LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO PORTUALE
Università Ca’ Foscari Venezia
Dottorato di ricerca in DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI CIVILI, COMMERCIALI E DEL LAVORO
22° ciclo
(A. A. 2006/2007 – A.A. 2008/2009)
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO PORTUALE
SETTORE SCIENTIFICO-DISCIPLINARE DI AFFERENZA: IUS 07
di XXXX XXXXXX XXXXXXXXX
[matricola 955317]
Coordinatore del dottorato Tutore del dottorando xxxx. XXXXXXX XX XXXXXXX xxxx. XXXXXXX XXXXX XXXXXX
INDICE
CAPITOLO I
LA SPECIALITA’ DELLA FORNITURA DI LAVORO PORTUALE TEMPORANEO E IL REGIME DELLA RISERVA DI LAVORO A FAVORE DELLE COMPAGNIE PORTUALI
1. I c.d. mercati afferenti al ciclo delle operazioni portuali e la peculiarità del mercato dell’avviamento temporaneo di manodopera portuale 6
2. La specialità del lavoro portuale 7
3. Il lavoro portuale temporaneo nel periodo corporativo. La natura giuridica pubblica delle compagnie portuali 8
4. La dissoluzione dell’ordinamento corporativo e l’assetto del lavoro portuale alla luce del codice della navigazione del 1942 10
5. La deroga ai divieti di intermediazione e di interposizione 13
6. Il ruolo per le Compagnie, avviamento o somministrazione di manodopera?
.............................................................................................................. 14
6.1. La natura giuridica delle Compagnie portuali 15
6.2. I rapporti tra Compagnia, operatori portuali, maestranze e terzi 18
7. Il regime concessorio per le imprese di imbarco e sbarco 20
8. I lavoratori delle imprese di imbarco e sbarco 21
9. Il ruolo centrale della pubblica amministrazione marittima periferica nel regime della riserva portuale 22
CAPITOLO II
L’ADEGUAMENTO DELL’ORDINAMENTO PORTUALE AI PRINCIPI DEL DIRITTO COMUNITARIO
1. Il caso Siderurgica Xxxxxxxxx e la c.d. Sentenza Porto di Genova: il diritto di esclusiva sulle operazioni portuali, le relative distorsioni del mercato e l’incompatibilità con la normativa comunitaria 24
2. La successiva fase della decretazione d’urgenza 29
3. La disciplina originariamente prevista dalla legge n. 84 del 1994. L’abolizione della riserva di lavoro portuale 30
3.1. La trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali in società legittimate a svolgere operazioni portuali in concorrenza con le imprese autorizzate ai sensi dell’art. 16 32
3.2. Le associazioni di lavoro portuale nei porti nei quali non operavano imprese fornitrici di servizi e di mano d’opera 33
3.3. L’aspetto deleterio, in chiave comunitaria, della creazione di un “monopolio facoltativo” a favore delle società derivanti dalla trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali 34
4. La legge n. 647 del 1996 e la novella dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994. La costituzione dei consorzi volontari per la fornitura di manodopera temporanea. Il permanere delle distorsioni alla concorrenza e alle restrizioni alla libera circolazione dei servizi: gli interventi della Commissione con la decisione del 21 dicembre 1997, n. 744 e della Corte di Giustizia con il c.d. caso Xxxxxxx Xxxx 35
5. La legge n. 186 del 2000, le modifiche, orientate ai principi comunitari, dell’art. 17 della legge n. 84/1994 38
6. Il d.lgs. n. 276 del 2003 e la conferma della disciplina della somministrazione di lavoro portuale di cui all’art. 17 della legge n. 84 del 1994 40
7. L’abrogazione della legge n. 1369 del 1960, l’applicabilità dei divieti di intermediazione e di interposizione di manodopera nel settore portuale 41
8. Il permanere del monopolio nella fornitura di manodopera portuale temporanea: aspetti di incompatibilità con il diritto comunitario della concorrenza 45
CAPITOLO III
LE MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALL’ART. 17, L. N. 84/1994, DA PARTE DELLA LEGGE N. 247/2007
1. L’indennità di disponibilità in caso di mancato avviamento 49
2. Il nuovo comma 8 bis dell’art. 21 relativo al processo di trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali. Le società fornitrici di mera manodopera il cui organico non superi le quindici unità, possono svolgere altre tipologie di lavori in ambito portuale, in deroga all’art. 17 che, invece, obbliga l’esercizio in via esclusiva della fornitura di manodopera temporanea.
.............................................................................................................. 51
3. Nuove espressioni terminologiche dell’art. 21 con riferimento al cambiamento di status delle compagnie e dei gruppi portuali in società o cooperative 53
4. Il contratto unico dei porti. L’art. 17, comma 13, L. 84/1994, nella sua stesura originaria 53
4.1. La stagione giurisprudenziale provocata dalle associazioni escluse dalle trattative e firmatarie dei contatti collettivi applicati nelle imprese utilizzatrici e superati dal c.d. contratto collettivo unico dei porti 55
4.1.1. Il caso Porto di Piombino 56
4.2. Il trattamento minimo inderogabile a favore dei lavoratori portuali temporanei: la nuova formulazione del comma 13 dell’art. 17 della legge n. 84/1994, novellato dal comma 89, dell’art. 1 della legge n. 247 del 2007 58
CAPITOLO IV
IL RINVIO ALLA FONTE REGOLAMENTARE DELL’AUTORITA’ PORTUALI E (O MARITTIMA)
1. L’art. 17 e il rinvio alla fonte regolamentare da parte dell’autorità portuale, o laddove non istituita, dell’autorità marittima 61
2. I criteri determinati dall’autorità portuale o marittima per l’applicazione delle tariffe per le prestazioni di lavoro temporaneo 62
3. L’autorità portuale o marittima e la regolamentazione quantitativa e qualitativa degli organici dell’impresa o dell’agenzia fornitrice di manodopera temporanea in rapporto alle effettive esigenze delle attività svolte nel porto 63
4. La predisposizione da parte dell’autorità portuale o marittima di piani e di programmi di formazione professionale sia ai fini dell’accesso alle attività portuali, sia ai fini dell’aggiornamento e della riqualificazione dei lavoratori. Il “Passaporto di competenze” predisposto dall’Autorità portuale di Livorno 64
5. Il rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità portuale (o marittima) 65
6. Le autorità portuali e marittime e la determinazione dei criteri per la salvaguardia della sicurezza sul lavoro 66
7. L’avviamento al lavoro portuale temporaneo. La “Rubrica di chiamata giornaliera” 67
7.1. Le richieste di personale da parte delle imprese utilizzatrici, il “Piano di chiamata e di avviamento al lavoro” e il “Ruolo dei lavoratori portuali temporanei” 67
7.2. Forma e contenuto del contratto di fornitura di lavoro temporaneo 68
7.3. La sostituzione dei lavoratori portuali temporanei 68
8. L’ipotesi di mancato pagamento da parte dell’impresa utilizzatrice e la richiesta di sospensione all’autorità portuale della autorizzazione 69
9. Doveri dei lavoratori portuali temporanei 70
10. I lavoratori portuali temporanei interinali 70
CAPITOLO V
IL RAPPORTO TRA LA DISCIPLINA GENERALE DELLA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO (D.LGS. N. 276/2003) E QUELLA SPECIALE DEL LAVORO PORTUALE TEMPORANEO (L. 84/1994)
1. L’assenza di una diretta e generale efficacia regolativa del d.lgs. n. 276/2003 sulla fornitura di lavoro portuale temporaneo 71
2. La parziale applicazione della disciplina generale della somministrazione di lavoro nell’ambito portuale 74
2.1. I lavoratori portuali temporanei interinali 74
2.2. Il rinvio alla contrattazione collettiva 77
2.2.1. La contrattazione collettiva e i casi in cui è possibile ricorrere al lavoro portuale temporaneo 78
2.2.2. La contrattazione collettiva e la percentuale massima dei lavoratori temporanei da impiegare 80
2.2.3. La contrattazione collettiva e la determinazione del trattamento retributivo durante la missione 82
2.2.4 Le iniziative da parte delle imprese o agenzie fornitrici rivolte al soddisfacimento delle esigenze di formazione dei prestatori di lavoro temporaneo 82
CAPITOLO VI
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO PORTUALE
1. La somministrazione di lavoro portuale e il collegamento negoziale tra contratto di fornitura di lavoro portuale e contratto di lavoro 84
2. La dissociazione tra datore di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione: il divieto generale di interposizione nel rapporto di lavoro e le deroghe della disciplina speciale del lavoro portuale e di quella generale della somministrazione di lavoro 85
3. L’impresa (o agenzia) fornitrice di lavoro portuale temporaneo 87
4. L’impresa utilizzatrice della prestazione somministrata 89
5. I lavoratori portuali temporanei 90
6. I lavoratori portuali temporanei interinali 91
7. L’autorità portuale (o marittima): i soggetti pubblici preposti al controllo della fornitura di lavoro portuale 92
8. Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo 95
9. Alcune considerazioni conclusive sulla peculiarità del lavoro portuale temporaneo 96
BIBLIOGRAFIA 98
CAPITOLO I
LA SPECIALITA’ DELLA FORNITURA
DI LAVORO PORTUALE TEMPORANEO E IL REGIME DELLA RISERVA DI LAVORO A FAVORE DELLE COMPAGNIE PORTUALI
Sommario: 1. I c.d. mercati afferenti al ciclo delle operazioni portuali e la peculiarità del mercato dell’avviamento temporaneo di manodopera portuale. 2. La specialità del lavoro portuale. 3. Il lavoro portuale temporaneo nel periodo corporativo. La natura giuridica pubblica delle compagnie portuali. 4. La dissoluzione dell’ordinamento corporativo e l’assetto del lavoro portuale alla luce del codice della navigazione del 1942. 5. La deroga ai divieti di intermediazione e di interposizione. 6. Il ruolo per le Compagnie, avviamento o somministrazione di manodopera? 6.1. La natura giuridica delle Compagnie portuali. 6.2. I rapporti tra Compagnia, operatori portuali, maestranze e terzi. 7. Il regime concessorio per le imprese di imbarco e sbarco. 8. I lavoratori delle imprese di imbarco e sbarco. 9. Il ruolo centrale della pubblica amministrazione marittima periferica nel regime della riserva portuale.
1. I c.d. mercati afferenti al ciclo delle operazioni portuali e la peculiarità del mercato dell’avviamento temporaneo di
manodopera portuale
La copiosa giurisprudenza comunitaria in materia portuale, insieme con la prassi applicativa della commissione europea e dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, hanno più volte sottolineato che la struttura dei “mercati” afferenti al ciclo delle operazioni e dei servizi portuali può sinteticamente essere suddivisa in tre settori1.
In primo luogo, il mercato degli operatori terminalisti, e cioè i
soggetti che svolgono le operazioni portuali avvalendosi di attrezzature, sovrastrutture fisse, oltre ché, salvo casi eccezionali, di una banchina dedicata, di cui hanno generalmente il diritto di utilizzo in virtù di uno specifico atto concessorio che ne prevede la disponibilità (tendenzialmente in via esclusiva), ex art. 18 della legge n. 84 del 1994.
1 S.M. Carbone e X. Xxxxxx, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2006, p. 198 ss.
In secondo luogo, il mercato dei servizi portuali resi a favore del terminalista o dell’utente portuale da parte di imprese portuali a ciò autorizzate.
In terzo luogo, il mercato dell’avviamento temporaneo di manodopera portuale, integrativa delle maestranze delle altre imprese portuali, ovvero necessaria per rispondere ai c.d. “picchi di domanda”, che si verificano in occasioni di punte di traffico con presenza di una o più navi in banchina, ed esigenza di completare nel più breve tempo possibile le operazioni portuali per consentire alla nave di riprendere il viaggio.
Il presente lavoro vuole soffermarsi su un’analisi degli aspetti peculiari della fornitura di lavoro portuale temporaneo, tratteggiando le diverse fasi che ne hanno caratterizzato il processo evolutivo.
Proprio la doppia funzione, ruolo di impresa e ruolo di avviamento al lavoro delle compagnie portuali ha manifestato le caratteristiche di un’antinomia con le norme comunitarie mostrando tutte le difficoltà che ha incontrato il cammino di unificazione europea e gli ostacoli che hanno rallentato a cominciare a ragionare in termini di un comune diritto europeo all’interno delle singole esperienze nazionali.
2. La specialità del lavoro portuale
Il lavoro portuale appare un singolare incrocio di discipline privatistiche e pubblicistiche, comprensibile solo alla luce degli interessi coinvolti nel funzionamento del porto. Infatti, intorno al porto, quale bene demaniale attrezzato2 e, quindi, strumentale alla soddisfazione di interessi pubblici, si addensano gli interessi di una pluralità di soggetti: la pubblica amministrazione marittima nelle sue varie articolazioni, le imprese di imbarco e sbarco, i vettori e gli spedizionieri, le imprese industriali e gli altri utenti, il lavoratori portuali, ed in ultima istanza, per il rilievo economico e sociale dei porti stessi, l’intera collettività nazionale3. Si tratta, come si può
2 M.L. Corbino, Le operazioni portuali, Padova, 1979, pag. 89.
3 X. Xxxxxxxx, Lavoro portuale, in Dig. comm., VIII, Torino, 1992, pag. 445.
notare, di un intreccio di interessi pubblici e privati spesso in contrasto, che non manca di riflettersi nella stratificazione di normative di epoca, fonte e rilievo assai differenti; tanto che appare congrua la valutazione che si possa parlare di “confusa disciplina normativa dei porti italiani”4, di “un complesso singolarmente eterogeneo di disposizioni normative emanate in tempi diversi, contenute in fonti di valore normativo diverso e non sempre coordinate tra loro”5.
Gli interventi legislativi che si sono succeduti al codice di navigazione, ed in particolare l’insieme di produzioni normative degli anni venti non hanno risposto solo all’esigenza di riordinare un settore ampiamente investito dalle conseguenze della prima industrializzazione, in funzione di più vaste esigenze dell’economia nazionale, ma anche ad esigenze di “ordine pubblico”, nel senso dell’inquadramento e del controllo di un segmento della forza di lavoro particolarmente “preoccupante”, e per la sua avviata sindacalizzazione che poteva fruire pure della memoria di un’antichissima tradizione di mestiere, per lo meno in alcuni porti storici, e per la collocazione in un ganglio delicato dell’economia nazionale di un paese esportatore come l’Italia.
Ma una delle ragioni fondamentali dell’esistenza delle caratteristiche di specialità dell’ordinamento del lavoro portuale risiede nella necessità di garantire costantemente una ampia e qualificata offerta di lavoro a fronte di una domanda assai incostante e non del tutto prevedibile, talché esse corrispondano solo nei momenti di punta della domanda.
3. Il lavoro portuale temporaneo nel periodo corporativo. La natura giuridica pubblica delle compagnie portuali
4 X. Xxxxxxxxx, Cattive compagnie, in LD, 1987, pag. 517.
5 X. Xxxxxxxxxxx, Linee di riforma dell’ordinamento portuale, in Studi Mar., 28/1986, pag. 41.
Vigente l’ordinamento fascista, venne definita “paramilitare” l’organizzazione del lavoro nei porti6, attuata dal R.D.L. 24 gennaio 1929,
n. 166 che istituiva la riserva di lavoro e la costituzione delle compagnie portuali che ha delineato l’assetto organizzativo seguito successivamente dal codice della navigazione.
La natura pubblicista delle compagnie portuali veniva desunta in quel periodo dalla concorrente presenza dello scopo pubblico della compagnia, cioè il buon andamento dei servizi portuali, dalla vigilanza operata sulle deliberazioni della compagnia portuale dal regio ufficio del lavoro portuale, dal controllo sostitutivo, dai poteri di imperio della compagnia, tra i quali, la potestà tributaria della compagnia sui soci7. E’ noto che quest’ultima attribuzione fosse propria del sindacato legalmente riconosciuto, ai sensi della legge 3 aprile 1926 che prevedeva per ogni categoria professionale un unico sindacato legalmente riconosciuto con rappresentanza ex lege di tutti i lavoratori della categoria e munito di un potere tributario nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria8.
Il sindacato provinciale fascista dei lavoratori del porto9 provvedeva alla designazione, tra i suoi iscritti, del console, del vice console, dei fiduciari e dei revisori della compagnia, la cui nomina veniva poi, con atto dovuto, dal regio ufficio del lavoro portuale. Il sindacato, pertanto, vigilava sull’attività della compagnia, dovendo, in caso di irregolarità, riferire all’autorità portuale.
Si era configurata una struttura triadica: i lavoratori portuali venivano coattivamente immessi nelle compagnie portuali (art. 1, R.D.L. 24 gennaio 1929, n. 166), fuori dalle quali non potevano svolgere alcun lavoro nel porto, le compagnie erano però soggette al potere disciplinare del regio ufficio del lavoro portuale, il quale però non poteva esercitare tale potere autonomamente, ma su indicazione del sindacato che, attraverso la nomina
6 X. Xxxxxxx, L’ordinamento corporativo del lavoro portuale e le compagnie delle Xxxxxxxxxx, xx Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 00. Si deve tenere conto del precedente costituito dal X.X. 0 gennaio 1916, che rese soggetti alla giurisdizione militare tutti coloro che operavano nei porti.
7 X. Xxxxxxx, L’ordinamento corporativo del lavoro portuale e le compagnie delle maestranze, in
Riv. dir. mar., 1938, II, p. 40.
8 X. Xxxxxxxx, Appunti introduttivi di diritto del lavoro, Genova, p. 40.
9 X. Xxxxxxxxx, Diritto corporativo, Torino 1935, p. 195.
del console, viceconsole, fiduciari e revisori, esercitava sulla compagnia un concorrente potere di coordinamento tecnico e di vigilanza; per converso poi la compagnia ripeteva il proprio potere tributario dal sindacato, nel quale, in quanto rappresentante ex lege, erano inquadrati tutti i lavoratori portuali10.
4. La dissoluzione dell’ordinamento corporativo e l’assetto del lavoro portuale alla luce del codice della navigazione del 1942
Con il venire meno dell’ordinamento corporativo scompare il sindacato legalmente riconosciuto, ente pubblico, e con esso i suoi poteri, restano l’ufficio del lavoro portuale e la compagnia che, privata però della sua connessione teleologica con i superiori fini della produzione nazionale attuata attraverso l’ordinamento corporativo, conserva solo la sua natura di associazione (rectius cooperativa) formata obbligatoriamente da tutti coloro i quali partecipano allo status di lavoratori portuali, alla quale non può che attribuirsi natura privata.
Il perdurare dei poteri dell’ufficio del lavoro portuale hanno portato autorevole dottrina a considerare che, esercitando le compagnie il compito di avviamento al lavoro dei soci, queste agirebbero come braccio secolare dell’ufficio portuale del lavoro11 integrando collateralmente la funzione tipicamente pubblicistica di tale ufficio.
Il mercato del lavoro e delle operazioni negli scali marittimi era disciplinato dagli artt. 108-112 cod. nav. che riprendevano i principi delineati nei R.D.L. 15 ottobre 1923, n. 2476, 1 febbraio 1925, n. 232 e 24
gennaio 1926, n. 166.
La particolarità maggiore dell’ordinamento del lavoro portuale era l’organizzazione necessaria dei lavoratori portuali – di nazionalità italiana e iscritti in appositi registri – in compagnie, regolate dagli artt. 161-190 reg.,
10A. Morini, Compagnie portuali tra attività di impresa e monopolio, in Dir. Mar., 1991, p. 454 ss.
11 X. Xxxxxxxxx, La prestazione di lavoro nel contratto di società, Milano, 1967, p. 265.
o, ove ne sia riconosciuta la necessità nei porto o approdi di minor traffico, in gruppi (art. 191 reg.)12.
Ma il perno della disciplina che il legislatore del 1942 aveva inteso dare alla disciplina del lavoro portuale era contenuto negli artt. 110 e 111 cod. nav.
L’art. 110, comma 5, cod. nav., riservava l’esecuzione delle operazioni portuali, definite, ai sensi dell’art. 108 cod. nav., come le attività di “imbarco, sbarco, trasbordo, deposito e movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale” solo alle compagnie e ai gruppi portuali, salvo casi speciali stabiliti dal ministro della marina mercantile13.
Si tratta di una norma che ha origini storiche remote, anteriori, come abbiamo visto, alla codificazione del diritto della navigazione e tesa, in allora, a evitare lo sfruttamento della fluttuante manodopera portuale ad opera degli intermediari14. L’istituto è stato interpretato restrittivamente sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza15. L’operazione riduttiva era anche giustificata dalla opposta tendenza delle compagnie portuali, che vedevano scemare le ragioni giustificatrici del privilegio, di estendere sempre più la portata dello stesso.
Gli effetti sostanziali della riserva consistevano nell’instaurazione di un monopolio legale assoluto, appena teoricamente attenuato dalla previsione di deroghe eccezionalmente decretabili in via amministrativa, a
12 Le compagnie avevano la personalità giuridica (art. 110, comma 2, cod. nav.), mentre i gruppi no, inoltre, il ministero non aveva provveduto alla fissazione delle modalità di costituzione dei gruppi, di modo che essi sono stati costretti all’osservanza della complessa normativa sulle compagnie, salvo il disposto dell’art. 191, comma 2, reg., che disponeva l’elettività del capo del gruppo e la sua partecipazione al lavoro portuale.
13 Vedi M.L. Corbino, Le operazioni portuali, QTrasp., 1979, n. 6, pag. 124 ss.; X.Xxxxxxxx, Le operazioni portuali nel nuovo diritto pubblico del diritto dell’economia, Milano, 2000, p. 118.
F.A. Querci, Lavoro portuale, in Enc. del diritto, Milano, 1973, p. 472 ss.; X. Xxxxxxxx, L’ordinamento giuridico dei porti italiani, Milano, 1998; X. Xxxxxx, Compagnie portuali: tra attività di impresa e monopolio, op. cit., p. 454.
14 Cfr. il R.D.L. 15 ottobre 1923, n. 2476 sul lavoro portuale e, successivamente, i D.L. 1 febbraio 1925, n. 232 sul lavoro nel porto, e D.L. 24 gennaio 1929, n. 166 sulle maestranze portuali. Vedi anche Relazione ministeriale al codice della navigazione, capo IV, nn. 175 e ss., F.A. Querci, Lavoro portuale, op. cit., p. 472 ss.
15 Cfr. Cass. S.U. 26 febbraio 1969, n. 621, Cokapuania c. Ministero della Marina Mercantile e Compagnia lavoratori portuali di La Spezia, in Foro it., 1969, I, 3252 con nota di Pellegrino; Cons. Stato, 14 novembre 1969, n. 716, Tirrenia c. Ente Autonomo Porto di Napoli e Compagnia unica Lavoratori Portuali del Porto di Napoli, in Foro it., 1970, III, 7; Cass. S.U. 5 novembre 1984, n. 5583, Provveditorato al porto di Venezia c. S.p.A. Vineurop e altri, in Dir. mar., 1983, 365.
favore delle compagnie per la fornitura di manodopera portuale. Infatti, l’art. 110, comma 5, cod. nav. attribuiva al ministro della marina mercantile il potere di concedere, in casi speciali, la dispensa dall’osservanza dell’obbligo di eseguire le operazioni portuali a mezzo delle maestranze delle compagnie portuali. L’istituto, che nella pratica ha ricevuto limitate e contestate applicazioni per lo più a approdi inseriti nel ciclo produttivo di stabilimenti petrolchimici o siderurgici (Porto Marghera, Ravenna, Genova - Cornigliano, etc.), è comunemente noto come autonomia funzionale.
L’assolutezza e rigidità del monopolio è dimostrata inoltre dalla
previsione di sanzioni penali per l’inosservanza dello stesso. Le sanzioni erano previste dall’art. 1172 cod. nav. che comminava un’ammenda per ogni persona impiegata e per ogni giornata di lavoro a chiunque, per l’esecuzione di operazioni portuali si avvaleva di personale non appartenente alle maestranze costituite nelle compagnie. Questa norma è stata, opportunamente, interpretata restrittivamente dalla giurisprudenza, nel senso che l’operatore aveva libertà di decidere se l’impiego di manodopera sia più o meno necessario per l’effettuazione delle operazioni portuali e che la sanzione si applicava soltanto nel caso in cui veniva utilizzata manodopera estranea alla compagnia per operazioni non effettuabili con personale o mezzi dell’operatore16. Resta pertanto punto di partenza fondamentale per l’esame dell’art. 110 cod. nav., la constatazione che tale norma ha istituito una vera e propria fattispecie di monopolio
legale17.
La riserva riguardava la sola movimentazione compiuta in modo manuale, ferma la possibilità delle compagnie di offrire anche servizi effettuati con mezzi meccanici18.
16 Trib. Genova, 13 maggio 1961, Cokapuania c. Amministrazione Xxxxxx Xxxxxxxxxx, in Dir. mar., 1962, 352, con nota Xxxxxxxxx.
17 X. Xxxxxx, Le norma del codice della navigazione sul monopolio delle compagnie portuali e sull’esercizio da parte di imprese di operazioni portuali per conto terzi alla luce dei principi fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea: il giudizio della Corte del Lussemburgo, in Dir. mar., 1992, p. 678.
18 X. Xxxxxxxx, Le operazion portuali nel nuovo diritto pubblico del diritto dell’economia, op. cit., p. 118.
Veniamo ora al sistema di cui all’art. 111 cod. nav., dove è tracciata la disciplina dell’esecuzione da parte di imprese di operazioni portuali per conto terzi.
Principio fondamentale è che l’esercizio di tale attività veniva subordinato a concessione del capo compartimento. Inoltre, l’impresa concessionaria era tenuta, nello svolgimento della propria attività, a servirsi esclusivamente delle maestranze costituite nelle compagnie. Viene precisato che le stesse compagnie portuali potevano organizzarsi in impresa e chiedere la concessione. Importante era il potere dato all’autorità concedente di determinare il numero massimo delle imprese ammesse alla concessione, in relazione alle esigenze del traffico.
L’art. 210 reg. nav., opportunamente, chiariva che la concessione riguarda solo le imprese che svolgevano attività in conto terzi, mentre il soggetto che intendeva eseguire operazioni portuali per conto proprio, pur obbligato a servirsi delle maestranze della compagnia, necessitava soltanto di un’autorizzazione dell’autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale. In sostanza quindi, le imprese che svolgevano operazioni di carico e scarico delle merci nei porti agivano in regime di concessione19 di pubblico servizio e non godevano di alcuna situazione di monopolio legale, e erano
soggette, almeno nell’ipotesi normale, alla concorrenza fra di loro20.
5. La deroga ai divieti di intermediazione e di interposizione
Comunque le compagnie erano gli unici soggetti in grado di “avviare” o di “somministrare” le maestranze, in deroga ai generali divieti di intermediazione e d’interposizione di manodopera, di cui all’art. 11 della legge 29 aprile 1949, n. 264, e alla legge 23 ottobre 1960, n. 1369. Tali divieti, viceversa, vigevano per le imprese concessionarie ex art. 111 cod. nav. e per le altre imprese autorizzate ad operare negli scali marittimi:
19 Cfr. A. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 1983, p. 203.
20 X. Xxxxxx, Le norma del codice della navigazione sul monopolio delle compagnie portuali e sull’esercizio da parte di imprese di operazioni portuali per conto terzi alla luce dei principi fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea: il giudizio della Corte del Lussemburgo, op. cit., p. 679.
queste, infatti, non potevano né “avviare” né “somministrare” manodopera ad altri imprenditori portuali21.
L’applicabilità dei divieti di intermediazione e di interposizione era ipotizzabile anche nel caso in cui una compagnia avesse “avviato” delle maestranze, presso un operatore portuale, per svolgere attività non rientranti nel concetto di “operazione portuale” e, perciò, al di fuori della riserva di lavoro portuale22.
6. Il ruolo per le Compagnie, avviamento o somministrazione di manodopera?
Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, il ruolo delle compagnie si risolveva in un “avviamento” delle maestranze presso gli imprenditori concessionari, gli utenti ed i vettori portuali23.
Tale orientamento si fondava sul tenore letterale di alcune disposizioni del regolamento esecutivo al codice della navigazione in cui era utilizzato il termine “avviamento” (art. 142, comma 1, n. 4; art. 174,
comma 2; art. 193, comma 1, reg. cod. nav.).
Il sistema di collocamento ordinario dei lavoratori di cui alla legge 29 aprile 1949, n. 264 ed il sistema di avviamento dei lavoratori portuali erano considerati complementari24.
Una parte della dottrina, in disaccordo con l’orientamento prevalente in giurisprudenza, riteneva che le compagnie fossero imprese incaricate di svolgere somministrazione di manodopera. Secondo tale dottrina, alcune norme del codice della navigazione, ad esempio art. 112 cod. nav., avrebbero indicato inequivocabilmente che le compagnie non
21O. Xxxxxxxx, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, Milano, 1979, pag. 441. In giurisprudenza, Trib. Napoli 30 novembre 1977, in Riv. Giur. Lav., 1978, II, pag. 204.
22 Cfr.: X. Xx Xxxxxx, Titolarità dei rapporti di lavoro e regole di trasparenza, Milano, 1995, p.
73. In giurisprudenza, cfr. Trib. Napoli 12 giugno 1971, in X. Xxxxxxxxxxxx, X. Xxxxxxx (a cura di), L’appalto della mano d’opera. Il diritto del lavoro nell’elaborazione giurisprudenziale, vol. V, Novara-Roma, 1972, pagg. 94-97.
23 Cfr.: Cass. 3 marzo 1981, n. 1233, in Foro it., I, col. 1016, Cass. 8 novembre 1984, n. 5646, in Dir. Mar., 1986, pag. 383; Cass. 10 marzo 1995, n. 2796, in Dir. Mar., 1996, pag. 368; Cass. 15 marzo 1995, n. 2992, in Riv. it. dir. lav., 1996, II, pag. 101.
24 In dottrina, X. Xxxxxxxxx, La prestazione di lavoro nel contratto di società, op. cit., p. 270; X. Xxxxxxxx, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, op. cit., p. 440.
erano incaricate di svolgere attività di mero collocamento delle maestranze25. La medesima dottrina evidenziava che altre norme di dettaglio della disciplina del lavoro portuale (quali gli artt. 4, 9 xxxxx, n. 2; 27, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 relativi alla assicurazione dei lavoratori portuali) qualificavano le compagnie come i “datori di lavoro” delle maestranze.
Una volta accertata l’esistenza di un rapporto di lavoro fra la compagnie e le maestranze ed “esclusa la stipulazione di contratti individuali di lavoro fra ciascun imprenditore ed i singoli lavoratori” ne sarebbe disceso che l’imprenditore stipulava con la compagnia un “contatto di somministrazione in forma di appalto”26.
6.1. La natura giuridica delle Compagnie portuali
Nella vigenza della normativa ricordata, il monopolio della fornitura della manodopera per le operazioni portuali era detenuto dalla compagnia portuale, che risultava essere un'associazione con natura privata e, al con- tempo, godeva della possibilità di eseguire operazioni portuali in conto ter- zi, a seguito di concessione rilasciata dall'autorità marittima. La compagnia portuale, presieduta e rappresentata dal console, aveva una limitata capacità giuridica relativa alla richiesta di concessione per esercitare le attività d'impresa per le operazioni di imbarco e sbarco, trasbordo e movimento in genere delle merci, per concorrere agli appalti indetti da aziende pubbliche e private per l’esecuzione di tali operazioni, per acquistare o affittare attrezzi, strumenti e mezzi meccanici o altro, per compiere tutti quegli atti necessari per 1'esercizio dell'attività propria della compagnia, purché autorizzati27.
25 Per tutti, S. La China, Un concetto da rivedere, l’”avviamento” degli operai portuali al lavoro tramite le Compagnie, in Dir. Mar., 1964, p. 226 ss.
26 X. Xxxxxxx, Il diritto del lavoro, II, Milano, 1957, p. 136.
27 Sulla capacità delle compagnie portuali di svolgere le due diverse funzioni riportate nel testo v., indicativamente, oltre le indicazioni di giurisprudenza della nota precedente, App. Genova 22 aprile 1954, SAI c. De Xxxxxx Xxxx, in Riv. dir. mar., 1954, p. 641; Cass. 11 ottobre 1956, Compagnia Lavoratori del Porto di Genova c. Xxxxxx e Cass. 4 luglio 1956, Compagnia lavoratori Porto di Genova c. Xxxxx, rispettivamente in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 0; App. Firenze 201uglio 1971, Volpi
I due ruoli differenti; di intermediazione della manodopera in regime di monopolio e di svolgimento organizzato di attività imprenditoriali a favore degli utenti del porto, postulavano, inoltre, la necessità di chiarire la configurazione giuridica della compagnia portuale. Sul punto, l'opera della dottrina e della giurisprudenza hanno mostrato discontinuità e cambiamenti di rotta.
Le maggiori critiche al sistema costituito della riserva derivano dalla sovrapposizione effettuata dalla compagnia portuale, giudicata priva di ruolo imprenditoriale, nell'organizzazione delle prestazioni di lavoro all'impresa richiedente la manodopera28.
La giurisprudenza ha optato decisamente per la qualificazione delle compagnie come enti privati29, ancorché incaricati di pubblico servizio30, ritenendo che il fine pubblico si esprimesse attraverso le norme organizzatorie che conferiscono alla pubblica amministrazione marittima ampi poteri di controllo e di indirizzo, ma restasse estraneo alle compagnie stesse, di cui è stato riconosciuto invece il fine mutualistico31.
In dottrina è stata attribuita “natura pubblica” alle compagnie sulla base della asserita inapplicabilità alle stesse del diritto comune32, oppure, poiché nella loro “funzione preminente” di collocamento della manodopera
x. Xxxxxxxxxx e Xxxxx, in Riv. dir. nav., 1972, II, p. 138; Cass. 3 marzo 1981, n. 1233, Soc. di Navigazione X. Xxxxx x. Xxxxxxxx, in Foro it., 1981, I, p. 1016.
28 Tra le decisioni giurisprudenziali le quali considerano che, quando le compagnie portuali si limitano a fornire i lavoratori e i mezzi meccanici ausiliari necessari, si instaura un diretto rapporto di lavoro subordinato tra il singolo lavoratore e l'impresa si veda Trib. Livorno 13 aprile 1991, Italcavit s.p.s. c. Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxx Xxxxxxx e altri, in Dir. mar., 1993, 747 e i richiami giurisprudenziali riportati. In dottrina v. X. Xxxxx, Natura giuridica del rapporto contrattuale tra le compagnie portuali e gli utenti, in Dir. mar., 1988, p. 178, X. Xxxxxxxxx, Considerazioni sul ruolo delle compagnie portuali, in Arch. civ., 1989, p. 3. Secondo X. Xxxxxxxx, Natura giuridica delle compagnie portuali e loro rapporti coi terzi e cori gli operai, in Riv. dir. mar., 1967, p. 526, deve accogliersi solamente l'ipotesi della funzione imprenditoriale delle compagnie, in quanto non si accetta la possibilità della funzione di mera intermediazione della manodopera. Xxxx'efficacia di disposizioni regolamentari emanate dall'autorità marittime, nel senso della imputazione della re- sponsabilità all'impresa di sbarco committente v. S. La China, Un concetto da rivedere 1'«avviamento» degli operai portuali al lavoro tramite le compagnie, op. cit., p. 225.
29 Si vedano Cass. S.U. 17 luglio 1953, n. 2280, in Dir. mar., 1954, p. 21; Cass. 24 maggio 1984, n.
3204; Cass. 5 novembre 1984, n. 5583.
30 Ne è derivata l’affermazione, già anteriormente all’attuale art. 409 n. 3 c.p.c. della giurisdizione dell’a.g.o. per le controversie tra le compagnie e i soci e dipendenti, anche se si controverta su regolamento interno della compagnia. v. da ultimo, Cass. S.U. 10 novembre 1978, n. 5158, in Foro it., 1979, I, p. 692.
31 X. Xxxxx, Cooperative e rapporti di lavoro, Milano, 1983, p. 38 ss.
32U. Romagnoli, La prestazione, op. cit., p. 268
“agiscono come braccio secolare dell’ufficio per il lavoro portuale33 o, ancora, come enti pubblici tecnici ad organizzazione paramilitare34, altri, le hanno ritenute, invece, enti intermedi tra il pubblico e il privato35; alcuni le definite come società di fatto con limitata personalità giuridica36, altri ancora, aderendo alla opinione espressa nella prevalente giurisprudenza parla di persone giuridiche private che svolgono un servizio di pubblico interesse o di pubblica utilità37; non meno interessante è la definizione della compagnie portuali come cooperative a costituzione obbligatoria38.
La prevalente opinione dottrinale, comunque, riconosce nel regime giuridico e nella struttura delle compagnie portuali un carattere privatistico e tende a qualificarle come società cooperative a responsabilità limitata, o meglio ancora cooperative di lavoro, con scopo mutualistico nell'avviamento e nell'avvicendamento al lavoro delle maestranze in esse organizzate39.
33 X. Xxxxxxxx, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, op. cit., , p. 440.
34 X. Xxxxxxx, L’ordinamento corporativo del lavoro portuale e le compagnie delle maestranze, op. cit., 30.
35 F.A. Querci, Il lavoro, op. cit., p. 183.
36 X. Xxxxxxx, Diritto del lavoro, 1930, I, p. 338 ss.
37 X. Xxxxxxx, Trattato di diritto del lavoro, vol. II, Torino, 1965, p. 460; V. anche X. Xxxxxxxx D’Xxxxxx- X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto della navigaziorae, op. cit., p. 102. Sull'attribuzione alle compagnie portuali della personàlità giuridica privata v. X. Xxxxxxx, Natura delle compagnie portuali nella distribuzione tra ente pubblico e ente privato, in Dir. Mar., 1958, p. 454; X. Xxxxxxxx, Appunti sulla natura delle compagnie di lavoro portuale e sui loro rapporti cori gli operatori portuali, in Dir. mar., 1962, p. 343.
38 X.Xxxxxxxxxx, Le società cooperative, Milano, 1958, p. 129; come già X. Xxxxxxxx, Xxxxx xx xxxxxxx xxxxx xxxxxxxxxxx, Xxxx, 0000, p. 63. Per l’esposizione dell’orientamento sostenuto dalla Corte di cassazione, in contrapposizione a quello predominante nelle decisioni del Consiglio di Stato v. X. Xxxxxx,Compagnie portuali fra attività di impresa e monopolio,op. cit. , 459 e ss. Si rinvia alle ulteriori indicazioni bibliografiche e giurisprudenziali in X. Xxxxxxxx, voce Lavoro portuale, Entc, giur. Treccani, vol. XVII, Roma 1990; X. Xxxxxxxxxxxx, Il duplice ruolo delle compagnie di portuali quali imprese e quali organi di avviamento delle maestranze, in Dir. mar., 1996, p. 376.
39 Le compagnie, definite società coattive da X. Xxxxxxxx, Corso di diritto della navigazione, op. cit., p. 140, forniscono un opus, un servizio portuale che si inserisce nell’attività imprenditoriale dell'impresa di esercizio delle operazioni portuali, che ha carattere di utilità generale, poiché connesso al regolare funzionamento dell'attività portuale, esse sono imprese cooperative di produzione e lavoro, rientranti nelle categorie indicate dall'art. 2517 c.c., cui si applicano le disposizioni del titolo VI, c.c., in quanto compatibili con le disposizioni della legge speciale; nega invece la natura privatistica delle compagnie X. Xxxxxxxxx, La prestazione di lavoro nel contratto di società, op. cit., p. 26. Per un'accurata analisi delle varie opinioni v. X. Xxxxx, Cooperative e rapporti di lavoro, op. cit., p. 38 e ss., il quale definisce le compagnie cooperative di lavoro che, «in vista del particolare interesse perseguito, hanno ricevuto dal legislatore una disciplina speciale»; come sono società cooperative dagli aspetti alquanto peculiari, rispetto all'archetipo disciplinato dal codice civile secondo X. Xxxxxxxx, Rapporti interpositori e contratto di lavoro, op. cit., p. 435. Secondo la tesi elaborata da F.A. Querci, Il lavoro portuale, op. cit., p. 142 ss., la titolarità esclusiva del lavoro portuale a favore della collettività dei lavoratori, costituiti nella compagnia, letto alla luce dell'art. 43 Cost., fornisce «un definitivo
Esse sono pertanto sottoposte alle regole del diritto privato per quanto attiene la disciplina del patrimonio sociale e la prestazione di lavoro, mentre le norme di diritto pubblico si applicano alla disciplina dei lavoratori portuali ed al regime di sostanziale monopolio per la fornitura della manodopera necessaria per lo svolgimento delle operazioni portuali.
6.2. I rapporti tra Compagnia, operatori portuali, maestranze e terzi
I due ruoli differenti di intermediazione della manodopera in regime di monopolio e di svolgimento organizzato di attività imprenditoriali a fa- vore degli utenti del porto, postulavano, inoltre, la necessità di chiarire la configurazione giuridica della compagnie e dei gruppi portuali.
Al riguardo sono stati proposti diversi schemi giuridici per spiegare il genus dei rapporti tra la compagnia portuale e gli utenti, quando la prima svolge 1a propria prestazione a favore d'imprese concessionarie per lo svol- gimento d'operazioni portuali in conto terzi: questi vanno dal contratto di somministrazione in forma. d'appalto40, all'appalto di servizi prestato come locatio operis, alla prestazione di mero lavoro subordinato in base alla pre- valenza della forza lavoro rispetto al conseguimento del risultato41.
fondamento di carattere testuale alla tesi circa la configurabilità di una democratica titolarità collettiva di una funzione di pubblica utilità», V. per precisi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali sulle diverse impostazioni in argomento G.C. Xxxxx Xxxxxxx, Tendenze evolutive della giurisprudenza in materia di lavoro associato portuale, in Foro it., 1990, I, sez. II, p. 6 ss. In giurisprudenza si è variamente dibattuto sulla qualificazione dell'attività svolta dalla compagnia portuale, oscillando tra soluzioni volte a definirle organi di avviamento al lavoro dei propri iscritti e/o come imprese, che di fatto concludono appalti con gli utenti e organizzano la globalità dei servizi richiesti assumendosi i rischi e le utilità conseguenti ai volumi ed ai tempi di esecuzione di tali servizi, v, in merito Pret. Sampierdarena 8 maggio 1987, in Dir. mar., 1988, p.
234. Questa seconda soluzione comportava la perdita di vantaggi di ordine fiscale e del trattamento privilegiato dei crediti definiti di lavoro subordinato nell'ambito delle procedure concorsuali, v. S.M. Carbone, Dalla riserva di lavoro portuale all’impresa terminalista tra diritto interno , diritto comunitario e diritto internazionale uniforme, in Dir. mar., 1992, p. 599. 40 X. Xxxxxxx, Il diritto del lavoro, Milano, 1949, II, p. 106; X. Xxxxxxx, trattato di diritto del lavoro, op. cit., p. 462; X. Xxxxxxxx D’Xxxxxx – X. Xxxxxxxxx, Manuale di diritto della navigazione, op. cit., 108 ss.
41 X. Xxxxxxxxxxx, Sui rapporti tra l'impresa concessionaria delle operazioni portuali e le compagnie dei lavoratori portuali, in Riv. dir. nav., 1957, II, p. 16 ss., il quale sostiene che l'obbligazione assunta dalle compagnie riveste nei confronti dell'impresa concessionaria una sorta di promessa per il fatto di terzo; F.A. Querci, voce Lavoro portuale, op. cit. , p. 514, M.L. Xxxxxxx, op. cit., 71; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1983, p. 169 ss.
Nell’ipotesi in cui l'utente, ex art. 201 reg. cod. nav., esegue direttamente le operazioni portuali in conto proprio, la compagnia svolge un ruolo di collocamento e di avviamento al lavoro delle maestranze; qualora, invece, l’impresa concessionaria sia la stessa compagnia portuale, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza ritengono prevalentemente che in capo ad essa converga la titolarità delle obbligazioni in proprio per l'attività negoziale rispetto ai terzi.
Anche nell'inquadrare i rapporti tra le maestranze portuali e gli utenti si sono manifestate differenti correnti di pensiero, che oscillano dall'esclusione del vincolo di subordinazione tra i lavoratori portuali e le imprese, che si avvalgono della loro opera e le stesse compagnie, all'affermazione della presenza di un rapporto di lavoro subordinato in capo alle compagnie, considerate vere e propri datori di lavoro, con conseguente competenza del giudice del lavoro, ex art. 409, n. 3 e n. 1, c.p.c., delle controversie intervenute tra compagnia portuale e soci e tra utenza e maestranze portuali.
Soprattutto in ambito giurisprudenziale si è evidenziato il vincolo di natura associativa, che unisce i lavoratori alla compagnia portuale, per que- sto si è esclusa la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, sia nella fattispecie in cui la compagnia svolga funzioni d'intermediazione, sia quando essa sia impresa concessionaria, poiché la prestazione lavorativa dell'iscritto rientra nel rapporto sociale come apporto strumentale alla par- tecipazione agli utili.
Secondo autorevole dottrina, il lavoro delle maestranze portuali costituite in compagnie, è una forma di lavoro associato soggetta in parte a regole proprie. I lavoratori del porto non sono in questi caso, lavoratori subordinati in senso proprio, né nei confronti degli armatori, che entrano in rapporto con la compagnia mediante contratti di appalto, per il compimento delle operazioni portuali, né nei confronti della compagnia della quale i lavoratori sono soci42.
42 X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Nozioni di Diritto del Lavoro, op. cit., p. 102.
7. Il regime concessorio per le imprese di imbarco e sbarco
Le imprese, comunemente chiamate di imbarco e sbarco, che esercitano cioè operazioni portuali per conto terzi (art. 111 cod. nav.), non potevano operare se non dietro rilascio di una concessione da parte del capo compartimento, rilasciata annualmente (art. 198 cod. nav.) sentito il parere del consiglio o della commissione per il lavoro portuale (art. 196 cod. nav.). Le imprese concessionarie venivano iscritte in un registro tenuto dall’autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale (art. 198 cod. nav.), la quale ha pure la facoltà, da inserire nell’atto di concessione (art. 199, n. 2 reg.), di dare in uso contro indennizzo a terzi le attrezzature dell’impresa in caso di sospensione o di revoca della concessione, e poteva essere motivata (art. 200 reg.) non solo da ragioni attinenti alla persona dell’imprenditore o alla riduzione della capacità tecnica o finanziaria dell’impresa, ma anche dall’inosservanza delle norme sul lavoro portuale o dall’astensione dall’esecuzione dei servizi assunti. Se a ciò si aggiunga la possibilità di limitare il numero massimo delle imprese in relazione alle esigenze di traffico (art. 111, comma 2, cod. nav.), e la fissazione da parte della pubblica amministrazione marittima delle tariffe perle operazioni svolte (art. 112 cod. nav.), si coglie come l’impresa non aveva la disponibilità dei fini cui indirizzare l’attività, a favore del superiore fine della funzionalità del porto43.
Per quanto concerne coloro che impiegano direttamente maestranze portuali e mezzi d’opera per provvedere alle operazioni per conto proprio era richiesta l’autorizzazione da parte dell’autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale.
Ma quale significato ha l’espressione normativa “per conto proprio”. A tal proposito, in dottrina, è stata sottolineata la necessità di far coincidere soggettivamente il caricatore o ricevitore e la nave vettrice
poiché, altrimenti, il servizio verrebbe ad essere identico (ed in concorrenza rispetto) a quello fornito dalle imprese portuali44.
8. I lavoratori delle imprese di imbarco e sbarco
La funzionalizzazione degli elementi dell’ordinamento portuale a fini pubblici spiega perché sia stato assolutamente indispensabile fare della prestazione di lavoro dei portuali una “professione controllata”45, in cui l’ammissione del lavoratore attraverso l’iscrizione nei registri a seguito della graduatoria del concorso (artt. 153 e 154 reg.) appariva come atto costitutivo di un vero e proprio status, attestato dal libretto rilasciato al lavoratore (art. 155 reg.). L’iscrizione nei registri delle compagnie dei lavoratori permanente e degli avventizi era subordinata a limiti di età, al possesso della cittadinanza italiana e della residenza nel comune del porto, all’assenza di condanne penali, ad una buona condotta morale e civile e all’accertamento di una sana e robusta costituzione (artt. 152 e 194 reg.). La cancellazione del lavoratore dai registri (art. 156 reg.) era sottoposta al verificarsi delle condizioni tassativamente previste dalle norme e che tra gli obblighi del lavoratore vi siano (art. 159 reg.) quello di presentarsi regolarmente alle chiamate ed al lavoro e di non assentarsi dal lavoro né di sospenderlo senza autorizzazione di chi dirige o sorveglia le operazioni.
L’intento originario di queste disposizioni era quello di tutelare i lavoratori dalle possibili speculazioni degli intermediari, assicurando ordine e stabilità ad un mercato spesso caratterizzato da una domanda scarsa e saltuaria.
E’ chiaro, inoltre, che l’interesse pubblicistico che impegnava la regolamentazione del lavoratore portuale da un lato si spinge anche all’interno della prestazione concreta del lavoro, sempre al fine di funzionalizzarla all’efficienza del porto.
44 F.A. Querci, Lavoro portuale, op. cit., p. 243 ss.
45 X. Xxxxxxxx, Le compagnie portuali, Milano, 1954, p. 23
9. Il ruolo centrale della pubblica amministrazione marittima periferica nel regime della riserva portuale
Alla pubblica amministrazione marittima era affidata la cura degli interessi pubblici connessi con il regolare espletamento del lavoro all’interno del porto.
I poteri affidati all’Autorità marittima periferica erano particolarmente ampi e penetranti, a partire dal compito di disciplina e vigilanza delle operazioni portuali esercitato, a tenore dell’art. 108 cod. nav., dal comandante del porto. In particolare, a quest’ultimo, in qualità di autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale (art. 140, lett. b, reg. cod. nav.), spettava la vigilanza sulle compagnie portuali (art. 110, comma 1, cod. nav.), la fissazione degli orari di lavoro e delle norme relative all’esecuzione delle operazioni portuali (art. 202, reg. cod. nav.), il potere disciplinare sui lavoratori portuali, oltreché sulle imprese e sui datori di lavoro (art. 1249, n. 4, cod. nav.), nonché la formazione delle tariffe (art. 203, reg. cod. nav.).
Ma in tutti i porti “nei quali l’importanza del traffico lo richieda” (art. 109, comma 1, cod. nav.), le dette competenze passavano ad appositi uffici del lavoro portuale, istituiti con decreto del ministro della marina mercantile,46 previo parere del capo del compartimento, ed ai quali era preposto un ufficiale di porto come direttore, che assumeva le funzioni di autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale.
Tra i numerosi compiti degli uffici del lavoro portuale, delineati dall’art. 142 reg. cod. nav., di rilievo appaiono quelli della tenuta dei registri dei lavoratori e delle imprese, del controllo sulle compagnie, della vigilanza sull’esecuzione delle operazioni portuali nonché sull’osservanza delle norme e delle tariffe, della organizzazione del lavoro in relazione alle particolari esigenze del traffico, della fissazione dei criteri per l’avviamento al lavoro e l’avvicendamento dei lavoratori.
46 Per i porti della navigazione interna, con decreto del Ministro dei Trasporti.
All’ufficiale direttore dell’ufficio del lavoro portuale si affiancava, con scopi che l’art. 109 cod. nav. definiva genericamente di “assistenza” al primo, un consiglio del lavoro portuale da egli stesso presieduto, e composto, oltreché dai titolari degli uffici interessati, da una rappresentanza paritetica dei lavoratori portuali e dei datori di lavoro. Ma la funzione del consiglio portuale non era meramente solo consultiva, spettando ad esso la proposta di apertura dei ruoli e del numero dei posti da mettere a concorso, la formazione della graduatoria del concorso stesso, e la distinzione in categorie dei lavoratori portuali, con la determinazione delle attribuzioni di ciascuna categoria ed il numero dei lavoratori ad essa appartenente.
Nei porti per i quali si era provveduto con legge all’istituzione di un ente portuale, le funzioni dell’autorità preposta alla disciplina del lavoro portuale e degli uffici del lavoro portuale erano attribuite legislativamente agli enti stessi47.
47 Il carattere di ente pubblico economico era stato riconosciuto agli enti portuali di Savona, Trieste, Venezia, Napoli, Genova rispettivamente con legge 14 luglio 1971, n. 535, legge 14 agosto 1971, n.
822, legge 12 gennaio 1974, n. 6, legge 11 marzo 1973, n. 46, legge 19 maggio 1975, n. 168.
CAPITOLO II
L’ADEGUAMENTO DELL’ORDINAMENTO PORTUALE AI PRINCIPI DEL DIRITTO COMUNITARIO
Sommario: 1. Il caso Siderurgica Xxxxxxxxx e la c.d. Sentenza Porto di Genova: il diritto di esclusiva sulle operazioni portuali, le relative distorsioni del mercato e l’incompatibilità con la normativa comunitaria. 2. La successiva fase della decretazione d’urgenza. 3. La disciplina originariamente prevista dalla legge n. 84 del 1994. L’abolizione della riserva di lavoro portuale. 3.1. La trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali in società legittimate a svolgere operazioni portuali in concorrenza con le imprese autorizzate ai sensi dell’art. 16. 3.2. Le associazioni di lavoro portuale nei porti nei quali non operavano imprese fornitrici di servizi e di mano d’opera. 3.3. L’aspetto deleterio, in chiave comunitaria, della creazione di un “monopolio facoltativo” a favore delle società derivanti dalla trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali. 4. La legge n. 647 del 1996 e la novella dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994. La costituzione dei consorzi volontari per la fornitura di manodopera temporanea. Il permanere delle distorsioni alla concorrenza e alle restrizioni alla libera circolazione dei servizi: gli interventi della Commissione con la decisione del 21 dicembre 1997, n. 744 e della Corte di Giustizia con il c.d. Xxxxxxx Xxxx.
5. La legge n. 186 del 2000, le modifiche, orientate ai principi comunitari, dell’art. 17 della legge n. 84/1994. 6. Il d.lgs. n. 276 del 2003 e la conferma della disciplina della somministrazione di lavoro portuale di cui all’art. 17 della legge n. 84 del 1994. 7. L’abrogazione della legge n. 1369 del 1960, l’applicabilità dei divieti di intermediazione e di interposizione di manodopera nel settore portuale. 8. Il permanere del monopolio nella fornitura di manodopera portuale temporanea: aspetti di incompatibilità con il diritto comunitario della concorrenza.
1. Il caso Siderurgica Xxxxxxxxx e la c.d. Sentenza Porto di Genova: il diritto di esclusiva sulle operazioni portuali, le relative
distorsioni del mercato e l’incompatibilità con la normativa comunitaria
La legge n. 84 del 1994, di riordino della portualità italiana, era stata adottata sulla base di un fondamentale “segnale” dato dalla Corte di Giustizia nella celebre sentenza Siderurgica Xxxxxxxxx o Porto di Genova con la quale la Corte riproponeva l’esigenza di dare un nuovo assetto all’organizzazione del lavoro nei porti italiani48.
48 Sentenza del 10 dicembre 1991 in causa n. C-179/90, tra Merci Convenzionali Porto di Genova e Siderurgica Xxxxxxxxx. Per alcuni commenti v. X. Xxxxxx, Compagnie portuali, imprese concessionarie e operazioni di imbarco e sbarco: il diritto comunitario e la Corte di Giustizia, in Dir. mar., 1991, p. 1128; X. Xxxxxx, Le norma del codice della navigazione sul monopolio delle compagnie portuali e sull’esercizio da parte di imprese di operazioni portuali per conto terzi alla
Come abbiamo sinora visto, i lavoratori addetti alle operazioni portuali dovevano costituirsi in compagnie alle quali il legislatore riservava in via esclusiva l’esecuzione delle operazioni di imbarco, sbarco, trasbordo, e movimentazione in genere di merci nei porti, tale riserva era garantita da sanzioni penali per chi utilizzava manodopera non iscritta negli appositi registri. Accanto alle compagnie operano anche alcune imprese che hanno in concessione l’esecuzione delle operazioni portuali per conto terzi e che di fatto svolgono la loro attività in regime di monopolio.
Le innovazioni introdotte dallo sviluppo tecnologico hanno profondamente modificato la realtà portuale, rendendo obsoleta la relativa disciplina49. Oggi, infatti, l’impiego di nuovi sistemi di trasporto, come ad esempio l’uso del container, e la meccanizzazione di gran parte delle operazioni d’imbarco e sbarco hanno ridotto, e in alcuni casi completamente eliminato, la necessità di utilizzare manodopera portuale secondo le modalità tradizionali50.
L’esigenza di adeguare l’organizzazione portuale alle nuove caratteristiche dei trasporti marittimi si è ulteriormente accentuata nel momento in cui le compagnie, per proteggere gli interessi della loro categoria di fronte al rischio di una riduzione delle offerte di lavoro, hanno in alcuni casi volutamente forzato il senso e la portata della riserva contenuta nell’art. 110 cod. nav., dando luogo ad interpretazioni abusive della posizione di vantaggio loro concessa da tale norma. Ci si riferisce a quelle ipotesi in cui gli utenti delle operazioni portuali, pur non necessitando per le loro operazioni d’impiego di personale, sono stati a
luce dei principi fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea: il giudizio della Corte del Lussemburgo, op. cit., p. 677; X. Xxxxxx, Imprese e compagnie portuali alla luce delle norme comunitarie, in Foro it., 1992, IV, c. 226; X. Xxxxxxx, Autoproduzione di servizi e tramonto dei monopoli fra normativa comunitaria e disciplina antitrust: la vicenda delle compagnie portuali, in Foro it., IV, c. 229; X. Xxxxxxxx, Diritto di esclusiva sulle operazioni portuali: incompatibilità con la normativa del Trattato Cee, in Giust. Civ., 1992, p. 2291; X. Xxxxxx, Riserva ex art. 110 CdN e responsabilità dello Stato, in Riv. it. dir. pubb. comun., 1992, p. 927; S.M. Carbone e X. Xxxxxx, Legge italiana di riforma dei porti e il diritto comunitario, in Foro it., 1994, IV, c. 367; X. Xxxxxxxxxx, La Corte di Giustizia Cee e la disciplina italiana del lavoro portuale, in Foro pad., 1992, I, p. 312.
49 S.M. Carbone, Compagnie: vecchie e nuove, in Dir. mar., 1998, pp. 235 e 236.
50 Sull’organizzazione del lavoro portuale in relazione all’utilizzazione dei mezzi meccanici si veda l’indagine, relativa al porto di Napoli, compiuta da W. X’Xxxxxxx, Operazioni portuali meccanizzate e monopolio della compagnia, in Studi mar., 1979, n. 4, p. 31 ss.
chiamati a pagare le tariffe previste per una prestazione in realtà non effettuata. Si ricordi, ad esempio, il caso, che destò clamore negli anni sessanta, della nave Butterfly, dotata di un impianto meccanizzato che permetteva il carico e lo scarico automatico delle merci costretta, nel porto di La Spezia, a pagare il corrispettivo di prestazioni non richieste e non effettuate; tale comportamento fu giudicato illegittimo prima dal tribunale di Genova e poi dalla Corte di Cassazione51.
La giurisprudenza ha cercato di ovviare al mancato intervento del legislatore52 attraverso una interpretazione il più restrittiva possibile dell’ambito di applicazione del monopolio legale delle compagnie.
Con la sentenza Porto di Genova si è sicuramente messo in chiara
evidenza le più gravi carenze e contraddizioni della disciplina italiana del codice della navigazione nei confronti della normativa comunitaria.
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi nel corso di un contenzioso sorto tra la Merci Convenzionali Porto di Genova s.p.a., impresa alla quale è affidato l’esercizio delle operazioni portuali nel porto di Genova e la Siderurgica Xxxxxxxxx s.p.a. Quest’ultima, pur avendo noleggiato un’imbarcazione dotata delle attrezzature necessarie per lo sbarco diretto del carico, si era rivolta, nel rispetto della riserva dell’art. 110 cod. nav., alla Merci per caricare una partita di acciaio proveniente dalla Repubblica Federale di Germania. Il ritardo della consegna del carico, causato da una serie di scioperi dei lavoratori portuali, ha spinto la Siderurgica Xxxxxxxxx a rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere, con decreto ingiuntivo, l’immediato rilascio della merce. A seguito dell’opposizione da parte della Merci al provvedimento emesso dal tribunale di Genova, si è instaurato un contraddittorio nel corso del quale la Siderurgica Xxxxxxxxx ha chiesto, oltre al risarcimento del danno derivante dal ritardo nella consegna della partita di acciaio, anche la ripetizione delle somme pagate alla Merci per le
51 Trib. Genova 13 maggio 1961, in Dir. mar., 1961, 343 ss., con nota di Xxxxxxxxx, Dir. mar., 1962, 365 ss; App. Genova 30 dicembre 1965, in Giur. it., 1967, I, sez. II, 45 ss., con nota di Xxxxxxxxxx, Il caso della “Butterfly” e la competenza giurisdizionale; Cass. S.U., 26 febbraio 1969
n. 621, in Foro it., 1969, I, 3252 ss., con nota di Xxxxxxxxxx.
52 Invero nell’ottobre del 1988 il Ministro della Xxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx aveva presentato alla Camera dei deputati un disegno di legge teso a riorganizzare l’intero sistema portuale, che al’art. 32 prevedeva, a partire dal 31 dicembre 1992, la soppressione dell’art. 110 ult. comma cod. nav..
prestazioni imposte dall’art. 110 cod. nav.. Il giudice ha allora ritenuto opportuno rivolgersi alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale, per chiedere di accertare la compatibilità della disciplina portuale italiana con il diritto comunitario ed in particolare con le disposizioni previste dagli artt. 7, 30, 85, 86 e 90 del Trattato CE.
La Corte ha in effetti individuato alcuni motivi di contrasto con la normativa portuale italiana con le disposizioni del Trattato. Problemi di incompatibilità sono stati innanzitutto evidenziati in relazione alle modalità di iscrizione dei lavoratori nei registri delle compagnie. Come si è visto, infatti, in base agli artt. 152 e 194 reg., tale iscrizione, indispensabile per l’esercizio delle operazioni portuali, è riservata solo a coloro che sono in possesso della cittadinanza italiana. E’ noto, invece, che l’ordinamento comunitario prevede tra i suoi principi fondamentali il divieto di effettuare discriminazioni basate sulla nazionalità degli individui. Tale divieto è affermato in termini generali dall’art. 7 del Trattato, ed è specificamente ribadito dall’art. 52, per ciò che interessa i lavoratori autonomi, e dall’art. 48, per quanto riguarda i lavoratori subordinati. La Corte, a questo proposito, ha precisato che gli operatori portuali, sono per l’ordinamento comunitario, lavoratori subordinati, nei confronti dei quali deve trovare applicazione la specifica previsione dell’art. 48. infatti, caratteristica fondamentale del rapporto di lavoro subordinato è, secondo la giurisprudenza della Corte, “la circostanza che una persona fornisca, per un
certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di
quest’ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione”53. Bisogna tuttavia ricordare che nell’ordinamento italiano c’è una certa incertezza sulla natura giuridica del rapporto di lavoro portuale sia in dottrina che in giurisprudenza.
Problemi ancora maggiori risiedevano nella previsione dell’art. 110, ult. comma, cod. nav. che, riservando alle compagnie il monopolio delle operazioni portuali, permette loro di operare in assenza di qualsiasi forma
53 punto 17 della sentenza del 3 luglio 1986, Xxxxx-Xxxx c. Land Baden Wurttemberg, causa n. 66/85, in Raccolta, 1986, 2121 ss.
di concorrenza e senza dovere tenere conto quindi delle reazioni degli utilizzatori. In proposito la Corte, considerata l’importanza che i porti italiani rivestono per il traffico marittimo comunitario, ha ricordato che le imprese che fruiscono di un monopolio legale su una parte sostanziale del mercato comune occupano una posizione dominante ai sensi dell’art. 86 del Trattato. L’aver attribuito, con l’art. 110 cod nav., ad imprese e compagnie portuali una posizione dominante su parte del mercato comune, non costituisce però di per sé una violazione del diritto comunitario; ciò che è vietato in base alle disposizioni degli artt. 86 e 90, n. 1, è l’abuso di tale posizione che la normativa italiana rendeva possibile, se non per certi versi inevitabile. I fatti esposti nella causa principale e, più in generale, le indagini compiute sulla realtà portuale, hanno infatti evidenziato diverse occasioni in cui le compagnie, imponendo condizioni di transazione non eque o limitando lo sviluppo tecnico ovvero compiendo discriminazioni tra gli operatori economici, ponevano in essere pratiche abusive ai sensi dell’art. 86, comma 2. Spesso, si è visto infatti che le compagnie, con il consenso dell’autorità portuale, imponevano l’impiego di manodopera là dove non necessario, o comunque in eccesso rispetto al reale fabbisogno, e stabilivano tariffe forfettarie che comprendevano il pagamento di prestazioni non richieste e, talvolta, neppure effettuate. Altrettanto frequenti sono stati i casi in cui, per tutelare i livelli occupazionali, esse si rifiutavano di utilizzare nuove e più moderne attrezzature, o comunque prevedevano maggiorazioni tariffarie per le operazioni eseguite con mezzi meccanici. Non sono mancate, infine, esempi di pratiche discriminatorie, visto che alle società di navigazione italiane venivano talvolta accordate tariffe preferenziali rispetto agli altri operatori economici.
I comportamenti qui indicati, oltre ad essere in contrasto con le
norme in materia di concorrenza, violano le disposizioni dell’art. 30 del Trattato. La Corte ha infatti osservato che i disagi e i costi ulteriori che affrontano gli operatori economici che si avvalgono delle strutture portuali italiane si traducono, alla fine, in aumenti dei prezzi dei beni di consumo. La disciplina portuale italiana, quindi, rendendo più oneroso il commercio
dei prodotti provenienti dagli altri Stati membri, costituisce anche una misura di effetto equivalente alle restrizioni alle importazioni e si pone così come un ostacolo alla libera circolazione delle merci all’interno della Comunità.
La sentenza, infine, esclude che tali violazioni possano essere giustificate invocando la previsione dell’art. 90, n. 2. Questa disposizione consentirebbe in effetti deroghe alle norme del Trattato per le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale, nel caso in cui l’applicazione di tali norme possa costituire un ostacolo all’adempimento della missione loro affidata e sempre che lo sviluppo degli scambi non venga compromesso in maniera contraria all’interesse della Comunità. Secondo l’opinione della Corte, però, le compagnie portuali non possono essere ricompresse tra le imprese contemplate dall’art. 90, n. 2, dal momento che l’esercizio delle operazioni portuali non riveste per la collettività un interesse particolare rispetto alle altre attività economiche, sufficiente a giustificare nei loro confronti l’attribuzione della qualifica considerata da quell’articolo. D’altro canto nulla esclude che le operazioni portuali possano essere efficientemente compiute in un regime di libera concorrenza e nel rispetto delle regole del Trattato. Lo dimostrano infatti, non solo l’esperienza degli altri porti europei54 ma anche, rimanendo nel nostro ordinamento, i risultati conseguiti al di fuori del monopolio delle compagnie con il regime della c.d. autonomia funzionale55.
2. La successiva fase della decretazione d’urgenza
Alle indicazioni della sentenza Porto di Genova se ne sono aggiunte altre da parte della Commissione europea, con lettera del 31 luglio 1992 da parte del commissario della concorrenza al nostro ministro degli affari
54 Per un quadro generale della situazione di allora dei porti europei si veda tra gli altri: P. De Paolis, Porti della C.e.e. Riflessioni per una riforma portuale italiana, Genova, 1982, p. 29 ss.
55 Tale regime prevede che il Ministro della Xxxxxx Xxxxxxxxxx autorizzi deroghe al monopolio delle compagnie. Nel porto di Genova, ad esempio, la facoltà di servirsi di proprio personale per le operazioni portuali è stata riconosciuta, con d. del 21 giugno 1952, alla società “Cornigliano” nell’ambito del molo “Xxxx Xxxxx”. Sull’argomento si veda X. Xxxxxxxx, La disciplina giuridica del lavoro portuale, Genova, p.167 ss.
esteri, con la quale ci si è soffermati con maggiore chiarezza ed ampiezza rispetto alla sentenza Porto di Genova sui difetti della normativa italiana rispetto ai principi del diritto comunitario56.
A seguito del sollecito operato dalla commissione sia con la lettera citata, sia la successiva diffida di quest’ultima allo Stato italiano di dare attuazione sul piano normativo agli esiti della sentenza Porto di Genova, veniva adottata una soluzione legislativa in via d’urgenza57.
Nell’ambito di tale normativa in via d’urgenza, non solo si abolisce la
c.d. riserva di lavoro portuale, ma si condivide e si favorisce la trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali in senso imprenditoriale, curando nel contempo la previsione di varie misure idonee a realizzare adeguati ammortizzatori sociali relativi alle varie componenti lavorative storicamente interessate alla esecuzione delle operazioni portuali penalizzate dal processo di trasformazione.
Si trattava, però, di un intervento “parziale” con la sua continua reiterazione per ben sette volte, che individuava solo in modo embrionale gli elementi essenziali della riforma portuale per adeguarla ai principi comunitari, senza, però, offrirne una compiuta disciplina.
Era quindi evidente l’esigenza di una legge d riforma che provvedesse ad una risistemazione globale della portualità italiana che desse applicazione delle ripetute indicazioni provenienti dalle autorità comunitarie.
3. La disciplina originariamente prevista dalla legge n. 84 del 1994. L’abolizione della riserva di lavoro portuale
La legge 28 gennaio 1984, n. 84 è stato un intervento normativo ad ampio raggio riguardante il riordino della disciplina portuale in generale e le problematiche connesse al lavoro portuale.
56 A tale lettera sono seguite altre lettere della Commissione, e precisamente in data 10 novembre 1992 e 1 luglio 1993 di minore rilievo.
57 Si tratta del D.L. 19 ottobre 1992, n. 409, in G.U. del 19 ottobre 1992, n. 246.
La legge di riforma, nell’ottica di dare attuazione ai precetti della giurisprudenza comunitaria di cui alla sentenza Siderurgica Xxxxxxxxx, ha inteso risolvere il problema relativo all’abrogazione della riserva di lavoro portuale, e alla necessità di ridefinire il ruolo delle compagnie e dei gruppi portuali.
Nel perseguire, pertanto, l’obiettivo della libera concorrenza nell’ambito delle operazioni portuali, ai sensi dell’art. 27, comma 0, xxxxx x. 00 xxx 0000, xxxx xxxxx xxxxxxxx (xxx gli altri) gli artt. 110, comma 5, e 111, comma 5, cod. nav. e, a partire dal 120° giorno dalla data di entrata in vigore della legge, gli artt. 108, 109, 110, commi 1,2,3 e 4, artt. 112 e 116,
comma 1, n. 2, gli artt. 1171 n. 1, 1172 e 1279 cod. nav.
Come disposto dall’art. 16, legge n. 84, le operazioni portuali possono essere esercitate da qualunque imprenditore, il quale può operare per conto proprio o di terzi.
L’unico vincolo imposto all’impresa portuale è costituito dall’autorizzazione, che deve essere rilasciata dall’autorità portuale (e, in mancanza, dall’autorità marittima) nel rispetto di criteri indicati nella stessa norma.
L’atto amministrativo che abilità l’impresa portuale all’esercizio della sua attività non è più riconducibile all’istituto della concessione ma a quello della autorizzazione; inoltre, anche se è rimasta discrezionale la facoltà di rilasciare o meno l’autorizzazione richiesta dall’impresa, il soggetto pubblico dovrà comunque garantire la concorrenza.
In tale contesto si comprende anche la radicale modifica operata sulla organizzazione esistente.
Gli enti portuali, operanti al momento dell’entrata in vigore della legge n. 84 del 1994, sono stati espressamente qualificati come organizzazioni portuali, le quali a loro volta sono trasformate in società persone, di capitale e cooperative, dai presidenti delle autorità portuali. Tali società operano, in condizioni di concorrenza, per l’esercizio di attività di impresa nei settori delle operazioni portuali, della manutenzione e dei
servizi portuali nonché in altri settori del trasporto o industriali (artt. 2 e 20, legge n. 84 del 1994).
3.1. La trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali in società legittimate a svolgere operazioni portuali in concorrenza
con le imprese autorizzate ai sensi dell’art. 16
La legge ha dovuto necessariamente sancire la scomparsa delle compagnie e dei gruppi portuali, soggetti ai quali il codice di navigazione riservava la materiale esecuzione delle operazioni portuali.
Le compagnie e i gruppi si trasformano in società di persone, di capitali, cooperative, le quali possono esercitare in condizioni di concorrenza con le altre imprese autorizzate ai sensi dell’art. 16 le operazioni portuali (art. 21, comma 1, lett. a), legge n. 84 del 1994).
Inoltre, accanto alla società erogatrice di operazioni portuali, la società nella quale è confluita la compagnia o il gruppo portuale può a sua volta costituire una ulteriore società, o cooperativa, per la fornitura di servizi, ivi comprese, in deroga all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, mere prestazioni di lavoro (art. 21, comma 1, lett. b), legge n. 84 del 1994).
La legge consente alle compagnie e ai gruppi portuali esistenti di operare come imprese portuali, sotto tale profilo assimilate a quelle previste dall’art. 16 della stessa legge, oppure come società di servizi di intermediazione di manodopera, in deroga, appunto, all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, che sancisce il divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro.
Sotto questo profilo la legge introduce una novità di rilievo, apportando elementi di flessibilità nell’organizzazione del lavoro portuale, al fine di garantire un’adeguata copertura di mano d’opera in ambito portuale idonea a soddisfare le esigenze di una domanda sovente fluttuante58.
58 S.M. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, Gli effetti del diritto comunitario sulla riforma portuale in Italia. Risultati e prospettive, in Dir. Mar., 1994, p. 3.
Viene cosi scalfito il divieto di intermediazione della mano d’opera. Si tratta di una forma di liberalizzazione del mercato del lavoro adottata nel rispetto di modalità operative idonee a garantire al prestatore la tutela propria del rapporto di lavoro subordinato59.
L’art. 21, comma 2, legge n. 84 del 1994, sancisce un rigoroso principio di separatezza tra l’impresa portuale e l’impresa di intermediazione, specificando che le due imprese, pur costituite dalla stessa società (compagnia portuale), debbano avere separati bilanci, una distinta organizzazione operativa e separati organi sociali.
La chiara indicazione del legislatore, oltre a garantire l’effettivo rispetto del principio della libera concorrenza tra tutte le imprese operanti nel porto che hanno bisogno di utilizzare mano d’opera, elimina il rischio di un fittizio datore di lavoro al quale è formalmente imputato il rapporto di lavoro con i lavoratori portuali60.
3.2. Le associazioni di lavoro portuale nei porti nei quali non operavano imprese fornitrici di servizi e di mano d’opera
L’esigenza di flessibilità del lavoro portuale era dimostrata dalla previsione dell’art. 17, comma 2, legge n. 84 del 1994, in virtù del quale era consentita nei porti nei quali non operavano imprese fornitrici di servizi e di mano d’opera, la costituzione, ad iniziativa delle autorità portuali (e, in mancanza delle autorità marittime) delle “associazioni di lavoro portuale per far fronte alle fluttuazioni del traffico, garantendo una maggiore efficienza all’attività del porto” con lo scopo di impiegare propri dipendenti per prestazioni temporanee da svolgere presso le imprese addette alle operazioni portuali istituite dall’art. 16 legge n. 84 del 1994, in deroga all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960.
Potevano essere soci delle citate associazioni esclusivamente le imprese operanti nel porto. L’assemblea dei soci individuava il contingente
59 X. Xxxxxxxx, voce Lavoro portuale, op. cit., p. 3 ss..
60 X. Xxxxxxxx, voce Lavoro portuale, op. cit., p. 3 ss.
di lavoratori da assumere sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, con priorità per i lavoratori portuali risultanti in esubero in seguito alla trasformazione degli enti delle compagnie portuali. Il rapporto di lavoro dei dipendenti dell’associazione era regolato secondo la disciplina di legge e di contratto collettivo applicata alle imprese portuali che li utilizzavano.
L’attività di queste associazioni era soggetta al controllo delle commissioni provinciali per l’impiego che vigilano sull’osservanza della disciplina che tale datore di lavoro applica ai propri dipendenti, nonché sulle condizioni igieniche e di sicurezza in cui operano i lavoratori impiegati “in affitto”.
3.3. L’aspetto deleterio, in chiave comunitaria, della creazione di un “monopolio facoltativo” a favore delle società derivanti dalla
trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali
Le associazioni di lavoro portuale, di cui al paragrafo precedente, avevano in sostanza funzioni identiche a quelle delle società di intermediazione di manodopera derivanti dalla trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali a norma dell’art. 21, comma 1, lett. b), legge n. 84 del 1994.
Le associazioni di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 84, potevano però essere costituite solo “in ogni porto ove non siano state costituite le società o le cooperative di cui all’art. 21, comma 1, lett. b)”. Il che, nei fatti, determinava la creazione di un monopolio “facoltativo” a favore delle compagnie portuali, con riguardo alla intermediazione di manodopera portuale61.
61 S.M. Carbone e X. Xxxxxx, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, op. cit., 249.
4. La legge n. 647 del 1996 e la novella dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994. La costituzione dei consorzi volontari per la fornitura
di manodopera temporanea. Il permanere delle distorsioni alla concorrenza e alle restrizioni alla libera circolazione dei servizi: gli interventi della Commissione con la decisione del 21 dicembre 1997, n. 744 e della Corte di Giustizia con il c.d. caso Xxxxxxx Xxxx
La legittimità dal punto di vista comunitario dell’impostazione della legge n. 84 data al mercato del lavoro nei porti appariva quanto meno dubbia, poiché sembrava assicurare di fatto, un monopolio a favore delle compagnie portuali e favorirne gli abusi.
Nello stesso senso apparivano i dubbi sulla legittimità comunitaria dell’art. 17, comma 2 della legge n. 84 del 1994, nella parte in cui imponeva l’istituzione di “un’associazione del lavoro portuale”: in effetti, una corretta applicazione dei principi di libera prestazione dei servizi, di libera circolazione dei lavoratori e di libera concorrenza sembravano comunque escludere che soltanto un unico organismo per ciascun porto dovesse essere incaricato dell’attività di intermediazione di manodopera.
Gli aspetti di incompatibilità con la normativa comunitaria vennero subito evidenziati dalla Commissione con l’avvio, pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge n. 84 del 1994, di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, rivolta ad ottenere la modifica della disciplina del mercato della mera fornitura di manodopera temporanea.
La Commissione indicava la necessità di un radicale mutamento di tale disciplina, e si pronunciava a favore della costituzione di un consorzio tra le imprese portuali volto allo svolgimento di tale attività anche in concorrenza con l’impresa derivante dalla trasformazione delle ex compagnie ai sensi dell’art. 21, comma 1, lett. b), legge n. 84 del 1994.
Il legislatore italiano provvedeva quindi ad apportare modifiche alla disciplina originaria della legge n. 84 del 1994, con l’adozione della legge n. 647 del 1996 che andava a novellare l’art. 17 della legge n. 84 del 1994.
Secondo il comma 1, legge n. 84 del 1994, novellato, le autorità portuali (o laddove non costituite le autorità marittime) promuovono la costituzione di un consorzio volontario aperto a tutte le imprese autorizzate ad esercitare attività portuali allo scopo esclusivo di agevolare la gestione delle fasi caratterizzate da variazioni imprevedibili di domanda di manodopera. A tal fine le stesse autorità portuali (autorità marittime) autorizzavano una o più imprese consorziate, anche in deroga all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960, alla fornitura di mere prestazioni di manodopera a favore di altre imprese consorziate, con la precisazione che tale autorizzazione poteva essere concessa (per evitare che il soggetto autorizzato fosse costretto a rivolgersi a sua volta ad aiuti esterni per erogare manodopera) solo alle imprese consorziate che fossero dotate di adeguato personale e risorse proprie con specifica caratterizzazione di professionalità nell’esecuzione delle operazioni portuali.
Sempre il primo comma dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994 prevedeva che qualora non fosse stato costituito il consorzio volontario di cui sopra, oppure nel caso in cui a tale consorzio, benché costituito, non avesse partecipato la maggioranza delle imprese autorizzate ad esercitare le attività portuali, e qualora le autorità portuali (o marittime) avessero ravvisato la necessità di soddisfare variazioni imprevedibili di domanda di manodopera, queste avrebbero potuto istituire un’agenzia per l’erogazione di mere prestazioni di manodopera alle imprese di cui agli articoli 16 e 18 della legge n. 84 del 1994 che ne avessero fatto richiesta.
Inoltre, il secondo comma dell’art. 17 in questione, prevedeva che fino a che consorzio o agenzia non fossero stati costituiti, la fornitura temporanea di manodopera nei porti sarebbe stata erogata alle imprese autorizzate ad esercitare le operazioni portuali dalle imprese di cui all’art. 21, lett. b) della legge n. 84 del 1994, ovverosia dalle ex compagnie portuali, che avrebbero fornito tali prestazioni in regime di monopolio, mentre il terzo comma prevedeva che le ex compagnie portuali potevano
fornire alle altre imprese portuali, in posizione di monopolio, gli appalti di servizi ivi compresi quelli ad elevato contenuto di manodopera62.
Appare di immediata percezione come anche le modifiche apportate dalla legge n. 647 del 1996 non fossero sufficienti a garantire l’eliminazione delle distorsioni alla concorrenza e alle restrizioni alla libera circolazione dei servizi oggetto di attenzione parallela da parte della Commissione e della Corte di Giustizia. Tale disciplina introduceva, così, un’evidente differenziazione di trattamento delle ex compagnie portuali rispetto alle altre imprese autorizzate, immediatamente valutata dagli organi comunitari come incompatibile con le regole della concorrenza. Infatti, in un’importante decisione adottata ai sensi dell’art. 86.3 CE (allora 90.3 CE), La Commissione non ha avuto alcuna incertezza nel rilevare l’illegittimità dell’allora art. 17, comma 3, della legge n. 84 del 1994: l’esclusiva così assegnata a favore di un soggetto (la società derivante dalla trasformazione della ex compagnia portuale), il quale contestualmente erogava servizi su altri mercati inerenti le operazioni portuali in competizione con altre imprese, era suscettibile di creare una situazione di conflitto di interessi inaccettabile ed illegittima ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 ed 86 CE63.
Alle medesime conclusioni è giunta anche, pochi mesi dopo, la Corte di Giustizia nella sentenza Xxxxxxx Xxxx, la quale ha ritenuto in particolare che la deroga rispetto al c.d. divieto di intermediazione di manodopera assicurata dalla normativa portuale esclusivamente alle ex compagnie portuali nell’erogazione dei servizi ad alto contenuto di manodopera era discriminatoria e suscettibile di determinare un illegittimo conflitto di interessi64.
Giova osservare che nella sentenza Xxxx non si trattava di applicare l’art. 17, comma 3 della legge n. 84 del 1994 (temporaneamente)
62 Per una dettagliata esposizione dell’evoluzione del testo dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994, cfr. X. Xxxxxxx, Osservazioni sul nuovo regime giuridico dei servizi portuali, in Dir. mar., 2002,
p. 1097 e ss.
63 Decisione del 21 dicembre 1997, n 744, pubblicata in GUCE, L 301 del 5 novembre 1997, 17 e ss.
64 Sentenza 12 febbraio 1998, n. C-163/96, Xxxxxxx Xxxx. Cfr. Carbone-Munari, La disciplina dei porti tra diritto comunitario e diritto interno, op. cit., 227 ss.
introdotto dalla legge n. 647 del 1996: la causa proveniva infatti da un rinvio pregiudiziale del tribunale di La Spezia, nel quale veniva prospettata la violazione da parte di imprese portuali autorizzate e di imprese terminaliste del citato divieto di intermediazione di manodopera, divieto che non sarebbe stato invece prospettabile qualora tali servizi fossero stati resi dalla ex compagnia portuale, “protetta” comunque dalle norme speciali di cui agli abrogati artt. 110 e 111 cod. nav., così come, successivamente, dalla normativa sopravvenuta alla declaratoria di illegittimità comunitaria di tali disposizioni ad opera della citata sentenza Siderurgica Xxxxxxxxx (costituita da decreti legge lungamente reiterati fino all’entrata in vigore della legge n. 84 del 1994). Nella sostanza, le questioni interpretative della sentenza Xxxx erano tuttavia identiche a quelle oggetto della citata decisione della Commissione sopra ricordata.
E’ opportuno ricordare che l’accertata illegittimità comunitaria delle “riserve” garantite alle ex compagnie portuali sulla scorta delle regole di concorrenza (sotto il particolare profilo del c.d. abuso necessitato dei diritti esclusivi attribuiti alle ex compagnie stesse sul mercato contiguo dell’avviamento di manodopera portuale), non esauriva comunque i profili di contrasto col diritto comunitario di tale disciplina. Tanto che, nelle sue conclusioni alla causa Xxxxxxx Xxxx, l’A.G. Xxxxxxxx aveva chiaramente prospettato l’incompatibilità delle norme italiane in esame anche con le regole in tema di libera circolazione dei servizi.
5. La legge n. 186 del 2000, le modifiche, orientate ai principi comunitari, dell’art. 17 della legge n. 84/1994
Il legislatore ha introdotto una ulteriore “novella” alla disciplina dell’avviamento del lavoro temporaneo delle maestranze portuali (art. 3 della legge n. 186 del 2000) riformulando integralmente l’art. 17 della legge n. 84 del 1994.
Viene previsto, per ciascun porto, un unico soggetto fornitore di manodopera temporanea, anche in deroga all’art. 1 della legge n. 1369 del 1960.
L’Autorità portuale rilascia un’autorizzazione per l’esercizio delle operazioni portuali sulla base dell’effettiva verifica positiva adozione di atti rivolti ad escludere conflitti di interesse con le imprese portuali che ne richiedono le prestazioni; imponendo, inoltre, l’adozione di opportuni regolamenti volti ad escludere l’adempimento delle obbligazioni di parità di trattamento a favore di tutti gli utenti, nell’erogazione delle prestazioni in esame, e la permanenza di adeguati standard qualitativi e quantitativi nella fornitura delle prestazioni medesime.
Si prevede che l’impresa fornitrice di manodopera temporanea, autorizzata dall’Autorità portuale, sia selezionata in base ad una procedura aperta, accessibile ad imprese italiane e comunitarie, sia dotata di adeguato personale e di risorse proprie, non possa svolgere alcun’altra attività se non quella relativa alle prestazioni se non quella relativa alle prestazione di fornitura di manodopera alle imprese erogatrici di operazioni o servizi portuali ai sensi dell’art. 16 della legge n. 84 del 1994, sia “indipendente” da altre imprese ex artt. 16, 18, 21 della legge n. 84 del 1994 e/o abbia effettivamente cessato ogni attività relativa ad operazioni o servizi portuali, ovvero, abbia dimesso eventuali partecipazioni detenute in imprese svolgenti tale attività.
Qualora non sia possibile avere un fornitore di manodopera secondo le caratteristiche citate, ma sussistano effettive esigenze di una tale presenza da parte della utenza portuale, il soggetto fornitore di manodopera dovrà essere costituito direttamente da parte dell’Autorità portuale mediante la creazione di un agenzia amministrativa degli utenti delle prestazioni di quest’ultima, e cioè da un organo composto da soggetti che rappresentano le imprese operanti nel porto ai sensi degli artt. 16, 18 o 21 della legge n. 84 del 1994.
In caso di carenza di organici, l’impresa ovvero l’agenzia fornitrice di mere prestazioni di lavoro temporaneo possano rivolgersi, quali imprese
utilizzatrici, alle società fornitrici di c.d. lavoro interinale ai sensi della legge
n. 196 del 1997. Tale opzione risulta invece esclusa per le altre imprese portuali, proprio in quanto sono obbligate a richiedere le c.d. mere prestazioni di lavoro temporaneo esclusivamente all’impresa o all’agenzia sopra indicate.
Viene, altresì, prevista la stipulazione di un contratto unico nazionale per i lavoratori dei porti, volto ad omogeneizzare il trattamento economico di questi ultimi e soprattutto i costi per le imprese, nella logica di evitare surrettizie quanto inaccettabili forme di concorrenza tra imprese basate su parametri retributivi disomogenei nel trattamento dei lavoratori.
6. Il d.lgs. n. 276 del 2003 e la conferma della disciplina della somministrazione di lavoro portuale di cui all’art. 17 della legge n.
84 del 1994
La disciplina della fornitura di manodopera, prima nota come lavoro temporaneo o interinale, disciplinato dagli artt. 1-11 della legge 24 giugno 1997, n. 196, è stata riformulata dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 che, in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1, lettera m) della legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha introdotto il contratto di somministrazione di lavoro (artt. 20-28). Detto decreto, ha abrogato la legge n. 1369 del 1960 sul divieto di interposizione di manodopera e gli articoli da 1 a 11 della legge n. 196 del 1997 sul lavoro temporaneo (art. 85, lettere c) ed f).
L’art. 86, comma 5, d.lgs. n. 276 del 2003, ribadisce l’applicabilità dell’assetto del lavoro portuale temporaneo, come disegnato dall’art. 17 della legge n. 84 del 1994, novellato dall’art. 3 della legge n. 186 del 2000, precisando che i riferimenti che lo stesso art. 17 fa alle legge n. 196 del 1997 sul lavoro temporaneo, si intendono riferiti alla disciplina della somministrazione di lavoro di cui agli artt. 20-28 dello stesso decreto.
7. L’abrogazione della legge n. 1369 del 1960, l’applicabilità dei divieti di intermediazione e di interposizione di manodopera nel
settore portuale
Il legislatore introducendo con la legge n. 186 del 2000 il comma 3 bis dell’art. 16, legge n. 84 del 1994, ha stabilito che “le operazioni ed i servizi portuali (…) non possono svolgersi in deroga alla legge n. 1369 del 1960”, fatto salvo quanto previsto dall’art. 17 della stessa legge. In quest’ultima disposizione, come abbiamo visto, si prevede che le Autorità portuali, all’interno di uno scalo, autorizzino in via esclusiva all’erogazione di mere prestazioni di manodopera temporanea di un’impresa, che deve essere individuata secondo una procedura accessibile a soggetti italiani e comunitari: l’attività di quest’impresa, che agisce in regime di monopolio, deve essere unicamente volta alla fornitura di manodopera per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali. L’art. 17, al comma 5, prevede, inoltre, che qualora non si giunga all’autorizzazione di un’impresa per la fornitura di manodopera temporanea, le Autorità portuali possono promuovere a tale fine apposite agenzie soggette al controllo delle medesime Autorità portuali e la cui gestione è affidata ad un organo direttivo composto da rappresentanti delle imprese di cui agli artt. 16, 18, 21, cmma 1, lett. a.
La riforma del mercato del lavoro portuale del 2000 ha dunque ripristinato il divieto di interposizione come regola generale, e la sua deroga come eccezione legittima, nei limiti del novellato art. 17, legge n. 84 del 1994.
La vigenza nel settore portuale del divieto di interposizione (con la sola eccezione prevista dal novellato art. 17, legge n. 84 del 1994) merita di essere vagliata alla luce di due distinti ordini di considerazioni: a) la abrogazione, successivamente intervenuta, della legge n. 1369 del 1960;
b) la compatibilità fra monopolio nella fornitura di manodopera portuale temporanea ed il diritto comunitario alla concorrenza65.
Come noto la legge n. 1369 del 1960 è stata abrogata ad opera dell’art. 85, comma 1, lett. c, d.lgs. n. 276 del 2003. Occorre interrogarsi su quale incidenza abbia tale abrogazione sulla disciplina del lavoro portuale.
L’abrogazione della legge del 1960 potrebbe indurre a ritenere che ogni impresa portuale possa oggi legittimamente porre in essere qualunque forma di interposizione e che, pertanto, il sistema di interposizione di manodopera disegnato dagli artt. 16, comma 3 bis, e 17, legge n. 84 del 1994, possa ritenersi superato a causa della sopravvenienza di una nuova disciplina generale della materia.
Occorre tuttavia segnalare che, nonostante la legge n. 1369 del 1960 sia stata abrogata, ancora oggi non si può ritenere legittima qualunque forma di prestazione di lavoro a favore di terzo.
Infatti, nel nostro ordinamento permangono alcune forme di “interposizione illecita”, come è confermato dal tenore letterale dell’art. 84, d.lgs. n. 276/200366.
Nella disciplina della somministrazione di manodopera, che sostituisce la precedente disciplina della fornitura di lavoro temporaneo, di cui agli artt. 1-11, legge n. 196 del 1997 (abrogati dall’art. 85, comma 1, lett. f, d.lgs. n. 276 del 2003), sono stati individuati i soggetti autorizzati a svolgere tale attività (ed i requisiti che devono possedere per ottenere l’apposita autorizzazione) (artt. 4 e 5, d.lgs. n. 276 del 2003); sono state previste della “condizioni di liceità” per la stipulazione del contratto commerciale di somministrazione (art. 20); sono stati imposti obblighi di forma e di contenuto per questo contratto (art. 21). Se la somministrazione
65 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, L’applicabilità dei divieti di intermediazione e di interposizione di manodopera nel settore portuale: vecchi e nuovi problemi, in Arg. dir. lav., 2008, p. 140 ss.
66 La sopravvivenza del divieto di interposizione è sostenuta da molti autori in dottrina: cfr. ad esempio, X. Xxx Xxxxx, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2005, p. 162; X. Xxxxxxxx, Somministrazione di lavoro e subordinazione: chi ha paura del divieto di interposizione? Le nuove politiche del lavoro, in Mariucci (a cura di), Dopo la flessibilità cosa? Le nuove politiche del lavoro, Bologna, 2006, p. 161. Contra, con diverse sfumature, cfr. X. Xxxxxx, Sub art. 20-29. Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro. D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Bologna, 2004, p. 318; X. Xxxxx, Il contratto di somministrazione di lavoro, in Giornale dir. lav. e rel. ind., 2006, p. 435.
deborda dai confini ora sommariamente enunciati, si ricade nella fattispecie della “somministrazione irregolare” (art. 27, comma 1) ed in tal caso è prevista l’applicazione del medesimo meccanismo sanzionatorio previsto dalla legge n. 1369 del 1960 per le fattispecie illecite di dissociazione fra soggetto titolare di un rapporto e soggetto utilizzatore delle prestazioni lavorative (ovverosia la riconduzione dei rapporti con i dipendenti formalmente assunti dal soggetto interposto direttamente in capo a chi ne aveva effettivamente utilizzato le prestazioni)67.
La tesi della permanenza nel nostro ordinamento di fattispecie illecite di interposizione di manodopera, nonostante l’abrogazione della legge n. 1369 del 1960, trova ulteriore sostegno nella circostanza che siano state previste delle sanzioni per l’appalto ed il distacco di manodopera “non genuini”. Negli artt. 29 e 30, d.lgs. n. 276 del 2003, infatti, sono stati individuati alcuni indici che devono caratterizzare un appalto lecito (l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore e l’assunzione, da parte di quest’ultimo, del rischio d’impresa), nonché requisiti che consentono di distinguere un distacco legittimo da uno illegittimo (la temporaneità del distacco; l’interesse proprio del distaccante a che uno dei suoi dipendenti prestino la propria opera presso un distaccatario, per svolgere un’attività lavorativa). Se un appalto o un distacco si svolgono fuori dei limiti previsti dall’ordinamento e si risolvono in un “mero appalto di manodopera”, si ricade in una fattispecie di somministrazione illecita, “perché posta in essere da soggetti privi di autorizzazione”. E trova nuovamente applicazione la medesima sanzione per la somministrazione irregolare, di cui all’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 (artt. 29, comma 3 bis e 30, comma 4 bis, d.lgs. n. 276 del 2003). Dalla presenza di un apparato sanzionatorio, applicabile qualora un imprenditore utilizzi prestazioni di lavoratori dipendenti da soggetti al di fuori dei limiti posti dalle discipline della somministrazione di manodopera,
67 E’ bene precisare che tale meccanismo sanzionatorio non è più “automatico”, ma scatta solo se il lavoratore richiede, ai sensi dell’art. 414 c.p.c., la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’effettivo utilizzatore. L’automaticità della sanzione è prevista invece nel caso in cui il contratto di somministrazione non sia stato stipulato in forma scritta (art. 21, comma 4, d.lgs. n. 276 del 2003).
dell’appalto e del distacco, si può allora desumere che, nel nostro ordinamento, restano ancora presenti forme di interposizione: queste, peraltro, sono penalmente sanzionabili, secondo un orientamento delle Sezioni penali della Corte di Cassazione, che si può ritenere consolidato68.
Appurato che all’indomani dell’abrogazione della legge n. 1369 del 1960, nel mercato del lavoro permangono forme vietate di interposizione di manodopera, ci si deve ora domandare se anche nel più ristretto mercato del lavoro portuale si possano oggi configurare delle fattispecie illecite di interposizione.
Abbiano visto, nel paragrafo precedente, che l’art. 86, comma 5, d.lgs. n. 276 del 2003, dispone che ferma restando la disciplina di cui all’art. 17, coma 1, legge n. 84 del 1994, i rimandi che lo stesso art. 17 fa alla legge n. 196 del 1997 devono intendersi riferiti (a seguito della ricordata abrogazione degli artt. 1-11, legge n. 196 del 1997) alla disciplina della somministrazione di manodopera, di cui agli artt. 20-28, d.lgs. n. 276 del 2003.
Il fatto che l’impianto legale della fornitura di manodopera portuale sia restato sostanzialmente immutato nonostante la riforma generale delle forme di prestazione di lavoro a favore di terzo induce a ritenere che nel mercato del lavoro all’interno degli scali marittimi, l’interposizione debba ancora avvenire secondo le regole poste dal legislatore, cioè secondo quanto previsto dall’art. 17, legge n. 84 del 1994.
68 Cass. pen. 26 gennaio 2004, n. 2583; Cass. pen. 25 agosto 2004, n. 34922; Cass. pen. 24 febbraio
2004, n. 77623; Cass. pen. 3 febbraio 2005, n. 3714; Cass.pen. 26 aprile 2005, n. 15579; Cass. pen. 21 novembre 2005, n. 41701, tutte su xxx.xxx.xxxxxx.xx, voce “Somministrazione”. In queste sentenze la Corte di Cassazione, dopo avere rilevato che l’art. 18, xx.xx. n. 276 del 2003, commina ancora una sanzione penale a chi svolge somministrazione di manodopera, ma è privo di apposita autorizzazione, ha sancito che con l’art. 85, comma 1, lett. c, d.lgs. n. 276 del 2003, si è verificata un’abrogazione della legge n. 1369 del 1960, senza però abolizione del reato: ciò perché “l’abolizione del reato consegue solo ad una valutazione di completa inoffensività della condotta originariamente pattuita”, e questo nono si verifica nel caso degli artt. 18-30, d.lgs. n. 276 del 2003, poichè persiste, “il reato di somministrazione irregolare”. Poiché solo alcune fattispecie punite dalla legge n. 1369 del 1960, non costituiscono più reato (la somministrazione di lavoro da parte delle agenzie private abilitate e nelle ipotesi consentite), e dato che per i residui casi, che rientrano nell’ambito della nuova fattispecie penale, sussiste un nesso di continuità normativa fra il precetto previdente e quello attualmente riformulato dagli artt. 4-18, d.lgs. n. 276 del 2003, allora deve ritenersi che l’itermediazione di xxxxxxxxxx aveva rilevanza penale sotto l’abrogata normativa e continua ad averla per l’attuale. Cfr. X. Xxx Xxxxx, Il “nuovo” divieto di appalto di manodopera, in Dir. prat. lav., 2005, p. 1954; in senso critico, invece, X. Xxxxx, L’elisir di lunga vita del divieto di interposizione, in Riv. it. dir. lav., 2005, II, p. 727.
Di conseguenza, sembra possibile sostenere che, nel caso in cui un imprenditore portuale utilizzi le prestazioni fornite da un lavoratore assunto e retribuito da un soggetto terzo che non sia l’impresa di fornitura di manodopera temporanea, di cui al novellato art. 17, legge n. 84 del 1994, si configuri una forma di interposizione illecita, e che questo imprenditore possa andare incontro anche a sanzioni penali.
In conclusione, l’avvenuta abrogazione della legge n. 1369 del 1960 non può considerarsi argomento decisivo per escludere l’illiceità di forniture di manodopera effettuate al di fuori dei limiti posti dal citato art. 17 della legge n. 84 del 1994.
8. Il permanere del monopolio nella fornitura di manodopera portuale temporanea: aspetti di incompatibilità con il diritto
comunitario della concorrenza
L’applicabilità del divieto di interposizione in ambito portuale può essere messa in discussione in ragione della eventuale non compatibilità del monopolio della somministrazione di manodopera previsto dal novellato art. 17, legge n. 84 del 1994, con i principi di cui agli artt. 82 e 86 del Trattato CE.
E’ bene ricordare che nelle sentenze Merci Convenzionali e Xxxxxxx
Xxxx, la Corte di Giustizia ha ritenuto non compatibile con i pilastri del diritto comunitario la normativa di cui agli artt. 110 e 111 cod. nav. e gli artt. 17 e 21 della legge n. 84 del 1994 in quanto le attività di avviamento e fornitura di manodopera portuale erano affidate in esclusiva alle compagnie portuali.
Come accadeva nelle discipline del mercato del lavoro portuale precedenti alla riforma introdotta dalla legge n. 186 del 2000, sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia, anche l’attuale normativa in materia di fornitura di manodopera portuale temporanea è caratterizzata dalla presenza di un’impresa che agisce in regime di monopolio.
Tuttavia, è da escludere la possibilità di qualificare l’attività di fornitura di manodopera temporanea all’interno degli scali alla stregua di un “servizio di interesse economico generale”, qualificazione che giustificherebbe il monopolio dell’impresa di fornitura di manodopera portuale, invocando così la deroga del regime comunitario generale della concorrenza di cui all’art. 86, punto 2, Trattato CE.
Infatti, nel caso Merci Convenzionali, la Corte di Giustizia aveva
escluso che le Compagnie svolgessero un “servizio di interesse economico generale”69, e la configurabilità della fornitura di manodopera portuale come “servizio di interesse generale” è espressamente esclusa dal legislatore nazionale il quale precisa che l’impresa di cui all’art. 17, comma 2, della legge n. 84 del 1994, non è incaricata “della gestione di servizi di interesse economico generale (…) ai sensi dell’art. 90 (ora art. 86), punto 2, Trattato CE70.
Altri illustri autori ritengono che il monopolio sul mercato della fornitura di manodopera portuale non è “assoluto” ma “contendibile” nel senso che, l’obbligo che grava sulle autorità portuali di effettuare una “gara”, aperta ad imprese italiane e comunitarie, per assegnare l’autorizzazione alla fornitura di manodopera temporanea in uno scalo marittimo, dovrebbe salvaguardare “una concorrenza, se non nel mercato, per il mercato”71.
Ma se consideriamo illegittimo il monopolio dell’impresa autorizzata alla fornitura di manodopera portale temporanea, la conseguenza non può essere una “liberalizzazione” senza regole del mercato della fornitura, nel senso di riconoscere a tutti gli imprenditori portuali la possibilità di fornire manodopera temporanea.
A differenza che nel passato, oggi la fornitura di lavoro temporaneo non è più consentita solo all’interno degli scali marittimi, già la legge n. 196
69 X. Xxxxxx, Xxxxxxx e modelli organizzativi delle operazioni portuali e dei servizi ad essi connessi alla luce delle disposizioni della legge 30 giugno 2000, n. 186, in Dir. mar., 2000, p. 1283.
00 Xxx. X. Xxxxxx Xxxxx, Xx diritto del lavoro nei porti, Torino, p. 131; X. Xxxxxxx, L’utilizzazione indiretta dei lavoratori, Milano, 2001, p. 331.
71 S.M. Carbone e X. Xxxxxx, La disciplina dei porti, op. cit., 257.
del 1997 aveva aperto dei “varchi nel muro del divieto di interposizione”72 sancito dalla legge n. 1369 del 1960, e il muro ora è stato “abbattuto” dal d.lgs. n. 276 del 2003, dove gli artt. 20-28, consentono non a tutte le imprese ma solo a quelle, ma solo alle agenzie di somministrazione di lavoro a ciò autorizzate, di interporsi legittimamente fra un lavoratore e un soggetto che ne utilizza le prestazioni. Tali agenzie, però, e questo è un problema specifico del lavoro portuale, non possono operare all’interno dell’ambito portuale, poiché il loro ruolo è meramente sussidiario rispetto a quello dell’impresa monopolista di cui al novellato art. 17 della legge n. 84 del 1994.
Infatti, come abbiamo già visto, le imprese portuali in generale, per acquisire manodopera temporanea, non possono rivolgersi direttamente alla agenzie di somministrazione: solo l’impresa deputata alla fornitura di manodopera nel porto, qualora non avesse personale sufficiente per far fronte alla domanda di manodopera temporanea degli operatori portuali, può rivolgersi, in qualità di impresa utilizzatrice, ai soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di manodopera temporanea. E’ poi la stessa impresa di cui all’art. 17, comma 2, legge n. 84 del 1994, a “fornire agli operatori portuali i lavoratori temporanei, dipendenti dalla agenzie di somministrazione di lavoro operanti al di fuori degli scali marittimi73.
Pertanto, all’illegittimità del monopolio di cui all’art. 17 della legge n. 84 del 1994, dovrebbe allora seguire, non già la completa “liberalizzazione” del mercato della manodopera portuale che sarebbe in contrasto con la permanenza della illiceità della somministrazione effettuata fuori dei limiti previsti dalla legge, ma il riconoscimento per le agenzie di somministrazione di operare all’interno degli scali marittimi.
L’entrata delle agenzie di somministrazione nel mercato dei porti, significherebbe l’apertura alla concorrenza fra imprese autorizzate ad
72 Riprendendo il titolo di X. Xxxxxx, Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, in Giornale dir. lav. e rel. ind., 1997, p. 503.
73 Si è parlato di un sistema di “interposizione nell’interposizione”, cfr. X. Xxxxxxx, L’utilizzazione indiretta, op. cit., 332.
operare ne mercato della somministrazione in coerenza con la disciplina generale della materia.
Tutto ciò, contestualmente, esclude la possibilità per le imprese autorizzate e concessionarie ex artt. 16 e 18, legge n. 84 del 1994, di fornire manodopera, implicando, di conseguenza, il permanere, nel settore portuale, di fattispecie interpositorie illegittime.
CAPITOLO III
LE MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALL’ART. 17, L. N.
84/1994, DA PARTE DELLA LEGGE N. 247/2007
Sommario: 1. L’indennità di disponibilità in caso di mancato avviamento. 2. Il nuovo comma 8 bis dell’art. 21 relativo al processo di trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali. Le società fornitrici di mera manodopera il cui organico non superi le quindici unità, possono svolgere altre tipologie di lavoro in ambito portuale, in deroga all’art. 17 che, invece, obbliga l’esercizio in via esclusiva della fornitura di manodopera temporanea. 3. Nuove espressioni terminologiche dell’art. 21 con riferimento al cambiamento di status delle compagnie e dei gruppi portuali in società o cooperative. 4. Il contratto unico dei porti. L’art. 17, comma 13, L. 84/1994, nella sua stesura originaria.
4.1. La stagione giurisprudenziale provocata dalle associazioni escluse dalle trattative e firmatarie dei contratti collettivi applicati nelle imprese utilizzatrici e superati dal c.d. contratto collettivo unico dei porti. 4.1.1. Il caso Porto di Piombino. 4.2. Il trattamento minimo inderogabile a favore dei lavoratori portuali temporanei: la nuova formulazione del comma 13 dell’art. 17 della legge n. 84/1994, novellato dal comma 89, dell’art. 1 della legge n. 247 del 2007.
1. L’indennità di disponibilità in caso di mancato avviamento
Il legislatore, con il comma 85 dell’art. 1 della legge n. 247 del 2007, che ha sostituito il comma 15 dell’art. 17, della legge n. 84 del 1994, ha inteso intervenire in sostegno della occupazione del lavoro portuale temporaneo.
Nel lavoro portuale temporaneo non era previsto alcun obbligo, a carico dell’impresa autorizzata alla fornitura di lavoro portuale temporaneo o dell’agenzia portuale, di corrispondere al lavoratore temporaneo, assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato, un’indennità mensile di disponibilità. Indennità prevista, invece, per i lavoratori “somministrati” dal comma 3, art. 22, del d.lgs. n. 276 del 2003.
Le giornate di mancato impiego dei lavoratori portuali temporanei sono, infatti, retribuite da un apposito fondo istituito presso l’Inps (art. 2, comma 28, legge n. 662 del 1997), con le modalità definite dalle parti sociali.
A queste, quindi, l’onere di predisporre un piano triennale nel quale avrebbero dovuto essere individuati interventi per il sostentamento del
reddito da parte dei lavoratori portuali temporanei e i criteri e le modalità per la loro concessione.
Orbene in attesa di una riforma organica degli ammortizzatori sociali, l’indennità di mancato avviamento al lavoro, pari al trattamento massimo di integrazione salariale e nei limiti di spesa di volta in volta determinati, era stato lo strumento individuato e privilegiato dalle parti sociali per sostenere in via sperimentale il reddito del lavoratore portuale temporaneo.
La portata innovativa della disposizione in commento consiste in ciò che le modalità di retribuzione delle giornate di mancato impiego dei lavoratori portuali temporanei non sono più demandate alle parti sociali.
E’ il legislatore, infatti, che disciplina ora direttamente sia la misura dell’indennità, che i criteri e le modalità relative alla sua erogazione.
Quanto alla misura, l’indennità è pari a un ventiseiesimo del trattamento massimo mensile d’integrazione salariale straordinaria previsto dalla normativa vigente. All’erogazione del trattamento fa riscontro la relativa contribuzione figurativa e si aggiungono gli assegni per il nucleo familiare. Il beneficio è esteso anche alle giornate di mancato impiego che coincidono, in base al programma, con le giornate definite festive durante le quali il lavoratore sia risultato disponibile.
Il legislatore stabilisce anche i criteri per il calcolo di tale indennità che è pari alla differenza tra il numero massimo di ventisei giornate mensili ed il numero delle giornate effettivamente lavorate in ciascun mese, aumentate del numero di giornate di ferie, malattia, infortunio, permesso ed indisponibilità.
L’Inps risulta essere il soggetto tenuto ad erogare tale indennità sulla base degli elenchi predisposti dal ministero dei trasporti.
Il compito della tenuta e della compilazione di tali elenchi è, ora affidato, alle competenti autorità portuali o laddove non istituite, alle autorità marittime. Queste sulla base degli accertamenti eseguiti redigono degli elenchi distinguendo per ogni singola impresa o agenzia il numero delle giornate di mancato impiego da riconoscere ai lavoratori interessati.
L’efficacia di tali disposizioni è stata subordinata all’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2008, che aveva destinato delle risorse per la proroga degli strumenti per il sostegno del reddito dei lavoratori e per gli ammortizzatori sociali in deroga.
Così, quanto alla stabilità del sostegno, nulla è innovato rispetto al passato, dal momento che alla categoria dei lavoratori portuali temporanei continua ad essere offerta una tutela limitata nel tempo che si presta, come in passato, ad essere prorogata più volte74, sino adesso con cadenza annuale, in attesa di una riforma organica del sistema degli ammortizzatori sociali.
2. Il nuovo comma 8 bis dell’art. 21 relativo al processo di trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali. Le società
fornitrici di mera manodopera il cui organico non superi le quindici unità, possono svolgere altre tipologie di lavori in ambito portuale, in deroga all’art. 17 che, invece, obbliga l’esercizio in via esclusiva della fornitura di manodopera temporanea.
Al fine di garantire nei porti la massima liberalizzazione e assicurare la concorrenza, l’art. 21 della legge n. 84 del 1994 aveva disposto alle compagnie e ai gruppi portuali la trasformazione in società di capitali o in cooperative secondo i tipi previsti dal codice civile.
Le compagnie e i gruppi portuali erano state di fronte alla scelta, o di continuare ad operare come imprese per il solo esercizio delle operazioni portuali in conto proprio in regime di libera concorrenza, oppure di assumere il ruolo di fornitrici esclusive di lavoro temporaneo agli operatori terminalisti.
La disciplina previgente, infatti, consentiva la fornitura di mere prestazioni di manodopera temporanea da parte di un unico soggetto imprenditoriale, sottoposto ad un penetrante controllo da parte dell’autorità
74 Si veda l’art. 19, comma 12, legge n. 2 del 2009, attualmente, tale beneficio è stato prorogato al 2010 dall’art. 2, comma 137, della legge finanziaria 2010.
portuale, a condizione che lo stesso in ambito portuale, non svolgesse direttamente o indirettamente, mediante il possesso di partecipazioni in altre imprese portuali, altra attività imprenditoriale.
Così il legislatore mirava ad evitare che l’impresa autorizzata a fornire la manodopera temporanea versasse in una situazione di conflitto d’interesse anche potenziale con le altre imprese presenti nel mercato delle operazioni portuali. Ciò al fine di raggiungere l’obiettivo di assicurare, in ciascun porto il massimo della concorrenza tra gli operatori garantendo libertà di accesso al mercato.
Nello stesso tempo i lavoratori erano salvaguardati perché si evitava la creazione di forme di concorrenza basate sullo sfruttamento del mercato del lavoro e non già sull’efficienza imprenditoriale.
Nel contesto appena esposto, il comma 86, della legge n. 247 del 2007, ha aggiunto il comma 8 bis all’art. 21 della legge n. 84 del 1994, prevedendo che la società per la fornitura dei servizi portuali e le società fornitrici di mera manodopera “il cui organico non superi le quindici unità”, possono svolgere altre tipologie di lavori in ambito portuale e ciò in deroga a quanto previsto dall’art. 17 che, invece, obbliga l’esercizio in via esclusiva della fornitura di manodopera temporanea. Xxxx, quelle società avranno titolo preferenziale al fine del rilascio di eventuali concessioni demaniali relative ad attività che dovranno essere individuate con decreto attuativo del ministero dei trasporti.
Dando la possibilità alle imprese autorizzate alla fornitura di lavoro portuale temporaneo di erogare anche servizi, il legislatore crea di fatto una situazione di potenziale conflitto di interesse generato dalla commistione tra il mercato dei servizi portuali ed il mercato della fornitura di lavoro temporaneo in spregio ai principi comunitari in materia di concorrenza75.
75 X. Xxxxxx, Modifiche ed integrazioni all’art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di fornitura di lavoro portuale temporaneo, in La nuova disciplina del welfare, a cura di Persiani e Xxxxx, Padova, 2008, p. 237.
3. Nuove espressioni terminologiche dell’art. 21 con riferimento al cambiamento di status delle compagnie e dei gruppi portuali in
società o cooperative
Il comma 87 della legge n. 247 del 2007, ha apportato all’art. 21 della legge n. 84 del 1994 delle modifiche lessicali.
Il legislatore sostituisce la parola “trasformazione” con la parola “costituzione” nella disposizione che imponeva alle compagnie e gruppi portuali di mutare la propria veste giuridica.
E’ stato evidenziato che il termine “costituzione” vuole descrivere e rafforzare il concetto della nascita ex novo di un soggetto completamente diverso rispetto al passato, proprio per meglio evidenziare la rottura rispetto della compagnia portuale come emblema del monopolio nell’ambito portuale76.
4. Il contratto unico dei porti. L’art. 17, comma 13, L. 84/1994, nella sua stesura originaria
L’art. 3 della legge n. 186 del 2000, che ha novellato l’art. 17 della legge n. 84 del 1994, contiene un’importante intuizione, e cioè di aver previsto la necessità di dotare tutti i lavoratori di un unico contratto collettivo nazionale, in grado di omogeneizzare i differenziali di costo esistenti, formatisi a seguito della “rivoluzione copernicana” scaturita con l’abolizione dei monopoli portuali ad opera della giurisprudenza comunitaria.
Nel testo originario, anteriore alle trasformazioni apportate dalla legge n. 247 del 2007, per l’art. 17, tredicesimo comma, della legge n. 84 del 1994, “le autorità portuali o, laddove non istituite, le autorità marittime inseriscono negli atti di autorizzazione” per la fornitura del lavoro portuale temporaneo “nonché in quelli previsti dall’art. 16” (cioè, volti a regolamentare lo svolgimento delle operazioni portuali espletate da imprese per conto proprio o di terzi) “e negli atti di concessione di cui all’art. 18” (avente per oggetto aree demaniali o banchine per l’espletamento delle operazioni portuali da parte delle imprese che operano in
76 Contra, Xxxxxx, Modifiche Modifiche ed integrazioni all’art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di fornitura di lavoro portuale temporaneo, op. cit., 237.
proprio o per conto terzi) “disposizioni volte a garantire ai lavoratori o ai soci lavoratori di cooperative un trattamento normativo e retributivo minimo inderogabile. Per i predetti fini il Ministero dei trasporti e della navigazione (ora Ministero delle infrastrutture e dei trasporti), di concerto con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, promuove specifici incontri fra le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale, le rappresentanze delle imprese di cui al primo comma dell’art. 21” (che disciplina la trasformazione delle compagnie portuali in una delle società elencate dallo stesso art. 21) “e l’associazione fra le autorità portuali, volti a determinare la stipulazione di un contratto collettivo nazionale unico di riferimento. Fino alla stipulazione di detto contratto, le predette parti determinano, a livello locale, i trattamenti minimi e retributivi di riferimento per l’individuazione del minimo inderogabile”.
La ratio della previsione era chiara e ragionevole: il legislatore aveva inteso tutelare il lavoro portuale temporaneo, in quanto privo di una contrattazione collettiva propria e, quindi, destinatario di tanti trattamenti quanti erano quelli previsti dai vari contratti collettivi applicati dalle imprese utilizzatrici77.
Sennonché, nel 2000, il ministero dei trasporti invitò alle trattative per la stipulazione del “contratto unico dei porti” soltanto alcune, e non tutte, delle associazioni rappresentanti i datori di lavoro.
In questa prospettiva, il 27 luglio 2000, le organizzazioni dei lavoratori portuali ed alcune associazioni dei datori di lavoro sottoscrissero una intesa preordinata alla conclusione di tale contratto collettivo unico di riferimento, destinato a regolare i rapporti di lavoro di tutte le imprese che svolgono le operazioni portuali e, addirittura, i rapporti dei dipendenti delle autorità portuali e, quindi, non si limitava ai rapporti dei lavoratori portuali temporanei.
Quel contratto venne ratificato da una circolare ministeriale (si veda la nota prot. DEM 3/382 del 7 febbraio 2001, con la quale il direttore dell’unità di gestione infrastrutture per la navigazione ed il demanio marittimo ha recepito il protocollo d’intesa del 27 luglio 2000 per la stipula del contratto collettivo unico dei porti ed ha preteso di attribuire ad esso gli effetti previsti dall’art. 17, tredicesimo comma della legge n. 84 del
77 X. Xxxxxx, Modifiche ed integrazioni all’art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di fornitura di lavoro portuale temporaneo, op cit., p. 238.
1994) e, quindi, il suo rispetto costituì requisito condizionante gli atti di autorizzazione e di concessione, i quali, come è noto, consentono di operare alle imprese nei porti.
Per contro non vennero applicati i contratti collettivi di lunga tradizione che le imprese dei porti (armatori, spedizionieri, agenti marittimi, etc.) da sempre applicavano nei porti.
4.1. La stagione giurisprudenziale provocata dalle associazioni escluse dalle trattative e firmatarie dei contatti collettivi applicati nelle imprese utilizzatrici e superati dal c.d. contratto collettivo
unico dei porti
Le associazioni escluse dalle trattative e firmatarie dei contratti collettivi superati dal c.d. contratto collettivo unico dei porti, iniziarono separati, ma identici, giudizi avanti al TAR del Lazio denunciando l’avvenuta lesione alla libertà sindacale delle imprese e, al tempo stesso, all’azione sindacale delle associazioni alle quali erano liberamente iscritte.
Il TAR del Lazio e poi il Consiglio di Stato hanno annullato la circolare del ministero dei trasporti che ratificava il contratto unico dei porti ed invitava le autorità portuali ad inserirlo negli atti di autorizzazione e concessione.
Entrambi i giudici amministrativi hanno accertato la duplice illegittimità della circolare e dei conseguenti provvedimenti delle autorità portuali. E’ stato accertato che il ministero non poteva escludere dalle trattative le associazioni sindacali che, comunque, rappresentassero una delle categorie dell’utenza portuale. Inoltre, è stato accertato che il contratto unico dei porti era destinato a regolare soltanto il lavoro portuale temporaneo.
4.1.1. Il caso Porto di Piombino
Entrando nel merito delle questioni sottese alla casistica giurisprudenziale di cui al paragrafo precedente, appare utile soffermarci sulla sent. TAR, 30 ottobre 2003, n. 715, confermato dal Consiglio di stato, sez. VI, sent. 22 giugno 2006, n. 3821, per capire le argomentazioni logico giuridiche affrontate dai giudici.
L’autorità portuale di Piombino aveva disposto che tutte le imprese, comprese quelle che operavano in regime di autoproduzione (cioè quelle che provvedono alla movimentazione della merce con l’impiego di mezzi meccanici manovrati dal loro personale di bordo78) dovevano applicare ai loro dipendenti condizioni contrattuali non inferiori a quelle fissate dal citato contratto collettivo di riferimento. Le associazioni Confitarma e Federlinea avevano contestato che esso poteva operare nei confronti del personale di bordo o di terra delle imprese di navigazione, perché doveva solo regolare i rapporti dei soli lavoratori portuali temporanei, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994. Tale tesi veniva accolta dal giudice di primo grado e la sua decisione è stata confermata in appello79.
Venendo all’esame del caso sottoposto al Consiglio di Stato, sotto un primo profilo, la sentenza di secondo grado ha indagato sull’oggetto dell’art. 17, tredicesimo comma, della legge n. 84 del 1994 e, pertanto, sui destinatari del contratto collettivo unico nazionale di riferimento80. Per il giudice di appello, la disposizione avrebbe riguardato solo il rapporto di lavoro temporaneo e, a tale riguardo, sono stati privilegiati i criteri di interpretazione letterale, basati sull’identificazione del contenuto prescrittivi dell’intero art. 1781. Poiché il tredicesimo comma è inserito in una disposizione sul lavoro temporaneo, anche esso atterrebbe a questa
78 V. Donativi, Autoproduzione e concorrenza nel sistema portuale, Milano, 1993, p. 249, X. Xxxxxx, Regole di concorrenza nel settore portuale, in Dir. comm. int., 1999, p. 319.
79 Consiglio di Stato, sez. Vi, sent. 22 giugno 2006, n. 3821, in Lav. giur., 2007, 1009 con nota X. Xxxxxxx.
80 Sui i problemi dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi a fronte di disposizioni di rinvio, cfr. X. Xxxx, Autonomia collettiva e occupazione, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1998, p. 248; X. Xxxxxxxxx, Lavori atipici e autonomia collettiva: un incontro difficile, in Dir. lav., 2000, I, p. 289. 81 X. Xxxxxxx, “Le fonti collettive” del lavoro temporaneo, in Arg. dir. lav., 1998, p. 499.
fattispecie. Quindi, l’inserimento del tredicesimo comma nel più generale contesto dell’art. 17 inciderebbe sull’esegesi e farebbe propendere per la tesi ermeneutica più restrittiva. Dunque le imprese dedicate all’autoproduzione non sarebbero coinvolte dal procedimento dell’art. 17, tredicesimo comma.
A dire il vero, la norma prevedeva che le autorità portuali avrebbero dovuto garantire un trattamento pari a quello del contratto di riferimento non solo con previsioni inserite nell’atto di autorizzazione regolato dall’art. 17, ma anche con disposizioni collocate nei provvedimenti dell’art. 16, legge n. 84 del 1994 (concernenti lo svolgimento delle operazioni eseguite per conto proprio o di terzi) e negli atti dell’art. 1882 (e, cioè, nelle concessioni di aree demaniali).
Se l’art. 17, comma 13, si fosse riferito ai soli prestatori di lavoro temporaneo, non si vede perché la norma avrebbe dovuto richiamare i provvedimenti autorizzatori dell’art. 16 e quelli concessori dell’art. 18. Infatti, sarebbe stato sufficiente fare riferimento proprio all’autorizzazione dell’art. 17 e, dunque, a quella destinata ai soggetti che offrono in ambito portuale prestazioni di natura temporanea83.
Del resto la stessa idea di contratto unico di riferimento sottintendeva un rinvio omnicomprensivo a tutti i dipendenti presenti nel porto. Non si capisce perché sarebbe stato chiamato “unico” e di “riferimento” un accordo rivolto solo ai lavoratori temporanei.
Sul piano storico, è da sottolineare l’importanza di tale precedente che ha smentito la posizione assunta dall’autorità di Piombino la quale pensava di potere e di dovere imporre l’applicazione del contratto unico non solo ai lavoratori temporanei, ma anche ai dipendenti delle imprese di navigazione e, comunque, a tutte quelle attività in ambito portuale, sulla base dell’autorizzazione dell’art. 16 o della concessione dell’art. 18.
82 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, L’impresa portuale tra passata e recente legislazione, in Mass. giur. lav., 1997, p. 706; S.M. Xxxxxxx, Dalla riserva di lavoro portuale all’impresa terminalista, in Dir. mar., 1992, p. 604.
83 X. Xxxxxxx, Lavoro portuale e contratto collettivo unico di riferimento, in Lav. giur., 2007, p. 1016.
Il conflitto sull’interpretazione dell’art. 17, comma 13 è stato alquanto vivace ed ha portato al recente intervento del legislatore.
4.2. Il trattamento minimo inderogabile a favore dei lavoratori portuali temporanei: la nuova formulazione del comma 13 dell’art.
17 della legge n. 84/1994, novellato dal comma 89, dell’art. 1 della legge n. 247 del 2007
La nuova stesura dell’art. 17, comma 13, mantiene vari punti del testo originario e, in particolare, conserva l’uso dei provvedimenti amministrativi per attribuire efficacia soggettiva generale al contratto collettivo84.
L’art. 1, comma 89, della legge n. 247 del 2007, con l’intento di superare le richiamate sentenze dei giudici amministrativi, nel sostituire il comma 13 dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994, prevede: “Le autorità portuali, o, laddove non istituite, le autorità marittime, inseriscono negli atti di autorizzazione di cui al presente articolo, nonché n quelli previsti dall’art.
16 e negli atti di concessione di cui all’art. 18, disposizioni volte a garantire
un trattamento normativo ed economico minimo inderogabile ai lavoratori e ai soci lavoratori di cooperative dei soggetti di cui al presente articolo e agli artt. 16, 18 e 21, comma 1 lettera b). Detto trattamento minimo non può essere inferiore a quello risultante dal vigente contratto collettivo nazionale dei lavoratori nei porti, e suoi successivi rinnovi, stipulato dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori, comparativamente più rappresentative a livello nazionale, dalle associazioni nazionali di categoria più rappresentative delle imprese portuali di cui ai sopraccitati articoli e dall’Associazione Porti Italiani – Assoporti”.
La prima novità è che anche ai dipendenti di tutte le imprese che svolgono le operazioni portuali, e non soltanto ai lavoratori portuali
84 Cfr. X. Xxxxxxxx, Efficacia soggettiva del contratto collettivo e democrazia sindacale, Torino, 1999, p. 98.
temporanei, deve essere applicato un trattamento economico e normativo minimo inderogabile85.
La seconda novità è che la fonte di quel trattamento minimo inderogabile non è costituita, come in precedenti esperienze, dai vari contratti collettivi di categoria, bensì esclusivamente dal già stipulato “contatto collettivo unico dei porti” e dai suoi successivi rinnovi.
Il riferimento a tale contratto collettivo è evidente, in quanto il testo dell’ottantanovesimo comma lo individua con la seguente espressione: “contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei porti (...) stipulato (…) dalle associazioni nazionali di categoria più rappresentative delle imprese portuali di cui ai sopraccitati articoli e dall’Associazione Porti Italiani – Assoporti”.
Ne deriva che il vigente “contratto collettivo unico dei porti”, che prima della novella era un contratto collettivo di diritto comune, acquista, ora per legge, efficacia, erga omnes86.
E’ stata sollevata una certa preoccupazione relativamente all’efficacia generalizzata attribuita al “contratto collettivo unico dei porti”, anche perché il legislatore l’ha attribuita ad un contratto collettivo del quale aveva già stabilito sia quali fossero i sindacati stipulanti, sia quale ne fosse l’ambito soggettivo di applicazione87.
La nuova disposizione presenta dei profili di incostituzionalità per una serie di ragioni. Ed, infatti, la libertà sindacale riconosciuta dal primo comma dell’art. 39 Cost. non tollera che il legislatore imponga come successiva l’applicazione di un determinato contratto collettivo, sia pure ai fini dell’individuazione del trattamento minimo inderogabile, escludendo ogni diversa determinazione dell’autonomia collettiva.
A ciò si aggiunga che il settore dei porti è fortemente sindacalizzato e, pertanto, il nuovo testo del tredicesimo comma dell’art. 17 finisce per
85 Cfr. X. Xxxxxxx, La nuova disciplina del lavoro portuale, op. cit., p. 365.
86 X. Xxxxxx, Modifiche ed integrazioni all’art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di fornitura di lavoro portuale temporaneo, op. cit., 239.
87 X. Xxxxxx, Modifiche ed integrazioni all’art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di fornitura di lavoro portuale temporaneo op. cit., 239.
dare preferenza a un contratto collettivo rispetto ad altri in aperta violazione dei principi della libertà sindacale.
Preferenza, oltretutto, irrazionale perché assume senza alcuna ragione che tra i vari trattamenti previsti dai diversi contratti collettivi stipulati con riferimento al lavoro nei porti soltanto quello fissato dal “contratto collettivo unico dei porti” sarebbe congruo, mentre tutti gli altri non sarebbero adeguati88.
88 X. Xxxxxx, Modifiche ed integrazioni all’art. 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di fornitura di lavoro portuale temporaneo p. cit., 240.
CAPITOLO IV
IL RINVIO ALLA FONTE REGOLAMENTARE DELLE AUTORITA’ PORTUALI (O AUTORITA’ MARITTIME)
Sommario: 1. L’art. 19 e il rinvio alla fonte regolamentare da parte dell’autorità portuale, o laddove non istituita, dell’autorità marittima. 2. I criteri determinati dall’autorità portuale
o marittima per l’applicazione delle tariffe per le prestazioni di lavoro temporaneo. 3. L’autorità portuale o marittima e regolamentazione quantitativa e qualitativa degli organici dell’impresa o dell’agenzia fornitrice di manodopera temporanea in rapporto alle effettive esigenze delle attività svolte in porto. 4. La predisposizione da parte dell’autorità portuale
o marittima di piani e di programmi formazione professionale sia ai fini dell’accesso alle attività portuali, sia ai fini di aggiornamento e della riqualificazione dei lavoratori. Il “Passaporto di competenze” predisposto dall’Autorità portuale di Livorno. 5. Il rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità portuale (o marittima). 6. Le autorità portuali e marittime e la determinazione dei criteri per la salvaguardia della sicurezza sul lavoro. 7. L’avviamento al lavoro portuale temporaneo. La “Rubrica di chiamata giornaliera”. 7.1. Le richieste di personale da parte delle imprese utilizzatrici, il “Piano di chiamata e di avviamento al lavoro” e il “Ruolo dei lavoratori portuali temporanei”. 7.2. Forma e contenuto del contratto di fornitura di lavoro temporaneo. 7.3. La sostituzione dei lavoratori portuali temporanei. 8. L’ipotesi di mancato pagamento da parte dell’impresa utilizzatrice e la richiesta di sospensione all’autorità portuale della autorizzazione. 9. Doveri dei lavoratori portuali temporanei. 10. I lavoratori portuali temporanei interinari.
1. L’art. 17 e il rinvio alla fonte regolamentare da parte dell’autorità portuale, o laddove non istituita, dell’autorità
marittima
Le autorità portuali o, laddove non costituite, le autorità marittime, adottano specifici regolamenti volti a regolamentare le attività effettuate dalla imprese e agenzie fornitrici di lavoro portuale temporaneo, anche al fine di verificare l’osservanza dell’obbligo di parità di trattamento nei confronti delle imprese utilizzatrici, e della capacità di prestare le attività secondo i livelli quantitativi e qualitativi adeguati.
Detti regolamenti devono prevedere tra l’altro: a) i criteri per l’applicazione delle tariffe da approvare dall’autorità portuale o, laddove non istituita, dall’autorità marittima; b) le disposizioni per la determinazione quantitativa e qualitativa degli organici dell’impresa o agenzia fornitrici in rapporto alle effettive esigenze delle attività svolte; c) la predisposizione di piani e di programmi di formazione professionale sia ai fini dell’accesso alle
attività portuali, sia ai fini dell’aggiornamento e della riqualificazione dei lavoratori; d) le procedure di verifica e di controllo da parte delle autorità portuali o, laddove non istituite, delle autorità marittime circa l’osservanza delle regolamentazioni adottate; e) i criteri per la salvaguardia della sicurezza sul lavoro (art. 17, comma 10).
La violazione delle disposizioni tariffarie, previste dai regolamenti citati viene punita con una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 17, comma 12).
Vogliamo qui analizzare i regolamenti delle varie autorità portale e marittime, dai quali è emersa una disciplina omogenea, rispettosa della casistica di rinvio operata dalla legge n. 84 del 1994 e dei principi in essa sottesi.
Una descrizione, seppur sommaria, della “disciplina regolamentare” delle autorità amministrative appare utile per capire meglio le dinamiche della fornitura di manodopera portuale temporanea e del controllo esercitato dal soggetto pubblico, anche per gli interessanti spunti individuati volti a completare i silenzi normativi della legge speciale.
2. I criteri determinati dall’autorità portuale o marittima per l’applicazione delle tariffe per le prestazioni di lavoro temporaneo
Per ogni avviamento al lavoro di un lavoratore temporaneo, l’impresa utilizzatrice è tenuta a corrispondere all’impresa fornitrice una tariffa, tenuto conto dell’offerta economica presentata in sede di gara da parte dell’aggiudicatario del servizio e di quanto riportato nel regolamento emesso dall’autorità portuale o, laddove non costituita, dall’autorità marittima, ai sensi dell’art. 17, comma 10 della legge n. 84 del 199489.
L’autorità portuale, a seguito della delibera del comitato portuale, sentita la commissione consultiva, con apposita ordinanza, approva e rende esecutive le tariffe per la fornitura di lavoro temporaneo. Laddove non costituita l’autorità portuale, le tariffe sono approvate con provvedimento
89 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , regolamento per la fornitura di lavoro temporaneo, art. 7.
dell’autorità marittima sentita la commissione consultiva e rese pubbliche mediante affissione all’albo della capitaneria di porto90.
Le tariffe devono essere omnicomprensive e sono costituite dai seguenti elementi: retribuzioni dirette ed indirette rispetto al minimo inderogabile di cui al c.c.n.l. lavoratori dei porti, la copertura assicurativa nel caso di danni provocati all’interno dei terminals, la flessibilità del lavoro, la professionalità delle risorse che vengono avviate ed ogni altra voce di costo inerente l’operatività.
La tariffa deve inoltre garantire ai lavoratori il pagamento di quanto ad essi spettante in funzione dei contratti applicabili, nonché garantire la copertura dei costi per la formazione e la sicurezza, le spese generali ed amministrative, nonché il margine di profitto dell’impresa fornitrice.
Le tariffe vengono verificate periodicamente ed eventualmente modificate dal comitato portuale, sentita la commissione consultiva91, oppure dal comandante del porto sentita la commissione consultiva.
3. L’autorità portuale o marittima e la regolamentazione quantitativa e qualitativa degli organici dell’impresa o dell’agenzia
fornitrice di manodopera temporanea in rapporto alle effettive esigenze delle attività svolte nel porto
L’organico dell’impresa autorizzata deve essere tale per numero e qualifica dei lavoratori, da soddisfare le richieste di avviamento dei lavoratori da parte delle imprese portuali, ferma restando la possibilità per la stessa impresa autorizzata di fare ricorso al lavoro temporaneo fornito dai soggetti di cui all’art. 17, comma 6 della legge n. 84 del 1994. L’organico dell’impresa autorizzata viene determinato da parte dell’autorità portuale o marittima in base alle effettive esigenze delle attività svolte nel porto.
90 xxx.xxxxx.xxxxxxxx.xx , regolamento amministrativo per la fornitura di lavoro portuale temporaneo, art. 19.
91 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , regolamento per la fornitura di lavoro portuale temporaneo nel porto di Genova, art. 13.
Durante la validità dell’autorizzazione, ogni variazione dell’organico potrà essere disposta con delibera del comitato portuale (o con provvedimento del comandante del porto), sentita la commissione consultiva locale92. Taluni regolamenti prevedono la possibilità dell’impresa fornitrice autorizzata di provvedere direttamente all’aumento o alla diminuzione del proprio personale nel limite di una percentuale indicata93.
Qualora nel corso di validità dell’autorizzazione il numero dei lavoratori dell’impresa fornitrice dovesse ridursi per qualsiasi ragione, l’impresa autorizzata non potrà dare luogo ad una copertura automatica della vacanza, ma potrà reintegrare la stessa solo previa autorizzazione dell’autorità portuale.
In caso di aumento e/o di reintegro del personale l’impresa fornitrice deve dare la preferenza di assunzione ai soci e dipendenti dell’impresa trasformata ex art. 21, comma 1, lett. b) della legge n. 84 del 1994, che risultino in esubero94.
L’impresa fornitrice adotta modelli organizzativi e di avviamento al lavoro tali da garantire la massima flessibilità di impiego dei lavoratori e di evitare, o quantomeno ridurre al minimo, le giornate di mancato avviamento95.
4. La predisposizione da parte dell’autorità portuale o marittima di piani e di programmi di formazione professionale sia ai fini
dell’accesso alle attività portuali, sia ai fini dell’aggiornamento e della riqualificazione dei lavoratori. Il “Passaporto di competenze” predisposto dall’Autorità portuale di Livorno.
L’impresa fornitrice è tenuta ad organizzare corsi di preparazione ed aggiornamento professionale per i lavoratori temporanei sia ai fini dell’accesso alle attività portuali, sia ai fini della riqualificazione dei
92 xxx.xxxxx.xxxxxxx.xx, regolamento per la fornitura di lavoro portuale temporaneo, art. 2.
93 xxx.xxxxx.xxxxxxx.xx, regolamento per l fornitura di lavoro temporaneo, art. 2.
94 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx, reg. cit., art. 4.
95 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx, reg. cit., art. 9.
lavoratori, con particolare riferimento ad esigenze di formazione in materia di sicurezza d igiene del lavoro. Attingendo da un apposito fondo inserito nel bilancio.
Interessante è la soluzione adottata dall’Autorità portuale di Livorno che, per garantire gli standard qualitativi, sia l’adeguatezza professionale rispetto all’organizzazione del lavoro, predispone un sistema per l’accreditamento delle competenze acquisite attraverso percorsi formativi stabiliti certificando il profilo professionale del lavoratore. Ciascun lavoratore sarà dotato pertanto di un “passaporto di competenze” consistente in un documento in cui vengono descritte le abilità, conoscenze e competenze possedute dal lavoratore; il documento, oltre a valorizzare le esperienze pregresse acquisite, consentirà di stabilire il ruolo e la posizione lavorativa che il lavoratore potrà assumere96.
5. Il rilascio dell’autorizzazione da parte dell’autorità portuale (o marittima)
L’autorizzazione rilasciata dalle autorità portuali è a tempo determinato, con possibilità di proroga, per una sola volta, ad istanza del soggetto interessato.
L’individuazione del soggetto da autorizzare alla fornitura di lavoro portuale temporaneo avviene mediante una procedura concorsuale promossa dall’autorità portuale (o marittima), alla quale deve essere garantita la partecipazione di imprese italiane e comunitarie, il relativo bando di gara è sottoposto all’approvazione del comitato portuale, sentita la commissione consultiva.
Le risultanze del procedimento di selezione sono sottoposte, su proposta del presidente, sentita la commissione consultiva, a delibera del comitato portuale.
96 xxx.xxxxx.xxxxxxx.xx , reg. cit., art. 10.
Il soggetto autorizzato non può svolgere attività imprenditoriali diverse da quelle indicate in autorizzazione, ai sensi dell’art. 17, comma 2, legge n. 84 del 1994 e dell’art. 4, comma 3, D.M. n. 132 del 200197.
6. Le autorità portuali e marittime e la determinazione dei criteri per la salvaguardia della sicurezza sul lavoro
La formazione e informazione sui rischi generici spetta all’impresa fornitrice di lavoro temporaneo, quella sui rischi specifici del lavoro da effettuare, spetta all’impresa utilizzatrice.
L’Autorità portuale, sulla base delle esigenze operative delle imprese richiedenti, determina gli standard professionali che l’impresa fornitrice dovrà garantire.
L’impresa utilizzatrice osserva, altresì, nei confronti del lavoratore tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi.
L’avviamento dei lavoratori temporanei non può essere disposto dall’impresa fornitrice se il lavoratore non è stato formato ed informato sui rischi generici del lavoro da effettuare.
L’impresa utilizzatrice non può impiegare lavoratori se non ha provveduto ad informarli sui rischi specifici.
I principi sopra indicati dovranno essere espressamente dettagliati in un unico documento sottoscritto entrambe le parti, in base a quanto disposto dal d.lgs. n. 81 del 2008, da allegare al contratto di fornitura di lavoro portuale temporaneo98.
97 xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx, reg. cit., artt. 4-8.
98 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , reg. cit., art. 18; xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , reg. cit., art. 11.
7. L’avviamento al lavoro portuale temporaneo. La “Rubrica di chiamata giornaliera”
Le imprese fornitrici devono assicurare con regolarità ed efficienza la fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo alle imprese richiedenti. Nell’avviamento dei lavoratori portuali temporanei si devono seguire criteri generali di imparzialità e trasparenza, in grado di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento nella fornitura di lavoro portuale temporaneo alle imprese utilizzatrici.
Il alcuni porti è stata prevista la tenuta, da parte delle imprese fornitrici, di una “rubrica di chiamata giornaliera” nella quale devono essere riportate, tra l’altro, le imprese utilizzatrici, il tipo di chiamata, le giornate complessive di avviamento nel mese e dall’inizio dell’anno per ogni lavoratore, e tutte le informazioni necessarie per la verifica da parte dell’autorità portuale della regolarità delle chiamate e degli avviamenti al lavoro.
L’avviamento al lavoro dei lavoratori temporanei non può realizzarsi se il lavoratore non è stato informato ed informato dall’impresa fornitrice sui rischi generici della prestazione da effettuare; l’impresa utilizzatrice non può utilizzare i lavoratori temporanei se non ha provveduto ad formarli ed a informarli dei rischi specifici.
7.1. Le richieste di personale da parte delle imprese utilizzatrici, il “Piano di chiamata e di avviamento al lavoro” e il “Ruolo dei
lavoratori portuali temporanei”
Le imprese fornitrici avviano i lavoratori temporanei alle imprese utilizzatrici in base alle richieste di queste ultime.
La richiesta è numerica e indica le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento, il luogo e l’orario delle prestazioni lavorative, la data, l’inizio e il termine del contratto per le prestazioni di lavoro temporaneo.
Alcune autorità hanno previsto la predisposizione da parte della impresa fornitrice di “Piano di chiamata e di avviamento al lavoro” che disciplina in dettaglio l’avviamento al lavoro, la modalità della chiamata e l’organizzazione del lavoro99.
I lavoratori devono essere iscritti in appositi “Ruoli dei lavoratori portuali temporanei” tenuti dalla Autorità portuali (o marittime) che devono essere tenuti aggiornati da parte delle imprese fornitrici e devono indicare per ciascun lavoratore, l’impresa utilizzatrice, il tipo di chiamata e gli avviamenti dall’inizio dell’anno.
I lavoratori temporanei svolgono la propria attività sotto la direzione e il controllo dell’impresa utilizzatrice.
Le richieste di personale sono numeriche e possono riferirsi a uno o più giorni, in base all’orario ordinario o al turno contrattualmente previsto.
7.2. Forma e contenuto del contratto di fornitura di lavoro temporaneo
Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo è stipulato per iscritto e deve contenere almeno i seguenti elementi: il numero dei lavoratori richiesti; le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori; il luogo, l’orario e la tariffa delle prestazioni lavorative; l’inizio e la durata del contratto; l’assunzione dell’obbligo da parte dell’impresa utilizzatrice, in caso di inadempimento dell’impresa fornitrice, del pagamento diretto a favore del lavoratore del trattamento economico, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa presso l’impresa fornitrice; l’inizio e la durata del contratto.
7.3. La sostituzione dei lavoratori portuali temporanei
Tra i casi individuati dalle Autorità portuali (o amministrative) al fine di consentire all’impresa utilizzatrice di chiedere la sostituzione del
99 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , reg. cit., art. 10.
lavoratore temporaneo, ricordiamo: l’inosservanza delle norme di legge e regolamenti relative alla sicurezza del lavoro; l’inosservanza delle indicazioni dettate dalla impresa utilizzatrice relative al lavoro da svolgere; il mancato rispetto dell’orario di lavoro o l’incapacità manifesta a svolgere le mansioni assegnate.
La richiesta di sostituzione deve essere anche inviata all’autorità portuale per le opportune verifiche.
L’impresa fornitrice provvede a rimpiazzare il lavoratore.
Talune Autorità portuali hanno previsto la possibilità del lavoratore sostituito di richiedere alla impresa fornitrice la motivazione delle ragioni della sua sostituzione. L’impresa fornitrice, se ritiene fondata la richiesta del lavoratore, può chiedere all’autorità portuale di effettuare i necessari accertamenti. Qualora l’autorità portuale appuri che la richiesta di sostituzione non era giustificata, l’impresa fornitrice potrà richiedere all’autorità portuale di ingiungere alla impresa utilizzatrice di retribuire le giornate di lavoro al lavoratore sostituito.
Ai lavoratori portuali sostituiti legittimamente non spetta alcun compenso o retribuzione.
8. L’ipotesi di mancato pagamento da parte dell’impresa utilizzatrice e la richiesta di sospensione all’autorità portuale della
autorizzazione
Solitamente vengono stabiliti dei termini di pagamento da parte delle imprese utilizzatrici.
È contemplato in taluni regolamenti, che in caso di ingiustificato mancato pagamento, nei termini indicati dall’autorità portuale, l’impresa fornitrice si astiene da dare le prestazioni alle imprese utilizzatrici inadempienti e ha facoltà di richiedere all’autorità portuale la sospensione dell’autorizzazione ex art. 16 e 18 nei loro confronti.
9. Doveri dei lavoratori portuali temporanei
Il lavoratore temporaneo portuale deve svolgere la propria attività secondo le istruzioni impartite dall’impresa utilizzatrice relativamente alla esecuzione e la disciplina del rapporto di lavoro.
I lavoratori portuali temporanei hanno, pertanto, gli stessi obblighi, così come previsti dal contratto collettivo nazionale unico dei porti, dei lavoratori dipendenti dalle imprese presso le quali sono avviati in relazione all’organizzazione del lavoro, agli orari, alle disposizioni di servizio, alle mansioni affidate nell’ambito della qualifica assegnata.
Ai lavoratori portuali temporanei si applicano le sanzioni previste dal
c.c.n.l. unico dei porti che saranno comminate dalla imprese fornitrici.
10. I lavoratori portuali temporanei interinali
L’impresa fornitrice qualora non abbia personale sufficiente a far fronte alla fornitura di lavoro temporaneo alle imprese autorizzate per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali, può rivolgersi, in qualità di impresa utilizzatrice, ai soggetti abilitati alla fornitura di lavoro temporaneo previsti all’art. 2 della legge n. 196 del 1997.
In ragione delle esigenze delle imprese del porto di disporre di lavoratori polivalenti in grado di eseguire le mansioni loro affidate in qualità e con efficienza, oltrechè in relazione alle particolari problematiche di sicurezza dell’ambiente portuale, i lavoratori portuali interinali devono avere frequentato attività formative predisposte secondo standard definiti dall’autorità portuale d’intesa con l’impresa fornitrice.
L’autorità portuale verifica il risultato dell’attività formativa e predispone appositi elenchi, nei quali i lavoratori portuali temporanei interinali sono iscritti solo successivamente all’accertamento positivo della “formazione di ingresso”.
L’impresa fornitrice può soltanto utilizzare lavoratori portuali temporanei interinali iscritti nei suddetti elenchi.
CAPITOLO V
IL RAPPORTO TRA LA DISCIPLINA GENERALE DELLA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO (D.LGS. N. 276/2003) E QUELLA SPECIALE DEL LAVORO PORTUALE TEMPORANEO (L. 84/1994)
Sommario: 1. L’assenza di una diretta e generale efficacia regolativa del d.lgs. 276/2003 sulla fornitura di lavoro portuale temporaneo. 2. La parziale applicazione della disciplina generale della somministrazione di lavoro nell’ambito portuale. 2.1. I lavoratori portuali temporanei interinali. 2.2. Il rinvio alla contrattazione collettiva. 2.2.1. La contrattazione collettiva e i casi in cui è possibile ricorrere al lavoro portuale temporaneo. 2.2.2. La contrattazione collettiva e la percentuale massima dei lavoratori temporanei da impiegare.
2.2.3. La contrattazione collettiva e la determinazione del trattamento retributivo durante la missione. 2.2.4. Le iniziative da parte di imprese o agenzie fornitrici rivolte al soddisfacimento delle esigenze di formazione dei prestatori di lavoro temporaneo.
1. L’assenza di una diretta e generale efficacia regolativa del d.lgs.
n. 276/2003 sulla fornitura di lavoro portuale temporaneo
La disciplina della fornitura di manodopera, prima nota come lavoro temporaneo o interinale, disciplinato dagli artt. 1-11 della legge 24 giugno 1997 n. 196, è stata riformulata dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 che, in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1, lettera m) della legge 14 febbraio 2003, n. 30, ha introdotto il contratto di somministrazione di lavoro (artt. 20-28). Detto decreto, ha abrogato la legge n. 1369 del 1960 sul divieto di interposizione di manodopera e gli articoli da 1 a 11 della legge n. 196 del 1997 sul lavoro temporaneo (art. 85, lettere c ed f)100.
100 Per una approfondita analisi della somministrazione di manodopera si veda: M.T. Xxxxxxx, La fornitura di lavoro altrui, in Il Codice Civile Commentario, diretta da X. Xxxxxxxxxxx, sub art. 2127, Milano 2000;
X. Xxxxxxxxxxx, Somministrazione di manodopera, in M.T. Carinci, X. Xxxxxx (a cura di), Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d’azienda, Milano, 2004; X. Xxx Xxxxx, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004; X. Xxxxxx, La somministrazione di lavoro e l’appalto di servizi, in Montefuschi, Liso e Pedrezzoli (a cura di), il nuovo mercato del lavoro D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276; X. Xxxxxxxx, Qualche iddea ricostruttiva (e molti interrogativi) intorno alla disciplina giuridica del lavoro temporaneo, in XXXX, 0000; X. Xxxxxxxxxx, Lavoro temporaneo e somministrazione di lavoro, Torino, 1999; P.F. Xxxxxxxxx, La somministrazione di lavoro, in X. Xxxxxxx (a cura di), Commentario al Codice del lavoro, Milano, 2008.
Già subito dopo le censure comunitarie vi è stato chi aveva suggerito di adattare la disciplina generale del lavoro temporaneo al settore portuale101. Adattamento certo non automatico, in considerazione del fatto che la legge generale non poteva derogare ed escludere la legge speciale n. 84 del 1994.
Del resto la disciplina generale sulla somministrazione contiene delle indicazioni che sono d’ostacolo alla sua applicazione all’interno dei porti.
Il legislatore nel porre le basi per la disciplina della fornitura del lavoro temporaneo portuale non ha utilizzato formulazioni che permettano di attribuire diretta efficacia regolativa alla legge n. 196 del 1997, poi, del d.lgs. n. 276 del 2003 nel settore portuale, mentre, nella diversa ipotesi a seguito dell’emanazione della normativa sulla sicurezza del lavoro portuale di cui al d.lgs. n. 272 del 1999 si è dichiaratamente sancita l’applicazione della legge n. 626/1994, per quanto non specificamente previsto o diversamente regolato dalle disposizioni normative speciali del d.lgs. n. 272/1999.
Tutto ciò implica la necessità dell’analisi delle norme della legge sulla somministrazione di lavoro, cui la legge di riforma del lavoro portuale fa rinvio.
Analizzando le caratteristiche ed i requisiti prescritti per i soggetti che intendono esercitare l’attività di fornitura di manodopera temporanea la disciplina generale sulla somministrazione di manodopera presenta una maggiore analiticità e rigore delle disposizioni relative all’identificazione dell’impresa autorizzata.
Basti pensare al requisito di operatività sull’intero territorio nazionale o, in ogni modo, in un ambito territoriale esteso ad almeno quattro regioni, per l’impresa autorizzata alla somministrazione di lavoro (art. 20, d.lgs. n. 276 del 2003), mentre, nella realtà portuale operano imprese o agenzie di minori dimensioni, le quali, tuttavia, svolgono un ruolo decisivo per il funzionamento delle attività del porto, che, nell’ambito di applicazione della
101 X. Xxxxxx, La riforma, cit. 201
disciplina generale sulla somministrazione rimarrebbero escluse dalla possibilità di fornire la manodopera in via temporanea.
Oppure, l’art. 20 del d.lgs. n. 276/2003 richiede all’impresa fornitrice il possesso di ulteriori requisiti di carattere economico quali l’acquisizione di un capitale versato non inferiore a 600.000 euro ovvero la disponibilità di
600.000 euro tra capitale sociale versato e riserve indivisibili nel caso in cui l’agenzia sia costituita in forma cooperativa. Diversamente, nell’ambito portuale, nel testo dell’art. 17, novellato dall’art. 3 della legge n. 186/2000 si parla, senza altre precisazioni, di generiche “risorse proprie”.
Rispetto al d.lgs. n. 276/2003, che ha organizzato il modello della fornitura di lavoro temporaneo esclusivamente intorno all’agenzia autorizzata, limitatamente al campo portuale è individuato un sistema alternativo, che prevede la presenza dell’impresa (art. 17, comma 2) o, qualora non si realizzi l’ipotesi prevista dai primi tre commi dell’art. 17, la fornitura di lavoro temporaneo avviene in via subordinata tramite un’agenzia, promossa e soggetta al controllo della stessa autorità portuale o marittima.
Merita, altresì, di essere evidenziato il diverso ruolo di controllo e di vigilanza sulle attività dei soggetti abilitati alla fornitura di lavoro temporaneo nella disciplina generale della somministrazione di lavoro e in quella speciale portuale.
Nell’ambito della legge generale, la conservazione dell’autorizzazione, così come il mantenimento dell’iscrizione all’albo, sono subordinati alla permanenza dei requisiti ed al rispetto degli adempimenti previsti dal d.lgs. n. 276/2003. Compete al ministro del lavoro e della previdenza sociale la funzione di controllo e di vigilanza sull’attività dei soggetti abilitati alla somministrazione di lavoro, nonché la verifica della permanenza dei requisiti di cui all’art. 20 d.lgs. n. 276/2003. Il direttore generale per l’impiego è tenuto a sospendere, con provvedimento motivato e tempestivamente comunicato alla società interessata, l’autorizzazione, sia provvisoria, sia definitiva, all’esercizio dell’attività di somministrazione di lavoro. Ove la società non dimostri di avere adeguata capacità, il direttore
generale dovrà disporre la cancellazione dall’albo o la revoca definitiva dell’autorizzazione.
Nel lavoro portuale, merita di essere menzionato il ruolo svolto dall’autorità portuale o marittima, nell’organizzazione del lavoro temporaneo: essa non si limita ad autorizzare l’impresa o a promuovere l’istituzione dell’agenzia per la fornitura di manodopera, ma ne controlla l’operato, e ferme restando le competenze dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, ha il potere di sospendere l’efficacia dell’autorizzazione o revocarla nei casi più gravi di violazione degli obblighi nascenti dall’esercizio dell’autorità autorizzata. Se la violazione è commessa dall’agenzia si avrà la sostituzione dell’organo di gestione.
2. La parziale applicazione della disciplina generale della somministrazione di lavoro nell’ambito portuale
I commi 6, 7, 8 dell’art. 17, inseriscono la parziale indicazione della legge n. 196/1997, ora, del d.lgs. n. 276/2003, innestando un raccordo tra quest’ultima e la disciplina specifica della legge n. 84/1994 solo su alcuni aspetti, in considerazione del fatto che il lavoro nei porti subisce oscillazioni ricorrenti e molto accentuate, che necessitano di una normativa specifica.
2.1. I lavoratori portuali temporanei interinali
L’art. 17, comma 6 della legge n. 84 del 1994 prevede che nell’ipotesi in cui l’impresa autorizzata o l’agenzia non abbiano personale sufficiente per far fronte alle richieste di personale temporaneo, possono rivolgersi, quali imprese utilizzatrici, ai soggetti abilitati alla somministrazione di lavoro di cui all’art. 20, d.lgs. n. 276/2003102.
In questa ipotesi, lo schema negoziale che ricorre con l’Agenzia esterna all’ambito portuale è quello del contratto di somministrazione, mentre l’impresa o l’agenzia portuale assumono la veste di imprese
102 L’art. 17, c. 2, L. 84/1994, fa riferimento all’art. 2, L. 196/1997.
utilizzatrici, seppure sotto un diverso profilo formale, poiché il diretto interesse all’utilizzazione della prestazione di lavoro è in capo ad un soggetto terzo.
Il legislatore pone in essere una sorta di duplice collegamento negoziale, con la conseguenza di alterare lo schema trilaterale, tipico del lavoro somministrato: impresa fornitrice, impresa utilizzatrice, lavoratore somministrato103.
L’impresa utilizzatrice sarà, in questo caso, il soggetto autorizzato alla fornitura di manodopera nel porto, ma nella legge non è specificata la posizione dell’impresa che realmente e concretamente utilizzerà la prestazione del lavoratore somministrato.
Probabilmente, nella ratio del legislatore c’è la volontà di far
svolgere nel porto, la fornitura di lavoro temporaneo attraverso la figura dell’impresa autorizzata dall’autorità portuale o marittima, in considerazione della fluttuazione del volume dei traffici marittimi, nonché esigenze di buon funzionamento degli scali portuali. Tal ragione può acquistare rilievo in considerazione del fatto che si è di fronte ad un mercato in cui sovente, la domanda e l’offerta di lavoro, non sempre programmabile, ma quasi sempre selettiva, s’incentra su prestatori specializzati e dotati di specifici requisiti attitudinali, di modo che è necessario ricorrere ad una mediazione più flessibile ed affidabile, capace di fornire personale preselezionato ed eventualmente già formato.
A ben vedere se l’impresa autorizzata alla fornitura del lavoro temporaneo all’interno del porto, o l’agenzia, si limitassero a reclutare manodopera in favore dell’impresa, che realmente utilizzerà la prestazione, senza tuttavia assumere su di esse almeno una minima porzione di poteri, degli obblighi e delle responsabilità, che sono propri del datore di lavoro, si sarà in presenza di un’ipotesi di pura e semplice intermediazione le cui
103 Sulla relazione triangolare tipica del lavoro interinale, costituita dal contratto commerciale di fornitura di lavoro temporaneo,dal contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, dal rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore, vedi tra i numerosi contributi dottrinali: X. Xxxxxxxx, I rapporti di lavoro atipici dall’accordo tripartito del 23 luglio 1993 alla legge n. 196/1997, 1998, p. 6; M.T. Carinci, La fornitura di lavoro altrui. Interposizione, distacco, lavoro temporaneo, lavoro negli appalti. Art. 2127 c.c., 2000, op. cit., p. 333 ss.; X. Xxxxx, Il contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, in Liso-Carabelli, Il lavoro temporaneo, Milano, 1999, 97 ss..
conseguenze sarebbero da valutare alla luce della evoluzione normativa in materia104.
Sono state abbozzate alcune soluzioni sulla configurazione giuridica della relazione che intercorre tra le due imprese portuali, una (fornitrice) definita utilizzatrice dal legislatore, l’altra cui favore è effettivamente prestata l’attività lavorativa.
Una prima ipotesi parte dalla considerazione che l’impresa fornitrice- utilizzatrice mette a disposizione di un terzo soggetto, anch’esso qualificato come impresa utilizzatrice, in quanto collegata alla prima in base ad un contratto di fornitura di manodopera, i lavoratori, che essa ha preso “in affitto”, non ai fini di ricevere una prestazione di lavoro, ma per inviarli alla seconda, che li utilizzerà secondo le proprie esigenze, quasi si trattasse di una somministrazione di cose o di un “noleggio” di lavoratori105. Escludiamo che possano applicarsi al caso in esame schemi negoziali relativi alla prestazione di cose o che si possa parlare di subcontratto, vietato in base alla previsione dell’art. 1, comma 1, della legge n. 1369/1960. Infatti, il subcontratto riproduce lo stesso tipo di operazione economica del contratto base, ma la parte assume col terzo il ruolo inverso a quello che egli ha in tale contratto106. La figura che in astratto potrebbe essere comparabile alla situazione in esame è quella del negozio traslativo, artt. 1260 e ss. cod. civ., mediante il quale è trasferito ad un terzo un diritto di credito.
In questo caso l’oggetto della cessione107, nei confronti dell’impresa portuale utilizzatrice finale, è il diritto alla prestazione di lavoro di un soggetto con cui non intercorre un contratto di lavoro e il creditore (cessionario) diventa titolare del credito di lavoro e del potere direttivo. Esiste, infatti, con la sola impresa fornitrice il contratto di prestazione di
104 X. Xxxxx, Il controverso rapporto fra principi comunitari della concorrenza e normative nazionali del lavoro. Il caso Job Centre, in Dir. rel. ind., n. 2, 1998, 145.
105 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, Contratto di lavoro subordinato altrui, in Riv. dir. civ., 1961, 504, il quale autore, nel parlare del divieto di interposizione, seppure prima della introduzione della legge n. 1369&1960, parla del divieto di noleggio della manodopera altrui.
106 Xxxx X. Xxxxxx, Diritto civile 3, il contratto, Milano, 1984, 691 e ss.; X. Xxxxxxxx, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1996 711 e ss; X. Xxxxxx, Le modificazioni del rapporto di lavoro; le modificazioni soggettiva, Milano, 1972, 114 e 120.
107 Sull’incompatibilità di tale schema negoziale nei confronti dei crediti che coinvolgono la persona del lavoratore cfr. X. Xxxxxxxx, Rapporti interpositori, op. cit., 104; M. Grandi, Modificazioni aziendali nel rapporto di lavoro, in Enc. giur. Trecc., XX, Roma, 1990, 5.
lavoro temporaneo, che se si riconosce come avente ad oggetto la disponibilità del lavoratore, non richiede il consenso del prestatore-debitore ceduto per la sostituzione soggettiva del datore di lavoro.
Una soluzione più corretta sotto il profilo della coincidenza dei vari elementi, potrebbe apparire il richiamo al contratto in favore di terzo dell’art. 1411 cod. civ., comporta l’acquisto automatico da parte del terzo di un diritto nei confronti del promettente per effetto della stipulazione. Nella fattispecie il terzo impresa portuale acquisterebbe un diritto di credito nei confronti del promettente lavoratore temporaneo, obbligato a prestare il proprio lavoro a favore del terzo, che è un soggetto diverso dal datore di lavoro effettivo, il quale ha stipulato il negozio. Il contratto a favore di terzo richiederebbe il consenso da parte del lavoratore. Questa scissione è tipica del contratto di fornitura di lavoro intermittente e del contratto di prestazione di lavoro temporaneo e sostanzia un’ipotesi di utilizzazione di lavoro subordinato che entro lo schema dell’art. 17, legge n. 84 del 1994 è da considerarsi lecito108.
Il dettato dell’art. 17, comma 6, richiama, forse con più immediatezza la figura del distacco o comando del lavoratore presso un’azienda distinta rispetto al datore di lavoro originario.
2.2. Il rinvio alla contrattazione collettiva
In base al dettato dell’art. 17, comma 7, lett. a), il legislatore devolve alle parti sociali il compito di individuare: a) i casi in cui può essere concluso il contratto di fornitura di lavoro temporaneo ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a) della legge n. 196 del 1997; le qualifiche professionali alle quali si applica il divieto di cui all’art. 1, comma 4, lett. a) della legge n. 196/1997; la percentuale massima dei prestatori di lavoro temporaneo in rapporto ai lavori occupati nell’impresa utilizzatrice, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 8 della legge n. 196/1997; i casi per i quali può essere prevista una proroga dei contratti di lavoro a tempo determinato ai
000 Xxx. X. Xxxxxx Xxxxx, Xx diritto del lavoro nei porti, op. cit., p. 143.
sensi dell’art. 3, comma 4, della legge n. 196/1997; le modalità di retribuzione dei trattamenti aziendali previsti dall’art. 4, comma 2, della legge n. 197 del 1997109.
2.2.1. La contrattazione collettiva e i casi in cui è possibile ricorrere al lavoro portuale temporaneo
La legittimazione alla stipulazione del contratto per l’utilizzazione di prestazioni di lavoro portuale temporaneo deriva in ogni caso dalla legge, spetta, invece, alla contrattazione collettiva specificare i casi in cui è possibile ricorrere a questo particolare lavoro.
Mentre, la legge n. 196 del 1997 affidava ai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, individuare le situazioni, oltre le ipotesi legali, in cui può essere concluso il contratto di fornitura di lavoro temporaneo, nella legge sul lavoro portuale i soggetti collettivi richiamati sono le organizzazioni sindacali dei lavoratori, maggiormente rappresentative a livello nazionale, le rappresentanze delle imprese, delle utenze portuali e delle imprese di cui all’art. 21, comma 1, e l’associazione fra le autorità portuali, impegnate anche nella stipulazione del contratto collettivo uniforme per tutti i lavoratori portuali.
109 La legge n. 196 del 1997 prevede: all’art. 1, comma 2, lett. a) che il contratto di fornitura di lavoro temporaneo può essere concluso nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell'impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; all’ art. 1, comma 4, lett. a), che è vietata la fornitura di lavoro temporaneo per le mansioni individuate dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, con particolare riguardo alle mansioni il cui svolgimento può presentare maggiore pericolo per la sicurezza del prestatore di lavoro o di soggetti terzi; all’art. 1, comma 8, che i prestatori di lavoro temporaneo non possono superare la percentuale dei lavoratori, occupati dall'impresa utilizzatrice in forza di contratto a tempo indeterminato, stabilita dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell'impresa stessa, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; all’art. 3, comma 4, che il periodo di assegnazione inizialmente stabilito può essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria. Il lavoratore ha diritto di prestare l'opera lavorativa per l'intero periodo di assegnazione, salvo il caso di mancato superamento della prova o della sopravvenienza di una giusta causa di recesso; all’art. 4, comma 2, che al prestatore di lavoro temporaneo è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice. I contratti collettivi delle imprese utilizzatrici stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all'andamento economico dell'impresa.
L’estesa indicazione dei soggetti collettivi amplia l’ambito di efficacia dell’accordo collettivo in un campo, come quello portuale, caratterizzato da una notevole frammentazione, intesa nel senso della pluralità, della disciplina del lavoro connessa alla differente origine ed eterogenea derivazione delle imprese portuali.
Il mancato richiamo da parte dell’art. 17, comma 7, alle ammissioni legali della fornitura di lavoro temporaneo, disposte dall’art. 1, comma 2, lett. b) e c) della legge n. 196/1997110, deve ascriversi alla storia stessa del lavoro portuale. L’ammissione del contratto di fornitura del lavoro temporaneo per insufficienza del normale assetto produttivo sembra pleonastica, in quanto la sua legittimazione sociale, insieme al riconoscimento della riserva di lavoro alle compagnie portuali ad opera del codice della navigazione, aveva già legittimato questa figura contrattuale all’interno dei vari porti nazionali ed evitato i sospetti di illegale sfruttamento dei prestatori di lavoro, ricorrenti negli altri contesti produttivi111.
La fornitura di manodopera può quindi riguardare l’esecuzione di un’opera, di un servizio o di un appalto a durata definita. L’utilizzo del lavoro temporaneo può essere ammesso per esaudire la richiesta di professionalità e specializzazioni diverse da quelle usualmente impiegate o eccezionali o carenti sul mercato del lavoro locale.
L’esplicito richiamo alla lett. a), comma 2, dell’art. 1 della legge n. 196/1997, lascia aperto lo spazio ad un intervento delle parti sociali nella decisione delle ipotesi, in relazione alle specifiche particolarità collegate alle operazioni portuali.
Il richiamo alla sola lett. a), del comma 4 dell’art. 1, lascia aperto lo spazio per un ampio intervento delle parti sociali nella decisione delle ipotesi permesse, in relazione alle specifiche particolarità delle attività
110 Rispettivamente, nei casi di temporanea utilizzazione in qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali; nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4.
111 Sulla diffusione della fornitura e della gesione di manodopera sotto le spoglie dell’appalto di servizi, prima dell’emanazione della legge n. 196/1997, vedi X. Xxxxxx, Il lavoro interinale e gli altri varchi nel “muro” del divieto di interposizione, in Gior. dir. lav. rel. Ind., n. 75, 1997, 506 e ss.
collegate alle operazioni portuali e, nello stesso tempo, evita che molte imprese portuali siano escluse dal ricorso alla fornitura di manodopera temporanea112.
Fatte queste debite premesse, i casi individuati dal c.c.n.l. dei lavoratori nei porti sono: “per sostituzione; esecuzione di un’opera, di un servizio o di un appalto definiti o predeterminati nel tempo che non possono essere attuati ricorrendo unicamente alle professionalità esistenti aziendalmente; per l’esecuzione di particolari servizi o commesse che, per la loro specificità, richiedono l’impegno di professionalità e specializzazioni diverse da quelle impiegate o che presentino carattere eccezionale o che siano carenti sul mercato del lavoro locale; personale addetto all’adeguamento dei programmi informatici aziendali compreso consulenza ed assistenza informatica; per coprire posizioni di lavoro non ancora stabilizzate; per punte di intensa attività non fronteggiabili con ricorso ai normali assetti produttivi aziendali; per analisi di mercato, organizzazione di ferie/mostre ed attività connesse”.
2.2.2. La contrattazione collettiva e la percentuale massima dei lavoratori temporanei da impiegare
Sempre alla contrattazione collettiva spetta stabilire la percentuale massima dei lavoratori temporanei da affiancare ai prestatori di lavoro occupati stabilmente presso l’impresa utilizzatrice.
Nell’ambito della legge n. 196 del 1997 la determinazione della percentuale si applica alle ipotesi contrattuali di lavoro temporaneo e non a quelle legali, nei cui confronti il problema della limitazione quantitativa non
112 Nella lett. b), dell’art. 1, comma 4 della legge n. 196/1997 è vietata la fornitura di lavoro temporaneo per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; nelle lettere c e d, il divieto si estende alla fornitura per mansioni che abbiano riguardato lavoratori, soggetti di un licenziamento collettivo nell’arco dei precedenti dodici mesi o di lavoratori posti in cassa integrazione guadagni. Per quanto attiene le lett. e) e f), è vietata la fornitura di lavoro temporaneo a favore di imprese che non dimostrano alla Direzione provinciale del lavoro di aver effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni; per le lavorazioni che richiedono sorveglianza medica speciale e per lavori particolarmente pericolosi individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
si pone, in quanto il numero dei lavoratori è connesso alle caratteristiche delle ipotesi lavorative consentite dalla legge.
Il c.c.n.l. dei lavoratori dei porti, all’art. 64 prevede che, fuori dagli ambiti delle operazioni e dei servizi portuali, la somministrazione di lavoro temporaneo a tempo determinato “è ammessa nei limiti massimi del 10% di media trimestrale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, per il centro sud la percentuale è del 15%. In dette percentuali non sono computabili i contratti di somministrazione stipulati per sostituzione”.
Nel settore portuale ai fini dell’indicazione percentuale può essere senz’altro utile ricorrere anche alla contrattazione decentrata, più idonea a rispondere alle esigenze delle singole realtà portuali, tenuto conto in particolare delle diversificazioni d’attività, all’interno di una stessa impresa, che si riscontrano nei vari porti nazionali.
L’art. 64 del c.c.n.l. lavoratori dei porti prevede, appunto, che “a
livello aziendale potranno individuarsi d’intesa con le xx.xx. territoriali stipulanti il presente contratto ulteriori ipotesi e/o aumento delle percentuali”.
La legge n. 196 del 1997 non dispone nulla in merito alle conseguenze che possono derivare dal superamento delle percentuali massime stabilite dai contratti collettivi. Secondo alcuni autori, la violazione non potrebbe essere sanzionata in alcun modo. Del resto si presenta difficilmente applicabile la soluzione della nullità del contratto di lavoro temporaneo e la conversione – in sede giudiziale – dello stesso in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con riferimento all’individuazione di quei lavoratori eccedenti la percentuale nel caso di pluralità di prestatori temporanei assegnati all’impresa utilizzatrice113. Altri autori non escludono che il mancato rispetto del limite possa essere equiparato ad un’ipotesi di illegittima fornitura di lavoro temporaneo, con la conseguente sanzione prevista dalla legge n. 1369 del 1960.
000 X. Xxxxxxx, X. Xxxxx, Osservazioni in tema di lavoro temporaneo, in Occupazione e flessibilità, Commento a cura di Xxxxx, Napoli, p. 19.
2.2.3. La contrattazione collettiva e la determinazione del trattamento retributivo durante la missione
Durante il periodo di missione il lavoratore è retribuito dall’impresa o dall’agenzia portuale fornitrice, a loro volta rimborsate dall’impresa utilizzatrice ed il trattamento economico corrisposto non può essere inferiore a quello percepito dai dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice.
Questo disposto dell’art. 4, comma 2 della legge n. 196 del 1997 è espressamente richiamato da legislatore e trova immediata applicazione nei confronti del lavoratore temporaneo.
Fino alla novella del comma 15 dell’art. 17 della legge n. 84 del 1994, da parte della legge dell’art. 1, comma 89 della legge n. 247 del 2007, non era contemplato un obbligo in capo all’impresa autorizzata alla fornitura di maestranze portuali, a all’agenzia, di corrispondere un’indennità di disponibilità al lavoratore portuale assunto con contratto a tempo indeterminato, in quanto le giornate di mancato avviamento al lavoro erano retribuite, secondo le modalità stabilite dalle parti sociali, da un apposito fondo istituito presso l’Inps sulla base delle disposizioni contenute nell’art. 2, comma 28 della legge n. 662 del 1996. Ma sulla novella della legge n. 247 del 2007 dedicheremo un apposito paragrafo.
2.2.4 Le iniziative da parte delle imprese o agenzie fornitrici rivolte al soddisfacimento delle esigenze di formazione dei
prestatori di lavoro temporaneo
La peculiare caratterizzazione del lavoro portuale richiede la necessità di predisporre un sistema di formazione che coinvolga tutte le mansioni che presiedono il ciclo della produzione portuale, tenendo conto anche delle soluzioni adottate nei più avanzati contesti portuali europei ed internazionali.
Deve prevalere anche in questo campo il principio della formazione continua, strettamente collegato al contesto dinamico ed in continua evoluzione dello stabilimento portuale, in cui acquista sempre più rilievo la necessità sia di professionalità specialistiche, sia polifunzionali e la presenza, quindi, di risorse ampliamente fruibili.
E’ demandato all’impresa o all’agenzia portuale autorizzata alla fornitura di manodopera predisporre i piani formativi, poiché essa è considerata la sede più idonea per delineare gli indirizzi essenziali entro i quali devono attuarsi le iniziative formative e ad essa è lasciato il compito di decidere sull’uso di strumenti a propria disposizione e provvedere a reperire le necessarie risorse finanziarie ricorrendo, se del caso, al sistema dei contributi previsti nell’art. 5 della legge n. 196 del 1997114.
114 X. Xxxx, in AA.VV., Il lavoro temporaneo, in Gentili (a cura di), Padova, 1999, 239, per un esame delle disposizioni in tema di formazione professionale.
CAPITOLO VI
LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO PORTUALE
Sommario: 1. La somministrazione di lavoro portuale e il collegamento negoziale tra contratto di fornitura di lavoro portuale e contratto di lavoro. 2. La dissociazione tra datore di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione: il divieto generale di interposizione nel rapporto di lavoro e le deroghe della disciplina speciale del lavoro portuale e di quella della somministrazione di lavoro. 3. L’impresa (o agenzia) fornitrice di lavoro portuale temporaneo. 4. L’impresa utilizzatrice della prestazione somministrata. 5. I lavoratori portuali temporanei. 6. I lavoratori portuali temporanei interinali. 7. L’autorità portuale (o marittima): i soggetti pubblici preposti al controllo della fornitura di lavoro temporaneo. 8. Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo.
9. La fornitura di lavoro temporaneo nei principali scali europei. 10. Alcune considerazioni conclusive sulla peculiarità del lavoro portuale temporaneo.
1. La somministrazione di lavoro portuale e il collegamento negoziale tra contratto di fornitura di lavoro portuale e contratto
di lavoro
La somministrazione di lavoro portuale è uno strumento che consente alle imprese autorizzate allo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali di beneficiare di una prestazione lavorativa senza che ciò comporti l’assunzione di tutti gli oneri derivanti dall’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
La forza lavoro viene acquisita attraverso un contratto di tipo commerciale, avente oggetto la fornitura di lavoro portuale temporaneo, stipulato tra due imprenditori, denominati, somministratore o fornitore di lavoro, all’uopo autorizzato, ai sensi dell’art. 17, comma 2, legge n. 94 del 1994, dall’autorità portuale (o marittima) e l’utilizzatore. Il primo si interpone fra l’impresa ex artt. 16, 18 e 21, comma 1, lett. a), legge n. 84 del 1994, che effettivamente utilizza, per un tempo e per esigenze limitate, la prestazione, e il lavoratore che viene inviato in missione.
Attraverso la combinazione di due distinti rapporti contrattuali, funzionalmente collegati, ma ontologicamente distinti (quello intercorrente tra l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice e quello tra la fornitrice stessa e il lavoratore portuale temporaneo), entrano in relazione tre
soggetti: l’impresa (o agenzia) fornitrice di lavoro portuale: datore di lavoro da cui dipende il lavoratore portuale; il lavoratore portuale temporaneo: formalmente dipendente dell’impresa (o agenzia) fornitrice, messo a disposizione dell’impresa utilizzatrice; l’impresa utilizzatrice: che esercita il potere di direzione e di controllo sulla prestazione di lavoro portuale.
2. La dissociazione tra datore di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione: il divieto generale di interposizione nel rapporto di lavoro e le deroghe della disciplina speciale del lavoro portuale
e di quella generale della somministrazione di lavoro
La somministrazione di lavoro portuale è caratterizzata dall’utilizzazione del lavoro altrui, anche se, storicamente, uno dei principi cardine dell’ordinamento giuslavoristico, in generale, è stato quello della necessaria coincidenza tra titolare formale del contratto di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa, il tutto finalizzato ad impedire l’elusione delle tutele inderogabili del diritto del lavoro e la vanificazione dell’azione collettiva.
Infatti, la materia dei rapporti interpositori è stata per lungo tempo disciplinata dalla legge n. 1369 del 1960, ora abrogata dal d.lgs. n. 276 del 2003 che poneva in capo all’imprenditore il divieto di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore o dall’intermediario, qualunque sia la natura dell’opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. In particolare, era vietato all’imprenditore affidare ad intermediari, fossero questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguire a cottimo a prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari115.
115 Sul divieto generale di interposizione nel rapporto di lavoro, si veda: X. Xxxxxxx, Somministrazione di lavoro da parte di intermediari e appalto di servizi, in MGL, 1962, p. 277; X. Xxxxxxx, In tema di
In caso di violazione del precetto di cui alla legge n. 1369 de 1960, trovavano applicazione due sanzioni, una di tipo penale, l’altra di tipo civile. In particolare, i lavoratori coinvolti dovevano essere considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente aveva utilizzato le loro prestazioni (art. 1, comma 5, legge n. 1369 del 1960), mentre il datore di lavoro era soggetto a contravvenzione.
Ciò che la legge vietava è stata la mera somministrazione di manodopera. Restava sempre possibile per l’imprenditore affidare a terzi, mediante un contratto di appalto (1655 cod. civ.), il compimento di un opera o di un servizio anche all’interno del ciclo produttivo dell’impresa appaltante. Una cosa, infatti, è limitarsi a inviare presso un datore di lavoro forza-lavoro che opererà poi di fatto sotto le direttive e il controllo dell’utilizzatore delle prestazioni lavorative; altra cosa, invece, è realizzare un’opera o un servizio con assunzione di un tipico rischio di impresa e mediante gestione propria dell’appaltatore.
A chiarire la labile linea di confine tra mera somministrazione di manodopera e appalto genuino aveva cercato di provvedervi il legislatore con l’introduzione della seguente presunzione legale: “è considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o di subappalto, anche per esecuzione di opere e o servizi, ove l’appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante, quand’anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all’appaltante”. Di conseguenza, anche un appalto genuino poteva integrare la fattispecie vietata, nel
interposizione nelle prestazioni di lavoro, in Dir. Lav., 1961, II, p. 116; X. Xxxxxx, Somministrazione, comando, appalto. Le nuove forme di prestazione di lavoro a favore di terzo, in Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il d.lgs. n. 276/2003, Bari, 2004, p. 91; X. Xx Xxxx Xxxxxx, I processi di terziarizzazione intra moenia ovvero la fabbrica “multi societaria”, in Dir. merc. lav., 1999, p. 49; X. Xxx Xxxxx, La nuova disciplina degli appalti e della somministrazione di lavoro, in AA.VV., Come cambia il lavoro, Milano, 2004, p. 64; X. Xx Xxxxxx, Titolarità dei rapporti e regole di trasparenza, Milano, 1995; X. Xxxxxx, Il diritto del lavoro e i confini dell’impresa, in Dir. lav. rel. ind., 1999, p. 203; X. Xxxxxx, Il contratto di lavoro, Milano, p. 2000; X. Xxxxxxxxx, Il divieto di intermediazione e il lavoro interinale, Padova, 1997; D. Xxxxxxxxxx, Divieto di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego di manodopera negli appalti e nei servizi, in Xxx. xxxx. xxx., 0000, x. 00; X. Xxxxxxxx, Interposizioni in frode alla legge nei rapporti di lavoro, Milano, 1980; X. Xxxxx, L’elisir di lunga vita del divieto di interposizione, in Riv .it. dir. lav., 2005, II, p. 726; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Nozioni di diritto del lavoro, Napoli, 1980; X. Xxxxxxxx, Somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco, in Gragnoli-Perulli, (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovo modelli contrattuali, Padova, 2004, p. 275; X. Xxxxxxx, L’interposizione brevettata, in Arg. dir. lav., 1998, I, p. 19.
momento in cui l’appaltatore utilizzava capitali, macchine e attrezzature del committente. Ne era scaturito un quadro normativo assai rigido. Il divieto operava su un piano oggettivo, quale che sia stata la reale intenzione delle parti e anche a prescindere da una reale elusione delle tutele del diritto del lavoro.
Nel corso degli anni novanta, alcuni interventi legislativi avevano contribuito a stemperare lo sfavore della legge n. 1369 del 1960. In particolare, proprio con il lavoro portuale e con la legge n. 84 del 1994, era stata legalizzata una particolare ipotesi di somministrazione, nota come fornitura di lavoro portuale temporaneo che realizzava una classica dissociazione tra titolare del rapporto di lavoro effettivo ed effettivo fruitore della prestazione lavorativa.
Seguiva, poi, la legge n. 196 del 1997 sulla fornitura di lavoro temporaneo alle imprese e, nel 2003, con la definitiva abrogazione della legge n. 1369 del 1960, è stato previsto un nuovo regime della somministrazione di lavoro (legge n. 30 del 2003 e d.lgs. n. 276 del 2003).
3. L’impresa (o agenzia) fornitrice di lavoro portuale temporaneo
Le imprese fornitrici di lavoro portuale temporaneo, previa autorizzazione dell’autorità portuale o, laddove non istituite, dell’autorità marittima, somministrano personale alle imprese utilizzatrici per l’esecuzione delle operazioni portuali (il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell’ambito portuale) e dei servizi portuali (quelli riferiti a prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali). L’attività di dette imprese deve essere rivolta “esclusivamente” alla fornitura di lavoro temporaneo. In particolare, le imprese fornitrici non devono esercitare direttamente o indirettamente le attività di esecuzione di operazioni e di servizi portuali, e le attività delle imprese terminaliste, e le attività svolte dalle società derivanti dalla trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle
operazioni portuali, né devono essere detenute direttamente o indirettamente da una o più imprese che svolgono operazioni portuali (art. 16), o terminaliste (art. 18), o derivanti dalla trasformazione delle compagnie e gruppi per l’esercizio delle operazioni (art. 21, comma 1, lett. a), e neppure devono detenere partecipazioni anche di minoranza in una o più delle imprese appena citate (artt. 16, 18, 21 comma 1 lett. a), impegnandosi, in caso contrario, a dismettere dette attività e partecipazioni, prima del rilascio dell’autorizzazione.
Le imprese fornitrici di lavoro temporaneo portuale devono essere dotate “di adeguato personale” e “di risorse proprie” con “specifica caratterizzazione di professionalità” nell’esecuzione delle operazioni portuali (art. 17, comma 2).
Al fine di favorire la formazione professionale, le imprese fornitrici realizzano iniziative rivolte al soddisfacimento delle esigenze di formazione dei prestatori di lavoro temporaneo. Dette iniziative possono essere finanziate anche con i contributi previsti dall’art. 5 della legge n. 196 del 1997, come modificato dal d.lgs. n. 276 del 2003, con riferimento al fondo appositamente costituito presso il ministero del lavoro e della previdenza sociale, per essere destinati al finanziamento, anche con il concorso delle regioni, alle iniziative mirate al soddisfacimento delle esigenze di formazione dei lavoratori (art. 17, comma 8).
Qualora non si realizzi l’autorizzazione ad idonee imprese per la fornitura di lavoro temporaneo per l’esecuzione delle operazioni e servizi portuali, dette prestazioni vengono svolte da agenzie promosse dalle autorità portuali o, laddove non istituite, dalle autorità marittime, e soggette al controllo delle stesse e la cui gestione è affidata ad un organo direttivo composto dai rappresentanti delle imprese che svolgono operazioni portuali ex art. 16, terminaliste (art. 18), dalle società derivanti dalla trasformazione delle compagnie e dei gruppi che esercitano le operazioni portuali (art. 21, comma 1, lett. a).
L’agenzia, per l’esercizio delle prestazioni, assume i lavoratori impiegati presso le imprese derivanti dalla trasformazione delle compagnie
e dei gruppi portuali che esercitavano servizi portuale e mere forniture di manodopera, che, appunto, cessano la propria attività (art. 17, comma 5)116.
Le imprese autorizzate alla fornitura di lavoro temporaneo, o le agenzie, qualora non abbiano personale sufficiente per far fronte alla fornitura di lavoro temporaneo, possono rivolgersi, quale imprese utilizzatrici, ai soggetti abilitati alla somministrazione di lavoro previsti dagli artt. 4-5, 20-28 d.lgs. n. 276 del 2003117 (art. 17, comma 6).
Le imprese e le agenzie fornitrici di lavoro portuale temporaneo non costituiscono imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale ai sensi dell’art. 86, par. 2, del Trattato CE (art. 17, comma 9).
4. L’impresa utilizzatrice della prestazione somministrata
L’utilizzatore della prestazione somministrata è una impresa autorizzata allo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali.
Sono operazioni portuali il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, mentre, per servizi portuali, si intendono quelle attività consistenti nelle prestazioni specialistiche, che siano complementari ed accessorie al ciclo delle operazioni portuali, da rendersi su richiesta di soggetti autorizzati allo svolgimento, anche in autoproduzione, delle operazioni portuali (art. 16, legge n. 84 del 1994 e art. 2, comma 1, D.M. n. 132 del 2001).
L’esercizio delle attività citate, espletate per conto proprio o di terzi, è soggetto ad autorizzazione dell’autorità portuale, o laddove non costituita, dell’autorità marittima.
Le imprese autorizzate allo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali, possono anche ricevere in concessione dall’autorità portuale (o
116 Si veda l’istituzione dell’Agenzia di lavoro temporaneo autorizzata dall’autorità portuale di Livorno, xxx.xxxxx.xxxxxxx.xx
117 Con riferimento al lavoro interinale, art. 2, legge n. 196 del 1997.
marittima) le aree demaniali e le banchine comprese nell’ambito portuale (imprese terminaliste) (art. 18, legge n. 84 del 1994).
Dobbiamo ricordare, inoltre, che tra le imprese utilizzatrici, autorizzate allo svolgimento in condizioni di concorrenza le operazioni portuali, vi sono anche quelle società derivanti dalla trasformazione, entro il 18 marzo 1995, delle compagnie e gruppi portuali (art. 21, comma 1, lett.
a, legge n. 84 del 1994).
5. I lavoratori portuali temporanei
Prima della legge n. 84 del 1994 il lavoro portuale costituiva una fattispecie atipica del lavoro subordinato, in ragione del rapporto a struttura associativa tra gli stessi lavoratori e le compagnie portuali e del penetrante controllo esercitato dall’ente portuale (o dall’autorità marittima). Con la legge n. 84 del 1994, volta a consentire la libera concorrenza dell’attività imprenditoriale nei porti, vengono abrogati sia l’art. 116, comma 1, n. 2, cod. nav. (che indicava le caratteristiche del personale addetto ai servizi portuali), sia del libro primo, titolo terzo, capo quarto (artt. 140-203) del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione (relativamente alle parti afferenti alla navigazione marittima)
espressamente dedicato alla “disciplina del lavoro nei porti”.
La soppressione dell’art. 116, comma 1, n. 2, cod. nav. determina l’esclusione dei lavoratori portuali dal novero del personale addetto ai servizi portuali che, a sua volta, costituisce una specie del personale marittimo. Conseguenza di questa trasformazione è l’inapplicabilità delle previsioni normative che disciplinano la prestazione lavorativa del personale della navigazione, sia con riferimento al momento genetico che a quello funzionale, considerando che il lavoratore portuale non fa più parte del personale marittimo.
Pertanto, la disciplina deputata a regolare il lavoro degli addetti alle operazioni portuali, non essendo più rinvenibile nel codice della navigazione e nel relativo regolamento di esecuzione deve essere
ricondotta a quella del rapporto di lavoro subordinato o dei soci delle cooperative di lavoro a seconda che il lavoratore portuale dipenda da una società di persone o di capitali o faccia parte di una società cooperativa.
Fatta eccezione della normativa prevista in materia di mobilità e in campo assistenziale, l’unica peculiarità che ancora caratterizzala disciplina del rapporto di lavoro è costituita dall’iscrizione dei lavoratori portuali in appositi registri tenuti dall’autorità portuale (o autorità marittima). Tale iscrizione è finalizzata esclusivamente alla applicazione nei loro confronti della normativa in materia di sicurezza ed igiene del xxxxxx000.
6. I lavoratori portuali temporanei interinali
Come abbiamo già visto in precedenza, l’impresa fornitrice qualora non abbia personale sufficiente a far fronte alla fornitura di lavoro temporaneo alle imprese autorizzate per l’esecuzione delle operazioni e dei servizi portuali, può rivolgersi, in qualità di impresa utilizzatrice, ai soggetti abilitati alla fornitura di lavoro temporaneo previsti all’art. 2 della legge n. 196 del 1997, oggi, art. 20, d.lgs. n. 276 del 2003 (art. 17, comma 6, legge
n. 84 del 1994).
Tuttavia, preme rievidenziare, che in questa ipotesi, lo schema negoziale che ricorre con l’agenzia esterna all’ambito portuale è quello del contratto di somministrazione, mentre l’impresa o l’agenzia portuale assumono la veste di imprese utilizzatrici, seppure sotto un diverso profilo formale, poiché il diretto interesse all’utilizzazione della prestazione di lavoro è in capo ad un soggetto terzo. Il legislatore pone in essere una sorta di duplice collegamento negoziale, con la conseguenza di alterare lo schema trilaterale, tipico del lavoro somministrato: impresa fornitrice, impresa utilizzatrice, lavoratore somministrato. L’impresa utilizzatrice sarà, in questo caso, il soggetto autorizzato alla fornitura di manodopera nel porto, ma nella legge non è specificata la posizione dell’impresa che
118 X. Xxxxxxxx, Lavoro portuale, op. cit., p. 4.
realmente e concretamente utilizzerà la prestazione del lavoratore somministrato.
Per ogni considerazione, sulla configurazione giuridica della relazione che intercorre tra le due imprese portuali, una (fornitrice) definita utilizzatrice dal legislatore, l’altra cui favore è effettivamente prestata l’attività lavorativa, rimandiamo agli approfondimenti di cui al capitolo quinto del presente lavoro.
In tale sede preme, invece sottolineare quanto è emerso in sede di regolamentazione da parte delle autorità portuali con riferimento ad un’adeguata formazione professionale del lavoratore dipendente della agenzie di somministrazione ex d.lgs. n. 276, che viene calato in una realtà particolare come quella portuale.
In ragione delle esigenze delle imprese del porto di disporre di lavoratori polivalenti in grado di eseguire le mansioni loro affidate in qualità e con efficienza, oltreché in relazione alle particolari problematiche di sicurezza dell’ambiente portuale, i lavoratori portuali interinali devono avere frequentato attività formative predisposte secondo standards definiti dall’autorità portuale d’intesa con l’impresa fornitrice. L’autorità portuale verifica il risultato dell’attività formativa e predispone appositi elenchi, nei quali i lavoratori portuali temporanei interinali sono iscritti solo successivamente all’accertamento positivo della “formazione di ingresso”.
7. L’autorità portuale (o marittima): i soggetti pubblici preposti al controllo della fornitura di lavoro portuale
La disciplina della fornitura di lavoro portuale è largamente influenzata da elementi pubblicistici in ragione della intima connessione di questo tipo di attività all’uso pubblico del porto, bene demaniale di prima importanza. Il diritto della collettività di utilizzarlo comporta che anche i servizi strumentali siano disciplinati nel rispetto delle finalità pubbliche a cui l’uso del porto è preposto.
La legge n. 84 del 1994 mantiene un’impostazione tesa alla conservazione di una funzione di controllo delle operazioni portuali.
Tale controllo, a seguito dell’abrogazione, da parte della legge di riforma, del regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione marittima, relativamente al capo dedicato alla disciplina del lavoro nei porti, elimina una serie di interventi idonei ad incidere sostanzialmente nella sfera di autonomia dei privati.
Con a legge n. 84 del 1994 vengono istituite le autorità portuali, enti pubblici che sostituiscono gli enti portuali. L’art. 6 della legge n. 84 designa l’autorità portuale soltanto per 18 porti119, mentre, per i porti nei quali tale autorità manca i suoi compiti vengono affidati all’autorità marittima.
Per comprendere la portata della riforma introdotta dalla legge n. 84 è opportuno indicare i tratti salienti della situazione preesistente.
Alcuni rilevanti porti nazionali sono stati gestiti, ai sensi degli artt. 19 e 1266 cod. nav., da enti portuali, costituiti con apposite leggi. L’istituzione dei suddetti enti era finalizzata al perseguimento di una unitaria politica tecnico-amministrativa nella gestione portuale, difficilmente perseguibile nelle ipotesi in cui la conduzione dell’intera attività portuale siano preposti differenti amministrazioni, ognuna con specifiche zone di incidenza e relativa responsabilità.
Nonostante le indicate finalità non è mai esistito un modello uniforme di ente portuale: lo sviluppo non programmato del fenomeno ha determinato la nascita di enti differenti nella natura giuridica, nelle funzioni, nell’organizzazione e nella disciplina dell’attività120.
Il legislatore non si è limitato alla creazione di una figura unica di autorità preposta alla direzione dei più importanti porti italiani ma, recependo integralmente le indicazioni provenienti dalle autorità comunitarie, ha colto l’occasione per introdurre nel nostro ordinamento il principio volto a garantire una netta separazione tra le funzioni di indirizzo,
119 L’art. 6, comma 8, legge n. 84 del 1994 stabilisce i criteri per consentire la costituzione di altra autorità portuali.
120 P.F. Raffaelli, La riforma amministrativa dei porti italiani, in Studi Mar., 1996, p. 32.
programmazione, coordinamento e controllo delle operazioni e delle altre attività portuali rispetto all’esercizio di queste ultime.
L’art. 6, comma 6, legge n. 84, precisa che “Le Autorità portuali non
possono in alcun caso, né direttamente, né attraverso la costituzione o la partecipazione in società, esercitare la gestione delle operazioni portuali di cui all’art. 16, comma 1, e di ogni altra attività strettamente connessa”, e si esclude anche che possano far parte delle associazioni di lavoro portuale preposte all’avviamento dei lavoratori portuali per prestazioni temporanee121.
Ciò premesso, la legge di riforma della portualità prevede che le autorità portuali o, laddove non istituite, le autorità marittime, individuano i servizi portuali ammessi nel porto (art. 16, comma 1) e autorizzano l’erogazione alla fornitura di lavoro portuale temporaneo da parte di quelle imprese da individuare secondo una procedura accessibile ad imprese italiane e comunitarie (art. 17, comma 2). Detta autorizzazione viene rilasciata entro 120 giorni dall’individuazione dell’impresa stessa e, comunque, subordinatamente all’avvenuta dismissione di ogni eventuale attività e partecipazione (art. 17, comma 3).
L’autorità portuale o, laddove non costituita, l’autorità marittima, individua le procedure per garantire la continuità del rapporto di lavoro a favore dei soci e dei dipendenti delle società o cooperative derivanti dalla trasformazione delle compagnie e dei gruppi portuali per la fornitura di servizi nonché mere prestazioni di lavoro (art. 21, comma 1, lett. b), nei confronti dell’impresa autorizzata (art. 17, comma 4).
L’autorità portuale o marittima che ha rilasciato l’autorizzazione può sospenderne l’efficacia o, nei casi più gravi, revocarla allorquando accerti la violazione degli obblighi nascenti dall’esercizio dell’attività autorizzata. Nel caso in cui la violazione sia commessa da un agenzia, l’autorità portuale o, laddove non istituita, l’autorità marittima possono disporre la sostituzione dell’organo di gestione dell’agenzia stessa (art. 17, comma 11).
121 X. Xxxxxxxx, Lavoro portuale, op. cit., 4.
L’autorità portuale o quella marittima hanno, altresì un potere regolamentare per la fornitura di lavoro portuale temporaneo (art. 17, comma 10, vedi infra) e, nell’atto autorizzativo o in quello concessorio devono inserire delle disposizioni volte a garantire un trattamento economico e normativo minimo inderogabile ai lavoratori somministrati (oltre a quelli dei soggetti di cui agli artt. 16, 18, 21m comma 1, lett. b). Detto trattamento minimo non può essere inferiore a quello risultante dal contratto collettivo nazionale dei lavoratori dei porti (art. 17, comma 13, vedi infra).
Le autorità portuali esercitano le loro competenze in relazione alla fornitura di lavoro portuale temporaneo previa deliberazione del comitato portuale, sentita la commissione consultiva, mentre, le autorità marittime, esercitano le loro competenze in materia sentita la commissione consultiva (art. 17, comma 14).
8. Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo
La legge n. 84 del 1994, a differenza dell’art. 21 del d.lgs. n. 276 del 2003, nulla dice in relazione alla forma e al contenuto del contratto commerciale di fornitura di lavoro temporaneo tra l’impresa fornitrice e quella utilizzatrice. Alcuni aspetti normativi dell’argomento li riscontriamo nei regolamenti della autorità portuali dove viene richiesta la forma scritta ed un contenuto necessario del contratto in questione: il numero dei lavoratori richiesti; le mansioni a cui saranno adibiti i lavoratori; il luogo, l’orario e la tariffa delle prestazioni lavorative; l’assunzione dell’obbligo da parte dell’impresa utilizzatrice, in caso di inadempimento dell’impresa fornitrice, del pagamento diretto a favore del lavoratore del trattamento economico, nonché al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso l’impresa fornitrice; l’inizio e la durata del contratto122.
122 xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , reg. cit., art. 11; xxx.xxxxx.xxxxxx.xx , reg. cit., art. 5.
9. Alcune considerazioni conclusive sulla peculiarità del lavoro portuale temporaneo
Il percorso evolutivo della somministrazione di lavoro portuale, tracciato nel presente lavoro, può, ci auguriamo, avere offerto un quadro sufficientemente chiaro per capire i mutamenti che hanno condotto al delinearsi della figura di un lavoratore subordinato con alcuni connotati peculiari.
Gli interventi legislativi esposti hanno evidenziato le difficoltà, nel settore portuale, del percorso di affrancamento del diritto del lavoro dall’influenza e dalla specialità del diritto della navigazione.
La particolare situazione economica legata all’incerto arrivo delle navi nei porti, con la conseguente imprevedibilità del volume dell’attività, la prestazione di servizi la cui determinazione quantitativa è definibile in prevalenza solo giorno per giorno secondo l’andamento della domanda di manodopera, con la conseguente impossibilità di prevedere contratti di lunga durata, la prestazione manuale di manodopera sempre presente sul luogo di lavoro, hanno caratterizzato la necessità di una disciplina speciale.
Tutto ciò ha indotto alla formazione di un sistema di lavoro basato su usi e regole locali, in base ai quali si è disposto un regolamento comune per i lavoratori portuali, che hanno trovato nella compagnia il proprio rappresentante e nella quale si sono identificati.
La legge di riforma n. 84 del 1994, che ha comportato un rivolgimento nei confronti di un apparato normativo ormai cristallizzato e poco dinamico, si avvale dello strumento del lavoro temporaneo per introdurre una possibilità di scelta a favore delle imprese e per riportare una prassi consolidata di fornitura nell’alveo del diritto comune, pur adottando una soluzione che presenta alcuni aspetti specialistici, coerenti alla compatibilità e ragionevolezza delle scelte con i problemi dell’attività portuale.
Il legislatore ha anche cercato di stabilire adeguati livelli di sicurezza e protezione sociale per i lavoratori. Infatti, la protezione del posto di
lavoro è realizzata attraverso la costituzione dell’impresa di fornitura o dell’agenzia portuale, entità che assicura ai lavoratori portuali un rapporto stabile nel tempo, anche se l’attività è prestata a favore di una pluralità di utilizzatori.
La nuova disciplina del lavoro portuale, tracciata dalla legge del 1994 e dalle sue successive modificazioni, non trascura il fatto che la tematica del lavoro portuale temporaneo richiede un dettato normativo peculiare, che tenga in considerazione i suoi aspetti tipici lasciando spazio ad una disciplina aderente alle esigenze del mercato, della produttività e della concorrenza. Infatti, la sentenza della Corte di giustizia “Porto di
Genova” ha indotto alla modificazione della disciplina del codice della
navigazione per una corretta applicazione nel settore portuale dei principi comunitari generali in tema di circolazione dei lavoratori, dei servizi, e delle merci ed ha spinto l’evoluzione normativa verso un modello organizzativo caratterizzato dalla presenza di una concorrenza effettiva all’interno dei porti, ponendo fine a quelle tendenze organizzative nazionali che comportavano la conservazione di privilegi accordati ai lavoratori portuali in termini di riserva esclusiva delle operazioni portuali.
BIBLIOGRAFIA
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