ed il contratto di convivenza
Convivenze
ed il contratto di convivenza
di Xxxxxxxx Xxxxx
Il presente contributo vuole illustrare la nuova disciplina in tema di convivenza dettata dalla legge
n. 76/2016; si tratta di una disciplina che ha suscitato più dubbi che certezze sin dalle prime interpretazioni. Particolare attenzione viene prestata al contratto di convivenza; a tal riguardo si cercherà di dare risposta alle tre questioni di fondo emerse già all’indomani dell’entrata in vigore della nuova normativa: (i) il contratto di convivenza può essere stipulato da tutti i conviventi che siano considerati tali ai sensi del comma 36 o solo dai conviventi “registrati” ossia dai conviventi che siano in grado di dimostrare il loro rapporto in forza della dichiarazione anagrafica di cui al comma 37? Il contenuto del contratto è limitato solo alle pattuizioni e indicazione riportate al comma 53 o vi è spazio per l’autonomia privata per arricchire il contenuto del contratto con altre pattuizioni? È consentito ai conviventi disciplinare in un contratto di convivenza i reciproci rapporti per il caso di cessazione della convivenza o tali pattuizioni debbono considerarsi vietate ai sensi del comma 56?
1. La convivenza nell’ordinamento
Con il termine convivenza si indica l’unione di due persone, anche dello stesso sesso, non fondata sul matrimonio o sull’unione civile ma caratterizzata dalla stabilità del rapporto, dalla solidarietà reciproca e, nel caso in cui nascano figli, anche dal loro rico- noscimento. Si tratta cioè di persone che senza spo- sarsi o senza unirsi civilmente, per loro scelta o per impedimento giuridico (come nel caso di matrimoni precedenti non conclusi con il divorzio o di unioni civili non concluse con lo scioglimento), decidono comunque di vivere insieme.
Dopo decenni di attesa, anche nel nostro ordina- mento si è giunti ad approvare una disciplina orga- nica del fenomeno della convivenza. A ciò si è provveduto con la L. 20 maggio 2016, n. 76 (meglio nota nella prassi come “legge Cirinnà”), legge, peral- tro, che ha suscitato più dubbi che certezze sin dalle prime interpretazioni. Detta legge (che si compone di un unico articolo) riserva alla convivenza i commi da 36 a 65 dell’art. 1 (mentre i primi 35 commi sono riservati all’istituto della unione civile che riguarda esclusivamente persone dello stesso sesso).
In realtà la convivenza aveva già ricevuto in passato più di un riconoscimento a livello legislativo, ma mai in un testo normativo specificamente dedicato al fenomeno della convivenza, bensì in singole
disposizioni di legge, volte a disciplinare detto rap- porto con le stesse norme o con norme analoghe a quelle relative all’unione fondata sul matrimonio, e ciò a dimostrazione che al nostro legislatore non era sfuggita, neppure in passato, la rilevanza sociale di tale fenomeno.
A tal riguardo si segnala che al rapporto di convi- venza fanno riferimento le seguenti disposizioni (tut- tora vigenti):
(i) l’art. 30, L. 26 luglio 1975, n. 354 (norme sull’or- dinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà): “Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il per- messo di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento, l’infermo”;
(ii) l’art. 337 sexies, comma 1, codice civile (in mate- ria di assegnazione casa familiare in caso di affida- mento dei figli): “Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.”;
(iii) l’art. 342 bis c.c. (in materia di ordini di prote- zione contro gli abusi familiari): “Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave
pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter”;
(iv) l’art. 408 c.c. (in materia di scelta dell’ammini- stratore di sostegno): “L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in pre- visione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenti- cata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto moti- vato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata”;
(v) l’art. 417 c.c. (in materia di istanza di interdizione o di inabilitazione): “L’interdizione e l’inabilitazione possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabil- mente convivente, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero”; (vi) l’art. 5, L. 19 febbraio 2004, n. 40 (norme in materia di procreazione assistita): “Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”;
(vii) l’art. 3, L. 1° aprile 1999, n. 91 (disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti, “Il prelievo di organi e di tessuti è consentito secondo le modalità previste dalla presente legge [...] i medici [... forniscono informazioni sulle opportunità terapeu- tiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio o, in mancanza, ai figli maggiori di età o, in mancanza di questi ultimi, ai genitori ovvero al rappresentante legale”;
(viii) l’art. 1, comma 598, L. 23 dicembre 2005, n. 266 (sulla semplificazione delle norme in materia di alie- nazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari), “per le unità ad uso residenziale va riconosciuto il diritto all’esercizio del diritto di opzione all’acquisto per l’assegnatario uni- tamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni; che, in caso di rinunzia da
parte dell’assegnatario, subentrano, con facoltà di rinunzia, nel diritto all’acquisto, nell’ordine: il coniuge in regime di separazione dei beni, il convi- vente more uxorio purché la convivenza duri da almeno cinque anni, i figli conviventi, i figli non conviventi”;
(ix) l’art. 199 c.p.p. (sulla facoltà dei congiunti di xxxxxxxsi dall’andare a deporre): “I prossimi congiunti dell’imputato non sono obbligati a deporre; (...) le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano inoltre, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’impu- tato durante la convivenza coniugale: a) a chi, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale con- viva o abbia convissuto con esso (...)”.
Si ritiene (e lo si è ritenuto anche in passato) che il rapporto di convivenza trovi un suo riconoscimento nella Costituzione, e più precisamente nell’art. 2 della Carta costituzionale, laddove si afferma che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nella formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.
La Corte costituzionale, infatti, ha avuto modo di riconoscere al rapporto di convivenza il ruolo di formazione sociale (ove l’individuo può svolgere la sua personalità) tutelata a livello costituzionale, anche se, poi, la stessa Corte ha sempre negato la perfetta equiparabilità della convivenza more uxorio alla famiglia fondata sul matrimonio. Tant’è vero che la Corte costituzionale ha utilizzato nelle sue sen- tenze (1), per definire il fenomeno, l’espressione “famiglia di fatto” ove l’inciso “di fatto” sta a marcare la differenza tra il rapporto fondato sulla convivenza e quello fondato sul matrimonio, che trova un suo esplicito riconoscimento nell’art. 29 Cost.
La rilevanza costituzionale riconosciuta al rapporto di convivenza ha indotto la giurisprudenza, in pas- sato, a estendere anche ai conviventi una serie di diritti che le varie norme di legge attribuivano solo ai coniugi.
Ad esempio:
- la Corte costituzionale (2) ha dichiarato l’illegitti- mità costituzionale dell’art. 6, comma 1, L. 27 luglio 1978, n. 392 (“Disciplina delle locazioni di immobili urbani”), nella parte in cui non prevede, in caso di morte del conduttore, il subentro nel contratto di locazione oltre che del coniuge, dei parenti e affini che con lui coabitano, anche del convivente more uxorio; ha inoltre dichiarato “la illegittimità costitu- zionale dell’art. 6, L. 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede il subentro nel contratto di
(1) Vedasi ad esempio le sentenze n. 8/1996 dell’11 gennaio 1996 e n. 140/2009 del 4 maggio 2009.
(2) Corte cost. 24 marzo-7 aprile 1988, n. 404, sent.
locazione, al conduttore che abbia cessato la convi- venza, dell’altro convivente, al quale siano stati affi- dati i figli, come, peraltro, previsto dalla legge in caso di separazione dei coniugi”.
- la Corte costituzionale (3) ha ritenuto che, nell’i- potesi di cessazione di un rapporto di convivenza more uxorio, quando vi siano figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, la casa adibita ad uso comune debba essere assegnata al genitore affidatario, essendo necessario anche in questo caso tener conto prioritariamente dell’interesse dei figli.
- la Corte di cassazione (4) ha ritenuto applicabile ai conviventi l’istituto dell’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c., considerando che un’attività lavorativa che si svolge nell’ambito della convivenza more uxorio non è di norma riconducibile a un rap- porto di lavoro subordinato.
- la Corte di cassazione (5) ha ritenuto che la dazione di beni e denaro al convivente more uxorio deve considerarsi come effettuata in adempimento di un dovere morale e sociale, nell’ambito di una nozione allargata di famiglia, e pertanto non è ripetibile.
2. La definizione della convivenza
Così definisce la convivenza, o meglio “i conviventi” la L. 20 maggio 2016, n. 76 (art. 1, comma 36): “si intendono per ‘conviventi di fatto’ due persone mag- giorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
Il comma 36, fissando i presupposti per la sussistenza stessa del rapporto di convivenza “rilevante” ai fini dell’applicabilità della disciplina dettata dalla L. n. 76/2016, finisce per non coprire tutte le possibili fattispecie di convivenza. Ne consegue che la disci- plina dettata dalla L. n. 76/2016 non si applica a qualsiasi forma convivenza ma solo a quei rapporti di convivenza per i quali ricorrano tutti i presupposti indicati nel suddetto comma 36.
In particolare la convivenza “rilevante” ai fini del comma 36 richiede:
(i) che entrambi i conviventi siano maggiorenni; è sufficiente che anche uno solo dei conviventi sia minorenne per rimanere al di fuori dall’ambito appli- cativo della L. n. 76/2016;
(ii) che la convivenza si fondi su legami affettivi di coppia; ad esempio non si avrà convivenza “rile- vante” ai fini della disciplina in commento nel caso di due persone che condividono la stessa abitazione al sol fine di ripartirne i costi di affitto e di gestione; in questo senso la convivenza della L. n. 76/2016 costi- tuisce una fattispecie specifica, più ristretta, rispetto alla figura più ampia della “convivenza anagrafica” disciplinata dall’art. 5 del regolamento di cui al D.P. R. 30 maggio 1989, n. 223 (6))
(iii) che i conviventi non siano già legati (... tra di loro
...) da rapporti di parentela, affinità o adozione; benché la norma non lo dica espressamente deve ritenersi che l’esclusione riguardi solo le persone che siano legate “tra di loro” da un rapporto di parentela, affinità o adozione, altrimenti la norma- tiva in oggetto sarebbe di fatto inapplicabile, essendo praticamente impossibile trovare un persona che non sia legata da un rapporto di parentela con altra e diversa persona; altra criticità connessa alla norma in commento deriva dal fatto che la stessa non pone limiti al grado del rapporto di parentela e/o affinità rilevante. Sul punto la scelta del legislatore appare a dir poco incomprensibile se è vero che, al contrario, l’art. 87 c.c. fissa dei limiti ben precisi alla rilevanza dei rapporti di parentela ed affinità ai fini della celebrazione del matrimonio e alla costituzione del- l’unione civile (essendo il suddetto art. 87 richiamato anche per l’unione civile). L’unica soluzione che si sembra praticabile, al fine di non estendere l’esclu- sione oltre limiti ragionevoli, è quella di ammettere, in questo caso, l’applicazione analogica proprio della disposizione sopra richiamata in tema di matrimonio e di unione civile (art. 87 c.c.).
- i conviventi non siano già legati da matrimonio o da unione civile. In questo caso la norma va letta sulla base del suo tenore letterale. Pertanto l’esclusione riguarda non solo coloro che siano legati tra di loro da matrimonio e/o unione civile (per ovvi motivi) ma anche coloro che siano legati da matrimonio e/o unione civile con altra persona, e ciò per una sorta di acclamata incompatibilità tra lo status di coniugato e/o unito civilmente e lo status di convivente. Argo- menti a favore dell’interpretazione letterale di questo inciso della norma si possono ricavare dal successivo comma 57 (che sancisce la nullità insanabile del contratto di convivenza “in presenza di un vincolo
(3) Corte cost. 6 -13 maggio 1998, n. 166, sent.
(4) Cass., Sez. lav., 15 marzo 2006, n. 5632, sent.
(5) Cass., Sez. I, 22 gennaio 2014, n. 1277, sent.
(6) Art. 5 regolamento di cui al d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223:
“Agli effetti anagrafici per convivenza si intende un insieme di
persone normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune (...)”.
matrimoniale o di un’unione civile ...”) nonché dal successivo comma 59 (che stabilisce che il contratto di convivenza si risolve per “matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona”). La L. n. 76/2016, con questa disposizione, ha posto una limitazione di non poco conto, che pone al di fuori del suo perimetro applicativo rapporti di convivenza non infrequenti nella realtà quotidiana. Ci si riferisce, in particolare, ai rapporti di convivenza tra soggetti di cui uno o anche entrambi siano separati dai rispettivi coniugi (con separazione consensuale debitamente omologata dal Tribunale, ovvero con separazione giudiziale pronunciata dal Tribunale o anche, come avviene non di rado, con separazione puramente di fatto). Non è escluso che un “separato” possa andare a convivere con altra persona (magari pure essa “separata”) creandosi tra di loro quei legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale che caratterizzano il rapporto di convivenza. Ma nonostante ciò agli stessi non potrà applicarsi la disciplina dettata dalla L. n. 76/2016, non ricorrendo tutti i presupposti prescritti dal comma 36, ed in particolare non ricorrendo la condizione della insus- sistenza del legame di matrimonio o unione civile. La separazione (anche se giudiziale o omologata), infatti, non fa venir meno il rapporto matrimoniale. Da sottolineare come il comma 36 in commento, nel dettare la definizione della convivenza non preveda tra gli elementi costitutivi della stessa né la coabita- zione né la comune residenza anagrafica: per il comma 36 sono conviventi di fatto due persone unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza, morale e materiale. Circostanza che potrebbe verificarsi anche a prescindere da una coabitazione stabile (si pensi ai soggetti che per ragioni di lavoro vivano in Comuni differenti per poi ritrovarsi e “coabitare” nei fine settimana o in alcuni periodi dell’anno o ai soggetti che pur coabi- tando per la maggior parte dell’anno, per le ragioni più svariate, decidano di mantenere residenze xxx- xxxxxxxx distinte).
La coabitazione, peraltro, se non è richiesta per poter fruire della disciplina dettata dalla L. n. 76/2016 in tema di convivenza, è invece richiesta, ai fini pura- mente anagrafici, se si vuol, conseguire la qualifica di
famiglia anagrafica di fatto e quindi la relativa certi- ficazione. L’art. 4 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 stabilisce infatti che “agli effetti anagrafici per fami- glia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abi- tuale nello stesso comune”.
Peraltro riteniamo che l’aspetto sostanziale (sussi- stenza o meno di un rapporto rilevante ai fini della
L. n. 76/2016) vada tenuto distinto dall’aspetto mera- mente anagrafico.
3. L’accertamento della convivenza
Il rapporto di convivenza così come delineato dalla L.
n. 76/2016 è un rapporto di “fatto” che sussiste al solo verificarsi dei presupposti indicati dal comma 36 (e non a caso i commi da 38 a 50 parlano di “conviventi di fatto” o di “convivenza di fatto”). Non servono particolari dichiarazioni da rendere innanzi all’Uffi- ciale dello Stato Civile così come previsto dal pre- cedente comma 2 per le unioni civili. Né servono atti costitutivi da pubblicare in Pubblici registri (ossia nei registri dello Stato Civile o dell’anagrafe). Sul punto la L. n. 76/2016 non ha innovato rispetto al passato: anche la L. n. 76/2016 ha preferito non “istituziona- lizzare” il rapporto di convivenza, valorizzando quello che è il comportamento, di fatto, tenuto dai convi- venti. Ovviamente questa scelta, se condivisibile in quanto coerente con la scelta fatta dai conviventi (che tanto hanno scelto la mera convivenza in quanto non hanno inteso sottostare agli adempi- menti formali tipici del rapporto di matrimonio o di unione civile) ha anche il suo “risvolto” negativo: la mancanza di atti costitutivi con relative loro regi- strazioni e/o pubblicazioni, potrebbe rendere non agevole la dimostrazione dell’esistenza del rapporto di convivenza (in tutte quelle ipotesi nelle quali dei diritti vengono riconosciuti anche ai conviventi). Il problema, peraltro, è stato affrontato (sia pure con risultati alquanto discutibili) dalla L. n. 76/2016 (art. 1 comma 37) che al riguardo prescrive che, ferma restando la sussidenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convi- venza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 (7) e di cui all’art. 13 (8), comma 1, lett.
(7) Art. 0, x.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000: “1. Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune. 2. Una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona.”.
(8) Art. 00, x.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000: “1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai responsabili di cui all’art. 6 del
presente regolamento concernono i seguenti fatti: a) trasferi- mento di residenza da altro comune o dall’estero ovvero trasferi- mento di residenza all’estero; b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composi- zione della famiglia o della convivenza; c) cambiamento di abita- zione; d) cambiamento dell’intestatario della scheda di famiglia o del responsabile della convivenza; e) cambiamento della qualifica professionale; f) cambiamento del titolo di studio. 2. Le
b), del regolamento di cui al D.P.R. 30 maggio 1989,
n. 223. Pertanto, ai sensi della L. n. 76/2016, il documento che attesta legalmente la convivenza è la certificazione anagrafica che deve essere rilasciata, su richiesta dell’interessato, dall’ufficio di anagrafe ai sensi dell’art. 33, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (9). L’attuale normativa in materia stabilisce che:
- agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate [...] da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune (art. 4, comma 1, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223);
- tra le dichiarazioni anagrafiche da rendersi ai sensi del regolamento anagrafico della popolazione resi- dente vi sono anche quelle concernenti la costitu- zione di una nuova famiglia o di una nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza (art. 13, comma 1, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223);
- l’Ufficiale di anagrafe rilascia a chiunque ne faccia richiesta i certificati concernenti la residenza, lo stato famiglia degli iscritti all’anagrafe nazionale della popolazione residente, nonché ogni altra informa- zione ivi contenuta (art. 33, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223).
Il Ministero degli Interni (10) ha a sua volta confer- mato che l’iscrizione delle convivenze di fatto dovrà essere eseguita secondo le procedure già previste e disciplinate dall’ordinamento anagrafico ed in parti- colare dagli artt. 4 e 13, D.P.R. n. 223/1989, come espressamente richiamati dal comma 37 dell’art. 1 della L. n. 76/2016.
Si fa presente che taluni Uffici dell’Anagrafe si stanno organizzando per l’adempimento dei nuovi obblighi discendenti dal comma 37 mediante rilascio di un certificato specificatamente denominato “cer- tificato di convivenza”. Tuttavia non può non susci- tare perplessità il procedimento individuato da tali Uffici per il rilascio di detta certificazione; il rilascio,
infatti, è previsto solo previa dichiarazione resa dagli interessati, innanzi l’Ufficiale dell’Anagrafe, atte- stante la sussistente di tutti i requisiti ritenuti a tale fine necessari: la coabitazione, la sussistenza di un legame affettivo di coppia, l’inesistenza di vincoli di parentela, affinità ed adozione e di legami discen- denti da matrimonio e/o unione civile. In pratica ciò che non ha voluto la legge (ossia la “burocratizzazione del rapporto”) lo stanno ora imponendo gli Uffici, per il rilascio della dichiarazione anagrafica ex comma 37. E tutto ciò in evidente contrasto sia con la lettera della norma (il comma 36 non richiede per l’esistenza della convivenza alcuna dichiarazione di parte al contrario di quanto fa l’art. 2 per l’unione civile) che con lo spirito della norma (che vuol mantenere il carattere fattuale del rapporto di convivenza, come si evince dalle disposizioni dei commi da 36 a 50 nelle quali, in maniera quasi ossessiva, si continua ad utilizzare accanto alle espressioni “convivenza” e/o “conviventi” la espressione “di fatto”). Con la dispo- sizione del comma 37, a nostro parere, non si voleva istituire un nuovo certificato (il c.d. “certificato di convivenza”) ma si intendeva, molto più semplice- mente, individuare una delle possibili modalità di accertamento della convivenza di fatto e ciò mediante il ricorso ad una certificazione già in uso (quale ad esempio il certificato di stato famiglia).
Desta, inoltre, più di una perplessità la scelta fatta dal legislatore di affidare la pubblicità del rapporto di convivenza (e, come si vedrà più avanti, anche del contratto di convivenza) ai registri dell’Anagrafe (la cui funzione primaria è quella di documentare il “movimento” della popolazione ed in particolare le sue variazioni numeriche) anziché ai registri dello Stato Civile (la cui funzione, invece, sarebbe proprio quella di registrare atti e fatti giudici incidenti sullo status delle persone).
Va, comunque, ribadito, che l’iscrizione anagrafica di cui al comma 37 non ha efficacia costitutiva del
dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 1 devono essere rese nel termine di venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti. Le dichiarazioni di cui al comma 1, lettere a), b), e c), sono rese mediante una modulistica conforme a quella predisposta dal Ministero dell’interno, d’intesa con l’Istituto nazionale di statistica, e pubblicata sul sito istituzio- nale del Ministero dell’interno. 3. Le dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 1 sono sottoscritte di fronte all’ufficiale d’anagrafe ovvero inviate al comune competente, corredate dalla necessaria documentazione, con le modalità di cui all’ar- ticolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Il comune pubblica sul proprio sito istituzionale gli indirizzi, anche di posta elettronica, ai quali inoltrare le dichiarazioni. 3-bis. L’ufficiale d’anagrafe provvede alla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti degli interessati, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto
1990, n. 241. 4. Le dichiarazioni anagrafiche sono esenti da qualsiasi tassa o diritto.”.
(9) Art. 00, x.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000: “1. Fatti salvi i divieti di comunicazione di dati, stabiliti da speciali disposizioni di legge, e quanto previsto dall’articolo 35, l’ufficiale di xxx- xxxxx rilascia a chiunque ne faccia richiesta, previa identifica- zione, i certificati concernenti la residenza, lo stato di famiglia degli iscritti nell’anagrafe nazionale della popolazione resi- dente, nonché’ ogni altra informazione ivi contenuta. 2. Al rilascio di cui al comma 1 provvedono anche gli ufficiali d’ana- grafe di comuni diversi da quello in cui risiede la persona cui i certificati si riferiscono. 3. Le certificazioni anagrafiche hanno validità di tre mesi dalla data di rilascio.”.
(10) Ministero degli Interni, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi demografici, circ. n. 7 del 1° giugno 2016.
rapporto di convivenza, che è e rimane un rapporto di fatto. L’iscrizione anagrafica ha puramente valenza accertativa di un rapporto in essere. Ne deriva che potrebbe sussistere un rapporto di convivenza (sog- getto alla disciplina di cui alla legge in commento) anche laddove non sia possibile ottenere la suddetta iscrizione anagrafica, come nel caso, sopra esaminato, dei conviventi non coabitanti in maniera stabile o che mantengano, comunque, la loro residenza ana- grafica in luoghi diversi (ricordiamo, infatti, che la coabitazione non è prevista tra i presupposti della convivenza nella definizione del comma 36, mentre la coabitazione è presupposto per il rilascio della certificazione anagrafica a mente del disposto del- l’art. 4, D.P.R. n. 223/1989). Rimarrà, ovviamente, per questi soggetti, proprio perché non potranno ottenere la certificazione anagrafica di cui al comma 37, il problema della dimostrazione della sussistenza del loro rapporto.
È, pertanto, nostra convinzione che la disciplina dettata dalla L. n. 76/2016 trovi applicazione a qual- siasi rapporto di convivenza “rilevante”, ossia che risponda ai requisiti di cui al comma 36, e ciò a prescindere dalle modalità di accertamento della stabile convivenza, e quindi sia nel caso in cui la convivenza risulti dalla certificazione anagrafica cui fa riferimento il comma 37 sia nel caso in cui la convivenza possa essere dimostrata con modalità e/o strumenti diversi da quelli del comma 37 (ad esempio attraverso un contratto di convivenza, anche “atipico”, visto che la possibilità per i soggetti non “registrati” di stipulare un contratto di convi- venza opponibile a terzi, ai sensi del comma 50, è tutt’altro che scontata, come si avrà modo più avanti di evidenziare). Ovviamente non torneranno appli- cabili solo quelle disposizioni che presuppongono necessariamente una residenza comune (quale ad esempio la disposizione del comma 42 sul diritto a continuare ad abitare la casa comune dopo la morte del convivente proprietario).
Se così non fosse, dovrebbe allora ammettersi che la L. n. 76/2016 ha introdotto due diverse cate- gorie di “conviventi”: (i) quella dei conviventi “registrati”, ossia con residenza anagrafica comune, costituenti “famiglia anagrafica” ai sensi dell’art. 4, D.P.R. n. 223/1989, il cui rap- porto è accertabile ai sensi del comma 37, i quali possono fruire dei diritti previsti dalla L. n. 76/ 2016 e di tutti i diritti che le leggi precedenti già avevano riconosciuto ai conviventi, ed ai quali spetta anche la possibilità di stipulare contratti di convivenza opponibili a terzi, ai sensi del comma
50; (ii) quella dei conviventi “non registrati”, il cui rapporto si conforma ai requisiti di cui al comma 36, ma per i quali non sussistono le condizioni per l’accertamento attraverso la dichiarazione anagrafica di cui al comma 37, i quali invece rimarrebbero fuori dal perimetro applicativo della L. n. 76/2013, potendo godere solo di quei diritti che le norme emanate prima della legge suddetta già avevano riconosciuto ai conviventi (norme tuttora vigenti in quanto non abrogate della L. n. 76/2016) ovvero di quei diritti che la giurisprudenza (anche della Corte costituzionale) aveva già in passato riconosciuto ai conviventi, e con possibilità di stipulare con- tratti di convivenza “atipici”, non opponibili a terzi, ma con valenza puramente “interna” limi- tata ai rapporti tra conviventi (contratti della cui legittimità e validità, se ed in quanto volti a perseguire interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, non si è mai dubitato neppure prima dell’emanazione della L. n. 76/ 2016). Il che, peraltro, renderebbe le disposizioni della L. n. 76/2016 relative alla convivenza, cen- surabili sotto il profilo della legittimità costituzionale.
A nostro parere non deve essere sopravalutata la funzione della iscrizione anagrafica, la cui valenza rispetto al rapporto di convivenza è meramente pro- batoria e non costitutiva. Fa presumere l’esistenza del rapporto, fermo restando che debbono, comunque, sussistere tutti i presupposti previsti dal comma 36. In questo senso deve essere letto l’incipit con cui si apre la disposizione del comma 37: “ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza ...”. A tal riguardo ricordiamo che, in passato, la certificazione anagrafica non sempre era stata ritenuta di per sé sufficiente ai fini del riconoscimento di uno specifico diritto a favore del convivente, soprattutto quando era necessario dimostrare una stabilità della convi- venza e una reciproca solidarietà tra i conviventi. Ad esempio era stato riconosciuto anche al convivente il diritto al risarcimento da fatto illecito concretizzatosi in un evento mortale, con riguardo sia al danno morale che a quello patrimoniale, a condizione però che fosse fornita la prova di uno stabile contri- buto economico dato in vita dal defunto al convi- vente e che risultasse concretamente dimostrato il rapporto di convivenza, caratterizzato da stabilità e da mutua assistenza, prova per la quale non erano stati ritenuti sufficienti né le dichiarazioni rese dagli inte- ressati con atto di notorietà, né le indicazioni fornite
dagli stessi alla pubblica amministrazione per fini anagrafici (11). Oggi con la disposizione dell’art. 1, comma 37, L. n. 76/2016, la dichiarazione anagrafica sarà sufficiente a dimostrare, ad ogni effetto di legge, la sussistenza del rapporto di convivenza, per il rico- noscimento al convivente dei diritti discendenti dalla stessa L. n. 76/2016 o da altre disposizioni normative, ma la presunzione di esistenza, fondata su tale dichiarazione, può venir meno qualora si dimostri che non sussistono tutti i presupposti di cui al comma 36 (come nel caso delle persone convi- venti, aventi la residenza anagrafica comune ma non legate da vincoli affettivi ma semplicemente dall’in- teresse a dividere le spese dell’alloggio).
4. I diritti spettanti ai conviventi
Questi i diritti riconosciuti dalla L. n. 20 maggio 2016, n. 76 ai conviventi (come sopra già ricordato, molti di questi diritti in realtà non sono delle novità, avendo la L. n. 76/2016 confermato diritti già rico- nosciuti da precedenti disposizioni normative, peral- tro tuttora vigenti, e/o da decisioni giurisprudenziali):
(i) comma 38: i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario. Conviventi e coniugi vengono, per- tanto, parificati per quanto riguarda i diritti che possono derivare loro dall’ordinamento penitenzia- rio. In sostanza questa disposizione non fa che con- fermare quanto anche già disposto dall’art. 30, L. n.
26 luglio 1975, n. 354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) che riconosce ai condan- nati e agli internati, nel caso di imminente pericolo di vita di un convivente, la possibilità di ottenere il permesso di recarsi a visitare l’infermo (vedi sopra sub
§ 1);
(ii) commi 39, 40 e 41: In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospe- daliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari (comma 39). Ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rap- presentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie (comma 40). La designazione è effettuata in forma scritta e
autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone (comma 41).
Anche in questo caso la L. n. 76/2016 conferma, fra le altre cose, un diritto che già la legislazione in vigore riconosce al convivente (come si può evincere dal- l’art. 82, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, dettato in tema di emergenza e tutela della salute e dell’incolu- mità fisica, che stabilisce che l’informativa e il con- senso al trattamento dei dati personali possono intervenire anche successivamente alla prestazione in caso di impossibilità fisica, incapacità di agire o incapacità di intendere o di volere dell’interessato quando non è possibile acquisire il consenso da chi esercita la potestà, ovvero da un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente ...).
Tuttavia la L. n. 76/2016 opportunamente è interve- nuta su questa delicata materia per meglio chiarire la portata dei diritti del convivente, riconoscendo allo stesso, in maniera espressa, il diritto di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali nel caso di malattia o di ricovero del partner sia in strutture pubbliche che private o convenzionate. Tale diritto, pertanto, può essere fatto valere per il sol fatto che esiste un rapporto di convivenza. Ad esempio se una persona dovesse essere ricoverata, in stato di incoscienza, in una struttura sanitaria, il convivente, che sia tale a mente del comma 36 e che dimostri il proprio status, potrà ottenere tutte le informazioni inerenti lo stato di salute del partner. La legge, invece, non considera sufficiente la sola sussistenza del rapporto di convivenza in due casi: (i) qualora di tratti di adottare decisioni in materia di salute ed il convivente sia affetto da malattia che comporta incapacità di intendere e di volere (ii) qualora, in caso di morte, si tratti di decidere in ordine alla donazione di organi, alle modalità di trattamento del corpo e alle celebrazioni funerarie.
In questi casi il convivente deve essere stato investito dal proprio partner dello specifico potere di adottare simili decisioni (con poteri pieni o anche limitati) con apposito atto di “designazione” da redigere in forma scritta ed autografa, oppure in caso di impossi- bilità di redigerla, alla presenza di un testimone. Ad esempio il convivente non può, in caso di morte del proprio partner, decidere per la sua cremazione, se tale facoltà non gli è stata attribuita con l’atto di “designazione”.
Per tale atto di “designazione” non è richiesta l’au- tentica di firma né l’atto pubblico neppure se l’inte- ressato non sia in grado di redigerlo in forma
(11) Cass., Sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725, sent.
autografa e di firmarlo, essendo sufficiente, in questo caso, la “presenza di un testimone”. In quest’ultimo caso, peraltro, posto che la “designazione” dovrà pur sempre risultare da atto scritto, e che l’interessato è nell’impossibilità di redigerlo”, l’espressione “alla presenza di un testimone” deve necessariamente essere interpretata nel senso che l’atto di “designa- zione” deve essere materialmente redatto da una terza persona (“il testimone”) che darà atto di riprodurre per iscritto quelle che sono le volontà espresse dal- l’interessato. La norma nulla dice circa i requisiti del testimone; si ritiene possa essere qualsiasi persona capace di agire (quindi, in mancanza di esclusioni poste dalla legge, anche parenti o affini dell’interes- xxxx) con la sola esclusione del convivente “desi- gnato” stante, in questo caso, l’evidente conflitto di interessi.
Si ritiene, peraltro, che la forma indicata dal comma 41 sia la forma “minima” richiesta per la validità dell’atto di “designazione”, ma che sia comunque valido un atto di “designazione” redatto in forma scritta con firma dell’interessato autenticata ovvero redatto per atto pubblico (potrebbe essere questo il caso in cui l’atto reciproco di designazione venga inserito nel contratto di convivenza di cui al comma 50, sempreché tale inclusione possa ritenersi ammissibile). La forma autografa viene richiesta dal comma 41 in tutti quei casi in cui non vi sia la “certezza” della provenienza del documento (ossia in mancanza di autentica o di atto pubblico), ma non sembra essere l’unica forma consentita (come si evince dallo stesso xxxxx 41 che consente la reda- zione da parte del “testimone”). E certamente la redazione per atto pubblico ad opera di un Notaio dà maggiori garanzie (rispetto alla redazione ad opera del “testimone”) circa la provenienza dall’interessato delle volontà ridotte per iscritto.
Con l’atto di designazione l’interessato può conferire al convivente pieni poteri (lasciando al convivente piena discrezionalità al riguardo) oppure può confe- rirgli poteri limitati (nel senso di indicare già espres- samente le decisioni che dovranno essere adottate, ovvero escludendo determinate decisioni, o ancora indicando più decisioni in via alternativa).
(iii) commi 42 e 43: salvo quanto previsto dall’art. 337 sexies x.x., xx xxxx xx xxxxx xxx xxxxxxxxxxxx xxxxx xxxx di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Xxx nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente super- stite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella
casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni (comma 42). Tale diritto vienemenonel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto (comma 43). È questa una novità rispetto alla legislazione previ- gente, una sorta di tutela per il convivente per il caso di premorienza del partner proprietario esclusivo della casa di comune di residenza. Ricordiamo, infatti, che al convivente non spettano diritti suc- cessori analoghi a quelli del coniuge ovvero dell’u- nito civilmente e che quindi non può contare, al pari di questo ultimi, sul diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare di cui all’art. 540 c.c. Pertanto se il convivente, proprietario esclusivo della casa adibita a residenza comune, non ha provveduto in vita o con testamento a riconoscere un diritto di godimento al proprio partner, quest’ultimo, alla sua morte, potrebbe essere costretto, dagli eredi legittimi o testamentari, a liberare e consegnare la casa di abitazione, in un brevissimo lasso di tempo, ed a trovarsi una nuova sistemazione.
La L. n. 76/2016 è, pertanto, intervenuta sul punto riconoscendo al convivente superstite il diritto di continuare ad abitare nella casa già destinata a resi- denza comune. Il diritto in oggetto è temporaneo in quanto la sua durata è limitata a due anni dalla morte del convivente proprietario, durata peraltro desti- nata ad aumentare:
(i) nel caso la convivenza abbia avuto una durata superiore ai due anni; in questo caso la durata del diritto di godimento è pari a quella della durata della convivenza con il limite massimo di cinque anni;
(ii) nel caso in cui con il convivente superstite coa- bitino suoi figli minori o suoi figli disabili (non necessariamente figli anche del defunto, non ponendo la norma limitazioni al riguardo); in questo caso la durata del diritto di godimento non è inferiore a tre anni; il massimo comunque è cinque anni verificandosi anche la condizione di cui sub (i). Ovviamente la disposizione in commento non tro- verà applicazione in tutti i casi in cui alla morte del proprietario la convivenza fosse già cessata ed al superstite fosse già stato riconosciuto il diritto di godimento della casa familiare con provvedimento rilasciato ai sensi dell’art. 337 sexies c.c.: è il caso dell’assegnazione della casa familiare in caso di ces- sazione della convivenza in presenza di figli; in questo caso il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli; la norma non prevede più la correlazione tra attribuzione del diritto godimento ed affidamento dei
figli (non praticabile, fra l’altro, nel caso di affido condiviso), ma pone come criterio, per la decisione del giudice, “il prioritario interesse dei figli”, il che ha portato la dottrina prevalente a ritenere che quanto meno, in via tendenziale, la considerazione di tale interesse dovrebbe condurre all’attribuzione del godi- mento della casa proprio al genitore con cui convi- vono i figli minori o i figli maggiorenni non indipendenti economicamente. Il provvedimento del giudice, ex art. 337 sexies c.c., che dispone circa l’assegnazione del godimento della casa familiare, è trascrivibile ed opponibile a terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.
Prevale tra i commentatori l’opinione che nel caso di specie si sarebbe in presenza di un “legato ex lege” (si tratterebbe pertanto dell’unico diritto di carattere successorio che la L. n. 76/2016 riconoscerebbe al convivente). Si potrebbe anche pensare, al riguardo, ad un diritto spettante al convivente “iure proprio” e non di carattere successorio (sul tipo del diritto all’indennità di fine rapporto di lavoro di cui all’art. 2122 c.c. che spetta ai congiunti del lavoratore dece- duto “iure proprio” e non quale successori mortis causa). Ovviamente aderire all’una o all’altra delle due tesi avrà poi un diverso effetto in ordine al calcolo dell’imposta di successione e quindi diverse conse- guenze di carattere fiscale. Peraltro, allo stato, sembra preferibile la tesi del “legato ex lege”.
La norma non chiarisce se il diritto a continuare l’abitazione di cui al comma 42 sia un diritto reale o un diritto personale di godimento. Riteniamo pre- feribile qualificarlo in termini di diritto personale di godimento, in quanto diritto strettamente legato alla persona del suo titolare. Tant’è vero che nella norma si parla di “diritto di continuare ad abitare” nella casa di comune residenza, evocando una sorta di riconosci- mento di un periodo “di comporto” durante il quale il convivente superstite non può essere allontanato dalla casa in cui ha abitato unitamente al defunto, e ciò per il tempo necessario affinché lo stesso possa trovare una nuova sistemazione e possa, pertanto, liberare definitivamente l’immobile. Un diritto di godimento del tutto eventuale (in quanto il convi- vente superstite vi potrebbe anche rinunciare se dispone di altra dimora), transitorio e temporaneo. Inoltre un diritto la cui durata è strettamente legata a vicende personali proprie del titolare. La durata è pari alla durata della convivenza, non inferiore a due anni o a tre anni se il superstite ha figli minori o disabili conviventi, e non superiore a cinque anni. Un diritto la cui sopravvivenza è pure legata a vicende personali ed a comportamenti del titolare: il diritto infatti
viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. Circostanze queste ultime che appaiono del tutto incompatibili con la natura reale del diritto. Appare, pertanto, più con- vincente la configurazione di tale diritto in termini di diritto personale di godimento, analogamente a quanto ritenuto con riguardo al diritto di godimento della casa familiare di cui all’art. 337 sexies c.c., diritto che presenta molte affinità con il diritto in questione (tant’è che la norma dell’art. 337 sexies c.c. è stata espressamente richiamata nell’incipit del comma 42) e che la dottrina prevalente ha qualificato in termini di diritto personale di godimento, benché ne sia prevista la trascrivibilità.
La norma in commento non prevede, al contrario della richiamata disposizione dell’art. 337 sexies c.c., la possibilità di trascrivere il diritto in oggetto, al fine di renderlo opponibile ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c. c.; né vi sarebbe un titolo per procedere alla trascri- zione se pure la si ammettesse: non vi è un provve- dimento del giudice, come nel caso dell’art. 337 sexies c.c., né un testamento, in quanto, come detto si tratta di legato previsto direttamente dalla legge (e desti- nato a tutelare il convivente proprio in mancanza di un testamento). Si tratta di un mero diritto a prose- guire, per un tempo limitato, una situazione in essere (l’abitazione della casa di comune residenza), diritto discendente direttamente dalla legge, a tutela di chi sia in grado di dimostrare il suo status di convivente rispetto al proprietario defunto al momento della sua morte. E proprio perché trova la sua fonte nella legge, questo diritto (che comunque ha una durata limitata nel tempo) è a nostro parere sempre opponibile ai terzi acquirenti (ovviamente che abbiano acquistato dagli eredi del convivente defunto entro il termine massimo di cinque anni). Riteniamo che nel caso di specie si verifica una situazione simile a quella disci- plinata dall’art. 1599 c.c., in base al quale il diritto (personale) di godimento del conduttore è opponi- bile al terzo acquirente se il contratto di locazione stipulato ha data certa anteriore all’alienazione della cosa. Anche nella fattispecie di cui all’art. 1, comma 42, L. n. 76/2016, il diritto di continuare ad abitare nella casa di residenza comune si ricollega ad un evento avente data certa (la morte - art. 2704 c.c.) e come tale può ritenersi opponibile al terzo acqui- rente che abbia acquistato il suo diritto successiva- mente alla morte dell’originario proprietario. Il tutto ovviamente nei limiti della durata massima ricono- sciuta per legge a questo diritto (5 anni; nel caso della
locazione il limite massimo di opponibilità è invece di 9 anni, a meno che il contratto di locazione non sia stato trascritto).
Ovviamente il non aver previsto la trascrivibilità di questo diritto (ad esempio su iniziativa del superstite a fronte dell’esibizione di un certificato di morte del proprietario della casa e della dichiarazione anagra- fica ex comma 37 o di altro titolo attestante la sussistenza della convivenza) ne rende particolar- mente difficoltosa la conoscibilità ai terzi acquirenti. Il terzo nel caso di acquisto di immobile di prove- nienza successoria dovrebbe verificare se il defunto conviveva con altra persona e se l’immobile in ven- dita era proprio quello destinato a loro residenza comune. Verifiche senza dubbio non agevoli per il terzo acquirente (non essendo sufficiente, per i motivi sopra esposti, una mera ricerca anagrafica). Peraltro la disposizione generale dell’art. 1375 c.c. impone agli eredi/venditori l’obbligo di informare il terzo acquirente circa l’esistenza del diritto tempora- neo del convivente superstite. In mancanza di una simile informazione, riteniamo applicabile la dispo- sizione dell’art. 1489 c.c., in base alla quale se il bene venduto è gravato da diritti personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e tali diritti non siano stati dichiarati in contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza potrà domandare la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, qualora debba ritenersi, secondo le circo- stanze, che non avrebbe acquistato il bene gravato dal diritto di godimento altrui; in caso contrario il terzo acquirente potrà ottenere una riduzione del prezzo oltre al risarcimento del danno.
(iv) comma 44: nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto. Con questa disposizione la L. n. 76/ 2016 ha recepito l’interpretazione che dell’art. 6, comma 1, L. n. 27 luglio 1978, n. 392 (“Disciplina delle locazioni di immobili urbani”), aveva dato la Corte cost. con sentenza 24 marzo-7 aprile 1988,
n. 404, sentenza con la quale la Corte aveva dichia- rato l’illegittimità costituzionale di detta norma nella parte in cui non prevedeva, in caso di morte del conduttore, il subentro nel contratto di loca- zione oltre che del coniuge, dei parenti e affini che con lui coabitano, anche del convivente more uxorio (vedi sopra sub § 1).
(v) comma 45: nel caso in cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono
godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto. Con tale norma la famiglia fondata sul matrimonio e il rapporto di convivenza vengono parificati ai fini delle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edi- lizia popolare: pertanto nello stilare dette graduatorie gli stessi punti eventualmente previsti per il fatto di appartenere ad una famiglia fondata sul matrimonio (ed ora anche sull’unione civile) debbono essere attribuiti anche a chi dimostra la sussistenza di un rapporto di convivenza (dimostrazione sempre da eseguire con la dichiarazione anagrafica ex comma 37 o sulla base di altro titolo, giusta quanto sopra precisato). La norma in oggetto, pertanto, completa quel processo di parificazione tra famiglia fondata sul matrimonio e rapporto di convivenza con riguardo alle assegnazioni di alloggi di edilizia popolare già avviato con la disposizione dell’art. 1, comma 598, L.
n. 23 dicembre 2005, n. 266 (sulla semplificazione delle norme in materia di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi per le case popo- lari), in base al quale in caso di rinunzia da parte dell’assegnatario, subentra, con facoltà di rinunzia, nel diritto all’acquisto, anche il convivente more uxorio purché la convivenza duri da almeno cinque anni”.
(vi) comma 46: al convivente che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convi- vente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incre- menti dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, com- misurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. Con questa disposizione la L.
n. 76/2016 ha recepito l’interpretazione che la Corte di cassazione (Sezione Lavoro) ha dato dell’art. 230 bis c.c., interpretazione con la quale la Corte ha ritenuto applicabile ai conviventi l’istituto dell’im- presa familiare di cui all’art. 230 bis c.c. (vedi supra sub § 1). Stranamente il comma 46 non opera una parificazione totale tra convivente e coniuge (o altro familiare), riconoscendo al primo solo il diritto ad una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, ma non anche:
(i) il diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia
(ii) il diritto a partecipare all’adozione delle decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché a quelle inerenti la gestione straordinaria, gli indirizzi produttivi e la cessazione dell’impresa (che a norma dell’art. 230 bis, comma 2, c.c. sono adottate a
maggioranza da tutti i familiari che partecipano all’impresa)
(iii) il diritto di prelazione in caso divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda.
Inoltre il diritto patrimoniale in oggetto è ricono- sciuto al convivente solo a fronte dell’opera prestata all’interno dell’impresa e non anche per l’attività di lavoro comunque prestata nella “famiglia”, come invece previsto per tutti gli altri familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado).
Forse anziché procedere al riconoscimento dei diritti del convivente introducendo nel codice civile una nuova norma (l’art. 230 ter c.c.) sarebbe stato meglio agire sul terzo comma dello stesso art. 230 bis c.c. includendo nella schiera dei “familiari” anche il convivente. Sinceramente non si capisce perché il convivente sia stato trattato peggio di un affine di secondo grado.
(vii) commi 47 e 48: la domanda per interdizione o inabilitazione si propone con ricorso nel quale debbono essere indicati il nomeecognomeela residenza del coniuge e del convivente di fatto, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado (comma 47 che sul punto modifica l’art. 712 c.p.c.) Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l’altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all’art. 404 c.c. (comma 48). Il comma 47 adegua il disposto dell’art. 712 c.p.c. alla disposizione dell’art. 417 c.c., a norma della quale l’interdizione e l’inabilitazione possono essere pro- mosse, fra gli altri, anche dalla persona stabilmente convivente.
Il comma 48 estende anche all’interdizione ed all’i- nabilitazione la disciplina già in vigore per l’ammini- strazione di sostegno; infatti già l’art. 408 c.c. stabilisce che in mancanza di designazione da parte dell’interessato, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno da scegliere in primis nel coniuge o nella persona stabilmente convivente (vedi supra sub § 1);
(viii) comma 49: in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell’indivi- duazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite. Con questa disposizione viene tradotto in norma di legge l’indirizzo adottato in materia dalla Corte di cassazione. La Corte, infatti, in passato ha avuto modo di riconoscere il diritto al risarcimento da illecito concretizzatosi in un evento
mortale anche al convivente more uxorio del defunto (vedi supra sub § 1).
(ix) comma 65: in caso di cessazione della convi- venza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convi- vente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzio- nale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438, comma 2, c.c. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, l’obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle. Il diritto disciplinato dal comma 65 sorge nel caso di cui cessi il rapporto di convivenza. Qualora uno dei due conviventi versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio manteni- mento, lo stesso potrà ricorrere al giudice per farsi riconoscere il diritto di ricevere dall’ex-convi- vente gli alimenti. Gli alimenti debbono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li richiede e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli; non debbono, tuttavia, supe- rare quanto sia necessario per la vita dell’alimen- tando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale (art. 438, comma 2, c.c. espressamente richiamato sul punto dalla L. n. 76/2016). Gli alimenti, inoltre, debbono essere assegnati per un tempo proporzionale alla durata della convivenza; pertanto più è durata la convivenza e maggiore sarà il periodo per il quale l’alimentando potrà fruire degli alimenti. Tuttavia l’ex convivente è tenuto a corrispondere gli alimenti solo se non vi provvedono i soggetti che, secondo l’ordine fis- sato nell’art. 433 c.c., vi sono tenuti prima di lui e cioè dopo (i) i figli anche adottivi o i discendenti prossimi; (ii) i genitori o gli ascendenti prossimi o gli adottanti; (iii) i generi e le nuore (il convi- vente, ai sensi della L. n. 76/2016, viene, invece, prima dei fratelli e delle sorelle). Si rammenta, inoltre, che ai sensi dell’art. 437 c.c. l’eventuale donatario è tenuto con precedenza su ogni altro obbligato a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti di donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria.
5. Il contratto di convivenza
Tra le facoltà che la L. n. 76/2016 riconosce espres- samente ai conviventi vi è quella di stipulare il
contratto di convivenza (art. 1, comma 50): “i con- viventi di fatto possono disciplinare i rapporti patri- moniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”.
Anche prima dell’entrata in vigore della L. n. 76/ 2016 la liceità e legittimità di tale contratto erano unanimemente riconosciute, trattandosi, pur sem- pre, di contratto volto a perseguire interessi merite- voli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (art. 1322, comma 2, c.c.).
Peraltro il ricorso a questo strumento consente agli interessati di disciplinare in maniera com- pleta solo gli aspetti patrimoniali del loro rap- porto, come ora espressamente riconosciuto anche dalla norma in commento (che parla di disciplina dei “rapporti patrimoniali relativi alla vita comune”).
Non consente invece una disciplina completa, tale da coinvolgere tutti gli interessi derivanti da un rap- porto di convivenza (rapporti personali, patrimo- niali, successori). Ad esempio non sarà possibile disciplinare con il contratto di convivenza (così come anche sostenuto in passato):
- i rapporti strettamente personali, che attengono alla sfera dei diritti individuali e che non possono costi- tuire oggetto di negozi giuridici;
- i rapporti successori: nel nostro ordinamento infatti vige il divieto dei patti successori e si può disporre dei propri beni solo con il testa- mento. L’art. 458 c.c., infatti, stabilisce che “è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione”.
5.1. Forma e la pubblicità del contratto di convivenza
Il contratto di convivenza, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un Notaio o da un Avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Così dispone l’art. 1, comma 51, L. n. 76/2016. Si fa presente a tal riguardo che sia l’atto pubblico che la scrittura privata autenticata costi- tuiscono titolo esecutivo (quest’ultima solo per l’adempimento di obbligazioni pecuniarie) con tutti i vantaggi che ne conseguono, in termini di semplificazione del procedimento, qualora si debba agire in giudizio per ottenere l’adempi- mento degli obblighi assunti; pertanto la stipula di un contratto di convivenza, per il quale è prescritta, a pena di nullità, la forma dell’atto
pubblico o della scrittura privata autenticata, pre- senta l’indubitabile vantaggio, per il caso di man- cato adempimento da parte di uno dei conviventi degli obblighi assunti, di consentire l’attivazione immediata della procedura di esecuzione forzata; a tal proposito si rammenta, che, giusta quanto disposto dall’art. 474 c.p.c., (i) l’esecuzione forzata può aver luogo solo in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile; (ii) sono titoli esecutivi gli atti ricevuti da notaio e le scritture private autenticate (queste ultime, peral- tro, solo relativamente alle obbligazioni di somme di denaro). Il contratto di convivenza, pertanto, consentirà al convivente che lo abbia stipulato di attivare immediatamente la procedura esecutiva senza dover ottenere il preventivo accertamento giurisdizionale del proprio diritto.
La scelta circa la forma del contratto di convivenza (atto pubblico o scrittura privata) dipende, poi, dal contenuto del contratto di convivenza che si intende stipulare; ad esempio:
(i) se dal contratto di convivenza, nell’ambito delle pattuizioni relative alle modalità di contri- buzione alle necessità di vita in comune, discen- dono non solo obbligazioni pecuniarie a favore e carico dei conviventi ma anche obbligazioni di fare o obbligazioni di consegna di beni, sarà certamente più opportuno optare per la forma dell’atto pubblico: solo in questo caso il convi- vente potrà disporre di un titolo esecutivo anche per avviare la procedura esecutiva di adempi- mento dell’obbligo di fare (art. 2931 c.c.) o di consegna del bene (art. 2930 c.c.); come sopra già ricordato la scrittura privata autenticata costituisce titolo idoneo ad attivare solo la pro- cedura forzata per recupero di somme di denaro.
(ii) se il contratto di convivenza contiene una attri- buzione da un convivente all’altro a titolo di dona- zione (ad esempio la costituzione di un diritto di usufrutto a titolo di donazione su di un bene di proprietà di un convivente) ovvero un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. (sempre che tali pattuizioni possano essere ricomprese in un contratto di convivenza), deve necessariamente risultare da atto pubblico notarile (e nel primo caso necessita anche la presenza di due testimoni).
Ai fini dell’opponibilità ai terzi del contratto di convivenza, il Notaio che ha ricevuto l’atto in forma pubblica ovvero il Notaio o l’avvocato che ne hanno autenticato la sottoscrizione debbono provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmet- terne copia al comune di residenza dei conviventi per
l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli artt. 5 (12) e 7 (13) del regolamento di cui al D.P.R. 30 maggio 1989, n.
223. Così dispone l’art. 1, comma 52, L. n. 76/2016. Da notare che la disposizione del comma 52, in tema di iscrizione del contratto di convivenza, richiama due norme del regolamento anagrafico (d.P.R. n. 223/1989), ossia l’art. 5 (rubricato “convivenza ana- grafica”) e l’art 7 (rubricato “iscrizioni anagrafiche”) diverse da quelle del medesimo regolamento anagra- fico, ossia l’art. 4 (rubricato “famiglia anagrafica”)e l’art 13 (rubricato “Dichiarazioni anagrafiche”) richia- mate invece dal precedente comma 37 per l’accerta- mento della stabile convivenza. Si tratta, fra l’altro, di norme, del tutto incongruenti con la fattispecie in oggetto, il cui richiamo, pertanto, appare quanto meno incomprensibile.
Stante il tenore letterale della norma (che parla di iscrizione “ai fini dell’opponibilità ai terzi”) deve ritenersi che la pubblicità prescritta da detta norma abbia natura di “pubblicità dichiarativa”. L’iscri- zione all’anagrafe rende, pertanto, il contratto di convivenza opponibile ai terzi, limitatamente, peraltro, a quelle pattuizioni per le quali tale oppo- nibilità sia funzionale alla realizzazione degli inte- ressi perseguiti. Ad esempio tale opponibilità appare funzionale alla scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni che, ai sensi del comma 53, lett. c), può essere contenuta nel contratto di con- vivenza. Ovviamente non ha senso parlare di oppo- nibilità ai terzi con riguardo a pattuizioni e/o indicazioni per le quali non si pone tale esigenza, come nel caso dell’indicazione della residenza, che pure, a norma del comma 53, lett. a), può essere contenuta nel contratto di convivenza. Per tali ultime disposizioni e/o indicazioni appare più cor- retto parlare di iscrizione del contratto all’Anagrafe
ai fini della sua conoscibilità più che ai fini della sua opponibilità ai terzi.
Sul punto è intervenuto il Ministero degli interni (14) precisando che la registrazione del contratto di convi- venza costituisce un adempimento nuovo, che l’ordi- namento ha configurato quale base giuridica dell’opponibilità del contratto ai terzi e che in parti- colare l’ufficiale di anagrafe del Comune di residenza dei conviventi, ricevuta copia del contratto di convi- venza trasmessa dal professionista, dovrà tempestiva- mente procedere:
- a registrare nella scheda di famiglia dei conviventi oltre che nelle schede individuali, la data ed il luogo di stipula, la data e gli estremi della comunicazione da parte del professionista;
- ad assicurare la conservazione agli atti dell’ufficio della copia del contratto.
L’art. 1, comma 55, L. n. 76/2016 stabilisce che il trattamento dei dati personali contenuti nelle certi- ficazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagra- fiche non possono costituire elemento di discrimina- zione a carico delle parti del contratto di convivenza.
5.2. Le condizioni per la stipula del contratto di convivenza
La disciplina dettata dai commi 50 ss. in tema di contratto di convivenza non è del tutto convincente e non mancano i dubbi interpretativi, che si possono sintetizzare in tre questioni di fondo, dalla cui solu- zione (in un senso o nell’altro) dipenderà il successo e la diffusione di questo negozio:
(12) Art. 0, x.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000: “1. Agli effetti anagrafici per convivenza s’intende un insieme di persone nor- malmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora abituale nello stesso comune. 2. Le persone addette alla convivenza per ragioni di impiego o di lavoro, se vi convivono abitualmente, sono conside- rate membri della convivenza, purché’ non costituiscano famiglie a se stanti. 3. Le persone ospitate anche abitualmente in alberghi, locande, pensioni e simili non costituiscono convivenza anagrafica.”.
(13) Art. 7, D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223: “1. L’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente viene effettuata: a) per nascita, presso il comune di residenza dei genitori o presso il comune di residenza della madre qualora i genitori risultino resi- denti in comuni diversi, ovvero, quando siano ignoti i genitori, nel comune ove è residente la persona o la convivenza cui il nato è stato affidato; b) per esistenza giudizialmente dichiarata; c) per trasferimento di residenza dall’estero dichiarato dall’interessato non iscritto, oppure accertato secondo quanto è disposto dall’ar- ticolo 15, comma 1, del presente regolamento, anche tenuto conto delle particolari disposizioni relative alle persone senza
fissa dimora di cui all’articolo 2, comma terzo, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, nonché per mancanza di precedente iscrizione. 2. Per le persone già cancellate per irreperibilità e successivamente ricomparse devesi procedere a nuova iscrizione anagrafica. 3. Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l’obbligo di rinnovare all’ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune di residenza, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo e, comunque, non decadono dall’iscrizione nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno. Per gli stranieri muniti di carta di soggiorno, il rinnovo della dichiarazione di dimora abituale è effet- tuato entro sessanta giorni dal rinnovo della carta di soggiorno. L’ufficiale di anagrafe aggiornerà la scheda anagrafica dello stra- niero, dandone comunicazione al questore. 4. Il registro di cui all’articolo 2, comma quinto, della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, è tenuto dal Ministero dell’interno presso la prefettura di Roma. Il funzionario incaricato della tenuta di tale registro ha i poteri e i doveri dell’ufficiale di anagrafe.”.
(14) Ministero degli Interni, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi demografici, circ. n. 7 del 1° giugno 2016.
1. Il contratto di convivenza ex comma 50 può essere stipulato solo da conviventi “registrati” o può essere stipulato anche da conviventi “non registrati”?
2. Il contratto di convivenza può contenere solo le indicazioni o pattuizioni indicate dal comma 53 o l’elencazione ivi contenuta deve ritenersi puramente indicativa e non tassativa, dovendosi riconoscere ampio spazio all’autonomia privata, con la conse- guenza che i conviventi potrebbero ben inserire nel contratto anche altri contenuti per meglio discipli- nare il proprio rapporto, purché meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico?
3. In particolare è consentito ai conviventi discipli- nare il loro rapporto anche per l’ipotesi della sua cessazione o tale pattuizione deve ritenersi vietata alla luce della disposizione del comma 56 il quale stabilisce che “il contratto di convivenza non può essere sottoposto a condizione o termine”?
In relazione alla prima delle questioni prospettate si possono ipotizzare due diverse soluzioni:
(i) il contratto di convivenza può essere stipulato solo da conviventi “registrati”, ossia iscritti tra le famiglie anagrafiche ai sensi dell’art. 4, D.P.R. n. 223/1989, come richiamato dal comma 37. Tale soluzione è sostenuta, per ovvia coerenza, da chi ritiene la disci- plina della L. n. 76/2016 (compresa quindi la dispo- sizione del comma 50) applicabile solo ai conviventi il cui rapporto sia accertabile ai sensi del comma 37. È, inoltre sostenuta anche da chi, pur considerando applicabile la disciplina dettata nei commi da 38 a 49 anche ai conviventi “non registrati”, ritiene per que- sti ultimi non possibile la stipula di un contratto di convivenza ex comma 50, in quanto vi sarebbe una stretta correlazione tra il comma 37, il comma 50 suddetto ed il successivo comma 52 il quale stabilisce che, ai fini dell’opponibilità ai terzi del contratto di convivenza, il Notaio che ha ricevuto l’atto in forma pubblica ovvero il Notaio o l’avvocato che ne hanno autenticato la sottoscrizione debbono provvedere a trasmetterne copia al comune di residenza dei convi- venti per l’iscrizione all’anagrafe. L’iscrizione del contratto di convivenza presupporrebbe la già avvenuta registrazione “anagrafica” della convi- venza ai sensi del comma 37. I conviventi “non registrati” non potrebbero, pertanto stipulare un contratto di convivenza ex comma 50, in quanto lo stesso non potrebbe a sua volta essere registrato presso i registri dell’Anagrafe; essi potrebbero, tutt’al più, stipulare contratti di convivenza “ati- pici”, non iscrivibili all’Anagrafe e non opponibili a terzi, ma con valenza puramente “interna” limi- tata ai rapporti tra conviventi.
(ii) il contratto di convivenza può essere stipulato da tutti i conviventi che siano tali a mente del comma 36, e pertanto anche dai conviventi “non registrati” ossia che non siano iscritti tra le famiglie anagrafiche ai sensi dell’art. 4, D.P.R. n. 223/1989 (come nel caso di conviventi che abbiano mantenuto diverse resi- denze anagrafiche). Tale soluzione è sostenuta da chi, come lo scrivente, ritiene l’intera disciplina della L.
n. 76/2016 (compresa quindi la disposizione dei commi 50 ss.) applicabile a tutti i conviventi il cui rapporto si conformi ai presupposti del comma 36, anche se accertabile con modalità e strumenti diversi dalla dichiarazione anagrafica di cui al comma 37 (e ciò non potendosi immaginare trattamenti diversi per coloro che comunque rientrino nella fattispecie delineata dal comma 36, pena la censura di illegitti- mità costituzionale delle norme in commento) .
Si osserva, al riguardo:
- che il comma 50 non limita affatto la possibilità di stipulare il contratto di convivenza solo a coloro che siano in grado di accertare la loro convivenza ai sensi del comma 37; fa, invece, riferimento ai “conviventi di fatto” senza porre altre condizioni;
- che il comma 53 stabilisce che il contratto di convivenza deve recare l’indicazione dell’indirizzo comunicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo; le parti possono avere, pertanto, indirizzi diversi, a conferma che per la stipulabilità di un contratto di convivenza non è necessaria la coabitazione ed una residenza anagrafica comune;
- che lo stesso xxxxx 53 stabilisce che il contratto di convivenza può (e non deve) contenere l’indicazione della residenza, a conferma, anche in questo caso, che per la stipulabilità di un contratto di convivenza non è necessaria una residenza anagrafica comune (pre- supposto quest’ultimo, per ottenere, invece, l’accer- tamento anagrafico della convivenza ai sensi del comma 37).
Per quanto concerne i rapporti tra il comma 37, il comma 50 ed il successivo comma 52, non è detto che il contratto di convivenza debba sempre ed in ogni caso risultare dalla medesima dichiarazione che ai sensi del comma 37 attesta l’esistenza stessa del rap- porto di convivenza (attraverso una sorta di “anno- tazione” a margine, come previsto per le convenzioni matrimoniali); questa potrà essere certamente la forma più semplice e più utilizzata per certificare l’esistenza del contratto di convivenza (quando ne ricorrano le condizioni), ma non sembra essere l’unica possibile, ben potendo le due risultanze xxx- xxxxxxxx (quella del comma 37 e quella del comma
52) rimanere, anche, del tutto autonome e separate (le due disposizioni suddette, ossia i commi 37 e 52, richiamano, fra l’altro, diverse norme del regola- mento anagrafico di cui al D.P.R. n. 223/1989, come sopra già evidenziato). Al riguardo si osserva che:
- il comma 52 prevede l’obbligo per il professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convi- venza di trasmetterne copia al “comune di residenza dei conviventi”: non viene richiamato il precedente comma 37 né si parla di residenza “comune” dei conviventi; la trasmissione posta a carico del profes- sionista, in base al tenore letterale della norma, può pertanto essere fatta al comune di “rispettiva” resi- denza di ciascun convivente, e quindi anche a Comuni diversi se la residenza anagrafica dei convi- venti non è fissata nello stesso luogo;
- giusta quanto precisato dal Ministero degli Interni nelle proprie istruzioni (15) il contratto di convi- venza deve essere registrato con annotazione dei relativi estremi nella scheda di famiglia (di cui all’art. 21, D.P.R. 223/1989 (16)) e nella scheda individuale (di cui all’art. 20, D.P.R. n. 223/1989 (17)). Non è, a tal riguardo, da sottovalutare la circostanza che sia stata prevista la registrazione di questo contratto non tanto nella scheda di convivenza (di cui all’art. 22, D.
P.R. n. 223/1989 (18)) quanto nella scheda di fami- glia (di cui all’art. 21, D.P.R. n. 223/1989), soprat- tutto, se si tiene conto che, a sua volta, l’art. 4 del
D.P.R. n. 223/1989, al suo secondo comma, stabilisce
che “una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona”. Conseguentemente: (i) se i con- viventi coabitano, formando un’unica “famiglia ana- grafica”, la registrazione del contratto sarà fatta nelle schede individuali di ciascun convivente e nell’unica scheda di famiglia riferita ai conviventi coabitanti;
(ii) se i conviventi hanno diverse residenze anagrafi- che, formando ciascuno una propria “famiglia xxxxxx- fica”, mono-personale, la registrazione del contratto sarà fatta nelle schede individuali e nelle schede di famiglia di ciascun convivente.
Nulla esclude, pertanto, che, per effetto del combi- nato disposto dell’art. 1, comma 52, L. n. 76/2016 e dell’art. 4, comma 2, D.P.R. n. 223/1989, possa essere rilasciato un certificato di stato famiglia, riferito ad una persona singola, nella quale siano riportati gli estremi del contratto di convivenza. Proprio attra- verso lo strumento del contratto di convivenza il soggetto “non registrato” potrebbe, pertanto, otte- nere quella dichiarazione anagrafica ex comma 37 (in questo caso non tanto un certificato di convivenza quanto un certificato di stato famiglia) cui fare rife- rimento per l’accertamento della stabile convivenza. Per questi motivi la possibilità di stipulare un con- tratto di convivenza opponibile ai terzi viene ad assumere particolare rilevanza ed importanza proprio per i conviventi “non registrati”, ai quali, pertanto, non può essere negata tale opportunità.
Si pensi poi a questa ipotesi (che potrebbe verificarsi non di rado): due conviventi, coabitanti e
(15) Ministero degli Interni, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi demografici, circ. n. 7 del 1° giugno 2016.
(16) Art. 00, x.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000: “1. Per ciascuna famiglia residente deve essere compilata una scheda di famiglia, nella quale devono essere indicate le posizioni anagrafiche relative alla famiglia ed alle persone che la costituiscono. 2. La scheda di famiglia deve essere intestata alla persona indicata all’atto della dichiarazione di costituzione della famiglia di cui al comma 1 dell’art. 6 del presente regolamento. Il cambiamento dell’intesta- tario avviene solo nei casi di decesso o di trasferimento. 3. In caso di mancata indicazione dell’intestatario o di disaccordo sulla sua designazione, sia al momento della costituzione della famiglia, sia all’atto del cambiamento dell’intestatario stesso, l’ufficiale di xxx- xxxxx provvederà d’ufficio intestando la scheda al componente più anziano e dandone comunicazione all’intestatario della scheda di famiglia. 4. Nella scheda di famiglia, successivamente alla sua istituzione, devono essere iscritte le persone che entrano a far parte della famiglia e cancellate le persone che cessino di farne parte; in essa devono essere tempestivamente annotate altresì le mutazioni relative alle posizioni di cui al comma 1. 5. La scheda deve essere archiviata per scioglimento della famiglia ovvero per la cancellazione delle persone che ne fanno parte.”.
(17) Art. 00, x.X.X. 00 xxxxxx 0000, x. 000: “1. A ciascuna persona residente nel comune deve essere intestata una scheda individuale, sulla quale devono essere obbligatoriamente indicati il cognome, il nome, il sesso, la data e il luogo di nascita, il codice fiscale, la cittadinanza, l’indirizzo dell’abitazione. Nella scheda sono altresì indicati i seguenti dati: la paternità e la maternità, ed
estremi dell’atto di nascita, lo stato civile, ed eventi modificativi, nonché gli estremi dei relativi atti, il cognome e il nome del coniuge, la professione o la condizione non professionale, il titolo di studio, gli estremi della carta d’identità, il domicilio digitale, la condizione di senza fissa dimora. 2. Nella scheda riguardante i cittadini stranieri sono comunque indicate la cittadinanza e gli estremi del documento di soggiorno. 3. Per le donne coniugate o vedove le schede devono essere intestate al cognome da xxxxxx.
4. Le schede individuali debbono essere tenute costantemente aggiornate e devono essere archiviate quando le persone alle quali sono intestate cessino di far parte della popolazione residente.”.
(18) 1. Per ciascuna convivenza residente nel comune deve essere compilata una scheda di convivenza, nella quale sono indicate le posizioni anagrafiche relative alla medesima ed a quelle dei conviventi, la specie e la denominazione della convivenza nonché il nominativo della persona che la dirige. Per ciascuna convivenza residente nel comune deve essere compilata una scheda di convivenza, conforme all’apposito esemplare predispo- sto dall’Istituto centrale di statistica, nella quale devono essere indicate le posizioni anagrafiche relative alla medesima, nonché quelle dei conviventi residenti. 2. Nella scheda di convivenza, successivamente alla sua istituzione, devono essere iscritte le persone che entrano a far parte della convivenza e cancellate le persone che cessano di farne parte. 3. La scheda di convivenza deve essere aggiornata alle mutazioni relative alla denominazione o specie della convivenza, al responsabile di essa, alla sede della stessa ed alle posizioni anagrafiche dei conviventi. 4. La scheda di convivenza deve essere archiviata per cessazione della convi- venza o per trasferimento di essa o all’estero.
debitamente registrati all’anagrafe ex comma 37, stipulano un contratto di convivenza, con scelta del regime della comunione, contratto a sua volta iscritto all’anagrafe e come tale opponibile ai terzi. Dopo qualche mese uno dei due conviventi (ad es. per motivi di lavoro) si traferisce e fissa la propria resi- denza anagrafica in altro e diverso Comune. I due conviventi non risultano più registrati come tali all’Anagrafe (la cessata coabitazione impedisce, infatti, il rilascio della certificazione ex comma 37), ma il loro rapporto di convivenza non è cessato, sussistendo comunque tutti i presupposti di cui al comma 36 (tra i quali, lo ricordiamo ancora, non vi è la coabitazione). A questo punto quel contratto di convivenza che fine fa? Il comma 59 non prevede tra le cause di risoluzione né la cessazione della coabita- zione né l’impossibilità di ottenere la certificazione di cui al comma 37. Pertanto deve concludersi che il contratto continua a produrre i suoi effetti e continua ad essere opponibile a terzi (una scelta del regime di comunione non opponibile a terzi avrebbe poco senso), pur se in essere tra conviventi “non registrati”. E poiché il contratto deve in qualche modo risultare dai registri anagrafici, ne consegue che dovrebbe essere necessariamente osservata la procedura sopra descritta (iscrizione del contratto sia nella scheda individuale che nella scheda di famiglia di ciascun convivente con possibilità di rilascio di un certificato di stato famiglia, riferito ad una persona singola, nella quale siano riportati gli estremi del contratto di convivenza).
Ovviamente, sul punto, è tutta da verificare, sul piano pratico, la disponibilità degli Ufficiali dell’A- nagrafe di adottare la procedura qui suggerita.
5.3. Contenuto del contratto di convivenza
La L. n. 76/2016 non fissa alcun diritto e dovere a favore e carico dei conviventi in ordine ai loro rap- porti patrimoniali (salvo quanto previsto nel comma 46 in ordine ai diritti spettanti in caso di prestazione d’opera all’interno dell’impresa familiare e quanto previsto nel comma 65 in tema di diritto agli alimenti in caso di cessazione della convivenza). La legge si rimette alla volontà delle parti, riconoscendo loro la facoltà di disciplinare i rapporti patrimoniali con la sottoscrizione di apposito contratto di convivenza. Il contratto di convivenza può contenere:
a) l’indicazione della residenza;
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo; al riguardo si possono ipotizzare pattuizioni volte:
(i) all’individuazione di quelle che debbono conside- rarsi spese comuni nell’ambito del rapporto di convi- venza e alla fissazione delle modalità di ripartizione di dette spese; (ii) a prevedere l’obbligo a carico di uno e di entrambi i conviventi di prestazioni di fare o di dare come modalità per contribuire alle necessità della vita comune; (iii) a prevedere un eventuale obbligo, per il convivente che percepisce un reddito, di prov- vedere al mantenimento del convivente che invece si dedica esclusivamente al lavoro domestico e alla cura di eventuali figli.
Si può anche prevedere la accensione di un apposito c/c intestato a entrambi i conviventi nel quale far confluire i contributi posti a loro carico.
Con riguardo alla disposizione in commento, che ricalca nella sua formulazione la disposizione dell’art. 143 c.c. dettata per i coniugi, ci si è chiesti se, nel fissare le modalità di contribuzione di ciascun convi- vente, debba necessariamente essere rispettato il principio di proporzionalità (in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo) così come vale per i coniugi (i quali, secondo l’opinione prevalente, non potrebbero dero- gare al principio di proporzionalità fissato dall’art. 143 c.c., in relazione a quanto anche disposto dal successivo art. 160 c.c.). Si ritiene al riguardo che i conviventi non siano tenuti al rispetto del principio di proporzionalità nel fissare i rispettivi obblighi di contribuzione alle necessità della vita comune, potendo gli stessi disciplinare come meglio credono le modalità di partecipazione ai bisogni comuni. Per i coniugi, infatti, il criterio di contribuzione deriva direttamente dalla legge, ed i coniugi non possono derogare, pattiziamente ai diritti e doveri fissati dalla legge (art. 160 c.c.). Per i conviventi nessun obbligo di contribuzione discende dalla legge; tutto è rimesso alla volontà delle parti da esprimere in un contratto di convivenza, con piena libertà, pertanto, per gli stessi di disciplinare i reciproci rapporti nel modo considerato più opportuno.
c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Mentre per i coniugi e gli uniti civilmente quello della comunione dei beni è il regime legale, ossia il regime che si instaura in man- canza di diversa volontà delle parti, per i conviventi il regime della comunione è un’opzione, che può essere fatta valere stipulando un contratto di convivenza. Se viene esercitata questa opzione saranno oggetto della comunione gli acquisti effettuati da due conviventi insieme o separatamente durante la convivenza. Si applicheranno poi tutte le altre norme dettate nella
sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile:
(i) l’art. 178 per la disciplina dei beni destinati all’e- sercizio di impresa (la c.d. comunione “de residuo”); (ii) l’art. 179 per l’individuazione dei beni e degli acquisti che rimangono esclusi dalla comunione dei beni;
(iii) l’art. 180 per la disciplina dell’amministrazione dei beni della comunione;
(iv) l’art. 181 per la disciplina applicabile in caso di rifiuto di consenso da parte di uno dei conviventi; (v) l’art. 182 per la disciplina dell’amministrazione dei beni affidata ad uno solo dei conviventi;
(vi) l’art. 183 per la disciplina dell’esclusione dal- l’amministrazione (con la precisazione che non potrà verificarsi, nel caso di convivenza, l’ipotesi di esclu- sione del minorenne, posto che la convivenza disci- plinata dalla L. n. 76/2016 può riguardare solo maggiorenni);
(vii) l’art. 184 per la disciplina degli atti compiuti senza il necessario consenso;
(viii) l’art. 186 relativo agli obblighi gravanti sui beni della comunione;
(ix) l’art. 187 relativo alla responsabilità per le obbli- gazioni personali, con la precisazione che i beni comuni non rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei conviventi prima dell’inizio della convivenza;
(x) l’art. 188 relativo alle obbligazioni derivanti da donazioni o successioni;
(xi) l’art. 189 relativo alle obbligazioni contratte separatamente dai conviventi
(xii) l’art. 190 relativo alla responsabilità sussidiaria dei beni personali;
(xiii) l’art. 191 relativo allo scioglimento della comu- nione (norma che va ovviamente adeguata al caso di specie nel senso di correlare lo scioglimento della comunione non tanto alla cessazione degli effetti civili del matrimonio o alla separazione personale o giudiziale quanto alla cessazione della convivenza, in relazione anche a quanto disposto dall’art. 1, commi 59 e 60, L. n. 76/2016);
(xiv) l’art. 192 che detta la disciplina relativa ai rimborsi ed alle restituzioni;
(xv) l’art. 193 relativo alla separazione giudiziale dei beni;
(xvi) l’art. 194 relativo alla divisione dei beni della comunione;
(xvii) l’art. 195 relativo alla disciplina del preleva- mento in sede di divisione di beni mobili;
(xviii) l’art. 196 relativo alla ripetizione del valore in caso di mancanza di beni da prelevare;
(xix) l’art. 197 relativo ai limiti al prelevamento nei riguardi di terzi.
La scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni va fatta con il contratto di convivenza (non si esclude che possa essere stipulato un contratto di convivenza il cui unico contenuto sia proprio la scelta del regime della comunione dei beni); in ogni caso per il contratto di convivenza (sia che contenga la sola scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni sia che contenga più e diverse diposizioni) la forma è sempre quella dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Stante il preciso tenore letterale del comma 51, deve escludersi, pertanto, che nel caso in cui il contratto di convivenza contenga la scelta sul regime patrimoniale debba assumere la forma dell’atto pubblico con la presenza di due testi- moni, analogamente a quanto prescritto per le con- venzioni matrimoniali dall’art. 163 x.x. x xxxx’xxx. 00 x.
x. (X. 16 febbraio 1913, n. 89). Va esclusa, infatti, qualsiasi equiparazione tra la situazione dei coniugi e degli uniti civili, che possono stipulare convenzioni matrimoniali e quella dei conviventi che tali con- venzioni non possono invece in alcun modo stipu- lare. A questi ultimi è solo consentita la stipula del contratto di convivenza in forza del quale è possibile instaurare un meccanismo di acquisto “congiunto” dei beni per la disciplina del quale vengono richia- mate le norme del codice civile in tema di comunione legale dei beni.
Per l’opponibilità ai terzi del regime patrimoniale della comunione dei beni eventualmente scelto dai conviventi con la stipula del contratto di convivenza, vale la regola generale fissata dall’art. 1, comma 52, L.
n. 76/2016: il contratto di convivenza dovrà essere trasmesso in copia a cura del Notaio rogante ovvero del Notaio e/o Avvocato autenticante per l’iscrizione all’anagrafe entro i 10 giorni successivi alla sua sti- pulazione; la sua esistenza, pertanto, dovrà risultare dalle iscrizioni anagrafiche. La completezza dei dati anagrafici e la fruibilità degli stessi (nel rispetto ovviamente delle norme di in tema di privacy) saranno, al riguardo, particolarmente importanti; la facoltà riconosciuta dall’art. 1, comma 53, lett. c), L.
n. 76/2016, imporrà, infatti, a tutti gli operatori, in sede di contrattazione, di verificare anche con riguardo a persone non coniugate e/o non unite civilmente il possibile regime patrimoniale in essere, richiedendo l’esibizione di apposita certificazione anagrafica.
Il regime patrimoniale della comunione dei beni scelto nel contratto di convivenza può essere revo- cato in qualunque momento nel corso della
convivenza con nuovo contratto avente la stessa forma del contratto originario e da sottoporre alle medesime formalità di pubblicità.
Le alternative per i conviventi sono soltanto due:
(i) o la disciplina ordinaria che vale per ogni persona che non risulti coniugata o unita civilmente (in base alla quale l’acquirente diviene unico titolare dei beni che acquista);
(ii) ovvero il regime della comunione dei beni (che richiede una scelta specifica espressa in un contratto di convivenza);
deve escludersi, invece, la possibilità di accedere ad altri regimi patrimoniali quali previsti per i coniugi o gli uniti civilmente (quali la comunione convenzio- nale o la separazione dei beni); deve escludersi anche la possibilità di stipulare un fondo patrimoniale; il comma 53 infatti richiama solo le norme della Sezione III Capo VI titolo VI del Libro primo del codice civile; la situazione che abbiamo definito di “disciplina ordinaria” non costituisce per i convi- venti il regime di “separazione dei beni”, in quanto istituto applicabile solo ai coniugi o agli uniti civil- mente. Pertanto quando il comma 54 parla di “modi- fica” del regime scelto nel contratto di convivenza in realtà più che di una modifica si tratta di una revoca della scelta fatta con ritorno a quella che è la disci- plina ordinaria applicabile a qualsiasi soggetto che non sia coniugato o unito civilmente.
Altra questione da risolvere in sede di applicazione della disciplina in commento è quella sul contenuto del contratto di convivenza e cioè se il contratto di convivenza possa contenere solo le indicazioni o pattuizioni indicate dal comma 53 o, se, al contrario vi sia maggior spazio per l’autonomia privata. Si può fondatamente ritenere, al riguardo, che l’art. 1, comma 53, L. n. 76/2016 nell’indicare il possibile contenuto di un contratto di convivenza non abbia carattere esaustivo e tassativo, ma si limiti ad indicare alcuni degli aspetti che il contratto “può” contenere, senza, peraltro, escludere la possibilità che con il contratto gli interessati possano disciplinare altri e diversi aspetti del rapporto di convivenza, sempreché le pattuizioni riportate nel contratto rispondano ai criteri di cui all’art. 1322 c.c.; ad esempio con un contratto di convivenza:
- si potrebbe disciplinare l’uso della casa adibita a residenza comune; se essa fosse di proprietà esclusiva di uno dei due conviventi, questi potrebbe ricono- scere formalmente al proprio partner il diritto a goderne e servirsene senza dover corrispondere com- penso alcuno (fissando paritarie o diverse quote di partecipazione al pagamento delle spese di
manutenzione, delle spese condominiali, delle spese per utenze domestiche);
- si potrebbero destinare uno o più beni di proprietà esclusiva o congiunta dei conviventi a far fronte ai bisogni della vita comune, costituendo apposito vin- colo di destinazione, che se riguarda beni immobili o mobili registrati in pubblici registri potrà essere tra- scritto nei Registri Immobiliari, ai fini dell’opponi- bilità ai terzi (art. 2645 ter c.c.), ottenendo i medesimi effetti che i coniugi o gli uniti civilmente possono perseguire con la stipula di una convenzione matri- moniale di costituzione di fondo patrimoniale (che, come sopra ricordato, deve ritenersi preclusa ai conviventi);
- si potrebbero formalizzare veri e propri trasferimenti di beni o diritti (ad esempio costituzione di diritti di usufrutto o abitazione) tra un convivente e l’altro a titolo di donazione ovvero a titolo di adempimento di obbligazione naturale. Se detti trasferimenti riguar- dano beni immobili, la competenza per la ricezione e/ o l’autentica del contratto di convivenza è esclusiva- mente del notaio, stante la disposizione del comma 60 a mente del quale “resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza”.
La soluzione proposta si fonda:
- sulla formulazione del comma 50: “i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”; detta norma stabilisce che col contratto di convivenza i conviventi possono disciplinare tutti i loro rapporti patrimoniali, senza eccezioni o limiti di sorta;
- sulla formulazione del comma 53 laddove stabilisce che “il contratto può contenere: ...”; tale inciso lascia chiaramente intendere che è volontà del legislatore indicare solo alcuni dei possibili contenuti del con- tratto di convivenza, senza con ciò volere porre limiti all’autonomia privata. Non si dice nella norma che il “contratto può esclusivamente contenere: ...”; né appare logico sostenere una simile limitazione sul piano interpretativo, in quanto con il ridurre il pos- sibile contenuto di questo contratto (rispetto al con- tenuto già ritenuto ammissibile in passato) si finirebbe per decretarne il sicuro fallimento sul piano operativo.
5.4. La disciplina della cessazione della convivenza
Ci si è anche chiesti se sia consentito ai conviventi disciplinare il loro rapporto per l’ipotesi della sua
cessazione o se tale pattuizione deve ritenersi vietata alla luce della disposizione del comma 56 il quale stabilisce che “il contratto di convivenza non può essere sottoposto a condizione o termine”.
Da più parti, infatti, si è esclusa tale possibilità in quanto non sarebbe possibile con il contratto di convivenza disciplinare i rapporti tra i conviventi nel caso (condizione) della cessazione della convi- venza, stante il divieto posto dal comma 56.
Noi riteniamo, invece, possibile tale pattuizione, in quanto estranea al divieto di cui al comma 56. Qui, non si tratta, di sottoporre il contratto di convivenza a condizione, e cioè al verificarsi di un evento futuro ed incerto, estraneo al rapporto di convivenza. Si tratta invece di disciplinare lo stesso rapporto di convivenza in una sua possibile evoluzione, da con- siderare in un certo senso quasi fisiologica, se si tiene conto che il rapporto di convivenza si fonda su una libera scelta dei conviventi e non su una formale assunzione di obblighi reciproci.
Inoltre l’assenza di una disciplina normativa (se si fa eccezione per la disposizione del comma 65, che prevede peraltro una tutela minimale e temporanea), da valere in mancanza di una diversa disciplina nego- ziale, potrebbe creare non poche difficoltà, proprio quando la convivenza viene a cessare, e quando uno dei due partner viene a trovarsi in una situazione di debolezza (può essere il caso del convivente che non ha conseguito redditi, essendosi dedicato esclusiva- mente al lavoro domestico e alla cura del partner e di eventuali figli). In quest’ottica il ricorso al contratto di convivenza può essere particolarmente opportuno anche (se non esclusivamente) ai fini della program- mazione per il futuro.
Se anche quello della cessazione può essere conside- rato un momento (quello finale) di un rapporto continuativo, che il contratto di convivenza si pre- figge di disciplinare nella sua totalità, dalla sua nascita sino alla sua conclusione, non si vede perché non si possano già fissare, nel contratto, le regole per la definizione dei reciproci rapporti in quel partico- lare momento della convivenza costituito dalla sua cessazione. Ad esempio i partner potrebbero già con- venire, nel contratto di convivenza, i criteri con cui procedere alla futura divisione di tutti i beni (mobili e immobili) acquistati durante la convivenza ovvero prevedere a carico di chi dispone di un reddito, l’obbligo di corrispondere all’altro, che non disponga di un reddito autonomo essendosi dedicato al lavoro domestico e alla cura del partner e di eventuali figli,
un contributo periodico (evitando quindi la necessità del ricorso al giudice ai sensi dell’art. 1, comma 65, L.
n. 76/2016) o, ancora, prevedere i criteri di riparti- zione delle spese per il mantenimento dei figli nati dal rapporto o formalizzare gli accordi per l’affidamento dei figli in relazione a quanto ora previsto dalla legge (art. 337 ter, commi 2 e 4, c.c.).
Scopo del comma 56 è evitare di far dipendere gli effetti del contratto di convivenza da eventi estranei al rapporto stesso. Ritenere applicabile il comma 56 anche alle pattuizioni volte a disciplinare la cessa- zione del rapporto svuoterebbe tale contratto proprio di un contenuto essenziale, tale da giustificarne nella maggior parte dei casi la sottoscrizione ad opera dei conviventi. Né appare logico sostenere una diversa soluzione sul piano interpretativo in quanto con il ridurre il possibile contenuto di questo contratto (con riguardo ad un aspetto il più delle volte ritenuto essenziale) si finirebbe per decretarne il sicuro falli- mento sul piano operativo.
5.5. Altri possibili contenuti del contratto di convivenza
Una volta accolta la tesi del carattere non tassativo dell’elencazione contenuta nel comma 53, possono, anche, ritenersi ammissibili le seguenti pattuizioni e/ o clausole (anche di carattere non strettamente patri- moniale ma comunque ammissibili alla luce della vigente normativa):
(i) pattuizioni ed accordi riguardanti i figli; potrà trattarsi sia delle pattuizioni inerenti il manteni- mento, l’istruzione e l’educazione dei figli, gravando su entrambi i genitori l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole (art. 30 Cost.: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori del matrimonio”) che degli accordi raggiunti in ordine all’affidamento dei figli per il caso di cessazione della convivenza. La legge, ora, prevede espressamente la possibilità di accordi tra i genitori per la suddivisione delle spese di man- tenimento dei figli (19) e per l’affidamento degli stessi in caso di cessazione della convivenza (20). Si tratterebbe, comunque, di clausole suscettibili di essere revocate e modificate al fine di perseguire l’interesse dei figli, da considerarsi sempre premi- nente rispetto all’interesse dei conviventi (ad esem- xxx l’art. 337 ter, comma 2, c.c. in tema di affidamento, stabilisce che il giudice prende atto degli accordi intervenuti tra i genitori “se non contrari all’interesse dei figli”).
(19) In questo senso l’art. 337 ter, comma 4, c.c., come intro- dotto dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154.
(20) In questo senso l’art. 337 ter, comma 2, c.c. come intro- dotto dal X.Xxx. 28 dicembre 2013, n. 154.
(ii) clausole che prevedano che, in tutti i casi di malattia fisica o psichica, anche grave, di lesioni o infortuni di ogni genere, ovvero qualora la capacità di intendere e di volere di uno dei conviventi risulti comunque compromessa, il partner abbia la facoltà di assistenza, sia in casa che in qualsiasi struttura esterna privata o pubblica, nonché ogni diritto di visita, attribuendosi inoltre, ai sensi dell’art. 82, D.Lgs. n. 196 del 2003, ogni più ampia facoltà di delega al fine di conoscere ogni dato o informazione, anche sensi- bile, riguardante lo stato di salute, le cure e le terapie a cui il convivente venga sottoposto, rendendo in tal modo più agevole l’esercizio di quello che ora è un diritto espressamente riconosciuto ai conviventi (art. 1, comma 39, L. n. 76/2016).
(iii) clausole con il quale un convivente designa l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:
- in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e volere, per le decisioni in materia di salute
- in caso di morte per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie
il tutto in conformità a quanto previsto dall’art. 1, comma 40, L. n. 76/2016.
(iv) clausole per la designazione del proprio partner quale amministrazione di sostegno. La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menoma- zione, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio. La scelta dell’ammini- stratore di sostegno da parte del giudice avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona da tutelare. Tuttavia l’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapa- cità, mediante atto pubblico o scrittura privata auten- ticata. In mancanza di ciò, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possi- bile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore in vita con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata. La nomina di un amministratore di sostegno è di fondamentale importanza per chi vuole tutelare i propri interessi, non solo
patrimoniali, ma anche di natura strettamente per- sonale, quali ad esempio gli interessi connessi alle cure sanitarie e alle terapie mediche cui sottoporsi, nel caso in cui si venga a trovare in condizioni di incapacità di intendere e volere e quindi nelle con- dizioni di non poter esprimere autonomamente la propria volontà. Potersi affidare a persona di fiducia, nel caso di incapacità, è un’opportunità da valutare seriamente al fine di evitare insidiosi vuoti decisio- nali. E la designazione reciproca dei conviventi può, a nostro parere, ben essere inserita nel contratto di convivenza e divenire una clausola caratterizzante questo contratto.
5.6. Contratto di convivenza e rapporti successori
Al convivente la legge non riconosce alcun diritto successorio (con la sola eccezione, del diritto del convivente superstite di continuare ad abitare la residenza comune in caso di morte del convivente che ne era proprietario, ex commi 42 e 43, qualificato dai più come “legato ex lege”).
Come già ricordato, a tale lacuna legislativa non si può rimediare con il contratto di convivenza, a causa del divieto dei patti successori. Si dovrà necessariamente ricorrere al testamento. Ovvia- mente nel disporre con testamento a favore del convivente, il soggetto non avrà limiti di sorta se non vi sono legittimari cui spettino diritti in ordine alla sua successione (figli o genitori viventi al momento dell’apertura della successione). In caso contrario la possibilità per ciascun convi- vente di disporre con testamento a favore del proprio partner incontrerà i limiti che discendono dalle norme di legge in tema di tutela dei legittimari.
5.7. Contratto di convivenza e rapporti personali
La legge non fissa alcun diritto e dovere a favore e carico dei conviventi in ordine ai loro rapporti stret- tamente personali. È opinione diffusa, al riguardo, che non sia neppure possibile un intervento legisla- tivo in questa materia, attinente alla sfera dei diritti “personali”, in quanto dovrebbe ritenersi in contrasto con il dettato costituzionale. Deve essere ricono- sciuta alle persone la possibilità di scegliere anche forme di convivenza (diverse dal matrimonio o dal- l’unione civile) che non siano fonte di reciproci diritti e doveri di carattere personale, appartenendo tutto ciò alla sfera delle libertà individuali garantite dalla Costituzione.
Ciò che non potrebbe fare la legge per tutti quegli aspetti della convivenza che attengono alla sfera delle libertà individuali costituzionalmente protette, a maggior ragione non lo può fare un contratto, un accordo negoziale, che per essere valido deve comun- que essere diretto a perseguire interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Ad esempio non sarà possibile prevedere in un con- tratto di convivenza:
- un obbligo di coabitazione per un determinato periodo, sanzionato da una penale in caso di inadempimento;
- un obbligo di fedeltà, anch’esso sanzionato da una penale in caso di inadempimento;
- un impegno alla procreazione o, al contrario, alla non procreazione;
nonché ogni altro impegno e obbligo tale da incidere sulla sfera dei diritti personali e della libertà individuale.
5.8. Effetti e validità del contrattodi convivenza
Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseri- scano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti (art. 1, comma 56, L. n. 76/2016).
Non è consentito pertanto ai conviventi differire o limitare nel tempo gli effetti del contratto di convi- venza o a condizionarne gli effetti ad eventi futuri ed incerti. L’inserimento in contratto di termini o con- dizioni, peraltro, non inficia l’intero contratto, ma determina la sola nullità dei termini e/o delle condi- zioni, da ritenersi come se non apposti al contratto. Come sopra già ricordato le condizioni vietate xxx- xxxx riguardare eventi futuri ed incerti estranei al rapporto di convivenza. Riteniamo, invece, non rien- trare nel divieto di cui al comma 56, quelle pattui- zioni che siano formulate in relazione a quella che è la normale dinamica del rapporto di convivenza. Così riteniamo siano valide, oltre alle pattuizioni volte a disciplinare la fase della cessazione della convivenza (vedi supra sub § 5.4) anche le pattuizioni che pre- vedono diverse forme di contribuzione a carico dei conviventi in relazione a quelli che saranno i redditi tempo per tempo percepiti, in conseguenza a possibili mutamenti nei rispettivi rapporti di lavoro. Sarebbe assurdo, altrimenti, costringere i conviventi a risol- vere il contratto già stipulato ed a stipularne uno nuovo, ogni qualvolta si modifichino nel tempo le rispettive capacità reddituali. Una simile pattuizione, inoltre, ci sembra perfettamente in linea con la pre- scrizione del comma 53, lett. b), in base al quale il contratto può contenere le “modalità di
contribuzione ... in relazione alle sostanze e alla capacità di lavoro professionale o casalingo”.
Il contratto di convivenza è destinato a cessare a seguito di risoluzione (art. 1, commi 59, 60, 61, L.
n. 76/2016). In particolare il contratto di convivenza si risolve per:
a) accordo delle parti (si tratta, nella sostanza, di un’ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, che trova la sua disciplina generale nella disposizione dell’art. 1372, comma 1, c.c.);
b) recesso unilaterale (non è necessario che la facoltà di recesso sia riconosciuta nel contratto di convi- venza stipulato, come previsto in generale dall’art. 1373 c.c., in quanto tale facoltà è direttamente rico- nosciuta a ciascun convivente dalla L. n. 76/2016 e più precisamente dall’art. 1, comma 59);
c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona (il matrimonio o l’unione civile più che una causa di risoluzione del contratto di convivenza è una causa di cessazione del rapporto stesso di convivenza, per cui lo scioglimento del contratto non è che una logica conseguenza del venir meno del rapporto stesso; si tratta di un’ipotesi di cessazione del rapporto e quindi di scioglimento del contratto dovuta all’incompatibilità tra lo status di coniugato o unito civilmente e lo status di convivente);
d) morte di uno dei contraenti (la morte, così come nel caso del matrimonio e/o dell’unione civile, più che una causa di risoluzione del contratto di convi- venza è una causa di cessazione del rapporto stesso di convivenza, per cui lo scioglimento del contratto non è che una logica conseguenza del venir meno del rapporto stesso).
La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve risultare da atto scritto, redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata da un Notaio o da un Avvocato (ossia sono richieste le stesse formalità prescritte dall’art. 1, comma 52, per la stipula di un valido contratto di convivenza). Il Notaio che ha ricevuto l’atto di risoluzione o l’atto di recesso nonché il Notaio e/o l’Avvocato che hanno autenticato detti atti dovranno anche prov- vedere a trasmetterne copia al Comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe, provve- dendo alle medesime formalità di pubblicità previste per il contratto di convivenza ai sensi del comma 52. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lett. c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si
applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, relative allo scioglimento della comunione legale dei beni e quindi i seguenti articoli:
- l’art. 192 che detta la disciplina relativa ai rimborsi ed alle restituzioni;
- l’art. 194 relativo alla divisione dei beni della comunione;
- l’art. 195 relativo alla disciplina del prelevamento in sede di divisione di beni mobili;
- l’art. 196 relativo alla ripetizione del valore in caso di mancanza di beni da prelevare;
- l’art. 197 relativo ai limiti al prelevamento nei riguardi di terzi.
L’art. 1, comma 60, L. n. 76/2016, stabilisce che resta in ogni caso ferma la competenza del Notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza. Pertanto nel caso di conviventi che hanno optato per il regime patrimoniale della comunione dei beni e che abbiano acquistato beni immobili dopo la stipula del contratto di convivenza con il quale è stata effettuata detta opzione, ed intendano, di comune accordo, risolvere il contratto di convivenza e pro- cedere contestualmente anche alla divisione dei beni immobili comuni, l’atto di risoluzione dovrà neces- sariamente essere ricevuto o autenticato da un Notaio (che curerà, inoltre, la trascrizione dello stesso presso i RR.II.).
Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che auten- tica l’atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52 (presso l’anagrafe del Comune di resi- denza dei conviventi), a notificarne copia all’altro contraente all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non infe- riore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione. Non è ben chiaro il senso di quest’ultima disposizione che sembra dare per pre- supposta la cessazione del rapporto di convivenza in ogni caso in cui un convivente si avvalga della facoltà di recedere unilateralmente dal contratto di convi- venza. Tuttavia non sembra ci siano ragioni per escludere che uno dei conviventi ritenga, per i più svariati motivi, di recedere da un determinato con- tratto di convivenza, senza con ciò dar luogo alla
cessazione del rapporto di convivenza. Verificandosi quest’ultima ipotesi non si capisce perché l’atto di recesso debba necessariamente contenere (a pena di nullità) l’indicazione del termine concesso al convi- vente per lasciare l’abitazione.
Nel caso di risoluzione ex lege a seguito della morte di uno dei conviventi, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al profes- sionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l’estratto dell’atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l’avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all’anagrafe del comune di residenza (art. 1, comma 63, L. n. 76/2016). Quest’ultima notifica appare, peraltro, inutile in quanto l’Ufficiale dell’A- nagrafe avrà già avuto comunicazione della morte del soggetto dallo Stato Civile.
Nel caso di risoluzione ex lege a seguito di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona, il contraente che ha contratto matri- monio o unione civile deve notificare all’altro con- traente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l’estratto di matrimonio o di unione civile (art. 1, comma 62,
L. n. 76/2016). La norma (contrariamente a quanto dispone il comma 63) non precisa il motivo di tale notificazione al professionista. Si ritiene che lo scopo di detta notifica sia di consentire al professionista di provvedere all’annotazione a margine del contratto di convivenza della avvenuta risoluzione del con- tratto in analogia a quanto previsto dal successivo comma 63 per l’ipotesi di risoluzione conseguente alla morte di un convivente. È vero che la norma in commento non prescrive questo obbligo a carico del professionista ma se così non fosse non si capirebbe la funzione della notificazione anche al professionista dell’estratto di matrimonio (nel caso di specie, invece, la comunicazione all’anagrafe del Comune è posta a carico dell’Ufficio dello Stato Civile, come giustamente chiarito nella Circolare del Ministro degli Interni n. 7 del 1° giugno 2016).
Pertanto anche nei casi di risoluzione ex lege la cessa- zione degli effetti del contratto di convivenza troverà opportuna evidenza nei registri anagrafici del comune di residenza dei conviventi.
Il Ministero degli Interni (21), a tal proposito, ha precisato che anche la risoluzione del contratto di convivenza dovrà essere registrata nella scheda di famiglia dei conviventi, oltre che nelle schede
(21) Ministero degli Interni, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione Centrale per i Servizi demografici, circ. n. 7 del 1° giugno 2016
individuali, mediante indicazione della data e del luogo della risoluzione, della causa e degli estremi della notifica, da parte del professionista, o della comunicazione, da parte dell’Ufficiale dello Stato civile. Alla registrazione della risoluzione l’Ufficiale dovrà procedere nei casi in cui riceva uno dei seguenti atti:
- notifica da parte del professionista dell’intervenuta risoluzione per accordo delle parti (comma 59, lett. a), in combinato disposto col comma 51);
- notifica da parte del professionista dell’intervenuta risoluzione per recesso unilaterale di una parte (comma 59, lett. b), in combinato disposto col comma 61);
- comunicazione dell’Ufficio di Stato Civile riguar- xxxxx il matrimonio o l’unione civile tra i conviventi o tra uno dei conviventi ed altra persona (comma 59, lett. c) in combinato disposto con l’art. 12 del rego- lamento anagrafico);
- notifica da parte del professionista dell’intervenuta risoluzione per morte di una parte (comma 59, lett d), in combinato disposto col comma 63) (con tutte le riserve sull’utilità di questa notifica di cui sopra).
Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi nei seguenti casi: (i) in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale, (ii) nel caso di rinvio a giudi- zio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all’articolo 88 del codice civile (22), fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento (art. 1, comma 58, L. n. 76/2016).
II contratto di convivenza è affetto da nullità insa- nabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:
a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’u- nione civile o di un altro contratto di convivenza; è confermata, pertanto, un’incompatibilità assoluta tra lo status di “convivente”, che legittima la stipula di un contratto di convivenza, e lo status di coniugato o unito civilmente; vi è pure incompatibilità nel caso in cui un soggetto abbia già stipulato un altro con- tratto di convivenza (la norma non lo chiarisce ma si ritiene debba trattarsi di contratto di convivenza stipulato con altra persona; peraltro si ritiene possi- bile un nuovo contratto di convivenza con la stessa persona solo previa risoluzione dei quello già stipulato);
b) in violazione del comma 36 (ossia se non si sia neppure in presenza di un rapporto di convivenza, da intendersi come il rapporto tra due persone
maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, e quindi difetti il presupposto stesso per la stipula di un valido contratto di convivenza);
c) da persona minore di età (in coerenza a quanto previsto nel comma 36);
d) da persona interdetta giudizialmente;
e) in caso di condanna per il delitto di cui all’articolo 88 del codice civile (23).
La L. n. 76/2016 si preoccupa anche di dettare la disciplina di diritto internazionale privato, inte- grando la L. n. 31 maggio 1995, n. 218, con l’inseri- mento, dopo l’art. 30, di un nuovo art. 30 bis (art. 1, comma 64). In particolare è previsto che ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata. La disciplina, pertanto, è del tutto analoga a quella dettata per i rapporti personali dei coniugi dall’art. 29 citata L. n. 218/ 1995. Sono, comunque, fatte salve le norme nazio- nali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima.
Non si può non notare, a conclusione di questo contributo, come le disposizioni finali in tema di contratto di convivenza (dal comma 56 al comma 61) siano frutto di una tecnica legislativa alquanto discutibile. Tali norme denotano una certa confu- sione, come se il legislatore non avesse saputo cogliere le differenze sostanziali che intercorrono tra il rapporto di convivenza da un lato ed il contratto di convivenza dall’altro, dettando per quest’ultimo, ossia per il contratto, diposizioni riferibili, invece, al rapporto stesso di convivenza. Si pensi:
- alla disposizione in tema di risoluzione (comma 59): la morte, il matrimonio o l’unione civile non sono tanto cause di risoluzione del contratto di convi- venza, quanto cause di cessazione del rapporto stesso di convivenza (la risoluzione del contratto è una conseguenza della cessazione del rapporto, ma viene a “valle” del primo fenomeno”)
- alla disposizione in tema di recesso unilaterale (comma 61): il termine da concedere al convivente per liberare l’abitazione, prescritto a pena di nullità, fa propendere per una norma pensata più per la cessazione del rapporto che per lo scioglimento del contratto
(22) Art. 88 c.c. “Non possono contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio xxxxx- xxxx o tentato sul coniuge dell’altra [...]”.
(23) Vedi nota precedente.
- alla disposizione in tema di condizioni e termini (comma 56): il divieto di porre termini e condizioni forse avrebbe un senso se riferito al rapporto di con- vivenza (analogamente a quanto previsto per il
matrimonio dall’art. 108 c.c.). Non ha un senso se riferito ad un contratto il cui contenuto è rimesso all’autonomia privata (costituendo una sorta di con- traddizione in termini).