PROTOCOLLO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO DELLA SINDROME DA IPERATTIVITÀ E DEFICIT DI ATTENZIONE
PROTOCOLLO DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO DELLA SINDROME DA IPERATTIVITÀ E DEFICIT DI ATTENZIONE
PER IL REGISTRO NAZIONALE ADHD
INDICE
4 DIAGNOSI 6
4.2 VALUTAZIONE DEI SINTOMI DELL’ADHD 7
4.3 Questionario per i genitori e per gli insegnanti 7
4.4 Valutazione del livello cognitivo 8
4.5 Valutazione delle abilità di lettura e calcolo 8
4.6 Scale di autovalutazione per ansia e depressione 9
5.1 Terapie psico-comportamentali 9
5.1.1 La terapia psico-comportamentale 9
5.1.3 L’intervento a scuola 11
5.1.4 Ogni terapia va adattata al bambino 13
5.2.1 Farmacologia clinica del metilfenidato 15
5.2.3 Farmacocinetica del Metilfenidato. 17
5.2.4 Farmacologia clinica dell'Atomoxetina… 20
5.2.5 Altre terapie farmacologiche 27
5.3 Terapie combinate 27
BIBLIOGRAFIA 28
1. INTRODUZIONE
La Consensus Conference italiana sulla Sindrome da iperattività con deficit di attenzione, svoltasi a Cagliari nel marzo 2003, aveva richiamato l’attenzione sulla necessità di poter disporre di tutti gli strumenti diagnostici e terapeutici esistenti, di comprovato beneficio, per ottimizzare l’assistenza dei soggetti affetti da questa sindrome. Nei mesi successivi, la Commissione Unica del Farmaco (CUF), ha riclassificato il metilfenidato spostandolo dalla tabella I alla tabella IV e ne ha approvato l’uso per il trattamento dell’ADHD mediante predisposizione di piani terapeutici individuali. L’autorizzazione all’immissione in commercio del metilfenidato e dell’atomoxetina in Italia, dispensabile da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), rende necessario il monitoraggio dell’uso di queste sostanze nella popolazione pediatrica affetta dalla Sindrome da iperattività con deficit di attenzione (ADHD), trattata con questi farmaci da soli o in associazione con altri farmaci o con terapie non farmacologiche, al fine di garantirne la sicurezza d’uso. Per soddisfare questa necessità viene dato mandato ad una
Commissione tecnico scientifica diistituire un registro nazionale coordinato dal Dipartimento del
Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco, la Conferenza permanente degli Assessori alla Sanità delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano e con la Direzione Generale dei Medicinali e dei Dispostivi Medici del Ministero della Salute.
Sito internet
xxxx://xxx.xxx.xx/xxxx/xxxxx.xxx?xxxxx0
2. PREMESSA
La sindrome da iperattività/deficit di attenzione (ADHD) è uno dei più comuni disordini dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività, impulsività, incapacità a concentrarsi. La sindrome si manifesta generalmente prima dei 7 anni d’età.
E’ stata descritta clinicamente e definita nei criteri diagnostici e terapeutici soprattutto ad opera degli
psichiatri e dei pediatri statunitensi (DSM-IV; DSM-PC) (1-2). Su questi temi si è sufficiente consenso nella comunità scientifica internazionale.
raggiunto un
In Italia, l’istituzione del registro nazionale dell’ADHD è il risultato di un processo le cui tappe principali sono:
🞆 Giugno 2002 pubblicazione delle Linee guida della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza (SINPIA);
🞆 Marzo 2003 Conferenza italiana di consenso a Cagliari;
🞆 Luglio 2003 Decreto CUF di riclassificazione del Metilfenidato e approvazione per la terapia dell’ADHD;
🞆 Febbraio 2004 il Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità e l’Agenzia Italiana del Farmaco attivano il Registro nazionale dell’ADHD;
🞆 8 Marzo 2007 autorizzazione all’immissione in commercio di Metilfenidato (Ritalin) e atomoxetina (Strattera) da parte del CdA dell’Agenzia Italiana del Farmaco
Il registro vincola la prescrizione del Metilfenidato e dell’Atomoxetina alla predisposizione di un piano terapeutico semestrale da parte del Centro clinico accreditato (Centro di riferimento). Questo passaggio è finalizzato a garantire accuratezza diagnostica e ad evitare un uso improprio del farmaco.
3. EPIDEMIOLOGIA
Tra il 1982 e il 1996 sono stati condotti dieci studi che, basandosi sui criteri diagnostici del “Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III)”, hanno valutato la prevalenza di ADHD. A seconda degli studi, si hanno valori di prevalenza che oscillano tra il 4% e il 12%. Una revisione sistematica di questi studi, ad opera di Xxxxx e colleghi (3), utilizzando il modello degli effetti random per i pool di dati altamente eterogenei, stima una prevalenza del 6,8% (95% C.I. 5-9%) con i criteri del DSM-III e del 10,3% (95% C.I. 7.7-13.4%) utilizzando i criteri del DSM-IIIR.
Esiste un solo studio di prevalenza basato sui criteri del DSM-IV che stima un valore di ADHD del 6.8%.
La prevalenza tra i maschi è tre volte più alta che nelle femmine: 9.2% (95% C.I. 5.8-13.6%) vs 3% (95% C.I. 1.9-4.5%).
In Italia, uno studio condotto in due regioni del centro su un campione di 232 bambini ha evidenziato una prevalenza del 3.6%, in base alla presenza di almeno 8 criteri maggiori del DSM-IIIR. Un ulteriore 6.9% era un caso potenziale (4). Lo studio, condotto nelle scuole di Firenze e Perugia, nel 1993, ha individuato 9 casi su 250 bambini esaminati. Lo studio del 1998, con i pediatri della città di Torino, ha dato una prevalenza del 2,52%. In questo caso la popolazione era di 47,781 assistiti e sono stati individuati 1.203 casi. Uno studio del 2002, in Friuli Venezia Giulia, su 64.800 bambini sono stati diagnosticati 280 casi di ADHD con una prevalenza dello 0,43%. A Roma sono stati condotti due studi, nel 1999 e nel 2003. Nel primo la prevalenza è stata del 1,51% (12 casi su 794 bambini esaminati), nel secondo la prevalenza è stata dello 0,91% (23 casi su 2.511 bambini). Questi due studi sono stati condotti dai pediatri di libera scelta. Lo studio di Cesena del 2003, condotto dai Servizi territoriali su una popolazione di 11.980 soggetti d’età compresa tra 7 e 14 anni, ha dato una
prevalenza di ADHD del 1.1% (131 casi). Uno studio più recente, svolto a Firenze mediante un
questionario per gli insegnanti di 1891 bambini al termine della prima elementare, ha riportato la presenza di sintomi di ADHD nel 7.1% dei bambini (10.4% maschi e 3.8% femmine)i. Tali sintomi non erano attribuiti primariamente, sulla base del questionario usato, ad altri disturbi psicopatologici o a condizioni socioambientali note. Sebbene tale stima non corrisponde ad una diagnosi clinica di ADHD, in quanto manca la valutazione del clinico e la considerazione della pervasività e della significativa compromissione funzionale al di fuori del contesto scolastico (ad es. nelle relazioni familiari o sociali extrascolastiche), appare in ogni caso coerente con dati raccolti con analoga metodologia in altri paesi europei (Mugnaini et al. 2006). Un secondo studio recente su un campione di 1575 genitori e 1085 insegnati di bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni, rappresentativo per stratificazione geografica e ambientale della popolazione italiana, oltre che confermare la validità fattoriale dei diversi costrutti di inattenzione, iperattività/impulsività come diversi da oppositività/provocatorietà (ODD) e disturbi di condotta (CD), ha evidenziato la correlazione tra prevalenza del disturbo e fonti di informazione considerate: la prevalenza risultava del 3.5 % secondo i genitori (2.5 per ADHD, 0.7 per ADHD+ODD, e 0.3 per ADHD+CD) dell’11.4 secondo gli insegnati (8.6 per ADHD, 2.2 per
ADHD+ODD, e 0.6 per ADHD+CD), mentre l’1.5 % dei bambini studiati risultava talmente
compromesso da essere riconosciuto come ADHD sia dai genitori che dagli insegnanti (Xxxxxx et al. 2006).
Complessivamente il quadro epidemiologico si caratterizza per la variabilità della stima dell’incidenza del disturbo, riconducibile ai differenti settino studiati, degli strumenti utilizzati e degli approcci metodologici seguiti.
4. DIAGNOSI
Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività è “una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini di pari livello di sviluppo” (DSM-IV). La disattenzione, l'iperattività e l’impulsività sono comunemente noti come i sintomi chiave di questa sindrome. Essi devono essere presenti per almeno 6 mesi ed aver fatto la loro comparsa prima dell'età di 7 anni. L’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD-10) dell'Organizzazione mondiale della sanità utilizza il termine “disturbo ipercinetico” per una diagnosi definita più restrittivamente (5). Essa differisce dalla classificazione del DSM-IV in quanto tutti e tre i problemi di attenzione, iperattività e impulsività devono essere contemporaneamente presenti e deve essere soddisfatto il criterio più rigoroso della loro presenza in una molteplicità di setting, mentre la presenza di un altro disturbo costituisce un criterio di esclusione. In base ai criteri diagnostici sistematizzati nel Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM-III; DSM-IIIR; DSM-IV) e nel Diagnostic and statistical manual for primary care, child and adolescent version (DSM-PC). La diagnosi di ADHD si basa sulla presenza di:
⮚ 6 o più dei 9 sintomi di disattenzione
oppure
⮚ 6 o più dei 9 sintomi di iperattività\impulsività.
La Consensus Conference italiana ha definito i criteri e gli strumenti necessari per una corretta
diagnosi di ADHD. Questi criteri sono esposti in dettaglio nelle linee guida SINPIA “ADHD: Diagnosi & terapia farmacologi che”. Di seguito si sintetizzano gli aspetti salienti del processo diagnostico.
4.1 Interviste diagnostiche
La Kiddie-Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia-Present and Lifetime
version (K- SADS-PL) e’ stata adattata da Xxxxxxx et al. (1997) dalla versione originale di Xxxx- Xxxxxx et al (1980). Essa e’ costituita da un’intervista semi-strutturata che registra informazioni sui sintomi psichiatrici e sul funzionamento sociale degli adolescenti al momento della somministrazione e raccoglie informazioni relative agli anni precedenti. Sebbene il nome includa soltanto i Disturbi Affettivi e la Schizofrenia, la K-SADS-PL codifica tutti i maggiori sintomi psichiatrici dell’infanzia ed adolescenza e permette di formulare diagnosi secondo i criteri del DSM-IV. La K-SADS- PL comprende inoltre un sommario delle informazioni diagnostiche riguardanti tutta la vita del paziente e la Children’s Global Assessment Scale (C-GAS; Xxxxxxx et al. 1983), per una valutazione sintetica del funzionamento adattivo.
La Parent Interview for Children Symptoms, revised for DSM-IV (PICS IV, Xxxxxxxx et. Al. 2002), può essere considerata lo strumento diagnostico nordamericano più vicino alla realtà europea ed italiana in particolare. Lo strumento e’ stato standardizzato (sebbene senza differenziazione “ etnica”) a Toronto, Canada, dove circa in un quinto della popolazione ha origine italiana (immigrazione in gran parte tra il 1945 ed il 1965), e ancora parla la lingua od un dialetto italiano. La PICS-IV e un’intervista semistrutturata specificamente sviluppata per la diagnosi dei disturbi dirompenti del comportameto (ADHD, Disturbo oppositivo-provocatorio e Disturbo di condotta) e per lo screening di altri disturbi psichiatrici. E stata derivata dal Kiddie SADS e dalla PACS (Xxxxxxxx 1989; Xxxxxx 1986). All’intervistato viene richiesto non di quantificare ma di descrivere il comportamento del bambino, che viene poi valutato in maniera quantitativa dell’intervistatore. L’intervistatore incoraggia i genitori a descrivere il bambino con un dettaglio sufficiente a stabilire se uno specifico sintomo (comportamento) e’ clinicamente indicativo, anche considerando fattori che possano modulare la percezione da parte del genitore, quali ambiente sociale, livello culturale, pregiudizi, etc.
4.2 Valutazione dei sintomi dell’ADHD
Scala di valutazione dei sintomi dell’ADHD e dei sintomi dei disturbi dirompenti del comportamento: E’ possibile usare sia l’ADHD Rating Scale (DuPaul; 18 items che corrispondono ai sintomi riportati dal DSM-IV) che la SNAP–IV (Xxxxxxx, Xxxxxx, and Xxxxxx) simile alla precedente ma con in più gli 8 items relativi al disturbo oppositivo provocatorio ed i 15 relativi al disturbo di condotta.
La gravità dei sintomi è misurata con il Clinical Global Impression – ADHD- everità (CGI- ADHD-S; Guy 1976; NIMH 1985)
4.3 Questionario per i genitori e per gli insegnanti
Sono generalmente utilizzate le Conner’s Rating Scale o la CBCL .
Delle Conner’s Parent & Teacher Rating Scale-revised [CPRS-R; CTR-R; Xxxxxxx 1997] esistono una versione lunga (CPRS-R-L 80 items; XXXX-X-X 00 items) ed una breve (CPRS-R-S 27 items; CTRS- R-L 28 items). Esiste inoltre una scala di autovalutazione per adolescenti, sia in forma lunga (CASS:L 87 items) che breve (CASS:S 27 items). Utilizzare per genitori ed insegnanti le forme lunghe di cui esiste una traduzione autorizzata e validazione italiana (a cura di Xxxxxx X, Xxxxxxx Xxxxxx A, Organizzazioni speciali, Firenze, 2007). Le scale di Xxxxxxx sono state utilizzate in centinaia di studi
riportati nella letteratura anglosassone (Xxxxxxxxxx et al. 1996). Esse permettono di rilevare
importanti informazioni sul comportamento sociale, accademico ed emotivo dei bambini d’età
compresa tra 3 e 17 anni. Composta di 8 items, la versione rivista (1997) permette non solo di misurare gli aspetti dimensionali, valutando Oppositivita’, Problemi cognitivi, Iperattivita’, nsietà’- timidezza, Perfezionismo, Problemi di socializzazione, Problemi di natura psicosomatica, ma anche di definire una diagnosi categoriale di alcuni disturbi dirompenti del comportamento, ed in particolare il Disturbo da deficit attentivo con iperattività.
In alternativa si possono utilizzare le diverse versioni della Child Behaviour Check list (CBCL 6-18; 113 Items, Xxxxxxxxx 2001) e Teacher Report Form (TRF; Xxxxxxxxx 2001). Di tali questionari è in corso la validazione italiana. Lo svantaggio principale e’ costituito dal maggior numero di Items.
Possono essere inoltre utilizzate scale più ridotte per genitori ed insegnati quali la Scala per i Disturbi di Attenzione/iperattività per Insegnati e Genitori (SDAI e SDAG rispettivamente; Marzocchi & Cornoldi, 2000) e la versione Italiana della Disruptive Behavior Disorder rating scales (DBD- Xxxxxx et al. 1992; Xxxxxx et al. 1998) di cui esiste traduzione (SCOD-I, SCOD-G; Xxxxxxxxx et al. 2001; 2003) e validazione (Xxxxxx et al. 2006) italiane.
4.4 Valutazione del livello cognitivo
E’ pratica comune utilizzare la classica Scala di Intelligenza Xxxxxxxx per bambini Riveduta (WISC-R, OS, Firenze, 1994). Sebbene la compilazione di tutte le prove che compongono la scala
permetta, oltre che valutare il livello cognitivo complessivo del bambino, anche di raccogliere
numerose informazioni utili sul funzionamento cognitivo del soggetto, nella gran parte dei casi può essere opportuno utilizzare i soli items Aritmetica, Vocabolario, Cubi e Storie figurate. Utilizzando la taratura italiana di Xxxxxx, e’ possibile convertire il punteggio ottenuto per queste prove ottenendo valori di Q.I. totale, verbale e di performance, corrispondente a quelli ottenibili con l’esecuzione della batteria completa. Tale procedura ridotta è quella da utilizzare per la valutazione dei bambini afferenti al Registro nazionale ADHD.
4.5 Valutazione delle abilità di lettura e calcolo.
Uno dei più frequenti motivi d’invio dei bambini con ADHD alle strutture sanitarie è costituito dalle difficoltà scolastiche. E’ necessario eseguire sui bambini in età scolare una rapida prova di valutazione delle abilità di lettura e comprensione del testo, ed alcune semplici prove di calcolo aritmetico,utilizzando le Prove MT (Xxxxxxxx & Colpo, 1998) per la valutazione delle abilità di lettura
e comprensione del testo, integrate, nei casi dubbi, dalle Prove 4, 5 e 6 della Batteria per la valutazione della dislessia di Xxxxxxx, Tressoldi e Job (1995).
Per le prove di calcolo si usano le prove della batteria AC-MT (Xxxxxxxx, Lucangeli & Xxxxxxx, 2001) per le Abilità del Calcolo. Queste ultime vanno ripetute nel corso del test da singola dose di metilfenidato (vedi oltre). È consigliabile anche la Batteria per la Discalculia Evolutiva (Xxxxxxxxx & Xxxxxxxxx, 2005).
Diverse figure professionali possono somministrare tali prove: medico, psicologo, logopedista,
educatore professionale, (psico) pedagogista. Questa figura professionale va utilizzata anche per la gestione dei rapporti con le istituzioni scolastiche, cruciali nella vita del bambino.
4.6 Scale di autovalutazione per ansia e depressione.
Bambini ed adolescenti sono gli informatori migliori per i propri sintomi internalizzanti, più attendibili di genitori ed insegnanti. Le informazioni dirette devono essere integrate dalla compilazione della Scala di Auto-Valutazione dell’ansia per Bambini (Multidimensional Anxiety Scale for Children [MASC]; March, 1997; 39 items oppure il Questionario d’Ansia per l’Età Evolutiva (Busnelli, Dall’Aglio, Faina, 1974; 40 items) e dal Questionario per la Depressione nei Bambini (Children Depression Inventory, [CDI], Xxxxxx 1992; 27 items).
5. TERAPIE
I soggetti affetti da ADHD possono essere sottoposti a terapie: Psico-comportamentali
Farmacologiche (Metilfenidato, Atomoxetina) Combinate (Psico-comportamentali+farmacologiche).
5.1 Terapie psico-comportamentali
5.1.1 La terapia psico-comportamentale
La terapia psico-comportamentale include un ciclo di incontri di Parent Training (svolto in gruppo o singolarmente in base alle caratteristiche dei genitori) e la consulenza sistematica agli insegnanti. Il Parent Training è composto di 10 sedute semi-strutturate secondo il manuale di Vio, Xxxxxxxxx e Offredi (1999) che include una serie di informazioni sul ADHD e altre attività formative relative alla comprensione del problema e l’applicazione di strategie comportamentali. La consulenza sistematica agli insegnanti include 4 incontri con gli insegnanti secondo le indicazioni del testo di Xxxxxxxx e collaboratori (Xxxxxxxx, De Meo, Offredi e Vio, 2001); consiste in una serie di attività di osservazione e
comprensione delle caratteristiche del bambino per diventare capaci di modulare le richieste degli
insegnanti e ridurre i comportamenti disfunzionali del bambino con ADHD.
5.1.2 Il parent training
Dalla fine degli anni Sessanta hanno cominciato a comparire una serie di progetti di “Parent Education” e di “Parent Training” in particolare nei Paesi di cultura anglosassone, finalizzati all’incremento delle abilità genitoriali nel gestire i problemi che quotidianamente possono insorgere nell’educazione, anche a prescindere dall’eventuale presenza di figli particolarmente “difficili” o con diagnosi di ADHD. La necessità di operare in modo attento e sistematico anche con i genitori di questi bambini nasce da almeno quattro considerazioni: 1) la famiglia è una risorsa importante per cercare di favorire i comportamenti positivi del bambino, soprattutto nell’età prescolare; 2) il lavoro con il bambino, a volte non è sufficiente per osservare l’apprendimento di adeguati comportamenti a casa e
a scuola; 3) l’istinto materno e paterno, ovvero la disponibilità dei genitori ad affrontare le
problematiche sollevate dal figlio con ADHD, non sono sufficienti a modificare i comportamenti
iperattivi e/o la disattenzione; 4) la frequente presenza di relazioni disfunzionali dei famiglia con il bambino ne aggravano il suo profilo psicologico.
membri della
Il parent training è stato suggerito come una via per migliorare il comportamento di bambini con ADHD aiutando i genitori a riconoscere l’importanza delle relazioni con i coetanei, ad insegnare, in modo naturale e quando ve n’è il bisogno, le abilità sociali e di crescita, ad acquisire un ruolo attivo nell’organizzazione della vita sociale del bambino, e a facilitare l’accordo fra adulti nell’ambiente in cui il bambino si trova a vivere. I parent training sono mirati e tendono a distinguere le problematiche coniugali dagli aspetti relativi all’educazione dei figli. Gli incontri si possono svolgere a gruppi di 5-6 coppie, oppure singolarmente. Il clinico è in grado di valutare se i genitori possono trarre giovamento dal gruppo, perché riescono ad integrarsi e a dialogare con gli altri, oppure necessitano di un confronto diretto perché la complessità della situazione lo richiede, oppure perché hanno difficoltà nel comprendere le interazioni e le consegne.
I più efficaci programmi di parent training utilizzano una combinazione di materiale scritto e di istruzioni verbali. Ai genitori si insegna a dare chiare istruzioni, a rinforzare positivamente i comportamenti accettabili, a ignorare alcuni comportamenti problematici, e a utilizzare in modo efficace le punizioni. Accanto all’insegnamento di tecniche comportamentali, un passaggio molto importante riguarda l’interpretazione che i genitori fanno dei comportamenti negativi del figlio. Come nel training con il ragazzo, è fondamentale lavorare sulle attribuzioni perché da queste dipende il loro vissuto e benessere, e di conseguenza il modo di porsi nei confronti del figlio.
La prima sezione di introduzione prevede la comprensione del problema, la preparazione al cambiamento e la definizione del problema. Durante gli incontri mirati alla comprensione del problema vengono fornite delle informazioni corrette sul ADHD, si creano delle aspettative realistiche riguardo
La seconda fase serve ad introdurre alcune tecniche educative per la gestione del comportamento del bambino. Durante questi incontri si fornisce un aiuto ai genitori per strutturare la loro vita familiare in modo da aiutare il bambino a prevedere ciò che accadrà in famiglia, tramite la creazione di abitudini, routine, regole, e soprattutto fornendo delle informazioni di ritorno (i genitori informano il bambino su come si sta comportando). Sempre durante la seconda sezione si cerca di insegnare ai genitori ad individuare in modo più preciso i comportamenti negativi del bambino. In queste occasioni il genitore dovrebbe cercare di tentare una soluzione al problema mostrandosi come modello positivo; ovvero sottolineando la fatica e gli sforzi che ciascuna persona compie per migliorarsi. Il bambino osserva e imita i genitori, se questi sono modelli positivi, credibili e non troppo lontani da se. Con l’aiuto di un consulente, i genitori possono auto-osservarsi su come si propongono ai loro figli di fronte alle situazioni complesse e come applicano le strategie di soluzione dei problemi. Uno degli obiettivi delle terapie psicosociali è proprio quello di trasmettere al paziente buone abilità di soluzione dei problemi; per questo si utilizza il modellamento del comportamento dei genitori per trasferire queste abilità anche ai bambini. Sempre all’interno della seconda sezione, durante gli incontri successivi vengono insegnate tecniche specifiche, come ad esempio il costo della risposta, o il time-out (già accennati in precedenza) per far fronte a comportamenti gravemente disturbanti.
La terza e ultima sezione si concentra sull’uso flessibile di tutto ciò che è stato appreso durante gli incontri precedenti. In questi ultimi incontri i genitori devono imparare anche a riconoscere gli eventi “premonitori” di comportamenti problematici del bambino per riuscire ad agire con un certo anticipo ed evitare i soliti inconvenienti.
5.1.3 L’intervento a scuola
Il coinvolgimento degli insegnanti fa parte integrante ed essenziale di un percorso terapeutico per il trattamento del bambino con ADHD. La procedura di consulenza sistematica, prevede incontri regolari durante tutto l’anno scolastico, con una frequenza quindicinale per i primi tre mesi e mensile nel periodo successivo. A questi incontri sarebbe auspicabile partecipasse l’intero team di insegnanti,
per quanto riguarda le scuole elementari e i docenti col maggior numero di ore settimanali, nel caso delle scuole medie inferiori.
La consulenza sistematica agli insegnanti deve avere diversi obiettivi: 1) informare sulle caratteristiche del ADHD e sul trattamento che viene proposto; 2) fornire appositi strumenti di valutazione (questionari e tabelle di osservazione) per completare i dati diagnostici; 3) mettere gli
insegnanti nella condizione di potenziare le proprie risorse emotive e migliorare la relazione con
l’alunno; 4) spiegare come utilizzare specifiche procedure di modificazione del comportamento all’interno della classe; 5) informare su come strutturare l’ambiente classe in base ai bisogni e alle caratteristiche dell’alunno con ADHD; 6) suggerire particolari strategie didattiche, per facilitare l’apprendimento dell’alunno con ADHD; 7) spiegare come lavorare, all’interno della classe, per migliorare la relazione tra il bambino con ADHD e i compagni.
Solamente l’ausilio di una serie di informazioni dettagliate sulle caratteristiche del disturbo consente all’insegnante di assumere un atteggiamento più costruttivo nel rapporto con il bambino.
Anche nel caso degli insegnanti, le informazioni sul ADHD permettono di ridefinire le attribuzioni:
l’alunno iperattivo non si comporta così perché vuol fare impazzire le maestre, ma perché soffre di un disturbo specifico. Spesso, infatti, il docente può sentirsi minacciato nella propria immagine e nella propria autostima per le difficoltà che incontra nel contenere il comportamento dell’alunno. Questa tentazione può portare ad una progressiva diminuzione della capacità di controllare le proprie reazioni nei confronti del bambino e quindi, ad aumentare gli atteggiamenti punitivi. Se poi l’alunno manifesta frequenti comportamenti aggressivi verso i compagni, l’insegnante vivrà uno stato continuo di ansia riguardo alla sicurezza degli altri alunni. E’ quindi importante che lo psicologo destini parte dei primi incontri di consulenza al potenziamento delle capacità di autocontrollo emotivo degli insegnanti, prima ancora di collaborare con loro per far acquisire un maggior autocontrollo al bambino. La parte più importante della consulenza sistematica alla scuola è quella dedicata a far apprendere all’insegnante alcune tecniche di modificazione del comportamento da applicare con l’alunno con ADHD. L’apprendimento di queste procedure richiede uno stretto contatto con lo psicologo o il pedagogista
ed una frequente supervisione; infatti, se applicate con costanza e precisione, le tecniche di
modificazione del comportamento non tarderanno a dare i loro frutti ed il tempo impiegato per la loro
attuazione sarà un buon investimento per l’intera classe. È necessario rilevare che la consulenza
sistematica agli insegnanti ha una certa utilità se tutti gli operatori sentono di formare un team per aiutare il bambino e non si fermano ad uno sterile, quanto improduttivo, gioco di sapere e potere. Un’altra area d’intervento da considerare nell’ambito della consulenza scolastica, è quella riguardante il rapporto tra il bambino e i compagni di classe. Le strategie attuabili dagli insegnanti a questo riguardo si dovrebbero integrare con un training d’addestramento alle abilità sociali. Alcuni accorgimenti per aiutare l’alunno con ADHD a migliorare il rapporto coi compagni consistono nel: 1) rinforzare gli altri alunni quando includono il bambino con ADHD nelle loro attività; 2) programmare attività in cui il bambino con ADHD possa dare il suo contributo; 3) programmare attività nelle quali la riuscita
5.1.4 Ogni terapia va adattata al bambino
Programmare un trattamento significa soprattutto adattare la terapia in base alla situazione sociale in cui si trova inserito il paziente. Il clinico deve tenere in considerazione diversi fattori che determinano una certa scelta terapeutica, tra cui la comorbidità del bambino, la situazione familiare (in particolare il livello socio-economico e il vissuto dei genitori stessi), la collaborazione con la scuola, la possibilità per i genitori di recarsi frequentemente presso il servizio di riferimento.
Per quanto riguarda il problema della comorbidità, è necessario suddividere le problematiche emotive (ansia o depressione) da quelle cognitive (disturbi di apprendimento, livello intellettivo ai limiti della norma) o comportamentali (compresenza di aggressività o disturbi della condotta). Se il problema riguardasse “solo” i sintomi (e anche in misura non troppo severa) un modesto uso del farmaco supportato da una consulenza sistematica a genitori e insegnanti probabilmente riuscirebbe ad arginare la situazione. Il bambino potrebbe avere un buon inserimento nel proprio ambiente di vita e gli adulti non vivrebbero più forti situazioni di stress. Questo è il caso meno problematico e anche il meno frequente. Molto più frequenti sono le situazioni in cui oltre ai sintomi del ADHD si presentano
associati altri disturbi. Quando i problemi riguardano soprattutto la sfera emotiva è opportuno
integrare il trattamento con un percorso terapeutico per il bambino, lavorando in particolare sulla gestione delle emozioni e sullo sviluppo di risposte comportamentali alternative a vissuti negativi di ansia o di depressione. Contemporaneamente i genitori e gli insegnanti dovrebbero essere formati in modo più specifico sulle problematiche emotive del ragazzo. Se, oltre all’ ADHD, si osservano comportamenti oppositivi o aggressivi, la formazione dei genitori e degli insegnanti diventa prioritaria visto che questi si trovano spesso nella condizione di non saper affrontare le infrazioni alle regole e reagire alle frequenti provocazioni. Nel caso, infine, di compresenza di altri disordini cognitivi (disturbi di apprendimento o livelli intellettivi ai limiti inferiori della norma) è necessario accompagnare un training specifico su alcune abilità scolastiche (lettura, scrittura, soluzione di problemi aritmetici, comprensione del testo, studio). Non si tratta semplicemente di fare lezioni di ripasso ma di proporre modalità alternative per affrontare compiti cognitivi che per il bambino sono di difficile esecuzione. In ambito psicopedagogico ci sono numerose proposte di training riabilitativi su specifici aspetti cognitivi che causano ritardi di apprendimento scolastico.
Anche le caratteristiche genitoriali determinano la tipologia di intervento multimodale. Spesso i familiari presentano problemi relazionali non direttamente conseguenti alle difficoltà create dal figlio ADHD, in questo caso non è opportuno confondere il parent training con una terapia familiare: il primo mira esclusivamente a fornire ai genitori gli strumenti per la gestione e l’educazione del bambino, la seconda, invece, può prendere in esame tutte le problematiche derivanti da un rapporto
coniugale conflittuale. Il grado di coinvolgimento dei genitori nel trattamento dei bambini con ADHD dipende anche dal livello di comprensione: genitori di basso livello socio-culturale non riusciranno ad usufruire pienamente di un parent training; perciò diventa molto più utile lavorare più direttamente con la scuola, ed eventualmente con il ragazzo, se anch’egli non presenta livelli intellettivi ai limiti inferiori della norma. Proprio nei casi in cui la famiglia non ha le risorse per usufruire di un intervento psico-educativo, l’uso dei farmaci può essere di notevole aiuto, visto che questi richiedono una partecipazione ridotta della famiglia, dal punto di vista psicologico.
Come già accennato, anche la scuola ha un ruolo fondamentale in questo processo terapeutico; molto spesso insegnanti comprensivi e sensibili sono in grado di favorire un buon esito del trattamento. Il terapeuta deve essere in grado di riconoscere la qualità di questo rapporto e lavorare sensibilmente per fare in modo che si evitino reciproche colpevolizzazioni tra insegnanti e genitori e si strutturi almeno un clima di collaborazione e reciproco rispetto. Nel caso in cui quest’obiettivo sembra molto difficile da raggiungere è necessario considerare la possibilità di fare riunioni con la contemporanea presenza dei genitori e degli insegnanti, al fine di stabilire e concordare obiettivi comuni, prima di procedere con interventi specifici.
5.2 Terapie Farmacologiche
I farmaci registrati in Italia per la terapia farmacologica dell’ADHD sono il
Metilfenidato
somministrato in base al peso corporeo, mediamente 0,3-0,6 mg/kg/dose in due – tre dosi die, e l’Atomoxetina somministrata in base al peso corporeo, mediamente 1.2 mg/kg/dose in singola dose giornaliera (raramente in due dosi dimezzate).
Il farmaco di scelta è il Metilfenidato somministrato in base al peso corporeo, mediamente 0,3-0,6 mg/kg/dose in due – tre dosi die.
5.2.1 Farmacologia clinica del metilfenidato
Il metilfenidato, appartiene alla classe degli psicostimolanti, e è uno dei farmaci attivi sul Sistema Nervoso Centrale maggiormente studiati ed utilizzati in età evolutiva. E’ considerato a tuttoggi la terapia farmacologia di riferimento per bambini, adolescenti ed adulti con ADHD. Tutti gli psicostimolanti inibiscono la ricattura (reuptake) sinaptica delle monoamine bloccando il trasportatore presinaptico; alcuni ne stimolano anche il rilascio dalle terminazioni sinaptiche.
Meccanismi d’azione.
1. Blocco del reuptake delle monoamine. A differenza dell’amfetamina, il metilfenidato inibisce in
maniera specifica i trasportatori sinaptici per la dopamina (DAT) e la noradrenalina e, come la cocaina, presenta minimi effetti sul rilascio sinaptico di monamine e sui meccanismi d’accumulo e rilascio dalle vescicole sinaptiche. Il metilfenidato tende a rimanere legato al DAT più a lungo (ore anziché di minuti) rispetto alla cocaina: tale meccanismo e’ stato invocato per spiegare la minore potenzialità di dipendenza tra i due farmaci (vedi oltre). Si e’ comunemente ritenuto che il metilfendato, come la cocaina e differentemente dall’amfetamina, mostrasse una maggiore affinità per il sistema dopaminergico rispetto al sistema noradrenergico. Studi recenti, condotti nell’animale da esperimento
utilizzando tecniche di microdialisi cerebrale, hanno dimostrato che, in alcune aree cerebrali quali
l’ippocampo, il metilfenidato a basse dosi (inefficaci a modulare la funzione dopaminergica nel nucleo accumbens) e’ in grado di modulare i livelli extraneuronali di noradrenalina. A dosi terapeutiche il
metilfenidato e la destroamfetamina, non mostrano pressoché alcun effetto sul sistema
serotoninergico. Il metlfenidato, a differenza dell’ amfetamina, non e’ in grado di inibire l’attività’ delle monoaminossidasi (MAO), principali enzimi catabolici per le monoamine, non aumentando quindi i livelli sinaptici di neurotrasmettitore.
2. Modulazione dei livelli sinaptici di dopamina. Fisiologicamente il rilascio di dopamina nello spazio sinaptico avviene sia in maniera pulsatile o “fasica” durante l’impulso nervoso che in maniera “tonica”, non-pulsatile durante l’intervallo tra impulsi nervosi. I livelli extracellulari di dopamina sono regolati inoltre dalla ricattura della dopamina mendiante DAT e dai recettori presinaptici (autorecettori) che, quando stimolati, bloccano l’ulteriore rilascio della dopamina da parte del neurone. Il rapido aumento dei livelli di dopamina extracellulari determinato dal rilascio fasico correlato all’impulso nervoso viene
controbilanciato attraverso tre meccanismi: a) rapida diffusione della dopamina dalla spazio sinaptico (e successiva degradazione da parte di XXX e COMPT extra neuronali), b) ricattura della dopamina da pare del DAT situato sulla membrana presinaptica, c) inibizione dell’ulteriore rilascio dovuto all’azione della dopamina sull’autorecettore.
Basse dosi di psicostimolanti sono in grado di aumentare i livelli tonici di dopamina bloccando la ricattura del neurotrasmettitore mediato da DAT. Durante il rilascio fasico impulso-dipendente, la persistenza di livelli elevati di dopamina dovuti Il blocco del DAT fa si che si attivino gli autorecettori
presinaptici impedendo un ulteriore rilascio. La differenza tra livelli di dopamina basali e quelli
misurabili nei millisecondi successivi allo stimolo nervoso risulta di circa 60 volte negli animali di
controllo (4 vs 250mM) ma solo di 20 volte negli animali trattati con basse dosi (0.5 mg/kg) di
amfetamina (25 vs 500mM). L’effetto comportamentale netto, dovuto a tale differenza, e’ quindi una diminuzione dell’attività’ motoria e piuttosto che un aumento. Animali da laboratorio in cui è disunita la sintesi di DAT di circa l’80% di animali (knock-down per il DAT) mostrano livelli extracellulari di dopamina più elevati, normale attività motoria in ambiente conosciuto ma iperattivita’ motoria e deficit dell’adattamento (mancata diminuzione dell’attività’ motoria per esplorare l’ambiente) in ambienti nuovi e sconosciuti. In questi animali la somministrazione di psicosimolanti (amfetamina) e’in grado di diminuire l’iperattivita’ motoria: tale effetto permane anche a dosi che provocano iperattivita’ e stereotipe negli animali di controllo. Ciò indica che psicostimolanti possono modulare un sistema neurotrasmettitoriale in maniera pressoché opposta a seconda dello stato funzionale del sistema. Sono in pratica in grado di attivare un sistema ipofunzionante e di deprimerlo quando risulti iperfunzionante.
3. Effetti sulle funzioni esecutive. Negli ultimi 10 anni numerosi studi neuropsicologici e di neuroimaging hanno permesso di definire le caratteristiche anatomiche e funzionali dei circuiti neuronali dell’attenzione che possono essere suddivisi in tre sottosistemi: di allerta, di orientamento e di controllo esecutivo. Il sistema di controllo esecutivo coordina le risposte multiple e specifiche necessarie per identificare la presenza di un obbiettivo, e dirigere le azioni necessarie al suo raggiungimento, attivando e inibendo specifiche attività mentali, ordinando risposte multiple e verificandone l’appropriatezza per il raggiungimento dell’obbiettivo stesso. Il sistema di controllo esecutivo e’ localizzato in diverse aree della corteccia prefrontale, nella circonvoluzione anteriore del
cingolo e comprende i nuclei della base: permette di programmare ed eseguire comportamenti
indipendenti e finalizzati. Modulandoli sulla base del “quando” e “se” , piuttosto che sul “che cosa” o “come”. Le catecolamine modulano le funzioni di tutti questi sistemi: nell’animale da laboratorio sia dopamina che noradrenalina diminuiscono l’attività’ spontanea dei neuroni della corteccia frontale e la risposta a nuovi stimolazioni aspecifiche, aumentando la capacità di risposta a stimoli specifici. Nella corteccia prefrontale gli effetti della stimolazione sia noradrenergica (attivazione dei recettori alpha 1) che dopaminergica (attivazione dei recettori D1, ed in parte dei D2) mostrano un andamento a “U rovesciata”. Sia una stimolazione molto bassa che una troppo elevata (come ad esempio quella noradrenergica durante lo stress intenso) compromettono la modulazione dell’attenzione sostenuta,
iperfunzionanti spiegherebbe come tali farmaci possono modulare le capacità di attenzione,
autoregolazione e memoria di lavoro in individui in cui tali funzioni siano compromesse come i bambini adolescenti ed adulti con ADHD, indipendentemente dal sottotipo clinico e dalle cause che abbiano determinato il disturbo.
5.2.3 Farmacocinetica del Metilfenidato.
1. Assorbimento ed emivita. L’assorbimento gastrointestinale del metilfenidato, e’ rapido e pressoché completo. La somministrazione orale di metilfenidato induce un picco plasmatico dopo una-due ore con emivita di eliminazione di 3-6 ore: il farmaco inizia a mostrare la sua attività clinica dopo circa mezz’ora dalla somministrazione orale, raggiunge il picco di attività dopo un’ora, per una durata terapeutica dura circa 2-5 ore. Il metilfenidato viene quindi solitamente somministrato 2-3 volte al giorno. Esiste peraltro un a notevole variabilità di risposta clinica tra i singoli individui e l’efficacia non appare correlata con i livelli plasmatici del farmaco.
2. Metabolismo. Il metilfenidato presenta invece un rilevante metabolismo epatico (effetto di primo passaggio) dove viene idrolizzato a livello epatico prima di raggiungere il circolo. La maggior parte del
farmaco viene de-esterificato ad acido ritalinico ed in misura minore metabolizzato a paraidrossi-
metilfenidato. Il significativo effetto di primo passaggio spiega perché la somministrazione parenterale (endovenosa o inalatoria) modifica significativamente gli effetti clinici del farmaco che divengono simili a quelli della cocaina. Non sono state messe in evidenza interazioni tra amfetamina o metilfenidato ed i farmaci che interferiscono con il sistema degli enzimi microsomiali epatici quali gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina.
3. Enantiomeri
Il metilfenidato e’ una amina secondaria con due atomi di carbonio asimmetrici. Può quindi esistere in quattro forme isomeriche: d-treo, l-treo, d-eritro e l-eritr. Inizialmente il metilfenidato in commercio era costituito per l’80% da dl-eritro e per il 20 % da dl-treo. Poiché solo gli isomeri treo sono attivi, le preparazioni attualmente in commercio non contengono più forme eritro- responsabili invece degli effetti cardiovascolari. Poiché il metilfenidato subisce un intenso metabolismo al primo passaggio epatico, i derivati idrossilati potrebbero presentare una significativa stereospecificita’ nel modulare sia efficacia clinica che gli effetti indesiderati. Nel ratto l’isomero d-treo risulta più potente rispetto alla forma l-treo nell’indurre iperattivita’motoria e inibizione del reuptake di dopamina e noradrenalina. Recentemente e’ stata presentata alla Food and Drug Administration degli Stati Uniti la richiesta di autorizzazione alla commercializzazione di una preparazione di d-treo metilfenidato. Studi preliminari indicano che tale preparazione mostra una durata d’azione di 8-12 ore e non presenta effetto – rebound da fine dose.
4. Effetti collaterali e controindicazioni degli psicostimolanti
Gli effetti collaterali associati all’uso del metilfenidato sono comuni a tutti gli psicostimolanti e sono in genere modesti e facilmente gestibili. I più comuni sono diminuzione di appetito, insonnia ed
epigastralgie: l'insonnia può essere prevenuta evitando le somministrazioni serali, la mancanza di
appetito e i disturbi gastrointestinali somministrando il farmaco dopo i pasti. Quando il farmaco è somministrato correttamente, perdita di peso o ritardo dell'accrescimento, cefalea e dolori addominali sono rari, temporanei e raramente impongono la modifica o la sospensione della terapia. Il ritardo della crescita (sia in peso che in altezza), rilevabile in alcuni soggetti, è generalmente considerato come temporaneo, nella gran parte dei casi. Recenti studi di decorso suggeriscono, però, differenze significative nelle curve di crescita di bambini ADHD trattati con psicostimolanti per almeno 24 mesi rispetto a quelli che non avevano mai assunto psicostimolanti, suggerendo l’opportunità di un attento controllo degli indici di crescita dei bambini in terapia protratta con metilfenidato. Gli psicostimolanti possono anche indurre o peggiorare movimenti involontari, tic ed idee ossessive: occorre peraltro considerare che in numerosi studi l’incidenza d’insonnia e tic non e’ risultata superiore a quella riscontrata con placebo.
Il metilfenidato può indurre palpitazioni, aritmie, cianosi, tachicardia. Sono stati riportati alcuni casi di arterite cerebrale (Thomall 2006; Xxxxxxxxxxxxxxxx 0000; Xxxxxxx 1988) e sette casi documentati di morte improvvisa in bambini che assumevano metilfenidato (FDA 2005) pari a 1 su 10 milioni di prescrizioni (prevalenza non significativamente diversa da quella della morte improvvisa spontanea). Poiché nei casi di morte improvvisa da amfetamina sono state riportate concomitanti anomalie strutturali del sistema cardiovascolare (es. origine anomala o stenosi congenita dell’arteria coronarica, ipertrofia valvolare o miocardica) ovvero storia familiare di aritmie ventricolari, un’attenta raccolta anamnestica comprendete storia familiare di patologia cardiovascolare precoce o episodi sincopali durante esercizio fisico (nel caso consultare il cardiologo!), dovrebbe sempre precedere la prescrizione degli psicostimolanti. L’ECG deve essere eseguito prima dell’inizio della terapia farmacologica per escludere alterazioni del tracciato clinicamente silenti.
Gli psicostimolanti possono indurre variazioni rapide del tono dell’umore (disforia) con aumento o diminuzione dell’eloquio, ansia, irritabilità, talvolta appiattimento affettivo. Questi sintomi sono più frequenti negli adulti che assumono psicostimolanti; nei bambini, dosi elevate di farmaco possono indurre, paradossalmente, sedazione e diminuzione delle capacità d’apprendimento. Occorre peraltro considerare che tale bassa incidenza di effetti collaterali emerge da studi a breve termine anche se su un elevato numero complessivo di bambini: gli studi di tossicità a lungo termine (anni) sono ancora limitati.
5. Tossicologia
Studi di tossicità animale hanno mostrato come alte dosi di stimolanti (25 mg/kg di amfetamine s.c. nel ratto vs 0.3- 0.5 mg/kg nel bambino) possono indurre alterazioni dei terminali serotoninergici e dopaminergici in aree specifiche del Sistema Nervoso Centrale. Altre evidenze mostrano che, almeno negli animali adulti, tali alterazioni sono rapidamente reversibili. Recentemente e’ stato dimostrato che dosi simili a quelle utilizzate in clinica (2 mg/kg) di metilfenidato somministrate per lungo tempo per
via orale possono causare in animali molto giovani (prepuberi), ma non in animali adulti, una
diminuzione persistente (mesi) e selettiva della densità dei DAT a livello striatale. Il significato clinico di questo dato e’ ancora controverso.
Altri studi mostrano che dosi elevate (oltre 40mg/kg per due anni) di metilfenidato possono indurre tumori epatici nei roditori (Xxxxxxx & Xxxxxx 1995), ma tale evenienza non e’ mai stata riferita nell’uomo. Il NIH Consensus Statement sull’ADHD suggerisce cautela nell’uso di dosi estremamente alte di psicostimolanti indicando peraltro che dosi circa trenta volte superiori a quelle utilizzate nei bambini (intossicazione grave) potrebbero produrre tali effetti tossici (NIH 1998).
6. Potenziale d’abuso
Nei bambini, gli effetti terapeutici degli psicostimolanti non diminuiscono con l’uso prolungato, l'abuso
e la dipendenza sono praticamente inesistenti. Ciononostante, il numero elevato di bambini ed
adolescenti con ADHD che assumono psicostimolanti per periodi prolungati ha stimolato numerosi studi per verificarne, nell’animale da esperimento, il potenziale di abuso.
Nei roditori, una delle conseguenze della somministrazione ripetuta di sostanze amfetamino-simili e’ costituito dall’incremento di alcuni comportamenti indotti da stimolanti (attività motoria, attività esploratoria anche in ambiente conosciuto, stereotipie) in risposta a somministrazioni ripetute. Tale aumento, che tende a persistere anche dopo periodi prolungati di astinenza, viene definito sensibilizzazione comportamentale ed e’ stato suggerito che tale processo possa essere implicato nello
sviluppo della dipendenza. Lo sviluppo della sensibilizzazione comportamentale e’ stato
estensivamente dimostrato per somministrazioni di dosi medio-alte di amfetamina e cocaina; al
contrario pochi studi hanno misurato gli effetti di somministrazioni ripetute di metilfenidato ed i risultati di questi studi appaiono controversi.
La comparsa della sensibilizzazione da metilfenidato appare modulata da diversi fattori quali le dosi del farmaco, la via di somministrazione (orale o parenterale: si veda il paragrafo sul metabolismo), il pattern e la durata delle somministrazione, il contesto ambientale in cui la somministrazione avviene: gabbia abituale o ambiente sconosciuto (open-field), stato di attività dell’animale (es. correlata al ciclo luce o buio). Somministrazioni parenterali ripetute di basse dosi di metilfenidato (0.5 mg/kg) possono indurre nel ratto sensibilizzazione comportamentale cui corrisponde un aumento significativo di release di noradrenalina nell’ippocampo (ma nessuna modificazione dei livelli extacellulari di dopamina
nell’accumbens): tali effetti sono stati misurati in animali adulti, mentre non esistono studi che utilizzino la somministrazione orale in animali molto giovani.
L’estrapolazione di questi dati all’uomo, e al bambino in particolare, e’ difficile: esistono pochissimi studi su animali molto giovani e nessuno sui fenomeni di sensibilizzazione comportamentale in modelli animali di ADHD. Sebbene sia metilfenidato che cocaina bloccano il trasportatore per la dopamina ed il metilfenidato risulti più potente della cocaina in tale azione farmacologia, studi effettuati nell’uomo mediante Tomografia ad Emissione di Positroni (PET), mostrano importanti differenze farmacocinetiche e farmacodinamiche tra i due composti: quando il metilfenidato viene assunto con dosi e modalità (via orale) “terapeutiche” presenta una cinetica marcatamente differente da cocaina ed amfetamina assunte per via parenterale e mostra minore o nessuna capacità di indurre euforia con potenziale d’abuso significativamente inferiore (Xxxxxx & Xxxxxxx 2003). Esistono alcune evidenze (rapporti di polizia) che modeste quantità di metilfenidato possono essere utilizzate in maniera illecita (per via parenterale), ma i tassi di uso illegale di metilfenidato sono molto bassi.
Una metanalisi dei dati di letteratura a tutt’oggi disponibili, indica che, indipendentemente dall’eventuale sensibilizzazione al metilfenidato, l’esposizione precoce al trattamento farmacologico di bambini con ADHD, piuttosto che favorire, previene l’abuso di sostanze psicotrope in adolescenza o in giovane età adulta (Xxx Xxxxx 1.9; Xxxxxx et al. 2003). Possibili meccanismi di tale effetto protettivo includono: riduzione dei sintomi dell’ADHD, sopratutto dell’impulsività, miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni con coetanei e adulti di riferimento, possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il disturbo antisociale di personalità (Xxxxxx et al. 2004).
5.2.4 Farmacologia clinica dell’atomoxetina
Meccanismo d’azione: Blocco selettivo del reuptake della noradrenalina
L’Atomoxetina, è un inibitore selettivo della ricaptazione della noradrenalina a livello presinaptico, con minima attività sui trasportatori di altre monoamine quali dopamina o serotonina.
Poiché in corteccia cerebrale, ma non nello striato né nell’accumbens la dopamina viene ricatturata anche, se non principalmente, dal trasportatore per la noradrenalina (Xxxxxxx et al. 1990 Xxxxx et al. J neuroscience 2002), il blocco del trasportatore della noradrenalina induce, in corteccia ma non in altre aree cerebrali, un aumento dei livelli extracellulari di sia di noradrenalina che di dopamina (Bymaster et al. 2002, Xxxxxxx et al. 2006). Ciò comporta una modulazione delle funzioni cognitive della corteccia prefronatale ma nessuna interferenza apparente con i sistemi dopaminergici mesolimbici (n. accumbens) con conseguente assenza di potenziale d’abuso, né con quelli mesostriatali, con assenza di interferenza sui meccanismi di regolazione del movimento involontario.
Farmacocinetica
1. Assorbimento
L’atomoxetina è assorbita rapidamente dopo somministrazione orale ed il cibo influisce poco su tale
assorbimento. La concentrazione plasmatica massima di farmaco è raggiunta dopo 1-2 ore, con
un’emivita plasmatica di eliminazione di circa 5 ore. Malgrado tale breve emivita plasmatica, il farmaco esercita effetti clinici prolungati nell’arco delle 24 ore, per cui è possibile ricorrere ad un’unica somministrazione giornaliera. Dopo somministrazione ripetuta di una singola dose giornaliera e’ stata
misurata una persistente diminuzione dei livelli plasmatici del principale metabolita cerebrale della
noradrenalina (Didirossi fenilglicole, DHPG): indicando che la ricattura della noradrenaliina e quindi il suo metabolismo intraneuronale rimangono inibiti più a lungo della persistenza del farmaco nel plasma (Biek et al. 2005), permettendo un’unica somministrazione giornaliera.
2. Metabolismo
L’Atomoxetina si lega per il 98% alle proteine plasmatiche, ed è metabolizzata
nel fegato dal
citocromo P450 2D6. In caso di somministrazione contemporanea di atomoxetina con inibitori del CYP2D6, come fluoxetina, paroxetina o chinidina, il catabolismo del farmaco è più lento. Una frazione della popolazione, costituita dal 7% dei Caucasici e dal 2% degli Afro-Americani, sono caratterizzati da isoforme meno efficienti del citocromo P450 2D6 (metabolizzatori lenti). Nei metabolizzatori lenti, l’emivita di atomoxetina può arrivare a circa 20 ore, producendo picchi di concentrazione di farmaco fino a 5 volte maggiori. Sebbene di norma, a parità di dose assunta, nei metabolizzatori lenti non siano stati osservati maggiori effetti indesiderati rispetto ai metabolizzatori rapidi, particolare attenzione deve essere prestata all’associazione con altri farmaci inibitori del CYP2D6. Il principale metabolita ossidativo di atomoxetina è rappresentato da 4-idrossi-atomoxetina, che viene glucuronidata. Questo metabolita inibisce con la stessa potenza dell’atomoxetina il trasportatore della noradrenalina, ma è presente in concentrazioni molto basse nel plasma (1% della concentrazione di atomoxetina nei metabolizzatori rapidi e 0,1% della concentrazione di atomoxetina nei metabolizzatori lenti). L’Atomoxetina viene escreta principalmente come 4-idrossi-atomoxetina-O-glucuronide, fondamentalmente con le urine (oltre l’80% della dose) e, in minor proporzione, nelle feci (meno del 17% della dose). Meno del 3% della dose di atomoxetina viene escreta in forma immodificata (Suer et al. 2005)
1. Risposta clinica
L’efficacia di atomoxetina sui sintomi dell’ADHD è stata esaminata in numerosi studi clinici che hanno coinvolto più di 6000 pazienti (circa 5000 erano bambini e adolescenti). Complessivamente, tutti gli studi clinici hanno fornito l’evidenza dell’efficacia di atomoxetina, somministrata 1 o 2 volte al giorno, nel trattamento dell’ADHD. Il trattamento con atomoxetina è risultato associato ad un significativo miglioramento non solo dei sintomi cardine del disturbo ma anche del funzionamento familiare, scolastico e sociale. Ai fini della registrazione in Nord America, l’efficacia di atomoxetina sui sintomi
cardine dell’ADHD è stata dimostrata in 6 trial registrativi, randomizzati, a gruppi paralleli, in doppio- cieco verso placebo, in cui sono stati arruolati più di 1000 bambini e/o adolescenti (28, 31, 33, 34). Tutti e sei gli studi di efficacia presentavano un disegno simile, con durata di trattamento, compresa tra 6 e 9 settimane, con dosi (tra 0.5 e 2 mg/kg/die) e modalità di somministrazione (una o due volte al giorno) del farmaco variabili.
2. Azione a lungo termine e opportunità di interruzione della terapia dopo un anno
Uno studio in doppio cieco su 604 bambini ed adolescenti, di età compresa tra 6 e 15 anni, condotto dall’Azienda e presentato nel dossier di registrazione, (Xxxxxxxxx et al. 2004) ha evidenziato che
l’atomoxetina è statisticamente superiore al placebo nel miglioramento del quadro clinico e nel
prevenire le recidive a 12 e 18 mesi (Xxxxxxxxx et al. 2007). In base a questi dati è possibile che molti pazienti cui sia stata somministrata atomoxetina per un anno con buoni risultati possano consolidare nel tempo tali benifici e godere di un periodo prolungato di sospensione della terapia farmacologica.
3. Risposta in presenza di comorbità
In presenza di comorbidità, l’atomoxetina oltre che migliorare i sintomi di ADHD, migliora i sintomi d’ansia, sebbene con un effect size minore ( 0.50) di quello misurabile sui sintomi di ADHD, senza peggiorare sintomi depressivi (Xxxxxxxxxx et al. 2005) od i tic vocali o motori (Xxxxx et al. 2005)
eventualmente associati; il miglioramento degli eventuali sintomi di oppositvità/ provocatorietà
osservabile in corso di terapia con Atomoxetina appare correlato con la magnitudine degli effetti clinici sull’ADHD (Hazell 2006; Biederman 2007).
Titolazione della dose e modalità di somministrazione
La somministrazione di atomoxetina viene iniziata al dosaggio di 0,5 mg/kg/die. Tale dose dovrebbe essere mantenuta per 7 giorni, prima di essere aumentata progressivamente in funzione della risposta clinica e della tollerabilità. La dose di mantenimento consigliata è di circa 1,2 mg/kg/die (in base al peso del paziente e ai dosaggi di atomoxetina disponibili). Efficacia e sicurezza dell’atomoxetina sono state valutate in modo sistematico fino a dosi totali giornaliere di 1,8 mg/kg/die (Xxxxxxxxx et al. 2001).
Per quanto esista una variabilità individuale nel tempo di risposta al trattamento, generalmente l’effetto terapeutico di atomoxetina si manifesta appieno a partire dalla 4a settimana di trattamento. Durante il primo mese, infatti, si assiste ad una riduzione dei sintomi che diviene ancora più evidente nelle settimane successive. E’ ipotizzabile che questa gradualità nel manifestarsi dell’effetto del farmaco, che tende a rafforzarsi progressivamente, sia dovuta al sommarsi di un’azione immediata legata a variazioni neurotrasmettitoriali a livello sinaptico, e di un’azione più lenta, che si sviluppa nel tempo, sulla regolazione recettoriale. E’ quindi importante che il medico spieghi al paziente e ai suoi familiari che, a differenza del metilfenidato, l’effetto di atomoxetina si manifesta in maniera graduale e
progressiva e che è necessario aspettare uno-due mesi per una valutazione attendibile e definitiva della risposta.
Tollerabilità e sicurezza
La sicurezza a breve e a lungo termine e la tollerabilità di atomoxetina, sono stati valutati, nell’ambito degli studi clinici su 3294 bambini e adolescenti con ADHD, con più di 1700 soggetti trattati per almeno 6 mesi, 1200 trattati per almeno 1 anno e 425 trattati per più di 2 anni. La maggior parte dei
pazienti è stata trattata con una dose totale quotidiana che variava da 1.2 a 2.0 mg/kg/die. Un
numero basso, ma significativamente maggiore di pazienti trattati con atomoxetina (4.1%), rispetto a quelli trattati con placebo (1.2%), ha abbandonato il trattamento per la comparsa di eventi avversi. Il tasso d’interruzione dovuto alla comparsa di eventi avversi era sovrapponibile nei pazienti che assumevano il farmaco due volte al giorno (3.8%) e in quelli che lo assumevano in monosomministrazione (4.4%), nei pazienti con meno di 12 anni (6.0%), e in quelli con più di 12 anni
(6.1%). Una medesima tipologia e gravità di eventi avversi è stata osservata in tutti gli studi
pediatrici. Gli eventi avversi più comuni nei pazienti che assumevano atomoxetina rispetto a quelli che assumevano il placebo, comprendevano:
• Disturbi gastrointestinali. Nausea e vomito possono verificarsi all’inizio del trattamento. Si tratta, in genere, di effetti di entità lieve o moderata, di breve durata e che raramente sono stati causa di interruzione del trattamento durante gli studi clinici (Xxxxxxxxx et al. 2002).
• Riduzione dell’appetito e calo ponderale. Una percentuale di pazienti variabile, oscillante tra il 7 ed il 24% secondo gli studi, riferisce una riduzione dell’appetito all’inizio del trattamento con atomoxetina, rispetto al 6-7% dei pazienti trattati con placebo (Xxxxxx et al. 2004; Xxxxxxxxx et al. 2001, 2002; Xxxxx et al. 2005). L’effetto anoressizzante raggiunge il suo picco quando la dose viene incrementata, per poi diminuire con il tempo. La riduzione dell’appetito si associa ad un lieve calo ponderale che tende a limitarsi nel tempo. Gli effetti sull’appetito e sul peso sono dose- dipendenti.
• Sonnolenza ed astenia. Questi effetti indesiderati sono stati riportati da Xxxxxxxxx et al. (2002) nel 10,6% dei pazienti trattati e da Xxxxxx et al. (2004) nel 14,5% e nel 9,9%, rispettivamente. Xxxxx et al.(2005) hanno riferito sonnolenza nel 17% dei pazienti trattati.
• Effetti cardiovascolari. Il trattamento con atomoxetina è stato associato ad un aumento statisticamente significativo ma transitorio e non clinicamente rilevante della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. In particolare, negli studi pediatrici controllati con placebo, i pazienti trattati con atomoxetina hanno evidenziato un incremento medio della frequenza cardiaca di circa 6 battiti/minuto ed un incremento medio della pressione sistolica e diastolica di circa 2 mm Hg rispetto al placebo. Effetti analoghi sulla pressione arteriosa e la frequenza cardiaca sono stati osservati nello studio di comparazione con metilfenidato, nel gruppo di soggetti trattati con tale
farmaco. Non sono state osservate aritmie durante il trattamento con atomoxetina (Xxxxxxxx et al. 2002).
• Nei metabolizzatori lenti si verificano in genere aumenti lievemente maggiori della frequenza cardiaca e cali ponderali lievemente più marcati, ma non hanno una significatività clinica rispetto ai metabolizzatori rapidi (Xxxxxxxx et al. 2002). L’effetto anoressizzante e la sonnolenza legata al trattamento possono essere limitati diminuendo la dose, somministrando il farmaco in dosi suddivise o dopo un pasto completo, oppure somministrando il farmaco la sera.
L’osservazione di pazienti inclusi in studi clinici di durata superiore a due anni indica che gli effetti collaterali riportati più frequentemente negli studi a lungo termine sono analoghi a quelli osservati negli studi in acuto e la loro incidenza tende a ridursi marcatamente dopo i primi tre mesi di trattamento.
Potenziale d’abuso
L’atomoxetina non modifica la funzione opaminergici a livello del nucleo accumbens, suggerendo l’assenza di potenziale d’abuso. Ciò e’ stato confermato mediante studi sia su primati non umani che su consumatori non dipendenti di stimolanti. Primati non umani, cui era stato insegnato a scegliere tra acquisizione di cibo mediante leva e somministrazione endovenosa di farmaco (cocaina, metilfenidato, amfetamina, atomoxetine, desomopramina o soluzione fisiologica), preferivano il cibo ad atomoxetina o desimipramina, ma non agli psicostimolanti (Gasior et al. 2005). Soggetti umani abituati a
riconoscere gli effetti degli psicotimolanti senza essere dipendenti, erano in grado dopo
somministrazione orale in doppio cieco di riconoscere gli effetti attivanti di metilfenidato ed amfetamina, senza riportarli dopo assunzione di triazolam o atomoxetina (Lile et al. 2006).
Per un confronto dettagliato tra le diverse opzioni di terapia farmacologica possono essere utili sia le linee guida del National Institute for Clinical Excellence (NICE 2006; xxx.xxxx.xxx.xx) del Servizio Sanitario Pubblico Inglese (NHS) che le più recenti linee guida europee (Xxxxxxxxxxx et al. 2006). Utili per l’inquadramento e la gestione del bambino con ADHD le linee guida dello Scottish Intercollegiate Guidelines Network (SIGN): xxx.xxxx.xx.xx/xxxxxxxxxx/xxxxxxxx/00/xxxxx.xxxx.
Effetti indesiderati rari, ma potenzialmente gravi, dell’ atomoxetina
Dopo l’immissione in commercio di atomoxetine nel Regno Unito (2004), l’ente regolatorio britannico (Medicines and Health Care Products Regulatory Agency- MHRA) ha raccolto le segnalazioni spontanee di eventi avversi manifestatisi in persone che avevano assunto atomoxetina e le ha confrontate con le informazioni disponibili anche da altre fonti (FDA degli Stati Uniti e l’Ente Regolatorio Canadese-).
Sulla base delle segnalazioni spontanee all’MHRA, oltre i più comuni eventi avversi segnalati per
metilfenidato (nausea, vomito, cefalea, irritabilità e aggressività) per l’atomoxetina sono stati evidenziati anche : aritmie cardiache, insufficienza epatica acuta, convulsioni e ideazione suicidaria. Poiché al momento della immissione in commercio degli stimolanti i rischi dei farmaci erano stati monitorati con minor rigore rispetto alle pratiche attuali, tali eventi avversi hanno indicato l’opportunità di riconsiderare la tollerabilità anche degli stimolanti, soprattutto rispetto agli eventi avversi rari ma potenzialmente gravi sopra indicati.
1.Convulsioni.
Sebbene nessun dato degli studi pre-clinici, né alcuna evidenza ricavabile dagli studi clinici (dai quali erano però stati esclusi i soggetti con epilessia) suggerisse la possibilità di tale evento avverso, le convulsioni di natura epilettica sono state l’evento avverso serio riportato con maggiore frequenza (200 segnalazioni su un totale di 2.2. milioni di soggetti trattati). Sebbene molti dei casi riportati avevano precedentemente riferito convulsioni o assumevano farmaci potenzialmente epilettogeni, in 4
casi l’assunzione di atomoxetine era correlabile all’evento. E’ peraltro possibile che poiché la
diminuzione della soglia epilettogena e’ riportata tra le caratteristiche degli stimolanti individui predisposti siano stati trattati con atomoxetina.
Sia per l’atomoxetina che per il metilfenidato appare quindi di particolare importanza un’accurata
xxxxxxxx, prima della prescrizione ed una particolare attenzione nel monitoraggio soprattutto sei
soggetti con possibile predisposizione all’epilessia. Tali farmaci non dovrebbero essere prescritti in presenza di epilessia instabile.
2. Effetti cardiovascolari
L’atomoxetina può indurre lieve aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca che andrebbero monitorate nel corso della terapia. L’MHRA ha ricevuto segnalazioni di un prolungamento del tratto QT dell’ECG, non tali da permettere di stabilire un legame con l’assunzione del farmaco: appare peraltro opportuna particolare attenzione in caso di somministrazione contemporanea di farmaci che possano inibire il citocromo P 450 2D6 (es. fluoxetina). Tuttavia, come per tutti gli psicostimolanti è necessaria un’attenta valutazione anche anamnestica della storia cardiovascolare del paziente prima di intraprendere la terapia e un controllo della funzionalità cardiovascolare durante la cura.
Un’attenta raccolta anamnestica comprendente storia familiare di patologia cardiovascolare precoce o episodi sincopali durante esercizio fisico (nel caso consultare il cardiologo!), deve precedere la prescrizione di entrambe le classi di farmaci. L’ECG deve essere eseguito prima dell’inizio della terapia farmacologica per escludere alterazioni del tracciato clinicamente silenti.
3. Tossicità epatica.
Nel 2004 sono stati riportati 2 casi di grave tossicità epatica acuta, risoltasi dopo la sospensione ma ricomparsa, in un caso, dopo ri-somministrazione. La revisione di tutti gli eventi avversi riportati nei trenta mesi successive (nessun nuovo caso), indica che tali eventi, potenzialmente gravi, sono rari e di natura idiosincrasica (verosimilmente auto-immune), senza nessuna apparente correlazione con la durata della assunzione o la dose del farmaco. E’ da tempo nota la possibile moderata tossicità epatica degli psicostimolanti.
4. Ideazione suicidaria
Negli ultimi anni, l’FDA ha messo a punto specifiche metodiche per valutare i comportamenti suicidari indotti da farmaci nel corso degli studi clinici, basate sulla ricerca automatica di parole riportate nelle schede cliniche degli studi (es. nella sezione “commenti dell’investigatore”) riferibili ad comparsa di irritabilità o ideazioni / comportamenti suicidari. In conformità a tale approccio sono stati analizzati 12 studi con atomoxetina controllati con placebo effettuati su bambini ed adolescenti. Tra i 1357 pazienti pediatrici trattati con atomoxetina sono stati identificati 6 casi di eventi correlati a comportamento suicidario (di cui un caso di tentativo di suicidio e cinque casi di ideazione suicidaria); nessuno di tali eventi è stato rilevato nei soggetti che avevano assunto placebo. Questi numeri corrispondono ad una frequenza dello 0,44% nei pazienti trattati con atomoxetina (0.37% riguardo all’ideazione suicidaria e
0.07 per quanto riguarda il tentativo di suicidio). I bambini in cui si sono verificati questi eventi avevano un’età compresa tra 7 e 12 anni. Sebbene nessun caso di suicidio si sia verificato nei pazienti trattati con atomoxetina nel corso di studi clinici, sulla base di tali risultati è stata effettuata, in tutto il mondo, una variazione del foglietto illustrativo e del riassunto delle caratteristiche del prodotto.
Sono stai riportati al MHRA più di 400 casi di ideazione o comportamento suicidario in bambini ed adolescenti che assumevano atomoxetina: nella maggioranza dei casi i soggetti assumevano anche altri farmaci o venivano riferite altre patologie concomitanti (soprattutto disturbi dell’umore).
Tali segnalazioni non sono state mai raccolte in maniera sistematica per gli psicostimolanti, che verosimilmente potrebbero peggiorare disturbi dell’umore potenzialmente associati, inducendo comportamenti suicidari. E’ quindi raccomandabile, una valutazione attenta dello stato psichico del bambino o dell’adolescente sia prima della prescrizione (sia di atomoxetina che di psicostimolanti) che durante il follow-up.
In conformità a quanto sopra riportato, appare evidente che la decisione di intraprendere la terapia farmacologica deve basarsi sulla attenta valutazione dei rischi sia della prescrizione farmacologica (eventi avversi) che della non prescrizione: aggravamento progressivo della psicopatologia in atto con diminuzione significativa delle capacità di inserimento scolastico, lavorativo, familiare e di “funzionamento globale”, aggravamento delle eventuali comorbidità, evoluzione sfavorevole verso altra psicopatologia quale disturbo antisociale di personalità o disturbi da abuso di sostanza etc.
Prima della prescrizione sia di Atomoxetina che di metilfenidato:
-Effettuare accurato esame fisico
-Verificare la possibilità di un’anamnesi personale positiva per epilessia
-Valutazione basale di tutta la possibile psicopatologia (incluso suicidalità)
-Considerare il rischio cardiovascolare:
Cardiopatie strutturali (talvolta difficilmente riferibili o evidenziabili) Anamnesi familiare positiva per cardiopatia ad esordio precoce Indagare sempre su possibili sincopi durate esercizio fisico.
Durante il monitoraggio: indagare sulla comparsa di
-Convulsioni
-Irregolarità cardiache ( palpitazioni, sincope etc.)
-Segni di danno epatico (es. Sintomi simil-influenzali)
-Irritabilità e ideazione o comportamenti suicidari.
5.2.5 Altre terapie farmacologiche
Gli antidepressivi triciclici, gli SSRIs, gli antipsicotici, i neurolettici, le benzodiazepine e altri farmaci ad azione sul SNC vengono talora utilizzati nella terapia farmacologica di soggetti affetti da ADHD. In genere si tratta di casi di comorbidità in cui è necessario associare agli psicostimolanti, farmaci elettivi per l’ADHD, altre sostanze specifiche per le patologie associate all’ADHD.
5.3 Terapie combinate
Lo studio MTS condotto dal NIH ha dimostrato che i migliori risultati nella terapia dell’ADHD si ottengono con la terapia combinata (psico-comportamentale e farmacologica). Qualora la sola terapia psico-comportamentale non fosse sufficiente per il trattamento della sindrome, andrebbe attuata la terapia combinata, farmacologica e non farmacologica.
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