CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE, DEL LINGUAGGIO, DELL’INTERPRETAZIONE E DELLA TRADUZIONE
CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
AMBITO DEL PROGETTO CUG PER L’ATTIVITÀ DI RICOGNIZIONE DELLA LEGISLAZIONE E DELLE LINEE DI INDIRIZZO ITALIANE ED EUROPEE RELATIVE AL TEMA IN OGGETTO; ANALISI DI CASISTICA PARTICOLARMENTE SIGNIFICATIVA SULLA CONCILIAZIONE, IN ITALIA E IN EUROPA; SINTESI DELLE LEGGI; STUDIO DI CASI DI “BUONE PRATICHE” DI CONCILIAZIONE.
AMBITO DEL PROGETTO CUG PER LA RACCOLTA DEI DATI DISPONIBILI IN ATENEO RELATIVI ALLA CONCILIAZIONE. INTERVISTE, A TITOLO ESEMPLIFICATIVO, A UN PICCOLO CAMPIONE DI DIPENDENTI UNIVERSITATI CHE HANNO GESTITO CON SUCCESSO LA QUESTIONE DELLA CONCILIAZIONE O CHE HANNO INCONTRATO DIFFICOLTÀ SPECIFICHE. SINTESI DEI DATI RELATIVI AL PERSONALE D’ATENEO, RIGUARDANTI LA CONCILIAIZONE. INTERVISTE ESEMPLIFICATIVE AD UN PICCOLO CAMPIONE DI DIPENDENTI.
La conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare
Dott.ssa Xxxx Xxxxxxxxx – Dott.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxx
Luglio – Novembre 2016
Prefazione
La ricerca che si presenta ha inteso approfondire in un’ottica multidisciplinare la materia della conciliazione tra vita privata e vita professionale, valorizzando il ruolo che in questo campo può essere svolto dalle c.d. ‘azioni positive’, delle quali gli enti pubblici sono chiamati dalla legge a farsi promotori accanto ai soggetti privati, anzi, se possibile, con un impegno ancora maggiore di quanto richiesto a questi ultimi, atteso che solo per gli attori pubblici vige l’obbligo (e non la mera facoltà) di farsi promotori di specifici piani periodici di azione in tal senso.
Come è noto, se fino alla soglia degli anni Settanta del Novecento la figura socialtipica del lavoratore (sulla quale, nei diversi contesti nazionali europei, è stato plasmato il diritto del lavoro) è venuta sostanzialmente a coincidere con il lavoratore adulto, di sesso maschile, impiegato a tempo indeterminato e con orario pieno in un’impresa industriale di dimensioni medio-‐grande, proprio a partire da quel periodo storico il quadro di riferimento è progressivamente e significativamente mutato: l’ingresso massiccio della componente femminile nel mercato del lavoro (con la progressiva, marcata, terziarizzazione dell’economia), le parallele e forti rivendicazioni per un’eguaglianza non più solo formale, ma anche sostanziale, portate avanti dai movimenti delle donne, le conseguenti lotte per l’attivazione di processi di emancipazione sociale ed economica hanno evidenziato la necessità non più eludibile di adottare concrete misure per contrastare le persistenti discriminazioni nei confronti delle lavoratrici e le maggiori difficoltà da queste incontrate nel mondo del lavoro e per realizzare finalmente davvero quell’eguaglianza sostanziale che, quale obiettivo fondamentale della Repubblica, si trova al centro anche del dettato costituzionale.
Sono stati proprio i profondi mutamenti sociali cui si è fatto cenno che, anche nel nostro Paese, hanno propiziato, da un lato, importanti modifiche normative (a partire dall’adozione della ‘storica’ l. n. 903/77) e, successivamente, un complessivo ripensamento del quadro regolativo in materia di eguaglianza di opportunità, con la valorizzazione, in chiave di eguaglianza sostanziale, dello strumento delle azioni positive. Nello specifico, tale percorso ha preso le mosse da una forte riaffermazione del principio di parità formale (anni Settanta), per poi spostare l’asse della riflessione sul tema dell’eguaglianza sostanziale e,
quindi, dell’azione positiva come possibile ed utile strumento operativo per perseguirla (anni Xxxxxxx), per muovere, infine, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, in direzione di una promozione del c.d. gender mainstreaming, proponendo cioè l’obiettivo dell’integrazione trasversale in tutte le politiche pubbliche del tema della parità di genere e del contrasto ad ogni possibile fattore di discriminazione in tale ambito.
La riflessione teorica sul fondamento di un possibile diritto ‘diseguale’ è apparsa da subito particolarmente complessa; non a caso, essa ha originato un vivace dibattito in dottrina ed una interessante giurisprudenza, anche e soprattutto a livello eurounitario. Tema centrale è, naturalmente, quello dei confini di legittimità di specifici interventi riservati alle lavoratrici, che vadano ad operare realizzando un trattamento differenziato ‘a vantaggio’ di queste ultime – anche e soprattutto proprio mediante l’adozione (o l’imposizione) delle citate azioni positive – rispetto a quello riservato ai lavoratori di sesso maschile, con riguardo, ad esempio, a materie quali l’accesso al lavoro, alla formazione e promozione professionale ed alle condizioni di lavoro. Il legislatore italiano è intervenuto sul punto, dettando le regole ed i confini per questi interventi con le disposizioni della legge n. 125 del 1991 (c.d. legge “sulle azioni positive”), i cui contenuti sono oggi confluiti nel d. lgs. n. 198/2006 (c.d. “codice delle pari opportunità”), disposizioni che hanno favorito e sostenuto negli anni – sia pure con il limite non indifferente dato dalle limitate risorse per tali obiettivi stanziate – lo sviluppo di una interessante progettualità, da parte tanto di soggetti privati (imprese, associazioni sindacali e datoriali, ecc.) quanto di enti pubblici. Su questo punto in particolare si concentra la parte della ricerca curata dalla dott.ssa Xxxx Xxxxxxxxx, con l’obiettivo di fornire al CUG – anche attraverso un’ampia ricognizione della casistica progettuale – elementi ulteriori di riflessione in relazione all’importante ruolo a questo organismo affidato con riguardo alla progettazione del piano di azioni positive dell’ente nel cui ambito esso è chiamato ad operare (nel nostro caso, l’Università di Trieste). La dott.ssa Xxxxxxx, da parte sua, ha esplorato l’esperienza vissuta dei diversi elementi che compongono l’Università, intervistando personale tecnico e amministrativo, studentesse, ricercatrici e ricercatori, docenti. Ne emergono i possibili scarti tra la teoria e la pratica, le strategie individuali di conciliazione nonché molti suggerimenti di cui il CUG potrà fare tesoro.
Per concludere, va ricordato che ogni sforzo progettuale ed ogni politica diretta all’implementazione dell’eguaglianza sostanziale nei contesti lavorativi finisce anche per
ottenere un ulteriore, importante risultato: quello del miglioramento complessivo della qualità dell’organizzazione considerata, così come del benessere di tutte le persone – uomini e donne – che in quella organizzazione si trovino ad operare.
Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxx
Responsabile scientifica della ricerca, Università di Trieste
Prof.ssa Xxxxxxxx Xxxxxx,
Presidente del Comitato Unico di Garanzia – CUG, Università di Trieste
Sommario:
Dott.ssa Xxxx Xxxxxxxxx
CONCILIAZIONE E MISURE DI SOSTEGNO: 1. Introduzione; 2. Brevi cenni storici sulle tecniche regolative europee in materia di politica sociale; 3. Definizione del tema; 4. Gli strumenti work-‐life balance; 4.1 strumenti temporali; 4.2 strumenti spaziali; 4.3 servizi per la famiglia; 4.4 servizi per i lavoratori; 5. Esempi di buone prassi in Italia; 6. Conclusioni.
Dott.ssa Xxxxxxxx Xxxxxxx
CONCILIARE L’INCONCILIABILE?: 1. Introduzione. Il contesto italiano: maternità, occupazione femminile, conciliazione e condivisione; 2. La ricerca: obiettivi e metodi; 3. Risultati; 3.1 I risultati quantitativi: l’utilizzo di misure volte alla conciliazione all’Università degli Studi di Trieste; 3.2. I risultati qualitativi: Xxxxxxxx, studiare e gestire gli impegni familiari: esperienze di chi lavora e studia all’Università degli Studi di Trieste; 3.2 a) Avere un/a figlio/a: l’esperienza di studentesse, assegniste di ricerca e docenti; 3.2.b) Avere un/a figlio/a: l’esperienza del personale tecnico e amministrativo; 3.2 c) Assistere un familiare anziano, disabile o malato: l’esperienza del personale tecnico-‐amministrativo; 3.2 d) Assistere un familiare disabile o malato: l’esperienza delle/dei docenti; 4. Un prerequisito per la conciliazione: la condivisione del lavoro familiare nella coppia 4.1 La condivisione del lavoro domestico e di cura nelle coppie in Italia; 4.2 La divisione del lavoro familiare: esperienze delle intervistate e degli intervistati 5. Conclusioni
REFERENZE BIBLIOGRAFICHE E SITOGRAFIA
CONCILIAZIONE E MISURE DI SOSTEGNO
Rapporto di ricerca su “Conciliazione lavoro/studio e vita familiare”
Dott.ssa Xxxx Xxxxxxxxx
1. Introduzione
Il Parlamento europeo ha dichiarato il 2014 “l’Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare”. Conciliazione è un lemma che comincia ad essere introdotto nei documenti ufficiali dell’Unione europea agli inizi degli anni Novanta e rispecchia la volontà di predisporre direttive, raccomandazioni, suggerimenti ai vari Paesi affinché adottino misure in grado di salvaguardare la possibilità di conciliare la vita familiare con la vita lavorativa. Gli obiettivi prefissati erano e rimangono: aumentare la consapevolezza delle politiche di conciliazione in Europa e negli Stati membri; sollecitare gli sforzi ed ottenere un nuovo impegno politico per rispondere agli attuali problemi che interessano le famiglie (problemi in particolare connessi alla crisi economica e sociale); catalizzare l’attenzione e diffondere buone pratiche relative alle politiche di conciliazione vita privata-‐lavoro fra gli Stati membri; promuovere politiche family friendly e la loro conseguente implementazione.
I diversi bisogni che emergono dai ritmi frenetici della quotidianità discendono da necessità complesse e socialmente molto rilevanti: l’insieme degli interventi pensati per riequilibrare questi valori contrapposti hanno lo scopo di migliorare il benessere, agendo nella prospettiva di includere tutti i soggetti coinvolti. Le misure volte a ristabilire un corretto equilibrio e bilanciamento tra vita e lavoro sono proprio gli strumenti che per eccellenza comportano una miglior organizzazione dei tempi a beneficio dei lavoratori, consentendo nel contempo di innalzarne il livello produttivo. La logica che prevale in queste positive iniziative è, infatti, quella win-‐win, a vantaggio di entrambe le parti. Attuare azioni favorevoli alla conciliazione significa adottare politiche che concretamente intervengano a ristabilire un corretto equilibrio dei propri impegni, favorendo la giusta partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro ed assecondando la ridistribuzione paritaria nelle incombenze familiari.
La presente ricerca si è prefissata l’obiettivo di analizzare analiticamente gli strumenti predisposti dagli ordinamenti europei, ed in particolare modo dall’Italia. In dettaglio il lavoro è stato suddiviso in diverse parti e strutturato con la metodologia dell’analisi comparata, che ha lo scopo di evidenziare le differenze sostanziali e le rispettive criticità, rilevando nel contempo quanto il tema sia sentito con sempre più valore e peso sia dai lavoratori che dai datori di lavoro. Si è ritenuto di impostare l’analisi secondo uno schema che partisse da un approccio teorico per poi esaminarlo attraverso esperienze pratiche di misure attuate da diverse aziende pubbliche e private sia italiane che europee.
Nella prima parte si è ritenuto doveroso fornire una breve introduzione storica nonché approfondire il concetto di conciliazione: la donna ha nel tempo conquistato la sua indipendenza economica affermandosi anche nel mondo lavorativo, sovvertendo in tal mondo la realtà ad essa circostante. Questa evoluzione e l’affermazione del modello dual career hanno progressivamente aperto spazi per una rinnovata messa a fuoco del tema sulla conciliazione tra vita privata e lavorativa. Promuovere interventi in tale materia significa quindi adottare politiche che concretamente intervengano a ristabilire un concreto equilibrio e favorire la corretta partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro, assecondando la ridistribuzione paritaria nelle incombenze familiari.
Successivamente si è approfondito il tema, analizzando nel dettaglio i singoli strumenti efficaci e utili per arrivare ad un migliore work-‐life balance, riportando anche esempi concreti attuati da aziende dell’Unione europea. Si sono esaminati i vari strumenti di conciliazione, suddividendoli in strumenti che riducono o articolano diversamente il tempo di lavoro (part-‐time, telelavoro, job sharing, banca delle ore e così via); strumenti rivolti alla gestione del tempo familiare (congedi parentali, strutture e servizi per l’assistenza all’infanzia e alla vecchiaia); strumenti che riorganizzano il tempo sociale. Intervenire concretamente a ristabilire un corretto equilibrio dei propri impegni attraverso le leve della flessibilità oraria, della concessione di servizi per la conciliazione (soprattutto in periodi particolarmente critici come l’arrivo in famiglia di un bambino), della sensibilizzazione e della formazione su questi temi, va a diretto beneficio della performance lavorativa consentendo ai collaboratori di mantenere alto il livello sia in ambito lavorativo che personale. Sempre riguardo a questo aspetto, tesi fondamentale che emerge dall’elaborato è che la conciliazione (anche e soprattutto condivisa) ed il sostegno alla genitorialità non possano
prescindere dalla creazione di misure specifiche e dirette che portino alla valorizzazione dei diritti ma anche dei carichi di cura dei genitori lavoratori.1
Nella parte conclusiva ha trovato spazio l’esposizione delle buone pratiche di aziende che hanno già attuato misure di conciliazione al loro interno a beneficio dei propri dipendenti. Si è ritenuto utile elencare nel dettaglio i singoli interventi messi in atto da aziende pubbliche e private presenti sul territorio nazionale, dedicando anche uno spazio specifico a quelle della Regione Friuli Venezia-‐Giulia.
Bisogna quindi riconoscere che l’argomento sulla conciliazione esige un diverso ragionamento sui confini tra lavoro e vita, tra interessi economici e sociali, tra società e politica e sprona a riflettere in maniera più approfondita sulla mobilità e plasmabilità dei rispettivi confini.2 Il presente elaborato, partendo dal suddetto panorama aggiornato anche se non esaustivo, intende offrire un punto di partenza o perlomeno degli spunti per discutere sull’efficacia delle politiche diffuse per la conciliazione e di conseguenza predisporre ed elaborare progressi ed incrementi in tale prospettiva.
2. Brevi cenni storici sulle tecniche regolative europee in materia di politica sociale
Agli albori dell’integrazione europea, lo sviluppo delle politiche sociali non è una priorità: l’obiettivo principale della Comunità risulta infatti la creazione di un grande mercato unificato, fondato sulla concorrenza.3 In particolare si ritiene superflua l’introduzione di norme specifiche poiché, con un approccio quasi fideistico, si confida che il miglioramento delle condizioni sociali e lavorative verrà di conseguenza, con un armonizzazione del progresso dei vari sistemi nazionali4. In virtù della fiducia e/o speranza sia nel mercato libero che nel “laissez-‐faire”, la legislazione risulta di fatto ancillare e per molti anni rivestirà unicamente una funzione di supporto.
Attualmente lo studio delle tecniche di regolazione delle politiche sociali sviluppatesi a dispetto dell’iniziale inerzia dei legislatori, costituisce un topos nel dibattito dottrinale
1 Calafà L., Xxxxxxx, aspettative, permessi, dopo il collegato lavoro, in Xxxxxxxx L.-‐Perulli A. (diretto da), Il nuovo 2 Lebano A. (a cura di), La conciliazione tra spazio privato e spazio pubblico. Ricognizione sulle buone pratiche per la conciliazione tra vita e lavoro in Lombardia, p. 6, in xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xxx.xx
3 Roccella M. -‐ Treu T., Diritto del lavoro della comunità europea, Quinta edizione, Cedam, Padova, 2010, p. 3.
4 Xxxxx Xxxxx X., L’obiettivo della coesione sociale, in Del Ciotto D., Trattato di Amsterdam e dialogo sociale europeo. Conferenza internazionale del 16 ottobre 1997, Xxxxxxx, Milano, 1998, p.110.
giuridico, che si sviluppa sulla contrapposizione tra anomia ed elementi di regolazione, autonoma ed eteronoma.5
Per questa ragione, prima di iniziare l’analisi del quadro generale sulla conciliazione vita-‐lavoro, tenendo come riferimento il welfare-‐state in una prospettiva di genere ed i relativi interventi di work-‐life balance, risulta doveroso fare alcune premesse di carattere storico sull’evoluzione delle politiche sociali europee.
La nascita del metodo comunitario risale al 9 maggio 1950: quel giorno l’allora ministro degli esteri francese Xxxxxx Xxxxxxx rende un importante dichiarazione (nota come “Dichiarazione Xxxxxxx”). Il ministro esprime la convinzione che «l’Europa non potrà farsi in una sola volta né sarà costruita tutta insieme», «essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto»6 (cd. Europa dei piccoli passi). L’intento è quindi di puntare su un progetto molto avanzato di integrazione economica e di liberalizzazione degli scambi: il mercato comune europeo.7 La proposta contenuta nella Dichiarazione viene, quindi, accolta da sei Stati, che danno vita alla cosiddetta Piccola Europa.
Il Trattato costitutivo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA8), volto alla costruzione di un mercato comune delle due materie prime, contiene al suo interno affermazioni e principi di carattere sociale che hanno come obiettivo «l’incremento dell’occupazione» e «l’elevazione del livello di vita negli Stati membri»9. Tali enunciati sono
5 Veneziani B., Dal dialogo sociale alla contrattazione collettiva nella fase della trasformazione istituzionale dell’Unione europea, in Riv. giur. lav., 1998 n.1, p.239 ss.; Xxxxxxxx S., Diritti sociali e mercato. La dimensione sociale dell’integrazione europea, il Mulino, Bologna, 2003, p.46 ss.
7 Xxxxxxx X., Diritto del mercato unico europeo, Seconda edizione, Xxxxxxx, Milano, 2012, p.2.
8 Il Ministro degli affari francese X. Xxxxxxx propose, nella sua celebre dichiarazione del 9 maggio 1950 (data che oggi viene celebrata come «giornata dell’Europa»), di porre la produzione del carbone e dell’acciaio sotto un’Alta Autorità comune. La proposta nasce, quindi, come un progetto essenzialmente franco-‐tedesco, aperto, però, ad altri Stati, primi fra tutti gli Stati del Benelux, anch’essi produttori delle suddette materie e soprattutto strategicamente interessati alla risoluzione dei conflitti franco-‐tedeschi. Fu così che Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi diedero vita alle trattative per negoziare un trattato. Il Trattato CECA quindi venne firmato a Parigi il 18 aprile 1951 con l ‘obiettivo di creare una Comunità in cui fosse libera la circolazione del carbone e dell’acciaio, il libero accesso alle fonti di produzione, garantendo una vigilanza sul mercato, nel rispetto delle regole della concorrenza e trasparenza dei prezzi. Questo trattato rappresenta la base dei successivi trattati europei.
9 L’art 2 del Trattato CECA prevede che la Comunità del Carbone e dell’Acciaio ha la funzione di contribuire, in armonia con l’economia generale degli Stati Membri e mediante le istituzioni di un mercato comune, all’espansione economica, all’incremento dell’occupazione ed all’elevazione del livello di vita. La Comunità inoltre deve creare progressivamente condizioni che assicurino la più razionale ripartizione della produzione mantenendo alto il livello di produttività, pur salvaguardando la continuità occupazionale ed evitando turbamenti nelle economie degli Stati Membri. In xxx.xxxxxx.xx.
del tutto privi di strumenti normativi volti alla loro realizzazione, quindi si riveleranno delle semplici dichiarazioni di principio. Il Trattato infatti non prevede alcuna competenza sovrannazionale nelle scelte di politica sociale, affidandone la gestione alle sole autorità nazionali. Unica eccezione è data all’intervento dell’Alta Autorità, attraverso lo strumento della raccomandazione e previo parere del Comitato Consultivo, nel caso di concorrenza sleale nel mercato del lavoro dato dalla presenza di «salari anormalmente bassi»10. Il chiaro intento del Trattato è abolire, o per lo meno ridurre il dumping sociale11 che può comportare una disparità nelle condizioni lavorative e quindi uno squilibrio nella libera determinazione della concorrenza, a causa dei costi differenti sostenuti dalle imprese.
Passo successivo nel processo di unificazione europea, è rappresentato dal Trattato di Roma12 (firmato il 25 Marzo 1957) che istituisce la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA). Anche in tale neonata Comunità la dimensione sociale non risulta prioritaria, ma derivata e marginale. Ciò risulta evidente proprio all’inizio del Trattato: l’articolo 3 (lett.h), infatti, sancisce che l’azione della Comunità è diretta al «riavvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune» ed il successivo art. 100 ribadisce il concetto. Come già evidenziato in premessa, è doveroso ribadire che, nella prima fase di vita della Comunità, la politica sociale risulta molto deficitaria, tanto da essere definita assordante13.
La prima vera clausola che può essere considerata di carattere sociale è quella contenuta nell’articolo 117 (ora confluito con modifiche nell’articolo 151 del TFUE) che recita così: «Gli Stati membri convengono sulla necessità di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera che consenta la loro parificazione nel
10 Si veda l’art 68 del Trattato CECA riguardante i salari e movimenti della mano d’opera. In xxx.xxxxxx.xx.
11 Sta assumendo importanza crescente il cosiddetto dumping sociale, che si verifica quando un bene può essere venduto in un mercato straniero a un prezzo inferiore a quello ‘normale’ perché è stato prodotto a un costo più basso. In particolare, risulta inferiore la componente del costo legata al lavoro; ciò accade in determinati paesi in via di sviluppo, dove vigono situazioni di sfruttamento dei lavoratori più deboli a causa del mancato rispetto dei diritti minimi dei lavoratori e dei diritti sociali, con conseguente produzione di merci a condizioni di costo particolarmente competitive. In xxx.xxxxxxxx.xx.
12 Nel giugno 1955 fu convocata dall’allora ministro degli esteri italiano X. Xxxxxxx una conferenza dei sei ministri degli esteri aderenti alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio al fine di trovare il modo di rilanciare il percorso dell’integrazione europea. Agli inizi del 1956 fu istituito un comitato preparatorio presieduto da P.H. Xxxxx, l’allora ministro belga degli Affari esteri. Il comitato presentò nel 1956 due progetti, uno per la creazione di un mercato comune generalizzato e l'altro per la creazione di una comunità dell’energia atomica. I trattati vennero entrambi firmati a Roma e istituirono rispettivamente la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia elettrica (CEEA), detta anche Euratom. I due trattati entrarono in vigore, a seguito di tutte le ratifiche, nel 1958.
13 Castellina L., Cinquant’anni d’Europa. Una lettura antiretorica, Utet, Torino, 2007, p.58.
progresso», ma poi si aggiunge che il miglioramento prospettato deriverà, soprattutto, dal funzionamento del mercato comune che favorirà l’armonizzazione dei sistemi sociali. Nel caso in cui l’automatismo di mercato non operasse, potranno servire «le procedure previste dal Trattato» e il «ravvicinamento della disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative»14. Per la realizzazione del suddetto obiettivo, l’articolo 118 del Trattato stabilisce che la Commissione ha il compito di «promuovere una stretta collaborazione tra gli Stati membri nel campo sociale» con particolare riferimento a determinate materie (l’occupazione, il diritto al lavoro e relative condizioni, la formazione e il perfezionamento professionale, la sicurezza sociale, la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali, l’igiene del lavoro, il diritto sindacale e le trattative collettive fra datori di lavoro e lavoratori).
Dunque, nella prospettiva delle norme prima menzionate, la politica sociale della Comunità, pur acquisendo una specifica autonomia rispetto alla realizzazione del mercato unico, deve essere realizzata per il tramite di una collaborazione, o concertazione, tra gli Stati membri15. Questo strumento di collaborazione risulta assai debole quale mezzo principale per giungere all’armonizzazione, come precisato dalla Corte di Giustizia. Quest’ultima sostiene che la suddetta collaborazione comporta solo un vincolo alla consultazione reciproca tra Stati e Commissione, senza altro condizionamento alla libertà delle scelte nazionali.
Il Trattato contiene peraltro alcuni importanti principi, quali la libera circolazione dei lavoratori e quindi la non discriminazione in ragione della nazionalità (artt. 48-‐51); la parità retributiva tra uomo e donna (art. 119) e l’equivalenza nei regimi di congedi retribuiti (art. 120); il Fondo sociale europeo (art. 123-‐127); la formazione professionale (art.128). Tuttavia in tutte queste norme si nota la limitatezza delle basi giuridiche per l’adozione di direttive in materia sociale; solo nella libera circolazione dei lavoratori si provvede mediante regolamenti e direttive, per il resto si utilizzano le basi giuridiche generali. Si prevede così una clausola di flessibilità all’art. 235, norma sui generis, una sorta di passe-‐partout che consente l’adozione di norme comunitarie tutte le volte in cui un’azione risulti necessaria
14 Roccella M. -‐ Treu T., Diritto del lavoro della comunità europea, cit., p.5.
15 Xxxxxxxxx X., Diritto del lavoro dell’Unione europea, Giappichelli, Torino, 2014, p.50
per raggiungere uno degli scopi della Comunità, senza che il Trattato abbia previsto i poteri d’azione a tal scopo richiesti. 16
L’articolo 119, ancorché proveniente dalla principale ispirazione di fondo del Trattato di Roma (economica), è l’unica norma che incide direttamente sulla materia sociale, parificando le condizioni di concorrenza. È voluto dalla Francia, che la pone come conditio sine qua non per firmare il trattato (aveva infatti già introdotto il principio nel proprio ordinamento) più per evitare effetti di dumping sociale che per autentiche ragioni di progresso sociale.
Risulta allora ancora più evidente da questa norma la «frigidità sociale»17 riscontrabile nella formulazione originaria del Trattato. La sua anima “sociale” si manifesterà in modo più chiaro solamente molti anni dopo, grazie al ruolo fondamentale della Corte di Giustizia e della sua interpretazione estensiva.
Seppur la storia successiva alla firma del Trattato di Roma non fa che confermare le difficoltà applicative dei principi sociali in ambito europeo, è anche vero che presenta alcuni elementi di forte dinamismo, sollecitati in modo del tutto imprevisto dall’evolversi turbolento degli eventi socio-‐politici, dalla pressione dei soggetti collettivi, dalle istituzioni nazionali, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e anche dal Parlamento Europeo18.
In un primo momento, che coincide con il decennio ’50-‐’60, l’attenzione si concentra soprattutto sull’attuazione della libera circolazione della manodopera e sulla rimozione di quasi tutte le barriere giuridiche alla mobilità (comprese quelle riguardanti la sicurezza sociale), nonchè a render effettivo il principio della parità di trattamento fra lavoratori dei vari Paesi con un ruolo fondamentale del Fondo sociale europeo19.
È a partire dall’inizio degli anni settanta che si fa strada l’importanza della creazione di uno «spazio sociale europeo»20 come elemento indispensabile sia per evitare all’interno
16 L’art 235 del Trattato di Roma (l’attuale 352 TFUE) prevede che: «Quando un’azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente trattato abbia previsto i poteri di azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizione del caso.». 17 L’efficace e famosa espressione si legge nel testo del giuslavorista comunitario e protagonista della vicende comunitarie (come avvocato generale e poi giudice della Corte di Giustizia) Xxxxxxx in Xxxxxxx G.F., Principi fondamentali di diritto del lavoro nell’ordinamento delle Comunità Europee, in Il lavoro nel diritto comunitario e l’ordinamento italiano, Cedam, Padova, 1988, p.27.
18 Roccella M. -‐ Treu T., Diritto del lavoro della Comunità europea, cit., p.9.
19 Roccella M. -‐ Treu T., Diritto del lavoro dell’Unione europea, Sesta edizione, Cedam, Padova, p.11.
20 La formula risulta essere l’innovazione più evidente, l’espressione non risulta assolutamente nel Trattato che istituisce la Comunità economica europea. Il progetto viene poi illustrato in modo suggestivo da Xxxxxxxxx in occasione della sua prima partecipazione al Consiglio europeo come presidente della Repubblica francese, e
del mercato comune fenomeni di distorsione della concorrenza (dovuti alla presenza di norme meno protettive in materia di lavoro), che per realizzare una politica economica dell’Unione concorrenziale sul piano internazionale.21
In questi anni lo scenario europeo cambia profondamente: sono gli anni del movimento studentesco del 1968, delle richieste di diritti nelle fabbriche e del suo primo allargamento; entrano nella Comunità economica europea il Regno Unito, l’Irlanda e il Regno di Danimarca.
Nel 1974 l’Unione approva un programma di azione contenente 40 punti prioritari intesi a realizzare i seguenti obiettivi: occupazione piena e qualitativamente migliore; miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro; partecipazione dei lavoratori e delle parti sociali. Questo è il primo programma di azione creato dalla Commissione per armonizzare le direttive del lavoro che risultavano essere ancora molto diverse nei vari Stati membri.
Proprio su impulso di tale programma nella seconda metà degli anni settanta vengono emanate diverse importanti direttive, che tuttora rimangono i capisaldi del diritto del lavoro comunitario: in tema di licenziamenti collettivi, di trasferimenti d’azienda e di tutela dei crediti in caso di insolvenza dei lavoratori22; di parità di trattamento fra uomo e donna in materia di lavoro (retribuzione, condizioni di lavoro e poi trattamenti previdenziali)23; di tutela di salute e sicurezza24.
presentato come condizione necessaria per il rilancio dell’integrazione europea. In Xxxxxx X., Il diritto dell’Unione europea. Xxxx X: Principi, Fonti, Libera circolazione e sicurezza sociale dei lavoratori, Xxxxxxx, Milano, 1998, p.119.
21 Xxxxxxxxx X., Diritto del lavoro dell’Unione europea, cit., p.51.
22 A partire del 1975 sono state emanate diverse direttive in materia: 75/129/CEE (concernente il ravvicinamento delle legislazioni in materia di licenziamenti collettivi); 77/187/CEE (mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o parti di stabilimenti);80/987/CEE (tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro); 91/533/CEE (sull’obbligo del datore di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto di lavoro e la prova del contratto); 93/104/CEE (organizzazione dell’orario di lavoro); 00/00/XX (xxxxxxxxxx xxx xxxxxxx xxx xxxxxx); 94/45/CE (istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie).
23 Direttive sulla parità di trattamento: 75/117/CEE (ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile); 76/207/CEE (attuazione del principio della parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro); 79/7/CEE (graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale); 86/378/CEE (parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale); 86/613/CEE (principio di parità di trattamento fra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma, ivi comprese le attività del settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità) e la 95/85/CEE (protezione sul luogo di lavoro delle donne incinte o in periodo di allattamento).
24 Decisione del Consiglio del 24 giugno 1974, n. 74/325, relativa all’istituzione di un Comitato consultivo per la sicurezza, l’igiene e la tutela della sanità sul luogo di lavoro col mandato di assistere la Commissione in materia
La politica sociale comunitaria subisce un blocco negli anni ottanta, essa infatti risente sia della difficile situazione economica, in seguito alla crisi petrolifera25, sia delle politiche neoliberiste26 che si vanno diffondendo, causando un forte indebolimento delle forze sindacali e di conseguenza anche delle politiche sociali in Europa.
Ritorna infatti nuovamente in primo piano il mercato e le problematiche della concorrenzialità dei prodotti europei; gli Stati membri propendono per una maggior flessibilità dei sistemi nazionali, opponendosi a qualunque forma di regolamentazione a livello europeo27. Proprio tale politica, sostenuta soprattutto dal governo britannico e dal suo Primo Ministro, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx00, riesce per diversi anni a bloccare qualsivoglia intervento di tipo sociale. Ogni nuova proposta della Commissione infatti viene bocciata dal Consiglio, stante la necessità del voto all’unanimità. Le politiche antidemocratiche e antisociali sono imposte dai mercati a vantaggio degli interessi privati alla massimizzazione dei profitti e alle speculazioni finanziarie. Sulla base del principio della libera concorrenza, assunto come una sorta di norma fondamentale del diritto comunitario, i trattati e i regolamenti hanno di fatto sostituito all’ordine del diritto quello di mercato.29
Il vuoto legislativo, lasciato da parte delle istituzioni europee, viene solo in parte colmato dal ruolo sempre trainante della giurisprudenza della Corte di Giustizia, che consacra la Comunità di diritto come valore fondamentale e porta l’integrazione giuridica ad un livello più avanzato di ogni altro campo di azione comunitaria. La dialettica con alcune giurisdizioni nazionali sancisce sia il definitivo consolidarsi del principio dell’effetto diretto
di salute e sicurezza. Inoltre, fra le altre, va rammentata soprattutto la direttiva 80/1107 sulla «protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro».
25 Nell’autunno del 1973 l’OPEC rincara il prezzo del petrolio e decreta l’embargo per i paesi filo-‐israeliani. Si tengono due vertici, a Dublino e Parigi: si cerca una soluzione alla crisi energetica e monetaria, che riduce la crescita del PIL europeo fino alla metà degli anni ottanta e aumenta l’inflazione, che solo nel 1975 comincia a rientrare. I paesi della CEE dopo qualche tentativo di reazione comune, procedono singolarmente nell’affrontare la crisi.
26 Teoria sociale ed economica che si fonda sui principi del libero scambio nella politica economica, sia nazionale che internazionale, rifiutando il ruolo dello Stato assistenziale o imprenditore e la pianificazione di stampo socialista.
27 La deregolazione è quel processo per cui i governi e gli Stati cessano i controlli sul mercato ed eliminano le restrizioni nell’economia, al fine di incoraggiare le operazioni del mercato stesso, considerato come un organismo autoregolatore.
28 La signora Xxxxxxxx venne eletta Primo Ministro a seguito della vittoria nel 1979 del partito conservatore inglese. Al suo nome è legata la corrente politica denominata «thatcherismo», che fonde il conservatorismo con il liberismo. Una delle più famose frasi della Xxxxxxxx è «la società non esiste. Esistono gli individui, gli uomini e le donne, ed esistono le famiglie».
29 Ferrajoli L., Dei diritti e delle garanzie, il Mulino, Bologna, 2013, p.131.
delle norme comunitarie sulla posizione dei singoli che il primato delle stesse sulle norme nazionali confliggenti30.
Un nuovo cambio politico nella seconda metà degli anni ’80 sblocca l’impasse che si è creato: a capo della Commissione viene nominato il sindacalista francese Xxxxxxx Xxxxxx e si aprono le porte per il primo ammodernamento del Trattato istitutivo. Il Parlamento europeo moltiplica infatti le iniziative per favorire una riforma della Comunità in chiave maggiormente democratica e, dopo lunghe discussioni e numerose proposte, si giunge alla firma dell’Atto Unico europeo (AUE) avvenuta il 17 e 28 febbraio 1986.31
L’Atto Unico europeo, che entra in vigore nel 1987, non modifica in modo sostanziale le competenze comunitarie in materia sociale; lo stimolo dell’innovazione e il centro d’interesse sono ancora economici, ma contiene tuttavia alcune significative novità32. Una prima importante innovazione è prevista dall’ introduzione dell’articolo 118 A (ora art. 153 TFUE), che pur ribadendo l’obiettivo già introdotto nell’articolo 117, dell’«armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in questo settore» e di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, ne amplia la portata, impegnando gli Stati membri al miglioramento dell’«ambiente di lavoro»33. A tal riguardo, risulta doveroso evidenziare che il Consiglio, su proposta della Commissione, in cooperazione col Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato economico e sociale, può adottare decisioni non più all’unanimità, ma a maggioranza qualificata; mentre l’articolo 100 A ribadisce che la regola dell’unanimità continua a valere per le disposizioni «relative ai diritti ed interessi dei lavoratori dipendenti». Ulteriore indirizzo potenzialmente rilevante, seppure ancora timida novità, è l’articolo 118 B (ora art.155) che impegna la Commissione a sviluppare un «dialogo sociale europeo» fra le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. Si fa dunque strada
30 Tesauro G., Diritto dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2012, p.9.
31 Xxxxxxx X., Diritto dell’Unione europea, Xxxxxxx, Milano, 2010, p.17.
32 Altre proposte furono respinte, come quella di estendere il voto a maggioranza qualificata a tutte le materie indicate nell’art. 118.
33 L’art.118 A dell’Atto Unico prevede che: «1.Gli Stati membri si adoperano per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute del lavoratori, e si fissano come obiettivo l’armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in questo settore.2.Per contribuire alla realizzazione dell’obiettivo previsto al paragrafo 1, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, in cooperazione con il Parlamento europeo e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adotta mediante direttive le prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro. Tali direttive eviteranno di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e lo sviluppo di piccole e medie imprese.3.Le disposizioni adottate a norma del presente articolo non ostano a che ciascuno Stato membro mantenga e stabilisca misure, compatibili con il presente trattato, per una maggiore protezione delle condizioni di lavoro».
l’idea, prima considerata come principio consuetudinario e poi valorizzata dal trattato di Maastricht, dell’importanza del coinvolgimento delle parti sociali, al fine di realizzare gli obiettivi di integrazione e della valorizzazione dei contratti collettivi come fonte di normazione europea. Gli attori sociali, del tutto ignorati dal Trattato, diventano nella realtà interlocutori sistematici e stabili delle autorità comunitarie.
All’indomani dell’approvazione dell’Atto Unico si assiste ad un rilancio fortissimo dell’azione sociale: dalla fine degli anni ’80 gli interventi di manutenzione diventano molto più importanti. Comincia a nascere la consapevolezza della necessità, per una piena integrazione anche economica, di creare uno «zoccolo duro» di diritti sociali comuni a tutti, o quanto meno ai lavoratori subordinati. La priorità di impegno quindi riguarda l’elaborazione di una Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali, che è approvata dal Consiglio Europeo di Strasburgo dell’8-‐9 dicembre 1989, firmata dai capi di Stato e di governo (ad eccezione del Xxxxx Xxxxx)00.
Priva di effetti vincolanti, sotto il profilo giuridico infatti costituisce un documento di soft law, la Carta è essenzialmente uno strumento per la promozione degli obiettivi comunitari a cui può essere attribuito un rilievo in sede interpretativa, anche nell’ambito degli ordinamenti nazionali. I diritti sociali fondamentali solennemente proclamati sono dodici35, ma si sono andati diluendo nel tentativo di smorzare le opposizioni, peraltro senza riuscire ad ottenere l’adozione da parte del governo britannico, neppure nella versione ammorbidita. A causa dei suddetti compromessi tali diritti non risultano significativamente innovativi, rispetto, ad esempio, a quelli sanciti in altri documenti internazionali, quali la Carta sociale europea del 1961 e le convenzioni OIL.36
Gli anni successivi confermano le difficoltà del processo di integrazione: da una parte gli scarsi contenuti presenti nell’Atto Unico (lo dimostrano le parole del presidente Xxxxxx in quale nel 1991 dichiarava un persistente «squilibrio intollerabile tra l’economico e il
34 La divergenza di posizioni fra i paesi europei, in particolare l’atteggiamento della Gran Bretagna ispirato ad una politica neoliberista, ha consentito di realizzare solo un obiettivo molto più ristretto. In Galantino L., Diritto del lavoro dell’Unione europea, cit., p. 52.
35I diritti sociali fondamentali dei lavoratori previsti nella Carta sono ciascuno a titolo del rispettivo capo e sono: libera circolazione; diritto all’occupazione e alla retribuzione sufficiente; diritto al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro; diritto ad una protezione sociale adeguata; libertà di associazione e contrattazione collettiva; formazione professionale continua e permanente; uguaglianza di trattamento e di opportunità tra uomini e donne; diritto dei lavoratori all’informazione, consultazione e partecipazione; tutela alla salute e sicurezza nell’ambiente di lavoro; protezione deli minori, degli anziani e dei disabili.
36 Roccella M., Diritto comunitario e diritto del lavoro: dalle origini al Trattato di Lisbona, in Persiani M. (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, Cedam, Padova, 2010, p.281.
sociale»), dall’altra la mancata efficacia normativa della Carta sociale. Nonostante l’attivismo della Commissione l’obiettivo sembra definitivamente impraticabile e si invoca come rimedio il principio del mutuo riconoscimento fra le legislazioni nazionali. L’impegno armonizzatore però non è andato perduto ed anzi, successivamente, grande impulso ai meccanismi istituzionali è stato dato dagli attori sociali.
La tematica della politica sociale comunitaria ha costituito il punto più delicato delle trattative che hanno preceduto il Trattato di Maastricht sull’Unione europea, entrato in vigore il primo novembre 199337. Quest’ultimo, da un lato conferma quanto finora acquisito in materia sociale, ma dall’altro mette a nudo la persistenza di forti contrasti fra gli Stati membri: infatti i rappresentanti di tali Stati, che nel 1989 hanno approvato la Carta sociale, nel 1992 si accordano per l'introduzione dei principi per mezzo di un “capitolo sociale”, da inserire nel Trattato. Il governo britannico, tuttavia, rifiuta l’approvazione dell’inserimento del capitolo e dunque questo viene annesso in forma di protocollo al testo del trattato, nell'intesa che non si sarebbe applicato alla Gran Bretagna38. Di conseguenza, si è creato un duplice modello di applicazione della politica sociale comunitaria: quello a undici in cui si applica l’Accordo sulla politica sociale (APS); e quello a dodici, sostanzialmente invariato rispetto all’Atto Unico europeo. Da ciò consegue ancora la possibilità di una contemporanea presenza di direttive a undici39 o a dodici, di decisioni della Corte di Giustizia che si applicano nei confronti di undici o di dodici Stati membri.40
37Con il finire degli anni ’80 si riaccendono le tensioni economiche e politiche, specie dopo il crollo del muro di Berlino, il conseguente crollo dei regimi dei paesi dell’Est Europa e la riunificazione della Germania. Si apre così a Dublino il 28 aprile 1990 un Consiglio europeo straordinario che rilancia formalmente l’impiego costruttivo alla nascita di un’Unione politica europea. Nel secondo Consiglio di Dublino, questa volta ordinario, nel giugno successivo, si decide di convocare una Conferenza intergovernativa. Conclusi i lavori di tale Conferenza intergovernativa il 9 dicembre 1991 si apre lo storico Consiglio europeo che porta poi alla firma del trattato di Maastricht, o Trattato dell’Unione europea il 7 febbraio 1992. Si ricordi poi che dopo Maastricht la CEE ha assunto la denominazione di Comunità europea.
38 Al fine di evitare il blocco o di diluire il testo del Trattato in modo tale che il Regno Unito potesse accettarlo si è scelta una terza soluzione ispirata al modello di «geometria variabile». L’Europa a geometria variabile è un’espressione utilizzata in ambito comunitario per definire una forma di integrazione differenziata, nella quale alcuni Stati membri decidono di procedere ad una più stretta cooperazione tra loro, sfalsando il processo di integrazione che vede invece tutti gli Stati procedere con lo stesso ritmo. L’espressione fu coniata nei primi anni ’80 da Xxxxxx per indicare la possibilità degli Stati membri di procedere al processo di integrazione in alcune settori, escludendo quei paesi che non intendevano partecipare. La cooperazione tra gli Stati doveva avvenire nell’ambito delle strutture e dei meccanismi istituzionali della comunità, concedendo deroghe ai paesi dissenzienti. In xxx.xxxxxx.xx
39 Ad esempio la direttiva 94/45/CE riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensione comunitarie.
40 Xxxxxxxxx X., Diritto del lavoro dell’Unione europea, cit., p.55.
Nel contenuto l’Accordo appare chiaramente ispirato all’esigenza di consolidare la politica sociale ed ampliare altresì gli obiettivi ed i settori di intervento. Tale protocollo autorizza gli undici Stati «a fare ricorso alle istituzioni, alle procedure e ai meccanismi del Trattato, allo scopo di prendere tra loro ed applicare, per quanto li riguarda, gli atti e le decisioni necessarie per rendere effettivo l’Accordo41».
Nell’ottica della politica sociale va rilevato che rispetto all’articolo 117 del Trattato, l’articolo 1 dell’Accordo mostra una particolare attenzione alla promozione dell’occupazione, ad una protezione sociale adeguata, al dialogo sociale, allo sviluppo delle risorse umane, nonché alla lotta alle esclusioni. L’articolo 2 amplia in modo significativo le materie per le quali le decisioni devono esser prese a maggioranza qualificata; particolarmente importante è l’inclusione tra le materie delle “condizioni di lavoro”.
Estremamente significative poi, in quanto costituenti il vero aspetto di progresso sul piano della politica sociale, le disposizioni dell’accordo concernenti il dialogo, provvedendo ad un sostegno equilibrato delle parti (artt.3 e 4). Rispetto all’art 118B le novità di maggior rilievo consistono da una parte nella istituzionalizzazione dell’intervento delle parti sociali nel procedimento di formazione di atti comunitari nella relativa politica (attraverso la prescrizione dell’obbligo, imposto alla Commissione di preventiva consultazione delle parti a livello comunitario) e dall’altra nella previsione di concludere contratti collettivi, quali nuovi strumenti di attuazione delle politiche sociali, rispetto ai modelli tipici prefigurati dall’articolo 189 del Trattato. In tal modo viene ufficializzato l’ingresso, a pieno titolo, nel novero delle fonti di diritto comunitario del lavoro, dell’autonomia collettiva. Si apre così una nuova prospettiva di armonizzazione comunitaria, in un campo, quale quello delle relazioni sindacali, finora contenuto entro esperienze strettamente nazionali, e dal quale prenderà poi avvio una contrattazione collettiva di dimensione europea.42
Nella discussione del dopo Maastricht, del resto, viene messa in dubbio la sincerità dei propositi sociali dei negoziati del Trattato, sostenendo che le riforme introdotte non sono l’espressione di una volontà politica degli Stati membri di intraprendere una strada di significative misure in tema di armonizzazione, quanto piuttosto un aspetto collaterale del negoziato sull’unione monetaria.43
41 Protocollo sulla politica sociale allegato al Trattato di Maastricht. In xxx.xxxxxxx.xx
42 Foglia R.-‐Xxxxxxxxxx G.S., Profili di diritto comunitario del lavoro, Giappichelli, Torino, 1996, p.34
43 Lange P., Il Protocollo sociale di Maastricht: perché l’hanno fatto?, in Stato e mercato, Il Mulino, 1993, p.37
Il Trattato di Maastricht indica il tempo e l’ambito della propria riforma, stabilendo che una Conferenza dei Rappresentanti dei Governi e degli Stati sarebbe stata convocata nel 1996 per esaminare e revisionare le disposizioni del Trattato. Si arriva così al Trattato di Amsterdam44, firmato il 2 ottobre 1997. Dal punto di vista dell’integrazione sociale merita di essere ricordato, in primo luogo, proprio per aver superato la soluzione anomala definita a Maastricht. Con l’avvento in Gran Bretagna del governo laburista, e del Primo Ministro Xxxx Xxxxx, è venuto meno il veto all’applicazione dell’Accordo sulla politica sociale, incorporato nel Titolo XI, Capo I sulle disposizioni sociali, del TCE, e vengono accettate altresì le direttive già adottate nell’ambito dell’Accordo.
Oltre a questa importante novità, nelle analisi dello sviluppo del processo di integrazione sociale, si enfatizza soprattutto la particolare attenzione dedicata ai problemi dell’occupazione45. Nelle sue “memorie” Xxxxxx, presidente della Commissione all’epoca di Maastricht, racconta di aver proposto di inserire, fra i criteri di convergenza ivi concordati in vista del raggiungimento dell’obiettivo della moneta unica, anche quelli relativi alla disoccupazione giovanile e di lunga durata46. L’idea, considerata «questione di interesse comune»47, è stata ripresa ad Amsterdam (anche su pressione di alcuni governi nazionali48) nel contesto della pesante crisi occupazionale presente in gran parte dei mercati dei Paesi della Comunità. D’altra parte il Trattato ha cura di ribadire che la promozione delle finalità occupazionali deve essere conciliabile con l’esigenza di «mantenere la competitività dell’economia della comunità» (art 136.2). L’equilibrio fra gli obiettivi di occupazione e competitività, è una delle indicazioni ricorrenti da parte delle istituzioni europee, e questo riflette in maniera evidente la tensione persistente fra anima economica e sociale dell’Europa. L’esito dell’intesa viene poi depositato nel nuovo Titolo VIII del TCE (artt.125-‐ 130), che costituisce la base normativa della cosiddetta Strategia europea per l’occupazione
44 Trattato di Amsterdam che modifica il trattato sull’Unione europea, i trattati che istituiscono le Comunità europee e alcuni atti connessi.
45Roccella M., Diritto comunitario e diritto del lavoro: dalle origini al Trattato di Lisbona, in Persiani M. (a cura di), Le fonti del diritto del lavoro, cit., p.287
46 X.Xxxxxx, Memoires, Parigi, 2003, cit. in Castellina L., Cinquant’anni d’Europa. Una lettura antiretorica, cit., p.63.
47 Art 126 al secondo paragrafo prevede che: «Gli Stati membri, tenuto conto delle prassi nazionali in materia di responsabilità delle parti sociali, considerano la promozione dell’occupazione una questione di interesse comune e coordinano in sede di Consiglio le loro azioni al riguardo, in base alle disposizioni dell’art.128».
48 Tra cui in primo luogo il governo socialista francese di X. Xxxxxx. Una concessione ulteriore data al Premier francese è stata la previsione di un Consiglio ad hoc sull’occupazione, tenutosi a Lussemburgo i giorni 20 e 21 novembre 1997.
(SEO)49: si tratta della politica adottata nel vertice sull’occupazione di Lussemburgo con l’obiettivo di ridurre la disoccupazione in maniera significativa, istituendo linee direttrici che fungono da base per i piani di azione nazionali e per il coordinamento del mercato del lavoro degli Stati membri. La SEO introduce un nuovo metodo di lavoro, il Metodo aperto di coordinamento (MAC)50, esempio particolarmente illuminante di soft law che crea un equilibrio intervenendo nelle materie di competenza concorrente, quali appunto l’occupazione, la previdenza, e fissando obiettivi che ogni Stato può perseguire a suo modo.
Si procede inoltre con l’istituzione di un Comitato per l’occupazione (che subentra al Comitato per l’occupazione ed il mercato del lavoro, istituito nel dicembre 199651), organo a carattere consultivo che ha la funzione di «promuovere il coordinamento tra gli Stati membri per quanto riguarda le politiche in materia di occupazione e di mercato di lavoro». Ha il compito di «seguire le situazioni dell’occupazione e le politiche in materia di occupazione negli stati membri e nella comunità»52 formulando pareri su richiesta del Consiglio o della Commissione, o anche di propria iniziativa.
49 La Strategia europea per l’occupazione è stata avviata dal Consiglio straordinario sull’occupazione di Lussemburgo nel novembre del 1997, per mettere in atto quanto disposto dal Trattato di Amsterdam che, per la prima volta, ha inserito formalmente gli interventi per il lavoro tra le priorità dell’azione comunitaria. L’obiettivo delle SEO è ridurre la disoccupazione mediante il coordinamento delle politiche nazionali in materia di occupazione, influenzando positivamente la creazione di opportunità di impiego stabile e sicuro ed impegnando gli Stati membri in una serie di obiettivi comuni (i cosiddetti pilastri SEO) incentrati inizialmente sull’idoneità al lavoro, imprenditorialità, adattabilità e le pari opportunità. Nunin R., Il contrasto al sommerso e le iniziative comunitarie e domestiche a favore della promozione di lavoro dichiarato, stabile e sicuro, in Carinci F.-‐Pizoferrato A. (a cura di), Diritto del lavoro dell’Unione europea (vol.9), in Carinci F. (diretto da), Diritto del lavoro, Utet, Milano, 2010, p.223; xxx.xxxxxxxxxxxx.xxxxxx.xxx.xx
50 Le opinioni che circolano sul MAC sono sia ottimistiche che pessimistiche. Il MAC nasce da una scelta politica volta a dare una risposta alla disoccupazione europea ed è frutto della riluttanza degli Stati membri ad accettare interventi normativi nel diritto europeo. Esso fornisce una valida alternativa all’inefficienza dell’armonizzazione rigida, anche se sono innegabili i problemi che comporta dal lato dell’effettività e della legittimazione. Barbera M., Introduzione. I problemi teorici e pratici posti dal Metodo di coordinamento aperto delle politiche sociali. In Barbera M. (a cura di), Nuove forme di regolazione: il metodo aperto di coordinamento delle politiche sociali, Xxxxxxx, Milano, 2006, p. 15 ss.
51Il Comitato per l’occupazione ed il mercato del lavoro viene istituito dalla decisione n.97/16 del Consiglio del 20 dicembre 1996; la sua creazione era stata voluta e sostenuta in particolare dalla Ces.
52L’art. 130 del TCE (ora art. 150 TFUE) prevede che: «Il Consiglio, previa consultazione del Parlamento europeo, istituisce un comitato per l’occupazione a carattere consultivo, al fine di promuovere il coordinamento tra gli Stati membri per quanto riguarda le politiche in materia di occupazione e di mercato del lavoro. Il comitato è incaricato di:
-‐ seguire la situazione dell’occupazione e le politiche in materia di occupazione negli Stati membri e nella Comunità,
-‐ fatto salvo l’articolo 207, formulare pareri su richiesta del Consiglio o della Commissione o di propria iniziativa, e contribuire alla preparazione dei lavori del consiglio di cui all’articolo 128.
Nell’esercizio delle sue funzioni, il comitato consulta le parti sociali.
Ogni Stato membro e la Commissione nominano due membri del comitato».
Un’ulteriore importante modifica introdotta dal trattato di Amsterdam (art. 136 TCE)53 è il richiamo ai diritti fondamentali contenuti nella Carta sociale europea del 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989. L’articolo 6, par. 2 afferma poi che l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 (CEDU), in quanto ritenuti “principi generali” del diritto europeo54.
Con l’adozione della moneta unica alcune leve ed alcuni metodi di intervento, anche in ambito sociale, vengono meno per l’esigenza di garantire il principio di concorrenza ed evitare possibili pratiche sleali. Il metodo migliore quindi risulta essere quello del coordinamento aperto che indirizza i paesi membri attraverso linee guida da sottoporre successivamente ai giudizi delle istituzioni europee, non comportando peraltro mai sanzioni ma solo inviti.55 Nell’ambito della SEO vengono fissati dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 nuovi ambiziosi obiettivi, da raggiungere entro il 2010, basati su quattro pilastri del sistema di occupazione che prevedono adattabilità, flessibilità, imprenditorialità e non discriminazione.56
Il primo decennio del nuovo secolo è quindi segnato da una parte dallo sforzo di adeguare la struttura istituzionale dell’Unione, anche in vista dell’allargamento a numerosi altri paesi57, dall’altra dal tentativo di garantire una maggior democraticità al processo d’integrazione, andando oltre o almeno attenuando l’originaria radice puramente
53 L’art 136 del TCE prevede: «La Comunità e gli stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello di occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione. A tal fine, la Comunità e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell’economia della Comunità. Essi ritengono che una tale evoluzione risulterà sia dal funzionamento del mercato comune che favorirà l’armonizzarsi dei sistemi sociali, sia delle procedure previste dal presente trattato e dal ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.»
54 Da tali disposizioni si deduce che sussiste un obbligo dell’Unione di rispettare le norme della CEDU, così come interpretate dalla Corte europea di Strasburgo, e nella misura in cui costituiscono i principi generali dell’ordinamento europeo secondo quanto ritenuto dalla Corte di Giustizia.
55 Guarriello F., Il Contributo del dialogo sociale alla Strategia europea per l’occupazione, in Barbera M. (a cura di), Nuove forme di regolamentazione: il metodo aperto di coordinamento delle politiche sociali, cit., p.262.
56 Sciarra S., Diritto del lavoro e diritto sociale europeo. Un’analisi delle fonti, Sciarra S.(a cura di), Manuale di diritto sociale europeo, Giappichelli, Torino, 2010, p.17.
57 La comunità, che dopo Maastricht aveva inglobato nel 0000 Xxxxxxx, Finlandia e Svezia, ha accolto nel 2004 dieci altri Stati membri, a cui si sono aggiunti nel 2007 Romania e Bulgaria ed infine l’ultimo allargamento nel 2013 alla Croazia. L’Unione europea conta attualmente 28 Stati.
mercantile. In questo contesto si colloca la conclusione del Trattato di Nizza, nel dicembre 200058 (in occasione del vertice che ha sancito una modesta riforma del Trattato59, poi siglata il 26 febbraio 2001 ed entrata in vigore il 1 febbraio 2003) e di una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Pur priva di valore giuridico vincolante60, la Carta ha rappresentato in questi anni un importante punto di riferimento, soprattutto per i sostenitori dell’Europa sociale. Inoltre ha assunto notevole rilevanza anche per la Corte di giustizia, la quale, com’è spesso avvenuto in passato in presenza di altre Carte o Convenzioni non direttamente efficaci, ne ha tenuto conto nelle sue decisioni61.
La carta di Xxxxx xxxxxxxx i diritti di prestazione sociale, del lavoro sia sul piano individuale, largamente acquisiti nelle principali tradizioni nazionali, che su quello collettivo, riconosciuti in molti Paesi ma non in tutti, e i diritti di cosiddetta “quarta generazione”, volti cioè al contrasto dell’esclusione sociale.
A risolvere il problema in ordine al valore giuridico della Carta dei diritti fondamentali è stato il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 200962. Il nuovo trattato lascia
58 Il trattato di Nizza, concluso dai capi di Stato o di governo al Consiglio europeo di Nizza l'11 dicembre 2000 e firmato il 26 febbraio 2001, è il risultato di undici mesi di negoziati condotti nel corso di una conferenza intergovernativa (CIG) aperta nel febbraio 2000. Esso è entrato in vigore il 1° febbraio 2003, dopo la sua ratifica da parte dei quindici Stati membri dell'Unione europea in conformità alle loro rispettive norme costituzionali. La riforma istituzionale è stata definita tecnica e limitata. Il trattato non cambia infatti l'equilibrio costituzionale, ma effettua invece alcuni aggiustamenti imperniati su due assi principali: da un lato la questione del funzionamento e della composizione delle istituzioni e dall'altro le cooperazioni rafforzate. In www.eur-‐ xxx.xxxxxx.xx.
59 Per questo aspetto va ricordato che il trattato di Nizza ha comportato una riformulazione, lasciandone
comunque quasi immutati i contenuti sostanziali dell’art 137 del TCE.
60 Quanto al suo valore giuridico: la questione avrebbe dovuto esser risolta dal Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 20 ottobre 2004, che aveva provveduto ad incorporare la Carta al proprio interno (come parte II). Tramonta però il progetto di Trattato costituzionale, dopo le bocciature nei referendum popolari francese ed olandese del 2005, che ne hanno impedito l’entrata in vigore (la scelta di sottoporre o meno a referendum popolare la ratifica del Trattato costituzionale dipende dall’ordinamento interno di ciascun Stato membro). La sostanza, se non anche la forma, del progetto costituzionale è stata recuperata dal trattato di Lisbona, che ha reso vincolante la Carta, pur senza incorporarla nel testo del Trattato.
61 Caso noto sono le conclusioni dell’avvocato generale Xxxxxxx, nel caso Bectu (Corte di Giustizia 26 giugno 2001, causa C-‐173/99, Bectu, in xxx.xxxxx.xxxxxx.xx). Nello specifico egli afferma che non è possibile ignorare le pertinenti enunciazioni della Carta, né la sua evidente vocazione a servire, laddove lo consentano le sue enunciazioni, da parametro di riferimento sostanziale per tutti gli attori della scena comunitaria.
Anche la Corte costituzionale ha fatto riferimento alla Carta come ad un «atto formalmente privo di valore giuridico, ma di riconosciuto rilievo interpretativo»: Corte cost.24 ottobre 2007, n.349, in Giur cost, 2007, n.3, p.3535.
62 In occasione del Consiglio europeo del 21 e 22 giugno 2007, i leader europei sono pervenuti a un compromesso: è stato convenuto un mandato per la convocazione di una Conferenza intergovernativa incaricata di creare ed adottare un Trattato di modifica per L’Unione europea. Il testo definitivo elaborato è stato approvato in occasione del Consiglio europeo informale, che si è svolto a Lisbona il 18 e 19 ottobre. Il Trattato di Lisbona è stato firmato dagli Stati membri il 13 dicembre 2007 ed è entrato in vigore il 1 dicembre
intravedere la volontà di rilancio delle politiche europee nelle materie sociali; presenta molti elementi di continuità ma anche numerose e importanti differenze: in merito alla continuità, il testo riprende la maggior parte delle innovazioni contenute nel Trattato che avrebbe dovuto adottare e riconoscere l’efficacia normativa della Carta dei diritti fondamentali, e mai ratificato. Di rilevanza generale è la riformulazione dei valori (nell’art. 2 figurano la dignità, l’eguaglianza, la solidarietà e la parità fra uomini e donne) e degli obiettivi (all’art. 3 è richiamata la formula di «economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale»). Numerosi ed importanti sono tuttavia gli elementi di discontinuità: innanzitutto viene eliminato il progetto della Costituzione per l’Europa e ogni suo accenno63; il TUE viene completamente riscritto, il TCE addirittura cambia nome e natura e si trasforma nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Di particolare rilievo è l’articolo 664 che, meglio formulato, riconosce ai diritti, alle libertà e ai principi stabiliti dalla carta di Xxxxx lo stesso valore giuridico dei trattati, senza però che il testo sia riprodotto in un protocollo o almeno in una dichiarazione allegata.
La crisi successiva, ed ancora attuale, ha messo in luce questioni fondamentali e tendenze non più sostenibili: la disoccupazione e la bassa crescita rischiano di compromettere il futuro delle prossime generazioni. Occorre quindi agire con decisione per affrontare in maniera efficace le nuove sfide globali ed ovviare alle carenze affiorate, sfruttando i punti di forza del modello sociale europeo.
2009, esso modifica in maniera consistente il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità Europea. Rappresenta il punto di arrivo del lungo processo di revisione dei trattati europei.
63 Il Consiglio europeo nell’incipit del mandato per la Conferenza intergovernativa dichiara che «il progetto costituzionale, che consisteva nell’abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione con un unico testo denominato Costituzione, è abbandonato». Inoltre vengono eliminati termini come costituzione e costituzionale, simboli come la bandiera o l’inno; la rimozione di questi riferimenti ha lo scopo di tranquillizzare sia Stati che elettori. È opinione comune che il fallimento del Trattato costituzionale è opera di un errato e fuorviante intervento pubblicizzante dei mezzi di informazione e degli ambienti politici. In Xxxxxxx X., Diritto dell’Unione europea, cit., p.34.
64 L’art. 6 si limita ad affermare che: «1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti di tali disposizioni.
2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati.
3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.». In xxx.xxxxxxx.xx
In occasione del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo del giugno 2010, l’Unione europea vara la nuova strategia decennale, Europe 2020. Si riprendono alcuni aspetti della precedente strategia di Lisbona e si delinea un quadro dell’economia sociale di mercato per il prossimo decennio, incentrandolo su tre ambiti principali: crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.65 Un punto centrale ribadito dalla strategia Europa 202066, vista la gravità della crisi occupazionale67, consiste nelle misure di flexicurity68. Questo strumento dimostra la necessità che a politiche di flessibilità, sostenute già dalla prima strategia decennale, si affianchino anche quelle di sicurezza sul lavoro in senso sociale, che non comportino un decadimento delle tutele del lavoratore. Alcune analisi rivelano che il funzionamento del modello presuppone la capacità del sistema di garantire un veloce reinserimento dei soggetti esclusi dal lavoro in nuove occupazioni: una condizione che la presente fase di crisi non consente di assicurare.69
L’ambizione è sicuramente molto alta, tuttavia mantenendo un atteggiamento di continuità con la precedente strategia, prendendo ad esempio e facendo tesoro dei limiti e dal fallimento dell’esperienza passata, si potrà creare per il 2020 «un quadro politico più ampio che permetta di promuovere non solo la crescita e l’occupazione, l’innovazione e la competitività, ma anche, nell’ambito di una società più partecipativa, lo sviluppo di un’economia più verde».70
L'analisi storica appena brevemente tracciata delle più rilevanti fonti europee e della loro evoluzione induce ad affermare che, ancorché imperfetta, l’evoluzione dello Stato sociale europeo è in continua crescita e deve continuare a ricevere stimolo da parte del coordinamento dei sistemi nazionali.
65 Sciarra S., L’Europa e il lavoro. Solidarietà e conflitto in tempi di crisi, Laterza, Lecce, 2013, p.27.
66 Comunicazione della Commissione «Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», COM (2010) 2020 del 3 marzo 2010.
67 Visto il drammatico peggioramento della situazione occupazionale, le istituzioni europee ritornano con insistenza sul tema: le decisioni del Consiglio n. 2010/707 del 21 ottobre 2010 e 2011/308 del 19 maggio 2011 sollecitano gli Stati ad affrontare le priorità indicate nella strategia: migliorare e sviluppare i sistemi di istruzione per avere una forza lavoro qualificata, promuovere la formazione permanente, e soprattutto aumentare il tasso di occupazione.
68 Il modello nasce dall’esperienza danese, che ha praticato con successo la deregolamentazione del mercato del lavoro e ha spinto a credere che la flessibilità dell’occupazione migliori la competitività delle aziende. La flessicurezza è una strategia integrata per migliorare sia la flessibilità che la sicurezza all’interno del mercato del lavoro, tenta di conciliare le esigenze del datore di una forza di lavoro flessibile e dei lavoratori del bisogno sicurezza e di fiducia di mantenere un concreto sostentamento. In xxx.xx.xxxxxx.xx
69 De Xxxx Xxxxxx X., Flexicurity: un improbabile ossimoro o un’inutile mediazione? In Foglia R. e Xxxxx R., Il diritto del lavoro nell’Unione europea, Xxxxxxx, Milano, 2011, p.421.
70 Xxxxxx X. (a cura di), Dalla strategia di Lisbona a Europa 2020. Fra governance e government dell’Unione Europea, Collana Intangibili Fondazione Xxxxxxx Xxxxxxxx, 2011, p.65.
3. Definizione del tema, azioni positive e politiche family friendly
L’ unità lessicale conciliazione deriva dal sostantivo latino concilium, composto dai lemmi “cum calare”, letteralmente “chiamare insieme”, ossia mettere assieme parti diverse ovvero trovare un accordo tra posizioni concorrenti. La conciliazione è quindi un’azione intrapresa per ristabilire buone relazioni tra entità opposte, al fine di renderle compatibili, congruenti e coesistenti in modo armonico. Le declinazioni di questo concetto base avvengono in relazione a chi, che cosa e perché concilia; quali altri soggetti vengono chiamati in causa, come, quando e per quanto tempo.
In particolare, la conciliazione che ci occupa, nasce dall’assioma secondo cui ogni individuo deve avere la possibilità di lavorare e al tempo stesso di avere una famiglia. Nella società contemporanea esiste un conflitto tra la famiglia e il lavoro, che sicuramente è di tempo ma anche di valori e che, ancorché diffuso e sperimentato comunemente, coinvolge le famiglie in modo differente. Si differenzia e varia infatti dalla situazione economica e sociale, ma soprattutto dal Paese in cui la famiglia vive, è influenzato dalla disponibilità di lavori, dalla presenza, dalla qualità e dei costi dei servizi per i bambini e gli anziani, dai mezzi per gli spostamenti, ma soprattutto ancora oggi coinvolge molto più le donne degli uomini.
Con il termine bilanciamento si intende valorizzare tutto l’insieme di azioni, procedure e/o interventi che mirano a rispondere alle diverse esigenze derivanti dalla vita di ogni giorno, cercando di renderli compatibili tra loro. I diversi bisogni che emergono dai ritmi frenetici della quotidianità derivano da necessità complesse, socialmente rilevanti che hanno lo scopo di migliorare il benessere agendo nella prospettiva di includere tutti i soggetti coinvolti, sia i datori che i prestatori di lavoro. Fare conciliazione significa, quindi, adottare politiche che concretamente intervengono a ristabilire un corretto equilibrio dei propri impegni, favorendo la corretta partecipazione di uomini e donne al mercato del lavoro ed assecondando la ridistribuzione paritaria nelle incombenze familiari.
Per una corretta informazione si evidenzia anzi che la conciliazione nasce e si sviluppa con una precisa connotazione di genere: fino a due/tre generazioni fa veniva declinata unicamente al femminile. Le prime definizioni di conciliazione fanno infatti riferimento alla natura femminile e materna di tale attività, in netta contrapposizione a quella maschile. La donna ha con il tempo conquistato la sua indipendenza economica, smettendo di essere
soltanto moglie e madre, ma affermando se stessa anche nel mondo lavorativo e professionale. Risulta allora ovvio che, cambiando la situazione femminile, si sovvertono anche tutte le realtà ad essa circostanti: la progressiva affermazione del modello dual career, cioè il doppio investimento nell’impegno professionale da parte di uomini e donne, ha progressivamente aperto gli spazi per una rinnovata messa a fuoco del tema della conciliazione.
L’Organizzazione Internazionale del lavoro è stata una delle prime a parlare di bilanciamento e del possibile conflitto tra lavoro e famiglia, ponendo l’attenzione su come le lavoratrici potessero trovare un giusto equilibrio e su quali strumenti fosse giusto mettere in gioco per supportarle. Proprio l’OIL nel 1965 adotta una raccomandazione sulle lavoratrici con responsabilità familiari con la quale esorta le autorità competenti e le organizzazioni pubbliche e private a predisporre azioni e politiche affinché le donne possano partecipare effettivamente al mercato del lavoro in maniera ugualitaria agli uomini sia in termini di ingresso che di successivo rientro a seguito di un periodo di assenza dovuto agli obblighi di cura.
Queste particolari attenzioni ed azioni rivolte al mondo femminile si adeguarono nel tempo alla convinzione che, per avere realmente una parità di genere, non si dovesse agire con misure destinate unicamente alle donne ma allargare le medesime anche a favore del ruolo maschile per incoraggiarne una maggior presenza all’interno della famiglia con un più rilevante impegno e miglior condivisione degli obblighi di cura. L’evoluzione si è mossa in direzione del gender mainstreaming71, diretto all’integrazione orizzontale e trasversale delle opportunità mediante l’impulso alla parità di genere ed il contrasto ad ogni forma di discriminazione.72 Si passa da un approccio teorico impegnato sulla conciliazione dei ruoli,
71 La definizione del concetto di gender mainstreaming a livello europeo è stata data con una comunicazione della Commissione (COM (96)67.def., 21 febbraio 1996 “Integrare la parità di opportunità tra le donne e gli uomini nel complesso delle politiche e azioni comunitarie”. Mainstreaming (integrazione della dimensione delle pari opportunità o di genere): «L’integrazione sistematica delle condizioni delle priorità e dei bisogni propri delle donne e degli uomini in tutte le politiche, al fine di promuovere attività fondate sull’uguaglianza tra donne e uomini. È anche intesa come mobilitazione di tutte le politiche e le misure generali al solo scopo di realizzare uguaglianza e tenendo conto della loro incidenza sulla situazione specifica di donne e di uomini nelle fasi di pianificazione, di implementazione, del calcolo delle ricadute e della loro valutazione».
72 Nunin R., Xxxxxx positive e contrasto alle discriminazioni di genere nel lavoro: la Corte di giustizia e il diritto “diseguale”, in Xxxxxxxxx F. (a cura di), L’eguaglianza alla prova delle azioni positive, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2013, p.131.
rivolto come detto quasi esclusivamente al femminile, ad una diversa e più attuale teoria sulla conciliazione condivisa (o riconciliazione).73
Il legislatore italiano, dapprima mediante la legge 125/199174 ed in seguito in maniera completa con la legge 53/200075, ha quindi cercato di dare una risposta alle diverse istanze provenienti dalle nuove esigenze, mediante azioni positive aventi lo scopo di affiancare all’uguaglianza formale anche quella sostanziale e risolvere il problema su come intervenire concretamente per raggiungere una parità di trattamento, che non costringa le aziende ad un utilizzo antieconomico del lavoro.
Innanzitutto bisogna però rilevare che nel nostro ordinamento non esiste una nozione legale di azione positiva: il legislatore ha infatti ritenuto preferibile delineare analiticamente tali strumenti unicamente in relazione allo scopo teleologico che essi intendono perseguire, senza elencarle tassativamente o fissarne i requisiti formali. Sono considerate in quest’ottica tutte quelle misure che predispongono condizioni ed accesso al lavoro tenendo conto delle differenze che intercorrono tra i due sessi e incoraggiando una più equilibrata divisione delle responsabilità familiari.76 La Corte costituzionale in una sentenza nel 199377, oltre a definirle come «il più importante strumento a disposizione del legislatore e dell’autonomia dei singoli individui», sintetizza il punto di arrivo dell’elaborazione teorica, individuando i requisiti della temporaneità e della volontarietà come decisivi per la legittimità delle stesse.78
73 Xxxxx X., Dalla conciliazione alla condivisione. La regolamentazione normativa dei diritti dei padri lavoratori tra diritto comunitario e diritto interno, in Murgia A.-‐Poggio B. (a cura di), Padri che cambiano. Sguardi interdisciplinari sulla paternità contemporanea tra rappresentazioni e pratiche quotidiane, ETS, Pisa, 2011, p.174.
74 Legge 10 aprile 1991, n.125 “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-‐donna nel lavoro”, in GU
n.88 del 15-‐4-‐1991. La legge, pur essendo intitolata delle azioni positive per la realizzazione della parità nel lavoro, riprende, in realtà, largamente la tematica antidiscriminatoria della legge n. 903/77, integrandone e modificandone molte disposizioni. Xxxxxxxx Xxxxxxx P., Primi interrogativi sui principali nuclei normativi della nuova legge n. 125/1991 in tema di azioni positive e pari opportunità tra uomo e donna, in Riv. giur. lav., 1991, n.1, p.55.
75 Legge 8 marzo 2000, n. 53 “ Disposizioni a sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”. Il legislatore del 2000, disciplinando l’ampia materia dei congedi e promuovendo in tal senso lo sviluppo di azioni positive di conciliazione, ha proposto una sintesi per portare al nuovo concetto di “riconciliazione” o “conciliazione condivisa”, come combinazione di diritti fondamentali e riconoscimento della complessità di tutti i diritti.
76 Vallauri M.L., Le azioni positive nelle Pubbliche Amministrazioni, in Xxxxxxxx M.G., Lavoro delle donne e azioni
positive. L’esperienza giuridica italiana, Xxxxxxx, Bari, 2002, p.141.
77 Sentenza della Corte costituzionale del 26 marzo 1993 n.109, in GU 31-‐3-‐1993 n.14 definisce le azioni positive come «il più potente strumento a disposizione del legislatore e dell’autonomia dei singoli, tende ad innalzare la soglia di partenza per le singole categorie di persona socialmente svantaggiate…al fine di assicurare alle categorie medesime uno statuto effettivo di pari opportunità di inserimento sociale economico e politico». 78 Guaglione L., Le azioni positive. Modelli e tipologie, in Leggi civ. comm., 1994, p.33-‐34.
L’obiettivo principale e presupposto di tutti gli interventi è la redistribuzione degli obblighi di care con la convinzione che solo l’affermazione di questo diritto consenta di riorganizzare il lavoro ed i suoi tempi in una prospettiva più equilibrata.79 Nel contesto degli strumenti, diretti e indiretti, della conciliazione nel diritto del lavoro italiano, l’articolo 980 della legge 53/2000 rappresenta palesemente le sue dinamiche complesse e articolate. La
79 Nel 1999 fece scalpore in Italia la vicenda di alcune lavoratrici del Sud (si trattava di un’azienda tessile siciliana, che occupava trentadue lavoratrici tra i venti e i ventisette anni) che si misero d’accordo fra loro al fine di pianificare a turno le gravidanze e permettere così che le loro vicende familiari non ostacolassero, o in minor misura, l’organizzazione del lavoro dell’azienda e riducendo in questo modo il rischio di perdere il posto di lavoro. In xxx.xxxxxx.xxxxx.xx
80 Il testo aggiornato dell’art.9, legge 53/2000, così come modificato dalla legge 69/2009 prevede che: «1. Al fine di promuovere e incentivare azioni volte a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, nell’ambito del Fondo per le politiche per la famiglia di cui all’articolo 19 del decreto-‐legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è destinata annualmente una quota individuata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato alle politiche per la famiglia, al fine di erogare contributi in favore di datori di lavoro privati, ivi comprese le imprese collettive, iscritti in pubblici registri, di aziende sanitarie locali, di aziende ospedaliere e di aziende ospedaliere universitarie i quali attuino accordi contrattuali che prevedano le seguenti tipologie di azione positiva: a) progetti articolati per consentire alle lavoratrici e ai lavoratori di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, quali part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca delle ore, orario flessibile in entrata o in uscita, sui turni e su sedi diverse, orario concentrato, con specifico interesse per i progetti che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati; b) programmi ed azioni volti a favorire il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo un periodo di congedo parentale o per motivi comunque legati ad esigenze di conciliazione; c) progetti che, anche attraverso l’attivazione di reti tra enti territoriali, aziende e parti sociali, promuovano interventi e servizi innovativi in risposta alle esigenze di conciliazione dei lavoratori. Tali progetti possono essere presentati anche da consorzi o associazioni di imprese, ivi comprese quelle temporanee, costituite o costituende, che insistono sullo stesso territorio, e possono prevedere la partecipazione degli enti locali anche nell’ambito dei piani per l’armonizzazione dei tempi delle città.
2. Destinatari dei progetti di cui al comma 1 sono lavoratrici o lavoratori, inclusi i dirigenti, con figli minori, con priorità nel caso di disabilità ovvero di minori fino a dodici anni di età, o fino a quindici anni in caso di affidamento o di adozione, ovvero con a carico persone disabili o non autosufficienti, ovvero persone affette da documentata grave infermità.
3. Una quota delle risorse di cui al comma 1, da stabilire con il provvedimento di cui al comma 4, è, inoltre, impiegata per l’erogazione di contributi in favore di progetti che consentano ai titolari di impresa, ai lavoratori autonomi o ai liberi professionisti, per esigenze legate alla maternità o alla presenza di figli minori ovvero disabili, di avvalersi della collaborazione o sostituzione di soggetti in possesso dei necessari requisiti professionali.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato alle politiche per la famiglia, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e con il Ministro per le pari opportunità, sentita la Conferenza unificata, nei limiti delle risorse di cui al comma 1, sono definiti i criteri e le modalità per la concessione dei contributi di cui al presente articolo e, in particolare, la percentuale delle risorse da destinare a ciascuna tipologia progettuale, l’importo massimo finanziabile per ciascuna tipologia progettuale e la durata delle azioni progettuali. In ogni caso, le richieste dei contributi provenienti dai soggetti pubblici saranno soddisfatte a concorrenza della somma che residua una volta esaurite le richieste di contributi dei soggetti privati.
5. Le risorse di cui al comma 1 possono essere, in misura non superiore al 10 per cento, destinate alle attività di promozione delle misure in favore della conciliazione, di consulenza alla progettazione, di monitoraggio delle azioni da effettuare anche attraverso reti territoriali. I commi 1255 e 1256 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono abrogati.» In xxx.xxxxxxxxxx.xx
legge è stata dapprima modificata dalla legge 296 del 200681 82e poi riscritta in maniera significativa dalla legge n. 69 del 200983, che inserisce già nel titolo un riferimento alla conciliazione, prima xxxxxxx00. La novella amplia il campo di applicazione per quanto riguarda i destinatari: sia i datori di lavoro autorizzati a presentare richieste di finanziamento per progetti prenegoziati di azioni positive che i lavoratori beneficiari. Abilitati a presentare richiesta di finanziamento nel testo aggiornato sono i datori di lavoro, allargando così anche a quelli non imprenditori, mentre in precedenza il riferimento, improprio, era alle aziende. Ma sotto questo profilo la novità più evidente è la scomparsa della riserva del 50% del finanziamento per le imprese occupanti fino a 50 dipendenti che, nella disciplina previgente, aveva lo scopo di privilegiare la contrattazione collettiva in un’area nella quale sembrava opportuno incoraggiare le parti. L’abolizione della riserva di finanziamento in favore delle piccole imprese è la risposta all’esperienza applicativa, ben poco impiegata sia quantitativamente, perché molto spesso non si raggiungeva il tetto di finanziamento disponibile, che qualitativamente, visto l’uso quasi esclusivo come unico strumento del part-‐ time.85
81 Legge 27 dicembre 2006, n.296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)”, art. 1, comma 1254.
82 Sembra opportuno, per il confronto, richiamare anche il testo previgente dell’art.9 legge 53/2000 “Misure a sostegno della flessibilità di orario”: «1. Al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, nell’ambito del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-‐legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, è destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall’anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilità, ed in particolare: a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, tra cui part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione; b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo; c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e per le pari opportunità, sono definiti i criteri e le modalità per la concessione dei contributi di cui al comma 1». In xxx.xxxxxxxx.xxx
83 Legge 18 giugno 2009, n.69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile”».
84 In precedenza la rubrica dell’art. 9 era “Misure a sostegno della flessibilità di orario”.
85 Tinti A.R., Il legislatore, la crisi il sostegno alla conciliazione dei tempi: misure di piccolo cabotaggio, in Ballestrero M.V.-‐Xx Xxxxxx X. (a cura di), Persone, lavori, famiglie. Identità e ruoli di fronte alla crisi economica, Giappichelli, Torino, 2013, p.224.
Per aspirare al finanziamento, l’azione positiva deve essere ricondotta ad una delle tre sottocategorie indicate dal legislatore; ogni intervento deve essere concordato e formalizzato in accordi contrattuali che rappresentano la condizione tecnicamente imprescindibile di ammissibilità al finanziamento.86
La prima ipotesi (lett. a) comprende progetti articolati per consentire ai dipendenti di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro; il legislatore elenca a titolo esemplificativo alcuni strumenti, a volte non proprio innovativi (quali part-‐time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, banca ore, orario flessibile in entrata e in uscita, su turni e su sedi diverse, orario concentrato). In realtà la cosa importante è che la flessibilità oraria presenti un valore aggiunto tale da essere compresa nella nozione di azione positiva quale strumento innovativo capace di agevolare la conciliazione tra vita e lavoro. Dunque anche un classico strumento di elasticità può essere valutato alla stregua di un’azione positiva se utilizzato in una maniera tale da esser innovativo per quanto riguarda i carichi di famiglia e di lavoro.87 Viene peraltro precisato che saranno oggetto di specifico interesse i progetti «che prevedano di applicare, in aggiunta alle misure di flessibilità, sistemi innovativi per la valutazione della prestazione e dei risultati».
La seconda categoria (lett. b) riguarda i programmi di formazione per il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori dopo il periodo di congedo88. Lo scopo sotteso a questa previsione è quello di evitare che l’assenza per congedo renda difficoltoso per il lavoratore riprendere la sua attività lavorativa.
Infine, la terza previsione (lett. c) considera la promozione di progetti che sostengano interventi e servizi innovativi in risposta alle possibili esigenze di conciliazione dei lavoratori e delle lavoratrici.
Sembra interessante segnalare un progetto della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, già attiva con varie linee di intervento sui temi della conciliazione vita e lavoro e sull’equilibrio tra uomini e donne nelle responsabilità familiari, denominato “Family friendly
– La conciliazione come obiettivo aziendale” che ha l’intento di far conoscere alle aziende le
86 Calafà L., L’art. 9 della legge n.53/2000: la conciliazione tra incentivi ed azioni positive, in Del Punta R.-‐ Gottardi D., I nuovi congedi. Commento alla legge 8 marzo 2000, n.53, Il Sole 24 Ore, Milano, 2001, p.194.
87 Garattoni M., La tutela del padre lavoratore in Italia, in Calafà L. (a cura di), Paternità e lavoro, Il Mulino, Bologna, 2007, p.78.
88 A tal riguardo si considera congedo un periodo non inferiore a 60 giorni di assenza dal lavoro per le finalità previste dalla legge, salva diversa disposizione dei contratti collettivi. I programmi di formazione possono essere successivi al congedo parentale o per altri motivi comunque legati ad esigenze di conciliazione.
opportunità offerte dall’art. 9 della legge 53/2000 con l’intervento di un comitato tecnico di esperti per aiutarle a creare dei progetti per il bando nazionale.89
In generale si può, almeno per il momento, sostenere il sostanziale fallimento dello strumento predisposto dall’art. 9. Questo deriva dalla sfasatura di ciò che la norma, pensata in tempi migliori sia dal punto di vista economico che delle aspettative, richiede e del mutamento qualitativo che elementi quali le azioni positive, la conciliazione condivisa ed il coinvolgimento paritario stanno subendo attualmente. L’unico approccio possibile, oggi, sembra essere quello di mettere nuovamente e maggiormente in comunicazione il tema della conciliazione con il resto del diritto del lavoro: solo in questo modo, in tempi di recessione, si può riportare nuovamente in auge il tema della conciliazione e valutare la tenuta dell’intera disciplina.
Risulta necessario segnalare che, accanto alla fondamentale presenza e incisività della normativa nazionale, anche lo strumento delle politiche aziendali, con cui le imprese possono scegliere liberamente di inserire family friendly policies, gioca un ruolo decisivo. Dette politiche aziendali sono l’insieme delle pratiche organizzative e degli strumenti che facilitano la conciliazione nei confronti delle famiglie, introdotte volontariamente dai datori di lavoro per integrare le lacune o colmare i vuoti legislativi. Queste politiche possono essere distinte in diversi settori di intervento: i congedi; i servizi per la cura e per l’infanzia (nidi aziendali, accordi con i servizi locali, aiuto finanziario); flessibilità di orario (part-‐time, flex-‐ time, job-‐sharing, telelavoro, banca ore, contratti a tempo determinato); misure di sostegno e assistenza (formazione di responsabili sul tema della conciliazione, consulenti del lavoro, campagne informative, studi sui bisogni dei dipendenti).90
Anche in questo ambito si osservano importanti diversità nei diversi Paesi membri: in tema di politiche aziendali a sostegno della conciliazione e della flessibilità, paesi come la Germania e l’Italia ricorrono in maniera più elevata rispetto ad esempio alla Danimarca e al Regno Unito. Nell’ambito dei servizi di cura per l’infanzia, invece, i Paesi Bassi risultano il paese con il più elevato livello interventista da parte dei datori di lavoro (questa caratteristica deriva essenzialmente dal sistema di welfare dello Stato), mentre l’Italia e la
89 Xxxxx X., Xxxxxx esterno, lavoro di cura e tutela dei genitori: criticità e prospettive per le lavoratrici artigiane, in Quaderni di ricerca sull’artigianato, p.47.
90 Naldini M., Trasformazioni lavorative e familiari: soluzioni di policy in diversi regimi di welfare, in Nunin R. – Xxxxxxx E. (a cura di), Donne e famiglie nei sistemi di welfare. Esperienze regionali e nazionali a confronto, Xxxxxxx, Pisa, 2007, p.60.
Danimarca risultano quelli in cui detti servizi sono meno diffusi, anche se per ragioni diametralmente opposte. Nel nostro ordinamento infatti si confida nel supporto familiare, considerato che mancano la cultura e le norme che incentivino lo sviluppo dei nidi aziendali ma soprattutto un’offerta pubblica e privata che si riveli adeguata. La Danimarca invece, al contrario, ha un’elevata copertura da parte del sistema pubblico, per quanto riguarda i servizi per i bambini minori di tre anni, tale da soddisfare ogni esigenza in materia. Infine, le politiche sulla flessibilità dell’orario presentano minore eterogeneità rispetto al resto e sono ampiamente presenti in tutti gli ordinamenti, con una maggiore diffusione nei Paesi Bassi e nel Regno Unito (in cui infatti si prediligono le occupazioni part-‐time).91
Da diversi studi92 emergono dati interessanti e differenti al riguardo delle politiche aziendali europee family friendly: nei Paesi Bassi i datori di lavoro tendono prevalentemente a fornire misure legate a servizi per l’infanzia, attraverso la creazione di asili nido aziendali o accordi con servizi di cura convenzionati. In Italia si forniscono in particolare strumenti supplementari ai congedi parentali, accordando il part-‐time al rientro nel posto di lavoro; nel Regno Unito vengono offerte svariate possibilità creando un’offerta molto diversificata di servizi per l’infanzia pur non prevedendo un elevato livello di copertura degli stessi. I datori di lavoro svedesi infine considerano la cura dei figli e i servizi ad essi dedicati come una responsabilità pubblica e intervengono in prima persona per sostenere ed integrare le misure pubbliche.
Se si dà uno sguardo oltreoceano le decisioni in materia di tutela dei lavoratori, non solo uomini ma anche donne, sono molto recenti. Negli Stati Uniti il congedo di paternità retribuito è quasi un’utopia, basti pensare che non esiste neppure un congedo di maternità retribuito integralmente.93 Solo dal 2003 le neo-‐mamme e i neo-‐papà possono chiedere dodici settimane di congedo comprendenti sia quelli per malattia che quelli parentali: negli anni successivi alcuni Stati USA hanno iniziato ad adottare provvedimenti che favoriscano le esigenze familiari dei lavoratori. Ad esempio in California nel 2004 è stata inserita la
91 Daugareilh I. – Xxxxxx P., La conciliazione dei tempi nelle riforme dell’orario di lavoro in Europa (Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi), in lav. dir., 2005, n.2, p.224 ss.
92 Xxxxx X.X., Firm Contribution to the Reconciliation between Work and Familiey Life, Labour Market and Social Policy, Occasional Paper, 2001, n.48, OECD, Paris; OECD, Employment Outlook, chap.4, Blancing Work and Family Life, Helping Parents into Paid Xxxxxxxxxx, Xxxxx, 0000, p.136; Den Dulk L., Work-‐family Arrangements in Organisations: A cross-‐national study in the Netherlands, Italy, the Xxxxxx Xxxxxxx xxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000.
93 Del Priore C., Congedo di paternità obbligatorio, passo in avanti verso l’Europa, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
possibilità di ottenere sei settimane di congedo parentale parzialmente retribuito, come pure nello Stato di Washington e del New Jersey.
Per contro bisogna tuttavia riportare che alcuni padri statunitensi stanno ripensando al loro ruolo in famiglia e sul lavoro grazie alle politiche aziendali sempre più generose in materia di congedi.94 Infatti negli ultimissimi anni la situazione è profondamente cambiata, quasi tutte le aziende offrono nuovi benefici: la Goldman Sachs ha recentemente garantito ai neo-‐papà più tempo pagato da passare con i figli portando da due a quattro settimane il congedo per il fiocco rosa o xxxxxxx00, Twitter concede dieci settimane di congedo retribuito, Facebook diciassette, Google dodici e Adobe sedici se il padre è “primary caregiver” (genitore principale). Molte imprese hanno infatti preso coscienza dell’importanza dei congedi e soprattutto nella Silicon Valley, specie nel settore tecnologico96, si rileva un grande impegno che ha portato ad un progressivo e costante aumento della concessione di congedi retribuiti.
4. Gli strumenti work-‐life balance
Dopo aver introdotto e definito il tema, aver brevemente descritto il contesto europeo (e non solo) di riferimento con le relative peculiarità e criticità, risulta necessario soffermarsi ed approfondire gli elementi su cui si basa e di cui si compone la cultura del bilanciamento tra vita lavorativa e familiare. Tra i suddetti elementi, il centro dell’attenzione non può che focalizzarsi sugli strumenti che si possono predisporre per arrivare ad un’efficace conciliazione tra impegni personali e familiari, sull’implementazione di tali
94 Xxxxx Xxxxx L., Silicon Valley’s Latest Innovation? Paternity Leave. Tech companies across the country are rolling out generous policies for new dads, raising the bar for the rest of corporate America. Will they start a working father revolution? To find out, I collected stories from the scrappy front lines: the handful of dads who are boldly redefining their roles at home and at the office, 23 settembre 2015, in xxx.xxxxxx.xxx
95 Virgin: Xxxxxxx concede ai neo-‐genitori un anno di congedo a stipendio pieno. In xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx/xxxxxxx/0000/00/00/xxxx/xxxxxx_xxxxxxx_xxxxxxx_xx_xxx-‐ genitori_un_congedo_di_un_anno_con_stipendio_pieno-‐116608048/
96 Xxxxxx Xxxxx Xxxxx ha intervistato diversi papà occupati nel settore e le risposte che sono state date erano impensabili fino a una decina di anni fa. Xxxxx Xxxxxxxx, sviluppatore di software indipendente e dipendente di Google ha preso dodici mesi di congedo, da poco aumentati dall’azienda. Alla Apple Xxxx Xxxxx, sviluppatore senior che gestisce un laboratorio, è rimasto a casa dodici settimane dopo la nascita della figlia. Xxxxxx Xx, direttore nel settore sviluppo a Twitter, assieme ad altri due colleghi neo papà hanno progettato il lancio di una start-‐up in modo tale che coincidesse con la data prevista del parto e ora intende stare a casa per sei settimane. In Xxxxx Xxxxx L., Silicon Valley’s Latest Innovation? Paternity Leave. Tech companies across the country are rolling out generous policies for new dads, raising the bar for the rest of corporate America. Will they start a working father revolution? To find out, I collected stories from the scrappy front lines: the handful of dads who are boldly redefining their roles at home and at the office, cit.
iniziative nonché sulla classificazione delle stesse. Nel prosieguo si cercherà quindi di configurare un quadro completo e quanto più possibile chiaro ed esaustivo degli strumenti organizzativi e gestionali attualmente disponibili.
Per avere una classificazione in tale ambito si possono distinguere quattro macro aree97: temporali; spaziali; servizi per la famiglia e servizi per i lavoratori.
4.1 Strumenti temporali
Gli strumenti più attuati e diffusi sono senza dubbio quelli volti a sostenere la flessibilità d’orario: si tratta di individuare forme differenti da quelle standard a tempo pieno, che garantiscano una maggior flessibilità, ma cerchino di contemperare sia i diritti dei lavoratori che gli interessi dei datori di lavoro. La possibilità di adottare politiche di tal genere è strettamente legata all’organizzazione dei tempi e degli spazi della giornata lavorativa, possibilità intesa come libertà di scegliere, tra le diverse alternative, quella che più si conforma alle rispettive esigenze.
Elasticità dell’orario giornaliero: è stata una delle prime forme di flessibilità inserite nei contratti e impiegata nelle aziende. Comprende interventi sulla durata e sulla distribuzione delle ore giornaliere lavorative; sull’elasticità in entrata e/o in uscita con la possibilità di posticipare anche fino a due ore l’ingresso o anticipare l’uscita per esigenze familiari e non (naturalmente più è estesa la fascia di flessibilità più grandi sono i vantaggi); sulle aspettative e permessi; sulla specifica organizzazione degli orari in particolari “isole” di tempo o con la settimana concentrata fino all’autogestione del lavoro.
In dettaglio l’orario scorrevole è uno strumento di facile attuazione e molto utilizzato per i ruoli che non prevedono contatti diretti con il pubblico e che di conseguenza non necessitano di orari definiti. Di seguito i permessi offrono la possibilità di assentarsi dal posto di lavoro per periodi superiori o diversi concessi dalla normativa vigente, come ad esempio l’integrazione dei congedi familiari o di quelli per la cura degli anziani. La settimana concentrata, invece, permette di comprimere i giorni in meno dei classici cinque, allungando l’orario complessivo giornaliero. Nella gestione autonoma degli orari di lavoro si lasciano
97 Costa G. – Xxxxxxxxxxx X., Risorse umane: persone, relazioni e valori, XxXxxx Xxxx, Xxxxxx, 0000.
liberi i lavoratori di organizzare i propri orari con il vincolo di dover addivenire ad un certo risultato, garantire un determinato livello di servizio o una presenza minima di persone.
Tale strumento è molto apprezzato dai lavoratori in quanto è possibile lavorare full-‐ time, e dunque non dover rinunciare ad una parte consistente dello stipendio, e contestualmente gestire in maniera ottimale il proprio tempo sia lavorativo che familiare.
Casi di best practices in Europa: nel Regno Unito un’azienda di grandi dimensioni, la Price Xxxxxxxxxx, ha introdotto delle forme di flessibilità in cambio della diminuzione dello stipendio. Ogni lavoratore può usufruire di un pacchetto remunerativo che comprende sia il salario che altri benefici come il rimborso per l’assistenza ai bambini, buoni per gli acquisti, trasporti aziendali, più giorni di congedo, fondi pensione, assicurazione sanitaria e per i viaggi.98
In Danimarca il Ministero per gli Affari Sociali consente ai propri dipendenti la possibilità di convertire i permessi non goduti con “caredays”, giorni da dedicare alla famiglia.
In Spagna uno studio dentistico, il Central Dental Villoc, ha organizzato, con notevole successo sia per il personale che per i clienti, il lavoro su tre giorni della settimana (dalle 9 alle 21) in modo da poter organizzare al meglio i propri impegni.99
Figura n. 1 –Incidenza delle diverse tipologie di flessibilità nell’organizzazione dell’orario di lavoro sul totale delle imprese, per paese
98 X’Xxxxx X. (University of East Anglia) – Xxxx P. (Institute of Education University of London) – Xxxxxxxxx A. (University of Edimburgh) – Xxxx X. (University of Oxford), United Kingdom country note, in Xxxx P., International Review of Leave Policies and Research, 2013; Progetto FSE Ob. Mis E1 n. 33067, L’innalzamento del taso di attività femminile attraverso interventi di innovazione organizzativa; Xxxxx X., The Legal regulation of Prengnancy and Parenting in the Xxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx-x‐Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000.
99Provincia di Torino, Quaderno di lavoro: La conciliazione lavoro-‐famiglia in Italia e in Europa, compendio di documentazione, p.45, xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xxx.xx/xxxx_xxxxxxxxxxx.
Elaborazione propria su dati: Xxxx E., Quel che resta della conciliazione. Lavoro, famiglia, vita privata tra resistenze di genere e culture organizzative, Vita e pensiero, Milano, 2009.
Part-‐time: sicuramente la forma più diffusa, ancorché in Italia ancora utilizzata solo limitatamente. Con il termine part-‐time si fa riferimento ad un contratto di lavoro caratterizzato da un orario inferiore rispetto a quello full-‐time. Esso può assumere diverse configurazioni: orizzontale, verticale e misto. Il part-‐time orizzontale è la forma più tipica con una riduzione dell’orario giornaliero rispetto alla settimana standard che prevede le classiche 40 ore; nella tipologia verticale l’attività viene svolta a tempo pieno ma soltanto per alcuni giorni della settimana. All’interno di quest’ultima tipologia rientra anche il cd. part-‐time ciclico: si tratta di un’attività prestata solo in alcune settimane o in alcuni mesi dell’anno, solitamente interessa alcuni settori particolari con elevate punte di stagionalità (come ad esempio il turismo). In quella mista infine si ha la combinazione delle due precedenti configurazioni, ovverosia si presta il proprio servizio in determinati periodi a orario pieno o ridotto. In alcuni casi è anche possibile chiedere il part-‐time reversibile post maternità, con cui si richiede il tempo parziale rinunciando a parte del proprio congedo parentale così da mantenere i contatti con il posto di lavoro ma conservare anche una buona fetta della giornata per fare la mamma. Certo la valutazione molte volte è anche economica,
ma posto che il congedo parentale viene retribuito al 30% dello stipendio, con il part-‐time i margini di guadagno sono pochi.
Come sopra anticipato si rileva che in Italia il part-‐time viene poco utilizzato: facendo una comparazione con il resto dell’Unione europea si riscontra una percentuale sotto la media e un tasso ancora più basso rispetto a molti paesi nordici. Tale dato rende palese la storia di ostilità vissuta dal part-‐time nel nostro Stato da entrambe le parti sociali. Il sindacato persiste infatti nel considerare l’orario parziale come una specie di male minore e solo per comprovati motivi familiari. Dimostrazione di detta affermazione può essere facilmente dedotta dalla contrattazione nazionale che prevede dei livelli massimi di percentuali ammesse (solitamente si aggirano sul 10% della forza lavorativa, arrivando fino al massimo del 25% in alcuni settori pubblici): con queste limitazioni risulta molto difficile raggiungere, o per lo meno avvicinarsi, alle percentuali che offre il mercato in Olanda, Danimarca e Xxxxx Xxxxx.000 I datori di lavoro invece ritengono più facile gestire un minor numero di personale e sono restii ad intraprendere una nuova organizzazione lavorativa, anche se ciò non comporterebbe costi troppo elevati quanto invece potrebbe, una volta a regime, portare a discreti aumenti di produttività.
Il part-‐time invece è visto in maniera molto positiva dai lavoratori, e soprattutto dalle mamme, che apprezzano la possibilità di conciliare l’attività lavorativa con la gestione delle faccende personali sia per la cura dei figli che per le altre incombenze della casa. Da esperimenti fatti in diverse aziende, in cui si è optato di far scegliere a tutti i dipendenti (sia maschi che femmine) la durata migliore dell’orario di lavoro, si è riscontrato che in pochi mesi più della metà è passato a nuovi schemi di orario ridotto così come offerti dall’azienda, portando di conseguenza a nuove assunzioni ma anche ad un aumento della produttività.
Per fornire ancora un quadro più esaustivo si deve riportare che, in media, sono prevalentemente le donne a beneficiare di questa tipologia di contratti, proprio perché permette loro di occuparsi maggiormente delle incombenze familiari, considerate necessità più impellenti rispetto agli uomini dal momento che sia da un punto di vista storico che culturale, e molte volte anche economico, alle donne viene richiesto un sacrificio maggiore nei confronti del proprio lavoro.
100 Ponzarelli A.M., Focus. La conciliazione famiglia-‐lavoro, p. 12, xxx.xxxx.xx
Casi di best practices a livello europeo: in Olanda il part-‐time è un diritto legale ed esiste in più della metà delle aziende olandesi: si fornisce infatti la possibilità di lavorare meno ore su uno schema settimanale, a patto che non entri in contrasto con le necessità. Inoltre, fino agli otto anni del bambino, a ciascun genitore è prevista la facoltà di fruire di sei mesi di lavoro a tempo parziale.
Parimenti in Svezia i genitori possono ridurre le proprie ore lavorative di un quarto fino al compimento del dodicesimo anno d’età del bambino.
Figura n. 2 – Tasso di part-‐time tra lavoratori con più di quindici anni, per genere
Fonte: Quadrelli I., Promuovere la conciliazione tra responsabilità familiari e impegno lavorativo nei luoghi di lavoro, in Osservatorio nazionale sulla famiglia, working paper n.2
Figura n. 3, 4 – Le ragioni principali del lavoro a tempo parziale, per genere
UOMINI
Istruzione[16%
Non capace di trovare lavoro a tempo pieno 43%
Cura dei bambini o
adulti inabili 8%
Altre ragioni familiari o personali 6%
Malattia o inabilità propria 8%
Altre ragioni
19%
DONNE
Non capace di trovare lavoro a tempo pieno 21%
Istruzione
3%
Malattia o inabilità propria 2%
Cura dei bambini o adulti inabili
42%
Altre ragioni
13%
Altre ragioni familiari o personali 19%
Elaborazione propria su dati: Eurostat (statistical books), Reconciliation between work, private and family life in the European Union, 2009.
Banca ore, conti ore o annualizzazione dell’orario: il primo è un istituto contrattuale che permette ai lavoratori di accantonare le ore di straordinario svolte in un monte ore che può successivamente essere trasformato, secondo le proprie necessità, in giorni e ore di permesso entro lassi di tempo prestabiliti. La peculiarità di questa modalità flessibile è sia la non monetizzazione delle ore lavorate in più che la compensazione di benefici temporali con quelli valutari.
L’annualizzazione dell’orario, invece, consiste nella fissazione delle ore complessive che il lavoratore dovrà svolgere durante l’anno, senza tuttavia definire rigidamente la sua distribuzione temporale. I benefici per il lavoratore sono molteplici, posto che l’organizzazione dei tempi è totalmente nelle sue mani, permettendogli in tal modo a predisporli per il meglio.
Term-‐time: con tale termine ci si riferisce alla possibilità concessa dalle aziende di richiedere un congedo durante le vacanze scolastiche, anche se non retribuito. Questa tipologia è utilizzata in molti paesi europei ma molto poco, o quasi per nulla, in Italia.
Casi di best practices a livello europeo: significativi esempi vengono riportati soprattutto dal Regno Unito, in cui aziende come Dixons, Prince Xxxxxxxxxx, Marks and Xxxxxxx, Boots the Chemists prevedono tale possibilità.101
Job sharing o lavoro ripartito: è un rapporto di lavoro in cui in uno stesso posto a tempo pieno due persone si assumono l’onere di adempiere una stessa prestazione lavorativa. Questo consente di decidere autonomamente la suddivisione dell’orario, garantendo così discrezionalità ed autonomia nel suddividere la mole di lavoro giornaliera, settimanale o mensile, garantendo sempre la parità e l’equilibrio, atteso che il salario viene calcolato sulla base delle ore effettivamente prestate da ciascun dipendente.
Da queste premesse si può facilmente desumere il grande vantaggio offerto alla coppia che può contare sulla massima flessibilità nel gestire i propri impegni sia personali che familiari; per il datore di lavoro invece questo può astrattamente comportare dei benefici dal momento che in tal maniera si mescolano sapientemente le competenza di ciascuno in modo produttivo.
Questa modalità è stata inserita formalmente nel nostro ordinamento con il D.Lgs. n. 276/2003, anche se va precisato che era un istituto esistente anche anteriormente, ed è stata abolita con l’art. 55 del cd. Jobs Act (D.Lgs. n. 81 del 15 giugno 2015). 102 Per una corretta informazione si evidenzia che in Italia erano effettivamente poche le aziende che facevano ricorso a questa possibilità fin dall’inizio; i casi erano molto isolati. All’opposto in Europa rappresenta una concreta realtà e ben il 25% delle società ne fa uso, a partire dal Regno Unito che registra il tasso più elevato.
Casi di best practices a livello europeo: come abbiamo detto la Gran Bretagna conta il numero più elevato di casi, ed è interessante rilevare che sia utilizzato di frequente per posti di elevata responsabilità e qualificazione. Ad esempio al Mid-‐essex Community and Mental health trust il posto di direttore del Primary Care è ripartito tra due soggetti; parimenti anche quello di direttore del personale dell’University College London Hospital viene diviso.
101 Xxxxx X., The Legal regulation of Prengnancy and Parenting in the Labour Market, cit.; Progetto FSE Ob. Mis E1 n. 33067, L’innalzamento del taso di attività femminile attraverso interventi di innovazione organizzativa, p. 16.
102 Malandrini S., Le prestazione part-‐time dopo l’abrogazione del job sharing, in Diritto & Pratica del lavoro n. 3/2016, p. 146.
Anche in gruppo di supermercati inglesi, per incentivare le donne ad occupare posizioni dirigenziali, si contempla tale tipo di contratto.103
4.2 Strumenti spaziali
Telelavoro o lavoro a distanza: tale strumento non raffigura esclusivamente una modalità che consente una flessibilità spaziale, quanto piuttosto e di conseguenza, anche una di tipo orario. Si concretizza in una maggior e autonoma organizzazione del proprio tempo e dei propri impegni ma soprattutto in una riduzione dei tempi di spostamento e trasporto casa-‐lavoro, consentendo di liberare spazi da dedicare a se o ai propri cari.104 Essendo strettamente avvinto all’evoluzione tecnologica è quindi esposto ad una continua e rapida trasformazione.
In realtà non esiste una definizione comunemente accettata, ma essenzialmente il telelavoro consiste nell’attività lavorativa che, avvalendosi di tecnologie informatiche e telematiche, non necessita della presenza in azienda o nella sede principale ma risulta possibile effettuare presso in proprio domicilio o in centri attrezzati. Nel dettaglio il telelavoro implica la presenza di un collegamento diretto con l’azienda e, grazie a questa connessione, è possibile eliminare parte dei vincoli spaziali e temporali che legano la prestazione lavorativa in un determinato luogo fisico, assicurando snellezza organizzativa e flessibilità.
La normativa italiana non descrive ancora uno schema di telelavoro comprendente tutte le diverse categorie e i settori, all’infuori del lavoro svolto nella Pubblica Amministrazione per il quale è stata emanata la Legge n. 191/1998 e successivamente il relativo regolamento mediante D.P.R. n. 70/1999, che in linea di massima rinvia all’apposito regolamento emesso dall’Aia nel 1999. Nel settore privato invece, non essendo stato delineato alcunché si ritiene applicabile il Framework Agreement on Telework, l’accordo quadro siglato nel luglio 2002 tra la Confederazione Europea dei Sindacati e numerose altre associazioni imprenditoriali.105
103 Progetto FSE Ob. Mis E1 n. 33067, L’innalzamento del taso di attività femminile attraverso interventi di innovazione organizzativa, cit., p. 15.
104 Ferrara M., La Gestione del lavoro flessibile, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2006, p.271.
105 Xx Xxxxxx X. (a cura di), Telelavoro: dove, come, quando. 7 studi di fattibilità su aziende ed Enti toscani, 2003,
Esistono diverse tipologie di telelavoro possibili, in particolare esse si possono distinguere in base al tempo e allo spazio. In generale è più comune la soluzione a tempo parziale che va ad integrare il normale orario svolto in sede, è raro trovare attività svolte totalmente da remoto. Per quanto riguarda la ripartizione spaziale, nel telelavoro da casa (o domiciliare) il prestatore svolge la propria attività dal suo domicilio, i contatti con l’azienda avvengono per mezzo del computer, fax o telefono. Il telelavoro da centri satelliti o di vicinanza consente di mettersi in comunicazione con l’azienda mediante un centro attrezzato appositamente creato per un certo numero di dipendenti che risiedono nei dintorni. Tale filiale si distingue dalle altre perché creata per venire incontro alle esigenze dei lavoratori e non dei clienti. In tale categoria rientrano anche i centri di quartiere, creati da un consorzio di più soggetti allo scopo di dividere i costi d’investimento e di gestione di tutte le infrastrutture necessarie. Per quanto riguarda il telelavoro mobile, esso si discosta un po’ dalla definizione prima riportata perché, sebbene la prestazione si svolga per mezzo di un PC o altri strumenti mobili, non è necessario definire un luogo di appoggio ovvero una sede fissa, ma può esser svolta in qualunque momento e in qualsiasi luogo. Infine, fattore che fa meglio capire perché il concetto di telelavoro risulta essere così ampio, possiamo annoverare anche la remotizzazione e il sistema diffuso d’azienda. Il primo è svolto da un team di persone che, benché geograficamente distanti una dall’altra, tutte insieme collaborano al medesimo progetto; con il secondo si vuole indicare un’azienda non esistente in maniera fisica ma solo in modo virtuale, le persone sono collegate e comunicano tra loro, unicamente in rete.
I vantaggi derivanti dalla scelta di tale modalità di lavoro sono molteplici da ben tre punti di vista: innanzitutto comporta evidenti benefici per il lavoratore, per il datore di lavoro ed infine per l’ambiente, forse una posizione mai tenuta a mente ma che sempre più deve entrare all’interno di questi ragionamenti. Il giovamento per i lavoratori consiste nel risparmio di tempo e nell’ottimo bilanciamento vita-‐lavoro. Infatti vengono eliminati i cd. “tempi morti”, ovverosia tutti i trasferimenti quotidiani casa-‐lavoro che comportano un dispendio sia in termini orari che economici, con conseguente maggior produttività derivata dalla soddisfazione proveniente da più autonomia e autogestione, fenomeno confermato da tutte le statistiche ed analisi in materia. Paradossalmente per il datore di lavoro le convenienze sono ancora maggiori: si riscontra sia un aumento del livello di soddisfazione e senso di appartenenza derivanti da una maggior responsabilizzazione e conseguente
ottimizzazione delle mansioni affidate che l’opportunità di integrare persone diversamente abili o svantaggiate, che non riescono ad essere autosufficienti.106 Oltretutto in termini economici un’azienda, può risparmiare in maniera considerevole sull’affitto degli uffici, sui costi di gestione (impianti di illuminazione e riscaldamento o condizionamento, manutenzione e pulizia), unitamente ai benefici fiscali spesso previsti come incentivo, da ultimo aumentati con il recente Jobs Act.107 Proseguendo, importanti vantaggi derivano, implicitamente, anche per l’ambiente, la fine del pendolarismo comporterebbe una radicale riduzione del traffico sia stradale che ferroviario e di conseguenza anche una sensibile diminuzione dell’inquinamento con tutte le evidenti conseguenze. Significherebbe creare nuove opportunità anche per chi non abita nelle o vicino le grandi città e ciò potrebbe aiutare ad arginare l’abbandono e la crisi che investe le zone rurali.
Comprensibilmente ciascuna soluzione porta con sé benefici ma anche svantaggi e per converso il telelavoro può determinare per chi lo pratica una riduzione del senso di socializzazione e una sorta di isolamento, data dalla mancanza di rapporti diretti con i propri colleghi, una minor guida e un minor aiuto nel rapportarsi e nello svolgere i propri incarichi e, quasi paradossalmente, in alcuni casi, ha comportato una diminuzione del tempo libero a causa dalla sindrome cd. workaholic (o over-‐working).108 Infine è comunque doveroso rilevare che per i datori, il lavoro a distanza sicuramente comporta una maggior spesa (almeno inizialmente) per gli apparati informatici, i corsi di formazione per il personale destinato, la riorganizzazione (in partenza anche culturale) dei processi e degli sviluppi aziendali, rinunciando alla tradizionale supervisione gerarchica per abbracciare quella del risultato, più meritocratica e determinante.
Sebbene l’Unione europea tenti di incoraggiare e favorire l’adozione di questo strumento, da cui ritiene derivi un migliore work-‐life balance nonché un beneficio per l’ambiente, secondo quanto catalogato da un rapporto di Eurofound109, il nostro Paese si trova sul fondo della categoria, nel gruppo degli Stati con percentuali di adozione del telelavoro particolarmente basse (inferiori al 3%). Negli altri Paesi europei, invece, le
106 Xxxxxxx A., La conciliazione famiglia-‐lavoro. Un’opportunità per imprese e pubbliche amministrazioni, Milano, 2010, p. 50.
107 Xxxxxxxx F.D., Telelavoro con contratto dipendente: regole e incentivi. Diritti, doveri, incentivi e costi per il datore di lavoro che concorda con il dipendente lo svolgimento delle mansioni fuori dalle mura dell’azienda in telelavoro, in xxx.xxx.xx
108 Unindustria, Università degli studi di Roma Tor Vergata, Sindacato romani dirigenti aziende industriali,
Telelavoro fra cultura e tecnologia, p.23 in xx.xxxxxx.xx
109 Eurofound, Telework in the European Union, 2010, xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xx.xxx
percentuali sono maggiori con una media che si aggira attorno al 15% con punte molto elevate dei Paesi nordici e della Repubblica ceca. Questa differenza sconta la grande lentezza, anche culturale, presente nella nostra nazione che fa fatica ad adeguarsi ai nuovi sistemi organizzativi, con la complicità dei rappresentanti dei lavoratori in primis restii a sostenere questi cambiamenti.
Casi di best practices a livello europeo: diverse esperienze di questo tipo sono state elaborate in Germania, Finlandia e nel Regno Unito. In particolare in quest’ultimo Stato il LloydsTSB ha avviato una politica di Work option per bilanciare gli interessi dell’azienda con quella dei dipendenti, ai quali vengono offerti molti strumenti, tra cui anche la facoltà di operare mediante telelavoro.110
Figura n. 5 – Telelavoratori che lavorano da casa utilizzando il PC
Fonte: Eurofound, Telework in the European Union, 2010
4.3 Servizi per la famiglia
110 xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxxxxxxxxx/xxxxxx/00_xxxxxxxxx.xxx
In questa categoria rientrano tutte le iniziative predisposte dalla legislazione o anche dalle aziende per rispondere a particolari esigenze e per supportare il lavoratore nell’assumersi i ruoli dovuti nonché le relative responsabilità familiari, per consentire l’assolvimento dei propri oneri e impegni. Questa classificazione risulterà piuttosto ampia e generica ma ricomprende tutti gli strumenti che in qualche modo possono risultar utili nella gestione e nel bilanciamento tra vita e lavoro. Passeremo quindi ad analizzare nel dettaglio i congedi e tutti i successivi diritti riconosciuti ai neo genitori per permettere loro di prendersi cura del bambino, la possibilità di frequentare nidi aziendali o convenzionati ad un prezzo ridotto, servizi di nursering, altri servizi volti all’aiuto nelle attività domestiche e così via.
Non si può quindi che partire in questo contesto dai congedi, lo strumento più utilizzato e più normativamente strutturato che troviamo disciplinato sia in generale a livello europeo, con l’indicazione di standard minimi di tutela previsti da ultimo con la Direttiva 2010/18/UE, che singolarmente da ciascun Stato membro. Dal momento che le diverse legislazioni in materia sono molto diversificate, si ritiene utile analizzare nel dettaglio la normativa italiana e concludere con una tabella che sintetizza i punti fondamentali nei diversi paesi membri.
Congedi di maternità e di paternità: la configurazione dogmatica dei diritti riconosciuti ai genitori per permettere loro di prendersi cura dei figli risente inevitabilmente di tutte le sovrapposizioni normative, modificate e migliorate dal legislatore europeo e italiano nel tempo. Considerata l’eterogeneità e la complessità delle norme susseguitesi e stratificatesi nel tempo, oggi in Italia la disciplina è contenuta nel D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151 «Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità» che ha conferito organicità e sistematicità all’intero disegno normativo.
Inizialmente il destinatario naturale della disciplina previgente in materia di congedi era esclusivamente la madre biologica, reduce dal parto, alla quale era riconosciuto il diritto di assentarsi dal lavoro per la sua condizione fisica e biologica. Solo a seguito di diverse sentenze della Corte costituzionale e di interventi normativi modificativi si è posto in luce che rilevante per l’ordinamento non era esclusivamente la tutela della donna ma anche
quella del minore alle cure a all’assistenza e di conseguenza il diritto è stato esteso alla madre adottiva e successivamente, in maniera quasi automatica, al padre.111
Il fondamentale ruolo rivestito dalla mamma nei primissimi giorni dopo la nascita è riconosciuto in maniera molto chiara dalla Costituzione all’articolo 37: si sancisce la parità di diritti, di lavoro e di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici, ma subito dopo si afferma che le condizioni di lavoro femminile «devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare ed assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione».
Il nucleo fondamentale della disciplina del congedo di maternità è l’articolo 16 del Testo Unico 151/2001 che stabilisce che «E' vietato adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'articolo 20; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto». Tale norma ricalca quanto già stabilito inizialmente dalla L. 1204/71 (la cd. astensione obbligatoria), integrata dalle indicazioni della Corte costituzionale con la sentenza 270 del 1999 per assicurare adeguata protezione sulla previsione della decorrenza dei termini in caso di parto prematuro.
Si è prevista la possibilità di scelta per la lavoratrice di posticipare la data d’inizio del congedo fino al mese precedente la data presunta del parto, per poterla usufruire dopo la nascita per accudire il figlio. Questa tipologia di congedo è detto flessibile112 ed è condizionata dall’assenza di rischio sia per la madre che per il nascituro, attestata da una certificazione medica. Al contrario il congedo di maternità può anche essere anticipato, perfino dai primi mesi di gestazione quando vi siano patologie documentate da un certificato
111 Xxxxxxx A., Il lento e faticoso sviluppo della disciplina sui c.d. “permessi di paternità”, in dir.lav, 1999 n.1, p.409.
112 Art. 20 T.U. 151/2001 «Flessibilità del congedo di maternità: 1. Ferma restando la durata complessiva del congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, definisce con proprio decreto l'elenco dei lavori ai quali non si applicano le disposizioni del comma 1.»
medico che possano compromettere la salute della gestante o del nascituro ovvero nel caso la lavoratrice sia addetta a lavori pesanti, pericolosi o nocivi e non possa essere impiegata in altre mansioni.113
Il trattamento economico e normativo è previsto dall’articolo 22114 del Testo unico e prevede l’80% della retribuzione, ma la quasi totalità della contrattazione collettiva lo integra al 100% del salario. Il periodo è considerato a tutti gli effetti periodo di lavoro, quindi computato nell’anzianità di servizio: maturano le ferie, la tredicesima mensilità o la gratifica natalizia, gli eventuali miglioramenti contrattuali a cui la madre avrebbe diritto se fosse
113 Art. 17 T.U. 151/2001 «Estensione del divieto: 1. Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro è disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.
2. La Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, secondo quanto previsto dai commi 3 e 4, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'articolo 16 o fino ai periodi di astensione di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 12, comma 2, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dalla Direzione territoriale del lavoro o dalla ASL per i seguenti motivi: a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di persistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza; b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino; c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.
3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 è disposta dall'azienda sanitaria locale, con modalità definite con Accordo sancito in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.
4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 è disposta dalla Direzione territoriale del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attività di vigilanza emerga l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.
5. I provvedimenti previsti dal presente articolo sono definitivi.»
114 Art. 22 T.U. 151/2001 «Trattamento economico e normativo: 1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità, anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2.
2. L'indennità di maternità, comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia, è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 1, del decreto-‐legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
3. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.
4. I medesimi periodi non si computano ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità di cui all'articolo 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermi restando i limiti temporali di fruizione dell'indennità di mobilità. I medesimi periodi si computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell'indennità di mobilità.
5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.
6. Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternità.
7. Non viene cancellata dalla lista di mobilità ai sensi dell'articolo 9 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la lavoratrice che, in periodo di congedo di maternità, rifiuta l'offerta di lavoro, di impiego in opere o servizi di pubblica utilità, ovvero l'avviamento a corsi di formazione professionale.»
presente. Per quanto riguarda la contribuzione, per il lasso di tempo coincidente con il congedo è consentito l’accredito figurativo ai fini pensionistici; nel calcolo per la retribuzione annua pensionabile la legge 177 del 1981, in particolare l’articolo 8, fa riferimento alla media delle retribuzioni settimanali percepite in costanza di rapporto di lavoro nell’anno in cui si dispone dei congedi.115 Inoltre, il Testo unico permette alla madre lavoratrice di accreditare figurativamente a fini pensionistici il periodo intervenuto anche al di fuori del rapporto di lavoro, senza alcun onere economico in suo capo, ma a condizione di aver versato in costanza di rapporto di lavoro almeno cinque anni di contribuzione (art. 25 Testo unico 151/2001).
L’indennità di maternità viene corrisposta anche nei casi dell’inizio del congedo obbligatorio entro sessanta giorni dall’ultimo giorno lavorativo o qualora il rapporto si sia interrotto per licenziamento116, ovvero ancora se la lavoratrice percepisce l’indennità di disoccupazione e non siano trascorsi più di centottanta giorni.117
La tutela della madre ha di certo carattere essenziale, ma accanto a questo la finalità cardine della legislazione in questa materia è quella delle pari opportunità e dell’uguaglianza tra il sesso femminile e quello maschile. Il consueto binomio donna – diritti speciali per esigenze di cura della prole comporta uno svantaggio per il lavoro femminile e il perpetrarsi di discriminazioni da parte dei datori di lavoro, spesso preoccupati da questo costoso assioma. Solo con la parificazione sostanziale dei due ruoli e delle responsabilità genitoriali si potrà arrivare ad una effettiva condivisione dei compiti ed a un reale cambiamento culturale che abbia come primario obiettivo il raggiungimento delle pari opportunità. Risulta quindi doveroso incoraggiare attivamente, anche attribuendogli diritti autonomi, il passaggio verso un modello in cui i padri agiscano come genitori attivi.
A tal proposito il primo riconoscimento del congedo di paternità deriva da una sentenza della Corte costituzionale, che con la pronuncia n. 1 del 1987, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7 della legge 903/1977, nella parte in cui non prevedeva che il diritto all’astensione obbligatoria del lavoro e il diritto al godimento dei
115 Inca, patronato della CGIL, Mamma e papà che lavorano. Guida ai permessi e ai congedi dei genitori, p. 11, in xxx.xxxx.xx
116 La sentenza della Corte costituzionale n. 405 del 2001 ha dichiarato l’illegittimità della parte in cui si escludeva l’indennità di maternità in caso di licenziamento per giusta causa. Xxxxxxxx X., I profili di illegittimità della disciplina legislativa di tutela della maternità, in Guida al lavoro, n. 2, 2002, p. 10.
117 Gottardi D., La tutela della maternità e della paternità, in Xxxxx X. (a cura di), Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, in Zatti P. (diretto da), Trattato di diritto di famiglia, Xxxxxxx, Milano, 2012, p.941.
riposi giornalieri, riconosciuti alla sola madre lavoratrice dagli articoli 4, comma 1, lett. c) e 10 della legge 1204/1971, fossero estesi anche al padre lavoratore nel caso in cui l’assistenza della madre al minore fosse divenuta impossibile per decesso o grave infermità.
Sempre la Corte Costituzionale con la successiva sentenza, n. 341 del 1991, ha esteso al padre affidatario, in alternativa alla madre, il diritto ad astenersi dal lavoro entro i primi tre mesi dall’ingresso del minore nella nuova famiglia.
La legge 53/2000 mediante l’articolo 13 ha inserito, seppur con grave ritardo rispetto gli orientamenti giurisprudenziali espressi in materia dalla Consulta, due articoli fondamentali nella legge 903/77: gli articoli 6-‐bis e 6-‐ter.
Con il nuovo articolo 6-‐bis si introduce la facoltà in capo al padre, a determinate condizioni, di avvalersi del diritto all’astensione dal lavoro nei tre mesi, o nell’intera parte residua non fruita dalla madre, in seguito alla nascita del figlio. Qui si riscontra il primo profilo di criticità, nella limitazione al periodo di astensione dopo la nascita del bambino, posto che l’astensione pre-‐parto è riservata esclusivamente alla madre.118
Successivamente il Testo unico, operando un’integrale ricognizione della materia, dedica un apposito Capo, il IV, ai «congedi di paternità» (art. 28-‐30); all’autonoma collocazione logistica però non corrisponde un’autonomia piena e incondizionata del relativo diritto del padre, che rimane correlata all’impossibilità o alla scelta della madre di non usufruirne.119 Si configura un diritto potestativo del padre lavoratore, in funzione sussidiaria e non pienamente alternativa alla madre, che sorge in presenza del verificarsi delle cause contemplate dall’articolo 28120. Il diritto, in partenza non proprio e non azionabile in maniera autonoma, diventa tale nel caso si concretizzino tre distinte situazioni, accomunate dal carattere di fatalità e disgrazia per la vita familiare, tale da giustificare la presenza del padre.
118 Amato F., Il congedo di maternità e di paternità, in Del Punta R.-‐Gottardi D., I nuovi congedi. Commento alla legge 8 marzo 2000 n.53, il Sole 24 ore, Milano, 2001, p.29.
119 Sentenza Corte costituzionale 21 aprile 1994 n.150, si esclude il diritto autonomo paterno ex art.7 della legge n.903/77 di godere dell’astensione del lavoro post-‐partum laddove la madre (in alternativa alla quale il diritto paterno era sancito dal detto art.7) non sia una lavoratrice dipendente (nella specie si trattava di una commerciante). In xxx.xxxxxxxx.xxx
120 Decreto legislativo 26 marzo 2001 n.151, Capo IV -‐ Congedo di paternità, Art.28. “Congedo di paternità” (legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 6-‐bis, commi 1 e 2): «1. Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
2. Il padre lavoratore che intenda avvalersi del diritto di cui al comma 1 presenta al datore di lavoro la certificazione relativa alle condizioni ivi previste. In caso di abbandono, il padre lavoratore ne rende dichiarazione ai sensi dell'articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445». In xxx.xxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx
Le tre fattispecie implicano una tragica impossibilità per la madre di prendersi cura del figlio appena nato: la prima eventualità si riferisce ai casi di morte o grave infermità conseguenti al parto, la seconda all’abbandono, la terza al caso di affidamento esclusivo al padre. La seconda ipotesi si distingue dalla terza per il mero dato fattuale, il padre si trova a curare da solo come unico genitore, anche se solo per un periodo limitato, la vita del bambino; nella terza ipotesi invece, oltre la situazione di fatto di abbandono da parte della madre, si deve esser realizzata una situazione giuridica nella quale venga dichiarato giudizialmente l’esclusivo affidamento paterno.
Il periodo di astensione in esame comporta anche per il padre gli stessi diritti riconosciuti alla madre, come il computo dell’anzianità di servizio (la giurisprudenza ha chiarito che la norma in questione si riferisce tanto all’anzianità generica, vale a dire alla mera durata del rapporto di lavoro, quanto all’anzianità specifica, cioè alla permanenza in una determinata posizione di lavoro e può riguardare anche la progressione di carriera ove questa sia prevista da legge o da contratto quale effetto automatico della suddetta anzianità121), quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratificazione natalizia e alle ferie, il medesimo trattamento previdenziale122, nonché il trattamento economico (l’indennità giornaliera riconosciuta è pari all’80% della retribuzione per tutto il periodo di congedo). Agli effetti della determinazione della misura dell’indennità, per retribuzione si intende la media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello del quale ha avuto inizio il congedo.123La predetta indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia ed è corrisposta con
121 Corte costituzionale, sentenza n. 280 del 7 luglio 2005, in Dir. prat. lav.,2005, p. 2104.
122 D.lgs. 151/2001, art. 25 “Trattamento previdenziale” (decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, art. 2, commi 1, 4, 6): «1. Per i periodi di congedo di maternità, non è richiesta, in costanza di rapporto di lavoro, alcuna anzianità contributiva pregressa ai fini dell'accreditamento dei contributi figurativi per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura stessa.
2. In favore dei soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti e alle forme di previdenza sostitutive ed esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, i periodi corrispondenti al congedo di maternità di cui agli articoli 16 e 17, verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro, sono considerati utili ai fini pensionistici, a condizione che il soggetto possa far valere, all'atto della domanda, almeno cinque anni di contribuzione versata in costanza di rapporto di lavoro. La contribuzione figurativa viene accreditata secondo le disposizioni di cui all'articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, con effetto dal periodo in cui si colloca l'evento.
3. Per i soggetti iscritti al fondo pensioni lavoratori dipendenti ed ai fondi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono addebitati alla relativa gestione pensionistica. Per i soggetti iscritti ai fondi esclusivi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia ed i superstiti, gli oneri derivanti dalle disposizioni di cui al comma 2 sono posti a carico dell'ultima gestione pensionistica del quinquennio lavorativo richiesto nel medesimo comma».
123 Così stabilito dall’art.23 del Testo unico 151/2001.
le modalità e con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione contro le malattie.
Se si tratta di un lavoratore in mobilità, il congedo non si calcola nel periodo di permanenza nelle liste di cui all’articolo 7 della legge 223 del 1991, fermi restando i limiti temporali alla fruizione dell’indennità stessa, si computano invece ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato; l’indennità continua ad essere pagata sempre per il periodo massimo previsto. Il lavoratore non viene cancellato dalla lista se, durante il congedo, rifiuta un’offerta di lavoro o di avviamento a corsi di formazione.
Posto che la disciplina in esame riconosce al padre lavoratore il diritto “individuale” all’astensione obbligatoria post-‐partum (sia pure nei limiti e nei casi sopra richiamati) viene esteso in favore dello stesso, si badi che non ad ogni padre ma soltanto a quello che fruisca in concreto del congedo, il divieto di licenziamento (in passato oggetto di una mera supposizione normativa) relativamente al periodo di astensione obbligatoria post-‐partum e fino al compimento di un anno di età del bambino. Pertanto, qualora il padre lavoratore venga licenziato nel periodo in cui opera il divieto, egli ha diritto ad ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante presentazione, entro novanta giorni dal licenziamento, di idonea certificazione dalla quale risulti l’esistenza, all’epoca del licenziamento, delle condizioni ostative.124
A tal riguardo ricordiamo che la disciplina, ora estesa al padre lavoratore, prevede che il divieto di licenziamento non si applichi nelle seguenti situazioni:
a) colpa grave da parte del lavoratore, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro, ex articolo 2119 codice civile. La Cassazione125 ha più volte precisato, in riferimento alla tutela della madre lavoratrice, che in tali ipotesi l’individuazione dei fatti che legittimano la risoluzione in tronco del rapporto di lavoro deve essere effettuata in modo più rigoroso, tenendo anche conto delle particolari condizioni fisiche e psichiche del lavoratore.
b) nelle ipotesi di cessazione dell’attività dell’azienda cui esso è addetto. Va precisato che sul concetto di “attività aziendale” la giurisprudenza è divisa: un primo risalente orientamento126 sostiene che il licenziamento è valido solo nel caso vi sia la cessazione totale
124 Xx Xxxxxx X., La nuova tutela della maternità e della paternità, in Guida al lav., 2000, n.12, p.11.
125 Corte di Cassazione sentenza n.12503 del 21 settembre 2000.
126 Corte di Cassazione sentenza n. 1334 del 7 febbraio 1992.
dell’attività aziendale. Al contrario un secondo orientamento127 stabilisce che il licenziamento è giustificato anche nell’ipotesi di chiusura del solo reparto cui è addetto il lavoratore, a condizione che tale reparto abbia autonomia funzionale e il lavoratore non sia collocabile in un’altra unità.
c) ultimazione della prestazione per la quale il lavoratore è stato assunto oppure risoluzione del rapporto per la scadenza del termine nei contratti di lavoro a tempo determinato.
Inoltre durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, il lavoratore non può essere sospeso, salvo il caso che sia interrotta l’attività dell’azienda o del reparto cui egli è addetto, sempreché il reparto abbia autonomia funzionale.
Quest’ultima indicazione comporta anche che, al termine del periodo di fruizione del congedo e del suo rientro, è riconosciuto alla lavoratrice e al lavoratore, salvo sua espressa rinuncia, il diritto di rientrare nella stessa unità produttiva dove era occupato all’inizio del congedo o in altra ubicata nel medesimo Comune, e di rimanervi fino al compimento di un anno di età del bambino. Si conserva inoltre il diritto ad essere adibiti alla medesima mansione svolta da ultimo o ad essa equivalente ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2103 del codice civile.
Nonostante questo passo avanti l’impostazione rimane tradizionale, ove si consideri che la tutela assicurata al padre lavoratore è inadeguata e ben inferiore rispetto alle garanzie date alla madre lavoratrice: infatti il diritto che il padre ha nell’assistere il proprio figlio non ha sempre la stessa natura e risulta spesso vincolato alla posizione personale e/o lavorativa della madre. Solo nel caso di congedo parentale il padre gode di un diritto iure proprio rispetto al corrispondente diritto di astensione della madre.
Pur mantenendo la natura di diritto “trasferito” dalla madre al padre, si è nel tempo cercato di riconoscere a questo un diritto “autonomo” alla fruizione del congedo di paternità, anche a prescindere dal fatto che la madre sia o sia stata una lavoratrice. Il Tribunale di Firenze, sez. lavoro, con la sentenza del 16 novembre 2009 ha risolto alcune
000 Xxxxx xx Xxxxxxxxxx xxxxxxxx x.0000 dell’8 settembre 1999: «è illegittimo il licenziamento di una lavoratrice madre intimato, prima del compimento di un anno di età del bambino, da una società di gestione dei servizi mensa per la cessazione di uno degli appalti di cui è titolare e a cui era addetta la lavoratrice, se non prova l’autonomia organizzativa o funzionale del servizio cessato rispetto agli altri da essa gestiti e la inutilizzabilità della lavoratrice licenziata in altra occupazione all’interno dell’impresa», Xxxxx X., Cassazione, Sez. lav., 8 settembre 1999, n.9551, Sul licenziamento della lavoratrice madre per cessazione di attività (ma non dell’azienda), Riv. ita. dir. lav., 2000, n.2-‐3, p. 517.
ambiguità interpretative dell’articolo 28. Il giudice ha affermato che il termine “lavoratrice” deve intendersi esclusivamente come madre, lavoratrice o meno, ed anche che la durata del congedo è sempre di cinque mesi, quando non sia stato utilizzato il congedo di maternità. Tale pronuncia contribuisce in modo significativo (per la prima volta non essendoci precedenti specifici sul punto) a rendere il congedo di paternità quanto possibile indipendente dalla posizione giuridica della madre.
Questa interpretazione dell’articolo 28 del Testo unico, conforme al dettato costituzionale, consente di chiarire un passaggio ambiguo del testo stesso: il diritto del padre al congedo esiste anche quando la madre (impossibilitata o perché sceglie di non fruirne in una delle situazioni elencate; nel caso di specie la madre risulta in cattivo stato di salute) non è lavoratrice o è una lavoratrice che non risulta titolare del diritto all’indennità di maternità.
La tutela si è poi evoluta con il d.lgs. 80/2015 in cui si è estesa l’indennità al padre lavoratore autonomo nel caso di morte della madre o abbandono ed al padre lavoratore con compagna lavoratrice autonoma, come tale avente comunque diritto ad un’indennità di maternità. Al suddetto padre lavoratore autonomo spetta, quindi, un congedo di paternità alle stesse condizioni previste per il lavoratore subordinato e tale congedo sarà accompagnato anche dalla relativa indennità previa domanda all’INPS per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe riconosciuta alla lavoratrice in caso di morte, grave infermità, abbandono, o affidamento esclusivo al padre. 128
A prescindere quindi dalla rubrica dell’articolo 28 la perdurante sussidiarietà del congedo di paternità si è affrontata con l’articolo 4, comma 24 e seguenti della legge 92/2012 con una disposizione largamente enfatizzata dalla stampa e ampiamente criticata in dottrina.129
Solo con il congedo di paternità “proprio” dei padri, espressamente regolato in via sperimentale con la legge 92/2012 la paternità acquisisce diretta ed autonoma rilevanza nella misura complessiva di 3 giorni, seppur con diverso regime giuridico offerto dal legislatore. Nel merito l’art.4, comma 24 lett. a) istituisce per il padre lavoratore dipendente un congedo obbligatorio di due giorni e uno facoltativo sempre della stessa estensione,
128 Per i genitori lavoratori subordinati il legislatore si riferisce sempre al termine “congedo”, mentre per i lavoratori autonomi si allude alle condizioni esistenti per il riconoscimento dell’indennità di maternità ex art.66 Testo unico (che non risulta rinominata nonostante l’estensione al padre lavoratore autonomo). Calafà L. Il congedo di paternità, in corso di pubblicazione, p.11.
129 Calafà L., Congedi di maternità e di paternità, 2015, in xxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxx/xxxxxxx-‐di-‐ maternita-‐e-‐di-‐paternita-‐dir-‐lav_(Diritto_on_line)/
alternativo al congedo di maternità, da fruire entro i primi cinque mesi dalla nascita del figlio.
Quindi questo nuovo congedo obbligatorio prevede che per gli eventi quali parto, adozione e affidamenti, il padre lavoratore dipendente del settore privato ha il diritto, anzi l’obbligo, di astenersi per un giorno dal lavoro, anche in contemporanea con l’astensione obbligatoria della madre ed anche qualora la stessa non ne abbia diritto.130 La fruizione, come detto, deve avvenire nei primi cinque mesi, che scadono al compimento del quinto mese di vita del bambino, a differenza di quanto avviene per la madre in caso di parto prematuro in cui il termine di inizio del congedo obbligatorio slitta.131 Il congedo obbligatorio spetta anche in caso di congedo di paternità in seguito alla morte, alla grave infermità, all’abbandono della madre o nel caso di affidamento esclusivo al padre, così come previsto dall’articolo 28 del Testo unico. Più che un congedo appare un permesso, fruibile solo per l’intera giornata e senza alcuna flessibilità oraria.
Il congedo è poi estendibile ad altri due giorni facoltativi che possono essere fruiti anche in maniera continuativa, ma non frazionata, previo accordo con la madre e in sostituzione al periodo di astensione obbligatoria ad essa spettante. Non si tratta quindi di un congedo autonomo, dovendo richiedere il “permesso” alla madre e in seguito alla rinuncia della stessa al suo di congedo; possono in ogni caso essere goduti anche contemporaneamente a quest’ultima, che di conseguenza rinuncerà agli ultimi giorni.
Ottenere il congedo di paternità è abbastanza semplice, ma i dati rilevano che solo il 6,9% dei padri scelgono di usufruirne. Le motivazioni possono ricondursi alla visione ancora fortemente arcaica e tradizionalista che vorrebbe la madre ad occuparsi dei figli, oppure al timore di non essere ben visti dai datori di lavoro. 132
130 Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con nota del 20 febbraio 2013 n.8629, in risposta al Comune di Reggio Xxxxxx, ha reso noto che le disposizioni in materia di riforma del lavoro (Riforma Fornero) contenute nell’art. 4, comma 24, della legge 92/2012 sui congedi obbligatorio e facoltativo del padre lavoratore non sono direttamente applicabili ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001.
131 Per prima la Corte costituzionale, con la sentenza 24 giugno 1999, n.270 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge 1204/1971 nella parte in cui non prevede per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare un’adeguata tutela della madre e del bambino. Il d.lgs. 151/2001 recependo tale sentenza ha previsto all’art. 16, comma 1, lettera d) che è vietato adibire le donne al lavoro: «durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi».
132Marchisella A., Il congedo di paternità tra le novità della Riforma Fornero, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx
Per quanto riguarda l’indennità giornaliera, questa è retribuita al 100% ed è a carico dell’INPS. A dir il vero la norma prevede espressamente la copertura a carico dell’INPS per il congedo facoltativo di due giorni, mentre sembrerebbe implicitamente posto a carico del datore di lavoro l’indennità per i giorni di congedo obbligatorio. A risolvere tale imprecisione è stato il Decreto interministeriale del 22 dicembre 2012 in cui, all’articolo 2, è chiarito che per i giorni di congedo, sia obbligatorio che facoltativo, l’indennità pari al 100% della retribuzione spettante è, in entrambe le ipotesi, a carico dell’INPS. Il differente trattamento retributivo, previsto al 100% per gli uomini e all’80% per le donne (fatti salvi i miglioramenti contrattuali collettivi), solleva qualche fondato dubbio di discriminazione a danno delle donne, peraltro già vittime del noto gender pay gap e potrebbe essere oggetto di censure costituzionali.
Analogamente a quanto previsto per il congedo di maternità, riguardo ai limiti di incumulabilità delle prestazioni, prevale l’indennità per la fruizione dei congedi in argomento rispetto alle altre prestazioni a sostegno del reddito, in quanto di favore per il lavoratore beneficiario. Al contrario l’assegno familiare non viene meno, essendo una prestazione separata e aggiuntiva, sia in caso di congedo facoltativo che obbligatorio.
La spesa per l’indennità paterna è quasi interamente finanziata da una riduzione del Fondo per il finanziamento di interventi a favore dell’incremento in termini quantitativi e qualitativi dell’occupazione giovanile e delle donne.133 Diversa parte della dottrina si interroga se ne valga realmente la pena, posto che si sta parlando di denaro destinato all’incentivazione dell’occupazione di giovani e donne, da una parte, e di un «micro congedo» di pochi giorni, di cui due alternativi a quelli della madre dall’altra.134
Infine, il regime previdenziale e normativo segue quello previsto per la madre in congedo obbligatorio135; i “nuovi congedi” non possono essere frazionati a ore e non raddoppiano in caso di parto plurimo. Il congedo trascorso fuori dal rapporto di lavoro dà diritto alla contribuzione figurativa (valevole sia al fine del diritto che della misura della
133 Art. 24, comma 27 del decreto legge 6 dicembre 2011 n.201 “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” in GU n.284 del 6-‐12-‐2011, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011 n.214 in GU n.300 del 27-‐12-‐2011.
134 Renga S., Disposizioni sulla genitorialità: congedo di paternità e vouchers, in Cinelli M.-‐Xxxxxxx G.-‐Mazzptta
O. (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2013, p.680.
135 Quintavalle S.-‐Xxxxxxxxx R., Congedi e permessi per adozione e affidamento, il Punto, Guida lav., Il sole 24 ore, 2012, n.5, p.3
pensione) a condizione che il soggetto possa far valere, al momento della domanda, almeno cinque anni di contribuzione.
L’intenzione della nuova riforma è di certo condivisibile: incoraggiare la presenza del padre nella cura del bambino ed allo stesso tempo favorire l’occupazione femminile. La disposizione costituisce una vera e propria azione positiva per i padri ma pochi giorni sono un tempo davvero risibile per favorire il riequilibrio dei ruoli e d’altra parte la condivisione delle responsabilità ha bisogno di qualche strumento aggiuntivo per intervenire concretamente.
Dunque sia l’obiettivo di scardinare la tradizionale divisione dei ruoli all’interno della famiglia, che quello di favorire la conciliazione tra vita lavorativa e familiare sembrano essere aggirati più che centrati dalle disposizioni in analisi. La riconciliazione non può prescindere dal riequilibrio nella distribuzione dei relativi compiti domestici: riconciliazione e condivisione pertanto sono due facce della stessa medaglia, che hanno bisogno di misure complesse e connesse per essere attuate.
Casi di best practices a livello europeo: nel Regno Unito alle lavoratrici è concesso il diritto a ventisei settimane di maternità (ordinary maternity leave), con la facoltà di iniziare a godere di tale congedo da undici settimane prima della data prevista per il parto ma con l’obbligo di usufruire delle due immediatamente successive.136 Il congedo di paternità ammonta a due settimane137, delle quali il lavoratore ha la possibilità di usufruirne in tranche di almeno una entro due mesi dalla nascita del figlio; l’indennità è fissa, o pari al 90% del reddito medio settimanale se inferiore, finanziata dal datore di lavoro che viene successivamente rimborsato.138 Il diritto in questione permane anche nel caso di morte della madre o dell’adottante ovvero qualora il bambino nasca morto dopo ventiquattro settimane di gravidanza o muoia durante il periodo di congedo.
136 Xxxxxx Xxxxxx A.M., Pregnant Pause. An International Legal Analysis of Maternity Discrimination, Ashgate, 2010, p.260.
137 Il congedo di paternità non include il periodo necessario ad assistere la madre durante il parto, questo resta garantito e tutelato dall’Employment Rights Act del 1996. Non sono invece coperti dalla disciplina statutaria gli appuntamenti prenatali, ma si riscontrano tutta una serie di best practices in materia. Xxxxx-‐Parish T., Labour and Employment Compliance in England, Second Edition, in Del Rey S. – Xxxxxx R.J., International Labour and Employment Compliance Handbook,Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, 0000, p.53.
138 X’Xxxxx X. (University of East Anglia) – Xxxx P. (Institute of Education University of London) – Xxxxxxxxx A. (University of Edinburgh) – Xxxx X. (University of Oxford), United Kingdom country note, in Xxxx P., International Review of Leave Policies and Research, 2013; Xxxxx X., The Legal Regulation of Pregnancy and Parenting in the Labour Market, Routledge-‐Cavendish, Oxford, 2009, p.15.
Inoltre, è stato introdotto lo Shared parental leave, un innovativo congedo bi-‐ genitoriale che promuove una logica di maggior condivisione nei carichi familiari tra la madre e il padre, prevedendo un utilizzo quasi paritario del congedo. Si è previsto che dopo le due settimane di congedo, che devono essere obbligatoriamente godute dalla madre immediatamente dopo il parto, per le restanti cinquanta settimane entrambi i genitori hanno la possibilità di astenersi dal lavoro. Questa facoltà può essere utilizzata da ciascun genitore consecutivamente o da entrambi contemporaneamente, in maniera continuativa o frazionata a periodi di almeno una settimana, purché la somma non superi la quantità totale a disposizione della coppia.
Tabella n.1 – Congedi di maternità e di paternità
Austria | È obbligatorio per sedici settimane, otto prima del parto e xxxx dopo. | Non è previsto dalla legge, sebbene vari gli accordi collettivi prevedono alcuni giorni di congedo immediatamente dopo la nascita del bambino, con retribuzione piena. Nel pubblico impiego è pari a quattro settimane. |
Belgio | Il congedo prevede sei settimane prima della nascita del bambino (che possono essere estese ad otto nel caso di parto gemellare o plurigemellare). Cinque di queste settimane sono facoltative, mentre solo la settimana prima della data presunta del parte è obbligatoria. Dopo l’arrivo del bambino sono concesse nove settimane, fino ad un massimo di quindici se la madre ha posticipato il congedo anteriormente al parto. | Dal 2002 il congedo è di dieci giorni, di cui tre obbligatori, da fruire entro trenta giorni dopo il parto. I giorni possono essere utilizzati in forma continuativa o distribuiti in diversi periodi. Il datore di lavoro paga i primi tre giorni a retribuzione piena, mentre per i restanti sette il lavoratore riceve un benefit pari all’82% dello stipendio erogato dal sistema di previdenza sociale. |
Bulgaria | Sei settimane prima del parto imposte e ventisei, volontarie, dopo il parto con la facoltà di trasferire al padre ulteriori ventisei. | Sono previsti quindici giorni retribuiti al 90% da parte della previdenza sociale. |
Cipro | Il congedo di maternità è fissato il diciotto settimane, delle quali undici dovrebbero esser utilizzate a partire da due | Non previsto. |
settimane prima la data presunta del parto. | ||
Croazia | Trenta settimane in totale. Obbligatorie sono quattro prima della nascita e dieci seguenti. Le rimanenti sedici sono facoltative e possono essere usufruite dal padre. | Sette giorni con retribuzione piena a carico del datore di lavoro. Un ulteriore periodo può essere trasferito dal congedo di maternità quando il bambino ha compiuto sei mesi. |
Danimarca | Sono previste quattro settimane prima del parto (che possono essere trasferite anche in seguito) e quattordici dopo la nascita, i cui le prime due obbligatorie. | Due settimane che vanno godute durante le prime quattordici settimane di vita del bambino. La copertura economica è piena con la previsione di un tetto massimo al giorno o a settimana. Non è contemplato un congedo aggiuntivo nel caso di parto gemellare o plurigemellare. L’ammontare del congedo è sia a carico statale che del datore di lavoro. |
Estonia | Si riconoscono venti settimane, tutte volontarie, quattro prima del parto e sedici successive. | Dieci giorni lavorativi, retribuiti dalla previdenza sociale al 100% ma fino ad un massimo di tre volte il salario medio lordo nazionale nel penultimo trimestre. |
Finlandia | Centocinque giorni, ossia diciassette settimane e mezzo. Cinque sono riconosciute prima della nascita (tre facoltative e due obbligatorie), delle restanti due sono imposte a seguito del parto mentre dieci settimane e mezzo sono volontarie. | Diciotto giorni, con un bonus di ventiquattro giorni aggiuntivi per i padri che usufruiscono delle due settimane di congedo parentale. Questi giorni sono detti father’s month e sono stati inseriti nella legislazione nel 2007. La retribuzione ammonta al 70% del salario annuale. |
Francia | Sono previste settimane differenziate a seconda del numero di figli. Per i primi due figli è riconosciuto il diritto ad un totale di sedici settimane, sei prima del parto e dieci successive. Questa previsione migliora a partire dal terzo figlio con otto settimane anteriori e diciotto successive; in caso di parto gemellare dodici settimane prima e ventidue dopo la nascita; per i parti plurigemellari ventiquattro e ventidue rispettive alla data del parto. | Undici giorni da fruire entro quattro mesi dalla nascita del bambino. È previsto il 100% della retribuzione fino ad un tetto massimo stabilito e grava sulla previdenza sociale. |
Germania | Quattordici settimane, sei prima della nascita ed otto dopo (dodici in caso di nascite multiple). | Non previsto. |
Grecia | Nel settore privato la durata totale ammonta a diciassette settimane, otto prima della data presunta del parto e le restanti nove successivamente. Nell’eventualità di nascita posteriore, il congedo si estende fino alla data effettiva del parto. | Nel settore privato sono previsti due giorni con retribuzione piena a carico del datore di lavoro. Nel settore pubblico non è previsto. |
Italia | La previsione complessiva si attesta al totale di cinque mesi. Per il datore di lavoro è fatto divieto di adibire la donna al lavoro durante i due mesi antecedenti la nascita e nei tre successivi. Esiste un’eccezione, prospettata dall’art. 20 in cui è riconosciuto alla madre la possibilità di posticipare l’inizio del congedo di un mese per recuperarlo dopo la nascita a condizione che questa decisione non provochi pregiudizio alla salute della madre e/o del nascituro con relativo certificato medico che ne attesti la condizione. | Due giorni obbligatori e due giorni facoltativi in sostituzione della madre; tutti retribuiti dalla previdenza sociale. Inoltre il padre lavoratore italiano ha diritto ad astenersi dal lavoro per la durata del congedo di maternità in caso di morte o grave infermità della madre, abbandono o affidamento esclusivo al padre. |
Irlanda | Ventisei settimane retribuite e sedici non pagate. Obbligatorie sono le due settimane prima del parto e le quattro successive. Le rimanenti venti possono essere prese indifferentemente prima o dopo, con la facoltà di usufruire di ulteriori sedici dopo la nascita. | Non previsto |
Lettonia | Sedici settimane, divise a metà con rispettivamente le due prima della nascita e le sue successive obbligatorie. | Dieci giorni retribuiti dalla previdenza sociale all’80%. |
Lituania | Diciotto settimane, tutte facoltative e divise in dieci | Trenta giorni consecutivi, retribuiti al 100% da parte della previdenza sociale. |
prima e otto successive al parto. | ||
Lussemburgo | Sedici settimane, obbligatorie, divise a metà. | Due giorni a retribuzione piena a carico del datore di lavoro. |
Malta | Quattordici settimane, devono essere usufruite quattro prima della nascita e sei dopo. Le restanti sono, a discrezione della madre, prese liberamente. | Non previsto. |
Paesi Bassi | Il congedo si distingue in gravidanza con quattro settimane e quello di maternità composto da dodici settimane. | Due giorni, da fruire entro quattro settimane dalla nascita del bambino. La copertura economica è totale, senza la previsione di un massimale e a carico del datore di lavoro. |
Polonia | Sono previste al massimo venti settimane, di queste quattordici sono ad uso esclusivo della madre mentre ulteriori sei possono essere cedute al padre. Sono inoltre previste settimane aggiuntive per i parti gemellari o plurigemellari. | Due settimane con retribuzione piena a carico della previdenza sociale. |
Portogallo | Le sei settimane che succedono al parto sono obbligatorie, a scelta si può usufruire di quattro settimane prima del parto. Il resto del congedo può essere suddiviso tra entrambi i genitori, se ciò avviene è previsto un ulteriore bonus di quattro settimane. | Venti giorni, di cui dieci obbligatori. Di questi cinque giorni devono essere goduti consecutivamente e subito dopo la nascita, il resto entro il primo mese di vita del bambino. I dieci giorni obbligatori sono incrementati di due se il parto è plurimo, tale incremento si estende anche agli altri dieci giorni opzionali che il padre può prendere in contemporanea al congedo di maternità. La retribuzione è piena, senza un limite massimo, a carico della previdenza sociale. |
Repubblica Ceca | Una lavoratrice madre ha diritto a ventotto settimane in totale, le sei prima del parto sono dovute, con la possibilità di astenersi anche otto settimane prima. Parimenti sei sono obbligatorie dopo il parto con ulteriori dodici facoltative e due trasferibili al padre. | Non previsto. |
Regno Unito | Ventisei settimane di | Due settimane da usufruire in tranche |
maternità, con la facoltà di iniziare a godere di tale congedo da undici settimane prima della data prevista per il parto ma con l’obbligo di usufruire delle due immediatamente successive. | di almeno una settimana entro due mesi dalla nascita del figlio. L’indennità è finanziata dal datore di lavoro (che poi viene rimborsato fino al 92%) ed è fissa, o pari al 90% del reddito medio settimanale se inferiore. È stato inserito recentemente il cosiddetto congedo di bigenitorialità, secondo cui le cinquanta settimane a seguito delle due obbligatorie della madre dopo il parto possono essere fruite indifferentemente da madre o padre. | |
Romania | Diciotto settimane, dodici prima della data presunta e sei (obbligatorie) dopo la nascita. | Cinque giorni, che raddoppiano se il padre frequenta un corso sull’accudimento infantile. Retribuito al 100% da parte del datore di lavoro. |
Slovacchia | Trentaquattro settimane, otto possono essere utilizzate prima del parto e le restanti, di cui sei obbligatorie, successivamente. | Non previsto. |
Slovenia | Quindici settimane, quattro non trasferibili prima della nascita, in seguito due obbligatorie e le restanti nove possono essere godute in maniera facoltativa. | Novanta giorni consecutivi: i primi quindici retribuiti al 100% mentre i restanti settantacinque con un importo forfettario. |
Spagna | Sedici settimane, di cui sei obbligatoriamente fruibili dopo la nascita. Le restanti dieci possono essere prese prima o dopo il parto e possono anche essere trasferite al padre. | Quindici giorni, a cui se ne aggiungono altri due in caso di nascite multiple. I primi due giorni devono essere usati al momento della nascita con retribuzione piena a carico del datore di lavoro, mentre i restanti tredici possono essere utilizzati immediatamente o al termine del congedo di maternità a carico della previdenza sociale. Il congedo può essere utilizzato anche a tempo parziale, previo accordo con il datore di lavoro. |
Svezia | Due sono obbligatorie dopo il parto e sette sono facoltative. Esiste poi la possibilità di ripartirsi tra i due genitori sessanta settimane. | Dieci giorni durante i primi sessanta giorni dalla nascita del figlio, anche in concomitanza con la madre. Il congedo viene retribuito all’80%, con un massimale stabilito, da parte della previdenza sociale (assicurazione sociale). |
Ungheria | Solo due settimane sono imposte, prima del parto, altre | Cinque giorni, da fruire entro i primi due mesi del figlio, retribuiti al 100% dalla |
due sono facoltative e ulteriori | previdenza sociale (con | fondi | |
venti sono previste per | dell’assicurazione sanitaria). | ||
prendersi cura del bambino | |||
dopo il parto. |
Elaborazione propria su dati: Eurofound, Maternity leave provisions in the EU Member States: Duration and allowances, 2015; Eurofound, Promoting uptake of parental and paternity leave among fathers in the European Union; OECD, Doing Better for Families, maggio 2011; OECD, Family database, maggio 2014; Caragno R. (Adapt), Italia direzione Europa: congedo obbligatorio di paternità e voucher baby-‐sitting, elaborazione dati Commissione europea Memo/08/603, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx; ILO, Maternity and Paternity at work. Law and practice across the world, in xxx.xxx.xxx; International Network on Leave and Research, International Review of Leave Policies and Related Research 2013, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx.
Figura n. 6 – Congedi di maternità nell’Unione europea in settimane
Fonte: European Parliament, Maternity and Paternity leave in the EU, December 2014, in xxx.xxxxxxxx.xxxxxx.xx
Figura n. 7 -‐ Congedi di paternità nell’Unione europea in giorni
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
90
30
20 18 15 15 14 14 14
11 10 10 10 10
7
5 5
2 2 2 2
0 0 0 0 0 0 0
Slovenia Lituania Portogallo Finlandia Bulgaria Spagna Danimarca
Polonia Regno Unito
Francia Belgio Estonia Lettonia Svezia Croazia
Romania Ungheria Grecia Italia
Lussemburgo Paesi Bassi
Austria Cipro Germania Irlanda Malta
Repubblica…
Slovacchia
Elaborazione propria su dati: Eurofound, Promoting uptake of parental and paternity leave among fathers in the European Union; OECD, Doing Better for Families, maggio 2011; OECD, Family database, maggio 2014; Adapt, elaborazione dati Commissione europea Memo/08/603; ILO, Maternity and Paternity at work. Law and practice across the world; International Network on Leave and Research, International Review of Leave Policies and Related Research 2013, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx.
Congedi parentali: la disciplina normativa originaria in materia di astensione facoltativa, ora congedo parentale, è stata prefigurata dall’articolo 7, commi 1 e 3, nonché dall’articolo 15, commi 2 e 3 della legge 1204/91 per quanto riguarda la madre, a cui si aggiungono le disposizioni dell’articolo 7 della legge 903/77. Quest’ultimo aveva operato una piena parificazione tra i due genitori, riconoscendo al padre, anche adottivo o affidatario, il diritto di astenersi dal lavoro nei primi mesi di vita del bambino. La possibilità di godimento dell’istituto concesso al padre costituiva una considerevole ed antesignana conquista della società italiana, anticipata solo dalla Svezia, in merito alla valorizzazione del ruolo paterno.
Il quadro complessivo è stato notevolmente modificato dalla legge 8 marzo 2000 n.53 prima e dal Testo unico 151/2001 in seguito, la carica fortemente innovativa si manifesta già nella terminologia prescelta: si passa da “astensione facoltativa” a “congedo parentale”, applicando il lessico europeo. La parte più significativa delle nuove tutele è racchiusa nell’articolo 3 della legge 8/2000, che, sotto il nomen iuris di “congedi dei genitori”, attribuisce specifici diritti tanto al lavoratore padre quanto alla lavoratrice madre. Non vi è alcun dubbio che questo costituisca il vero fulcro dell’intervento legislativo e ne esprima
l’anima più spiccatamente riformista, promuovendo per tale via l’irrilevanza di genere nei compiti di cura ed assistenza ai figli e volendo incidere sul piano culturale e morale.139
Il padre acquisisce un autonomo diritto al congedo parentale, anche nel caso la madre non sia una lavoratrice, infatti il quarto comma dell’articolo 32 del Testo unico stabilisce che «Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto», entrambi i genitori pertanto hanno un diritto individuale. La precisazione è di estremo interesse in quanto, nell’individuare l’esistenza in capo al padre lavoratore di un diritto potestativo ad assentarsi dal lavoro, riconosce implicitamente l’effettiva sussistenza in capo a questo della titolarità del diritto de quo.
Il congedo parentale viene previsto al Capo V “Congedo parentale”, agli articoli 32-‐38 del Testo Unico. La disciplina, contenuta nell’articolo 32, attribuisce a ciascun genitore indistintamente il diritto potestativo ad astenersi dal lavoro per la cura di ogni bambino nei suoi primi dodici anni vita (il riferimento ai dodici anni è una novità, introdotta dal X.Xxx. 80/2015 all’art. 7, comma 1, lettera a), prima il riferimento era ad otto anni). Il periodo di astensione dalla prestazione lavorativa per entrambi i genitori può essere fruito per un periodo massimo, continuativo o frazionato, di sei mesi ciascuno e non può
«complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del II comma del presente articolo»140. Il citato secondo comma prevede la possibilità di elevare il tetto
139 Xxxxxxxx X., Congedi parentali, formativi e tempi delle città, in Leggi civ. comm., 2001, p.1337.
140 Testo unico 151/2001, art. 32 “Congedo parentale” (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 1, comma 4, e 7, commi 1, 2 e 3): «1. Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2; c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
1-‐bis. La contrattazione collettiva di settore stabilisce le modalità di fruizione del congedo di cui al comma 1 su base oraria, nonché i criteri di calcolo della base oraria e l'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa. Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo.
1-‐ter. In caso di mancata regolamentazione, da parte della contrattazione collettiva, anche di livello aziendale, delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria, ciascun genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. La fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale. Nei casi di cui al presente comma è esclusa la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con permessi o riposi di cui al presente decreto legislativo. Le disposizioni di cui al
xxxxxxx fino a undici mesi «qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi» elevando quindi il suo limite a disposizione a sette mesi. Questa disposizione è un tipico esempio di norma promozionale, che tenta di incidere in positivo sulla distribuzione delle responsabilità e dei carichi familiari, incentivando l’uomo a fruire del congedo parentale, in qualche misura a scapito della donna.141
L’INPS con la circolare del 2 aprile 2001 n.82 ha chiarito che i congedi possono essere goduti in maniera frazionata o continua, ma nel caso di quella frazionata ci deve essere un periodo effettivo di lavoro, anche solo di un giorno. La fruizione di ferie non è considerata una ripresa lavorativa, nel senso che le frazioni continuate o intervallate solo da ferie sono calcolate come giorni di congedo.
Oltre a ciò, l’esplicito e diretto cenno al congedo «per ciascun bambino» comporta la conseguente moltiplicazione del periodo in caso di gemelli o di parto plurimo142.
La domanda di congedo va chiesta con un preavviso di quindici giorni (art.32, terzo comma), anche se alcuni contratti143 riducono questo termine a quarantotto ore in casi di inaspettata e non prevedibile necessità (come ad esempio la chiusura improvvisa dell’asilo o l’indisponibilità della baby-‐sitter). Il chiaro intento di questa previsione è quello di minimizzare le conseguenze organizzative che l’imprenditore inevitabilmente deve subire a
presente comma non si applicano al personale del comparto sicurezza e difesa e a quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico.
2. Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi, il limite complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi.
3. Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi e, comunque, con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l'inizio e la fine del periodo di congedo. Il termine di preavviso è pari a 2 giorni nel caso di congedo parentale su base oraria.
4. Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto.
4-‐bis. Durante il periodo di congedo, il lavoratore e il datore di lavoro concordano, ove necessario, adeguate misure di ripresa dell'attività lavorativa, tenendo conto di quanto eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva». In xxx.xxxxxxxxxx.xx
141 Del Punta R., La nuova disciplina dei congedi parentali, familiari e formativi, in Riv. ita. dir. lav., 2000, n.1, p.161.
142 In caso di parto gemellare o plurimo ciascun genitore ha diritto, per ciascun bambino, alla moltiplicazione del periodo di congedo parentale retribuito secondo i criteri fissati; la precisazione in merito viene fornita dall’INPS con messaggio n.569/01.
Invece non conferma ma neppure smentisce la Corte di giustizia che, con sentenza del 16 settembre 2010 causa C-‐148/10, Chatzi, afferma che la normativa europea sui congedi parentali non attribuisca un diritto per ciascun gemello ma che ogni legislatore nazionale debba garantire «ai genitori di gemelli un trattamento che tenga debitamente conto delle loro particolari esigenze».
143 Ad esempio la contrattazione collettiva del settore pubblico, art.10, comma 2, lettera g) Ccnl integrativo del 16 maggio 2001 per il comparto Ministeri; art.14, comma 9, Ccnl integrativo del 14 febbraio 2001, per il comparto Enti pubblici non economici; art.55, comma 2, lettera g), Ccnl delle Agenzie fiscali 2002/2005.
seguito della mancanza di forza lavoro, ad esempio provvedendo ad assumere a termine un sostituto del genitore in congedo.144 A tal proposito interviene a favore del lavoratore la “clausola di salvezza”, contenuta al terzo comma dell’articolo 32 del Testo unico, che esclude l’operatività della regola del preavviso nei casi in cui ci sia un’oggettiva impossibilità di avvisare con il dovuto anticipo circa la volontà di fruire del congedo; in tali situazioni il lavoratore può assentarsi senza incorrere in sanzioni disciplinari per assenza ingiustificata.145 La richiesta deve poi essere accompagnata dal certificato di nascita, da cui risulti la maternità o la paternità e da una dichiarazione di responsabilità dell’altro genitore relativa agli eventuali periodi di congedo già goduti per lo stesso figlio; a tale documentazione dovrà poi essere allegata una denuncia dei periodi di congedo già goduti dal richiedente nonché
una dichiarazione di impegno a comunicare le eventuali variazioni di detto stato.
Il legislatore italiano, attuando i principi previsti dalla Direttiva 96/34/CE, ha quindi previsto il termine da dare al datore di lavoro. Peraltro è interessante notare come non si sia stabilito che il preavviso fosse anche comprensivo della data finale del congedo in cui il genitore ha intenzione di tornare al lavoro. Parimenti non si sono neanche recepite le indicazioni fornire dalla direttiva alla clausola 2.3 lettera e)146 che richiedono di definire le
144 Testo unico 151/2001, art. 4 “Sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo” (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 11; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 10): «1. In sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni del presente testo unico, il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o utilizzare personale con contratto temporaneo, ai sensi, rispettivamente, dell'articolo 1, secondo xxxxx, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, e dell'articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 24 giugno 1997, n. 196, e con l'osservanza delle disposizioni delle leggi medesime.
2. L'assunzione di personale a tempo determinato e l'utilizzazione di personale temporaneo, in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del presente testo unico può avvenire anche con anticipo fino ad un mese rispetto al periodo di inizio del congedo, salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva.
3. Nelle aziende con meno di venti dipendenti, per i contributi a carico del datore di lavoro che assume personale con contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo, è concesso uno sgravio contributivo del 50 per cento. Quando la sostituzione avviene con contratto di lavoro temporaneo, l'impresa utilizzatrice recupera dalla società di fornitura le somme corrispondenti allo sgravio da questa ottenuto.
4. Le disposizioni del comma 3 trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall'accoglienza del minore adottato o in affidamento.
5. Nelle aziende in cui operano lavoratrici autonome di cui al Capo XI, è possibile procedere, in caso di maternità delle suddette lavoratrici, e comunque entro il primo anno di età del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, all'assunzione di personale a tempo determinato e di personale temporaneo, per un periodo massimo di dodici mesi, con le medesime agevolazioni di cui al comma 3».
145 Vallauri M.L., Il congedo parentale, in Del Punta R.-‐Gottardi G. (a cura di), I nuovi congedi, Il Sole 24 Ore, Milano, 2000, p.51.
146 Direttiva 96/34/CE clausola n.2, punto 3, lettera e): «Le condizioni di accesso e le modalità di applicazione del congedo parentale sono definite dalla legge e/o dai contratti collettivi negli Stati membri, nel rispetto delle prescrizioni minime del presente accordo. Gli Stati membri e/o le parti sociali possono in particolare: e) definire le circostanze in cui il datore di lavoro, previa consultazione conforme alla legge, ai contratti collettivi e alle
circostanze in cui il datore di lavoro «è autorizzato a rinviare la concessione del congedo parentale per giustificati motivi attinenti al funzionamento dell’impresa». Questa scelta del nostro legislatore è diretta ad anteporre i diritti dei genitori alle pretese di carattere economico dei datori di lavoro.147
Aspetti economici e copertura figurativa del periodo di astensione: il Testo unico prevede, all’articolo 34148, che il diritto all’indennità giornaliera sia pari al 30% della retribuzione, dalla quale vengono escluse le voci come la tredicesima mensilità e ratei aggiuntivi, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi e fino al compimento dei sei anni del figlio (il termine, che prima era di soli tre anni, è stato recentemente esteso con il d.lgs. 80/2015).
Tale periodo è coperto da contribuzione previdenziale figurativa con accredito ai sensi della legge 155 del 1981, vale a dire con riferimento alla media globale giornaliera del periodo di paga quadrisettimanale o mensile percepito in costanza di rapporto di lavoro immediatamente antecedente a quello in cui si collocano i periodi di congedo parentale fruiti.
Per gli ulteriori periodi di congedo parentale, sia quelli successivi ai sei mesi entro i sei anni del bambino sia tutti i periodi usufruibili dai sei agli otto anni del figlio, l’indennità spetta in ugual misura, pari al 30% della retribuzione, ma a condizione che il reddito
prassi nazionali, è autorizzato a rinviare la concessione del congedo parentale per giustificati motivi attinenti al funzionamento dell’impresa (ad esempio allorché il lavoro è di natura stagionale, o se non è possibile trovare un sostituto durante il periodo di preavviso, o se una quota significativa della manodopera domanda il congedo parentale allo stesso tempo, o allorché una funzione particolare rivesta importanza strategica). Qualsiasi difficoltà derivante dall’applicazione di questa clausola deve essere risolta secondo la legge, i contratti collettivi e le prassi nazionali;».
147 Lensi C., La tutela ed il sostegno della maternità e della paternità, in De Marzo G. (a cura di), Codice delle pari opportunità, Xxxxxxx, Milano, 2007, p.450.
148 Testo unico 151/2001, art.34 “Trattamento economico e normativo” (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 15, commi 2 e 4, e 7, comma 5): «1. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al sesto anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi. L'indennità è calcolata secondo quanto previsto all'articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso.
2. Si applica il comma 1 per tutto il periodo di prolungamento del congedo di cui all'articolo 33.
3. Per i periodi di congedo parentale di cui all'articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 2 è dovuta, fino all'ottavo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, a condizione che il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. Il reddito è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.
4. L'indennità è corrisposta con le modalità di cui all'articolo 22, comma 2.
5. I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia.
6. Si applica quanto previsto all'articolo 22, commi 4, 6 e 7».
individuale del richiedente sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria. Il reddito individuale da considerare è quello dell’anno in cui inizia il congedo parentale149 e questi periodi vengono accreditati ai fini pensionistici con contribuzione figurativa ridotta. Il parziale vuoto pensionistico può essere integrato dall’interessato richiedendo la costituzione di una rendita vitalizia (riscatto)150 oppure con versamenti volontari dei relativi contributi secondo le modalità e i criteri previsti.151 Questa modalità di contribuzione figurativa ridotta è prevista anche per i periodi di congedo parentale per i quali non spetta il trattamento economico, ossia per i lavoratori che superano il reddito individuale indicato.
Altra disposizione volta a favorire l’utilizzo dei congedi parentali e formativi è l’anticipazione del trattamento di fine rapporto, previsto dall’articolo 7 della legge 52 del 2000.152 L’articolo riconosce la possibilità, a integrazione delle ipotesi di cui all’ottavo comma dell’articolo 2120 del codice civile (che peraltro non sono tassative potendo la contrattazione collettiva stabilire condizioni di maggior favore), di ottenere dal proprio datore di lavoro un’anticipazione sul trattamento di fine rapporto per sostenere le spese durante i periodi di fruizione dei congedi. La ratio della norma risiede ancora una volta nella volontà del legislatore di costruire condizioni favorevoli, questa volta di natura economica, per incentivare e supportare i genitori. La previsione è altresì concessa ai lavoratori che
149 Ai fini del computo del reddito si prendono in considerazione tutte le entrate assoggettabili ad Irpef con esclusione della casa di abitazione, del trattamento di fine rapporto, degli arretrati a tassazione separata e dell’indennità stessa del congedo parentale.
150 Art. 13 della legge 12 agosto 1962, n.1338.
151 Xx Xxxxxx, La nuova tutela della maternità e della paternità, in Guida lav., 2000, n. 12, p.10.
152 Legge 53/2000, art. 7 “Anticipazione del trattamento di fine rapporto”: «1. Oltre che nelle ipotesi di cui all'articolo 2120, ottavo comma, del codice civile, il trattamento di fine rapporto può essere anticipato ai fini delle spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui all'articolo 7, comma 1, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, come sostituito dall'articolo 3, comma 2, della presente legge, e di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge. L'anticipazione è corrisposta unitamente alla retribuzione relativa al mese che precede la data di inizio del congedo. Le medesime disposizioni si applicano anche alle domande di anticipazioni per indennità equipollenti al trattamento di fine rapporto, comunque denominate, spettanti a lavoratori dipendenti di datori di lavoro pubblici e privati.
2. Gli statuti delle forme pensionistiche complementari di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni, possono prevedere la possibilità di conseguire, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del citato decreto legislativo n. 124 del 1993, un'anticipazione delle prestazioni per le spese da sostenere durante i periodi di fruizione dei congedi di cui agli articoli 5 e 6 della presente legge.
3. Con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, del lavoro e della previdenza sociale e per la solidarietà sociale, sono definite le modalità applicative delle disposizioni del comma 1 in riferimento ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni».
intendono assentarsi dal lavoro per completare la propria formazione professionale153: ne deriva la sussistenza del nesso di causalità tra l’esercizio del congedo, dal quale prende origine la necessità di integrazione economica, e la domanda di anticipazione parziale di somme comunque spettanti.154 Tale finalità è comunque destinata ad essere innovata a seguito dei probabili interventi in tema di finanziamento della previdenza complementare.155 In dettaglio la previsione stabilisce che l’anticipazione venga corrisposta unitamente
alla retribuzione relativa al mese precedente alla data di inizio del congedo, da cui risulta che la richiesta debba esser fatta anticipatamente all’inizio del periodo di sospensione del rapporto e non in corso (in particolare nel termine di quindici giorni per il congedo parentale). L’espresso riferimento all’articolo 2120 codice civile consente di ritenere che debba esser applicata anche in questa specifica ipotesi l’intera disciplina prevista, sia dal punto soggettivo che oggettivo.156
In relazione alla quantificazione dell’importo richiedibile, il dettato normativo porta a ritenere che la richiesta sia stimata nei limiti della sua funzione integrativa o sostitutiva della retribuzione, nonché di copertura degli oneri contributivi per l’eventuale riscatto del periodo di assenza non rimunerato. Qualora il richiedente ritenga che le spese da sostenere siano superiori all’ammontare della retribuzione non corrisposta dovrà darne prova tramite una relativa documentazione. In ogni caso, come previsto dall’articolo 2120 del c.c., la richiesta non potrà superare il limite previsto dall’art. stesso.157
Per quanto scontato si precisa che l’anticipazione può essere chiesta e ottenuta solo una volta nel corso del rapporto di lavoro; il limite riguarda tutte le ipotesi che consentono l’anticipazione (pertanto se il lavoratore ha già conseguito l’anticipazione, ad esempio per l’acquisto della prima casa, non potrà poi richiederla di nuovo per il congedo parentale;
153 La disciplina dei congedi formativa è prevista dagli artt. 5 e 6 della legge 53/2000, rispettivamente congedi per la formazione e congedi per la formazione continua. I congedi sono un’opportunità di crescita culturale, di accrescimento delle conoscenze e delle competenze professionali dei lavoratori e delle lavoratrici. Alessi C., Congedi parentali, formativi e tempi delle città. Artt. 5 e 6, in Leggi civ. comm., 2001, p.1274 ss; Xxxxxxx F., I congedi formativi e il diritto alla formazione continua e permanente, in Del Punta R.-‐Gottardi D. (a cura di), I nuovi congedi, Il Sole24Ore, Milano, 2001, p.231 ss.
154 Ministero del Lavoro e Della Previdenza Sociale, Circolare n.85 del 29 novembre 2000.
155 Gottardi D., I congedi parentali entrano nel nostro ordinamento, in Guida lav., Il Sole24Ore, 2000, n.9, p.15.
156 In particolare le condizioni sono: il possesso di almeno otto anni di anzianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro (per servizio prestato presso la stessa azienda si intende il tempo decorso in costanza di rapporto di lavoro. Inoltre l’anzianità di servizio si matura anche dopo il trasferimento del lavoratore da una società ad un’altra dello stesso gruppo) e il contenimento dell’anticipazione nel limite del 70% del trattamento che spetterebbe al lavoratore se cessasse il proprio rapporto di lavoro. Del Punta R.-‐Lazzeroni L.-‐Vallauri M.L., I congedi parentali. Commento alla legge 8 marzo 2000, n.53, Il Sole 24 ore, Milano, 2000, p.51.
157 Xxxxxxx X., La nuova disciplina dei congedi parentali, di cura e formativi, Sal, Lucca, 2001, p.104.
parimenti l’anticipazione ottenuta in relazione ad un congedo a seguito di nascita o adozione o affidamento, preclude una nuova anticipazione nel caso di un successivo congedo).
Un’ultima riflessione può esser svolta sul metodo di incentivo e agevolazione riservato ai genitori, che in questo caso non pesa sulle casse dello Stato, ma vengono utilizzati fondi imprenditoriali che comunque sarebbero destinati in futuro ai lavoratori.
Miglioramenti contrattuali e previdenziali nel pubblico impiego: la disciplina del congedo parentale è notoriamente più favorevole per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Le condizioni più agevolative di queste assenze riguardano prevalentemente il trattamento economico, normativo e previdenziale. Nel settore pubblico la contrattazione collettiva di comparto prevede un mese di congedo parentale all’anno retribuito per intero, ossia al 100%, la contribuzione in questo caso è quindi obbligatoria. Nel pubblico impiego, per i periodi di congedo parentale retribuiti al 30% dello stipendio la contribuzione figurativa avviene nel seguente modo: 30% con contribuzione obbligatoria e il 70% con contribuzione figurativa. Inoltre i periodi di congedo parentale non retribuiti sono coperti completamente da contribuzione figurativa, secondo quanto previsto dall’articolo 8 della legge 155 del 1981.158
In tema di trattamento economico e di astensione facoltativa spettante a ciascun genitore è intervenuta la Cassazione civile, Sez. VI con sentenza del 7 marzo 2012 n. 3606. La Corte ha stabilito che, dal momento che l’articolo 10, secondo xxxxx, lettera c) del Ccnl comparto Ministeri 1998/2001 (code contrattuali) del 16 febbraio 1999, attribuisce alle lavoratrici madri (o in alternativa ai lavoratori padri) il diritto alla retribuzione integrale nei primi trenta giorni di assenza dal lavoro, questa deve spettare anche se il bambino abbia superato i tre anni, dal momento che l’articolo 1, comma 2 del X.Xxx. 151/2001 fa salvi i trattamenti più favorevoli stabiliti nei contratti collettivi.
Sempre a tal riguardo il Tribunale di Modena, Sezione lavoro, con una sentenza dell’8 gennaio 2008, n. 584 ha previsto che il miglior trattamento economico del primo mese di astensione dal lavoro non consente la moltiplicazione del periodo di astensione retribuito per intero nel caso di parto plurimo.
158 CISL FP, I congedi parentali nel pubblico impiego, p.17 in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxx-‐ parentali.pdf
Casi di best practices a livello europeo: la Svezia è, per eccellenza, lo Stato europeo che può esser considerato il portavoce delle buone prassi in materia di congedi, la principale motivazione consiste nella promozione delle pari opportunità nonché di una forte politica di sostegno alle famiglie. Il quadro normativo di riferimento è contenuto nel Parental leave act e nel Social Insurance code, si riconoscono ampi diritti in materia. Ad entrambi i genitori viene attribuito il diritto ad astenersi dal lavoro per un totale di 480 giorni, di cui sessanta vanno garantiti obbligatoriamente alla madre e al padre (fathers’ quota; non sono trasferibili e se non sfruttati vanno persi, per questo si usa dire “use it or loose it”).159 Il congedo parentale quindi ammonta a 69 settimane; a partire dal 2014 può esser fruito fino ai dodici anni del bambino, in una o più volte e anche frazionato, ma dopo il compimento del quarto anno di età possono esser presi massimo 96 giorni. Può esser goduto da entrambi i genitori contemporaneamente per un massimo di trenta giorni fino ad un anno del bambino ed è retribuito all’80% fino ad un tetto massimo previsto per sessantacinque settimane, mentre per le rimanenti è previsto un importo forfettario. 160
Tabella n. 2 – I congedi parentali nell’Unione europea
Austria | Esistono cinque opzioni: 1. 36 mesi (30 se non condivisi), retribuito a € 436 al mese; 2. 24 mesi (20 se non condivisi), retribuito a € 624 al mese; 3. 18 mesi (15 se non condivisi), retribuito a € 800 al mese; 4. 14 mesi (12 se non condivisi), retribuito a € 1000 al mese; 5. 14 mesi (12 se non condivisi), retribuito al 80% del reddito precedente, fino a € 2000. Sono concessi ulteriori vantaggi per le famiglie monogenitoriali con reddito basso. Il congedo è finanziato dalla previdenza sociale, può essere fruito anche contemporaneamente dai genitori per un periodo; il bonus è previsto per favorire la condivisione tra le due figure genitoriali. |
Belgio | Diciassette settimane per ciascun genitore con un importo forfettario finanziato dalla previdenza sociale. È possibile fruire del congedo, tutto o solo una parte, anche contemporaneamente da parte dei genitori ed è prevista la possibilità del part-‐time. |
Bulgaria | Quattrocentodieci giorni (per entrambi i genitori) con retribuzione al |
159 Duvander A. Z., Family Policy in Sweden: An Overview, in Stockholm University Linnaeus Center on Social Policy and Family Dynamics in Europe, SPaDE, in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxx/ wcm/connect/fff41e54-‐76cc-‐0000-x‐x0x0-x‐0000xx000x00/xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx_ 2008 _15. pdf? MOD =AJPE RES
160 Xxx X., A Detailed Look at Parental Leave Policies in 21 OECD Countries, in xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxx.xxx/ wp-‐content/uploads/parent-‐leave-‐details1.pdf
90% dello stipendio a carico della previdenza sociale. | |
Cipro | Tredici settimane per entrambi i genitori, non retribuite. |
Croazia | Quattro mesi per ciascun genitore a retribuzione piena. Può essere utilizzato dai sei mesi agli otto anni del bambino, in maniera continuata o frazionata (due volte all’anno al massimo per una durata minima di trenta giorni) anche contemporaneamente da entrambi i genitori. Si può richiedere l’opzione del part-‐time. |
Danimarca | Trentadue settimane per ciascun genitore fino ai nove anni d’età del bambino con un importo forfettario. |
Estonia | Quattrocentotrentacinque giorni con retribuzione piena da fruire tra i settanta giorni e i tre anni del figlio, in una o più tranche. |
Finlandia | Ventisei settimane (centocinquantotto giorni lavorativi) condivisibili da entrambi i genitori, retribuito al 70% da parte della previdenza sociale. Esiste la possibilità di fruire, in alternativa al congedo, del part-‐time. |
Francia | Dodici mesi (a condizione che sia goduto da entrambi i genitori) fino ai tre anni del figlio. In alternativa è possibile chiedere la modifica dell’orario di lavoro da tempo pieno a tempo parziale. |
Germania | Dodici mesi (aumentabili a quattordici se il padre ne prende almeno due) per entrambi i genitori, l’indennità è pari al 67% della retribuzione media relativa ai dodici mesi che precedono la nascita del bambino, fino a € 1800. |
Grecia | Nel settore privato quattro mesi non retribuiti a ciascun genitore; nel settore pubblico fino a due anni ogni genitore (dal terzo figlio tre mesi retribuiti). Può essere fruito fino ai sei anni d’età del bambino. |
Italia | Dieci mesi (aumentabili a undici se il padre ne prende almeno tre) fino ai dodici anni del bambino, retribuito dalla previdenza sociale. |
Irlanda | Diciassette settimane per ciascun genitore, non retribuito. |
Lettonia | Settantotto settimane ogni genitore, retribuito al 70% |
Lituania | Centocinquantasei settimane, di cui cinquantadue per ciascun genitore. Retribuite al 100% fino ad un anno, al 70% fino al secondo anno del bambino, l’ultimo periodo non è retribuito. |
Lussemburgo | Ventisei settimane per ciascun genitore con un importo forfettario, può essere fruito anche part-‐time. |
Malta | Tredici settimane ogni genitore sino agli otto anni del bambino, non retribuito. |
Paesi Bassi | Fino agli otto anni del bambino tre mesi full-‐time p sei mesi part-‐time per ciascun partner. Non è prevista alcuna indennità ma si ricorda la presenza dei contratti collettivi che compensano questa lacuna. |
Polonia | Centocinquantasei settimane a seguito del congedo di maternità, ventisei settimane retribuite al 60% e centoquattro con un importo forfettario. |
Portogallo | Congedo parentale iniziale di diciassette o ventun settimane, congedo aggiuntivo di tredici settimane per ciascun genitore. Il congedo iniziale è retribuito al 100%, o all’80% per ventun settimane; il congedo aggiuntivo al 25%. |
Repubblica Ceca | Centocinquantasei settimane per entrambi i genitori, fruibile fino al terzo anno del figlio (con la possibilità di estenderlo fino all’ottavo ma con il consenso del datore di lavoro) e retribuite al 70% a carico della previdenza sociale. |
Regno Unito | Ventisei settimane fino a cinque anni del bambino (tredici per ciascun genitore). |
Romania | Per entrambi i genitori: dodici mesi retribuiti al 75% se decidono di tornare al lavoro prima del compimento dell’anno del bambino; ventiquattro mesi non retribuiti se decidono di non tornare subito al lavoro. |
Slovacchia | Centocinquantasei settimane per entrambi i genitori fino ai tre anni del bambino con un importo forfettario. |
Slovenia | Quattrocento giorni totali, di cui massimo novantasei giorni dopo i compimento del quarto anno del bambino, può essere fruito fino al dodicesimo anno del bambino in una o diverse tranche, anche contemporaneamente o anche in modalità part-‐time. Il congedo viene retribuito al 90% (al 100% se la retribuzione non supera € 763). |
Spagna | Centocinquantasei settimane fino ai tre anni di vita del bambino, generalmente non sono retribuite ma sussistono alcune diversità da regione a regione. |
Svezia | Quattrocentottanta giorni, da fruire entro i dodici anni del figlio (dopo il compimento del quarto anno possono esser presi massimo novantasei giorni), in maniera continuativa o frazionata ed anche contemporaneamente da entrambi i genitori per massimo due settimane. Il congedo è retribuito all’80% per sessantacinque settimane (trecentonovanta giorni), mentre per le restanti è previsto un importo forfettario. |
Ungheria | Centocinquantasei settimane per entrambi i genitori, retribuite al 70% fino ad un tetto massimo per centoquattro settimane e con un importo forfettario per le restanti settimane a carico della previdenza sociale. Possono essere fruite fino al terzo anno di vita del figlio, con la possibilità del part-‐time o di cederle anche non al genitore. |
Elaborazione propria su dati: Eurofound, Promoting uptake of parental and paternity leave among fathers in the European Union; OECD, Doing Better for Families, maggio 2011; OECD, Family database, maggio 2014; Caragno R. (Adapt), Italia direzione Europa: congedo obbligatorio di paternità e voucher baby-‐sitting, elaborazione dati Commissione europea Memo/08/603, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx; ILO, Maternity and Paternity at work. Law and practice across the world, in xxx.xxx.xxx; International Network on Leave and Research, International Review of Leave Policies and Related Research 2013, in xxx.xxxxxxxxxxxx.xxx.
Permessi orari per i genitori: i permessi orari erano originariamente connessi alla nutrizione del neonato, infatti tradizionalmente erano definiti “permessi per allattamento”. Erano legati ad una duplice finalità: riducendo l’orario, alleggerire il carico di lavoro della madre nel primo anno del figlio e consentire la cura del bambino nei primi mesi di vita.
Inizialmente i permessi erano concessi alla sola madre, ma con il tempo si è andati perdendo lo scopo e la finalità di tale norma a tutela della salute della donna, assumendo un senso più generale e complessivo di accudimento e presenza vicino al neonato, così come rilevato dalla giurisprudenza161. Il regime dei riposi viene infatti esteso anche al padre a seguito di una pronuncia di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale. Quest’ultima con sentenza n.179 del 21 aprile 1993, ha dichiarato illegittimo l’articolo 7 della legge 903/1977 nella parte in cui non estendeva in via generale e in ogni ipotesi al padre lavoratore, in alternativa alla madre lavoratrice consenziente, il diritto ai riposi giornalieri previsti nel primo anno di vita del bambino.162
La disciplina è prevista al Capo VI del Testo unico e distingue i riposi giornalieri della madre all’articolo 39, i riposi giornalieri del padre all’articolo 40 ed infine i riposi per parti plurimi all’articolo 41. I permessi orari sono usufruibili dalla fine del congedo obbligatorio fino ad un anno di età del bambino. Sono due periodi, di un’ora ciascuno, anche cumulabili durante la giornata; tale riposo viene dimezzato quando l’orario giornaliero è inferiore a sei ore, per esempio in caso di part-‐time orizzontale. I riposi sono ulteriormente ridotti della metà, quindi a mezzora ciascuno, quando il datore di lavoro abbia istituito nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze un asilo nido o altra struttura idonea a disposizione della lavoratrice.163
Quanto ai riposi giornalieri del padre, il Testo unico prevede che possano essere utilizzati da quest’ultimo nel caso i figli siano solo a lui affidati; in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non li voglia utilizzare; nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente ma, ad esempio, lavoratrice autonoma, parasubordinata; in caso di morte o grave infermità della madre.164 Nella versione originaria poi, la disciplina restava restrittiva: i permessi per i padri rimanevano un diritto derivato, ancorato all’affido esclusivo, o alla rinuncia da parte della madre lavoratrice subordinata, o allo svolgimento da parte di questa di un’attività lavorativa o infine alla sua morte o grave infermità.165 Nel Testo unico, non essendoci state in questo caso modificazioni terminologiche, è rimasta la formula ambigua di
161 TAR Xxxxxx Xxxxxxx, Bologna, 12 novembre 1997.
162 Xxxxxx X., Sui limiti della tutela costituzionale del lavoratore padre, in Mass. giur. lav., 1994, n.3, p.298.
163 Un tempo il riferimento era alla “camera di allattamento”, sostituito ora da “altra struttura idonea”; è stata anche eliminata l’esclusione dall’uscita dai luoghi di lavoro.
164 Art.40 del Testo unico 151/2001.
165 Xxxxxxxx X., La tutela della maternità e della paternità, in Xxxxx X. (a cura di), Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, seconda edizione, volume sesto, in Zatti P., Trattato di diritto di famiglia, cit., p.955.
“madre non lavoratrice subordinata”, interpretata in sede amministrativa come una lavoratrice qualsiasi. Per tale motivo il diritto ai riposi giornalieri usufruibili dal padre lavoratore per stare assieme al figlio era escluso qualora la madre potesse in prima persona occuparsi del nutrimento e della cura del figlio. Una sentenza del Consiglio di Stato, la n.4293 del 9 settembre 2008166, ha modificato tale situazione, ritenendo ammissibile la fruizione da parte dei padri anche nel caso di casalinga o non lavoratrice, «qualora impegnata in altre attività che la distolgano dalla cura del neonato». L’INPS, successivamente intervenuto con una sua circolare167, ha previsto che il padre nella richiesta dovesse anche documentare le altre attività (come per esempio accertamenti sanitari, partecipazione a pubblici concorsi, cure mediche). Lo stesso ente è poi stato costretto in un’altra circolare168 a dover superare anche tali condizioni, tenendo conto che il Ministero del Lavoro169 è intervenuto su questa significativa sentenza. Oggi il diritto del padre lavoratore di usufruire dei riposi giornalieri è riconosciuto anche quando la madre sia casalinga, “senza eccezioni ed indipendentemente dalla sussistenza di comprovate situazioni che determinino l’oggettiva impossibilità della madre stessa di accudire il bambino”.170 La normativa così prevista si allinea agli orientamenti della Corte di Giustizia, così come stabilito nella sentenza Xxxx Xxxxxxx000.
Si segnala a questo riguardo una possibile disparità di trattamento: nel caso di madre lavoratrice, il padre può iniziare fin da subito ad usufruire dei riposi; mentre quando la genitrice svolge un lavoro subordinato, il padre può godere dei riposi solo in seguito alla sua rinuncia e, quindi, solo al rientro dal congedo di maternità o di quello parentale. Anche con riguardo a quest’ultima situazione, il padre, nel caso di lavoratrice subordinata, non può goderne quando la madre sia in congedo di maternità o parentale, cosa invece possibile nel caso della lavoratrice autonoma.172
166 Nel caso specifico si trattava di un ispettore della Polizia di Stato che voleva usufruire dei riposi giornalieri, pur essendo sua moglie casalinga.
167 Circolare dell’INPS n.112 del 2009.
168 Circolare dell’INPS n.118 del 2009.
169 Circolare ministeriale del 16 novembre 2009.
170 Nel frattempo il Consiglio di Stato ha cambiato orientamento, negando l’equiparazione dell’attività domestica ad attività lavorativa, senza peraltro non aver, almeno per il momento, provocato modifiche nell’applicazione amministrativa. Sentenza del Consiglio di Stato 22 ottobre 2009, n.2732, in Foro amm., 2009 p.2406.
171 Sentenza della Xxxxx xx Xxxxxxxxx 00 settembre 2010, causa C-‐104/09. La causa si è occupata della normativa spagnola nel caso di un padre sposato ad una lavoratrice autonoma.
172 Gottardi D., La tutela della maternità e della paternità, in Xxxxx X. (a cura di), Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, seconda edizione, volume sesto, in Zatti P., Trattato di diritto di famiglia, cit., p.957.
Infine un apposito articolo173 è dedicato ai riposi per parto plurimo: si permette di raddoppiare i permessi orari, sempre sulla base del proprio orario di lavoro giornaliero e le ore aggiuntive possono essere utilizzate anche dal padre. La dottrina prevalente ritiene che l’espressione “parto plurimo” si riferisca a tutti i possibili casi di pluralità: pertanto il raddoppio delle ore si applica da due gemelli in su.174
Il Testo Unico prosegue con il trattamento normativo ed economico all’articolo 43 e quello previdenziale all’articolo 44. I riposi orari, erogati al 100% della retribuzione, nel settore privato sono carico dell’INPS; mentre in merito ai contributi previdenziali il Testo unico, rinviando al secondo comma dell’articolo 35, stabilisce che i riposi sono coperti da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo il doppio dell’assegno sociale, il cui importo varia ogni anno. Nel pubblico impiego i riposi hanno, invece, la contribuzione obbligatoria, poiché l’ente datore di lavoro continua a corrispondere la retribuzione.
Nonostante le finalità dei riposi giornalieri si siano affrancate dall’agevolare l’allattamento materno per arrivare al preciso scopo di accudimento psicofisico del neonato, con l’evolversi della disciplina e grazie alle molteplici sentenze anche della Corte costituzionale, sono tutt’ora in corso azioni di contenzioso verso aziende che continuano a negare questo diritto, oggi pienamente acquisito, ai padri.175
Congedi per la malattia del figlio: L’ultimo dei Capi (VII) del Testo unico in materia di congedi riguarda i congedi per la malattia del figlio, materia prima assorbita nella nozione di astensione facoltativa.
Per prima cosa pare opportuno evidenziare il problema relativo alla nozione di malattia: l’orientamento giurisprudenziale ormai maggioritario ricomprende nella malattia del figlio non solo la fase acuta, ma anche la fase di convalescenza, «in cui il bambino, dopo il superamento dei sintomi acuti, deve ancora recuperare le proprie normali condizioni biopsichiche e, quindi, ha necessità dell’assistenza per prevenire ricadute ed assicurare il
173 L’articolo inserito dalla legge 53/2000 recepisce, in realtà, il costante orientamento giurisprudenziale. Sentenza Pretore di Venezia, 14 settembre 1998 n.10260; TAR Valle d’Aosta 19 febbraio 1997 n.24. Xxxxxxx X., La nuova disciplina dei congedi parentali, di cura e formativi, cit., p.218.
174 Corte di Appello Milano, sentenza del 12 aprile 2001, in Orient. Giur. Lav., 2001, p.332.
175 Viale V.-‐Xxxxxx X., I congedi a tutela della genitorialità nell’Unione europea. Un quadro comparato per rileggere il Jobs Act, Working paper ADAPT n.175, University press (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx., p.15.
completo suo ristabilimento».176 Questo congedo (previsto all’art.47177) spetta ad entrambi i genitori per ciascun figlio, può essere fruito in maniera alternativa178 e compete al richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto. Il periodo massimo di congedo previsto per i genitori quando il figlio sta male dipende dall’età di quest’ultimo: si ha un diritto senza limiti temporali fino a tre anni, mentre sono previsti cinque giorni l’anno tra i tre e gli otto anni d’età del bambino. Le patologie del minore devono essere certificate da un medico del Servizio sanitario nazionale (o con esso convenzionato) e ad esso non si applicano le disposizioni sul controllo della malattia. Il bambino non può essere sottoposto a visita fiscale né il genitore che lo accudisce deve rispettare la fasce orarie di reperibilità.179
I periodi di congedo per malattia del figlio sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Il Testo unico prevede l’interruzione del decorso delle ferie in godimento da parte del genitore in caso di malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero, tale interruzione è rimessa alla volontà del genitore che, dunque, può rinunciarvi. Come nel caso degli altri
176 Cassazione, sentenza n.2953 del 4 aprile 1997.
177 D.lgs. 151/2001, art. 47 “Congedo per la malattia del figlio” (legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 1, comma 4, 7, comma 4, e 30, comma 5): «1. Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per periodi corrispondenti alle malattie di ciascun figlio di età non superiore a tre anni.
2. Ciascun genitore, alternativamente, ha altresì diritto di astenersi dal lavoro, nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno, per le malattie di ogni figlio di età compresa fra i tre e gli otto anni.
3. La certificazione di malattia necessaria al genitore per fruire dei congedi di cui ai commi 1 e 2 è inviata per via telematica direttamente dal medico curante del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato, che ha in cura il minore, all'Istituto nazionale della previdenza sociale, utilizzando il sistema di trasmissione delle certificazioni di malattia di cui al decreto del Ministro della salute in data 26 febbraio 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010, secondo le modalità stabilite con decreto di cui al successivo comma 3-‐bis, e dal predetto Istituto è immediatamente inoltrata, con le medesime modalità, al datore di lavoro interessato e all'indirizzo di posta elettronica della lavoratrice o del lavoratore che ne facciano richiesta. 3-‐bis. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro il 30 giugno 2013, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro della salute, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, sono adottate, in conformità alle regole tecniche previste dal Codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, le disposizioni necessarie per l'attuazione di quanto disposto al comma 3, comprese la definizione del modello di certificazione e le relative specifiche.
4. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe, a richiesta del genitore, il decorso delle ferie in godimento per i periodi di cui ai commi 1 e 2.
5. Ai congedi di cui al presente articolo non si applicano le disposizioni sul controllo della malattia del lavoratore.
6. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto».
178 È pacifica l’osservazione che la motivazione di questo limite sia riscontrabile nella considerazione che l’interesse da soddisfare, assicurare al figlio malato una presenza adulta in caso di malattia, può utilmente essere appagato dalla presenza di un solo genitore. Vallauri M.V., Congedi per malattia del figlio, in Del Punta R.-‐Gottardi D., I nuovi congedi, Il Sole24Ore, Milano, 2001, p.89.
179 In questo modo si è superato il contrasto giurisprudenziale che era emerso. Xxxxxxxxx, Riposi giornalieri, permessi e congedi per la malattia del figlio, in Guida lav., 2001, n.19, p.35.
congedi, le assenze non sono computate ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilità di cui all’articolo 7 della legge 223/1991, mentre valgono ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell’indennità stessa. Il lavoratore che stia fruendo anche di questo congedo e rifiuti un’offerta di lavoro o l’avviamento a corsi di formazione professionale non subisce la sanzione della cancellazione dalle predette liste.
Il congedo non ha copertura economica, questa è prevista nella sola contrattazione collettiva dei comparti delle pubbliche amministrazioni in cui si contempla un mese al 100% della retribuzione, ogni anno fino ai tre di vita del figlio. Per questo motivo, ovviamente, i lavoratori del pubblico impiego usufruiscono in misura maggiore di questo istituto. I congedi per la cura entro il compimento del terzo anno sono assistiti da contribuzione figurativa; nel pubblico impiego, per i periodi retribuiti al 100% della retribuzione si versa la contribuzione obbligatoria, mentre i periodi non retribuiti sono accreditati con la contribuzione figurativa. Infine, quelli fruiti successivamente, fino agli otto anni d’età, danno diritto ad una contribuzione figurativa ridotta, cioè un valore pari al doppio dell’assegno sociale; nel pubblico impiego sono accreditati, al contrario, con la contribuzione figurativa piena.
Una particolare attenzione merita la disciplina dell’istituto per i genitori adottivi ed affidatari (art. 50): se il bambino al momento dell’adozione ha meno di sei anni i genitori possono fruire fino al compimento di tale età di un numero indefinito di congedi, mentre successivamente, fino al compimento dell’ottavo anno, ciascuno di essi può alternativamente astenersi dal lavoro per un periodo di cinque giorni all’anno. Se invece, il minore al momento dell’ingresso in famiglia ha un’età compresa fra i sei e i dodici anni, il congedo è fruibile solo nel corso dei primi tre anni dall’ingresso nel nucleo familiare per soli cinque giorni all’anno.
In ogni caso il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo all’esercizio dei diritti di assenza dal lavoro è punito con sanzione amministrativa (art. 52).
Congedi per l’assistenza alla disabilità: La nascita di un figlio con disabilità può comportare per i genitori una maggior difficoltà a coniugare l’assistenza al proprio figlio con le esigenze lavorative.
In Italia, dal 1992, con l’emanazione della legge quadro sulla disabilità (legge n.104180), sono state previste delle agevolazioni esplicitamente dirette ai genitori ed ai familiari di persone con disabilità grave e ai lavoratori disabili. Il Testo unico del 2001 contiene un quadro normativo di riferimento per aiutare tutti i genitori lavoratori, tramite una tutela privilegiata, nelle cure e nell’assistenza del figlio disabile, anche in relazione all’età del figlio e al tipo di assistenza apprestabile al medesimo.181
Innanzitutto si deve chiarire cosa la legge intende per disabilità: la legge n.104/1992 all’articolo 3, primo comma definisce la persona in situazione di handicap «colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione». L’handicap assume il carattere della gravità «qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale, nella sfera individuale o in quella di relazione», così come previsto dall’articolo 3, terzo comma della legge 104/1992.
Le agevolazioni a favore di familiari con persone disabili sono alternative, e consistono nel prolungamento o nell’astensione facoltativa del lavoro o delle ore di permesso giornaliero retribuito.
Trascorso il periodo di congedo di maternità ed i successivi mesi di congedo parentale, la madre o il padre, anche adottivi, in situazione di gravità accertata, hanno diritto ad usufruire di un periodo di congedo di ulteriore astensione dal lavoro fino al compimento del dodicesimo anno di età del bambino (art. 33 Testo unico 151/2001182).183 In ogni caso la durata massima del congedo parentale e del suo prolungamento è di tre anni, che può essere fruita in via continuativa o frazionata, per ogni minore con handicap in situazione di gravità. Una delle condizioni184 per accedere a questa agevolazione è che il bambino non sia
180 Legge 5 febbraio 1992, n.104 “Legge-‐quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” in GU n.39 del 17-‐02-‐1992.
181 Lazzeroni L., Nuove misure di tutela dei disabili, in Del Punta R.-‐Gottardi D., I nuovi congedi parentali, Il Sole24Ore, Milano, 2001, p.96.
182 L’estensione del termine a dodici anni è stata inserita dal d.lgs. 80/2015, prima il termine era di otto anni.
183 Calafà L., Disabilità, permessi e congedi dopo il collegato lavoro del 2010, in Xxxxx X. (a cura di), Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia, seconda edizione, volume sesto, in Zatti P., Trattato di diritto di famiglia, Xxxxxxx, Milano, 2012, p.1005.
184 Gli altri requisiti sono: essere lavoratori dipendenti, pubblici o privati, anche a tempo determinato, ma in questo caso i permessi valgono fino alla scadenza del contratto; avere il riconoscimento della situazione di grave handicap del minore.
ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, anche se il legislatore ha specificato, con un novella successiva (d.lgs. 119/2011)185, che non si esclude il prolungamento del congedo parentale anche in caso di ricovero del minore in queste strutture quando viene richiesta dai sanitari la presenza del genitore (art.33, d.lgs. 151/2001186). La modifica all’articolo 33 del d.lgs. 119/2011 si può considerare opportuna anche perché chiarisce in termini generali che il congedo, seppur prolungato, conserva la natura di congedo parentale ordinario e come tale fruibile fino al compimento del dodicesimo anno ex articolo 32.187 Durante tale periodo, al lavoratore è riconosciuta, così come per il congedo parentale retribuito (dato che è appunto il suo prolungamento) un’indennità pari al 30% della retribuzione.
In alternativa alla possibilità di prolungare il suddetto periodo di congedo parentale, il secondo comma dell’articolo 33 del Testo unico prevede la facoltà di fruire di due ore di permesso giornaliero retribuito; tali permessi orari possono essere goduti dopo il compimento del primo anno di vita del bambino e fino al compimento di tre anni. Nel caso in cui l’orario di lavoro sia inferiore alle sei ore giornaliere, il permesso retribuito è limitato ad una sola ora.188
Inoltre, in alternativa al prolungamento del congedo parentale e dei permessi orari giornalieri, si riconosce ai genitori il diritto a tre giorni di permesso mensile retribuiti e coperti da contribuzione figurativa, in maniera continuativa189 o frazionata anche ad ore.190
185 L’art.33 Testo unico viene modificato dall’art.3 del decreto legislativo 18 luglio 2011, n.119 “Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n.183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi”.
186 D.lgs. 151/2001, art. 33 “Prolungamento del congedo” (legge 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, commi 1 e 2; legge 8 marzo 2000, n. 53, art. 20): «1. Per ogni minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, hanno diritto, entro il compimento del dodicesimo anno di vita del bambino, al prolungamento del congedo parentale, fruibile in misura continuativa o frazionata, per un periodo massimo, comprensivo dei periodi di cui all'articolo 32, non superiore a tre anni, a condizione che il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del genitore.
2. In alternativa al prolungamento del congedo possono essere fruiti i riposi di cui all'articolo 42, comma 1.
3. Il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto.
4. Il prolungamento di cui al comma 1 decorre dal termine del periodo corrispondente alla durata massima del congedo parentale spettante al richiedente ai sensi dell'articolo 32».
187 Il risultato raggiunto non è sicuramente banale, posto che una circolare dell’INPS (Circ. Inps 1 marzo 2011, n.45) in seguito all’entrata in vigore della legge 182 del 2010 riporta il prolungamento al terzo anno di vita del figlio. Calafà L., Xxxxxxx, aspettative, permessi, dopo il collegato lavoro, in Xxxxxxxx L.-‐Perulli A., Rapporto individuale e processo del lavoro, volume secondo, cit., p.387.
188 Xxxxxxx X., La nuova disciplina dei congedi parentali, di cura e formativi, cit., p.159.
189 Cassazione, sezione civile, sentenza del 16 maggio 2003 n.7701.
190 Mallzani F., Congedi parentali, formativi e tempi delle città. Art. 19 e 20, in Leggi civ. comm., 2001, p.1367.
Infine con la finanziaria 2001 (legge n. 288 del 2000) è stato introdotto il congedo biennale retribuito: si tratta dell’opportunità, in aggiunta al congedo biennale non retribuito, grazie alla quale i genitori lavoratori di un bambino disabile, sia naturali che adottivi o affidatari, possono assentarsi dal lavoro fino a due anni senza subire alcuna penalizzazione retributiva.191 Il congedo è molto flessibile: può essere frazionato in giorni, settimane o mesi e può essere chiesto alternativamente, e non contemporaneamente dai genitori (nel caso i genitori siano morti o impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio disabile perché totalmente inabili, il beneficio viene esteso ai fratelli o alle sorelle conviventi192). Il periodo concesso non può superare i due anni ed in caso di affidamento esso è fruibile fino alla data di affidamento. L’indennità prevista è pari all’ultima retribuzione ed è coperta da contribuzione previdenziale figurativa.
Asilo nido: affinché la condivisione delle responsabilità genitoriali sia paritaria (non sbilanciata sulla figura materna), per affermare un più significativo sostegno alla conciliazione, soprattutto nel periodo che più risulta critico e complesso per una famiglia ovverosia la nascita di un bambino, risulta necessario che lo Stato predisponga non solo una normativa ad hoc (come quella che abbiamo fin qui illustrato) che tuteli tale importante quanto delicato momento della vita ma soprattutto strutture pubbliche e private per far fronte ai diversi nuovi bisogni derivanti dalla necessità di assistenza dei figli.
È noto che nel nostro Paese il settore pubblico offre una copertura molto bassa, una delle peggiori in Europa anche a causa del minor tasso di occupazione femminile, rispetto ai reali bisogni di assistenza e cura. Tale mancata presenza pubblica provoca e costringe i cittadini che ne hanno l’esigenza a rivolgersi a servizi aggiuntivi privati molto onerosi e non sempre allineati e coerenti con gli orari di lavoro full-‐time. In particolare risulta molto carente la diffusione dei servizi per i neonati, da zero a tre anni, con meno del 10% riscontrato in Italia (contro il 50% della Danimarca); si ricorre quindi molto spesso al grande contributo dei nonni, in termini di gestione familiare ma molte volte anche economico.
191 Viale V.-‐Xxxxxx X., I congedi a tutela della genitorialità nell’Unione europea. Un quadro comparato per rileggere il Jobs Act, Working paper ADAPT n.175, University press (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali, cit., p.35.
192 Corte costituzionale, sentenza del 16 giugno 2005 n.223 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.42, quinto comma, del d.lgs. 151/2000 che irragionevolmente limitava il congedo in capo ai fratelli ed alle sorelle del soggetto portatore di handicap al solo caso della scomparsa dei genitori, così non estendendo la tutela al caso di genitori impossibilitati a provvedere al figlio disabile.
Senza dubbio il ruolo del nonno riveste carattere fondamentale nell’educazione infantile, lungi dal rimpiazzare quello genitoriale, ma che diventa un punto di riferimento imprescindibile sia per i genitori che per i figli. Tuttavia l’ausilio dei nonni, disposti spesso ad ogni cosa pur di assistere figli e nipoti, non può e non deve sopperire al sostegno pubblico in materia di aiuti familiari.
Da un po’ di tempo anche le aziende sono subentrate alle strutture private e pubbliche al fine di venire incontro alle necessità dei genitori lavoratori. Per far fronte alle carenze pubbliche allora sono nati, prendendo a riferimento gli altri Paesi già notevolmente all’avanguardia in questo settore, gli asili nido aziendali. Quest’ultimi si distinguono in: nido aziendale vero e proprio, con cui si intende una struttura posta all’interno dell’azienda e gestita da personale assunto dalla stessa o derivante da cooperative di servizi; il nido interaziendale, gestito da diversi enti con lo scopo di massimizzare i benefici e minimizzare i costi di gestione. La loro opera non si limita ad affrontare le necessità dei dipendenti: in molti casi infatti si preferisce optare per la realizzazione di asili nido che possano accogliere anche bambini di famiglie esterne all’azienda ma abitanti nei dintorni della stessa. La ragione di questa opzione nasce da una scelta sia di tipo economico che sociale; la prima, e forse anche la principale e più ricorrente, consente di raggruppare un maggior numero di partecipanti, onde garantirne l’economicità e la diminuzione della spesa sia per quelli sostenuti in prima persona dall’ente che per quelli sorretti dalle rette degli impiegati. La seconda motivazione nasce dall’intenzione di sviluppare azioni e di conseguenza reazioni positive nel contesto locale, creando in tal modo una situazione di benessere e sviluppo attorno al territorio di riferimento dell’azienda. Si è visto infatti che i lavoratori privilegiano la frequenza presso asili vicini alla propria casa, che favoriscono gli spostamenti e la gestione dei tempi di trasporto, oltre che la creazione di una trama di relazioni con altre famiglie limitrofe che va a beneficio della socialità del figlio.193
Infine, il nido in convezione, vale a dire la creazione di collegamenti convenzionati (mediante il pagamento di una parte della retta) con strutture site nelle vicinanze della sede. Risulta essere quello maggiormente utilizzato dalle imprese perché consente di offrire ai
193 Basilico I.-‐Gini c. (a cura di), Lombardia: Territorio della Conciliazione. Imprese, Pubbliche Amministrazioni e Organizzazioni non Profit family in Lombardia. L’esperienza del Premio FamigliaLavoro, III edizione, in xxx.xxx.xxxxx.xx
propri dipendenti una miglior conciliazione vita-‐lavoro senza dover investire in maniera importante nella creazione di un complesso ad hoc.
I benefici derivanti da questo strumento sono molteplici e diversificati, di alcuni si è già fatto cenno precedentemente ma si ritiene doveroso approfondire maggiormente. Per prima cosa, come già detto, si riducono i costi e i tempi di spostamento, consentendo una migliore organizzazione delle attività ordinarie e delle responsabilità familiari, oltre a permettere la ripresa dell’attività lavorativa pur assicurando le dovute cure ai bambini. Il lavoratore, a livello statistico nella maggior parte delle volte la madre, ha una facilitazione al rientro al lavoro perché sereno e non preoccupato di gestire le necessità del bambino che viene posto al centro dell’attenzione di personale tecnicamente preparato e costantemente presente in sua assenza. Come effetto consequenziale aumenta anche il livello di soddisfazione, il senso d’appartenenza all’azienda, la concentrazione sul lavoro e un miglioramento dell’efficienza delle proprie mansioni. Di questo chiaramente beneficia anche l’azienda che riduce l’assenteismo e fidelizza il lavoratore.
Appare palese che l’azienda per ricavare i benefici suddetti è costretta ad investire non poco capitale nella creazione o nel sostegno per la retta dell’asilo nido, ma posto che lo Stato è intervenuto negli anni con diverse norme agevolative che finanziano questi progetti, si ritiene esista una buona simmetria tra le voci di costo da un parte e i benefici derivanti dall’altra.
Casi di best practices a livello europeo: in Portogallo è stata progettata una banca ore per l’infanzia, con cui si offre un servizio di baby-‐sitting in qualsiasi momento della giornata, per tutto l’arco della settimana e anche per esigenze diverse dal lavoro con la possibilità di lasciare i figli per una durata complessiva di un certo numero di ore prestabilite per ciascuna famiglia.
In Olanda è stato istituito un servizio di accoglienza bambini anche durante il fine settimana ed il periodo estivo; in Svezia è stato creato un asilo nido aperto anche la notte, per venire incontro al personale soggetto a turni di un presidio sanitario-‐ospedaliero. I dipendenti di questa struttura possono fruire comodamente dell’asilo nido anche in orari che normalmente non risultavano coperti da alcun servizio pubblico.194
194 Provincia di Torino, Quaderno di lavoro: La conciliazione lavoro-‐famiglia in Italia e in Europa, cit., p.44.
Cura degli anziani non autosufficienti: gli interventi pubblici in materia di Long-‐term Care sono largamente insufficienti e far fronte alla domanda espressa; sostenere politiche in prospettiva family-‐friendly per l’assistenza degli anziani è tutt’altro che scontata e raramente praticata.195
Per assolvere all’impegno assistenziale l’attenzione si pone nei confronti del caregiver, nella maggior parte dei casi prerogativa prevalentemente identificata con la figura femminile, che si trova a dover accantonare i propri bisogni personali e dover mediare le esigenze lavorative con l’assistenza al proprio parente anziano spesso anche contemporaneamente con quelle dei propri figli. Tale impegno è solitamente posto in poca considerazione e sovente viene dato per scontato e legato esclusivamente al mondo dei legami affettivi e parentali.
In tutta Europa l’assistenza agli anziani gravita attorno a due poli, le cure prestate dalla formal care e quelle della informal care: a lungo nessuno ha posto attenzione al lavoro di cura non retribuito gravante sui parenti ed amici ed ancora oggi parte delle cure rimangono responsabilità dell’informal care, che in tante situazioni resta necessaria ad integrare i vuoti delle attività assistenziali professionali.196
Soprattutto in Italia questo ambito è molto delicato perché a farsi carico di tutte le incombenze proprie e di cura delle generazioni senili e giovani sono quasi esclusivamente le donne, condotte spesso in una situazione di «sovraccarico funzionale».197 Le tendenze mostrano infatti un aumento sempre maggiore di famiglie che rinunciano all’inserimento dei propri parenti anziani non autosufficienti in strutture specializzate per non dover sostenere il costo della retta, assumendosi di conseguenza l’onere di assisterli personalmente.198 D’altra parte lo strumento dell’erogazione di aiuti economici alle famiglie al posto della prestazione di servizi non sempre viene utilizzato nella maniera corretta e spesso non si ricorre all’aiuto di personale specializzato proprio a causa dei notevoli costi che, nonostante il contributo statale, devono in buona misura essere sopportati anche dalla famiglia.
195 Xx Xxxx X.-‐Barbabella F.-‐Poli A.-‐Xxxxxxxx F., L’altra bussola: le strategie di sostegno familiare e privato, in N.N.A., L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 5° Rapporto, Un Futuro da ricostruire, Maggioli Editore, Santarcargelo di Romagna, 2015, p.35, in xxx.xxxxxxxx.xx
196 Xxxxxxxx F., Xxxxxxxxx R., Informal Carers: Who Takes Care of Them?, European Centre Policy Brief Series, 2010, P.2, xxx.xxxx.xxxxxx.xxx/xxxx/ 1274190382_99603.pdf
197 Bramanti D., Famiglie e cure degli anziani non autosufficienti: alla ricerca di buone pratiche in tre aree territoriali, p. 233, in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx/xxxxxxxx-‐Famiglie_e_Cura_degli_anziani.pdf
198 Gori C.-‐Guaita A.-‐Pesaresi F.-‐Trabucchi M., Lo Stato: le politiche nazionali, in N.N.A., L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, 5° Rapporto, Un Futuro da ricostruire, Maggioli Editore, Santarcargelo di Romagna, 2015, in xxx.xxxxxxxx.xx
Nello scenario sociale contemporaneo si devono trovare soluzioni ed agire mediante interventi che coordino insieme queste esigenze complesse e alle volte contrapposte.199 Esiste la necessità di nuove misure a sostegno della famiglia in queste particolari casistiche, tenendo anche conto di come tali modalità di responsabilità di cura vengono distribuite tra la famiglia e la collettività. Per di più, posto che il tenore e l’aspettativa di vita sono molto migliorati, il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione è destinato ad aumentare sempre più ed i bisogni delle persone anziane saranno sempre maggiori e più richiesti.
Figura n. 8 – Informal family carers per genere e paese, un mondo femminile
Fonte: European Centre, Xxxxx M.-‐Xxxxxxxxx X.-‐Hoffnann F.-‐Gasior K.-‐Xxxxx X., Informal carers: the backbone of long-‐term care, 2010, in xxx.xxxxxxxxxx.xxx; National sources, OECD (2005) and EUROFAMCARE national reports.
Indennità per la famiglia: premesso che si possono offrire ai lavoratori una grande e variegata gamma di benefits per la famiglia, quelli più comuni sono sicuramente i voucher di cura. Dalle ricerche condotte sono tuttavia emerse numerose altre misure volte a sostenere la famiglia e non per forza direttamente legate alla prestazione lavorativa: le borse di studio
199 Del Xxxxxx A.L., L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, in Agenas, La presa in carico degli anziani non autosufficienti, p. 33, in xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx
per i figli meritevoli, il rimborso dei libri di testo scolastici, stage e tirocini, integrazioni salariali, affitti agevolati ed anticipazioni del TFR.
La volontà di identificare il reale fabbisogno dei lavoratori consente di creare strumenti e misure strettamente plasmate sulle persone e sulle diverse esigenze che ciascuno preferisce.
Voucher di cura: con l’espressione voucher si intende un buono per l’acquisto di determinati servizi per la famiglia, prestati sia dal pubblico che dal privato; in sostanza una sorta di scambio tra tempo di cura e buoni spesa. Questo consente di addivenire a prezzi favorevoli e convenienti per le faccende di cura che possono aiutare i genitori lavoratori a gestire in maniera più facile i propri compiti familiari. I servizi essenzialmente si sostanziano in buoni per la baby-‐sitter o per l’asilo nido, ma sono ricompresi anche quelli per la cura di anziani e malati a domicilio, le prestazioni mediche e quelle sanitarie.
In Italia la norma (inserita dalla riforma Fornero nel 2012 con la legge n. 92
«Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita», con carattere sperimentale e durata limitata, successivamente confermata e prorogata dalla Legge di Stabilità 2016) prevede un sostegno economico per ciascun bambino, in cambio della rinuncia al congedo parentale da parte della madre, onde permetterle così di tornare subito al lavoro al termine del congedo di maternità. Quindi le neo mamme, dopo il periodo di astensione obbligatoria, entro gli undici mesi successivi e in sostituzione (anche parziale) alla fruizione del congedo parentale, possono chiedere un voucher per l’acquisto di servizi di baby-‐sitting o in alternativa un contributo per l’iscrizione all’asilo, pubblico o privato.200
La manovra del 2016 estende questa possibilità anche alle lavoratrici autonome e alle imprenditrici e la stessa agevolazione è pure riconosciuta alle madri lavoratrici part-‐time, ma in misura proporzionale all’orario del contratto.
Il contributo ammonta a 600 euro al mese per massimo sei mesi per le lavoratrici dipendenti (per un totale di 3600 euro), mentre per le lavoratrici autonome e per le imprenditrici la durata massima ammonta a tre mesi per un importo di 1800 euro, equiparandole in tal modo alle lavoratrici parasubordinate. La possibilità di ottenere il contributo economico concesso dallo Stato è prevista per ciascun figlio, purché la madre lavoratrice rientri nelle condizioni previste e possieda i requisiti di accesso a tale beneficio. Il
200xxxx://xxx.xxxxx.xx/xxxxxxxxx/xxxxxx-‐e-‐previdenza/legge-‐di-‐stabilita-‐2016-‐voucher-‐per-‐servizi-‐di-‐baby-‐
sitting-‐proroga-‐di-‐un-‐anno
ritiro dei voucher può avvenire ratealmente o in un’unica soluzione, a condizione che siano ritirati in un periodo di centoventi giorni successivi all’accoglimento della domanda presentata online.
Il voucher per l’acquisto di servizi di baby-‐sitting oppure per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, realizza un’importante contributo all’occupazione femminile in Italia e allo stesso tempo sostiene i servizi di prima infanzia, molto carenti nel nostro paese con particolar riguardo nel centrosud. L’intento è quello di dare una concreta risposta all’obiettivo delle pari opportunità all’accesso al mercato del lavoro, nonché all’esigenza di contrastare l’impoverimento del reddito familiare.
I voucher supportano la madre nelle opere di cura, ma non è così scontato che questa sia la strada giusta per trovare una riconciliazione tra i tempi di vita e di lavoro201: infatti questa previsione dovrebbe portare alla conseguente maggior utilizzazione dei servizi di cura, che d’altra parte dovrebbero essere implementati, risultando così idonei e fruibili.202
La dottrina ha ritenuto anomalo il fatto di rendere interscambiabili diritti di contenuto profondamente diverso, l’uno volto a far stare la madre con il bambino nei momenti più impegnativi e difficili, l’altro limitato ad un mero aiuto economico, con una ratio del tutto opposta. Ulteriore critica mossa dalla dottrina consiste nella disparita di trattamento, solo parzialmente sanata dall’intervento del 2016, tra madri lavoratrici subordinate e lavoratrici autonome, che alimenta la disapprovazione di far dipendere la cura del figlio dalla condizione lavorativa dei genitori già più volte richiamata dalla Corte costituzionale.203 Quest’ultima infatti da tempo ha fatto notare che gli istituti a salvaguardia della maternità hanno anche il fine esclusivo e precipuo di tutelare gli interessi del minore, non solo per quanto riguarda le esigenze fisiologiche ma anche quelle relazionali ed affettive, fondamentali nella creazione della personalità.204
201 Renga S., Disposizioni sulla genitorialità: congedo di paternità e vouchers, in Cinelli M.-‐ Ferrari G.-‐ Mazzotta
O. (a cura di), Il nuovo mercato del lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità 2013, cit., p.680.
202 Come evidenziato da un rapporto i servizi per bambini, anziani e disabili sono pochi, mancano di qualità e sono costosi. European Network of Legal Experts in the Field of Gender Equality, Report on Legal Approaches to Some Aspects of the Reconciliation of Work, Private and Family Life in Thirty European Countries, Bruxelles, 2008, in xxx.xx.xxxxxx.xx/xxxxxxx/xxxxxx-‐equality/files/reconciliationfinal28aug2008_en.pdf
203 Brollo M., Misure per l’occupazione femminile tra tutele e incentivi, in lav. giur., 2013, p.118.
204 Si possono ricordare le sentenze della Corte costituzionale n.179 del 1993; 14 del 2003; 385 del 2005; 257
del 2012.
Come vedremo in seguito e più dettagliatamente, alcune regioni (tra le quali l’esperienza Futura del Friuli Venezia Giulia205) hanno già sperimentato progetti di voucher per l’acquisizione di servizi di cura promuovendo esperienze ed iniziative di benchmarking nazionale.
Borse di studio e stage per i figli dei dipendenti: molte volte per rispondere alle esigenze dei lavoratori che vogliono garantire un percorso di studi completo e quanto più possibile formativo, esiste in molte aziende il supporto anche economico mediante il riconoscimento di borse di studio. Tale misura da un lato dimostra l’interesse nei confronti delle esigenze e i desideri famigliari integrandone la disponibilità economica e dall’altro assicura la promozione, la crescita e lo sviluppo di futuri talenti legati all’azienda da un sentimento positivo.206
Casi di best practices a livello europeo: In Germania la “Home Services and Employment” propone servizi di conciliazione vita-‐lavoro alle aziende, le quali acquistano tali prestazioni per offrire ai propri dipendenti benefit, tra cui appunto sostegno alle madri con bambini piccoli, assistenza anche domiciliare agli anziani.
In Francia, all’Ospedale di Saint Xxxxxxx di Parigi una cooperativa di disoccupati, finanziata unicamente dai dipendenti, offre una serie di servizi che aiutano ad alleggerire il carico di impegni gravante sui lavoratori.207
4.4 Servizi per i lavoratori
Rientrano in questa categoria tutti i servizi che hanno il fine precipuo di semplificare le attività del lavoratore, concedendogli così maggior tempo libero assicurandone di conseguenza un miglior livello di benessere e tranquillità.
I servizi possono essere i più vari, ma per lo più servizi di assistenza, consulenza ed informazione, supporto nel disbrigo pratiche e nel sostegno alle attività domestiche. Possono essere strutturati all’interno dell’ente e gestiti direttamente anche mediante
205 In base all’indagine del 2012 del Centro Studi Red-‐sintesi il Friuli Venezia Giulia contende il primato al Trentino Alto Adige per quanto riguarda la valorizzazione del potenziale femminile. Sole 24 Ore del 7/1/2013-‐Il nordest scommette sulle donne in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx
206 Basilico I.-‐Gini c. (a cura di), Lombardia: Territorio della Conciliazione. Imprese, Pubbliche Amministrazioni e Organizzazioni non Profit family in Lombardia. L’esperienza del Premio FamigliaLavoro, cit., p. 34.
207 Provincia di Torino, Quaderno di lavoro: La conciliazione lavoro-‐famiglia in Italia e in Europa, compendio di documentazione, cit., p.45.
sportelli con personale dedicato, oppure essere affidati a società esterne, specializzate nella gestione dello stile di vita dei dipendenti.
Servizi di facilitazione (time saving): sono l’insieme di servizi offerti ai lavoratori a sostegno dei diversi impegni domestici, declinabili su diverse necessità sia di uomini che di donne, con diverse esigenze di conciliazione. Queste iniziative si sostanziano nel supporto al disbrigo delle pratiche e di posta, pagamento di bollette, accesso ai servizi territoriali e supporto in quelli fiscali, sostegno alle attività domestiche come ad esempio la spesa raggruppata o quella online ovvero recapitata in azienda, il servizio di lavanderia o l’acquisto e la consegna di farmaci.
Molte aziende, al fine di ridurre i tempi di trasferimento casa-‐lavoro ed il relativo stress correlato, hanno predisposto bus-‐navette ovvero ampi parcheggi riservati ai mezzi dei dipendenti.
Tendenzialmente sono le aziende di grandi dimensioni ad attivare questi servizi con lo scopo di consentire un reale risparmio di tempo dei dipendenti, liberandoli da incombenze comuni e frequenti. Tuttavia anche nelle medie e piccole aziende tale possibilità può essere vantaggiosa per il datore di lavoro perché riesce a diminuire l’assenteismo derivante da impegni familiari, molto più difficile da gestire essendo ogni unità importante per la produttività. Per un contenimento dei costi, in queste realtà nella maggior parte dei casi si ricorre a convenzioni e accordi sul territorio in modo da ampliare le potenziali richieste.
La possibilità di usufruire di questi servizi comporta notevoli vantaggi per i beneficiari, che si traducono però anche in benefici per l’azienda: riduzione dell’assenteismo, ruolo attivo nell’abbattimento dello stress lavoro correlato, miglioramento del clima interno e dell’immagine, maggior attrazione di nuove risorse e riduzione del rischio di sottrazione del personale competente da parte della concorrenza.
Formazione e aggiornamento: una prima categoria di progetti, che consegue agli strumenti che abbiamo visto fin ora e che sprona il loro utilizzo, riguarda gli interventi di tutoring, coaching, mentoring e counseling al rientro del lavoro (con una differenza tra ciascuna previsione molto lieve e sottile). Questo particolare momento, magari vissuto anche in maniera simultanea alla persistente necessità di prendersi cura dei figli, necessità di un supporto ad affrontare le complessità e le difficoltà del rientro. Le soluzioni più adeguate
consistono in un primo periodo di formazione ed aggiornamento di contenuto tecnico-‐ professionale in modo da permettere al dipendente di integrarsi nuovamente nella realtà e nella mentalità lavorativa. Si tratta di un sostegno a rinforzare le competenze occorrenti allo svolgimento delle mansioni richieste per rimanere sempre competitivi e aggiornati, necessità che deriva dal fatto che in questo particolare momento storico le tecnologie subiscono cambi continui e repentini. Una formazione mirata ed efficace consente di ridurre il senso di inadeguatezza provato dal lavoratore al rientro da prolungate assenze e a contribuire ad un miglioramento delle prestazioni.208
Un secondo ordine di intervento riguarda la formazione, soprattutto manageriale, al tema della conciliazione per promuovere e sviluppare una leadership sensibile alle tematiche family-‐friendly. Riservare tali azioni a chi ha ruoli apicali consente di avere diversi ordini di benefici, innanzitutto incoraggiare l’adozione delle buone prassi per ottenere risultati in prima persona e comprendere maggiormente le esigenze che derivano dall’intraprendere queste direzioni. Questo comporta anche l’utile strumento dell’esempio, che indirettamente va a vantaggio dei dipendenti, perché abbatte le spesso grandi barriere, principalmente culturali, che impediscono l’uso di strumenti family-‐fiendly, in particolare per gli uomini. Infatti, nella maggior parte dei casi i datori di lavoro, ma anche gli stessi colleghi, reputano le cure dei propri familiari una mancanza di virilità e quindi in tal senso si opera una fattore di discriminazione. Se invece il proprio capo per primo fa uso degli strumenti di conciliazione messi a disposizione non solo riduce il timore ed il rischio del lavoratore di essere penalizzato ma aumenta in maniera esponenziale il numero di chi se ne avvale.
Da tempo si vuole porre in evidenza che bisogna discostarsi dalla tradizionale concezione, che vede la presenza fisica e il tempo dedicato al lavoro come principale indice di produttività ed efficienza lavorativa, per favorire il metodo più meritocratico che premia chi ottiene risultati concreti e arriva agli obiettivi prefissati. Quest’ultimo criterio di valutazione non solo ricompensa la competenza e l’abilità personale, ma consente anche di organizzare al meglio il proprio tempo lavorativo e di conseguenza anche quello familiare.
Informazione: la formazione di una cultura aziendale riguardante il tema della conciliazione deve passare obbligatoriamente attraverso il passaggio dell’informazione. La
208 Ghislieri C. – Xxxxxxx X. (a cura di), Psicologia della conciliazione tra lavoro e famiglia. Teoria e ricerche in organizzazione, Xxxxxxxxx Xxxxxxx Editore, Milano, 2014, p.53.
comunicazione dovrebbe arrivare sia dall’esterno, cioè dalle campagne pubbliche volte a sensibilizzare tutta la popolazione a politiche di tal genere, ma anche e soprattutto internamente all’azienda o all’ente. Le modalità possono distinguersi in svariati tipi, dalla più tradizionale che consiste nella pubblicazione di periodici e comunicazioni aziendali, alle newsletter o la creazione di uno spazio all’interno del proprio sito dedicato in maniera esclusiva al tema che ci occupa. Le proposte più recenti prevedono l’utilizzo dei forum, all’interno dei quali i dipendenti possono esporre i propri dubbi, confrontarsi e addivenire al confronto di soluzioni comuni o di possibili attività finalizzate alla gestione della stessa problematica.
Casi di best practices a livello europeo: in Finlandia il centro per la ricerca e lo sviluppo della sanità e del welfare studiano le possibili formule per una miglior conciliazione tra lavoro e famiglia. Viene poi redatto un manuale contenente la legislazione nazionale, i diversi tipi di contratti collettivi, gli accordi e le buone pratiche aziendali. In Danimarca il Ministero ha pubblicato una guida per offrire spunti e suggerimenti per i lavoratori, in particolare i genitori, che richiedono una maggior conciliazione tra gli oneri professionali e familiari.209
5. Esempi di buone prassi in Italia
L’obiettivo principale di questa ricognizione, con brevi descrizioni delle buone pratiche sia a livello pubblico che privato, è quello di sollecitare confronti e di conseguenza innescare emulazioni e competizioni positive tra realtà organizzative simili o distinte. Porre in luce tutte le iniziative offre non solo una buona pubblicità per l’azienda, che può attrarre a sé clienti oltre che personale specializzato allettato da queste forme di incentivi, ma anche il progresso di migliori condizioni lavorative per i dipendenti soprattutto in periodi particolarmente difficili e critici dal punto di vista della conciliazione vita-‐lavoro.
L’enumerazione di esempi concreti e di buone prassi si ritiene essere il modo più semplice, utile ed efficace a stimolare la creazione di nuovi equilibri ed a sperimentare
209 Provincia di Torino, Quaderno di lavoro: La conciliazione lavoro-‐famiglia in Italia e in Europa, compendio di documentazione, cit., p. 43.
nuove modalità di iniziative. Proprio per questo motivo, ritenuto il più valido anche da chi scrive, di seguito procederemo con la stessa metodologia.
Lo Stato ha un ruolo fondamentale nell’incentivo, mediante campagne informative e sussidi economici premiali, dell’evoluzione in questo importante e sempre più indispensabile campo. Il valore del denaro è divenuto con il tempo il principio cardine del mercato del lavoro e dell’economia, mentre le vere abilità ed i talenti vengono tralasciati e dati per scontato. Per questo motivo è necessario sostenere l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare e proprio lo sviluppo in sinergia del welfare territoriale insieme a quello aziendale ed interaziendale consente di dare una risposta efficiente e di migliorare i servizi volti a sostenere le famiglie impegnate sia nella professione che nei compiti di cura di bambini piccoli e/o di anziani non più autosufficienti.
In tal proposito sembra opportuno segnalare l’attivazione da parte della Regione Autonoma Friuli Venezia-‐Giulia (finanziato dall’Unione europea) di un percorso di sperimentazione, mediante interventi normativi e buone prassi, volto a rimuovere alcune delle più critiche questioni legate al problema del work and life balance.210 Il progetto, avviato nel 2003 con il nome “Futura – Servizi di pari opportunità”, parte dall’assunto (tuttora persistente) del notevole gap occupazionale che intercorre tra lavoratori di sesso diverso211 ed ha lo scopo, inizialmente rivolto solo alle donne residenti ma poi aperto anche agli uomini (che dimostrino di essere l’unica figura del nucleo familiare, occupati a tempo pieno o in formazione), di aiutare le madri e i padri alla conciliazione delle responsabilità.
210Cristini C., La domanda di conciliazione della doppia presenza in Friuli Venezia Giulia, in Il mercato del lavoro in Friuli Venezia Giulia. Rapporto 2006, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Direzione centrale lavoro, formazione, università e ricerca, 2006, p.169.
211 Le donne in Italia, e in generale in tutti gli Stati europei con percentuali diverse tra loro, si trovano ancora in una posizione decisamente svantaggiata rispetto agli uomini: rappresentano il 51,4% della popolazione italiana, ma solo il 28% della forza lavoro, il 38% degli occupati ed il 53% delle persone in cerca di occupazione. Mentre gli uomini il 48,6% della popolazione complessiva, il 48% della forza lavoro, il 63% degli occupati e il 47% delle persone in cerca di occupazione. La statistica è a base nazionale ma i tassi di variazione dell’occupazione variano a seconda dell’area geografica con una netta diminuzione del lavoro femminile al sud rispetto al nord. Carbone A.E.-‐Venuleo C., Il mercato del lavoro in una prospettiva di genere, in Xxxxxxxxx L. (a cura di), I numeri delle donne. Partecipazione femminile al mercato del lavoro: caratteri, dinamiche e scenari, Quaderni Spinn, Italia lavoro per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Roma, p.17.
La differenza di genere si manifesta ancora più profondamente a livello retributivo, gender pay gap: il dislivello nei redditi da lavoro tra uomini e donne si è ridotto nell’ultimo decennio restando tuttavia su valori elevati. Secondo le stime Eurostat nelle economie dell’Unione europea le donne guadagnano in media circa il 16,4% in meno degli uomini e in Italia mediamente il 6,7% in meno. Centra M., Xxxxxxxxxxxli retributivi e bilancio familiare, in Xxxxxxxxx L. (a cura di), I numeri delle donne. Partecipazione femminile al mercato del lavoro: caratteri, dinamiche e scenari, Quaderni Spinn, cit., p.86; Commissione europea, Colmare il divario retributivo di genere nell’Unione europea, Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni ufficiali dell’Unione europea, 2014, Belgio, 2014, p.11.
L’obiettivo principale di Futura, molto ammirevole, è quello di «attivare un percorso per cui il passaggio da un welfare di assistenza ad uno basato sull’affermazione dei diritti e delle opportunità realizzi un circolo virtuoso, nell’ambito del quale lo stesso sistema del welfare possa incrementare la crescita economica favorendo l’aumento di ricchezza, da reinvestire poi nell’ulteriore miglioramento delle tutele».212
Il programma offre servizi quali l’accoglimento in strutture educative (asili nido, scuole materne, scuole private, centri estivi) e l’erogazione di voucher213 per acquistare servizi di cura o assistenza per i propri familiari (per figli se minori di 15 anni).214
Gli esiti di Futura hanno evidenziato che, benché il progetto consideri il lavoro di cura sia dei bambini che degli anziani, la richiesta prevalente è stata per i servizi di primissima infanzia, a riprova del fatto che i profili di maggiore criticità emergono nel conciliare le responsabilità genitoriali di bambini appena nati. La successiva apertura verso i padri, sebbene ne abbia coinvolto soltanto pochi (sono pervenute 12 domande, pari allo 0,3%)215, palesa che questa nuova prospettiva renda necessario che gli interventi normativi, le azioni positive e gli strumenti di flessibilità family friendly si rivolgano anche agli uomini (come pure
indicato dall’Unione europea) per promuovere una maggior condivisione del lavoro di cura.216 217
212 Nunin R., Una buona prassi per la conciliazione. Il programma “Futura” della Regione Friuli Venezia Giulia, in Ballestrero M.V.-‐De Xxxxxx X. (a cura di), Persone, lavori, famiglie. Identità e ruoli di fronte alla crisi economica, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2009, p.259.
213 Sono contemplati tre tipi di vouchers: il “buono servizi n.1” previsto per la partecipazioni a corsi di formazione professionali finanziati dalla Regione. Il “buono servizi n.2” previsto per le donne assunte a tempo pieno dopo un periodo di disoccupazione di almeno tre mesi, o al rientro dal congedo di maternità o la fruizione dei permessi per allattamento o un periodo di congedo parentale di almeno tre mesi, o che trasformino il contratto di lavoro da part-‐time a tempo pieno, o che abbiano avviato un’impresa o intrapreso una libera professione da meno di tre anni; per gli uomini a seguito del godimento del congedo parentale. Il “buono servizi n.3” previsto per donne e uomini che debbano prendersi cura di figli con meno di tre anni. Nunin R., Introduzione. La conciliazione vita/lavoro nelle politiche sociali della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, in Nunin R.-‐Vezzosi E. (a cura di), Donne e famiglie nei sistemi di welfare. Esperienze nazionali e regionali a confronto, Xxxxxxx, Roma, 2007, p.146.
214 Xxxxx X.-‐Bramanti D.-‐Meda S., Xxxxxxxxx gli anziani e le loro famiglie è possibile: alcuni esempi emblematici, in Donati P. (a cura di), Famiglie e bisogni sociale: la frontiera delle buone prassi, Xxxxxx Xxxxxx, Milano, p.382. 215 Cristini C., La conciliazione tra vita e lavoro: da problema a opportunità di sviluppo per il Friuli Venezia Giulia, in Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia. A cura dell’Agenzia regionale del lavoro e della formazione professionale, Il mercato del lavoro in Friuli Venezia Giulia. Rapporto 2007, FrancoAngeli, 2007, Milano, p.102. 216 Questa progressiva valorizzazione del ruolo paterno si sostanzia già in alcuni interventi normativi del Friuli Venezia Giulia: l.r. 9 agosto 2005 n.18 (“Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro”); l.r. 31 marzo 2006 n.6 (“Sistema integrato di interventi e servizi per la promozione e la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”); l.r. 7 luglio 2006 n.11 (“Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialità”). In Nunin R., Dalla conciliazione alla condivisione. Valorizzazione del ruolo paterno e interventi del legislatore regionale: il caso del Friuli Venezia Giulia, in Calafà L., Paternità e lavoro, Il Mulino, Bologna, 2007,
p.212 e 216; Xxx Xxxxx X., Le politiche di welfare della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, in Nunin R.-‐
A riguardo anche la Regione Piemonte, con il bando “Insieme a papà”, ha previsto l’erogazione di un contributo218 ai padri lavoratori dipendenti del settore privato che usufruiscono del congedo parentale (al posto della madre lavoratrice) nel primo anno di vita del loro bambino, o per i padri adottivi o affidatari, entro il primo anno dall’ingresso in famiglia del minore. Il progetto ha avuto risultati molto positivi ed incoraggianti, tanto da esser stato prorogato. Sempre in tale Regione la Consigliera di parità della Provincia di Torino è intervenuta con una serie di campagne informative ed opuscoli destinati sia ai neogenitori (“I nostri auguri tra opportunità e diritti”) che alle aziende (“L’azienda amica delle Mamme e dei Papà”). Lo scopo principale è sopperire ad una delle maggiori difficoltà in questo campo, ovverosia la scarsa conoscenza. Sono pochissime infatti le aziende che dichiarano di essere informate sulle iniziative promosse dagli enti pubblici per finanziare e supportare economicamente la realizzazione di progetti di work-‐life balance. Gli opuscoli informativi, redatti e diffusi anche in diverse lingue219, contengono diritti e possibilità riconosciuti ai genitori durante i congedi, informazioni, soluzioni concrete e possibili, referenti ed uffici a cui rivolgersi per avere un quadro più completo.220
A.S.L. della Provincia di Lodi221: l’azienda da diversi anni ha avviato corsi per sensibilizzare i lavoratori sulle pari opportunità mediante l’istituzione di un comitato per la parità. Procedendo su questo percorso, tra i dipendenti è stata condotta un’indagine durante un corso formativo/informativo con lo scopo di individuare i rispettivi e diversi bisogni legati al tema, per favorire un cambiamento riprogettando tempi e luoghi di lavoro. Il
Xxxxxxx E. (a cura di), Donne e famiglie nei sistemi di welfare. Esperienze nazionali e regionali a confronto, Xxxxxxx, Roma, 2007, p.152; Xxxxxxx G., I recenti interventi normativi in tema di sostegno alle famiglie e welfare regionale, in Nunin R.-‐Vezzosi E. (a cura di), Donne e famiglie nei sistemi di welfare. Esperienze nazionali e regionali a confronto, Xxxxxxx, Roma, 2007, p.159.
217 Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Oltre Futura. Dalla sperimentazione alla definizione di strategie per superare la condizione di doppia presenza femminile, a cura della Consigliera regionale di parità, FrancoAngeli, Milano, 2008, p.132.
218 Il contributo economico è pari a 400 euro per ogni mese solare di congedo parentale usufruito ai sensi del d.lgs. 151/2001. Qualora il padre usufruisca di un periodo di congedo parentale superiore a tre mesi consecutivi il contributo è di 450 euro mensili per i mesi consecutivi oltre il terzo. In seguito all’emanazione del d.lgs. 80/2015 il provvedimento viene riconosciuto anche ai padri che fruiscono del congedo parentale su base oraria per mesi solari interi e non frazioni di essi. L’importo in tal caso ammonta in 200 euro mensili o 225 euro per i mesi consecutivi oltre il terzo. In xxx.xxxxxxx.xxxxxxxx.xx
219 In dettaglio gli opuscoli informativi diffusi e scaricabili dal sito sono disponibili in italiano, inglese, albanese, arabo, francese, spagnolo e rumeno. xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx
220 Opuscolo della Consigliera di parità della Provincia di Torino, L’Azienda Amica delle Mamme e dei Papà, p.3, xxx.xxxxxxxxx.xxxxxx.xxx.xx/xxxx_xxxxxxxxxxx
221 Lebano A., La conciliazione tra spazio privato e pubblico. Ricognizione sulle buone pratiche per la conciliazione tra vita e lavoro in Lombardia, cit., p. 17,33.
risultato che ne è emerso ha dimostrato come l’esigenza si attesti sempre nella maggior flessibilità di orari, successivamente sulla facilitazione nei trasporti e nei servizi di parcheggio e sull’assistenza estiva per i figli.
Sono quindi state inserite forme di flessibilità oraria sia in entrata che in uscita, incentivazione del part-‐time e facoltà, mediante l’istituzione della banca ore, di recuperare le ore di straordinario durante momenti di esigenza familiare. Oltre a questo si stanno sperimentando forme di telelavoro presso la propria abitazione con la presenza in sede limitata ad alcuni giorni della settimana; il progetto è partito da una collaboratrice che, avendo figli nonché la residenza molto distante, richiedeva maggior supporto e una diversa organizzazione del suo lavoro con risultati ottimi sia dal punto di vista del profitto lavorativo che dell’equilibrio con i suoi oneri domestici.
Inoltre, per venire incontro alle richieste dei lavoratori, si sono attivate delle convenzioni con centri estivi al fine di aiutare i genitori, soprattutto economicamente, a gestire il critico momento della pausa scolastica.
Politecnico di Torino222: punto di riferimento ed eccellenza della formazione universitaria italiana. L’ateneo è riconosciuto come uno dei migliori sia a livello nazionale che internazionale nella formazione e nella ricerca tecnico-‐scientifica. Da quando nel 2010 il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ha attribuito la quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario sulla base delle performance delle Università, il Politecnico si è sempre classificato come il primo ateneo d’Italia.
Tutti i progetti attuati dall’ente nascono dalla piena collaborazione e dal grande impegno di tutto il personale per assicurare un clima e un ambiente coinvolgente e formativo. Le linee guida sono contenute in un Piano Strategico “Orizzonte 2020” che ha alla base la volontà di promuovere e garantire un alto livello di qualità della vita, di conciliazione vita-‐lavoro facendo crescere il talento di ognuno. A questo scopo si sono sperimentati diversi servizi di conciliazione e sostegno alla genitorialità per le diverse esigenze sia del personale che delle studentesse e degli studenti.
Innanzitutto l’Ente ha istituito il micronido e il Baby-‐parking “Policino”, aperto a tutti i figli delle persone appartenenti alla comunità accademica tra i dodici mesi e i sei anni d’età,
222 xxx.xxxx.xxxxxx.xx; ICSR (Italian Centre for Social Responsability), People First! Le dimensioni del bilanciamento tra vita personale e professionale: le nuove prassi italiane, cit., p. 88.
con un limite massimo di accoglienza pari a 20 bambini. Gli orari e le modalità di accesso e frequenza sono molto flessibili e prolungati, proprio per permettere ai genitori di coniugare al meglio i propri impegni lavorativi con quelli di cura. Il micronido è aperto tutti i giorni dalle 08 alle 16.30 con modalità differenti (full-‐time, part-‐time verticale o orizzontale) e con una flessibilità sia in entrata che in uscita, addirittura prevedendo la facoltà di usufruire di un’ora gratuita di baby-‐parking fino alle 17.30. Il baby-‐parking invece è un servizio socio-‐educativo-‐ ricreativo creato per fornire risposte concrete e differenziate alle famiglie, si offrono attività organizzate da personale altamente specializzato e qualificato per garantire un servizio educativo e non di semplice intrattenimento. Pur essendo un baby-‐parking, le attività sono studiate per incoraggiare la crescita creativa e la socializzazione di gruppo. I piani settimanali comprendono attività sportive con uno spazio esterno dedicato ed attrezzato, teatro, letteratura, racconto animato, canto, ascolto della musica, giochi ed intrattenimenti. Il servizio è aperto tutti i giorni, su prenotazione, dalle 16.30 alle 19 con aperture straordinarie durante il periodo estivo, da luglio a settembre con orario continuato dalle 08 alle 19, per venire maggiormente incontro alle esigenze dei genitori nel momento ritenuto più critico.
Accanto a queste possibilità, l’Ateneo, all’interno del progetto “Polifamily – Il Service point della conciliazione” ha messo a disposizione diversi servizi, che hanno sempre il fine ultimo di creare un equilibrio tra vita privata e lavorativa. A seguito di un’indagine volta a rilevare i bisogni più necessari e più utili per il personale, e vista anche la fama ed il successo delle precedenti sperimentazioni, si è deciso di intervenire attivando un servizio di baby-‐ sitting a domicilio e un servizio di assistenza domiciliare per anziani non più autosufficienti o persone con disabilità. Il primo è rivolto ad aiutare tutte le mamme ed i papà con figli tra i zero ed i dodici mesi e che, quindi per vincoli d’età, non sono coinvolti nell’attività del micronido e del baby-‐parking. Il servizio è prestato a domicilio, ha carattere continuativo ed è pensato per agevolare i rientri dalla maternità o dalla paternità. L’utilizzo del servizio in altre emergenze, come ad esempio la malattia, è possibile ma subordinato alla disponibilità al momento della richiesta. Le operatrici sono personale qualificato e formato professionalmente, offrono al bambino le cure necessarie dal punto di vista igienico, nutrizionale e affettivo, predisponendo l’accoglienza in modo interattivo con giochi ed attività stimolanti con il vantaggio di svolgerli in spazi a lui già noti. Il Politecnico grazie al budget a questo destinato riconosce un co-‐finanziamento pari al 60% delle ore richieste e concordate dagli utenti dell’ateneo, il restante 40% rimane a carico del fruitore del servizio.
Il servizio di assistenza domiciliare, invece, offre supporto nella gestione e nell’assistenza dei familiari anziani o affetti da disabilità per favorire il personale del Politecnico che si trovi temporaneamente in difficoltà nel conciliare gli impegni con una situazione di parziale o totale non autosufficienza. L’assistenza è strutturata su tre livelli ed è svolta da personale formato e qualificato: una prima tipologia di prestazioni domiciliari è resa da operatori O.S.S. (operatore socio sanitario) in possesso della relativa qualifica professionale e consiste nell’aiuto per l’igiene sia personale che dell’ambiente dell’anziano, interventi di mobilitazione e di prevenzione delle piaghe per i soggetti costretti a letto, aiuto nella preparazione e nell’assunzione dei pasti, sostegno relazionale nonché nello svolgimento di pratiche, commissioni e accompagnamento alle visite mediche. Per i soggetti affetti da disabilità le prestazioni sono svolte da educatori professionali che supportano le famiglie nel compito educativo, nel sostegno relazionale attraverso la compagnia e la frequentazione di iniziative di socializzazione e recupero. Gli operatori operano anche al mantenimento e al rafforzamento delle capacità psico-‐fisiche. In questo caso il co-‐ finanziamento del Politecnico ricomprende il 65% del costo del servizio, il restante 35% rimane a carico degli utenti.
Entrambi i servizi sono affidati a due cooperative esterne all’ateneo ma costantemente monitorati direttamente e indirettamente attraverso questionari periodici distribuiti a tutti coloro i quali ne fanno uso. Inoltre, rimane in capo all’università l’organizzazione e la promozione dei suddetti servizi.
La peculiare attuazione di tutte queste diversificate iniziative ha lo scopo di creare un ambiente quanto più possibile family-‐friendly e ha dato vita ad un vero e proprio progetto di welfare aziendale. La strategia di partenza, che riconosce essenziale il benessere dei lavoratori attraverso i servizi offerti, i benefit concreti e attuabili a seconda delle diverse esigenze, ha dato risposta ai bisogni organizzativi e personali con ricadute estremamente positive sulla qualità della vita e del lavoro dei dipendenti.
Tabella n. 3 – Buone pratiche nel settore pubblico
SOGGETTO | TITOLO | DESCRIZIONE INTERVENTI |
SERVIZI TEMPORALI | ||
A.O. Spedali civili di Brescia | Effe Xxxx Xxxx: come conciliare | Pluralità di servizi offerti riguardanti la cura dei bambini piccoli: il “nido aperto”; il servizio di baby-‐ |
tempo, famiglia, lavoro | sitting a domicilio; il servizio “mamme degenti”, un asilo nido per i figli da uno a tre anni; il centro ricreativo estivo. | |
Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Lecco | Famiglia-‐lavoro: Missione Possibile! | Servizi di time banking: possibilità di depositare le ore di straordinario in una banca ore, dalla quale attingere nei periodi in cui la vita familiare risulti più difficoltosa (eventuali residui sono liquidati secondo le modalità contrattuali). Sono anche forniti dei voucher aziendali per la fruizione di servizi ricreativi per i figli dei dipendenti di età compresa tra i tre ed i quindici anni in periodi di vacanza. |
Comune di Bareggio (MI) | Flessibilità organizzativa | Estensione dell’orario di apertura al pubblico degli uffici comunali con tuttavia flessibilità oraria per i dipendenti. |
Comune di Cremona | BIC-‐Benessere in Città: muoversi nei tempi di una città sostenibile | Progettazione dei tempi, flessibilità degli orari negli uffici pubblici, interventi sulla mobilità dei lavoratori dei servizi pubblici per ridurre il traffico. |
Provincia di Milano | Flessibilità dell’orario | Facoltà di modificare temporaneamente il proprio orario di lavoro scegliendo personalmente l’articolazione preferita; sistema di permessi che consente l’utilizzo frazionato delle ferie per particolari esigenze familiari. |
STRUMENTI SPAZIALI | ||
Azienda Sanitaria Ferrara | È in atto un progetto di sperimentazione sul telelavoro per tre postazioni, assegnate mediante un bando interno. | |
Provincia di Brescia | Il telelavoro: un’opportunità per il dipendente, per l’ente e per il territorio | Telelavoro con l’implementazione delle tecnologie necessarie e l’articolazione oraria. |
SERVIZI PER LA FAMIGLIA | ||
Comune di Firenze | Estate baby-‐sitter Progetto anziani | Corsi di formazione per educatori e personale specializzato; creazione di una graduatoria per baby-‐sitter per bambini dai tre agli undici anni; voucher per la baby-‐sitter per le famiglie che ne fanno richiesta. Contributo mensile per sostenere lavoratori con incombenze familiari di assistenza ad un anziano non più autosufficiente. |
Comune di Navelli | Un operatore per amico | Interventi a domicilio con personale altamente specializzato per aiutare le famiglie nell’assistenza a persone disabili. |
Comune di | Babysì | Implementazione di servizi di cura per bambini dai |
Perugia | sei mesi ai dieci anni, garantendo la disponibilità in particolari momenti come ad esempio in orari serali o festivi. Le attività si sostanziano anche nell’aiuto compiti o nell’accompagnamento extrascolastico. | |
Comune di San Pellegrino Terme | Famiglie in comune | Per agevolare il reinserimento della mamme al lavoro è stato creato un sistema di servizi per la prima infanzia: creazione di un asilo nido aziendale senza costi per i dipendenti dell’ente; apertura di uno spazio gioco; centro estivo per bambini da tre a sei anni nel mese di luglio. |
Comune di Vigevano | Micro-‐nidi in azienda | Tre micro-‐nidi; uno all’interno del palazzo comunale, con un livello qualitativo alto e accessibile economicamente alle famiglie. |
Provincia di Milano | Figli sì grazie | Attività di consulenza personalizzata di aggiornamento per le neo mamme al rientro in servizio; possibilità di lavorare da casa al termine del congedo parentale e progetti di conciliazione personalizzati; modifiche dell’orario di lavoro; bonus economici. |
SERVIZI PER I LAVORATORI | ||
Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Mantova | Famiglia-‐Lavoro: Servizi di qualità | Forme innovative di organizzazione dell’orario e delle modalità di lavoro in gruppi, per permettere una miglior conciliazione lavoro-‐famiglia per i dipendenti. Istituzione di un ufficio family-‐friendly all’interno dell’azienda. Percorsi individuali e personalizzati di sostegno e reinserimento lavorativo per dipendenti che si assentano per più di sessanta giorni per esigenze di cura di figli o familiari. |
Comune di Segrate | Segrate4you (F.O.U.R.: Famiglia, Opportunità, Uso della città, Responsabilità) | Sono state previste iniziative a favore dei dipendenti di time saving e money saving finalizzate alla conciliazione vita-‐lavoro ed al sostegno alla cura dei figli e dei familiari più anziani non più autosufficienti. |
Provincia di Brescia | Pensiamoci in tempo | Progetto di prevenzione al tumore al seno: la fornitura gratuita di un pacchetto comprensivo di ecografia, mammografia e visita senologica. Gli appuntamenti sono fissati il sabato mattina, in tempi brevi, presso l’Istituto Ospedaliero Fondazione Poliambulanza che ha assicurato prezzi convenienti all’Ente che ne ha sopportato l’intero onere economico. |
Provincia di Monza e Brianza | Un sistema di Welfare Integrato | Azioni a sostegno della mobilità (agevolazioni nel trasporto con un contributo pari alla metà a carico dell’amministrazione); azioni di supporto per le cure a persone anziane non autosufficienti; azioni di |