AS 1883
Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa
Senato della Repubblica
1ª Commissione Affari Costituzionali e 8ª Commissione Lavori pubblici
Audizione
AS 1883
Conversione in legge del decreto-legge 16 luglio 2020, n.
76, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale
Audizione CNA 27 luglio 2020
Sommario
2. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI 3
3. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA EDILIZIA 6
4. LE SEMPLIFICAZIONI PROCEDIMENTALI 8
4.1. Semplificazione e digitalizzazione della PA 10
4.2. La responsabilità degli amministratori 13
5. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA AMBIENTALE 15
5.1. Considerazioni aggiuntive in materia di ambiente e sicurezza sul lavoro 18
5.2. La semplificazione del testo unico ambientale in funzione del Green New Deal 18
5.3. La semplificazione in materia di appalti verdi - CAM 19
5.4. Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro 20
6. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI FINANZIAMENTO ALLE PMI 23
7. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA NEL SETTORE AGROALIMENTARE 24
1. PREMESSA SISTEMATICA
La cattiva burocrazia continua a rappresentare un elemento frenante rispetto alle potenzialità di sviluppo e di crescita dell’Italia. Quasi fosse invincibile. Tutto ciò avviene, nonostante i numerosi tentativi di riforma, nonostante la lotta senza quartiere dichiarata da ogni forza politica e Governo, nonostante l’avanzare dei processi di innovazione e digitalizzazione nella PA. Senza dimenticare che una burocrazia così asfissiante presta il fianco a comportamenti opachi, che non di rado alimentano il fenomeno della corruzione.
Probabilmente, per comprendere le ragioni di un fenomeno così complesso e con radici che affondano in tempi lontani, è necessario avere un approccio multidimensionale, in cui gli aspetti direttamente riconducibili al diritto, alla legislazione e, più in generale, all’assetto istituzionale del nostro Paese, devono essere interpretati alla luce dei fattori culturali e sociali che ci caratterizzano.
Per questo motivo, affrontare la questione della burocrazia in modo esaustivo risulta assai complesso.
Il termine burocrazia, risalente ai tempi della conquista napoleonica e che letteralmente vuol dire “potere degli uffici” (bureau-ufficio e kràtos’-potere), si è tradotto nell’inadeguatezza dell’amministrazione a gestire efficacemente i processi decisionali nei confronti di cittadini ed imprese.
Non a caso, oggi l’impiego del termine burocrazia evoca perlopiù la difficoltà mostrata dall’amministrazione nel mettere a frutto i tentativi di semplificazione prodotti nel tempo. D’altra parte, l’obiettivo di semplificazione si è spesso risolto nell’aggiunta di procedure anziché nel materiale dimezzamento di adempimenti.
Abbattere il moloch della cattiva burocrazia è la strada obbligata per rimettere l’Italia su un sentiero virtuoso. Liberare il Paese, i cittadini e le imprese, dagli orpelli, dai lacci di una macchina amministrativa appesantita, da un corpus legislativo divenuto asfissiante, rappresenta un imperativo. In particolare, per l’artigianato e per il mondo della piccola impresa, la burocrazia costituisce, senza ombra di dubbio, il più grande dei problemi.
Per questo motivo, CNA ha accolto positivamente lo spirito del “decreto Semplificazioni”, pur nella consapevolezza che sburocratizzare è un’impresa titanica e non basterà certo il provvedimento in esame per invertire la rotta. Siamo, con tutta evidenza, di fronte ad un primo passo che, per giunta, in molte delle misure adottate si traduce in modifiche con efficacia temporale limitata.
In generale, nel decreto si colgono misure positive invocavate da tempo. Sono, tuttavia, assenti importanti ambiti, dei quali il legislatore dovrà presto occuparsi, onde conferire il necessario respiro all’azione di semplificazione. Si pensi, in particolare, al fisco, ai controlli, alla salute e sicurezza sul lavoro e al testo unico ambientale.
Prima di passare alla disamina dei contenuti del decreto, preme sottolineare che il giudizio sul provvedimento rimane in ogni caso condizionato alla reale capacità di attuazione delle misure previste, terreno sul quale, troppo spesso, si sono arenati i tentativi, pur lodevoli, di riforma.
2. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI CONTRATTI PUBBLICI
Anzitutto, preme sgombrare il campo dagli equivoci. La nostra organizzazione non può che apprezzare l’intenzione del legislatore volta a velocizzare l’affidamento dei contratti pubblici. Più in generale, si condivide l’impostazione di fondo, allorquando si intende impiegare la leva pubblica nel sostenere gli operatori economici nell’ottica del definitivo superamento del periodo di dura prova imposto dal lockdown.
In particolare, per il mondo della piccola e media impresa, convincono gli interventi intesi a semplificare l’affidamento dei lavori nel cosiddetto “sotto soglia”. Si auspica, in questo senso, che l’utilizzo dell’affidamento diretto e della procedura negoziata senza bando possano generare quella spinta di cui il settore manifesta assoluto bisogno.
Si segnala, però, la necessità di garantire un arco temporale più esteso. Dall’entrata in vigore del nuovo codice, troppi sono stati gli interventi normativi che hanno modificato il quadro regolamentare, disorientando tanto gli operatori, quanto le stazioni appaltanti. La prevista scadenza della deroga – 31 luglio 2021 – risulta oggettivamente insufficiente. Servirebbe, pertanto, un orizzonte temporale più ampio, per poter effettivamente verificare il dispiegarsi delle semplificazioni adottate.
L’efficacia delle nuove disposizioni dipenderà, in ogni caso, dall’innesto di alcuni principi, necessari ad assicurare la concreta partecipazione delle piccole imprese:
▪ la corretta applicazione del principio della suddivisione in lotti, al fine di evitare che possano essere eluse le nuove disposizioni;
▪ la definizione di buone prassi condivise, atte a garantire la composizione di elenchi di operatori economici che valorizzino le imprese locali;
▪ la messa in campo di azioni di monitoraggio, preordinate ad evitare
comportamenti scorretti nell’utilizzo dell’affidamento diretto.
Si rileva, poi, l’esigenza di perseguire una appropriata azione di qualificazione professionale delle stazioni appaltanti, affinché si possano applicare al meglio le novità normative apprestate dal decreto in oggetto. Del resto, l’ennesima proroga del cosiddetto
appalto integrato, uno strumento attraverso cui si affida, di fatto, tutto il processo ad operatori privati, conferma la presenza di un deficit, rispetto al quale è il caso di intervenire rapidamente.
Ben venga, inoltre, la scelta di prevedere tempi massimi di durata degli affidamenti sotto soglia, differenziati a seconda della tipologia di procedura. Nel caso degli affidamenti diretti il termine è fissato a 2 mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento; nel caso di procedura negoziata, occorre invece concludere i lavori entro il termine di 4 mesi dalla data di adozione dell’atto di avvio del procedimento.
Al fine di garantire l’efficacia delle nuove disposizioni, si propone di trasformare in obbligo la possibilità di valutazione della responsabilità del responsabile unico del procedimento (RUP) per danno erariale in caso di mancato rispetto dei termini, della mancata tempestiva stipulazione del contratto ovvero del tardivo avvio dell’esecuzione dello stesso.
Il giudizio è positivo anche in materia di verifiche antimafia (Art. 3). Il provvedimento in discorso riconosce, infatti, un certo margine di fiducia verso gli operatori, allorché si tratti di assegnare benefici economici, in vista di un controllo ex post sulle dichiarazioni. Sul punto, il decreto prevede, inoltre, l’introduzione di protocolli di legalità, che potranno essere stipulati dal Ministero dell’Interno anche con le associazioni di categoria, al fine di estendere le verifiche antimafia a rapporti contrattuali ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente. Ad ogni modo, proprio perché il mancato rispetto dei protocolli costituirà causa di esclusione dalla gara o di risoluzione del contratto, cancellando, di fatto, il regime di adesione volontaria agli stessi, è necessario che questi non contengano oneri troppo gravosi per gli operatori.
Merita di essere segnalato anche l’articolo 5, il quale interviene, seppur in via transitoria, in ordine alle ipotesi in cui la stazione appaltante ha facoltà di sospendere l’esecuzione di un’opera pubblica. Tali ipotesi sono fissate in modo tassativo, limitando di fatto i casi nei quali l’autorità giudiziaria o le parti possono sospendere l’esecuzione.
L’articolo 8 è certamente degno attenzione, in quanto prevede la possibilità di escludere dalla procedura gli operatori economici che non ottemperino agli obblighi di pagamento di imposte ovvero di contributi previdenziali, benché non definitivamente accertati. Una simile prescrizione risulta tuttavia in collisione con la logica semplificatoria che informa il decreto, contrastando, tra l’altro, con l’intento di sostenere gli operatori del settore, in quanto espone questi ultimi al rischio di una penalizzazione eccessiva, del tutto sproporzionata rispetto a una violazione tributaria soltanto presunta. Senza considerare, oltretutto, i rischi connessi ad una probabile insorgenza di nuovo contenzioso amministrativo tra stazioni appaltanti e imprese partecipanti.
Da ultimo, si condivide l’introduzione di alcune rilevanti modifiche alla disciplina del rito degli appalti, prevedendo che per le opere realizzate sopra e sotto la soglia comunitaria, il giudice debba tenere conto, in sede di delibazione nella fase cautelare del giudizio, tanto del preminente interesse alla sollecita realizzazione dell’opera, quanto dell’interesse del soggetto aggiudicatore alla rapida prosecuzione delle opere. È previsto, altresì, che le cause soggette al rito degli appalti debbano essere definite con sentenza in forma semplificata in esito all’udienza cautelare.
3. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA EDILIZIA
Quanto all’edilizia (Art. 10), si condividono gli interventi relativi alla semplificazione degli adempimenti per la demolizione e ricostruzione degli edifici, all’accelerazione dei termini di svolgimento delle procedure edilizie tramite una conferenza di servizi semplificata, onde acquisire l’assenso delle altre amministrazioni, alla proroga della validità dei titoli edilizi, nonché alla previsione del rilascio su richiesta dell’interessato circa l’intervenuta formazione del silenzio assenso da parte dello sportello unico edilizia (SUE).
Si può quindi ricostruire con sagoma e altezze diverse, in particolare per interventi di adeguamento antisismico e di riduzione del fabbisogno energetico, anche quando non è possibile modificare il sedime a causa delle dimensioni del lotto edificabile.
Sorprendono anche le novità in tema di silenzio assenso. Il decreto prevede, infatti, che fermi restando gli effetti comunque prodotti dal silenzio, lo sportello unico per l’edilizia rilasci anche per via telematica, entro quindici giorni dalla richiesta dell’interessato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento, in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie inevase e di provvedimenti di diniego. Altrimenti, nello stesso termine, lo stesso XXX comunica all’interessato che tali atti sono intervenuti.
La distanza tra le previsioni normative e la loro effettiva applicazione potrebbe ben riscontrarsi anche nel caso delle procedure edilizie, la cui complessità ha spinto il legislatore ad istituire un apposito sportello presso ogni comune, vale a dire il SUE. Tuttavia, occorre ricordare che non solo il SUE non è stato costituito in molte realtà – per carenza dell’infrastruttura telematica e per mancanza di personale qualificato – ma la materia viene trattata da uffici dedicati del comune oppure dal SUAP. Per questo, non ci sarà un’unica interfaccia, ma sarà sempre necessario interloquire con diversi soggetti per portare a termine la procedura, in totale contrapposizione con i principi di semplificazione.
Infine, si condivide il riconoscimento – previa comunicazione da parte degli operatori
all’amministrazione comunale di riferimento – di una proroga pari a tre anni dei termini
di inizio e di ultimazione dei lavori relativi ai permessi di costruzione rilasciati o comunque formatisi fino al 31 dicembre 2020. Ciò a condizione che i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione e a patto che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. Un’analoga proroga si applica alle segnalazioni certificate di inizio attività presentate entro lo stesso termine.
4. LE SEMPLIFICAZIONI PROCEDIMENTALI
Nel merito, si condivide pienamente la ratio del provvedimento che si desume da una lettura complessiva delle norme. Il filo conduttore della riforma è senza dubbio la decisione amministrativa, che costituisce il momento più critico dell’attività amministrativa e che rappresenta l’indice dell’agire efficiente, sia da parte del singolo funzionario pubblico, che dell’intero apparato burocratico. In questa prospettiva, per la prima volta dopo molti anni, il decreto in questione tenta di piegare la decisione amministrativa alla logica della tempestività, anziché a quella della discrezionalità. Fino ad ora, infatti, l’azione amministrativa ha significato dare spazio e tempo a tutti i possibili interessi coinvolti nel procedimento e a tutte le ipotesi che si potevano concretizzare in una singola fattispecie, riverberando nella lunghezza dei procedimenti e nell’inerzia i tanti dubbi sopravvenuti nella fase istruttoria. Ora invece una tale complessità non è più in linea con la società odierna, che, al contrario, richiede celerità ed efficienza anche se questo comporta ridurre margini di discrezionalità. Per cui, l’obiettivo principale della riforma deve essere la creazione di una disciplina chiara e ispirata ad un equilibrio diverso dei rapporti tra amministrazione e cittadini, attraverso una selezione degli adempimenti, la definizione dei tempi certi dei procedimenti e una riduzione della discrezionalità.
In ordine alla semplificazione dei procedimenti, si condivide l’introduzione della regola del silenzio-assenso, con inefficacia degli atti tardivamente intervenuti (Art. 12). Questo istituto, introdotto per tutelare il privato dall’inerzia della PA, ne ha di fatto aumentato l’incertezza circa i tempi e i modi dell’azione amministrativa, anche perché i funzionari pubblici scelgono spesso di seguire impostazioni estremamente formalistiche legate ad un’interpretazione prettamente letterale delle norme, anziché decidere velocemente e trattare situazioni diverse in modo diverso (una conferenza di servizi convocata per decidere sugli scarichi di uno stabilimento balneare è cosa diversa da quella per decidere sugli scarichi di un’industria farmaceutica).
Pertanto, per contemperare le due esigenze, occorre pensare ad un procedimento più scorrevole, nel quale la discrezionalità viene sostanzialmente ridotta al minimo e la decisione viene presa in base a criteri vincolanti, che non richiedano alcun eccessivo
bilanciamento tra interessi differenti. Sembra andare in questa direzione la previsione di una conferenza di servizi semplificata, nella quale tutte le amministrazioni coinvolte dovranno rispondere entro 60 giorni (Art. 13).
CNA auspica l’abrogazione delle autorizzazioni non più attuali in base alla tipologia di attività svolta e l’introduzione di una proporzione degli adempimenti burocratici rispetto alle dimensioni dell’impresa, al settore di attività e soprattutto agli interessi pubblici da tutelare. Per questo un punto di partenza potrebbe essere costituito dall’obbligo introdotto con il decreto all’articolo 12, tale per cui le amministrazioni dovranno misurare la durata effettiva dei procedimenti di maggiore impatto per cittadini e imprese, confrontarli con i termini previsti dalla legge e pubblicarli. Tale principio in linea di massima è condivisibile, in quanto introduce una sorta di competizione tra le amministrazioni pubbliche. Tuttavia non può essere ridotto ad una mera fotografia della situazione esistente nei vari territori italiani. Al contrario, l’individuazione di bad practice dovrebbe comportare una penalità sui premi di risultato concessi ai funzionari pubblici.
Ma più in generale, l’analisi sulla tempistica dei procedimenti amministrativi dovrebbe tradursi in una sorta di modello di comportamento per gli amministratori pubblici, in modo da fornire loro strumenti utili per arrivare presto ad una decisione relativa ad uno specifico settore di riferimento. In questa maniera, si potenzierebbe l'esercizio della discrezionalità tecnica, nella quale l’Amministrazione compie una valutazione dei fatti alla stregua di canoni scientifici e tecnici, non svolgendo alcuna comparazione tra l'interesse pubblico primario e gli interessi secondari, al fine di individuare la soluzione più opportuna per l'interesse da perseguire.
Secondo questa interpretazione, è necessario ripensare i controlli, al fine di aumentare quelli ex post. Il controllo di tipo preventivo, fin qui applicato, comporta oneri molto gravosi per imprese e cittadini, i quali debbono presentare e allegare alle istanze numerosi documenti difficili da reperire e sovente costosi. Al contempo, i risultati dei predetti controlli non risultano particolarmente ottimali, perché rallentano e scoraggiano l’intento di intraprendere attività imprenditoriali o di richiedere servizi. Potenziando, invece, il controllo successivo fondato sulla buona fede del privato le attività potrebbero
avere avvio senza intoppi. Soltanto dopo la primissima fase di avviamento, imprenditori e cittadini sarebbero passibili di multe, sanzioni amministrative, sanzioni penali e misure interdittive, purché siano riscontrate conclamate illegittimità.
Particolarmente condivisibile appare la scelta di prorogare la validità dell’Agenda della semplificazione amministrativa per il periodo 2020-2023, definita secondo le linee di indirizzo condivise tra Stato, Regioni, Province autonome ed enti locali (Art. 15). Nel tempo, infatti, l’Agenda si è rivelata un utile strumento per attivare un dialogo fruttuoso tra le istituzioni, nella fattispecie tra il Dipartimento della funzione pubblica e le associazioni di categoria. Gli obiettivi rifluiscono nell’ambizioso progetto di eliminare le autorizzazioni non più attuali e, insieme, standardizzare le richieste riferibili a tutte le pubbliche amministrazioni regionali e locali, attraverso moduli e criteri uniformi da far valere su tutto il territorio nazionale.
Di positivo c’è, infine, l’iniziativa di tagliare i costi della burocrazia. Da questo punto di vista, si stabilisce il principio in base al quale, sia per le norme primarie che per i decreti attuativi, nel caso in cui vengano introdotti nuovi costi regolamentari, si debba procedere o ad eliminare altrettanti oneri di pari valore oppure rendendo i nuovi costi introdotti fiscalmente detraibili (Art. 14). Al riguardo, tuttavia, si propone di estendere la misurazione anche ai provvedimenti attuativi di fonti primarie e secondarie, quali circolari, linee guida, ecc. che contengono numerosi oneri e non sono mai presi in considerazione. In tale contesto, la quantificazione degli oneri introdotti o eliminati non sarebbe un inutile adempimento formale ma, come mostrano le migliori esperienze internazionali, costituirebbe una risorsa essenziale per prevenire il proliferare di nuove complicazioni e rispondere alle attese dei cittadini e delle imprese.
4.1. Semplificazione e digitalizzazione della PA
Infine, è importante sottolineare come la sfida più grande messa in campo dal
provvedimento è l’introduzione del principio generale che la PA debba erogare i propri
servizi in digitale, affinché i cittadini possano consultare gli atti nella medesima forma (Art. 12). In questo senso, diventa una esigenza di tutti gli uffici condividere i contenuti nei diversi database, per interagire in vista di interessi comuni.
Di particolare rilievo appaiono le previsioni che vanno dall’articolo 30 al 35. Ci si riferisce alla realizzazione – da conseguire entro il prossimo 28 febbraio p.v. – di un accesso obbligatorio (in luogo di quello solo eventuale) a tutti i servizi della PA tramite app oppure online. Ciò utilizzando le credenziali SPID, al momento disponibili solo per i cittadini.
Da qui si evince che i moduli relativi ad autocertificazioni, istanze e dichiarazioni saranno fruibili nella loro integralità in formato digitale, attraverso una interfaccia unica standardizzata.
Tutto questo, però, non deve voler dire digitalizzare l’esistente, improntando il lavoro sul principio di riservatezza. Significa, bensì, considerare la trasparenza come il principio base sul quale fondare il rapporto tra cittadini e PA, rapporto in cui la riservatezza diventa l’eccezione. I dati dunque non possono essere raccolti e custoditi ad oltranza, ma devono essere offerti tramite servizi web e accessibili tramite piattaforma. Al riguardo, si auspica, che nelle more della creazione della piattaforma unica, l’accesso a tutte le banche dati avvenga tramite credenziali univoche – comprese quelle a pagamento – come accade con le piattaforme per gli acquisti online.
Occorre osservare che le novità sopra descritte non si applicano se l’ente locale non utilizza i servizi digitali. Attualmente, infatti, manca una visione d’insieme, permanendo uno stato di grande frammentazione tra uffici e banche dati: quelle di INPS e Agenzia delle entrate non sono ad esempio allineate, sicché ogni ufficio, anagrafe, SUAP, SUE e polizia possiede la propria banca dati, non progettata per dialogare con le altre. Nel caso di istanze che prevedono il parere di più amministrazioni non c’è interoperabilità tra software, ma si continua ad operare con PEC.
Per questo, CNA ritiene indispensabile la transizione dal modello umano a quello automatico. Una transizione da accompagnare mediante un mutamento culturale e non
solo dettato da norme e linee guida, onde consentire ai soggetti privati (cittadini e imprese) una più ampia partecipazione alla vita amministrativa del Paese. Ciò, senza dimenticare, ovviamente, di contemperare tale sforzo con la necessità di tutelare intere fasce della popolazione, che per motivi soprattutto anagrafici, di divario digitale e territoriale, potrebbero rimanere escluse dai vari servizi introdotti.
Con riferimento al SUAP, occorre segnalare che in base all’indagine condotta da CNA nel 2018 dal titolo “Comune che vai burocrazia che trovi”, su un campione rappresentato da 52 comuni, la tipologia di piattaforma maggiormente utilizzata è risultata essere quella comunale (29 comuni), mentre in 14 comuni il SUAP è gestito dalle camere di commercio, in 6, infine, a livello regionale. Sebbene questo costituisca uno spaccato della tipologia delle piattaforme SUAP presenti negli oltre 8.000 comuni italiani, è chiaro che esiste una disomogeneità già a livello locale sulla gestione dei SUAP, capace di generare confusione, specie nei confronti delle imprese. Si fa riferimento alle imprese che operano in territori diversi della stessa provincia o regione, costrette ad interagire con tante piattaforme quanti sono i SUAP.
Inoltre, si riscontra molta differenza anche nella modalità di invio della pratica che non è sempre telematica, come richiesto dalla legge, in quanto alcuni comuni accettano ancora le pratiche cartacee o inviate via PEC. Alle volte pretendono addirittura sia la pratica in formato cartaceo che digitale.
Altro problema è costituito dalla pratica seguita da alcuni enti terzi – Vigili del Fuoco, Soprintendenza dei beni culturali, ASL, uffici regionali – di accettare le pratiche afferenti alle attività produttive senza passare dal SUAP. In altri termini, senza che sia riconosciuto al SUAP il ruolo di interlocutore unico che gli è proprio.
In conclusione, sebbene il decreto mostri intenti lodevoli nel rendere finalmente esecutivi i processi di digitalizzazione della PA, questo progetto viene ipotizzato senza aver informatizzato importanti snodi della PA. Per tali ragioni si auspica che gli acronimi app, SPID, Io, CIE, ecc. non restino solo uno slogan, ma un passo in avanti verso la materiale digitalizzazione del Paese.
4.2. La responsabilità degli amministratori
Occorre ricordare che un sistema costituito da troppe regole, talvolta contraddittorie, favorisce l’inerzia e l’errore, soprattutto nei procedimenti che riguardano più enti decisori. Per questo, si condivide la scelta di modificare il sistema di responsabilità dei funzionari pubblici (Art. 21.), mediante la limitazione della responsabilità per danno erariale al solo dolo, per quanto riguarda le azioni fino al 2021. Fino ad ora, in effetti, l’estensione dell’onere probatorio ha reso molto arduo affermare la responsabilità per la difficile prova dell’elemento soggettivo, sia in termini di colpa che di dolo. Xxxxxx, invece, che per il prossimo anno sia stata abolita la responsabilità erariale per colpa grave, salva tuttavia l’ipotesi di danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente, nell’ottica di sbloccare i procedimenti. Si auspica, però, che questo non significhi pronunciarsi, seppur superficialmente, piuttosto che restare immobili per non incorrere nel danno erariale. Alla luce delle considerazioni espresse fino ad ora, non si può pertanto accettare una simile direttiva di gestione della cosa pubblica, anche solo in via temporanea.
Al contrario, imprese e cittadini hanno bisogno di stabilità. Per questo va garantita la definitività delle determinazioni. Occorre evitare che le amministrazioni prendano decisioni in modo maldestro allo scopo di restare nei termini e successivamente intervenire con un provvedimento di autotutela, inteso ad annullare con un colpo di spugna la decisione presa. Bisognerebbe perseguire la logica di fare presto e bene, garantendo la definitività di tutte le decisioni, così da concedere alla pubblica amministrazione soltanto altri 30 giorni per agire in autotutela.
Il “decreto Semplificazioni” apporta una rilevante modifica anche alla disciplina del delitto di abuso d’ufficio (Art. 23). La fattispecie di reato si configura allorché vengano violate specifiche regole di condotta, espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità. L’intento del legislatore è quello di scongiurare che i timori connessi ad indagini portino gli amministratori a sottrarsi dalla firma degli atti. Per quanto condivisibile, tuttavia, sarebbe stato opportuno delineare la nuova fattispecie in maniera puntuale. D’altra parte, con la locuzione “atti aventi forza di legge” non si ricomprendono i regolamenti, atti nei quali si rinvengono
sovente regole di condotta. La discrezionalità della PA può essere amministrativa, tecnica o politica, quindi non è facile distinguerla. Gli abusi si annidano spesso nelle maglie della discrezionalità, che nasconde l’uso strumentale di poteri e funzioni per interessi privati. Ragion per cui, non si può escludere che, anche con l’attuale formulazione, sia difficile dimostrare l’esistenza del reato.
5. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA AMBIENTALE
I Capi II e III del Titolo IV del provvedimento in esame evidenziano lo sforzo, sicuramente apprezzabile, di intervenire in termini di semplificazione su alcune procedure ambientali e per il sostegno, al contempo, verso il cosiddetto Green New Deal.
È noto come la materia ambientale presenti profonde complessità, che ricadono pesantemente sulle imprese. Sono state imposte negli anni procedure amministrative e burocratiche estremamente onerose, secondo un’errata visione che vede la tutela dell’ambiente soltanto attraverso un carico abnorme di regole e adempimenti.
In tal senso, gli articoli del “decreto Semplificazioni”, aventi ad oggetto la materia ambientale, intervengono su alcuni nodi certamente critici, come quello della procedura di VIA o in materia di bonifiche. L’obiettivo primario risulta essere quello di superare alcuni degli ostacoli che bloccano o allungano a dismisura gli interventi, con tempi estenuanti, assolutamente incompatibili con le esigenze di sostenibilità degli investimenti e con le esigenze di tutela ambientale. Basti pensare ai numerosi progetti di bonifica o all’avvio di nuovi impianti, fermi proprio a causa delle complessità burocratiche e procedurali.
Da questo punto di vista, si valuta positivamente lo sforzo semplificatorio. Reputiamo però che da sole le misure individuate, per lo più concentrate su interventi di grande dimensione o a carattere strategico, non siano compitamente in grado di rispondere alle molteplici esigenze di semplificazione che la materia ambientale esibisce.
Con riferimento alle autorizzazioni ambientali, si apprezza in particolare la volontà di razionalizzare e ridurre i tempi delle procedure di VIA. Sarebbe stato necessario però un intervento più ampio, volto ad assicurare certezza ai tempi di tutti i procedimenti autorizzativi.
Si evidenzia, in particolare, la necessità di un profondo intervento in materia di autorizzazione unica ambientale (AUA). Un procedimento introdotto nel 2013, anche su sollecitazione delle associazioni di categoria, con l’intento positivo di semplificare le
autorizzazioni degli interventi più semplici, ovvero quelli esclusi dalla VIA, ma che nei fatti
– dopo 7 anni di operatività – mostra criticità e incertezze, nonché una estrema disomogeneità nella sua pratica applicazione territoriale.
Più in generale, in tema di autorizzazioni, servirebbe una efficace azione razionalizzatrice, per far fronte alla parcellizzazione delle competenze che spesso costringe le imprese ad una lunga ed incerta interlocuzione con differenti soggetti pubblici sulla medesima procedura.
Con riferimento alle semplificazioni in materia di bonifiche, si apprezza l’intento di facilitare la realizzazione di interventi in aree rientranti nei terreni oggetto di bonifica. Sono molti i siti in cui, a causa delle lungaggini, risulta bloccata ogni possibilità di valorizzazione, anche economica, dei territori interessati.
Risultano invece insufficienti altre semplificazioni, specie rispetto alla necessità di un intervento più profondo in materia di bonifiche. Ciò per l’incertezza dei tempi di conclusione degli iter amministrativi, capaci di condizionare l’effettivo avvio delle attività di bonifica dei siti contaminati.
Con riferimento al capitolo dedicato al Green New Deal, è il caso di segnalare che l’approccio adottato risulta poco ambizioso, di fatto inefficace rispetto alle più ampie e radicali esigenze di intervento. Resta, pertanto la necessità di creare un quadro normativo coerente con le sfide della transizione green.
L’unica norma che presenta alcune misure interessanti e per certi versi innovative è quella riferita agli interventi in materia di fonti di energia rinnovabile (Art. 56).
Più volte si è intervenuti allo scopo di semplificare le complesse procedure di autorizzazione degli impianti FER. Lo si è fatto attraverso un approccio che ha cercato di differenziare i diversi livelli di complessità, anche sulla base della dimensione degli impianti. Nonostante i molteplici tentativi, il quadro non risulta ancora efficiente, permanendo complessità e lungaggini.
L’articolo in questione interviene in particolare per agevolare, correttamente, gli interventi su impianti esistenti, onde favorirne l’ammodernamento e, dunque, l’efficientamento.
Si introduce pertanto una nuova procedura semplificata, la cosiddetta “dichiarazione di inizio lavori asseverata”, di cui si condivide l’impostazione limitatamente ad alcune e circoscritte misure. Per ottenere, infatti, un effetto moltiplicatore più valido, andrebbe ampliato il novero delle casistiche, estendendolo, cioè, ad altre fattispecie.
Sotto questo profilo, pur condividendo gli interventi previsti, si evidenzia la più ampia esigenza ad intervenire affinché si facilitino le procedure di autorizzazione di impianti nuovi, in particolare quelli di piccola taglia. Tale approccio sarebbe peraltro più coerente con gli obiettivi contenuti nel PNIEC, più volte citato nel provvedimento in discussione.
Ancora, l’articolo 59, nell’estendere il cosiddetto “scambio sul posto altrove”, si prefigge l’obiettivo di favorire l’autoproduzione diffusa da fonti rinnovabili. Un tema particolarmente sentito dalle piccole imprese, che su tale fronte giocano una duplice partita: da un lato, in qualità di potenziali auto-produttori e, dall’altro, quali soggetti attivi nella realizzazione degli interventi.
Ad avviso di CNA, la disciplina in parola, su cui negli ultimi mesi si è innalzata l’attenzione (anche grazie alle prospettive connesse allo sviluppo delle comunità energetiche), deve diventare oggetto di un profondo intervento, in grado di sostenere concretamente lo sviluppo diffuso dei piccoli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
L’articolo 64 disciplina, invece, le garanzie sui finanziamenti, onde favorire i progetti di Xxxxx New Deal previste dalla legge di bilancio per il 2020, chiarendo quali siano i progetti economicamente sostenibili ammessi alla garanzia da parte dello Stato e definendo le modalità di concessione della garanzia stessa. La norma è quindi orientata a dare concreta attuazione a tali previsioni per supportare la possibilità per le imprese di accedere allo strumento della garanzia statale.
Tuttavia ci preme ribadire quanto già evidenziato al momento del varo della legge di bilancio in discorso, circa la necessità di prevedere criteri e procedure per l’effettivo ricorso alla garanzia anche da parte delle piccole imprese. Troppo spesso, infatti, gli interventi in tale ambito risultano tarati sulla grande dimensione, escludendo di fatto la gran parte delle imprese italiane dalla opportunità della transizione.
In conclusione, come già messo in luce nelle considerazioni precedenti, riteniamo che in generale il capitolo dedicato al Green New Deal risulti incompleto e insufficiente rispetto agli ambiziosi obiettivi che l’Italia sarà chiamata ad attuare nei prossimi anni, one implementare una transizione del sistema economico in chiave green.
5.1. Considerazioni aggiuntive in materia di ambiente e sicurezza sul lavoro
Come già evidenziato, il “decreto Semplificazioni” non ha complessivamente offerto una risposta alle attese di semplificazione più volte evidenziate in materie complesse come quella ambientale e di salute e sicurezza sul lavoro. In queste materie, la produzione legislativa non è ad oggi in grado di garantire un quadro di regole inteso a conciliare interessi generali con quelli di piccole e medie imprese.
La fase post emergenziale deve essere in grado di favorire e supportare la ripresa delle attività economiche, anche attraverso un quadro normativo evoluto.
A tal fine, si evidenziano alcune considerazioni aggiuntive, con l’auspicio che, con la fase di conversione, possano trovare spazio misure aggiuntive rispetto ai temi contenuti nel provvedimento.
5.2. La semplificazione del testo unico ambientale in funzione del Green New Deal
Un processo di semplificazione che miri a favorire la transizione green verso un modello di economia circolare non può prescindere da un profondo riordino della normativa
ambientale, volto ad eliminare le molteplici incongruenze esistenti, tali da rendere le norme di difficile applicazione. Questa esigenza si coglie in particolar modo in relazione alla parte IV del codice ambientale ed in alcuni provvedimenti attuativi.
La proposta è quella di rinviare ad un processo di ricognizione la precisa individuazione, tra le norme in materia di rifiuti, di quelle che richiedono un intervento di revisione e di quelle che richiedono invece un semplice chiarimento. È infatti noto come, soprattutto negli ultimi anni, molte difficoltà applicative siano scaturite dall’interpretazione delle disposizioni in materia, soprattutto in virtù dell’intervento suppletivo della giurisprudenza.
Si cita, soltanto a titolo di esempio, l’esigenza di intervenire:
▪ sulla disciplina del sottoprodotto;
▪ sulla gestione dei rifiuti prodotti fuori dalla sede dell’impresa;
▪ sulla razionalizzazione complessiva in materia di RAEE;
▪ sulla definitiva soluzione delle criticità in materia di End of Waste.
In tutti questi casi siamo di fronte ad un quadro di regole non solo complesso ma di fatto incompatibile, quindi di ostacolo, con la necessità di una gestione ambientale e dei rifiuti coerente con i principi dell’economia circolare.
5.3. La semplificazione in materia di appalti verdi - CAM
Affinché il Green Public Procurement (GPP) si trasformi in una concreta opportunità di crescita e competitività per le imprese, così come previsto dalla strategia Europea, occorre ripartire da due direttrici fondamentali, vale a dire gradualità e proporzionalità, prevedendo, se necessario, i necessari correttivi alla legislazione vigente.
In particolare, con la riforma del codice degli appalti si è intervenuti in maniera molto stringente quando ancora il sistema nel suo complesso non era pronto a questo passaggio.
Attraverso il GPP, si dovrebbero piuttosto favorire azioni di semplificazione delle procedure e di riduzione dei costi, nonché l’introduzione di strumenti premianti verso quelle organizzazioni in grado di mostrare una maggiore capacità di controllo dell’impatto ambientale nell’ambito delle proprie attività.
Senza voler abbandonare il percorso intrapreso, rimane però valida la necessità di superare il carattere eccessivamente vincolante introdotto con il decreto correttivo del codice degli appalti. In questo senso, andrebbe introdotto un criterio di gradualità, affinché l’obbligatorietà dei CAM valga soltanto per i bandi di gara di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria, così come individuate dall’articolo 35 del codice degli appalti.
Ciò darebbe tempo di implementare il necessario monitoraggio sulla corretta attuazione dei CAM, insieme ad un adeguato percorso di qualificazione degli operatori, che consentirebbe di valutare, in una fase più matura, le ulteriori prospettive di sviluppo di questa strategia.
In generale, non risulta condivisibile l’impostazione complessiva seguita dai decreti CAM, in quanto non limitati alla mera definizione di specifiche tecniche dei prodotti e/o servizi oggetto dei bandi, ma orientati ad entrare nel merito di questioni già disciplinate dal codice degli appalti. Si pensi, ad esempio, ai criteri di selezione dei candidati, capaci di inficiare la portata generale della disciplina, creando, di fatto, delle barriere all’accesso nel mercato degli appalti.
5.4. Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro
La normativa di salute e sicurezza vigente in Italia, si caratterizza per la sua eccessiva complessità, legislativa e di attuazione, aggravata dal fatto che il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 non prevede alcuna “modularità” delle disposizioni applicabili rispetto alle particolarità dei rischi e alle dimensioni delle attività produttive Il decreto in parola
impone n modo indistinto l’adozione – tendenzialmente assistita da sanzione penale –
degli stessi obblighi documentali e formativi.
A ciò si aggiunga che da sempre l’Italia ha provveduto alla trasposizione nel proprio ordinamento delle direttive comunitarie, attraverso una tecnica di recepimento che ha individuato procedure spesso più complesse di quelle imposte. Tali procedure, nel tempo, si sono dimostrate penalizzanti per le imprese italiane rispetto alle altre imprese del sistema europeo.
Sollecitazioni in tal senso sono contenute anche nell’ultima relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro, per la quale appare chiara la necessità che si realizzino, in tempi quanto più possibili stretti, modifiche al quadro legislativo. Questo nell’ottica di rendere gli adempimenti di salute e sicurezza più attinenti alle peculiarità di settore e alle differenti dinamiche delle attività lavorative di riferimento.
D’altra parte, a più di dieci dalla sua entrata in vigore, il corpus normativo del decreto evidenzia “i segni del tempo”, sia in termini di mancato adeguamento alle nuove forme di lavoro e produzione, sia in termini di limitata efficacia di alcune sue prescrizioni, specie documentali.
Risulta opportuno, pertanto, un quadro normativo razionale, che tenga finalmente conto della realtà rappresentata dalle micro e piccole imprese. Per tali motivi, si perseguano soluzioni semplici ed efficienti, onde garantire una protezione efficace della salute e sicurezza dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro.
In modo particolare, per il miglioramento della prevenzione, risulta utile sburocratizzare la materia, definendo una serie di modalità semplificate per una applicazione effettiva, ergo non meramente documentale degli obblighi. In parallelo, è il caso di procedere ad una revisione complessiva dell’apparato sanzionatorio, giacché eccessivamente prescrittivo, punitivo e basato su controlli formali. Un aspetto, quest’ultimo, rilevato fra i punti critici anche dal comitato SLIC (composto dai rappresentanti dei servizi ispezione
del lavoro di ciascuno Stato membro dell'Unione) nella propria relazione sul sistema sanzionatorio italiano.
In questo senso, risulterà centrale il coinvolgimento delle organizzazioni comparativamente più rappresentative di sindacati e associazioni di categorie, allo scopo di realizzare una sistematica operazione di ricognizione delle norme eccessivamente onerose sotto il profilo della complessità applicativa ovvero di quelle che costituiscono livelli di regolazione superiori rispetto a quelli imposti dalle direttive di riferimento. Si dovranno quindi portare a termini puntuali interventi di abrogazione, così da rendere le regole prevenzionali coerenti con la gravità dei rischi propri delle imprese dei diversi settori di riferimento.
6. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI FINANZIAMENTO ALLE PMI
Non si può che apprezzare l’intervento disposto tramite l’articolo 30 del “decreto Semplificazioni”, diretto a prevedere l’innalzamento a duecentomila euro del limite per l’erogazione del contributo in un’unica soluzione. Una disposizione che conferma la bontà della proposta avanzata a suo tempo da CNA e oggi fatta propria dall’esecutivo, allo scopo di superare il limite di centomila euro. Una disposizione che incontra il sicuro interesse delle imprese, ma anche della PA, risultando in grado di ridurre oneri importanti.
7. LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA NEL SETTORE AGROALIMENTARE
L’esigenza di una semplificazione del sistema dei controlli è stata da tempo rappresentata da CNA. La posizione della Confederazione muove dalla eccessiva sovrapposizione delle attività di controllo, svolte da più soggetti originariamente competenti ad intervenire per alcuni specifici aspetti.
È pertanto condivisibile la proposta di estendere a tutte le imprese un sistema di gestione dei controlli basato sul rispetto delle linee guida adottate dalla Conferenza Unificata Stato/Regioni del febbraio 2013.
La proposta estende il Registro Unico dei Controlli Ispettivi (RUCI) anche ai controlli presso le imprese del settore alimentare e cioè a ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti.
L’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 (Legge di delegazione europea 2015) e l’articolo 26 del decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 231 attuativo della delega, hanno individuato l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressioni frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali quale autorità competente all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, previste dallo stesso decreto in materia di etichettatura alimentare.
Considerato che restano confermati tutti gli organismi ai quali è affidata l’attività di controllo nel settore, l’estensione dei benefici del Registro Unico dei controlli consente alle altre imprese del settore alimentare di usufruire delle semplificazioni già previste per le sole imprese agricole, che riguardano soprattutto l’evitare duplicazioni e sovrapposizioni nei procedimenti di controllo.
Parimenti, si segnala la disparità in ambito di controlli ufficiali ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2008, n. 194, dove le sole imprese agricole non sono soggette al pagamento dei controlli effettuati dalle ASL.
Si esprime, inoltre, parere favorevole all’estensione dell’applicabilità dello strumento della diffida anche per quanto riguarda i prodotti già posti in commercio (applicabile, dunque, ai casi di “errori” in etichettatura per prodotti già commercializzati).
Infine, con riferimento al sistema informativo unico nazionale, non appare chiaro quali siano i dati inseriti nel SIAN, ai quali viene attribuita efficacia dichiarativa esclusivamente nei rapporti commerciali e contrattuali (anche) fra privati.
Dalla lettura del testo si presume che alcuni dati saranno opponibili verso la PA oppure, come si evince dalla relazione illustrativa, nelle relazioni commerciali verso altri privati.
Non risulta chiaro se sono ricompresi anche i dati relativi alle transazioni fra imprese, oppure i dati relativi ad alcune informazioni sui prodotti che sono alla base delle transazioni, ad esempio perché relativi alla qualità (es. la varietà di uva o oliva) o alla provenienza.
Non si comprende neanche se i dati in questione siano solo quelli relativi all’iscrizione al SIAN oppure anche quelli relativi alla tenuta del Registro telematico, cioè quelli di magazzino (entrate, movimentazioni interne ed uscite del prodotto sfuso e confezionato).
Anche questi dati, a differenza ad es. di quelli del Registro delle imprese delle CCIAA, non
sono pubblici e sono accessibili solo dai soggetti già indicati per l’iscrizione al SIAN.