto a quello della validità dell'accordo.
Avverso detta sentenza M.A. e M.R. hanno proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un motivo.
Ha resistito con controricorso A.R..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo i ricorrenti - denunziando violazione e falsa applicazione del D.L.
n. 223 del 2006, art. 2, comma 1, lett. a) e comma 2, convertito in L. n. 248 del 2006, in relazione al capo terzo, e del D.M. n. 127 del 2004, art. 1, commi 2 e 3 e degli artt. 1261,1339,1419 e 2233 c.c., nonchè violazione degli artt. 43 e 45 codice deontologico ed erroneità e contraddittorietà della motivazione - si dolgono che la Corte territoriale, nel ritenere possibile pattuire un compenso svincolato dai massimi tariffari, non abbia tenuto in considerazione l'art. 2, comma 2, del cit. d.l., che espressamente esclude dall'abrogazione (prevista dal comma 1 dello stesso articolo) le disposizioni riguardanti "le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti"; i ricorrenti sostengono, inoltre, la rilevanza del codice deontologico, atteso che gli artt. 43 e 45 del detto codice avevano puntualizzato che il
pur ammesso (con il d.l. Bersani) patto di quota lite doveva comunque rispettare il disposto dell'art. 2233, comma 2, ai sensi del quale i compensi dovevano comunque essere proporzionati all'importanza dell'opera; nel caso di specie il richiesto compenso (Euro 25.000,00, pari al 50% di quanto ottenuto dai clienti per l'esito positivo della questione trattata) era da ritenersi non proporzionato all'attività svolta dall'avvocato A., che si era limitato all'inoltro di una diffida e di una raccomandata, cui era seguita la definizione bonaria della vicenda; in conclusione, quindi, ha chiesto di ritenere il patto di quota lite in questione affetto da nullità parziale ex art. 1419 c.c. per contrasto con il su menzionato art. 2, comma 2, del cit. d.l., con inserzione automatica ex art. 1339 cc della disciplina legale rinveniente dal D.M. n. 127 del 2004 (capo terzo, art. 1, commi 2 e 3) e conseguente compenso del professionista parametrato a detta normativa.
Il motivo è infondato.
Il patto di quota lite in esame è stato stipulato il 15-12-2009 ed è relativo all'attività di assistenza prestata dall'avvocato A.R. in favore degli opponenti M.A. e M.R. in una controversia conclusasi con una transazione, nella quale era prevista la corresponsione da parte di Telecom in favore dei proprietari M. dell'indennità di occupazione di Euro 50.000,00 ed il rilascio di un immobile con lastrico solare dove era stato installato l'impianto di telecomunicazioni locato a Blu Spa, cui era subentrata Telecom; detto patto prevedeva che il professionista avrebbe avuto diritto al 50% dell'importo a recuperare dalla società.
Non vi è dubbio, pertanto, che il detto patto è stato stipulato nella vigenza del D.L. n. 223 del 2006 (c.d. decreto Bersani), convertito in L. n. 248 del 2006, ed è quindi regolamentato dalle disposizioni in esso contenute.
Al fine di una migliore comprensione della questione in esame, appare opportuno procedere ad un rapido excursus normativo.
Come è noto, invero, l'art. 2233 c.c., comma 3, nella formulazione precedente l'entrata in vigore del detto d.l., prevedeva il divieto per gli avvocati, i procuratori ed i patrocinatori di stipulare con i loro clienti il c.d. "patto di quota lite", ossia, come recitava lo stesso art. 2233 c.c. un "patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio sotto pena di nullità e dei danni"; la ratio del divieto (in continuità sistematica con l'art. 1261 c.c., che tuttora prevede, anche per gli avvocati, il più generale divieto di cessione dei crediti litigiosi) è sempre stata individuata nell'esigenza di tutelare l'interesse del cliente nonchè la dignità e la moralità della professione forense, impedendo la partecipazione del professionista agli interessi economici esterni della prestazione.
Il D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, al fine di tutelare la concorrenza nel settore dei servizi professionali, ha abrogato tutte le disposizioni che prevedevano, con riferimento alle attività libero professionali ed intellettuali,
"l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti" (art. 2, comma 1, lett. a), facendo salve le disposizioni riguardanti "le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti" (art. 2, comma 2); lo stesso d.l., inoltre, ha previsto la nullità, se non redatti in forma scritta, dei patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali (art. 2, comma 2 bis, che ha così sostituito il comma 3 dell'art. 2233 cc); il detto d.l., quindi, ha abrogato l'obbligatorietà delle tariffe minime e, con la generale abrogazione del divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, ha espressamente eliminato il divieto di patto di quota lite, fatto salvo l'obbligo di dare all'accordo la forma scritta; lo stesso d.l., infine, ha imposto, entro un anno, a pena di nullità, l'adeguazione dei codici deontologici professionali alla nuova normativa (art. 2, comma 3).
Il D.L. 24 gennaio 2012, art. 9, convertito in L. n. 27 del 2012, ha poi previsto l'abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate, facendo così venir meno oltre i minimi anche i massimi ed introducendo una nuova disciplina del compenso professionale; con particolare riferimento alla professione forense, la legge professionale (L. n. 247 del 2012), pur stabilendo che "la pattuizione dei compensi è libera (art. 2, comma 3), ha poi stabilito per i compensi la possibile pattuizione a tempo, in misura forfettaria, per convenzione avente ad oggetto uno o più affari, in base all'assolvimento ed ai tempi di erogazione della prestazione, per singole fasi o prestazioni o per l'intera attività, a percentuale sul valore dell'affare o su quanto si prevede possa giovarsene, non soltanto a livello personale, il destinatario della prestazione (art. 13, comma 3) ed ha esplicitamente previsto (art. 13, comma 4) il divieto dei "patti con i quali l'avvocato percepisca come compenso in tutto o in parte una quota del bene oggetto della prestazione o della ragione litigiosa", reintroducendo in tal modo il divieto del patto di quota lite.
Delineato il quadro legislativo, e ribadito che il patto di quota lite in questione è soggetto alle disposizioni del su menzionato D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, questione principale da chiarire è se con il detto patto, espressamente consentito dal predetto d.l., si possa o meno superare il massimo tariffario; tanto in considerazione che il citato decreto, da una parte (art. 2, comma 1, lett. a), consente il detto patto (ed elimina l'obbligo di rispettare il minimo tariffario), dall'altra (art. 2, comma 2), fa salve le tariffe massime.
Questa Corte ritiene che la previsione dell'art. 2, comma 1 lett. a), eliminando in modo "secco" ed univoco il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, non imponga l'osservanza dei massimi tariffari (fatta salva nel successivo comma); in primo luogo in quanto il comma 1 contiene una disposizione speciale (concernente solo le tariffe massime) rispetto al tenore generale del comma 2; in secondo luogo, e soprattutto, in quanto, l'art. 2233
c.c. pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione dell'onorario spettante al professionista, considerando in primo luogo l'accordo delle parti e, solo in mancanza di convenzioni, le tariffe professionali, gli usi e la decisione del giudice; le tariffe massime, cioè, hanno un ruolo sussidiario e recessivo rispetto all'accordo delle parti, e continuano ad essere obbligatorie, in base al disposto dell'art. 2, comma 2, d.l. cit., solo nel caso in cui tra avvocato e cliente non sia stato concluso un patto; sul punto si condivide quanto già statuito da questa S.C., secondo cui "Il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa, ed adeguato all'importanza dell'opera, solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest'ultima, ed in ordine successivo, alle tariffe ed agli usi ed, infine, alla determinazione del giudice...La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilità dei minimi tariffari non importa la nullità, ex art. 1418 x.x., xxxxx 0, xxx xxxxx xx xxxxxx, xx quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell'intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale" (Cass. 1900/2017); detto principio, enunciato con riferimento all'obbligatorietà dei minimi tariffari, è da ritenersi applicabile per identità di ratio, anche nel caso di specie, concernente i massimi tariffari; ne consegue che, come detto, una volta affermata la legittimità del patto di quota lite ed il ruolo sussidiario delle tariffe rispetto alla volontà delle parti, è consentito a quest'ultime, attraverso il detto patto, accordarsi per un compenso anche superiore al massimo tariffario.
Irrilevanti sono, inoltre, nel presente giudizio civile, le asserite violazioni del codice deontologico, operanti (come correttamente affermato nella impugnata sentenza) su un piano diverso rispetto alla validità dell'accordo.
Infondata è anche la doglianza concernente l'asserita sproporzione tra il compenso, come risultante dal patto di quota lite, e la prestazione resa, con conseguente violazione dell'art. 2233, comma 2 (secondo cui la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera ed al decoro della professione).
La deduzione di siffatta sproporzione non tiene, invero, in debito conto che, nel caso di specie, la prestazione resa dal professionista ha comportato, oltre al pagamento dell'indennità di occupazione, anche il rilascio dell'immobile; in ogni modo, è irrilevante nel presente giudizio, non potendo la sproporzione, ove sussistente, comportare (come richiesto dai ricorrenti) una non prevista nullità del patto, ma, al limite, una (non richiesta) riconduzione ad equità.
Alla stregua di quanto sopra, il ricorso va, quindi, rigettato.
Attesa la novità della questione trattata, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese di lite del presente giudizio di legittimità
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate tra le parti le spese di lite del presente giudizio di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (principale).
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2018. Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2018