LE ASIMMETRIE INFORMATIVE NEL CONTESTO DELLA PIÙ RECENTE DISCIPLINA CIVILISTICA ITALIANA RELATIVA AI CONTRATTI TRA CONSUMATORI E OPERATORI PROFESSIONALI
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO e IMPRESA XXXI CICLO
Coordinatore Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx
LE ASIMMETRIE INFORMATIVE NEL CONTESTO DELLA PIÙ RECENTE DISCIPLINA CIVILISTICA ITALIANA RELATIVA AI CONTRATTI TRA CONSUMATORI E OPERATORI PROFESSIONALI
TUTOR DOTTORANDA
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx
Anno Accademico: 2017/2018
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INTRODUZIONE | Pag. 5 |
PARTE I REGIME DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI NELLA DISCIPLINA ITALIANA A TUTELA DEI CONSUMATORI, DAGLI ALBORI FINO ALL’ODIERNO ASSETTO RIFORMATO NEL 2014 |
CAPITOLO I ORIGINI E SVILUPPO DELLA TUTELA DEI CONSUMATORI SUL MERCATO |
1. Il diritto dei consumatori. Nascita ed evoluzione | p. 8 |
2. Il rapporto tra tutela del consumatore e tutela della concorrenza. Complementarietà o conflitto? | p. 22 |
3. Le più recenti politiche a tutela dei consumatori nel quadro del Mercato unico europeo | p. 32 |
4. Il contratto stipulato tra consumatore e professionista. Caratteristiche distintive di un “nuovo statuto” | p. 38 |
CAPITOLO II
LA TUTELA DEI CONSUMATORI CON SPECIFICO RIFERIMENTO AL RUOLO DELLA INFORMAZIONE
NELL’AMBITO DEL CONTRATTO FRA CONSUMATORE E PROFESSIONISTA
1. Dall’informazione come bene giuridico alla previsione di obblighi informativi (pre-negoziali) | p. 54 |
2. Il “diritto all’informazione” come principio di ordine generale: la distinzione tra obblighi informativi tipici e obblighi informativi atipici | p. 64 |
2.1. Il contenuto degli obblighi di informazione | p. 73 |
3. Le asimmetrie informative quale situazione fisiologica tipica all’interno dei contratti tra consumatori e professionisti | p. 77 |
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4. Dall’informazione al processo decisionale prodromico alla stipulazione del contratto. Gli sviluppi più recenti sul tema | p. 81 |
CAPITOLO III DALLA RILEVANZA DELLA INFORMAZIONE ALLA PROBLEMATICA DELLA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI PRE-CONTRATTUALI |
1. Alla ricerca di un rimedio contrattuale, partendo dalla dicotomia tra regole di validità e regole di comportamento: netta distinzione o possibile superamento del discrimen? | p. 85 |
2. Introduzione alle diverse tesi elaborate a fronte della violazione di norme contenenti obblighi informativi | p. 98 |
2.1. Il rimedio della nullità: configurabilità di una nullità di protezione virtuale | p. 99 |
2.2. La tesi dell’annullabilità e i nuovi vizi del consenso | p. 107 |
2.3. La tesi (prevalente) della responsabilità pre-contrattuale | p. 114 |
3. L’esigenza di riforma alla luce dei menzionati approdi in tema di rimedi | p. 123 |
CAPITOLO IV
I RECENTI INTERVENTI MODIFICATIVI SUL CODICE DEL CONSUMO NEL CONTESTO DELLA RIFORMA APPRONTATA DAL LEGISLATORE EUROUNITARIO
1. Il recepimento della Direttiva 2011/83/UE e le modifiche apportate dal Decreto legislativo n. 21/2014 | p. 127 |
1.1. Analisi del riformato art. 48 Cod. cons. | p. 137 |
1.2. Analisi del riformato art. 49 Cod. cons. | p. 144 |
2. Ratio legis e influenza effettivamente esercitata dalla legislazione eurounitaria nell’ordinamento interno | p. 150 |
3. L’attuale possibile assetto della disciplina normativa in tema di rimedi, alla luce del rapporto tra valorizzazione dell’interesse ravvisabile in capo al consumatore e azioni contrattuali esperibili post-riforma del 2014 | p. 154 |
4. Un nuovo ruolo per la buona fede? | p. 160 |
5. Considerazioni finali | p. 166 |
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PARTE II NUOVE FRONTIERE DELLA TUTELA CONSUMERISTICA: LA REGOLAZIONE DEL MERCATO E I PIU’ RECENTI PROFILI PROCESSUALISTICI IN MATERIA | |
CAPITOLO V POLITICHE DI REGOLAZIONE E CONSUMATORI | |
1. Una premessa doverosa: perché trattare della regolazione del Mercato disquisendo sulla tutela dei consumatori? | p. 170 |
2. Dalla informazione ai fallimenti del Mercato sotto-forma di asimmetrie informative | p. 172 |
3. Sfruttare il meccanismo della regolazione per ri-equilibrare le posizioni contrattuali in presenza di asimmetrie informative | p. 174 |
4. Circa le tecniche di regolazione esperibili: la disclosure regulation tradizionale è (ancora) utile? | p. 182 |
4.1. Prospettive future in tema di correttivi alla disclosure regulation | p. 185 |
CAPITOLO VI
PROFILI PROCESSUALISTICI. LA TUTELA DEI CONSUMATORI NELLA PROSPETTIVA STRAGIUDIZIALE
1. Consumer protection nel panorama processuale delle liti: la progressiva valorizzazione del meccanismo di Alternative Dispute Resolution | p. 191 |
2. Le modifiche al Codice del consumo a fronte della Direttiva 2013/11/UE e del suo recepimento in Italia con il D.lgs. 6 agosto 2015, n. 130 | p. 203 |
3. Oltre la prospettiva stragiudiziale classica: il Regolamento UE n. 524/2013 Online Dispute Resolution | p. 210 |
4. Osservazioni conclusive sul tema | p. 215 |
CONCLUSIONI | p. 223 |
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI | p. 230 |
RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI | p. 269 |
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INTRODUZIONE
Attualmente l’obiettivo di pervenire ad una organica e strutturata tutela nei confronti della categoria dei consumatori rappresenta una tematica di innegabile valore e rilevanza all’interno del più ampio panorama del Mercato e della concorrenza.
Di più: la stessa tutela del Mercato e della concorrenza, rivolgendosi tanto alle imprese, che ivi operano, quanto ai consumatori, rappresentanti il lato della domanda, si esplica (anche) attraverso adeguate discipline a protezione di tale ultima categoria di soggetti, ed anzi non ne può prescindere.
Specificamente, in merito al contenuto dell’espressione “tutela dei consumatori” si apre uno scenario complesso, ove le prospettive civilistiche, relative ai rapporti contrattuali tra operatori economico-professionali e consumatori, si intrecciano con profili pubblicistici di regolazione del Mercato.
Ebbene, nel presente lavoro l’analisi si rivolge anzitutto, ed essenzialmente, ai contratti stipulati tra professionisti (o imprenditori) e consumatori, avendo riguardo all’ipotesi della violazione, da parte dei primi, degli obblighi informativi pre-contrattuali.
Per vero, deve essere in tale contesto mantenuto un grado di attenzione elevato, in particolare a fronte dei continui e rilevanti cambiamenti nel settore consumeristico: infatti, la suddetta questione è ivi oggetto di approfondimento proprio in relazione alle modifiche al Codice del consumo recentemente apportate dal Legislatore italiano in sede di attuazione della Direttiva 2011/83/UE (“Consumer Rights”), tramite il Decreto legislativo 21 febbraio 2014, n. 21.
Tradizionalmente, in assenza di una normativa ad hoc sul punto, sono state elaborate differenti soluzioni, dottrinali e giurisprudenziali, di cui si è quindi reputato necessario valutare l’attualità (in specie dopo la suddetta riforma del 2014) entro un contesto che, forse, non ha ancora trovato un definitivo assetto.
Di conseguenza, è possibile affermare che tale problematica risulti tuttora da approfondire, nonostante la propensione, in dottrina e nelle sentenze, a confermare una previsione che sia definitiva e valida in qualunque ipotesi di contratto stipulato tra consumatori e operatori professionali in un siffatto contesto pre-negoziale.
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Pertanto la finalità è non solo quella di riconsiderare e conseguentemente vagliare i rimedi contrattuali che ormai da tempo sono considerati in dottrina e giurisprudenza, ma, soprattutto, analizzare le previsioni legislative che, alla luce di ciò, sono state elaborate dai Legislatori europeo e interno, cercando di comprendere come questo abbia influito sull’ordinamento italiano.
Di conseguenza, ulteriore finalità del lavoro è tesa a riconsiderare, e vagliare in prospettiva moderna, i rimedi contrattuali sopra citati, ma anche, e soprattutto, ad analizzare le più recenti previsioni legislative modificanti il Codice del consumo: mediante un effetto migliorativo, grazie a previsioni capaci di incrementare l’efficacia dei rimedi e di colmare, in coerenza con il sistema, le lacune regolamentari, oppure lasciando la situazione immutata, ovvero, ancora, determinando un effetto peggiorativo, attraverso la introduzione di disposizioni meno efficaci o distoniche rispetto al sistema.
Entro tale contesto dovrà valutarsi anche il ruolo della clausola generale di buona fede, in relazione alla quale è ravvisabile un deciso ampliamento dei confini, che va tuttavia perimetrato.
Ebbene, fermi i rilievi privatistico-civilistici nell’ambito della tutela consumeristica, che appunto, come tali, rappresentano la finalità più pregnante del lavoro, si è altresì ritenuto interessante sottolineare l’emersione di una ulteriore e differente prospettiva: il gap informativo caratterizzante i contratti dei consumatori potrebbe fortemente influenzare la dinamica non solo degli scambi, ma anche, ampliando la prospettiva, lo sviluppo del Mercato stesso.
Per tale motivo, a chiusura circolare del discorso, ci si è soffermati nuovamente sulla premessa da cui siamo partiti: infatti la tutela del singolo consumatore (e, più in generale, della categoria dei consumatori) garantisce al contempo la tutela del Mercato nonché dei traffici in esso svolti.
Di conseguenza, assumono rilievo i processi decisionali che investono i rapporti tra regolazione pubblica e tutela del consumatore: lo scopo ultimo delle politiche regolative deve consistere nel giusto equilibrio tra la protezione del consumatore, da un lato, e il dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali sul Mercato, dall’altro.
Da ultimo, al fine di terminare compiutamente il lavoro di analisi quivi tentato, ed affinché la prospettiva inerente alla tutela del consumatore sia sondata in modo pieno (quindi non
solo dal versante sostanziale), è stato ritenuto utile affrontare anche i nuovi profili, invero
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processualistici, di cui si è (ancora una volta) occupato il Legislatore sovranazionale, sempre nel contesto della Consumer protection: il riferimento è ai meccanismi cosiddetti Alternative Disputes Resolutions (o “A.D.R.”), previsti dalla Direttiva 2013/11/UE, recepita in Italia tramite il Decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 130.
La ratio della suddetta parentesi finale attiene all’attuale rapporto sussistente tra la tematica della tutela dei consumatori e la previsione di strumenti diversi dal processo e finalizzati ad una più adeguata e celere tutela delle posizioni giuridiche facenti capo ai consumatori, terreno che è peraltro apparso adatto alla sperimentazione delle cosiddette Alternative Dispute Resolutions. Del resto, gli angoli prospettici sostanziale e processuale permettono di prendere vieppiù coscienza della crescente importanza rivestita dal commercio transfrontaliero, ambito questo che assurge a pilastro dell’attività economica dell’Unione europea (nonché, di riflesso, dei singoli Stati membri) e che, in quanto tale, necessiterebbe di un maggiore e più efficace impiego di strumenti che concretizzino la tutela del consumatore, affinchè essa non rimanga un mero (benchè auspicabile) obiettivo astratto, ma anzi diventi il punto di arrivo delle future discipline del settore.
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PARTE I
REGIME DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI NELLA DISCIPLINA ITALIANA A TUTELA DEI CONSUMATORI, DAGLI ALBORI FINO ALL’ODIERNO ASSETTO RIFORMATO NEL 2014
CAPITOLO I
ORIGINI E SVILUPPO DELLA TUTELA DEI CONSUMATORI NEL MERCATO
1. Il diritto dei consumatori. Nascita ed evoluzione.
La disciplina normativa a tutela dei consumatori, materia oggi affidata alla competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri1, è articolata lungo prospettive non solo giuridiche ma anche sociologiche o economiche, e risulta evidentemente connessa ai numerosi, sempre più celeri e (oramai giornalmente) diffusi traffici commerciali.
Il fenomeno della globalizzazione, che come tale non conosce confini nazionali, ha nel tempo permesso ai consumatori, destinatari finali di prodotti e servizi sul mercato, di diventare protagonisti del commercio internazionale. Ciò è stato reso possibile anche grazie all’impiego, ormai massivo degli strumenti digitali.
Tale sviluppo globale e pervasivo ha reso necessario adeguare le norme susseguitesi nel tempo a tutela dei consumatori.
Innanzitutto, non può oggi evitarsi di accennare ai numerosi testi approvati dagli organi dell’Unione europea, poiché, infatti, la storia del “diritto dei consumatori”2 in Italia è indissolubilmente legata a quella elaborata in ambito sovranazionale3, e questo nonostante
1 Art. 4, par. 2, lett. f), T.F.U.E.
2 K. DOSI, Lo status del consumatore: prospettive di diritto comparato, in Rivista di diritto civile, 1997, II, pp. 667 ss.; X. XXXX, Il diritto dei consumatori, Roma, 2002.
3 Si tratta del ravvicinamento delle legislazioni nazionali, che rappresenta un fenomeno connotato da un significato del tutto peculiare nell’ambito dell’attività normativa dell’attuale Unione europea. V. R. XXXXXXXXXXX, Ravvicinamento delle legislazioni nel diritto comunitario, in Digesto delle discipline pubblicistiche, XII, 1997, p. 459: “Preceduto da un richiamo, contenuto nell'art. 2, al «graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri», l'art. 3, lett. h) del Trattato istitutivo della Comunità europea indica che l'azione della Comunità comporta «il ravvicinamento delle legislazioni
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la considerazione per cui, ab origine del processo integrativo, la protezione dei consumatori non figurasse tra le finalità dell’allora Comunità europea4.
Per vero, si precisa fin da subito che trattare della nascita del diritto dei consumatori, nel dettaglio dei singoli atti normativi in materia, non costituisce la finalità del presente lavoro. Tuttavia, al fine di poter meglio comprendere le problematiche che ci si accinge a discernere nel prosieguo, è apparso necessario fornire un rapido inquadramento del tema entro il relativo perimetro legislativo, a livello tanto nazionale quanto (e forse soprattutto) eurounitario5.
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Procedendo con ordine nel ripercorrere la cronistoria evolutiva della disciplina giuridica moderna a tutela del consumatore, ne sono ravvisabili diversi sviluppi.
La prima fase risale agli Anni ’70 e ’80 del XX secolo: scopo precipuo era discernere nel soggetto “consumatore” la qualità di controparte (non solo economica) dell’impresa, per poter così individuarne i relativi diritti, che, in quanto tali, assolvono anche alla funzione di limite alla libera attività imprenditoriale.
In un secondo momento, fino all’inizio degli Anni ’90, gli interventi legislativo e giurisprudenziale si sono concentrati nei singoli settori in cui è articolato il rapporto di consumo (ossia nell’ambito della pubblicità, del credito, nel contesto negoziale di vendita del prodotto o del servizio, o ancora del risarcimento in caso di danni derivanti da vizi e difetti dei beni).
nazionali nella misura necessaria al funzionamento del Mercato comune». Come è stato osservato, questa disposizione non costituisce una base giuridica dell'azione normativa comunitaria, ma un programma d'azione, che si realizza con l'utilizzo delle disposizioni, di carattere generale o particolare, che il Trattato stesso contiene.”.
4 X. XXXXXXXXXX, Contratti del consumatore nel diritto dell’Unione europea, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civ., 6 aggiornamento, 2011, pp. 226 ss.
5 X. XXXXXXXXX, Contratti dei consumatori e armonizzazione: minimax e commiato?, in Xxxx xxxxxxxx (Xx), 0000, X, x. 000: “Il diritto dei consumatori è uno dei settori in cui l’attività normativa dell’Unione ha prodotto i risultati più significativi. Fra il 1985 e il 2002 sono state adottate numerose direttive (vendita porta a porta; viaggi tutto compreso; clausole abusive; multiproprietà; contratti a distanza; garanzie nella vendita), che, senza comporre un quadro organico (..) hanno tuttavia contribuito ad avvicinare le discipline nazionali e, in taluni casi (in Italia, ad esempio), a elevare il livello di tutela garantito ai consumatori. (..)”.
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Le Istituzioni sovranazionali hanno poi iniziato a elaborare programmi periodici di strategia comunitaria in favore dei consumatori, tra cui deve menzionarsi il Secondo Piano di azione triennale della Commissione per il biennio 1993 – 19956.
Infine, una terza e più recente fase si colloca a partire dagli anni duemila. Il consumatore presentava ormai un consolidato status nel panorama degli scambi commerciali, con conseguente previsione di una tutela ad hoc diretta a mantenere e ad implementare tale posizione sul Mercato7.
Invero, è stato possibile conseguire siffatto rilevante obiettivo unicamente a fronte del susseguirsi delle fasi previamente menzionate. Nello specifico, a livello comunitario, è la Risoluzione sui diritti dei consumatori del 19758 ad aver rappresentato il vero nucleo fondante la disciplina de qua, di fatto contribuendo alla elaborazione di politiche destinate a raggiungere obiettivi mirati quali, ad esempio, la protezione della salute e della sicurezza dei consumatori, la salvaguardia dei loro interessi economici, nonché lo sviluppo di iniziative nel campo delle informazioni da fornire a questi stessi soggetti9.
In seguito, con l’entrata in vigore dell’Atto unico europeo10, è stato previsto, ex art. 95 par. 3 del Trattato che istituisce la Comunità europea11 (attuale art. 114 par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea12), che “La Commissione, nelle sue proposte (..) in materia di (..) protezione dei consumatori, si basa su un livello di protezione elevato, tenuto conto, in particolare, degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici.”13.
6 Doc. COM (93) 378, del 26 luglio 1993, intitolato “Predisporre il Mercato unico al servizio dei consumatori europei” e pubblicato in Rivista critica del diritto privato, 1994, pp. 149 ss.
7 G. ALPA, Il diritto dei consumatori. Introduzione, in X. XXXX (a cura di), I contratti del consumatore, Milano, 2014, pp. 4 – 5.
8 Risoluzione del Consiglio relativa a un programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore, entrata in vigore il 14 aprile 1975 e pubblicata in
G.U.C.E. il 25 aprile 1975, C 92/1, 1975. V. già la Carta europea dei consumatori (allegata alla Risoluzione de qua), approvata dall’Assemblea consultiva del Consiglio d’Europea con Risoluzione n. 524/1973 e le Risoluzioni n. 29/1971 sull’educazione dei consumatori in ambito scolastico e n. 8/1972 sulla protezione dei consumatori contro la pubblicità mendace.
9 L’informazione è oramai conosciuta come un diritto dei consumatori: P. SIRENA, L’integrazione del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ., 2004, I, pp. 787 ss.; X. XXXXXXX, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Rivista di diritto privato, 2003, pp. 241 ss.
10 L’Atto unico europeo, firmato il 28 febbraio 1986, è entrato in vigore in data 1° luglio 1987 (G.U.C.E. L 169, 29 giugno 1987).
11 Il Trattato che istituisce la Comunità europea è stato firmato a Roma il 25 marzo 1957.
12 Il Trattato che istituisce la Comunità europea è stato rinominato dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona.
13 Attualmente l’art. 95 T.C.E. è stato trasfuso nell’art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (T.F.U.E.).
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Pertanto, la Comunità europea, pur non facendo specifico riferimento ad una politica ad hoc, ha iniziato a prevedere la ferma necessità di approntare una pregnante “protezione dei consumatori”, fondata appunto su “un livello di protezione elevato”, connotato da regole di tutela valide in tutto il territorio europeo, e con la finalità di promuovere lo sviluppo degli scambi commerciali oltre i confini nazionali.
Come si vedrà, siffatte espressioni sono divenute ricorrenti nei testi legislativi sovranazionali.
Ed infatti, nel 1993, il Trattato di Maastricht14 ha previsto nella Parte II dello stesso T.C.E. il Titolo XIV (ex Titolo XI), autonomamente dedicato proprio alla “Protezione dei consumatori”, dei loro diritti e interessi15, così individuandone una base giuridica di diritto primario.
Sei anni dopo, il Trattato di Amsterdam16 ha posto le basi per una più estesa e incisiva protezione nei confronti dei diritti e degli interessi dei consumatori all'interno del Mercato integrato europeo: l’attuale art. 169 T.F.U.E (ex art. 153 T.C.E., che aveva a sua volta sostituito il precedente art. 129 A) prevede, al paragrafo 117, che l'Unione europea debba garantire, tramite un livello di tutela elevato, gli interessi dei singoli consumatori.
Ancora, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea18, mirante ad assicurare i principali diritti civili a tutti i cittadini dei singoli Stati membri, all'art. 38 prevede, con medesima formulazione, che nelle politiche eurounitarie debba essere perseguito “un livello elevato di protezione dei consumatori”: infatti, soltanto con la predisposizione di adeguate strategie di tutela è per costoro possibile operare nel mercato, luogo in cui spesso
14 Il Trattato di Maastricht è stato firmato il 7 febbraio 1992 ed è entrato in vigore in data 1° novembre 1993. La Legge 3 novembre 1992, n. 454, di ratifica ed esecuzione del Trattato è stata pubblicata in G.U. 24 novembre 1992, n. 277, suppl. ord.
15 Si tratta dell’attuale Titolo XV, Parte III del T.F.U.E.
16 Il Trattato di Amsterdam è stato firmato il 2 ottobre 1997 ed è entrato in vigore il 1° maggio 1999. La Legge 16 giugno 1998, n. 209 è stata pubblicata in G.U. 6 luglio 1998, n. 155, suppl. ord.
17 Il testo dell’art. 169 par. 1 T.F.U.E. così recita: “Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l’Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.”.
18 Il Trattato di Nizza è stato firmato il 26 febbraio 2001 ed è entrato in vigore il 1° febbraio 2003. La legge 11 maggio 2002, n. 102 è stata pubblicata in G.U. 31 maggio 2002, n. 126, suppl. ord.
Ai sensi dell’art. 6 T.U.E. tale atto presenta lo stesso valore giuridico dei Trattati poiché è stato “comunitarizzato” dal Trattato di Lisbona (firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009. La Legge 2 agosto 2008, n. 130 è stata pubblicata in G.U. 8 agosto 2008, n. 185, suppl. ord.).
X. xxxxx X. XXXXXXXX, (xxxx) Xxxxx xx Xxxxx (Xxxxx europea dei diritti fondamentali), in Dig. disc. priv., Sez. civ., 4 agg., pp. 73 ss.
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molte (talora forse troppe) sono le scelte prospettabili ed entro il quale contesto la posizione dei consumatori appare “debole” e “vulnerabile”.
Per vero, se da un lato una maggiore potenzialità di scelta consente una migliore opzione definitiva, dall’altro essa può anche comportare una serie di problematiche connessa alla quantità e qualità delle informazioni dovute, ad esempio con riguardo ai rischi per la loro salute e sicurezza.
La politica consumer protection così delineata ha in particolar modo focalizzato l’attenzione sulla figura del “consumatore medio” (“average consumer”) 19, come tale dotato di informazioni generiche, afferenti alla qualità dei prodotti e servizi, quindi mostrandosi come un soggetto “normalmente informato” e di conseguenza “ragionevolmente attento ed avveduto, tenendo conto di fattori sociali, culturali e linguistici, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia.”20.
Inoltre, nell’ambito di tale politica è stata (ed è tuttora) avvertita l’esigenza di far sì che i consumatori siano titolari di diritti effettivi, e dunque giustiziabili da parte della magistratura ordinaria o di altri organismi deputati ad una risoluzione alternativa delle controversie. È evidente infatti, come sarà nel prosieguo diffusamente trattato21, che un conto è (soltanto) enunciare diritti nella titolarità dei consumatori medesimi, mentre altro è prevedere la possibilità (anche) di far valere siffatte posizioni giuridiche soggettive.
Quanto poi ai meccanismi rimediali22 dinanzi alla violazione di un determinato diritto, è utile un accenno alla tradizionale impostazione in Italia riassunta nel brocardo “ubi ius ibi
19 Sul punto v. X. XXXXXXX, Considerazioni in merito alle pratiche commerciali ingannevoli, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 5, 2012, pp. 653 ss.; X. XXXX, L’applicazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette nel “macrosettore credito e assicurazioni”, in Banca borsa e titoli di credito, fasc. 3, 2011, pp. 334 ss.; X. XXXXX XXXXXXX, Il consumatore medio ed il consumatore vulnerabile nel diritto comunitario, in Contratto impresa/Europa, 2010, pp. 549 ss.; X. XXXXXX, Il consumatore medio nel diritto interno e comunitario, in X. XXXXX (a cura di), Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxx, I, Milano, 2009, pp. 101 ss.; X. XXXXXX, Il consumatore ragionevole e le pratiche commerciali sleali, in Contratto e impresa, 2008, pp. 700 ss.; C. E. XXXX, Il parametro del consumatore, in AIDA, 2008, pp. 274 ss.; X. XXXXXXXXXX, Who is the “Average Consumer?”, in X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), The Regulation of Unfair Commercial Practises under EC Directive 2005/29. New Rules and New Tecniques, Oxford, 2007, p. 136; X. XXXXXXXXX – C. XXXXXXX’, The average consumer, the unfair commercial practice directive, and the cognitive devolution, in Journal of Consumer Policy, 2007, pp. 21 ss.; C. PONCIBO’, Il consumatore medio, in Contr. impr./Europa, 2007, pp. 734 ss.
20 Considerando n. 18 della Direttiva 2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel Mercato interno, e Considerando n. 15 del Regolamento CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006, n. 1924/2016, sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
21 Cap. VI del presente lavoro.
22 X. XXXXXXXXX – X. XXXXX, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino, 2012, passim.
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remedium”, in contrapposizione a quella per cui “ubi remedium ibi ius”, propria invece degli ordinamenti anglosassoni, che sono rimasti ancorati ad una tutela che pone in posizione di preminenza il rimedio (cure of wrongs23), e non la situazione giuridica del diritto soggettivo24.
Nel sistema eurounitario è difficile trovare soluzione alla questione sul se trovi applicazione l’uno o l’altro tra tali principi: è ivi stato sostenuto l’impiego di una “tecnica dei rimedi, più che quella astrattizzante dei diritti, proprio al fine di raggiungere obiettivi più circoscritti ancorché a volte maggiormente sofisticati.”25. In proposito è da considerare l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea26, e non a caso, poiché infatti, entro tale contesto, la dimensione costituzionale dei diritti dei consumatori trova la sua definitiva consacrazione. La norma de qua infatti prescrive che ogni individuo i cui diritti, garantiti dalla normativa eurounitaria, siano stati violati, debba avere la possibilità di esperire un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, per poter così trovare soddisfazione alle proprie ragioni27.
23 X. XXXXXXX, Remedies for Breach of Contract, Xxxxxx, 0000; F. H. XXXXXX, Remedies of English Law, Butterworths, 1980.
24 X. XXXXXXX, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, in Europa e Diritto Privato, fasc. 3, 2015, p. 590.
25 X. XXXXXXXXX, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, p. 14.
26 L’art. 47 de quo così recita: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.
Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.
A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.”.
27 X. XXXXXXX, Comunicazione dal titolo “L’art. 47 della Carta dei diritti e il processo comunitario: spunti dal caso Xxxxxxxxxxxxxxxx”, in X. XXXXXXX – X. XXXXXX (a cura di), Diritti fondamentali e giustizia civile in Europa, Torino, 2002, pp. 207 ss.; L. P. COMOGLIO, L’effettività della tutela giurisdizionale nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in La Nuova Giurisprudenza Civile e Commerciale, 2, 2001, pp. 473 ss.; M. P. CHITI, L’effettività della tutela giurisdizionale tra riforme nazionali e influenza del diritto comunitario, in Diritto processuale amministrativo, 3, 1998, pp. 499 ss.
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Parimenti si evince dal disposto degli artt. 628 e 13 C.E.D.U.29 con riferimento alla necessaria tutela giurisdizionale di cui devono poter beneficiare i soggetti titolari di un determinato diritto.
Fermo quanto rilevato, è bene ora anticipare che la finalità primaria di tutte le politiche eurounitarie sia sempre consistita nella integrazione di quelli che sono gli interessi dei consumatori, alla luce della prospettiva del Mercato (prima comune, poi) unico europeo30. Ebbene, il percorso evolutivo per siffatto progetto di Mercato interno31 ha trovato origine a partire dalla nota pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea Cassis de Dijon del 197932, la quale ha sostenuto proprio la necessità di abolire qualsivoglia barriera tecnica che ostacoli la circolazione degli scambi all’interno del contesto europeo.
In materia, la Corte di giustizia ha svolto un ruolo ermenutico fondamentale, tendendo alla armonizzazione33 delle legislazioni nazionali e alla uniforme applicazione della normativa eurounitaria.
28 Articolo 6 della C.E.D.U., rubricato “Diritto a un equo processo”, il cui par. 1 in particolare recita: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (..).”. In dottrina, v.: X. XXXXXX, L’art. 6 CEDU come parametro di effettività della tutela procedimentale e giudiziale all’interno degli Stati membri dell’Unione europea, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, fasc. 2, 2012, pp. 267 ss.
29 Articolo 13 della C.E.D.U., rubricato “Diritto a un ricorso effettivo”: “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”. In giurisprudenza, v.: Corte giust. 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores x. Xxxxxxxxx dell'Unione europea, in Raccolta, p. I-6677, punto 39.
30 A. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Il Mercato unico europeo: norme e funzionamento, Torino, 1990.
31 In proposito, il riferimento è al Libro bianco sul completamento del Mercato interno, COM (85) 310 def., 16 giugno 1985.
32 Xxxxx xx xxxxxxxxx XX, 00 febbraio 1979, c. 120/78, in Racc., 1979, pp. 649 ss. In tale circostanza la Corte dichiarò illegittimo il diniego, opposto dalla Repubblica Federale Tedesca, di importare il liquore Cassis de Dijon, che era stato motivato in base all'assenza nel prodotto in questione della gradazione alcolica minima richiesta dalla legislazione nazionale tedesca per il commercio di liquori. Per i giudici della Corte tale limite minimo si risolveva in una ingiusta discriminazione di prodotti di altri Stati a vantaggio delle bevande con un più alto tasso alcolico.
In dottrina si segnalano: X. XXXXXX- X. XXXXXXX, Riflessioni in merito alle recenti sentenze della Corte di giustizia della CEE in relazione agli art. 30, 36 e 100 del Trattato di Roma, in Rass. dir. tecn. alim., Suppl., V e VI, 1980, pp. 331 ss.; A. XXXXXXX RICIGLIANO, La sentenza Cassis de Dijon: un nuovo indirizzo programmatico per la realizzazione definitiva del Mercato comune, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 1981, pp. 273 ss.; X. XXXXXX – X. XXXXXXX, Una sentenza pilota “Cassis de Dijon” in tema di ostacoli della libera circolazione delle merci, in Rivista di diritto commerciale, 1981, pp. 197 ss.; X. XXXXXXXX, Cassis de Dijon: a major step in the liberalisation of trade, in European Law Review, n. 9, 1981, pp. 268 ss.
33 V. R. XXXXXXXXXXX, Ravvicinamento delle legislazioni nel diritto comunitario, cit.: “La presenza di principi giuridici comuni, osservati in tutti gli Stati, facilita l'apertura dei mercati ai fattori produttivi, rendendo effettiva la libera circolazione degli stessi, crea le condizioni per la realizzazione di una
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Tale fenomeno ha avuto un particolare rilievo nel settore relativo alla tutela dei diritti dei consumatori. Di conseguenza, per il momento circoscrivendo l’ambito di analisi tra gli Anni ’80 e Duemila, si ricordino la Direttiva 84/450/CEE34 relativa alla pubblicità ingannevole, modificata dalla Direttiva 97/55/CE sulla pubblicità comparativa35; la Direttiva 85/374/CEE36 quanto al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi modificata dalla Direttiva 1999/34/CE; la Direttiva 85/577/CEE per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; la Direttiva 92/59/CEE sulla sicurezza generale dei prodotti; la Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori; la Direttiva 97/7/CE sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza37; la Direttiva 98/27/CE, sui provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori38; o, ancora, la Direttiva 2000/31/CE39 in riferimento a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare del commercio elettronico.
L’elenco appena riportato (non certamente esaustivo, nemmeno per quanto concerne l’arco temporale menzionato) è utile a comprendere l’estensione per materia dell’“acquis communautaire”40.
concorrenza non falsata, promuove l'integrazione all'interno della Comunità. Nelle intenzioni dei redattori del Trattato era ben presente la convinzione che le disparità, o comunque la molteplicità delle normative vigenti nei Paesi membri, comporta degli ostacoli alla realizzazione di questi obiettivi: la loro rimozione deve avvenire attraverso il «ravvicinamento» delle disposizioni nazionali.”
00 X. XX XXX, (xxxx) Pubblicità ingannevole, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 3 agg., pp. 1100 ss.: “La direttiva 84/450/CEE ha provveduto a indicare agli Stati membri la necessità di adeguare le proprie normative interne ad un disegno europeo di «sicurezza» giuridica ed economica al quale conformare i messaggi pubblicitari. L’ordinamento italiano si è dovuto dotare, così, di una disciplina che partisse dagli indirizzi comunitari per creare una rete di norme diretta a regolare la complessa realtà della diffusione dei messaggi pubblicitari in relazione alle possibili distorsioni del Mercato e dalle lesioni degli interessi dei consumatori da essa producibili.”
35 X. XXXXX, (voce) Pubblicità comparativa, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1 agg., 2000, pp. 626 ss.
36 Tra gli altri, v. X. XXXXXXX, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Milano, 1990; X. XXXX,
La nuova disciplina della responsabilità del produttore, in Corr. giur., 1988, pp. 781 ss.
37 X. XXXXX, (voce) Contratto a distanza, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 5 agg., pp. 367 ss.
38 X. XXXXXXXXX – X. XXXXX, Provvedimenti inibitori a tutela del consumatore: la legge italiana 30 luglio 1998, n. 281 e la direttiva 98/27/CE, in Europa dir. priv., 1999, pp. 669 ss.
39 G. DE NOVA – F. XXXXXXX, La direttiva sul commercio elettronico: prime considerazioni, in Riv. dir. priv., 2000, p. 693; X. XXXXXXX, La direttiva UE sul commercio elettronico: cenni introduttivi, in Eur. dir. priv., 2000, p. 617; F. SARZANA DI SANT’XXXXXXXX, Approvata la direttiva sul commercio elettronico, in Corriere giuridico, 2000, p. 1288; F. XXXXXXX, Il D.Lgs. 70/2003 di attuazione della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, in Contratti, 6, 2003, pp. 606 ss.
00 X. XXXX, Xx governo dell’Europa, Bologna, 2000, p. 17.
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Nel corso degli Anni Duemila, proprio a fronte dell’ampia e frammentaria produzione normativa avutasi all’interno del contesto sovranazionale, è emersa in Italia l’esigenza di coordinare la disciplina consumeristica all’interno di un unico testo, progetto questo poi portato a compimento con il Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (o “Codice del consumo”)41, che nella ratio iniziale intendeva coordinare in modo organico le leggi fino ad allora approvate ed applicate in tema di tutela dei consumatori42.
Precisamente, il Codice del consumo43 si suddivide in sei Parti:
-Parte I (artt. 1 – 3), sulle disposizioni generali;
-Parte II (artt. 4 – 32), relativa a educazione, informazione, pratiche commerciali e pubblicità;
-Parte III (artt. 33 – 101), sul rapporto di consumo;
-Parte IV (artt. 102 – 135), relativa a sicurezza e qualità;
-Parte V (artt. 136 – 141), su associazioni dei consumatori e accesso alla giustizia;
-Parte VI (artt. 142 – 146), per le disposizioni finali.
Ebbene, il testo legislativo de quo è organizzato secondo la tecnica dell’ubi ius ibi remedium, sopra evidenziata, e quindi in base allo schema diritto-predisposizione della tecnica di tutela nel caso di sua violazione.
Più in particolare, si è sostenuto che il Codice del consumo “crea un diritto diseguale”44, e questo per la speciale tutela da accordare nei confronti di una ben determinata categoria di soggetti. In tal senso è possibile richiamare la Relazione al testo, secondo cui la suddetta protezione si incentra sull’“approccio specifico, ignoto al codice civile del 1942, fondato invece su un concetto formale di eguaglianza, diretto a garantire una tutela sostanziale, attenta all'equilibrio effettivo - normativo ed economico - del contratto. Ciò trova conferma nella previsione di meccanismi di riequilibrio, basati su “nullità di protezione”, rilevabili, anche d'ufficio, ma solo a vantaggio del contraente debole. La stessa finalità è perseguita
41 Sull’iter del Codice del consumo, ed in particolare sul lavoro della Commissione di studio (di cui l’autrice è stata componente), v. X. XXXXX XXXXXX, La codificazione di settore: il codice del consumo, in M. A. SANDULLI (a cura di) Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano, 2005, pp. 67 ss.
42 Al di là delle novità che sono quivi racchiuse, può notarsi come, generalmente, le omologhe esperienze comunitarie sul tema non siano giunte fino a questo stadio: infatti, nella maggioranza dei casi, la disciplina sui diritti dei consumatori resta affidata a singole leggi speciali oppure è inserita nel corpus dei codici civili. Nello specifico, la finalità del Codice del consumo si evince chiaramente fin dal suo art. 1, rubricato “Finalità ed oggetto”.
43 X. XXXX, Codice del consumo, in Enciclopedia del diritto, Xxxxxx XXX, 2014, pp. 211 ss.
44 X. XXXXXXX, Codice del consumo, sub art. 1, Padova, 2007, p. 4.
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attraverso la scelta di affiancare alla difesa individuale strumenti di tutela processuale a carattere associativo, capaci di sopperire alla debolezza economica e professionale del consumatore, visto come individuo singolo.”45. Del resto, le nuove tendenze quanto al sindacato giudiziale sull’equilibrio contrattuale si sono maggiormente registrate proprio nell’ambito del settore consumeristico46.
Proprio il discrimen tra equilibrio “normativo” ed equilibrio “economico”47 assume rilevanza quanto alla giustizia contrattuale48. Specificamente, l’equilibrio normativo attiene alla ripartizione, nel contratto, di diritti, obblighi, oneri, responsabilità e rischi, così come fissata nel regolamento negoziale. L’equilibrio economico49, invece, concerne il rapporto di proporzionalità tra le prestazioni dedotte in contratto, considerate nel complesso dell’operazione cui accedono.
In generale, con riferimento ai meccanismi di tutela nei confronti dei consumatori nell’ordinamento giuridico italiano, essi inizialmente tendevano a limitare la libera attività imprenditoriale, e da ciò si deduce che la posizione dei consumatori vada necessariamente analizzata rapportandola (e contrapponendola) a quella degli imprenditori (o professionisti). Si tratta di una fisiologica e naturale impostazione, laddove il consumatore è “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale,
45 Decreto legislativo recante Codice del consumo, a norma dell’art. 7 della Legge 29 luglio 2003, n. 229.
00 X. X. XXXXXXXXX, Xx diritto del consumatore all’equità contrattuale, in Riv. dir. priv., Bari, fasc. 1, 2017, pp. 11 – 12.
47 V., ad esempio, X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, pp. 518 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rassegna di diritto civile, 2001, pp. 334 ss.
48 X. XXXXXXXXXX, Clausole generali e giustizia contrattuale, Torino, 2006; X. XXXXX, La giustizia contrattuale tra autonomia e Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. XXXXX, Libertà e giustizia contrattuale, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxx, II, Milano, 1998, p. 11; X. XXXXXXXXXX, Causa e giustizia contrattuale a confronto: prospettive di riforma, in Riv. dir. civ., I, 2006, pp. 416, 418 e 422.
49 X. XXXXXXXXXX, Manuale di diritto civile, Roma, 2014, p. 1041.
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artigianale o professionale eventualmente svolta”50 mentre il professionista51 è “la persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale” 52.
Data l’evidente contrapposizione tra le due categorie, step successivo alla menzionata definizione di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), Cod. consumo è rappresentato tanto dalla individuazione del novero dei diritti di cui il consumatore è titolare quanto dalla conseguente e necessaria costruzione di una tutela ad hoc.
50 La nozione de qua è prevista ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), Decreto legislativo 6 settembre 2005, n.
206. La prima impressione è che sia una definizione “soggettiva”: non c'è alcun riferimento limitativo della nozione del consumatore che riguardi l'ambito oggettivo della sua azione, ed in particolare della contrattazione. É evidente, quindi, che la disciplina consumeristica riguarda tutti i contratti soggettivamente imputabili a un consumatore, senza alcuna perimetrazione o limitazione di tipo oggettivo.
Si tratta della risposta del Legislatore interno a una procedura di infrazione avviata a fine Xxxx '90, prima dell’introduzione del Codice del consumo, quando la nozione di “consumatore” era prevista dall'art. 1469 bis cod. civ., che aveva ritenuto in modo incongruo, ma soprattutto inutile, di dare una definizione anche oggettiva di “consumatore”, affermando che consumatore sia colui che stipula contratti aventi per oggetto beni o servizi per scopi estranei. Quindi, si era avuta una delimitazione dell'oggetto dei contratti consumeristici che dovevano riguardare, per forza, beni o servizi; e, quindi, contratti diversi da questi sarebbero stati esclusi dalla disciplina consumeristica, con ciò violando (in ciò consisteva la contestazione) la Direttiva CE del 1993 che non conteneva alcuna limitazione relativa all'oggetto del contratto e secondo la quale tutti i contratti, anche se non aventi per oggetto, stricto sensu, beni e servizi, fossero sottoposti alla disciplina protezionistica.
Siccome la normativa consumeristica è una normativa di tutela minima e non solo di armonizzazione, si violava la ratio della Direttiva e l'obiettivo di protezione minima della posizione del consumatore.
Eppure, non c'è contratto che non abbia per oggetto, sempre e comunque, un bene o un servizio (con “bene” in riferimento a un dare, e “servizio” ad un facere in senso ampio).
Si era provato a rispondere alla contestazione, per cui la locuzione, pur se non necessaria, non era limitativa, non essendo dato immaginare un contratto che in senso ampio non ponga come oggetto la dazione di un bene o la prestazione di un servizio, e quindi la tenuta di un comportamento. Tuttavia, alla fine, si è eliminato il suddetto riferimento normativo, e oggi la definizione ultima, che trapela dall'art. 3 Cod. consumo, è in questo senso.
In tema di definizione di “consumatore” x. X. XXXX – X. XXXXX’, (xxxx) Consumatore (protezione del) nel diritto civile, in Dig. disc. priv., Sez. civ., III, Torino, 1997, pp. 542 ss., secondo cui nonostante manchi del carattere della generalità, le definizioni legislative per la figura del consumatore assumono importanza sistematica perché permettono di individuare una serie di caratteri che perimetrano l'ambito soggettivo di tutela del consumerism di matrice comunitaria, quindi favorendo la costruzione, anche nell'ottica delle future prospettive di tutela, della moderna figura del consumatore.
51 La definizione de qua è ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c), D.lgs. n. 206/2005.
52 Comparando l’odierna definizione di “professionista” ex art. 3, comma 1, lett. c), Cod. cons. con quella contenuta nell’originario art. 1469 bis, comma 2, cod. civ. (secondo cui tale figura era “qualunque soggetto, pubblico o privato, che eserciti un’attività di cessione di beni o prestazione di servizi, non necessariamente finalizzata alla produzione di utili, avvalendosi di un’organizzazione stabile e duratura non occasionale.”) è bene sottolineare che la prima contenga il duplice riferimento all’agire del soggetto “nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale”, il che ha sciolto un dubbio ermeneutico in passato postosi: è attualmente qualificato come professionista anche un soggetto che operi esclusivamente in un’ottica di prevalente interesse pubblico, e non per percepire un utile. Ed infatti il Codice del consumo ha previsto che costui eserciti un’attività imprenditoriale oppure svolga una professione, consistente nella prestazione di servizi e cessione di beni non necessariamente finalizzata alla produzione di utili (Trib. Palermo, 3 febbraio 1999, in Giustizia Civile, 2000, I, pp. 241 ss.).
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Invero, si tende spesso a identificare la tutela del consumatore con la tutela contrattuale del medesimo, ma evidentemente così non è: il Legislatore, all’interno del Codice del consumo e nelle leggi speciali, enuclea la nozione di “consumatore” non solo al fine di apprestare una specifica tutela contrattuale nei confronti del professionista, ma altresì per prevedere ulteriori tecniche di tutela del consumatore che sia vittima di comportamenti (anche extra- contrattuali) lesivi della sua sfera giuridica. In questo senso, si pensi al comportamento anti-concorrenziale del professionista, alla responsabilità del produttore e all'azione di classe.
Peraltro, in materia intervengono norme tanto civilistiche quanto pubblicistiche. Esemplificativamente, occorre richiamare lo stesso corpus del Codice del consumo, entro il quale è sancita la nullità delle clausole abusive inserite nei contratti stipulati tra consumatori e professionisti53, e altre, come l’art. 37 bis, il quale invece introduce una forma di public enforcement54 nella tutela del consumatore, conferendo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato il compito di controllare i comportamenti illecit i posti in essere dai professionisti e lesivi della sfera giuridico-patrimoniale del consumatore. Quindi, il fatto che il Legislatore preveda nullità contrattuali, ma anche la adozione di provvedimenti amministrativi volti a reprimere comportamenti lesivi dei professionisti, permette di comprendere la doppia finalità della normativa consumeristica: in primo luogo, proteggere i diritti del consumatore, e quindi le posizioni privatistiche del contraente, ed in seconda istanza, perseguire obiettivi di carattere generale sul piano della concorrenza, dello sviluppo economico nonché dell’equità delle transazioni commerciali.
53 V. art. 33, D.lgs. n. 205/2006: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. (..)”.
In dottrina, tra gli altri, v.: X. XXXXX, La revisione del diritto europeo del consumatore: l’attuazione nei Paesi membri della direttiva sulle clausole abusive (93/13/CEE) e le prospettive d’ulteriore armonizzazione, in Contr. impr./Europa, 2007, pp. 696 ss.; X. XXXXXXXXX, Dei contratti del consumatore in generale, Torino, 2006, pp. 3 ss.; X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), I contratti dei consumatori, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx x X. Xxxxxxxxx, 0, X, Xxxxxx, 0000; C. M. BIANCA – F. D. BUSNELLI (a cura di), Commentario al capo XIV bis del codice civile: dei contratti del consumatore, in Nuove leggi civili commentate, Padova, 1999; X. XXXXXXXX (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996; X. XXX, Clausole vessatorie: una svolta storica (ma si attuano così le direttive comunitarie?), in Contr. impr./Europa, 1996, pp. 431 ss.
54 Per “public enforcement” si intende l’attività delle Autorità pubbliche della concorrenza volta a reprimere gli illeciti concorrenziali.
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La disciplina consumeristica ha un doppio scopo e significato. Tale assunto trova conferma anche nello stesso concetto di “nullità di protezione” 55, che appunto è una “nullità” ma con finalità “di protezione”. Infatti, la nullità è “di protezione” poiché questo interesse generale non è indifferente, insensibile agli interessi dei singoli, ma anzi coincide con l'interesse della parte debole: è interesse generale che la parte debole sia protetta, poiché grazie alla protezione della stessa si ricavano benefici che vanno al di là dell'interesse del singolo, quali la concorrenza, lo sviluppo economico, l’equità, la solidarietà. In sostanza, quindi, beni di carattere pubblicistico56.
Il quadro normativo delineato si è arricchito in virtù del Libro verde del 1° luglio 2010, “sulle possibili opzioni in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese”57. Nello specifico, il programma di lavoro del Libro verde prevedeva la presentazione di uno strumento di diritto europeo dei contratti, che ha comportato la elaborazione dello Studio di fattibilità (Feasibility Study) nell’aprile 2011. Detto studio è partito dal Draft of Common Frame of Reference, testo del 2009, confrontandone i contenuti con quelli di altri progetti quali i Principi Lando (pubblicati in tre parti, rispettivamente negli anni 1995, 2000 e 2003) e il Code Européen des Contrats (formulato nel 2000)58.
In seguito, lo studio si è tramutato nella Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita59, presentata dalla Commissione europea l’11 ottobre 2011. Ratio di tale documento era quello di uniformare le normative nazionali vigenti, quindi riducendo i costi e facilitando l’espansione degli scambi transfrontalieri non solo tra le imprese ma anche tra imprese e consumatori60.
55 Di nullità di protezione si parlerà più diffusamente nel Cap. III del presente scritto. Ancora oggi tale categoria è molto discussa, per il fatto che il Legislatore, quando la prevede, non la disciplina, o non lo fa in modo compiuto.
56 P. M. PUTTI, (voce) Nullità (nella legislazione di derivazione comunitaria), in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVI, 1997, pp. 673 ss.
57 COM (2010) 348 def.
58 Progetto dell’Accademia pavese di diritto europeo per impulso di Xxxxxxxx Xxxxxxxx.
59 COM (2011) 635 def. 2011/0284 [end].
Secondo quanto sostenuto in dottrina, per cui si veda X. XX XXXXX, I rimedi nella fase precontrattuale, in
X. XXXX (a cura di), I contratti del consumatore, Milano, 2014, p. 335, la Proposta si proponeva l’obiettivo “di migliorare l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno, favorendo l’espansione degli scambi transfrontalieri per le imprese e gli acquisti transfrontalieri per i consumatori, attraverso l’introduzione di un corpus autonomo e uniforme di norme di diritto dei contratti.”.
60 Secondo il Preambolo della Proposta de qua, tale obiettivo “può essere conseguito con un corpus autonomo e uniforme di norme di diritto dei contratti, comprensivo di norme a tutela del consumatore – il diritto comune
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Eppure, quanto ai rimedi per la violazione degli obblighi pre-contrattuali di informazione, la Proposta di Regolamento prevedeva unicamente un generico diritto al risarcimento del danno subito dalla parte lesa61, senza precisare il tipo di responsabilità (contrattuale o pre- contrattuale).
Nel 2013 il contenuto del testo de quo è stato discusso tra coloro che erano intenzionati a sottoporlo al Parlamento europeo senza necessità di modifiche, e coloro che invece intendevano limitarne il contenuto ai soli contratti di vendita tra imprenditori e consumatori. Tra queste posizioni, la prima è prevalsa, ma il Parlamento europeo, in data 26 febbraio 2014, ha adottato una Risoluzione in cui la Proposta di Regolamento ha subito importanti modifiche, tra cui una di natura oggettiva: l’ambito è limitato, infatti, alle “transazioni transfrontaliere per la vendita di merci, per la fornitura di contenuto digitale e per i servizi correlati condotti a distanza e, in particolare, on-line, allorchè i contraenti si fossero accordati su ciò”62.
“Sebbene abbia alle spalle un monumentale lavoro di sistematizzazione dell’intero diritto privato patrimoniale quale il progetto di un Quadro Comune di Riferimento, il futuro diritto comune europeo della vendita (‘CESL’), dall’acronimo inglese), prendendo parzialmente le distanze anche dal suo antecedente storico diretto, il cd. Studio di Fattibilità, intende – come noto – limitarsi alla disciplina del contratto di vendita e di fornitura di contenuto digitale (e di alcuni servizi correlati), per quanto attiene, però, sia ai rapporti con i consumatori, sia a quelli tra professionisti. È, infatti, convincimento del Legislatore comunitario che il nuovo corpus di regole uniformi (..) possa contribuire a
europeo della vendita – da considerarsi alla stregua di un secondo regime di diritto dei contratti nell’ambito dell’ordinamento nazionale di ciascuno Stato membro”.
Infatti le norme ivi previste intendono disciplinare integralmente i contratti di vendita transfrontalieri tra imprese e consumatori e tra imprese.
61 Art. 29, comma 1 della Proposta di Regolamento, che ai commi 2, 3 e 4 prescrive che “2. Il consumatore non è tenuto a sostenere le spese aggiuntive di cui all’art. 14 o i costi della restituzione dei beni di cui all’art. 17, paragrafo 2, se il professionista viola gli obblighi di informazione relativi a tali spese o costi.
3. I rimedi previsti dal presente articolo non pregiudicano l’applicazione dei rimedi previsti dall’art. 42, paragrafo 2, dall’art. 48 o dall’art. 49.
4. Nei rapporti tra professionista e consumatore le parti non possono, a danno del consumatore, escludere l’applicazione del presente articolo, né derogarvi o modificarne gli effetti.”.
62 Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 26 febbraio 2014 sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita, COM (2011) 0635 – C7-0329/2011 – 2011/0284 (COD).
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migliorare il funzionamento del Mercato interno, incrementando la concorrenza anche a vantaggio dei consumatori.”63.
Conclusivamente, da quanto sopra premesso, si comprende il motivo per cui è stato in dottrina sostenuto che “il concetto di consumatore è residuale, mutevole, relazionale. Ma ormai ha piena legittimazione d’uso anche nel vocabolario del giurista. In altri termini, è, per prassi consolidata anche nella nostra esperienza, un concetto giuridico.”64.
In tal modo scriveva autorevole dottrina, sul finire degli Anni ’90, in materia di tutela dei consumatori. A distanza di circa un ventennio è ben possibile riprendere tali considerazioni, soprattutto per constatarne la correttezza.
2. Il rapporto tra tutela del consumatore e tutela della concorrenza. Complementarietà o conflitto?
Xxxxx i rilievi introduttivi che precedono, è da evidenziare la stretta connessione tra due policies, ossia la tutela del consumatore, da un lato, e la tutela della concorrenza, dall’altro.
Sul punto è da tempo aperto un dibattito volto a comprendere se le discipline menzionate siano in un rapporto di integrazione reciproca65 oppure tra loro confliggenti66.
63 X. XXXXXXX, Il progetto di regolamento sul diritto comune europeo della vendita: una breve analisi nell’ottica dell’applicazione ai rapporti tra imprese, in Contr. impr./Europa, 2, 2014, pp. 628 – 629.
Ivi è necessario menzionare le due proposte di direttiva inquadrate nel contesto della Strategia per il Mercato unico digitale della Commissione, le quali hanno sostituito la Proposta di regolamento de qua: si tratta della proposta COM(2015) 634, riguardante determinati aspetti dei contratti per la fornitura di contenuto digitale; e della proposta COM(2015) 635, relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni.
64 X. XXXX – G. CHINE’, Consumatore (protezione del) nel diritto civile, cit., p. 548. Sul punto v. anche X. XXXX, Ancora sulla definizione di consumatore, in Contr., 2001, p. 206.
65 F. XXXXX XXXXXXXX, Equilibrio del Mercato ed equilibrio del contratto, in Giur. comm., 2006, p. 261, che testualmente afferma: “(..) la tutela costituzionale del consumatore potrebbe in realtà rinvenirsi nella stessa tutela della concorrenza, perché la concorrenza si salvaguarda tutelando il consumatore e viceversa, tanto che in diritto comunitario il diritto dei contratti è considerato come una parte del diritto della concorrenza. (..)”.
V. anche X. XXXX, Nuove prospettive della protezione dei consumatori, in NGCC, II, 2005, p. 102.
66 X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Tutela della concorrenza e tutela dei consumatori. Due fini confliggenti?, in Mercato Concorrenza Regole, fasc. 2, 2009,
p. 381. Invero, X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, (voce) Contratti del consumatore, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1 agg., 2000, p. 258: “(..) i due piani considerati, quello della tutela della concorrenza e del Mercato e quello relativo all’equilibrio del singolo contratto, non siano necessariamente in antitesi l’uno con l’altro. (..) interventi che siano rivolti a restituire il contratto ad una ripartizione del rischio il più possibile
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Come si avrà modo di approfondire nel prosieguo del lavoro, la tutela dei consumatori trova fondamento nelle politiche ispirate alla protezione di una ben determinata categoria di soggetti (definiti dall’art. 3, comma 1, lett. a), Cod. cons.), relative ad un ambito esteso, a partire dal diritto alla salute e alla sicurezza fino agli interessi patrimoniali di costoro.
Quanto invece al contesto antitrust, risulta in primo luogo dirimente concentrarsi sul significato del concetto stesso di “concorrenza”67.
Proprio sviluppando tale secondo aspetto, è anzitutto da rilevare come manchi una esplicita definizione ad hoc, a livello tanto nazionale quanto europeo68. Ciononostante (e, forse, a maggior ragione) è necessario procedere ad una ricostruzione della stessa, ripercorrendone cronologicamente lo sviluppo, e focalizzandosi in modo particolare sugli approdi dottrinali più recenti69.
In passato70 si sosteneva che la concorrenza costituisse uno stato naturale di funzionamento del mercato, caratterizzato dal libero ingresso e dalla libera negoziazione71, senza particolari divieti o limiti. Eppure, nel tempo, questa concezione è profondamente cambiata.
corrispondente a quella che le parti avrebbero raggiunto all’esito di una contrattazione paritaria e non caratterizzata da asimmetrie informative (interventi, quindi, incentrati sulla posizione rivestita dalle parti del contratto), conducano (anche) al ripristino dell’equilibrio di Mercato.”.
67 V. M. MOTTA, Competition Policy. Theory and Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000; X. XXXXXX, La disciplina della concorrenza in Italia, Bologna, 2004.
68 Invero, diverse sono le norme giuridiche in materia di protezione della concorrenza nel diritto eurounitario. Il riferimento è a disposizioni che fin da epoca risalente hanno fatto parte del quadro normativo sovranazionale: esemplificativamente, si ricordino i seguenti articoli dell’originario T.C.E.: artt. 2, e par. 1 lett. g) e t), 4 par. 1 e, ovviamente, gli artt. 81 – 93.
Attualmente, si devono citare gli artt. 101 ss., 119, 120 T.F.U.E., e l’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
69 Il riferimento è a partire dal XIX secolo. Tuttavia, per una puntuale ricostruzione, cui nel corpo del testo si farà spesso riferimento, v. X. XXXXXXXXX, (voce) Concorrenza, in Enc. dir., Xxxxxx XXX, pp. 191 ss., in specie da p. 198.
70 X. XXXXXXXX, Dal Mercato delle cose al Mercato delle idee, in Rivista delle Società, fasc. 4, 2017, p. 817: “Già sul finire del XIX secolo, tuttavia, appare chiaro come il Mercato non si regoli affatto da solo e come i suoi ‘spiriti animali’, se lasciati liberi di operare, non generino benessere per la collettività ma solo per una ristretta cerchia di oligopolisti, di cui accrescono a dismisura il potere economico e in pari tempo il peso politico. (..)”.
71 Idem, pp. 199 e 208.
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All’epoca della nascita della Comunità europea, la tutela della concorrenza72 costituiva uno degli obiettivi fondamentali del progetto73: in tal senso si ricordano gli artt. 3 par. 1 lett. g)74, 4 par. 1, nonché gli artt. 81 e seguenti del T.C.E.
Tuttavia, se inizialmente la concorrenza era intesa come valore in sé, un netto cambiamento si è registrato a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona75, affermandosi che essa costituisse piuttosto un mezzo utile a conseguire risultati socialmente utili. Ed infatti, le stesse discipline antitrust contemporanee intendono oggi la concorrenza tra imprese quale strumento essenziale per il benessere economico generale: specificamente, nel 1972 è stata qualificata dalla Commissione europea quale miglior stimolo dell’attività economica tra domanda e offerta sul Mercato76.
Da questi elementi sembrerebbe, quindi, potersi ravvisare una prima prova della complementarietà tra la policy pro-concorrenza e la tutela dei consumatori77.
È da sottolineare che all’inizio degli Anni ’90 del Novecento, dinanzi all’influenza esercitata dalla Comunità europea, nell’ordinamento italiano hanno assunto un ruolo rilevante i principi connotanti il libero Mercato: esemplificativa in tal senso è stata l’approvazione della Legge 10 ottobre 1990, n. 28778, la quale ha rappresentato “una svolta
72 L. F. PACE, Diritto europeo della concorrenza, divieti antitrust, controllo delle concentrazioni e procedimenti applicativi, Padova, 2007, pp. 81 ss.
73 Si veda anche X. XXXXXXXXX, Manuale di diritto privato europeo, vol. 3, Milano, 2007, p. 159.
74 Peraltro, le norme a tutela della concorrenza hanno rivestito, e rivestono tuttora, rango costituzionale. E ciò non è mutato a fronte dell’entrata in vigore del T.F.U.E., nel 2009, che ha modificato e rinominato il T.C.E., nonostante nel testo del primo non compaia più la previsione ex art. 3 lett. g) del secondo di “un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel Mercato interno” come oggetto di una delle “politiche e azioni comuni” ai fini previsti dall’art. 2 T.C.E. Del resto è oggi possibile richiamare il contenuto dell’art. 3 lett. b) T.F.U.E., secondo cui l’Unione ha competenza esclusiva anche quanto alla “definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del Mercato interno”.
75 Anche in seguito al Trattato di Lisbona, è nei Trattati ravvisabile il riferimento alla tutela della concorrenza: artt. 101 ss. T.F.U.E., art. 119 e 120 del medesimo testo.
76 Commissione CEE, Prima relazione sulla politica di concorrenza, Xxxxxxxxx-Xxxxxxxxxxx, 0000: “La concorrenza è il miglior stimolo dell’attività economica, in quanto garantisce ai suoi partecipanti la massima libertà d’azione possibile. Una politica attiva di concorrenza, perseguita in conformità delle disposizioni dei Trattati che istituiscono le Comunità, favorisce il costante adattamento delle disposizioni dei Trattati che istituiscono le Comunità, favorisce il costante adattamento delle strutture della domanda e dell’offerta all’evoluzione delle tecniche; in virtù del gioco dei meccanismi decentrati di decisione, essa permette di ottenere dalle imprese una sempre maggiore efficacia, che è la condizione di base per il costante miglioramento del tenore di vita e delle possibilità di occupazione nei Paesi della Comunità.”.
77 C. OSTI, La tutela del consumatore, in A. CATRICALA’ – X. XXXXXXXXX (a cura di), I contratti nella concorrenza, Torino, 2011, p. 428.
78 Legge 10 ottobre 1990, n. 287, rubricata “Norme per la tutela della concorrenza e del Mercato”, pubblicata in G.U. Serie Generale, del 13 ottobre 1990, n. 240.
V. in merito: X. XXXXXXXXX – L. C. UBERTAZZI, Commentario breve al diritto della concorrenza, Padova, 2007; P. FATTORI – X. XXXXXX, La disciplina della concorrenza in Italia, cit.; L. F. XXXX, Il sistema italiano di tutela della concorrenza e il “vincolo comunitario” imposto al Legislatore nazionale:
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decisiva per la diffusione, a tutti i livelli, e l’attuazione, in tutti i settori dell’ordinamento, della normativa comunitaria, e della cultura della concorrenza.”79.
Invero, il principio di tutela della concorrenza ha trovato esplicitazione all’interno del testo della Costituzione italiana nel 200180, specificamente tra le competenze legislative e amministrative esclusive dello Stato (art. 117, comma 1, lett. e), Cost.).
In tal modo, il diritto antitrust non ha più rappresentato un limite estrinseco alla libertà di iniziativa economica da giustificare ai sensi dell’art. 41 Cost.81
Come espresso anche in dottrina82, la concorrenza ha iniziato ad essere considerata un vero e proprio “bene” giuridico da tutelare83, ed altresì strumentale al raggiungimento di finalità di ordine superiore84: “la dimensione del bene (il valore della concorrenza) non può essere ricostruita se non nel quadro d’insieme delle disposizioni sostanziali della costituzione. E tali norme, se e nella misura in cui costituiscono principi fondamentali, filtrano le stesse disposizioni comunitarie ed i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (..).”85.
l’art. 1, legge n. 287/1990, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 5, 2001, pp. 997 ss.; D. DONATIVI, Introduzione della disciplina Antitrust nel sistema legislativo italiano, Milano, 1990.
79 N. OCCHIOCUPO, Costituzione, persona umana, Xxxxxxx concorrenziale, in X. XXXXXXX XXXXXXX –
X. XXXXXXX (a cura di), 20 anni di antitrust: l’evoluzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, vol. 1, Torino, 2010, p. 211.
80 La Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, relativa alla modifica del Titolo V, Parte II della Costituzione ha introdotto nel testo le parole “mercati” e “concorrenza”. Più precisamente, l’attuale art. 117, comma 2, lett. e) Cost. colloca la “tutela della concorrenza” tra le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva.
81 X. XXXXXXXX, Interpretazione del contratto e tutela della concorrenza, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Contratto e antitrust, Bari, 2008, p. 75.
82 X. XXXXXX, Il giudice amministrativo, giudice dell’economia, in X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), in L’intervento pubblico nell’economia, (a cura di) X. XXXXXXX, X. XXXXXXXXX, in A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana. Studi, (a cura di) X. XXXXXXX – X. XXXXXX, vol. V, Firenze, 2016, p. 577: “(..) dalla giurisprudenza della Corte costituzionale emerge che la concorrenza non è solo una materia da ripartire tra Stato e regioni, ma è, prima di tutto, un bene da tutelare; ciò traspare soprattutto da quelle pronunce con cui la Corte verifica e riconosce la legittimità delle misure introdotte solo se effettivamente funzionali a garantire la concorrenza (Corso, 2006: 26).”.
83 X. XXXXXXXXXX, Il contingentamento dell’iniziativa economica privata. Il caso non unico delle farmacie aperte al pubblico, Milano, 2011, p. 17: “(..) la tutela della concorrenza è un bene giuridico, ma l’intervento del Legislatore nell’economia trova altri limiti precisi in Costituzione alla stregua dei quali deve essere giudicato.
La concorrenza come bene giuridico si sostanzia in un modello economico in cui la pluralità degli operatori compete per migliorare la qualità dei prodotti e servizi offerti e per diminuirne i costi. Essa è allora da intendersi come processo dinamico, strumento utile a tutelare la libertà di scelta dei consumatori (..).”.
84 X. XXXXXXXXX, Caratteristiche della disciplina antitrust e sistema giuridico italiano: un bilancio dei primi dieci anni di applicazione della legge 287 del 1990, in Riv. dir. comm., I, 2000, pp. 515 ss.; X. XXXXXXX –
X. XXXXXX, La tutela della concorrenza nella Costituzione economica comunitaria e nazionale, in X. XXXXXXX XXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), 20 anni di antitrust, cit., pp. 217 ss.
85 X. XXXXXXX, La regolamentazione economica tra Stato e regione, in X. XXXXX (a cura di), L’economia e la legge, Milano, 2007, p. 164.
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Invero, la materia è tuttora magmatica. Dai rilievi fin qui operati, è evidente la problematicità insita nella definizione di “concorrenza”, e ne consegue una ancora più ardua possibilità di pervenire ad un punto fermo, anche quanto al quesito principale sui rapporti tra tutela della concorrenza e protezione dei consumatori.
Tuttavia, iniziando dal tentativo definitorio che ivi si intende operare, è oggi possibile affermare che con l’espressione “concorrenza” si intenda un ordine (non naturale, ma anzi) elaborato dal potere pubblico, volto a guidare e mantenere un processo dinamico virtuoso, atto a sostenere lo sviluppo economico nonché, come già più volte accennato, il massimo benessere collettivo.
Una nota definizione dottrinale (seppure ormai risalente) ritiene siano in concorrenza tra loro due o più imprenditori che in un determinato periodo di tempo offrono (o domandano) beni e servizi suscettibili di soddisfare bisogni simili o complementari esplicitati dai consumatori, entro il medesimo ambito di Mercato attuale o potenziale 86. Più di recente, nel 2013, un importante tentativo definitorio sulla concorrenza è stato operato dalla Corte costituzionale87, secondo cui la concorrenza “(..) ha «una duplice finalità: da un lato, integra la libertà di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall'altro, è diretta alla protezione della collettività, in quanto l'esistenza di una pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei prodotti e a contenerne i prezzi» (sentenza n. 223 del 1982), ponendo in luce la concorrenza quale «valore basilare della libertà di iniziativa economica» (sentenza n. 241 del 1990).”. A riguardo si è valorizzato il profilo consistente nel finalismo della concorrenza medesima, volto a migliorare la qualità dei prodotti e, in generale, ad ampliare la libertà di scelta del consumatore.88.
86 Si tratta della formulazione elaborata da X. XXXXXXXXXXXXX, Valore attuale del principio di concorrenza e funzione concorrenziale degli istituti del diritto industriale, in Rivista di diritto industriale, I, 1956, pp. 66 ss.
In materia v. anche, tra gli altri: X. XXXXXXXXX, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, 1954, p. 917.
87 Corte cost. 22 maggio 2013, n. 94, con nota di X. XXXXXXXXX, Sulla legittimità costituzionale delle norme che impongono l’esclusività dell’oggetto sociale delle Società Organismi di Attestazione (S.O.A.) e vietano la partecipazione al capitale delle stesse da parte degli organismi di certificazione delle imprese, in Giurisprudenza costituzionale, fasc. 3, 2013, pp. 1663 ss.
88 X. XXXXXXXXX, La tutela della concorrenza nell’ordinamento italiano: dal codice civile del 1942 alla riforma costituzionale del 2001, in Moneta e Credito, 2015, p. 382.
Si ricordi la Comunicazione della Commissione, Linee direttrici sull’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del Trattato, pubblicate in G.U.C.E. n. C 101 del 27 aprile 2004.
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La Corte costituzionale89, nel riconoscere la trasversalità della concorrenza90, ne ha valorizzato il profilo dinamico, nella prospettiva della liberalizzazione dei Mercati e/o della instaurazione di assetti concorrenziali91.
In dottrina si è giunti a sostenere che “in una prospettiva di processo dinamico ‘aperto’, tutela della concorrenza non significa più ripristino di un ordine naturale violato, bensì scelta di una modalità correttiva della dinamica assunta spontaneamente dai mercati, quando questa ha assunto una piega indesiderabile o inefficiente. È questa la concorrenza dei moderni.”92.
È stato anche rilevato come alcuni Autori ancora confondano tra la libertà di concorrenza “come situazione giuridica soggettiva attribuita a persone ed imprese, e la concorrenza effettiva, come modo di funzionamento reale di un Mercato. Un secondo equivoco, anche tra coloro (non pochi) che distinguono fra concorrenza in senso soggettivo e concorrenza in senso oggettivo, consiste nel ritenere autoevidente il significato del termine
«concorrenza» (in senso oggettivo), che invece può essere inteso in modi assai diversi. Più in particolare, può dirsi che il primo concetto (libertà di concorrenza) è di semplice definizione: esso costituisce una delle possibili manifestazioni della «libertà di iniziativa economica», che l'art. 41, comma 1, Cost., riconosce e garantisce in capo a tutti gli individui e che, secondo l'interpretazione prevalente, costituisce un vero e proprio diritto di libertà individuale. In questa prospettiva, la libertà di concorrenza è un diritto che può essere esercitato dal titolare nei modi più diversi, da quelli più aggressivi nei confronti di altre imprese, attualmente o potenzialmente presenti nel Mercato, fino all'estremo opposto dell'esercizio negativo, cioè dall'astenersi dal fare concorrenza, limitando e coordinando, d'accordo con altri soggetti, la propria libertà d'iniziativa economica. Il secondo concetto,
89 Corte cost., 13 gennaio 2004, n. 14, con nota di G.P. DOLSO, Tutela dell’interesse nazionale sub specie di tutela della concorrenza?, in Giur. cost., fasc. 1, 2004, pp. 265 ss.
Inoltre, v. anche le sentenze Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, con nota di A. POLICE – X. XXXXXXXXX, Servizi pubblici, servizi sociali e Mercato: un difficile equilibrio, in Servizi pubblici e appalti, fasc. 4, 2004, pp. 831 ss., e Corte cost., 1° febbraio 2006, n. 29.
90 X. XXXXXXX, La tutela della concorrenza, cit. L’Autore ribadisce il carattere trasversale della materia “tutela della concorrenza” e approfondisce la questione sulla portata di tale espressione. Xxx si afferma che alcuni Autori sostengono che il riferimento sia alla disciplina antitrust, come disegnata dalla L. n. 287/1990, la quale attiene a materie quali il commercio, l'industria, la produzione e prestazione di servizi, con esclusione invece delle discipline di regolazione pubblica di settori "sensibili" del Mercato, come ad esempio quelle in materia di trasporto e telecomunicazioni.
91 X. XXXXXX, Il giudice amministrativo, giudice dell’economia, in L’intervento pubblico nell’economia, cit.
92 X. XXXXXXXXX, (voce) Concorrenza, cit., p. 238.
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di definizione molto più problematica, è quello di «concorrenza effettiva» (termine impiegato in molti testi normativi comunitari, e quindi ascrivibile anch'esso al diritto positivo italiano). È intuitivo che, quando si parla di «tutela della concorrenza» (nelle leggi antitrust come nell'art. 117 Cost.), o quando si parla di «promozione della concorrenza» (come nella l. n. 481/1995, istitutiva delle autorità amministrative indipendenti di settore) diviene logicamente necessario definire la concorrenza come bene giuridico tutelato. In questa prospettiva, la concorrenza dev'essere definita in modo oggettivo e non come libertà individuale: basti pensare che la tutela della concorrenza si rivolge tradizionalmente, in primo luogo, contro quei privati che esercitano negativamente la loro libertà di concorrenza, creando cartelli o impedendo l'iniziativa altrui.”.93.
Proprio in relazione ai rapporti tra tutela antitrust e consumatori, la giurisprudenza94 ha in passato riconosciuto la normativa in materia di concorrenza come operante soltanto nei confronti della libertà economica delle xxxxxxx00 (per conservare un Mercato concorrenziale) e non anche dei consumatori, qualificati come soggetti occasionalmente protetti.
Si era così escluso che questi ultimi potessero essere legittimati a far valere, ex art. 33, comma 2, L. n. 287/1990, la nullità di un’intesa restrittiva lesiva a monte della stipulazione di un contratto con un’impresa partecipante anche alla prima.
Successivamente, però, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in materia invece ammettendo siffatta legittimazione ad agire: ha infatti riconosciuto l’ingiustizia del danno (ex art. 2043 cod. civ.) occasionato dall’intesa antitrust, e la competenza esclusiva della Corte d’appello.
Più precisamente, se i consumatori rappresentano una categoria tutelata dalla L. n. 287/1990, l’ingiustizia del danno lamentato deriva dalla lesione di un interesse protetto da
93 V. infatti X. XXXXXXXXX, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, in Giur. cost., fasc. 2, 2005, p. 1429.
Sul dibattito precedente alla riforma costituzionale v. X. XXXXXXXXXXXX, Il principio costituzionale di libera concorrenza: fondamenti, interpretazioni, applicazioni, in Diritto e società, 2004, pp. 439 ss.
94 Si tratta di Cass. civ., 9 dicembre 2002, n. 17475, in Danno e resp., 2003, 4, pp. 390 ss., e Cass. civ., 4 marzo 1999, n. 1811, in Riv. dir. ind., 6, 2000, II, pp. 421 ss.
95 In dottrina, v. X. XXXXXXXXXX, Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno e responsabilità, 2004, p. 472.
Contra: X. XXXXXXXXX, Xxxxxxxx e contratti dei consumatori: da Xxxxxxx a Xxxxxxx?, in Foro it., 2004, p. 469; X. XXXXXXX, La tutela civile: profili sostanziali, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXX GRIFFI – L. C. XXXXXXXXX (a cura di), Diritto antitrust italiano, Bologna, 1993, II, p. 1456.
In giurisprudenza, a favore di tale tesi: Xxxx. civ., 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro it., 2003, p. 1121.
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tale testo normativo, il quale prevede che le azioni risarcitorie del danno debbano essere esercitate di fronte alla Corte quale giudice di primo e unico grado di merito.
Ne deriva, pertanto, un netto revirement da parte del Supremo Collegio: la Legge antitrust è stata intesa come legge non più dei soli imprenditori bensì di tutti i soggetti operanti sul Mercato, interessati a conservarne il carattere concorrenziale.
Ed infatti, nell’ipotesi di una intesa anti-concorrenziale cui abbia partecipato la controparte di un contratto stipulato da un consumatore, è evidente come essa impedisca al consumatore di esercitare una libera scelta, anzi sostituendola con altra che è però solo apparente.
Peraltro, ivi è utile ricordare come da tempo sia ormai sempre più avvertita la necessità di permettere ai consumatori di ottenere il risarcimento a fronte di un illecito concorrenziale. Infatti, le stesse norme antitrust difficilmente conoscerebbero concretizzazione ed efficacia qualora non fosse possibile domandare (e, soprattutto, ottenere) il risarcimento del danno derivante da un comportamento lesivo della concorrenza medesima. Recentemente è sul punto intervenuto anche il Legislatore europeo. Infatti, il 26 novembre 2014 è stata approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio la Direttiva 2014/104/UE, relativa ai criteri di determinazione del risarcimento dei danni cagionati per violazione del diritto della concorrenza96, la quale ha inteso rafforzare il private enforcement (consistente, come noto, nella promozione di giudizi risarcitori da parte dei concorrenti danneggiati da una pratica antitrust)97.
96 In dottrina v. X. XXXXXXXXXXX, La divulgazione delle prove nella Direttiva antitrust private enforcement, in Diritto industriale (Il), 3, 2016, pp. 228 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Da prova privilegiata a prova vincolante: il valore probatorio del provvedimento dell’AGCM a seguito della direttiva 2014/104/UE, ibidem, pp. 252 ss.; X. XXXXX, Directive 2014/104/EU on Antitrust Damages Actions. Some Considerations from the Perspective of Italian Law, in Italian Law Journal, 1, 2016, pp. 131 ss.; G. VILLA, La Direttiva europea sul risarcimento del danno antitrust: riflessioni in vista dell’attuazione, in Corr. giur., 3, 2015, pp. 301 ss.; X. XXXXXXX, Direttiva UE 104/2014, private enforcement e tutela della concorrenza. Cassazione civile, Sez. I, 4 giugno 2015, n. 11564, in Urbanistica e appalti, 12/2015, pp. 1271 ss.; M. DE CRISTOFARO, Onere probatorio e disciplina delle prove quale presidio di efficienza del private antitrust enforcement, in AIDA, 1, 2015, pp. 100 ss.
Quanto al D.lgs. n. 3/2017, v. G. VILLA, L’attuazione della Direttiva sul risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza, in Corr. giur., 4, 2017, pp. 441 ss.; X. XXXXXXXX, La tutela risarcitoria per violazione della concorrenza, in Id., Le più recenti riforme del processo civile, Torino, 2017, pp. 79 ss.; X. XXXXXXXX, Note a una prima lettura del D.lgs. n. 3 del 2017. Novità processuali e parziali inadeguatezze in tema di danno antitrust, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura civile, fasc. 3, 2017, pp. 991 ss.
97 X. XX XXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XX XXXXXXXXX – G. DI XXXXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX – C. FRATEA – F. DAL POZZO, Il risarcimento del danno
nel diritto della concorrenza. Commento al d.lgs. n. 3/2017, Torino, 2017, Introduzione, XVIII: “Il private enforcement del diritto antitrust vanta due importanti vantaggi rispetto al public enforcement: anzitutto è promosso da coloro che hanno subito un danno dall’illecito concorrenziale e dunque si realizza in maniera
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In dottrina si è sostenuto che la Direttiva 2014/104/UE “(...) accentua l’efficacia diretta degli artt. 101 e 102 TFUE nei rapporti fra i singoli, ai quali vengono attribuiti diritti e obblighi che le autorità giudiziarie nazionali devono applicare a livello privatistico, accordando risarcimenti alle vittime delle violazioni.”98.
Il fine è, in ogni caso, quello di consentire ai consumatori un pieno risarcimento del danno subìto: tanto la direttiva99 quanto il D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3 (attuativo della stessa) affermano che il risarcimento del danno da intesa anticoncorrenziale debba essere “pieno”, dunque comprensivo del danno emergente, del lucro cessante e degli interessi connessi100 (questi ultimi maturati tra la verificazione del danno e l’effettivo risarcimento): in tal modo il danneggiato sarebbe nuovamente posto nello status quo ante rispetto alla violazione del diritto antitrust.
diffusa e da parte di soggetti altamente motivati; in secondo luogo, è connotato da un importante elemento di equità, posto che mira al ristoro del pregiudizio sofferto dalle vittime dell’illecito, obiettivo che non è raggiungibile dalle sanzioni pecuniarie imposte dalle pubbliche autorità (...).”.
Sul private enforcement antitrust, v. anche V. MOSCA, Le azioni di private enforcement antitrust nel settore delle comunicazioni elettroniche, in Xxxxxxxxxxx.xx, 2015; G. A. XXXXXXXXX, Il private enforcement del diritto europeo antitrust: evoluzione e risultati, in L. F. PACE (a cura di), Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Napoli, 2013, pp. 16 ss.; V. MOSCA, Il private enforcement antitrust: accertamento e quantificazione del danno, in questa Rivista, 2010, 5, pp. 457 ss.
Quanto al rapporto tra private e public enforcement v. Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4773, con nota di X. XXXXXXXXX, Alla ricerca del giusto bilanciamento tra public e private enforcement nel diritto antitrust, in Giornale di diritto amministrativo, 2015, 2, 252: “Gli strumenti di public enforcement e private enforcement operano su piani autonomi e distinti, e pertanto non vanno sovrapposti, essendone diverse sia la natura, sia la finalità perseguita. Se i primi svolgono una funzione tipicamente ‘punitiva’ ed ‘afflittiva’ e sono finalizzati primariamente a garantire l'interesse pubblico ad un assetto concorrenziale dei mercati, i secondi possono essere attivati davanti al giudice civile dal privato eventualmente leso da una condotta anticoncorrenziale, al fine di ottenere il risarcimento del danno. Ne consegue che la pretesa del privato al corretto esercizio della funzione punitiva propria del public enforcement, pur costituendo un interesse giuridicamente rilevante, non ha la consistenza e la pienezza del diritto soggettivo.”
00 X. XXXXXXXX, Xx risarcimento del danno da pratiche anticoncorrenziali alla luce della Direttiva 2014/104/UE del 26 novembre 2014, in Contr. e impr./Europa, 2015, p. 391.
99 X. XXXXXXXX, Note a una prima lettura del D.lgs. n. 3 del 2017, cit., p. 991.
100 Nello specifico v. art. 1, comma 2, D.lgs. n. 3/2017, che riproduce gli artt. 3 e 4 della Dir. 2014/104/UE. Quanto alla Dir. 2014/104, i riferimenti sono numerosi: Considerando nn. 13, 36, 38 e 51; art. 1 par. 1; in particolare, poi, l’art. 3, rubricato “Diritto a un pieno risarcimento”, ma anche gli artt. 4, 11 parr. 1-2 e 4, lett. b), 12 (rubricato “Trasferimento del sovrapprezzo e diritto al pieno risarcimento”), 20 par. 2, lett. a).
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Xxxxx i rilievi avanzati, l’interdipendenza tra tutela dei consumatori e Xxxxxxx concorrenziale era già stata confermata dalle note sentenze Courage101 e Manfredi102, nelle quali la Corte di giustizia ha riconosciuto, in virtù dell’effetto diretto degli attuali artt. 101 e 102 T.F.U.E., che chiunque (e, quindi, appunto anche il consumatore) abbia diritto a essere risarcito se danneggiato da una condotta anti-concorrenziale.
In tal modo può dirsi confermata l’opinione per cui tanto l’interesse dei consumatori a essere risarciti per i danni subìti quanto quello della Autorità pubbliche a reprimere le violazioni antitrust sarebbero pienamente conciliabili e riconducibili a unità103.
Inoltre, la rilevanza degli interessi di tale categoria di soggetti operanti sul Mercato si è sviluppata sempre più nella (e grazie alla) politica di concorrenza comunitaria: in questo senso è la Comunicazione della Commissione Europea del 2004 intitolata “Una politica della concorrenza proattiva per un’Europa competitiva”104.
La tutela della concorrenza passa attraverso la predisposizione di un Mercato105 che permetta ai consumatori di pervenire ad una scelta definitiva del tutto consapevole e preferibile, poiché raffrontata con altre ad essa affini quanto a oggetto e settore di riferimento.
101 Corte di giustizia dell’Unione europea, 20 settembre 2001, Courage Ltd c. Xxxxxxx Xxxxxx, in causa C- 453/99. In dottrina, ex multis, v. X. XXXXXXX, Intesa antitrust e risarcimento dei danni, in Responsabilità civile e previdenza, 2002, p. 668; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX, Intesa illecita e risarcimento a favore di una parte: “chi è causa del suo mal…si lagni e chieda i danni”, in Foro it., 2002, IV, pp. 76 ss.; X. XXXXXXXX, Danno da intesa anticoncorrenziale per una delle parti dell’accordo: il punto di vista del giudice italiano, in Foro it., IV, 2002, pp. 84 ss.; X. XXXXXXXXX, Intese obtorto collo e risarcibilità del danno: le improbabili acrobazie dell’antitrust comunitario, in Corr. giur., 2002, pp. 456 ss.; X. XX XXXX, Il risarcimento da adempimento del contratto, in Eur. dir. priv., 2002, pp. 791 ss.
102 Corte di giustizia dell’Unione europea, 13 luglio 2006, in causa C-295/04 – 298/04, in Danno e resp., 2007, 1, pp. 10 ss. con nota di X. XXXXXXX, Il risarcimento del danno per violazione del diritto antitrust comunitario: competenza, danno risarcibile e prescrizione; X. XXXXXXX, La storia infinita del caso RC Auto: tra diritto italiano e diritto comunitario, in Dir. com. scambi internaz., 2008, 1, pp. 107 ss.; X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxxxx e concorrenza: le questioni irrisolte del caso Xxxxxxxx, in Diritto dell’Unione europea, 2007, 2, pp. 305 – 326.
103 X. XXXXX DAL POZZO, La tutela del consumatore nell’applicazione delle norme di concorrenza dell’Unione, su xxxxxxx.xxxxxxx.xx/xx-xxxxxx-xxx-xxxxxxxxxxx-xxxx-xxxxxxxxxxxx-xxxxx-xxxxx-xx-xxxxxxxxxxx- dellunione/.
104 Comunicazione della Commissione Europea [COM (2004) 293 def.], del 20 aprile 2004: “Un altro elemento su cui sarà fondato il nuovo regime di concorrenza dell'Unione europea è la migliore integrazione degli interessi dei consumatori nel dispositivo di regolamentazione della concorrenza.”.
105 A. D. XX XXXXXX, La direttiva 2014/104/UE e il suo impatto sul processo civile, in C. GIUSTOLISI (a cura di), La direttiva consumer rights: Impianto sistematico della direttiva di armonizzazione massima, Roma, 2017, p. 137.
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Autorevole dottrina ha infatti affermato che il consumatore diventi “giudice” della competizione inevitabilmente creatasi tra le imprese sul Mercato, in tal modo emergendo un circuito competitivo indirizzato ad ottenere il consenso del consumatore finale106.
Pertanto, laddove quest’ultimo si trovi nelle migliori condizioni di accesso ai prodotti, è al contempo conseguito anche l’obiettivo di tutelare la concorrenza. Ed infatti si è sostenuto che “(..) la libertà di scelta del consumatore costituisce l’elemento di comunicazione tra tutela del consumatore e tutela della concorrenza. Se è vero che la prima si realizza sempre e anche attraverso la creazione di un Mercato concorrenziale, solo consentendo al consumatore di compiere scelte consapevoli si garantisce il funzionamento efficace del Mercato (..)”107.
3. Le più recenti politiche a tutela dei consumatori nel quadro del Mercato unico europeo.
Fino ad ora è stato dato risalto all’influenza che il diritto eurounitario ha espletato, in materia di tutela dei consumatori, negli ordinamenti giuridici dei singoli Stati membri. Le politiche avviate dalla Comunità (oggi Unione) europea sono complesse sotto diversi punti di vista, quanto alle materie di intervento e alle finalità da perseguire, ed inoltre riguardano l’articolato rapporto tra Mercato e operatori economici108.
L’obiettivo di tali politiche consiste nel garantire libertà di scelta e di decisione in capo ai consumatori, offrire sicurezza alle posizioni giuridiche di costoro e tutelare le aspettative sulla qualità dei prodotti e servizi offerti sul Mercato, assicurando al contempo la possibilità di agire in giudizio (o con strumenti alternativi ad esso109) in caso di violazioni poste in essere dagli operatori professionali.
106 X. XXXXXXXXX, La tutela della concorrenza nell’ordinamento xxxxxxxx, xxx., x. 000, xx (x. N. IRTI,
L’ordine giuridico del Mercato, Roma – Bari, 1998, pp. 73 ss.).
107 X. XXXXXXXXX, Tutela dei consumatori e libera concorrenza nel nuovo approccio dell’Unione europea: significato ed implicazione dell’«armonizzazione massima» in materia di pratiche commerciali sleali, in Foro amministrativo: Consiglio di Stato, 2010, pp. 1169 ss.
108 Nello specifico, v. G. ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., p. 24: “Queste politiche riguardano la concorrenza tra professionisti, la distribuzione di beni e servizi che devono presentare un livello minimale di qualità, le modalità negoziali di distribuzione di prodotti e servizi.”.
109 La tematica sarà oggetto di specifico approfondimento nel Cap. VI del presente lavoro.
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In precedenza si è fatto cenno ad un eterogeno elenco di direttive intervenute tra gli Anni ’80 e Duemila, sintomatico della profonda evoluzione avvenuta in tale periodo temporale110, ed espressione delle potenzialità dell’intervento legislativo nei diversi ambiti della tutela consumeristica.
È in primo luogo da notare come proprio il duttile strumento delle direttive111 abbia permesso di operare un processo di evoluzione e di adattamento della Consumer protection rispetto alle trasformazioni sociali avutesi a partire dal XX secolo.
L’attuazione di tali atti di diritto secondario è stata poi operata con provvedimenti legislativi ad hoc, e, in Italia, il loro contenuto ha talora trovato collocazione dapprima nel codice civile (in materia di contratti dei consumatori e garanzie nella vendita), e poi, più organicamente, entro il Codice del consumo entrato in vigore nel 2005.
La relativa uniformazione è stata come detto operata (per lo più) tramite direttive, che notoriamente sono atti vincolanti riguardo al solo risultato da raggiungere, invece demandando ai singoli Stati membri la scelta discrezionale su mezzi e forma con cui pervenirvi112.
Le Istituzioni europee hanno da sempre inteso provvedere (tramite la uniformazione del diritto vigente nei singoli Paesi che ne fanno parte e la rimozione delle barriere doganali e tecniche, fondamentali per la tutela della concorrenza) alla realizzazione di un luogo di scambio (connotato da una forte perimetrazione dell’autonomia dei Mercati nazionali) entro cui i consumatori (domanda) e le imprese (offerta) vengono a contatto. In questo senso già si poneva l’art. 2 T.C.E., che prescriveva di conseguire gli obiettivi propri della Comunità attraverso la instaurazione di un Mercato “comune”. Successivamente, in specie dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nel 2009, l’unica nozione impiegata è stata
110 V. par. 1 del presente capitolo.
111 Invero, si veda X. XXXXXXXXXX, Armonizzazione senza codificazione, Milano, 2013, p. 907.
112 In ciò consiste, come noto, la differenza rispetto ai regolamenti, che hanno invece una portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi nonché direttamente applicabili. Specificamente, l’art. 288 T.F.U.E. prevede che “Per esercitare le competenze dell’Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.
Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. (..)”.
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quella di Mercato “interno” 113 (peraltro già prevista nel T.C.E.114), che, ai sensi dell’art. 26 par. 2 T.F.U.E., è definito come “uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati.”.
A tale fine, quindi, il Trattato istitutivo della Comunità europea prevedeva la necessità di coordinare le differenti legislazioni degli Stati membri dell’Unione, tramite il processo di cosiddetta “armonizzazione”115.
È bene precisare che se di armonizzazione si tratta116, inizialmente essa è stata delineata nella forma della “armonizzazione minima”117, che come tale permette agli Stati membri di mantenere discrezionalità nel fissare regole protettive più ampie, incisive e favorevoli nei confronti dei consumatori, rispetto a quanto previsto nel diritto eurounitario.
A partire dagli Anni Duemila, tuttavia, si è sostenuto che l’attuazione del Mercato degli scambi transnazionali comportasse e richiedesse il superamento dell’armonizzazione minima, di per sé ritenuta un ostacolo allo sviluppo del Mercato suddetto nonché alla piena attuazione della libera circolazione di beni, servizi e persone sul territorio europeo. Infatti, con la Strategia della politica comunitaria per la protezione dei consumatori prevista per il periodo 2002 – 2006118 (e con le successive politiche in materia) la Commissione ha inteso
113 In dottrina, v.: H-W. XXXXXXXXX, Il consumatore: mercatizzato, frammentato, costituzionalizzato, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 3, 2016, pp. 859 ss.; V. LOSTORTO, I servizi pubblici. Il quadro normativo, l’organizzazione, i modelli gestionali, Milano, 2007, pp. 182 ss.; X. XXXXXXX, Diritto del Mercato unico europeo, Padova, 2006.
Riferimenti alla rilevanza del Mercato interno per i consumatori sono anche in E. M. XXXXXXX – C. BELLI, Codice del consumo. Commentario del D.Lgs. 206/2005 e successive modifiche e integrazioni, Santarcangelo di Romagna (RN), 2008, p. 772; A. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Il Mercato unico europeo, cit.; X. XXXXXX, (voce) Mercato interno europeo, in Enc. giur., XX, 1990.
114 Si tratta dell’art. 3 T.C.E.: “Ai fini enunciati all’articolo 2, l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato: (..) c) un Mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali; (..)”.
000 X. XXXX, Xx diritto dei consumatori. Introduzione, cit., pp. 26 – 27.
116 In breve, sussistono diverse forme di armonizzazione. V. R. XXXXXXXXXXX, Ravvicinamento delle legislazioni nel diritto comunitario, cit., pp. 471 – 472.
117 Sul significato di “armonizzazione minima” v. anche X. XXXXXXXXX, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, in Europa e dir. priv., fasc. 4, 2011, p. 873: si intende come “espressione con la quale si designano quei provvedimenti normativi di accostamento delle legislazioni dei Paesi membri dell'Unione che lasciano però sopravvivere le diversità di disciplina nazionali se queste si rivelano in grado di offrire al consumatore una tutela più ampia di quella predisposta dalla fonte comunitaria.”.
118 Comunicazione della Commissione [COM (2002) 208 def.], Strategia per la politica dei consumatori 2002-2006, pubblicata in G.U.C.E. n. C 137 in data 8 giugno 2002, secondo cui: “Occorre anche rivedere e riformare le attuali direttive dell'UE in materia di tutela dei consumatori per aggiornarle e adattarle progressivamente in modo da passare da un'armonizzazione minima a misure di «piena armonizzazione»”.
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intervenire nel contesto consumeristico al fine di offrire maggiori poteri ai consumatori europei e rendere effettiva la tutela dei diritti. In questo senso, lo strumento più congeniale è apparso consistere nella differente forma della “armonizzazione massima” 119.
Esemplificativamente, possono ivi menzionarsi la Direttiva 2002/65/CE120, relativa alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari, la Direttiva 2005/29/CE121 sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, la Direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito dei consumatori, e la Direttiva 2008/122/CE sui contratti di multiproprietà.
Nel passaggio dalla tecnica di armonizzazione minima a quella di armonizzazione massima sono derivati tanto un incremento della omogeneità tra le legislazioni nazionali quanto una contestuale riduzione del livello di tutela delle posizioni dei consumatori, almeno negli ordinamenti dei Paesi che già si erano dotati di normative a favore di tale categoria di soggetti.
Invero si è sempre riscontrata una certa tensione tra armonizzazione minima, da un lato, e armonizzazione massima, dall’altro, diverse quanto alla ratio di fondo. Nello specifico, e solo con riguardo alla prima tra le due, “la volontà di garantire uno spazio giuridico aperto è legata alla volontà di rispettare le specificità nazionali quanto agli interessi e le modalità di tutela, dando enfasi al collegamento fra Mercato interno ed interessi sociali.”122. Ed infatti, solo con la armonizzazione minima gli Stati manterrebbero un’ampia discrezionalità nella definizione del livello ottimale di tutela, secondo il rilievo di cui all’art. 41 T.U.E., in
119 In caso di armonizzazione massima, la normativa comunitaria pone limiti all’azione del Legislatore nazionale in sede di trasposizione, impedendogli di modificare la soglia minima di tutela ma anche di integrarla ulteriormente.
E, del resto, si può constatare come la Consumer protection sia una delle politiche di settore che in Unione europea dovrebbe permettere la realizzazione proprio di un effettivo Mercato unico, luogo in cui persone, merci, servizi e denaro possano circolare con la stessa facilità con cui si muovono all’interno di un singolo Paese.
Parlano delle differenti tipologie di armonizzazione X. XXXXXXXX – X. XXXXX, Is There a Uniform EU Securities Law After the Financial Services Action Plan?, in Stan. J.L. Bus. & Fin, 2008, pp. 167 ss.
120 X. XXXXXXXXX, La direttiva 2002/65/CE concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, in Banca, impresa e società, 2006, pp. 82 ss.; X. XXXXXX, La commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori: lieto fine comunitario nella direttiva 2002/65/CE, in Diritto ed economia dell’assicurazione, 2003, pp. 425 ss.
121 In dottrina, tra i primi commenti sulla direttiva de qua, v.: X. XX XXXXXXXXXX, La nozione generale di pratica commerciale “sleale” nella direttiva 2005/29/CE, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxx, I, Milano, 2008, pp. 725 ss.; X. XXXXXXXXX, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Prime note, in Contr., 2007, pp. 173 ss.; X. XXXXXXXXX, La direttiva n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali: prime valutazioni, in Dir. comun. e scambi internaz., 2006, pp. 361 ss.
122 X. XXXXXXXXXX, Contratti del consumatore nel diritto dell’Unione europea, cit., p. 227.
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base al quale “qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”.
In dottrina si è constatato che la tecnica di armonizzazione massima possa essere attuata soltanto in modo circoscritto, e quindi unicamente per alcuni aspetti in cui sia ravvisata la necessità di garantire un regime comune europeo.
Del resto, è indubbio che l’armonizzazione massima abbia creato problematiche all’interno delle relazioni tra i due livelli istituzionali. Nelle direttive in cui si è optato per tale impostazione, essendo spesso la posizione degli Stati diversificata riguardo alle scelte di politica del diritto, si sono verificate situazioni di frizione necessitanti soluzioni di compromesso, ove sono infine i singoli Stati a prevedere la più adeguata e conveniente opzione da attuare.
La ratio alla base di tale fenomeno consiste nella certezza giuridica auspicabilmente garantita ai consumatori, evitando che gli Stati membri adottino oppure applichino disposizioni difformi da quelle previste a livello sovranazionale.
Se, da un lato, l’armonizzazione massima intende perseguire maggiore uniformità normativa negli ordinamenti dell’Unione europea (invero forse non del tutto realizzata), attraverso la semplificazione e la razionalizzazione delle regole, in modo tale da garantire quel livello più elevato di tutela (cui si è più volte fatto riferimento) per quanto concerne (anche) gli interessi dei consumatori, dall’altro si deve considerare la contestuale riduzione del potere discrezionale in capo agli Stati membri nella previsione dei rimedi più adeguati a tale fine protettivo.
La tecnica di armonizzazione massima, quindi, giunge financo a porre in discussione il ruolo tradizionale delle direttive comunitarie quale strumento volto a preservare uno spazio di manovra alla politica nazionale.
Di armonizzazione “completa”123 si è recentemente parlato con l’approvazione della Direttiva 2011/83/UE “Consumer rights”124: tale atto di diritto derivato, diretto a introdurre “un unico quadro normativo basato su concetti giuridici chiaramente definiti”125,
123 X. XXXXXXXXX, Contratti dei consumatori e armonizzazione, cit., p. 178.
124 Se ne tratterà diffusamente in specie nel Cap. IV.
125 Considerando n. 7 e art. 4 della Direttiva 2011/83/UE.
Un esempio di armonizzazione “completa” si era avuto con la sopra menzionata Direttiva 2005/29/CE, su cui
x. X. XX XXXXXXXXXX, Xx xxxxxxxxx x. 00/00/XX e l’armonizzazione completa delle legislazioni nazionali in materia di pratiche commerciali sleali, in NGCC, 11, 2009, pp. 1061 ss.
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“aggiornerebbe” un processo che, come accennato, era già stato previamente avviato da altre direttive126.
Tuttavia, il ricorso alla armonizzazione massima risulta bilanciato127 dalla sussistenza, all’interno dello stesso strumento normativo, di disposizioni che invece continuano a seguire una linea di armonizzazione “minima”: in questo senso sono le disposizioni relative agli obblighi informativi per i contratti diversi dai contratti a distanza e negoziati fuori dei locali commerciali ex art. 6 par. 8 della Direttiva 2011/83/UE stessa (recepito dall’art. 49, comma 8, Cod. cons.). Infatti, è ivi previsto che “Gli obblighi di informazione stabiliti nella presente direttiva si aggiungono agli obblighi di informazione contenuti nella direttiva 2006/123/CE e nella direttiva 2000/31/CE, e non ostano a che gli Stati membri impongano obblighi di informazione aggiuntivi conformemente a tali direttive.”.
Xxxxx i rilievi che precedono, l’uniformazione e la conseguente armonizzazione delle legislazioni risultano in definitiva necessarie al conseguimento di un duplice risultato, al di là di una maggiore omogeneità tra le norme vigenti negli Stati membri: da un lato, la libera circolazione di beni e servizi nel territorio europeo, e, dall’altro, il conseguimento di un giusto equilibrio sul Mercato tra la disciplina normativa a tutela dei consumatori e la competitività delle imprese.
*** ° ***
Conclusivamente, è bene ora valorizzare un dato, che pure si presenta conclamato: invero, la disciplina a protezione dei consumatori, pur costituendo oggetto di un corpus giuridico stratificato, ma anche strutturato e quindi sviluppato, è, tuttavia, ancora oggi incompleta. In particolare, e come si avrà modo di approfondire, è il circoscritto ambito dei contratti stipulati tra consumatori e operatori professionali ad apparire meno definito, anche se (o forse proprio perché) oggetto di specifiche disposizioni eurounitarie.
126 Ad esempio, con la Direttiva 2005/29/UE.
127 X. XX XXXXXXXXXX, La direttiva 2011/83/UE sui “diritti dei consumatori”: ambito di applicazione e disciplina degli obblighi informativi precontrattuali, in Annuario del contratto, diretto da X. X’XXXXXX –
X. XXXXX, 0000, Xxxxxx, p. 35; X. XXXXXXXXX, Contratti dei consumatori e armonizzazione: minimax e commiato?, in Foro it., V, 2012, p. 180; X. XXXXXXXX, Sub art. 45, in A. M. XXXXXXX – X. XXXX (a cura di), I nuovi diritti dei consumatori, Commentario al d.lgs. n. 21/2014, Torino, 2014, pp. 3 ss.
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La prospettiva, però, non può fermarsi alla mera relazione contrattuale, bensì deve spingersi oltre, ed essere contestualizzata all’interno del più ampio contesto delle operazioni svolte dai consumatori.
Se l’obiettivo è quello di ottenere una efficiente allocazione delle risorse su un Mercato che sia concorrenziale, come concepito dalla legislazione interna e sovranazionale, il consumatore deve risultare in grado di operarvi consapevolmente.
Ed infatti, le scelte di politica del diritto si sono orientate nel senso della costruzione di una disciplina volta alla massima informazione e, conseguentemente, proprio alla più ampia libertà di scelta in capo ai consumatori.
Le due espressioni “libertà di scelta” e “informazione” sono interconnesse: la seconda implica necessariamente la conoscenza nonché la piena comprensione di un numero di informazioni (che deve essere) adeguato per lo svolgimento degli scambi commerciali.
Ne discende pertanto l’esigenza di focalizzare l’attenzione proprio su ciascuno dei concetti di tale ultima affermazione, ed in specie su “conoscenza”, “piena comprensione” nonché “adeguato numero di informazioni”.
4. Il contratto stipulato tra consumatore e professionista. Caratteristiche distintive di un “nuovo statuto”.
E’ già stato sottolineato128 come spesso si faccia coincidere la protezione del consumatore con la tutela del contratto da questi stipulato. Seppure ciò non esaurisca le intenzioni del Legislatore, come è evidente dalla lettura del Codice del consumo e delle Leggi speciali, indubbia risulta la rilevanza del rapporto in essere tra consumatore e operatore professionale.
Pertanto, se da un lato la categoria dei consumatori ha ormai sicuramente acquisito una posizione di rilievo (che merita quindi peculiare analisi di per sé), dall’altro l’attenzione deve specificamente concentrarsi sui contratti da tali soggetti conclusi, soprattutto atteso il numero sempre crescente di tali scambi sul Mercato.
128 Nel presente capitolo, al par. 1.
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È allora necessario analizzare le caratteristiche fondanti del contratto stipulato dal consumatore, che giocoforza lo distinguono rispetto al contratto di diritto comune129.
Si parla, infatti, di un “nuovo statuto”, soprattutto essendosi ravvisata “una sempre più marcata tendenza legislativa a differenziare la disciplina positiva in relazione alla condizione soggettiva dei contraenti in funzione di una più compiuta tutela di posizioni di debolezza negoziale. Al punto che l’emanazione di ‘norme di protezione’ ha indotto dottrina e giurisprudenza ora a lamentare l’incoerenza di talune disposizioni sul piano della diseguale protezione accordata a situazioni di debolezza negoziale eguali, ora ad auspicare interventi più estesi a tutela di ogni contraente debole.”130.
Ciò detto, da parte di dottrina e giurisprudenza negli ultimi anni si è appunto sviluppato un crescente interesse nei confronti delle esigenze di tutela del contraente debole131.
L’orientamento de quo, a favore di una più incisiva tutela, esprime una tendenza legislativa verso una progressiva restrizione degli ambiti tradizionalmente riservati al potere di auto- determinarsi in capo ai privati.
A partire dalla metà del XIX secolo il diritto dei contratti ha guardato ad interventi che fossero indirizzati a limitare gli ambiti del potere creativo di diritto riconosciuto alla volontà privata, tendenza questa che costituisce una della più significative linee evolutive del diritto civile contemporaneo.
Ancora, la emanazione di norme di protezione ha indotto dottrina e giurisprudenza a sottolineare l’incoerenza di talune disposizioni sul piano della diseguale protezione accordata a situazioni di debolezza negoziale tra loro eguali132, nonché ad auspicare interventi più estesi a tutela di ogni contraente debole133.
129 Quanto all’espressione “contratto di diritto comune” v. X. X’XXXXX, (voce) Formazione del contratto, in Enc. dir., Xxxxxx, II, 2, 2008, pp. 569 – 570.
130 A.P. XXXXXX, Il contraente “debole”, Torino, 2006, p. 3.
131 Tra gli altri, v. M.C. XXXXXXXXX, Tutela del “contraente debole” nella formazione del consenso, Torino, 2005; C.M. XXXXXX, Il contratto, in ID., Diritto civile, 3, Milano, 2000, p. 396; X. XXXXX, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. impr., 1999, pp. 1333 ss.
132 X. XXXXXXXX, L’ibrida definizione di consumatore e i beneficiari (talvolta pretermessi) degli strumenti di riequilibrio contrattuale, in Foro it., 1999, I, pp. 3122 ss.
In giurisprudenza, v.: Giudice di Pace Sanremo, ord. 5 luglio 2001; Giudice di Pace L’Aquila, ord. 3 novembre 1997.
133 X. XXXXX, Ancora in tema di nozione di “consumatore” e contratti a scopi professionali: un intervento chiarificatore, in Giust. civ., 2000, I, p. 2122; X. XXXXX, Il concetto di consumatore e l’ambito soggettivo di tutela della disciplina dei contratti dei consumatori, in Rass. giur. Enel, 1999, p. 448.
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Infine, e conclusivamente sul punto, si ritiene ormai affermato nell’ordinamento un generale principio di protezione del contraente debole, o, al più, un principio di tutela sempre operante nei rapporti contrattuali tra imprenditori o tra costoro e i consumatori.
*** ° ***
Ebbene, come noto, la prospettiva adottata nell’ambito del codice civile del 1942 è fondata unicamente su una (astratta) parità tra le parti contraenti all’interno di una operazione intesa quale strumento dell’autonomia privata, fonte di un vincolo avente “forza di legge” (art. 1372 cod. civ.) ed il cui scioglimento è possibile solo nei casi ex lege predeterminati. Su altro versante, invece, a fronte della crisi che ha riguardato la centralità del codice civile medesimo, nonché per l’influenza esercitata dal progressivo rilievo assunto dal diritto eurounitario134, si è passati ad una prospettiva sostanziale che considera maggiormente i casi in cui sussista disparità di potere contrattuale tra le parti.
Per questo è stato rilevato un progressivo allontanamento dal paradigma del contratto di diritto comune così come disciplinato dal codice civile. Trattasi del cosiddetto “contratto asimmetrico”135.
Per vero, nonostante la (già menzionata) scarna disciplina dedicata ai contraenti deboli nel codice del 1942, è possibile sostenere che tale istituto sia stato ivi anticipato grazie a norme quali gli artt. 1341 (“Condizioni generali di contratto”), 1342 (“Contratto concluso mediante moduli o formulari”), ed anche 1370 (“Interpretazione contro l’autore della clausola”), che, in quanto tali, intendevano ovviare ad ogni abuso136.
Pertanto, la debolezza di potere contrattuale ravvisabile in capo ai consumatori è stata considerata come ratio della disciplina contrattuale ad hoc costruita, differente da quella del codice civile, cui solo si aggiunge.
134 X. XXXXXXX, I concetti nel diritto privato europeo, in Riv. dir. civ., 2010, I, pp. 774 ss.
135 In dottrina ha iniziato a discutere di tale categoria ROPPO, per cui si veda X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in ID., Il contratto del duemila, Torino, 2011, pp. 65 ss.
Inoltre, v. X. XXXXXX, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”, in Riv. dir. priv., 2006, I, pp. 285 ss.
136 Relazione al codice civile del 1942, n. 612.
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Oramai lo sviluppo di siffatto paradigma è tanto progredito da potersi qualificare esso stesso come una sorta di disciplina generale, con proprie peculiari caratteristiche e fonti137. Una precisazione. In dottrina non sempre si fa uso della sopra menzionata espressione di “contratto asimmetrico”: alcuni Autori, infatti, preferiscono parlare di “secondo contratto”138, ritenendo non possibile ricondurre ad unitatem le differenti tipologie di debolezza sulla base di una pretesa comune ratio di protezione139.
Secondo tale ultima posizione, dato che le debolezze non sarebbero sovrapponibili, si dovrebbe precisamente discorrere di “secondo contratto”, con riferimento al consumatore, e di “terzo contratto”, con riguardo all’imprenditore debole.
Ebbene, le debolezze non sarebbero riconducibili ad unità poiché nel contratto dell’impresa debole troppe sono le caratteristiche distintive rispetto a quelle che connotano il contratto del consumatore: per esempio, nell’ambito del contratto tra consumatore e imprenditore (definito anche “Business to Consumer” o “B2C”) si ha particolare riguardo alla tutela della
137 A.M. XXXXXXXXX, (voce) Contratto asimmetrico, in Enc. dir., Xxxxxx, V, 2011, p. 372.
138 A tale categoria si aggiunge, poi, quella del “terzo contratto”, dedicato ai contratti dell’impresa debole. In tal senso si veda X. XXXXX – G. VILLA, Introduzione, in ID. (a cura di), Il terzo contratto, Bologna, 2008, p.
7. Peraltro, anche il fautore della categoria del “contratto asimmetrico” riferisce di tali posizioni dottrinali:
X. XXXXX, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico?, in Corr. giur., 2, 2009, pp. 267 ss., spec. p. 281.
La problematica relativa alla qualifica del contratto stipulato da un contraente debole come “contratto asimmetrico” o come “secondo e terzo contratto” ha diviso la dottrina civilistica: a favore della distinzione del “terzo contratto” rispetto ad altri contratti stipulati da parti deboli v. X. XXXXXXXXX, Prefazione a X. XXXXXXXXX, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Torino, 2004, XIII – XIV; X. XXXXXX, Il terzo contratto: da ipotesi di studio a formula problematica: profili ermeneutici e prospettive assiologiche, Padova, 2010, pp. 80 – 81; X. XXXXXX, Il terzo contratto. Il problema, in X. XXXXX – G. VILLA, Il terzo contratto, cit., pp. 20 ss.; X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 5, 2008, I, pp. 515 ss.
Ed ancora, in merito alla quaestio: X. XXXXX, Regolazione del Mercato e interessi di riferimento: dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente, in X. XXXXXXX XXXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Venti anni di antitrust, Torino, 2010, II, pp. 1185 ss.; ID., Ancora su contratto asimmetrico e terzo contratto. Le coordinate sul dibattito, con qualche elemento di novità, in X. XXXX – X. XXXXX (a cura di) La vocazione civile del giurista. Saggi dedicati a X. Xxxxxx, Roma-Bari, 2013, pp. 178 ss. (in replica a X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico, cit.).
139 Come invece si evince da X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul “terzo contratto”), in ID., Il contratto del Duemila, pp. 106 – 107: con l’espressione “contratto asimmetrico” si fa riferimento “(..) a tutti i contratti in cui si fronteggino due soggetti di Mercato caratterizzati da una significativa asimmetria di potere contrattuale: asimmetria che, per il fatto di derivare precisamente dalle rispettive ‘fisiologiche’ posizioni di Mercato, si presenta come asimmetria di tipo per l’appunto fisiologico e non patologico.
La categoria comprende ovviamente, in primo luogo, i contratti del consumatore; ma non solo questi, bensì, oltre a questi, anche i contratti che legano un ‘professionista’, quando le rispettive posizioni siano – per le obiettive collocazioni di Mercato – significativamente asimmetriche in termini di potere contrattuale. In breve, essa copre tutti i contratti che si presentino colpiti da fattori di market failure (..).”.
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persona, aspetto invece del tutto trascurato nell’ambito del contratto stipulato tra imprese140.
Inoltre, l’asimmetria è di tipo informativo per il consumatore, mentre per l’impresa debole si tratta di uno squilibrio di posizioni di Xxxxxxx, altresì non presunto in astratto (come invece nel caso dei contratti dei consumatori) ma anzi da verificare “in concreto attraverso il riscontro di un abuso”141.
Inoltre, il disequilibrio non è il medesimo: è infatti soprattutto normativo per i consumatori, ed invece anche economico nel caso dell’impresa debole. Tale differenza si riflette poi nella tipologia di sindacato giudiziale, che appunto attiene all’equilibrio economico nel caso del “terzo contratto” ed all’equilibrio solo normativo per i contratti dei consumatori142.
Ancora, i due paradigmi divergono quanto alla rilevanza della predisposizione del regolamento contrattuale, prevista come indispensabile nella tutela del consumatore, mentre non risulta tale per la tutela dell’impresa debole, ove la costruzione del regolamento contrattuale non è necessariamente unilaterale143.
Infine, se i consumatori sono protagonisti di contratti generalmente istantanei, le imprese deboli sono coinvolte in rapporti contrattuali invece destinati a durare a lungo, con conseguenti problemi di regolamento e di gestione legati alla peculiarità della loro dimensione temporale144.
A prescindere da tale disputa dottrinale, e considerando il rapporto tra contratto di diritto comune e contratto stipulato dal consumatore, è forse possibile pensare ad una convivenza, pur mantenendo il primo un innegabile ruolo di preminenza, poiché eventuali ulteriori modelli partono da quello risultando appunto connotati da differenze rispetto alla disciplina codicistica.
Di conseguenza, la “debolezza” ha sottolineato l’inadeguatezza del contratto di diritto comune, in quanto se vi è debolezza di una parte contraente, il rapporto è conseguentemente asimmetrico: “Sulla debolezza come categoria contrattuale la letteratura è oramai vastissima, e risale a prima che facesse la sua comparsa nel nostro ordinamento il
140 X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico, cit., pp. 538 ss.
141 A.M. XXXXXXXXX, (voce) Contratto asimmetrico, cit., p. 387.
142 X. XXXXXX, Il terzo contratto, cit., p. 21.
143 X. XXXXXX, Il terzo contratto, cit.; X. XXXXXXX, Il contratto asimmetrico, cit., p. 537.
144 X. XXXXXXX, (voce) Contratto e potere regolatorio (rapporti tra), in Dig. disc. priv., Xxx. civ., agg., 2014, nota 161.
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contratto del consumatore: essa viene usualmente identificata in un’asimmetria (..), la quale si misura sul deficit di potere contrattuale che contraddistingue una parte rispetto all’altra, inteso, però, come condizione fisiologica da cui scaturisce la necessità, legislativamente avvertita, di proteggere la parte debole (qui il consumatore) arginando i poteri di quella forte (qui il professionista)”145.
In definitiva, il consumatore è debole perché non sa146, e tale sua ignoranza si diffonde a partire dai contenuti dell’affare di cui il contratto è veste giuridica, proseguendo fino alla conoscenza delle modalità con cui è chiamato ad esprimere la volontà di concluderlo.
Il contratto stipulato da professionista e consumatore si impernia sulla contrapposizione tra due classi di soggetti, distinte per capacità di incidere sulla predisposizione del regolamento contrattuale e sulla successiva esecuzione del rapporto.
Per vero, la qualifica di “consumatore” è legata ad una negazione (si pensi alla nozione di cui all’art. 3 Cod. cons.), a sua volta basata su due pilastri (art. 2 Cod. cons.), l’uno soggettivo e l’altro oggettivo. In riferimento al primo, è chiaro che possa essere “consumatore” solo una persona fisica; quanto al requisito finalistico, un consumatore è la sola persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività professionale eventualmente svolta.
Una precisazione merita l’espressione “consumatore esperto”, ossia l’acquirente del bene o del servizio che sia dotato di un grado di preparazione tecnica simile (o anche superiore) a quella del venditore o del fornitore.
Ebbene, a riguardo si era anche provato ad escludere tale specifica figura dalla nozione stessa di “consumatore”, a fronte dell’assenza di quella asimmetria di competenze e di disponibilità delle informazioni che invece dovrebbero fisiologicamente connotare il rapporto B2C.
Tuttavia, la ratio della normativa consumeristica è fondata sulla presunzione astratta di disparità di potere contrattuale, che si ricava dal fatto oggettivo del compimento di un atto di consumo, e quindi a prescindere dalle qualità soggettive delle parti coinvolte.
L’ambito di applicazione della disciplina del consumatore e, quindi del nuovo modello contrattuale del secondo contratto, è delimitato dalla nozione di “consumatore”, categoria
145 Idem, p. 374.
146 L. DI DONNA, Gli obblighi informativi precontrattuali, in X. XXXX (a cura di), I diritti dei consumatori, Torino, p. 216.
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non omogenea e, di conseguenza, non riconducibile ad un modello unitario e generalizzante.
Lo stesso Legislatore individua tipi diversi di consumatori: ad esempio l’art. 20, comma 1, Cod. cons. fa riferimento alla figura non del consumatore in generale, ma del “consumatore medio”, e quindi presuppone che possa esservi un consumatore non consumatore medio. La qualificazione del consumatore medio ricorre molto spesso nel Codice del consumo: si vedano, infatti, gli artt. 21, comma 1, 22, comma 1, e 24 del testo.
Inoltre, il comma 3 dell’art. 20 prevede la figura del “consumatore particolarmente vulnerabile”.
Ciò detto, la figura del consumatore è stata intesa come status147, come status non permanente148, oppure quale “dimensione” che contraddistingue un soggetto che entra in contatto con il professionista (negando l’esistenza attuale di uno status di consumatore)149. L’ordinamento concepisce la dialettica consumatore-professionista in modo conflittuale e, rispetto ad essa, l’ordinamento tutela il primo dei due, ossia il soggetto più debole del rapporto, ed ivi entra in gioco la logica dell’asimmetria.
Il contratto disciplinato dal codice civile è stato previsto come il frutto della stipulazione tra soggetti in posizione di parità (quindi di equilibrio) dal punto di vista del potere contrattuale esercitabile. Ne consegue che siano (almeno in astratto) ugualmente informati. Esso ha come presupposto la parità delle parti ed aspira al mantenimento di tale posizione nelle fasi pre-contrattuale e di stipulazione del negozio giuridico. In ciò si esprime la concezione del Legislatore come “Regolatore”, che si “allontana” dall’ambito del Mercato, demandando alle parti contrattuali: la libertà negativa, sul se concludere o meno un negozio giuridico; la libertà soggettiva, in relazione alle parti contraenti; la libertà positiva, riguardo al contenuto del negozio stesso (tipico o atipico – atipicità assoluta o solo dal punto di vista
147 G. CHINE’, Il consumatore, in X. XXXXXX (a cura di), Diritto privato europeo, I, Padova, 1997, pp. 167 ss.; X. XXXXXX XXXX, Lo status del consumatore: prospettive di diritto comparato, in Riv. dir. civ., 1997, pp. 667 ss.; X. XXXX, Profili attuali della tutela del consumatore, in Corr. giur., 1990, pp. 1297 ss.
In particolare, sul concetto di “status” v.: X. XXXX, Il concetto di “status”, in Studi giuridici in onore di X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 70.
000 X. X. XXXX, Xxxxxx sulla definizione di consumatore, in I Contratti, 2001, p. 206: “(..) lo status di consumatore è uno status occasionale, non permanente, perché l’avvicendamento degli status (di consumatore o di professionista) dipende dal tipo di relazione che i privati istituiscono tra loro e dal ruolo che nella relazione essi intendono svolgere.”.
149 X. XXXXXXXX, La tutela del consumatore contro le clausole abusive, Milano, 2010, pp. 118 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 2006, Napoli, pp. 510 ss.
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legale); la libertà di derogare alle norme che disciplinano un certo tipo negoziale (del resto, le norme civilistiche sono per lo più derogabili e dispositive).
Dunque, a fronte della instaurata relazione con un altro soggetto, è necessario effettuare un bilanciamento tra lo spirito di competizione e quello di collaborazione.
Tuttavia, come si vedrà, il problema appare essere proprio quello di contemperare le contrapposte tensioni rispetto all’attuazione del dovere di informazione150.
Emergono pertanto i diversi ruoli di una delle tre clausole generali esistenti nel nostro ordinamento giuridico: la buona fede. Essa è “da un lato, tavola extragiuridica di valori, valori recepiti dall’ordinamento giuridico e dallo stesso utilizzati come contenuto di doveri astrattamente fissati dall’ordinamento stesso; dall’altro lato, ratio o comunque retroterra etico di disposizioni puntuali (ed a contenuto predeterminato dal legislatore). La distinzione trova il suo naturale sfogo nel rilievo che, quanto a quest’ultima disposizione, il punto di equilibrio tra egoismo ed altruismo è stato predeterminato dal legislatore; per le clausole generali, invece, tale punto andrà ricercato volta per volta.”151.
Da quanto detto conseguono la previsione e l’applicazione in concreto di un intervento minimalista da parte del Legislatore, finalizzato soltanto a salvaguardare l’esplicarsi dell’autonomia privata contrattuale.
Emergono le caratteristiche fondanti il contratto di diritto comune, ossia: un vincolo contrattuale tendenzialmente indissolubile, un equilibrio contrattuale originario pressocché insindacabile da parte del giudice (in virtù della parità dei soggetti coinvolti), nonché la netta distinzione tra due categorie di regole (“di comportamento” e “di validità”152).
Posto che la differenza tra la disciplina del “primo contratto” e la disciplina del “secondo contratto” è fondata sulla presunzione di simmetria nel contenuto del contratto, nell’uno, ed invece sulla presunzione di asimmetria nell’altro, è bene evidenziare che nel Codice del consumo si parta dal presupposto per cui il consumatore è contraente “debole” poiché entra in conflitto di interessi con un soggetto che si presenta invece “forte”.
Pertanto, la disciplina de qua rappresenta il tentativo del Legislatore di introdurre regole volte a garantire l’uguaglianza di tipo sostanziale tra le parti del contratto.
150 Ad esempio, ex art. 1338 cod. civ., la collaborazione si determina nell’informazione, a vantaggio unicamente della parte che, nonostante il suo diligente comportamento, non sia venuta a conoscenza di un fatto rilevante per il prosieguo delle trattative o il completamento della fase formativa del contratto.
151 X. XX XXXX, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002, pp. 341 – 342.
152 Oggetto di approfondimento puntuale in Cap. III, par. 1.
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Tale testo, non a caso, si apre (ex art. 2) con una sorta di statuto dei diritti fondamentali del consumatore. La norma può essere considerata a tutti gli effetti lo “statuto del consumatore”: essa, nell’enunciare i diritti fondamentali del consumatore, invoca in particolare la correttezza, la trasparenza153 e l’equità nei rapporti contrattuali.
Fatte queste premesse, ed acclarato che il Codice del consumo introduce un nuovo modello contrattuale, basato sulla asimmetria tra le parti coinvolte nell’operazione, consideriamo più nello specifico in cosa si sostanzi tale modello, e quali ne siano le regole caratterizzanti. È possibile effettuare una riconduzione a sistema della disciplina del consumatore enucleando cinque tipologie di regole: di forma, di sostanza, di trasparenza, di interpretazione, ed infine regole rimediali.
Anzitutto, la disciplina del Codice del consumo attinge ad una nozione “dinamica” della forma: quando il Legislatore sancisce vincoli di tal fatta, li pone a tutela della parte debole dell'accordo. Si tratta del cosiddetto “neo-formalismo contrattuale”154, laddove la forma è appunto uno strumento di tutela di uno dei contraenti coinvolti nel rapporto. Al neo- formalismo negoziale è fortemente legato il concetto di “trasparenza”155.
Tale fenomeno, per definizione, si manifesta nella sua massima espressione nella disciplina del Codice del consumo, grazie al modello del “secondo contratto”, sotto forma di obbligo
153 Sul principio di trasparenza v. L. DI DONNA, Obblighi informativi precontrattuali. I. La tutela del consumatore, Milano, 2008, p. 46: “Anche nella nostra esperienza ormai è frequente l’uso di questa espressione, che viene applicata al diritto societario, al diritto finanziario, al diritto contrattuale tra imprese e al diritto dei consumatori. poiché persiste ancora la convinzione che solo dai codici che portano regole Generali si possono evincere principi generali, anche a proposito della trasparenza, che nasce dalla legislazione speciale si era opposto qualche dubbio alla sua configurazione come principio generale. Ma, se non nella prospettiva giusformalista, almeno nella prospettiva giusrealista il principio è ormai accettato.”. Secondo X. XXXXX, La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, in Dir. banc. e merc. fin., 1992, p. 422, il principio di trasparenza è considerato “uno dei principali miti socio-politici del nostro tempo” che la legge individua come “fondamentale” diritto dei consumatori, fornendone una disciplina di principio e di dettaglio nell’ambito dei singoli istituti trattati. Nell’ambito delle fonti sovranazionali riveste particolare dignità formale già nell’art. 169 T.F.U.E. (ex art. 153 T.C.E. e già art. 129 A): “Al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori, l’Unione contribuisce a tutelare la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori nonché a promuovere il loro diritto all’informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi.”.
154 L.V. XXXXXXXXX, Diritti ed obblighi di informazione e forma del contratto, in Scritti minori di Xxxxx X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, 1, p. 347; X. XXXXXXXXX, Profili della forma nella nuova legislazione sui contratti, Napoli, 1999; X. XXXXXXXXX, Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale, Napoli, 1999; D. DI SABATO, Il documento contrattuale, Milano, 1997; N. IRTI, Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997, pp. 80 ss.; X. XXXXX, Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato” nel Mercato finanziario, Milano, 1996.
155 X. XXXXXXXXXXX, (voce) Neoformalismo contrattuale, in Enc. dir., Xxxxxx, V, 2012, pp. 772 ss.; X. XX XXXXXXXX, La regola di trasparenza nei contratti dei consumatori, Torino, 1998; X. XXXXX, Trasparenza e “contratti del consumatore”, Napoli, 1997, p. 51 e passim.
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di introdurre determinati elementi del regolamento contrattuale all’interno del documento informativo o nel testo dell’accordo.
Ivi si è delineata una sorta di “mutazione genetica” del ruolo della forma, la quale non è solo estrinsecazione del contenuto ma è intesa nella sua dimensione dinamica.
Sono le direttive comunitarie a indicare le prescrizioni formali connotate da una finalità di protezione che il Mercato non può autonomamente perseguire. Tale obiettivo è raggiungibile attraverso il circuito informativo creato dal diritto eurounitario: infatti, un adeguato livello di informazioni permette di rendere i consumatori-parti deboli del rapporto contrattuale maggiormente consapevoli, così valorizzandone la relativa capacità di auto- determinazione negoziale.
In tal modo è però avvantaggiato lo stesso Xxxxxxx, reso trasparente e concorrenziale: proprio la trasparenza consente la comparabilità delle offerte contrattuali, e, in generale, l’efficienza del circuito competitivo.
È evidente, quindi, come la forma156, fortemente connessa al cosiddetto “formalismo”, assuma una funzione nuova (ulteriore rispetto a quella tradizionale), consistente proprio nell’informare. Si tratta del concetto di “forma informativa”157.
Entro tale contesto assume valenza pregnante il documento contrattuale, il quale include la volontà socialmente impegnativa, è veicolo di informazioni dal contenuto (in genere) predeterminato e, al contempo, forma la prova di quanto dalle parti voluto: “In una molteplicità di materie il Legislatore prevede infatti che il predisponente abbia l’onere di introdurre nel testo contrattuale (ed ove appropriato nel documento informativo: v. ad es.
156 Quanto ai diversi significati del termine “forma” si veda X. XXXXXXXXXXX, Il neoformalismo contrattuale dopo i d.lgs 141/2010, 79/2011 e la direttiva 2011/83/ue: una nozione (già) vieille renouvelée, in Persona e Xxxxxxx. Xxxxx, 2011, pp. 251 ss.
Ed inoltre v.: F. VENOSTA, Profili del neoformalismo negoziale: requisiti formali diversi dalla semplice scrittura, in Obbligazioni e Contratti, 11, 2008, p. 87; X. XXXXXXXX, Nuovi requisiti di forma nel contratto: trasparenza contrattuale e neoformalismo, Padova, 2006, p. 8, secondo cui la forma “elimina l’incertezza quanto alla determinazione del contenuto del contratto”.
157 In dottrina v. X. XXXXXXXXXXX, L’incerto incedere del formalismo di protezione tra usi e abusi, in Contr. impr., 2013, 2, pp. 299 ss.; G. DE NOVA, Tipico e atipico nei contratti della navigazione, dei trasporti e del turismo, in Diritto dei trasporti, 1995, p. 72: “nei contratti per i consumatori la forma non è una forma per la prova o una forma per la validità, è una forma, se posso usare questa brutta espressione, una forma informativa. Il documento che viene consegnato al consumatore serve per informarlo, il contratto deve avere un contenuto minimo ai fini informativi. L’autonomia è salvata perché l’imprenditore può scrivere nel contratto ciò che egli ritenga, ma deve scrivere su quei punti perché il consumatore deve essere informato.”. In giurisprudenza si veda Cass. civ., ord. 27 aprile 2017, n. 10447, in Contr., 2017, 4, pp. 393 e ss., con nota di X. XXXXXXX, La forma responsabile verso le Sezioni Unite: nullità come sanzione civile per i contratti bancari e di investimento che non risultano sottoscritti dalla banca.
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art. 71-70 c.cons. in materia di multiproprietà: art. 124 TUB in materia di credito al consumo) la disciplina di determinati elementi del rapporto. Una simile previsione, che rappresenta un aspetto qualificante della disciplina dei contratti dei consumatori, ricorre in tutto l’ambito della materia in discorso. Così, ad es., in materia di viaggi tutto compreso (art. 86 c. cons.), in tema di godimento ripartito di immobili e di multiproprietà (artt. 70- 71 c.cons.).
Una previsione particolarmente significativa è quella contenuta nel testo unico bancario nella disciplina del credito al consumo (art. 124 TUB). (..).”158.
Inoltre, appunto grazie alla forma, è parimenti possibile verificare il rispetto del contenuto informativo del contratto.
Ivi è anzitutto necessario sottolineare l’attuale modalità di conclusione dei negozi giuridici invalsa tra operatori professionali e consumatori: si tratta dello schema della contrattazione seriale o di massa, il quale, per la celerità e semplicità che lo connota, risulta sempre più impiegato per soddisfare le esigenze tanto dei consumatori quanto delle controparti professionali159.
Proprio il testo negoziale è il luogo in cui l’informazione deve essere fornita al consumatore, e pertanto risulta necessaria la regolamentazione delle ipotesi in cui il contenuto informativo minimo prescritto dalla legge sia assente o non adeguatamente chiaro e comprensibile.
Siffatta fattispecie ben potrebbe integrare gli estremi della pratica commerciale scorretta, definita ai sensi dell’art. 20 Cod. cons. come quella pratica che è “contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta ad un determinato gruppo di consumatori”.
In tali casi il Codice del consumo prevede di affidare all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la competenza esclusiva in materia, al fine di esercitare il potere inibitorio contro simili pratiche commerciali scorrette e di eliminarne gli effetti (art. 27, comma 2, Cod. cons.), nonché di disporne la sospensione provvisoria in presenza di una
158 X. XXXXXXXX, Diritto dei consumatori, Padova, 2017, pp. 156 – 157.
159 X. XXXXX, Forma contrattuale e tutela del contraente “non qualificato” nel Mercato finanziario, Milano, 1996, p. 7.
particolare urgenza (comma 3) e così applicare sanzioni amministrative pecuniarie rapportate a gravità e durata della violazione (comma 9).
Quanto detto attiene alla prospettiva pubblicistica del sistema di tutela approntato dalla disciplina consumeristica. Invece, il tema delle conseguenze di diritto privato e delle ricadute sul rapporto contrattuale tra professionista e consumatore, laddove ad essere violato sia un obbligo informativo, costituirà oggetto di approfondimento nel prosieguo160. Nella disciplina pro-consumatori, i riferimenti al requisito della forma scritta e ad altri vincoli accessori (esemplificativamente si ricordino l’obbligo di consegna di un esemplare dell’atto e la sua traduzione in altre lingue) assumono una specifica funzione. Anzitutto, tali elementi sono introdotti a favore di una sola tra le parti del rapporto e, in secondo luogo, assolvono alla funzione cosiddetta “informativa”161.
Ebbene, da quanto detto è evidente la forma assolva una funzione di protezione: è infatti un vero e proprio strumento di protezione, in quanto offre tutela alla parte debole del contratto. Essa consente di assicurare la giustizia sostanziale del contratto, il controllo sul contenuto del negozio medesimo.
È quindi evidente il passaggio dalle regole di forma alle regole di sostanza.
Il Codice del consumo introduce un sistema di controllo sostanziale sul contratto tramite l’istituto delle clausole vessatorie ex art. 33, comma 1, Cod. cons.
Tali clausole, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio di diritti e di obblighi. Una siffatta situazione è contraria alla cosiddetta buona fede oggettiva.
Lo squilibrio che determina il carattere vessatorio della clausola è di tipo normativo, non economico. Il giudice quindi dovrà valutare se la clausola in contestazione arrechi un significativo svantaggio al consumatore, non contro-bilanciato da un analogo svantaggio a carico del professionista, né da un'altra causa prevista a vantaggio del consumatore stesso. La valutazione su un significativo squilibrio del contratto riguarda l'intero regolamento negoziale.
160 Cap. III, parr. 2 ss.
161 B. PASA, La forma informativa nel diritto contrattuale europeo. Verso una nozione procedurale di contratto, Napoli, 2008.
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Ciò detto, il compito del giudice è facilitato laddove la clausola de qua rientri nella cosiddetta “lista grigia”: come noto, l’art. 33, comma 2 Cod. cons. contiene un elenco di clausole che si presumono vessatorie iuris tantum.
Il primo elemento che immunizza dalla vessatorietà una clausola che, altrimenti, sarebbe destinata ad essere qualificata come vessatoria è la coincidenza tra il contenuto della clausola e il contenuto della legge: pertanto, non possono essere considerate vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge. Anche se il rapporto tra diritti e obblighi è un rapporto squilibrato (anche se c’è, quindi, uno squilibrio di tipo normativo), laddove questo riproduca un testo di legge, si dovrà considerare comunque meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Proseguendo oltre, il secondo fattore che impedisce di considerare vessatoria una certa clausola è la trattativa su di essa (art. 34, comma 1, Cod. cons., per cui “non sono vessatorie le clausole oggetto di trattativa individuale”). Infatti, la trattativa fa venire meno lo scopo della disciplina del Codice. Eppure, la trattativa non esclude la vessatorietà quando la clausola rientri nella cosiddetta “black list”, essendo particolarmente penalizzante per il consumatore162.
Le regole sostanziali che caratterizzano il contratto del consumatore sono regole presidiate dalla nullità di protezione (disciplinata dall’art. 36 Cod. cons., l’archetipo di tale rimedio). Ebbene, operando un passo indietro, ex art. 35 “Le clausole devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile”: pertanto, la redazione non chiara nè comprensibile della clausola equivale a mancata trasparenza.
La violazione della regola di trasparenza fa scattare la vessatorietà della clausola. Tuttavia, siffatto carattere della clausola riguarda, non solo e non tanto, lo squilibrio normativo quanto invece lo squilibrio di tipo economico. Fintanto che la clausola è redatta in maniera chiara e trasparente, e quindi laddove il contratto rispecchi la regola di trasparenza, la regola di tipo sostanziale è posta a tutela dell’equilibrio normativo del contratto.
Quando invece la clausola non è trasparente, si apre ad una verifica sull’equilibrio economico del contratto medesimo.
162 Si tratta delle clausole che escludono o limitano la responsabilità del professionista per danni fisici, delle clausole che limitano i diritti e le azioni del consumatore in caso di inadempimenti del professionista, e di quelle che limitano il consumatore a contenuti contrattuali che il consumatore non era in grado di conoscere.
Anche nel secondo contratto il sindacato giudiziale si incentra sull’equilibrio economico originario dell’operazione negoziale.
Ebbene, ai fini che qui interessano, si può riflettere sulla condizione del contraente debole che risulti disinformato. Infatti, la disinformazione incide sulle scelte, cioè sulle preferenze, della parte. Ed allora il giudice è chiamato a sindacare lo squilibrio del contratto inteso come riflesso della debolezza nella fase di formazione del contratto, come riflesso dell’ingiustizia procedurale.
L’ingiustizia sostanziale è sindacata in virtù dell’ingiustizia procedurale. Se non ci fosse l’ingiustizia procedurale, quella sostanziale non sarebbe sindacabile.
Da questo punto di vista sussiste una linea di continuità fra la disciplina del primo e la disciplina del secondo contratto.
Procedendo con le differenze tra le due tipologie in argomento, molti contratti dei consumatori sono esposti all’istituto del recesso “di pentimento”, che è invece estraneo alla logica del contratto di diritto comune.
Inoltre, sempre nell’ambito dei rimedi, il secondo contratto è esposto maggiormente al meccanismo delle invalidità rispetto al primo contratto, eppure si tratta di invalidità meno irreversibili di quanto accada per quelle del modello di contratto codicistico163.
Il Legislatore elabora tecniche di protezione nei confronti del consumatore che gli permettano di attenuare gli effetti deformanti dell’asimmetria del B2C.
Il termine “elabora” è corretto: la Legge, infatti, deve creare artificialmente efficaci e adeguate norme prescrittive, preventive e sanzionatorie, volte a ri-equilibrare le posizioni dei contraenti dal punto di vista dell’equilibrio di tipo normativo.
Più precisamente, le discipline di protezione tendono a fronteggiare la distorsione unilaterale dell’autonomia privata, che consiste nel potere della parte forte di imporre a quella debole propri volontà e interesse, così creando alterazioni e fallimenti (pur fisiologici164) del Mercato.
163 X. XXXXX, Contratti di diritto comune, cit., p. 67.
164 Fisiologico nel senso spiegato da X. XXXXX, Parte generale del contratto, cit., p. 106, nota 35: “Considero patologiche le asimmetrie di potere contrattuale (..) determinate da fattori che, ancorchè di natura oggettiva, esplicano la loro rilevanza nel momento in cui incidono sulla sfera soggettiva del contraente (sulla quale si riflettono in modi individualizzati non standardizzati): come i vizi della volontà, che trovano rimedio nell’annullamento; o gli stati di pericolo e di bisogno, che aprono al rimedio della rescissione. Considero invece ‘fisiologiche’ le asimmetrie di potere contrattuale risultanti – in termini non individualizzati, ma piuttosto standardizzati per intere classi di contraenti – dalle obiettive posizioni di Xxxxxxx occupate dall’una e rispettivamente dall’altra parte del contratto.”.
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I rimedi costruiti dal Legislatore sono eterogenei e pertengono alle diverse fasi contrattuali: si tratta, infatti, di rimedi successivi (recessi di pentimento, recessi ordinari, nullità di protezione), ma anche di rimedi preventivi (obblighi di forma, di contenuto, di informazione, di chiarezza di trasparenza)165.
I profili rispetto ai quali tale paradigma contrattuale si distingue da quello del contratto di diritto comune sono il recesso “di pentimento” e la maggiore esposizione del contratto dei consumatori ai rimedi contrattuali riconducibili alla invalidità166.
Più in generale, i valori codicistici che subiscono una frattura all’interno dello statuto contrattuale del consumatore ineriscono al vincolo come previsto ex art. 1372 cod. civ., ai principi della causa e della buona fede contrattuale, fondamenti della regola sulla nullità parziale, al principio della tendenziale insindacabilità dell’equilibrio contrattuale fissato dalle parti ad opera del giudice, ed infine, alla distinzione tra regole di validità e regole di comportamento o di responsabilità, e dei rimedi riconducibili alle une e rispettivamente alle altre167.
“Dunque, la presenza di una parte più debole e (o perché) meno informata non legittima, di per sé, un’esigenza di riequilibrio, né impone all’ordinamento una risposta in termini di tutela. La reazione, però, si giustifica – ed è, anzi, doverosa – qualora l’asimmetria, da dato fisiologico e naturale, trascenda in fattore patologico, come accade là dove finisca per riverberarsi negativamente sull’atto, demolendone o compromettendone un requisito essenziale: l’esempio più chiaro rimanda alla presenza di un vizio del consenso (errore, violenza, dolo), rilevante ai fini dell’annullamento del contratto, che ben può ipotizzarsi sia riconducibile ad un deficit di informazione o ad un’informazione non veritiera.”168.
Ai nostri fini, per ora, interessa soprattutto il tema dell’asimmetria nei contratti dei consumatori, ove viene in rilievo uno squilibrio di tipo normativo, ossia riferito all’assetto contrattuale allocativo di diritti, obbligazioni, oneri e responsabilità, come tale distinto dallo squilibrio invece economico, relativo al rapporto di equivalenza economica tra il valore delle prestazioni dedotte in contratto (come è il caso del contratto usurario).
165 A.M. XXXXXXXXX, (voce) Contratto asimmetrico, cit., pp. 375 ss.
166 X. XXXXX, Contratto di diritto comune, cit., p. 67.
167 Temi questi ripresi e affrontati nel successivo Xxx. XXX.
000 X. XXXXX, (xxxx) Informazione (obblighi di), in Enc. dir., Xxxxxx XX, 0000.
Il giudice, di conseguenza, opera un sindacato giurisdizionale sullo squilibrio normativo (ma, di riflesso, anche su quello economico, il quale ultimo tuttavia assume una rilevanza appunto indiretta).
Conclusivamente è bene rammentare come la giurisprudenza abbia ormai elaborato uno statuto del contratto asimmetrico basato su quattro parametri169:
1) gli obblighi di informazione: anzitutto, l'asimmetria impone alla parte forte di colmare la debolezza dando tutte le informazioni affinchè la parte debole possa essere meno debole e quindi possa contrarre in modo meno inconsapevole;
2) il fenomeno del neo-formalismo: i contratti asimmetrici devono essere, proprio perchè asimmetrici, chiari, consentendosi così alla parte debole di risolversi consapevolmente e di conoscere adeguatamente il contenuto del contratto;
3) la tendenza conservativa del contratto asimmetrico, una volta depurato dalla clausola squilibrante;
4) un più approfondito sindacato del giudice sullo squilibrio contrattuale, anche tramite lo strumento della nullità virtuale, rispetto a quanto non sia in altre occasioni di controllo giurisdizionale.
È bene tuttavia fin da subito premettere che l’obbligo informativo trovi un limite proprio nell’onere di informazione, espressione del principio di auto-responsabilità: infatti, il dovere di correttezza impone alla parte “forte” di mettere a disposizione dell’altra le informazioni di cui si è in possesso e che non potrebbero essere conosciute altrimenti, mentre (al contempo) la libertà di iniziativa economica privata consente a chi si sia procurato tali informazioni sostenendo costi, di usarle a proprio vantaggio.
169 Nel prosieguo del lavoro ci si soffermerà in particolare sul punto n. 1).
53
CAPITOLO II
LA TUTELA DEI CONSUMATORI CON SPECIFICO RIFERIMENTO AL RUOLO DELLA INFORMAZIONE NELL’AMBITO DEL CONTRATTO FRA CONSUMATORE E PROFESSIONISTA
1. Dall’informazione come bene giuridico alla previsione di obblighi informativi (pre- negoziali).
Nel precedente capitolo si è sottolineato che il fattore distorsivo determinante lo squilibrio della relazione pre-contrattuale tra consumatore e professionista spesso derivi dal diverso livello quantitativo e qualitativo di informazioni e conoscenze rispettivamente da costoro possedute.
È infatti evidente che la controparte del consumatore, agendo professionalmente sul Mercato (o comunque producendo il bene da vendere), si trovi nella disponibilità di un numero maggiore di informazioni.
A riguardo si parla di “asimmetria (informativa)”170, qualificata in dottrina come una “sorta di ignoranza di classe (classe economica, ovviamente, quella dei consumatori) che turbava la naturale capacità delle contrattazioni di costituire motivo di soddisfazione per la parte più debole.”171.
Si tratta di una tematica ancora oggi aperta, e di estrema attualità.
La condizione di asimmetria deriverebbe da una serie di fattori: anzitutto, il consumatore non partecipa appieno alla definizione del regolamento contrattuale, potendo solo aderire o meno alla proposta di controparte. Inoltre, sempre più spesso, la negoziazione si basa su tecniche non più tradizionali quali le vendite “a distanza”, idonee a cogliere impreparato l’interlocutore. Da ultimo, in molte tipologie di contratti (in specie se ad alto contenuto
170 Si veda, ad esempio, X. XXXXX, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., vol. XXX, n. 5, 2007, pp. 641 – 680; X. XXXXXXX – X. XXX, Incomplete Contracts with Asymmetric Information: Exclusive Versus Optional Remedies, in American Law and Economics Review, 2006, vol. 8, n. 3, pp. 523 – 561; X. XX XXXX, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, cit., passim; X. XXXXXXXXX, Conflitti di interessi e informazioni asimmetriche nella intermediazione finanziaria, in Banca impr. soc., 1989, p. 357. 171 X. XX XXXX, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, cit., XVII.
tecnico, come sono quelli finanziari) l’acquirente può prendere visione del bene soltanto dopo l’acquisto.
Ciò detto, la parte professionale dell’operazione negoziale detiene una sorta di “monopolio dell’informazione”, e può decidere egoisticamente quali dati fornire (o non fornire) al consumatore.
Per vero tale condizione non è superabile completamente, nemmeno mediante una diligente opera di auto-informazione.
Ebbene, da quanto premesso deriva allora che, più che sullo squilibrio di informazioni, che è fisiologico, ci si dovrebbe concentrare sulla condizione di ignoranza del consumatore, costretto a prendere le proprie decisioni negoziali sulla base di quel che la controparte convenientemente decide di comunicargli. E la convenienza in questione è solo unilaterale. È questa l’ottica in cui deve essere contestualizzata la disciplina consumeristica e, in particolare, la generale questione sugli obblighi di informazione.
L’effetto alterante e distorsivo provocato da tali asimmetrie penalizza la posizione del consumatore-contraente debole, comportando una non corretta percezione e valutazione del rischio contrattuale, che potrebbe indurre a stipulare un contratto non opportuno (ad esempio connotato da un prezzo relativamente basso ma da rischi contrattuali non proporzionati all’importo pagato172).
Invero, al fine di ottenere una efficiente allocazione delle risorse sul Mercato, il consumatore deve invece essere in grado di scegliere e capace di influire sulle dinamiche generali dell’Economia: tale libertà implica, appunto, la conoscenza (nonché la piena comprensione) di un numero adeguato di informazioni: “Il diritto ad essere informati spesso costituisce la vera essenza del diritto all’informazione, rappresentandone l’aspetto concreto più rilevante. (..) Il diritto ad essere informato nasce, senza dubbio, quando, nell'ambito di un rapporto contrattuale, si individua un soggetto, già titolare dell'informazione, che ha l'obbligo di trasmettere l'informazione ad un altro soggetto, il quale ha il diritto di riceverla.”173.
172 X. XXXXXXXXX – X. XXXXXX, Clausole vessatorie e analisi economica del diritto: note in margine alle ragioni (ed alle incongruenze) della nuova disciplina, in Dir. priv., 1996, p. 412.
173 X. XXXXX XXXXXX, Il diritto all’informazione nei suoi aspetti privatistici, in Riv. dir. civ., II, 1984, pp. 142 ss.
Per vero, come si è già detto, l’obbligo di informazione pre-contrattuale è da rapportare alla clausola generale di buona fede, ma anche, di riflesso, all’efficienza economica. Nello specifico, infatti, se l’obiettivo è quello di preservare la capacità del Mercato di soddisfare desideri e bisogni degli operatori, deve anzitutto incentivarsi l’acquisizione di informazioni da cui poi trarre, in tale contesto, benefici economici.
Dunque, si delinea un obbligo di disclosure a partire dalle fasi di attività pubblicitaria e pre-contrattuale (proseguendo poi in quelle di conclusione e di esecuzione del negozio giuridico), in ragione sia dei mezzi di comunicazione impiegati sia del luogo in cui l’operazione economica è svolta.
La regolamentazione della fase precedente alla conclusione del contratto mira a proteggere il consumatore nei confronti dell’utilizzo di moduli e formulari o di contratti standard, della predisposizione unilaterale delle condizioni contrattuali, dello sviluppo della pubblicità commerciale, nonché dell’impiego di tecnologie informatiche.
Di conseguenza, la tutela dei consumatori passa attraverso la predisposizione, da parte del Legislatore, di una serie di “obblighi informativi” a carico dell’imprenditore, inteso quale parte “forte” dal punto di vista del potere negoziale: quest’ultimo, infatti, si concentra maggiormente in capo ad una delle parti contraenti anche per la più estesa disponibilità di conoscenza (ossia di informazioni).
Peraltro, proprio la suddetta previsione di obblighi informativi potrebbe comportare una maggiore competitività tra le imprese, permettendo il confronto tra i beni prodotti e/o i servizi forniti, dovendo tali imprese rendere edotti i potenziali consumatori riguardo alle caratteristiche di quanto offerto ed anche organizzandosi più competitivamente, per poter così essere più facilmente preferiti ad altri concorrenti.
Risulta quindi logico che i consumatori, per effettuare una simile scelta, debbano essere provvisti di idonei mezzi di confronto e di selezione. Ne consegue che la conoscenza delle informazioni rilevanti ed essenziali alla definizione dell’accordo sia una circostanza imprescindibile per distribuire tra i contraenti il rischio di incorrere in errori o di stipulare un contratto senza la suddetta consapevolezza, e quindi per evitare che il consumatore (come il risparmiatore o l’investitore) sia costretto a subire (e ad eseguire) passivamente la volontà contrattuale della controparte.
Il gap informativo, ai danni del consumatore, deve essere ri-equilibrato, o quantomeno compensato, al fine di evitare che la (fisiologica) posizione di debolezza di costui permanga tale fino alla conclusione del contratto.
Ancora. Il contratto di per sé possiede una spiccata vocazione efficientistica, poiché in regime di concorrenza perfetta lo scambio ha come conseguenza il miglioramento delle condizioni di entrambe le parti. In astratto tale situazione si ha però solo nel momento in cui i contraenti risultino in grado di valutare in modo ottimale i rischi derivanti dal rapporto obbligatorio in nuce, tanto da considerare conveniente la conclusione dell’affare a determinate condizioni. In questa prospettiva, quindi, una piena informazione di ciascun contraente, riguardo a natura e conseguenze della scelta, è fondamentale per la massimizzazione del profitto ritraibile dall’operazione economica. È chiaro, infatti, che se una delle parti del rapporto contrattuale è dotata di un numero più elevato di informazioni (e quindi di maggiore potere negoziale) conseguentemente si delinea una asimmetria (informativa) a sua volta determinante la stipula di un negozio che è, pertanto, squilibrato. Ebbene, le asimmetrie informative, in assenza di adeguati correttivi che le fronteggino, condurrebbero inevitabilmente al fallimento del Mercato174.
È evidente, pertanto, il rilievo che la fase pre-contrattuale riveste: la conseguente e necessaria attenzione in relazione all’informazione che deve pervaderla opera in funzione di prevenzione dell’iniquità contrattuale.
Se ciò è vero, come si avrà modo di approfondire, tale tematica richiede di analizzare non solo la disciplina positiva dell’informazione in sé, ma anche le tecniche legislative impiegate nel corso del tempo al fine di bilanciare le relazioni negoziali.
Xxxxx tali rilievi, è preliminarmente necessario concentrarsi sul concetto di “informazione”, in sé e per sé, poiché costituisce l’oggetto degli obblighi informativi pre-contrattuali previsti dal Legislatore (in specie in materia di contrattazione asimmetrica175), i quali, a loro volta, rientrano nel novero dei doveri di correttezza imposti alle parti ex art. 1337 cod. civ.
174 In tal senso è X. XXXXXXX, Trasparenza e riservatezza nella società quotata, 0000, Xxxxxx, p. 7.
175 La elaborazione della nozione di “contratto asimmetrico” si deve a X. XXXXX, Contratti di diritto comune, contratti del consumatore, contratti con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in ID., I contratti del 2000, Torino, 2002, pp. 25 ss.
Peraltro, gli obblighi informativi presentano un contenuto eterogeneo, a seconda del loro destinatario, dell’ambito entro cui devono operare e del fine da raggiungere.
Essi derivano, poi, dalle più varie fonti, essendo posti da Regolatori quali il Legislatore o una Autorità amministrativa indipendente.
Inoltre, possono inerire a diverse fasi della vicenda contrattuale (ad esempio, ai fini che qui interessano, a quella delle trattative).
Il termine “informazione” ha ormai assunto diversi significati. “In un primo senso, contenutistico, per informazione si intende qualsiasi dato rappresentativo della realtà che viene conservato da un soggetto oppure comunicato da un soggetto ad un altro. In un secondo senso, funzionalistico, sotto il termine informazione si ricomprendono quelle attività di comunicazione al pubblico svolte da taluni mezzi, quali la stampa, la radio e la televisione. In una terza accezione, specialistica, l’informazione integra un obbligo posto a carico di taluni soggetti quando entrano in rapporto con altri, come avviene nelle trattative contrattuali o nella presentazione di beni o servizi oggetto di rapporti giuridici.”176.
“Informare” non equivale semplicemente a “comunicare”, trattandosi di un’attività funzionale alla (auspicabilmente piena) “conoscenza” dei termini di una determinata operazione economica.
Il successivo interrogativo da porsi inerisce all’ubi consistam di tale conoscenza: per vero, sicuramente può sostenersi che essa sia tale da permettere al soggetto che riceve l’informazione di chiarire qualsivoglia elemento di confusione circa i termini dell’operazione da concludere.
Ciò detto, dunque, l’informazione riveste un ruolo fondamentale177 nella materia contrattuale.
Sono infatti eterogenei i settori dell’ordinamento entro cui è evidente la funzione svolta da tale elemento. In tal senso si ricordino: la questione sulla regolamentazione
000 X. XXXX XXXXXXXXX, (xxxx) Informazione (profili civilistici), in Dig. disc. priv., Sez. civ., vol. IX, Torino, 1993, p. 421.
177 X. XXXXX, Teoria dell’informazione, Torino, 1980; X. XXXXXXXXXX, Diritto dell’informazione, Xxxxxx, 0000; G. J. XXXXXXX, The Economics of Information, in The Journal of Political Economy, 1961, pp. 213 ss.; ID., L’economia dell’informazione, in Mercato, informazione, regolamentazione, Bologna, 1994, p. 217.
dell’informazione rivolta al Mercato; la tutela della riservatezza178; l’impiego delle banche dati179; la responsabilità di chi divulga informazioni non vere; la tematica relativa alle informazioni diffuse da parte delle agenzie di rating180; la pubblicità ingannevole181; l’ambito degli obblighi di informazione del produttore182, degli amministratori delle società, nonché gli obblighi di informazione in ambito contrattuale183 e commerciale184.
L’informazione acquisisce rilievo sotto molteplici punti di vista, configurandosi come elemento trasversale nell’ambito del diritto privato. Per vero, l’informazione può configurarsi anche quale nuova forma di proprietà185: “(..) essendo sovente acquisibile all’esito di attività implicanti l’impiego di risorse economiche anche notevoli, rappresenta
178 S.D. XXXXXX – L.D. XXXXXXXX, The Right to Privacy, in Harvard Law Review, 1890, pp. 193 ss.;
G.B. XXXXX, Diritto all’informazione e diritto all’oblio, in Riv. dir. civ., I, 1990, pp. 801 ss.; X. XXXXXXXXX (a cura di), Il diritto all’oblio, Atti del convegno di Studi del 17 maggio 1997, Napoli, 1999.
179 X. XXXXXXX – X. XXXXXXXX (a cura di), Il trattamento dei dati personali, Torino, 1999.
180 X. XXXXXXX, Le agenzie di rating fra immunità e responsabilità, in Riv. dir. civ., 2014, pp. 1337 ss.
181 X. XXXXXXXXX, La reclame non obiettiva come mezzo di inganno nella formazione dei contratti, in Riv. dir. ind., I, 1968, pp. 22 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Pubblicità ingannevole e culpa in contrahendo, in Riv. dir. civ., II, 1983, pp. 270 ss.; X. XXXX – X. XXXXXXXX, Prime note sull’attuazione della direttiva comunitaria in tema di pubblicità ingannevole, in Diritto dell’informazione e dell’informativa, 1992, pp. 259 ss.; A.M. XXXXXXX, La tutela del consumatore nel diritto della concorrenza: evoluzioni ed involuzioni legislative, anche alla luce del d.dlgs. 25 gennaio 1992 in materia di pubblicità ingannevole, in Contr. impr., 1992, I, pp. 411 ss.; M. FUSI – P. TESTA – P.L. XXXXXXXXX, La pubblicità ingannevole, Milano, 1993;
X. XXXXX, La pubblicità dannosa: concorrenza sleale, diritto a non essere ingannati, diritti della personalità, Milano, 2000; X. XXXX, La repressione della pubblicità ingannevole, Torino, 1994.
182 L. DI DONNA, Difetto di informazione e vizio di fabbricazione quali cause di responsabilità del produttore, in NGCC, II, 2008, . 258.
183 M. C. PERCHINUNNO, Informazione e giusto prezzo: tutela del consumatore e tutela del Xxxxxxx, in Contr.impr., 2012, p. 155; F. RENDE, Informazione e consenso nella costruzione del regolamento contrattuale, Milano, 2012; ID., Le regole d’informazione nel diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2012, II, p. 185; X. XXXXX, Informazione e consenso, Torino, 2010; X. XXXX, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario, in Contr. impr., 2008, p. 889; L. DI DONNA, Gli obblighi informativi precontrattuali: I, La tutela del consumatore, Milano, 2008; X. XXXXXX, I doveri di informazione, in Manuale di diritto privato europeo, in X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), Milano, 2007, pp. 391 – 451; X. XXXXX, Informazione (obblighi di), in Enc. dir., XVI, Roma, 2005; M. DE POLI, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002; A.C. XXXXXXX, Obblighi d’informare e procedimenti contrattuali, Napoli, 2000; A.M. MUSY, Il dovere di informazione, Saggio di diritto comparato, Trento, 1999; X. XXXXXXXXX, Obblighi di informazione, contenuto e forme negoziali, Napoli, 1999; X. XXXXX, Errore sul valore, giustizia contrattuale e trasferimenti ingiustificati di ricchezza alla luce dell’analisi economica del diritto, in Quadrimestre, 1992, p. 672; X. XXXXX, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990; X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972; X. XXXXXXXXX, Il dolo nella teoria dei vizi del volere, Padova, 1937.
184 X. XXXXXXXXXX, L’informazione e il diritto commerciale: principi e problemi, in Riv. dir. civ., 2015, pp. 779 – 802.
185 G. DE NOVA – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), Dalle res alle new properties, Milano, 1997; X. XXXXXXXXX – C. XXXXX, L’idea è mia: lusinghe e misfatti dell’economics of informations, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1990, p. 345; X. XXXXXXXXXXX, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 326; O.T. XXXXXXXXXX, I beni e le forme giuridiche di appartenenza, Milano, 1982; X. XXXXX, The New Property, in The Yale Law University, 73, 1964, pp. 733 ss.
– per chi l’ha conseguita – una ricchezza e a tale circostanza va dato peso, se non per accreditare logiche “proprietarie” legittimanti l’appropriazione e lo sfruttamento esclusivi dell’informazione raggiunta deliberatamente, onde evitare di mortificare l’interesse del soggetto che, visti premiati gli sforzi e gli investimenti operati per acquisire un bagaglio ampio di informazioni, aspiri ‘ad utilizzare, per proprio tornaconto, il vantaggio informativo eventualmente conquistato’.”186.
Ne consegue che l’informazione si concreti non solo nel presupposto per una corretta formazione del consenso negoziale, ma anche in un vero e proprio “bene giuridico” dotato di un autonomo valore economico187. Infatti la sua acquisizione richiede un costo, e la relativa conoscenza è foriera di vantaggi economici.
L’informazione è ormai un bene essenziale, presupposto del libero dispiegarsi dell’autonomia privata, in virtù del superamento dell’originaria concezione liberistica, propria degli ordinamenti di Common law (fondata sul principio del “caveat emptor”, e quindi sulla possibilità per ciascuna parte di mantenere il riserbo su tutte le informazioni acquisite nell’ambito della propria attività professionale).
Attualmente, invece, la prospettiva è piuttosto improntata al “caveat vendor”, per cui l’informazione appare essere un bene essenziale ai fini di un consenso consapevole, come tale indispensabile presupposto del libero dispiegarsi dell’autonomia privata188. Del resto, in ambito civilistico, e soprattutto a fronte dell’avvento della concezione della causa “in concreto”, è pacifico che il contratto sia espressione di libertà, autonomia e auto- regolamentazione. Sussiste libertà nel fine: il contratto è appunto espressione di una auto- determinazione dei fini consapevolmente scelti dai privati contraenti.
186 X. XXXXX, (voce) Informazione (obblighi di), cit., p. 598.
187 X. XXXXXXXX, Knowledge as Property, Xxxxxx, 0000; X. XXXXX XXXXXX, Il diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo, in Riv. dir. priv., 2, 2004, p. 349; X. XXXXXXXXX – C. XXXXX, L’informazione come bene, in G. DE NOVA – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), Dalle res alle new properties, cit., pp. 37 ss.
Quanto alla letteratura straniera, v.: B. J. XXXXX, Information as An Economic Good: A Re-Evaluation of Theoretical Approaches, in B. D. XXXXX – L. A. LIEVROUW (a cura di), Mediation, Information, and Communication. Information and Behavior, vol. 3, New Brunswick, 1990, pp. 379 ss.; X. XXXXXXX – H. R. VARIAN, Information Rules. Le regole dell’economia dell’informazione, Milano, 1999.
188 X. XXXXXXX, Information and Efficiency: Another Viewpoint, in 12 Journal of Law and Economics, 11, 1969.
Sembra dunque possibile affermare che le regole di informazione, anche se obbligatorie, siano prescritte per incrementare (e valorizzare) l’autonomia delle parti, non invece per restringerla.
Ciò detto, e come si vedrà nel prosieguo, l’ambito delle asimmetrie informative deve essere approfonditamente speculato189. Infatti, “Se le asimmetrie informative sono tali che una parte del Mercato non può eliminarle da sola o può eliminarle ma solo sopportando costi notevoli, ci si chiede se e quali regole di informazione possano migliorare le prestazioni del Mercato.
Senza il trasferimento delle informazioni, il consumatore non può valutare la qualità delle offerte e non può distinguere tra buone e cattive offerte e le buone offerte finiscono per essere eliminate dal Mercato (c.d. adverse selection).
Il trasferimento di informazioni può impedire il fallimento del Mercato solamente nel caso in cui vengono fornite informazioni rilevanti, che risultano comprensibili per la parte che le riceve.”190.
La debolezza della parte nella stipulazione del contratto si ripercuote sull’equilibrio del contratto stesso, ed anzi determina uno squilibrio. Pertanto, si comprende come assuma fondamentale centralità la fase della costruzione del vincolo: ogni fattore distorsivo ivi sussistente potrebbe condurre alla definizione di un assetto regolamentare asimmetrico, ossia non equilibrato, tra le parti191.
Invero, come già accennato, il diritto all’informazione attiene all’intera durata del rapporto contrattuale, e coinvolge tutti i momenti e gli aspetti dell’atto di consumo, dalla qualità del prodotto alla sicurezza, all’uso corretto.
Sottolineando un punto che avrà rilevanza nel corso della trattazione, si può ora accennare alla considerazione per cui le informazioni pre-contrattuali tenderebbero ad inserirsi all’interno del contenuto del contratto, divenendone parte strutturale: il contratto verrebbe pertanto a configurarsi come un vero e proprio insieme di informazioni scambiate tra i soggetti coinvolti nell’operazione negoziale de qua.
189 Il riferimento è al par. 5 del presente capitolo.
190 X. XX XXXXX, Obblighi informativi precontrattuali, cit., pp. 173 – 174.
191 Quanto ai riflessi sulla razionalità del regolamento contrattuale derivanti dai fattori distorsivi nella fase pre-contrattuale v. X. XXXXXXXXX – X. XXXXXX, Clausole vessatorie e analisi economica del diritto: note in margine alle ragioni (ed alle incongruenze) della nuova disciplina, in Dir. priv., 1996, pp. 381 ss.
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All’inizio degli Xxxx Xxxxxxx, la Commissione europea sottolineava il bisogno di “dotare i consumatori degli strumenti per tutelare i propri interessi mediante la formulazione di scelte autonome e informate. (..) Tali misure intendono ovviare agli squilibri strutturali tra i singoli consumatori e le imprese dovuti alla posizione di svantaggio in cui i primi si trovano a causa di un più limitato accesso alle informazioni e alle conoscenze giuridiche ed in ragione delle loro minori capacità economiche.” 192.
Ebbene, proprio nella fase antecedente alla stipulazione del contratto si ravvisa maggiormente la rilevanza degli interventi regolamentari, finalizzati a rimuovere o, almeno, a limitare gli ostacoli che, di norma, nel rapporto tra professionista e consumatore, ostacolano l’ordinato ed efficiente svolgimento delle dinamiche del Mercato.
Pertanto, è evidente la ratio degli sforzi effettuati dal Legislatore per la tutela dell’informazione: di conseguenza sono stati previsti i cosiddetti obblighi informativi193. Ed infatti in dottrina si è sottolineato che “Accanto all’informazione come attività, vi è l’informazione come obbligo.”194.
Dunque, al fine di ottenere una adeguata informazione è possibile procedere attraverso la imposizione dei suddetti obblighi a carico dell’operatore professionale oppure con la indicazione dei requisiti di forma195 e contenuto che il contratto dovrà possedere.
A tanto si è pervenuti a partire da settori connotati da tecnicità delle operazioni, come quello finanziario, bancario e assicurativo196.
Quindi, la finalità di permettere ai contraenti un adeguato livello di informazione, e un adeguato livello di idoneità a ponderare le scelte, è alla base della previsione di obblighi informativi.
192 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni - Strategia della politica dei consumatori 2002 – 2006, COM (2002) 208 def. –
G.U. 8 giugno 2002, n. 137.
193 Nello specifico, v. X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 289: “All’inizio del XX secolo la dottrina dominante riteneva per lo più che doveri di informazione fossero configurabili solo in presenza di un esplicito riferimento legislativo, come per esempio in materia di contratto di assicurazione. È solo in seguito, a partire dagli anni settanta del XX secolo, che la dottrina è giunta ad affermare con decisione la configurabilità di doveri di informazione anche al di fuori dei casi di espressa previsione legislativa.”.
194 X. XXXX ZENCOVICH, Informazione (profili civilistici), cit.
195 La forma diventa essa stessa “informazione”, permettendo al consumatore di avere piena conoscenza dei propri diritti e doveri.
196 M.C. XXXXXXXXX, Tutela del “contraente debole” nella formazione del consenso, Torino, 2005, p. 31.
La enucleazione dell’esistenza di un tale impegno avviene essenzialmente attraverso due procedure: una comporta l’applicazione della disposizione espressamente destinata a imporre un obbligo di informazione, o comunque a sanzionarne l’inadempimento; l’altra consiste nella concretizzazione di un precetto indeterminato e generale quale è quello di buona fede.
Sussistono infatti tanto fattispecie in cui il Legislatore abbia espressamente predeterminato che il possibile esito squilibrato di una relazione negoziale vada “calmierato”, imponendo ad una parte di irrobustire la consapevolezza dell’altra, quanto altresì casi connotati dalla mancata indicazione legislativa ex ante in tal senso.
Nella prima ipotesi, l’attività dell’interprete sarà di stampo esclusivamente interpretativo. Nella seconda, invece, sarà utile riconoscere che l’attività di interpretazione debba arricchirsi di una componente valutativa ben più forte: in tal senso, si deve collocare la fattispecie all’interno del più ampio contesto valutativo ex bona fide, introducendovi criteri di carattere sostanziale.
Ebbene, sembra possibile sostenere che il ruolo della buona fede ivi non si limiti all’allargamento delle maglie dei fatti da sottoporre, durante le trattative, a necessaria divulgazione, ma che anzi proceda a rimuovere o correggere il giudizio di culpa/diligentia, su cui poggia l’applicazione del modello di gestione dell’asimmetria informativa ex art. 1338 cod. civ.
Se questi rilievi sono sicuramente fondati, è pur vero che il rimedio della imposizione di obblighi informativi debba andare a favore dei consumatori senza tradire la posizione dei possessori dell’informazione, la quale è un bene economico, dal valore elevato, e che quindi può essere anche molto costosa per chi se la procura.
Risulta allora evidente la necessità di bilanciare gli interessi dei consumatori all’informazione197 con quelli dei soggetti che abbiano investito tempo e denaro per procurarsi le informazioni che li pongono in una posizione di vantaggio.
La menzionata questione non è oggetto del presente lavoro, eppure può a riguardo ricordarsi il contributo del Professor Xxxxxxx Xxxxxxx000, risalente alla fine Anni ’70 del XX secolo, secondo cui sarebbe in generale possibile diffondere le informazioni, e rendere
197 X. XXXXX XXXXXX, Il diritto all’informazione nei suoi aspetti privatistici, in Riv. dir. civ., 1984, II.
198 X. XXXXXXX, Mistake, disclosure, information, and the law of contracts, 7, in The journal of legal studies, 1978, p. 7.
quindi xxxxxx i consumatori degli elementi cui esse fanno riferimento, salvo però che si tratti di elementi particolarmente costosi199.
Successivamente è stata elaborata un’altra soluzione, basata sulla distinzione tra vizi del bene venduto, da un lato, e qualità positive del medesimo, dall’altro200. Ebbene, l’obbligo di informazione riguarderebbe unicamente i vizi del bene venduto, e non anche le relative qualità positive, o i pregi: “così come un tempo venivano risarciti solo i danni alle cose ed alle persone e non anche i danni conseguenti alla lesione del credito o di interessi legittimi, così un tempo venivano configurati doveri di informazione solo con riferimento ai vizi del proprio bene o della propria persona e non anche con riferimento ai pregi o alle qualità positive del bene acquistato”201.
2. Il “diritto all’informazione” come principio di ordine generale: la distinzione tra obblighi informativi tipici e obblighi informativi atipici.
La necessità per i consumatori di essere informati assume ormai una valenza portante nell’ambito del rapporto di consumo.
Più in generale, a tale categoria di soggetti è riconosciuto il diritto “fondamentale” ad una “adeguata informazione”202 e “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore.”203. La previsione di obblighi informativi pre-contrattuali è alla base di una politica legislativa nuova, la quale mira a permettere al consumatore di maturare un consenso informato prima della stipula, per cercare di ridurre il rischio della conclusione di contratti diversi dalle aspettative. Pertanto, si passa da una tutela dell’integrità del consenso operante in via
199 In senso contrario vedi X. XXXXX, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv, 4, 2004, p. 755.
200 X. XXXXX, Errore sul valore, cit., p. 672.
201 X. XXXXX, Asimmetrie informative e doveri di informazione, cit., p. 654.
202 Art. 2, comma 2, lett. c), Cod. cons.
203 Art. 5, comma 3, Cod. cons.
indiretta e a posteriori (diritto di recesso) ad una modalità di tutela a priori e consistente nella predisposizione di obblighi pre-contrattuali di informazione204.
Invero, proprio in tema di educazione e informazione del consumatore, già prima della approvazione della Legge 30 luglio 1998, n. 281, intitolata alla “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”205, le politiche europee206 avevano prospettato la possibilità di elaborare un principio generale di informazione del consumatore (quanto all’ordinamento interno, nello specifico, l’art. 1, comma 2, lett. c), Legge n. 281/1998 afferma che ai consumatori e agli utenti sia “riconosciuto come fondamentale” il diritto “ad una adeguata informazione”).
La stessa Corte di giustizia dell’Unione europea ha evidenziato lo stretto rapporto esistente tra la protezione e l’informazione dei consumatori: “il diritto comunitario in materia di protezione dei consumatori considera l’informazione di questi ultimi come una delle esigenze principali, sì che una normativa nazionale che neghi l’accesso dei consumatori a talune informazioni non potrebbe essere giustificata da esigenze imperative attinenti alla loro protezione.”207.
Tale diritto all’informazione, così come riconosciuto ai consumatori, non trova sempre corrispondenza in uno specifico obbligo informativo imposto ai professionisti. Ed infatti, più in generale, assumono importanza sia la disciplina della pubblicità commerciale sia quella riservata ad altre forme comunicative, anch’esse al di fuori di una diretta relazione pre-contrattuale tra le parti, e idonee a trasferire informazioni dal professionista al consumatore.
Se in astratto questo è il ruolo demandato alle informazioni, e al conseguente “diritto all’informazione”, in concreto sarà il contratto ad avere il compito di rendere edotto il consumatore circa il contenuto del regolamento208.
204 X. XXXXX XXXXXX, Il diritto all’informazione, cit, p. 35; X. XXXX, Il diritto dei consumatori, Roma- Bari, 2002, pp. 35 ss.
205 Pubblicata in G.U. 14 agosto 1998, n. 189.
206 Si ricordino anche l’attuale art. 169 T.F.U.E (ex art. 153 T.C.E., che aveva a sua volta sostituito il precedente art. 129 A), nonché la Risoluzione del 13 luglio 1992, pubblicata in G.U.C.E. n. C 186 il 23 luglio 1992.
207 Corte di giustizia dell’Unione europea, 7 marzo 1999, C-362/88.
208 Circa la funzione informativa dello stesso contratto, v. G. ALPA, La “trasparenza” del contratto nei settori bancario, finanziario e assicurativo, in Giur. it., 1992, pp. 412 ss.; G. DE NOVA, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1993, pp. 710 ss.
Peraltro, va comunque ricordato che un fondamentale ruolo assumono, come già accennato, gli obblighi informativi, in quanto tali posti a carico della controparte forte a tutela del consumatore.
Ebbene, è necessario ivi concentrare l’attenzione. Anzitutto, risulta possibile operare una classificazione degli obblighi informativi, in base a ciascuna delle caratteristiche che li connotano, ossia a seconda: delle fonti da cui derivano, del tipo contrattuale al quale essi sono riferiti, a seconda della natura delle parti, nonché del rapporto istituito tra il professionista e il consumatore, che può essere pre-contrattuale, contrattuale o extra- contrattuale.
Ancora, la classificazione può essere fatta in base al momento in cui gli obblighi vadano rispettati e le informazioni comunicate, a seconda del contenuto degli obblighi medesimi, o della sanzione irrogata al professionista in caso di inadempimento, a seconda della loro derogabilità o meno, trattandosi nella gran parte di obblighi ex lege, cui si possono affiancare obblighi assunti volontariamente dal professionista.209.
Per vero, una distinzione di notevole rilevanza ai fini del presente lavoro è quella tra obblighi informativi “tipici” e obblighi informativi “atipici”.
I primi sono espressamente previsti da una norma di legge, la quale impone, durante la trattativa, obblighi di informazione a contenuto qualitativo e quantitativo predeterminato dalla norma medesima. E’ proprio questo il caso della maggior parte dei rapporti asimmetrici, in primis del contratto tra consumatore e professionista. Ciò permette di sottolineare come la posizione di debolezza in capo al consumatore sia ben nota al Legislatore, il quale, al fine di ri-equilibrarla, ivi tipizza obblighi informativi: si tratta quindi delle fattispecie in cui è maggiormente sentita la necessità di precisare (in modo però espresso e chiaro) quali informazioni siano intese capaci di colmare il gap tra consumatore e controparte.
In siffatti casi la fonte dell’obbligo informativo non è direttamente la clausola di buona fede: quando l’obbligo informativo pre-contrattuale è previsto dalla Legge, ed è quindi qualificato come “tipico”, la fonte dell’obbligo è direttamente la norma di legge.
209 X. XX XXXXX, Obblighi informativi precontrattuali, cit., pp. 8 – 9.
Tuttavia, quest’ultima comunque affonda le proprie radici sul principio di solidarietà sociale, sia pure indirettamente, essendo infatti volta a ri-equilibrare un rapporto asimmetrico.
Invece, quanto agli obblighi informativi “atipici”, essi prescindono da una norma di legge che direttamente li preveda: di conseguenza, durante le trattative le parti sarebbero tenute ad adempiere obblighi di informazione anche altri rispetto a quelli tipizzati.
L’obbligo di buona fede pre-contrattuale si sostanzia, in relazione alle circostanze del caso concreto, in un obbligo informativo adeguato ai rilievi emersi durante le trattative, volto a consentire alla controparte, nell’ottica della reciprocità e della solidarietà, l’esercizio pieno e libero dell’autonomia privata sub specie di libertà negoziale.
Pertanto, è l’impiego del concetto di “buona fede” a ritenere sussistenti doveri di informazione anche ove manchi una precisa disposizione normativa in tal senso, posto che tale principio generale è tradizionalmente considerato insito in ogni ordinamento moderno. È evidente come la tematica sugli obblighi di informazione sia strettamente connessa a quella inerente alla clausola di buona fede: la generalità del precetto che la introduce nel nostro ordinamento, insieme ai non frequenti richiami codicistici espressi al dovere di informazione, permette di comprendere i tentativi di utilizzarla per pervenire in modo sufficientemente informato alla conclusione dell'affare. Ebbene, specificamente quanto alla fase pre-contrattuale, è l'art. 1337 cod. civ. a tradurre tale tensione entro una norma, appunto prevedendo che nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto le parti debbano comportarsi secondo buona fede.
Ciò detto, quanto ai riferimenti normativi per gli obblighi di informazione de quibus, in primo luogo guardando al codice civile, essi sono, in generale, gli artt. 798, 1338, 1759, 1812, 1821, 1892, 1893, mentre altri risultano specificamente all’interno della fase
successiva alla conclusione del contratto, ex artt. 1710, 1713, 1746, 1749.
In secondo luogo, è bene considerare anche le leggi speciali ove si faccia menzione di obblighi informativi, soprattutto nel settore dei contratti del consumatore210. È innegabile che la previsione di siffatti obblighi sia necessaria con riguardo a situazioni connotate dalla
210 X. XXXXX, La nozione giuridica di informazione e la disciplina di Mercato. Argomenti di discussione, in Riv. dir. comm., 1999, pp. 843 ss.; X. XXXXXXXXX, Asimmetrie informative e tutela della trasparenza nella politica comunitaria di consumer protection: la risposta della normativa sulle clausole abusive, in Eur. dir. priv., 2000, p. 751; X. XXXXX, L’informazione precontrattuale: spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, x. 000.
xxxxxxxx xx xxxxx xxxxxxxxxx informative, appunto per eliminare (o quantomeno ridurre) il divario tra le parti coinvolte. A titolo esemplificativo, come sarà maggiormente approfondito nel prosieguo211, attenzione particolare meritano le recenti modifiche al testo del Codice del consumo (ai sensi degli artt. 48 e 49), quanto alle informazioni pre- contrattuali per i contratti stipulati da consumatori, in generale ed altresì conclusi a distanza e fuori dei locali commerciali.
Tra gli atti sovranazionali che menzionano gli obblighi pre-contrattuali di informazione si ricordino anche la Direttiva 85/577/CEE, sui contratti conclusi fuori dei locali commerciali; la Direttiva 90/314/CE su viaggi, vacanze e circuiti “tutto compreso”; la Direttiva 94/47/CE, concernente la tutela dell’acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili.
Inoltre, si rammenti altresì la disciplina in materia di commercio elettronico: nello specifico, infatti, l’art. 7, D.lgs. n. 70/2003212 inerisce proprio alle informazioni obbligatorie entro tale ambito.
Invero, numerose altre sarebbero le discipline da menzionare, ad esempio in materia bancaria, di intermediazione finanziaria, o di multiproprietà.
A riguardo, significativo è il riferimento ai Principi di diritto europeo dei contratti (PECL), ossia il risultato dei lavori della Commissione presieduta dal Professor Xxx Xxxxx. In particolare, l’art. 4:106, specificamente relativo alle “Informazioni inesatte”, così recita: “1)La parte che ha concluso il contratto fidando su informazioni inesatte dell’altra parte ha diritto al risarcimento del danno in conformità con l’art. 4:117 2) e 3) anche quando le informazioni non abbiano causato un errore essenziale ai sensi dell’art. 4:103, salvo che la parte che le ha fornite avesse ragione di credere che le informazioni fossero esatte.”.
211 Cap. IV del presente lavoro.
212 L’art. 7 del D.lgs. n. 70/2003 così recita: “Informazioni generali obbligatorie. Il prestatore, in aggiunta agli obblighi informativi previsti per specifici beni e servizi, deve rendere facilmente accessibili, in modo diretto e permanente, ai destinatari del servizio e alle Autorità competenti le seguenti informazioni: a)il nome, la denominazione o la ragione sociale; b)il domicilio o la sede legale; c)gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lo stesso, compreso l’indirizzo di posta elettronica; d)il numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche, REA, o al registro delle imprese; e)gli elementi di individuazione, nonché gli estremi della competente autorità di vigilanza qualora un’attività sia soggetta a concessione, licenza od autorizzazione; f)per quanto riguarda le professioni regolamentate: (..) h)l’indicazione in modo chiaro ed inequivocabile dei prezzi e delle tariffe dei diversi servizi della società dell’informazione forniti, evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi aggiuntivi da specificare; i)l’indicazione delle attività consentite al consumatore e al destinatario del servizio e gli estremi del contratto qualora un’attività sia soggetta ad autorizzazione o l’oggetto della prestazione sia fornito sulla base di un contratto di licenza d’uso. (..).”.
Il successivo art. 4:107, rubricato “Dolo” prevede che “1)La parte che sia stata indotta a concludere il contratto dai raggiri usati dall’altra parte, mediante parole o comportamenti o qualsiasi mancata informazione che invece secondo buona fede e correttezza avrebbe dovuto essere rivelata, può annullare il contratto.
2) I raggiri o la mancata rivelazione costituiscono dolo quando hanno lo scopo di trarre in inganno.
3) Ai fini di stabilire se la buona fede e la correttezza imponevano a una parte la rivelazione di una determinata informazione, deve aversi riguardo a tutte le circostanze, e in particolare:
a)alla specifica competenza della parte;
b)al costo al quale ha potuto conseguire l’informazione in questione;
c)alla capacità dell’altra parte di conseguire da sé l’informazione; d)all’importanza apparente dell’informazione per l’altra parte.”213.
Ai sensi del comma 1, è fonte di dolo ogni fattispecie di mancata informazione che si sarebbe dovuta trasmettere secondo buona fede e correttezza.
Altrettanto interesse suscita il Codice europeo dei contratti, progetto seguito e coordinato dal Professor Xxxxxxxx000. L’art. 7, sui “Doveri di informazione”, così recita: “1. Nel corso delle trattative ogni parte ha il dovere di informare l’altra di ogni circostanza di fatto o di diritto, di cui sia o debba essere a conoscenza, che consenta a quest’ultima di rendersi conto della validità e convenienza del contratto.
2. In caso di omessa informazione o di dichiarazione falsa o reticente, se il contratto non è stato concluso o è affetto da nullità, la parte che ha agito in modo contrario a buona fede risponde nei confronti dell’altra nei limiti di cui al comma 4 dell’art. 6, mentre se il contratto è stato concluso, è tenuta alla restituzione del corrispettivo versato o al pagamento di una somma di denaro, a titolo di indennità, nella misura che il giudice
213 X. XXXXX, Asimmetrie informative e doveri di informazione, cit., p. 660, secondo cui l’art. 4:107 “si limita a porre una clausola generale in base alla quale costituisce dolo qualsiasi mancata informazione che secondo buona fede e correttezza avrebbe dovuto essere rivelata: in modo tale da consentire un’evoluzione spontanea e graduale dei doveri di informazione, al pari del resto di quanto è avvenuto in materia di ingiustizia del danno.”.
214 X. XXXXX, Progetti per la realizzazione di un diritto comune europeo dei contratti, in Contr. impr./Europa, fasc. 2, 2000, pp. 683 ss.; X. XXXXXXXX, Il progetto “pavese” di un codice europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., fasc. 4, 2001, pp. 455 ss.; ID., Sul progetto di un “codice europeo dei contratti”, in Rass. dir. civ., 1996, pp. 105 ss.
ritenga conforme a equità, salvo il diritto della controparte ad annullare il contratto per errore.”.
In entrambi i testi citati non sono indicati tassativamente i casi in cui sono previsti obblighi di informazione, ma è solo posta una clausola generale in base alla quale costituisce dolo qualsiasi mancata informazione che, secondo buona fede e correttezza, avrebbe dovuto essere rivelata.
Ciascuna delle parti coinvolte nella operazione contrattuale deve portare l’altra a conoscenza di qualsiasi circostanza di fatto o di diritto di cui sia a conoscenza: in tal modo è possibile rendersi conto non solo della validità ma anche della convenienza economica del contratto.
Ancora. All’interno del Draft Common Frame of Reference215 gli artt. 2.3.101 e seguenti disciplinano gli obblighi informativi216, essi rientrando nella Sezione I, “Information duties”, del Capitolo 3 “Marketing and pre-contractual duties”.
In generale si può sottolineare come l’informazione abbia lo scopo di consentire al destinatario la comprensione dell’oggetto della negoziazione, per pervenire all’ulteriore obiettivo di permettere la formazione di una corretta volontà contrattuale.
Attualmente il consumatore necessita del diritto dell’informazione. Ed anzi, la politica Consumer Rights si dirige sempre più verso una tutela intesa a predisporre attività e a definire azioni da intraprendere per ridurre le asimmetrie che affliggono la domanda.
Trasmettere informazioni rappresenta un importante strumento di perequazione, come tale volto a ri-equilibrare situazioni asimmetriche tra loro.
Data la rilevanza della funzione, allora, non si considererà più il solo contratto, bensì anche le fasi precedente e successiva al momento di formalizzazione delle scelte, quali aspetti di una operazione unitaria.
È però necessario salvaguardare un equilibrio nella diffusione delle informazioni ai consumatori: una asimmetria può essere causata non soltanto dalla carenza informativa, ma anche da un eccesso di dati e informazioni.
Pertanto, dovrà essere correttamente vagliata l’esigenza ravvisata in capo ai consumatori di ricevere un adeguato livello di protezione, secondo le caratteristiche della categoria, in
215 C. VON BAR – X. XXXXX – X. XXXXXXX-XXXXX (a cura di), Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), Outline Edition, Berlin, 2009.
216 X. XXXXX, Il contratto, cit., pp. 308 ss.
generale, le specifiche competenze e capacità del singolo nel caso concreto, ed in relazione all’ambito entro cui si svolge l’operazione negoziale, che può anche essere connotato da profili innovativi o tecnologici.
Invero, si reputa che il diritto all’informazione pre-contrattuale, insieme al diritto all’educazione, sia tra i diritti fondamentali riconosciuti in capo ai consumatori, così come previsto dal Legislatore sovranazionale nei testi di diritto derivato ad hoc emanati nel settore dei contratti dei consumatori.
Il Codice del consumo dedica a “Educazione, informazione, pratiche commerciali, pubblicità” la Parte II: l’art. 4 è intitolato specificamente all’“Educazione del consumatore”, e il Titolo II (artt. 5 ss.) è rubricato “Informazioni ai consumatori”, queste ultime consistenti nella informazione accompagnatoria dei prodotti, ed il cui Titolo III afferisce alle pratiche commerciali scorrette nonché alla pubblicità (artt. 18 – 32).
Come si avrà modo di approfondire nel prosieguo217, una recente modifica al Codice del consumo ha portato l’attenzione sugli obblighi informativi in caso (soprattutto) di contratti a distanza e negoziati fuori dei locali commerciali. Ebbene, l’elenco di informazioni elencate agli artt. 48 e 49 Cod. cons. permettono di comprendere la portata della tematica. Se ne può forse dedurre un generale obbligo di informazione, che si affianca alle ipotesi specificamente previste dal Legislatore, adatto a qualunque operazione economica, a prescindere dalle caratteristiche sue proprie.
Gli obblighi generali di informazione sono disciplinati all’art. 5, Capo I, Titolo II, il cui (già citato) comma 3 afferma che le informazioni, qualunque ne sia la fonte, devono essere espresse chiaramente ed in modo tale che il consumatore le comprenda appieno.
È il secondo comma però a specificare il contenuto essenziale degli obblighi informativi, costituito dalle notizie concernenti sicurezza, composizione e qualità dei prodotti.
Con l’avvento delle discipline in materia, ad esempio, di pubblicità commerciale, contratti conclusi a distanza e fuori dei locali commerciali, commercio elettronico, il tema del diritto all’informazione si è evoluto al punto da prevedere sul professionista financo un “obbligo di consiglio” verso il consumatore, mediando quindi tra le informazioni relative al prodotto o al servizio e gli indici esterni percepibili dal pubblico.
000 X. Xxx. XX, xxxx. 2 ss.
Ebbene, nell’educazione si individua un nuovo diritto (ed anzi, come prima accennato, un diritto fondamentale) del consumatore, necessario affinché lo stesso diritto all’informazione non si tramuti in una mera clausola di stile.
Xxxxx i rilievi che precedono, tuttavia, più l’informazione è ampia, più essa si può prestare a diverse interpretazioni.
Nella fase procedimentale dell’iter di conclusione di un contratto specifici obblighi di comunicazione rispondono all’esigenza di correttezza e di tutela dell’affidamento della controparte: si pensi all’art. 1326, comma 3 cod. civ., o, ancora, al dovere di pronto avviso dell’iniziata esecuzione del contratto nel caso di prestazione che, su richiesta del proponente, per la natura dell’affare o secondo gli usi, debba eseguirsi senza una previa risposta nel caso del contratto concluso mediante inizio di esecuzione di cui all’art. 1327 cod. civ.
La giurisprudenza ha spesso fornito elementi a favore della centralità degli obblighi di informazione in ambito contrattuale, fino ad arrivare a considerare anche il dolo omissivo quale fonte di possibile annullamento del contratto ex art. 1439 cod. civ., quantomeno ove si accompagni ai raggiri e sia consistito nel tacere circostanze, che, in quanto fondamentali nella determinazione negoziale, avrebbero dovuto essere rese note a controparte in base al principio di buona fede.
Ebbene, in tale contesto, la Legislazione speciale comunitaria è stata dirimente: essa infatti ha mutato i caratteri degli obblighi di informazione nella materia contrattuale così come tradizionalmente conosciuti.
Nello specifico, sono stati fissati alcuni aspetti fondamentali sul piano della costruzione del regolamento negoziale al fine di pervenire ad una trasparente e corretta contrattazione con il consumatore: tra questi è possibile menzionare l’inderogabilità in peius della disciplina legale, a pena di nullità attivabile dal solo contraente debole e limitata alle sole clausole fonti dello squilibrio, ed altresì il riconoscimento ex lege di un diritto di recesso di pentimento senza doverne specificare le motivazioni o, per questo, subire alcuna penalità. Pertanto, è registrabile un rinnovato interesse per gli obblighi di informazione nella fase pre-contrattuale, che mira a ri-equilibrare la posizione del consumatore sotto il profilo delle informazioni disponibili.
2.1. Il contenuto degli obblighi di informazione.
Una volta sottolineata la rilevanza assunta dall’informazione, e dai conseguenti obblighi informativi, è necessario vagliare i contenuti di questi ultimi.
Nell’opera di selezione delle circostanze che devono essere oggetto di comunicazione sono stati infine impiegati criteri distintivi molto generici, tra cui la qualità dei contraenti, la natura del contratto218, o ancora le circostanze in cui quest’ultimo è stato stipulato, posto che in alcuni casi “la maggiore competenza e specializzazione di una parte rispetto all’altra, la necessità di speditezza, la frequenza sempre crescente di contrattazioni a distanza e la conseguente difficoltà di effettuare controlli e accertamenti di persona, sono tutti elementi che concorrono a creare situazioni di evidente sperequazione”219.
Ebbene, gli obblighi di informazione riguardano essenzialmente l’oggetto del contratto, l’identità del professionista, i diritti di competenza del consumatore ed il costo complessivo dell’operazione.
In merito all’oggetto del contratto, è necessario descrivere in modo analitico e dettagliato il bene o il servizio considerato, e questo in particolare per le contrattazioni in cui, per la natura del bene o per la modalità di contrattazione, il consumatore acquisti “alla cieca”.
Ulteriori obblighi informativi riguardano l’identità del professionista, l’ubicazione della sede legale dell’operatore commerciale, determinate notizie sulla sua professionalità (ad esempio sulla eventuale iscrizione in albi o in elenchi).
Ancora. Il consumatore deve conoscere il prezzo del bene o del servizio e tutti gli altri oneri accessori a suo carico (quali tasse e contributi di spesa). In proposito, il prezzo del bene, di per sé, è scarsamente indicativo, potendo infatti essere affiancato da altri importi in grado di condizionare il giudizio sulla convenienza dell’operazione. Proprio per esigenze di chiarezza sul punto, in tutte le normative di settore a livello eurounitario sono previsti specifici obblighi di informazione ante-stipulazione: ai sensi dell’art. 2, lett. c), Cod. cons., infatti, la parte professionale deve fornire una completa informazione circa il costo effettivo dell’operazione, comprensivo del prezzo e delle voci di spesa (di ogni natura e specie) previste dal contratto.
218 Esemplificativamente, i contratti di tipo gestorio sembrano richiedere uno scambio di informazioni di tipo e intensità differenti rispetto a quelli di scambio.
219 X. XXXXXXXX, Il dovere precontrattuale di buona fede, in Rass. dir. civ., 1982, p. 1088.
Come già sottolineato, il Codice del consumo dedica particolare attenzione al tema dell’informazione ai consumatori, all’interno del Titolo II, Parte II. Ed infatti, sul piano normativo, il Titolo II introduce la disciplina delle informazioni ai consumatori: nello specifico, l’art. 5 ha carattere generale (appunto rubricato “Obblighi generali”); il Capo II (artt. 6 ss.) contiene norme relative alla indicazione dei prodotti; infine, il Capo successivo include norme sull’indicazione dei prezzi per unità di misura.
Ebbene, se ne ricava che lo scopo della disciplina sulle informazioni consista nel ridurre le asimmetrie informative sussistenti tra le parti del rapporto di consumo.
Del resto, la trasparenza del (e sul) Mercato, così come il consenso informato delle parti, sono fondamentali per l’efficienza economica. Per raggiungerla, i consumatori che operano in tale contesto devono avere a disposizione le informazioni necessarie a permettere loro di confrontare le offerte e poi scegliere la migliore tra queste.
Costoro devono essere resi edotti dei termini dello stipulando rapporto contrattuale, e poiché, spesso, procurarsi tali informazioni risulta oneroso e costoso per il consumatore, egli normalmente conclude il contratto di consumo senza prima aver acquisito una piena consapevolezza in ordine a tali elementi.
Se questo è vero, il consumatore non potrà realmente confrontare le offerte e scegliere la migliore, ossia, in definitiva, non sarà in grado di effettuare un acquisto consapevole e razionale.
Per tale motivo il diritto all’informazione costituisce un pilastro essenziale del diritto dei contratti e dell’organizzazione del Mercato medesimo. Si comprende, pertanto, che gli obiettivi di tutela del Mercato e della parte debole del rapporto contrattuale coincidano: l’informazione è strumentale alla concorrenza, in quanto i consumatori sono in grado di premiare le imprese più efficienti solo se posti a conoscenza di tutti i fattori di qualità e di prezzo, nonché di tutte le condizioni contrattuali.
In tal modo si perviene ad una riduzione delle asimmetrie informative, che di per sé tutela l’autonomia negoziale del contraente debole ed altresì la sua libertà di scelta, così riequilibrando le posizioni contrattuali220.
Considerando nello specifico gli articoli sopra citati, ed in primis l’art. 5, comma 2, esso individua il contenuto essenziale degli obblighi informativi, tuttavia afferenti al prodotto
220 X. XXXXXX ELMI, Art. 6, in X. XXXXXXX (a cura di) Codice del consumo, Padova, 2007, pp. 76 ss.
oggetto del contratto: è possibile definire “difettoso” un prodotto che non offra la sicurezza legittimamente prospettabile in virtù di determinati requisiti quali le caratteristiche evidenti prima facie, le avvertenze fornite, l’uso al quale il prodotto è ragionevolmente destinato, nonché i (prevedibili) comportamenti dei destinatari del prodotto.
Quanto alle informazioni sulla qualità“queste appaiono marcatamente facoltative dal momento che è interesse dell’impresa renderle note. (..) Il comma 3 dell’art. 5 impone in via generale l’obbligo di fornire le informazioni in modo chiaro e comprensibile, al fine di assicurare la consapevolezza del consumatore. (..) l’informazione deve essere adeguata, cioè non solo in grado di orientare il consumatore nella sua scelta, ma anche completa, comprensibile, non fuorviante. Inoltre la pubblicità, intesa come tecnica di comunicazione deve essere corretta, espressione quest’ultima, più ampia di quella di ‘non ingannevole’ con conseguente necessità di un controllo non circoscritto al solo potenziale decettivo del messaggio e della sua veridicità, ma esteso alla conformità delle indicazioni offerte, alla realtà del prodotto o del servizio e alle modalità di diffusione del messaggio.”221.
Le informazioni devono essere trasmesse al consumatore in modo chiaro (sotto l’aspetto del modo in cui si presentano) e comprensibile (quanto alla loro intelligibilità), caratteri questi da valutare in relazione alla tecnica di comunicazione impiegata, alle modalità di conclusione del contratto stesso ed alle caratteristiche del settore.
Il comma 3 non individua specificamente il soggetto sul quale ricade l’obbligo informativo ma individua una responsabilità diffusa di “chiunque” fornisca informazioni. “Si tratta di una norma di chiusura, che individua un principio generale che sta alla base di tutte le norme in tema di informazione e che indica la loro finalità essenziale. Essa, pertanto, in primo luogo può servire come guida interpretativa nell’applicazione delle altre norme specifiche e, in secondo luogo, potrebbe trovare applicazione diretta quando manchi una disciplina puntuale.”222.
Invece, con riguardo all’art. 6, rubricato “Contenuto minimo delle informazioni”, è bene riportarne il testo poiché si tratta dell’elenco minimo di informazioni sul prodotto necessario affinchè questo possa essere commercializzato. Infatti, il Codice del consumo statuisce che “i prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore,
221 X. XXXXXXXXXXX, Art. 4, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Commentario al codice del consumo, Roma, 2008, pp. 43 – 44.
222 X. XXXXXXXXXXX, xxx., x. 00.
xxxxxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxxx nazionale, devono riportare in modo chiaramente visibile e leggibile almeno le indicazioni relative a:
a- la denominazione legale o merceologica del prodotto;
b- il nome o la ragione sociale o il marchio e alla sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell'Unione europea;
c- il paese di origine se situato fuori dall'Unione europea;
d- l'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente;
e- i materiali impiegati e i metodi di lavorazione ove questi siano determinati per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto;
f- le istruzioni, le eventuali precauzioni e la destinazione d'uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.”.
Anzitutto, deve essere indicata la denominazione legale o merceologica del prodotto (lett. a)), indicata in disposizioni normative oppure da usi e consuetudini.
Altrimenti, il prodotto deve essere descritto con riferimento alla sua natura e all’uso cui è destinato.
Le lett. b) e c) sopra citate prevedono come necessario indicare il produttore o l’importatore del prodotto, se stabilito nell’Unione europea, oppure il Paese d’origine, se situato all’estero.
Le rimanenti lettere si riferiscono ad altre informazioni (ad esempio in caso di sostanze o di materiali pericolosi, o qualora siano utilizzati particolari materiali o metodi di lavorazione) nonché ad istruzioni e precauzioni laddove utili ai fini della fruizione e sicurezza del prodotto223.
Pertanto, da quanto sopra esposto si ricava come sia la disciplina su educazione e pubblicità sia le norme relative all’informazione (che per vero si differenziano da quelle in materia di pubblicità in quanto impongono al professionista obblighi positivi di comunicazione) tendano all’obiettivo di ottenere una maggiore trasparenza sul Mercato. Come già detto, siffatta condizione sul Mercato, e il conseguente consenso informato delle parti che ivi operano, costituiscono elementi essenziali per giungere ad una condizione di efficienza economica.
223 X. XXXXXX ELMI, Art. 6, cit., p. 87.
3. Le asimmetrie informative quale situazione fisiologica tipica all’interno dei contratti tra consumatori e professionisti.
Fino ad ora è stato fatto frequente riferimento alle asimmetrie di tipo informativo, che connotano le relazioni contrattuali tra soggetti inquadrabili nelle categorie dei “consumatori” e degli “operatori professionali” (imprenditori o professionisti)224, e che, come tali, presuppongono una distribuzione diseguale delle informazioni.
Più precisamente, se da un lato sono senza rilievo giuridico informazioni non pertinenti, dall’altro le parti sovente risultano prive delle informazioni invece qualificabili come “rilevanti”.
A differenza di quanto accade per i soggetti operanti professionalmente sul Mercato, per i soggetti che effettuano operazioni soltanto occasionalmente, procurarsi informazioni presenta un costo (spesso) proibitivo, e di difficoltà superiore per il consumatore.
Ne consegue che la stessa distribuzione delle informazioni sia strutturalmente asimmetrica. Xx infatti, i costi che la parte debole (perché) meno informata deve affrontare al fine di colmare il gap che la distingue dalla controparte sono tali da rendere pressoché teorica la possibilità che il contratto sia concluso tra soggetti che siano davvero pari tra loro.
Ne consegue un evidente vulnus al principio di eguaglianza, il quale costituisce un inderogabile principio di ordine pubblico nell’ordinamento interno: del resto, le asimmetrie informative sono qualificabili come ostacoli di ordine economico-sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei consociati, così impedendo il pieno sviluppo della persona umana.
Se questo è vero, contro le asimmetrie informative devono necessariamente concentrarsi gli sforzi non solo del Legislatore, bensì anche, da un lato, delle Authorities in funzione di regolazione del Mercato, e, dall’altro, della stessa Autorità giudiziaria.
Inoltre, se non ogni distribuzione asimmetrica delle informazioni deve essere valutata in modo negativo, l’espressione “asimmetria” è però generalmente sinonimo di “squilibrio”
224 In Italia, tra gli altri, v. X. XXXXXXXXXX, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in X. XXXXXX (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, vol. III, Padova, 2003, pp. 499 ss.
all’interno dell’operazione negoziale: pertanto, è necessario (tentare di) prevenirne la formazione. In questo senso, proprio le prescrizioni sulla trasparenza delle contrattazioni e sull’informazione del contraente non professionale intendono eliminarla.
Altresì, a causa della condizione di debolezza ravvisata in capo ai consumatori (che si configura come fisiologica e intrinseca per siffatti scambi economici), costoro sono oggi connotati da uno status di protezione225.
Ebbene, la debolezza di una delle parti nell’economia della stipulazione del contratto si ripercuote sull’equilibrio dello stesso, determinandone una alterazione. Ed è proprio siffatta debolezza a comportare la necessità di prevedere obblighi informativi che, nella fase pre- contrattuale, sono finalizzati a evitare ipotesi di asimmetrie (e quindi di squilibrio contrattuale) tra le parti.
Le regole dell’informazione sono imperative e, di conseguenza, l’informazione sui parametri principali non è rimessa alla disponibilità delle parti.
Ciò detto, sono astrattamente ipotizzabili diverse tipologie di condotta integranti la violazione degli obblighi informativi. A fini descrittivi si può distinguere tra:
a) omissione (pura) delle informazioni dovute,
b) reticenza, e
c) comunicazione di informazioni inesatte, incomplete o false.
In ognuno di tali tre casi sussiste una lesione della libertà negoziale. Ciò è quindi tanto più grave quando si sia in presenza di un contratto asimmetrico, ove il contraente forte deve fornire all’altro tutte le informazioni necessarie affinché possa determinarsi consapevolmente alla stipulazione del contratto.
Anzitutto, ci occupiamo della semplice mancata comunicazione di un dato che si sarebbe dovuto invece comunicare. In questo senso in dottrina si è sostenuto che la sola condotta del tacere dovrebbe essere accompagnata da un artificio affinchè si possa fuoriuscire dal solo mendacio, e quindi parlare di dolo. “E’ doloso il comportamento (che, a ben vedere, mal si presta ad essere qualificato come ‘puramente omissivo’) di chi occulta, di chi cela o nasconde callidamente ad altri notizie e/o informazioni di determinante importanza, al precipuo scopo di indurre in inganno; analogo giudizio non appare
225 A partire dalla celebre formula di Xxxxx Xxxxx, “from status to contract”, si è parlato di un “ritorno agli
status”.
estendibile, invece, al semplice contegno ‘negativo’ di chi tace, di chi si astiene dal rivelare
– senza l’intenzione, con ciò, di carpire l’altrui consenso – fatti o circostanze anche influenti sulla determinazione del partner precontrattuale.”226.
In secondo luogo, con il termine “reticenza” si intende la volontaria omissione relativa a elementi che si dovrebbero o potrebbero rivelare, e quindi lo stato soggettivo di chi ha consapevolezza che il mezzo ingannatorio di cui intenzionalmente si serve sia volto a sorprendere ed aggirare la buona fede di controparte, e che agisce sapendo che l’inganno perpetrato è in concreto tale da condizionare la formazione della volontà del deceptus.
Pertanto, così intesa, la reticenza ha posto la questione sul suo possibile inquadramento all'interno della figura del dolo: si ritiene che la fattispecie di omessa informazione sia da connettere alla tematica sul dolo contrattuale, in quanto, a riguardo, il dibattito dottrinale è piuttosto acceso, in specie animato da una forte contrapposizione tra chi intende assecondare istanze etiche di tutela della buona fede e chi, per contro, intenderebbe concentrare l’attenzione sul rispetto dei limiti tecnico-giuridici227.
In terzo luogo, quanto al caso della comunicazione di informazioni inesatte, incomplete o false228, la normativa eurounitaria (ma anche interna) prevede la disciplina delle “pratiche negoziali sleali”, oggetto della Direttiva 2005/29/CE e, in Xxxxxx, xxx xxxxxxxxxxx X.xxx. x. 000/0000 (xxxxxxx degli artt. 18 – 27 Cod. cons.).
La ratio di tale direttiva ha avuto riguardo alla tutela del consumatore affinché costui possa assumere decisioni commerciali consapevoli. L’espressione “pratica commerciale” indica qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un operatore professionale (prima, durante o dopo l’operazione commerciale stessa), direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura ad un consumatore di un qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni.
La pratica commerciale è falsa (o idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore) laddove sia tale da alterare sensibilmente la capacità dei
226 X. XXXXX, L’obbligo precontrattuale di informazione, cit., p. 282.
227 X. XX XXXX, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002, pp. 402 – 407.
228 X. XXXXXXX, (voce) Pratiche negoziali sleali, in Dig. disc. priv., Sez. civ.,, agg., 2009, pp. 381 ss.
consumatori di prendere decisioni consapevoli, forzandoli a scelte commerciali che, altrimenti, non avrebbero effettuato.
Invero, è da sottolineare la non influenza della vessatorietà (dello squilibrio) del contratto stipulato dal consumatore laddove sia posta in essere una pratica sleale, in quanto già di per sé contraria alla diligenza professionale e influenzante la decisione commerciale del consumatore.
Ciò detto, quanto alle pratiche commerciali “ingannevoli”, si ritengono tali quei comportamenti accompagnati da informazioni false o inganni comunque idonei ad ingannare il consumatore medio in qualunque modo.
È altresì considerata ingannevole la pratica commerciale che, in concreto e tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, falsi in modo rilevante il comportamento economico del consumatore e includa strategie di marketing fonte di confusione con i prodotti o i segni distintivi di un concorrente o che implichi il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare.
Ancora. Oltre alla condotta ingannevole commissiva, la direttiva considera parimenti illecita la condotta ingannevole omissiva, consistente nell’omettere, occultare o presentare in modo ambiguo o incomprensibile informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in quel dato contesto, sempre al fine di assumere una scelta consapevole, così inducendolo ad una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
La valutazione avviene sulla base di tutte le circostanze del caso concreto. Nel caso di invito all'acquisto sono considerate informazioni rilevanti, qualora non già evidenti dal contesto, le caratteristiche principali del prodotto, i dati dell’operatore professionale (come identità, sede e denominazione sociale), il prezzo o la modalità di calcolo di esso, le spese aggiuntive di spedizione e di consegna o il criterio di calcolo di esse; le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza professionale; l'esistenza di un diritto di recesso dal contratto per i prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto.
Concludendo, con riguardo al caso della comunicazione di informazioni fornite da chi è obbligato a farlo, ma che si rivelino (anche ex post) false o ingannevoli, oltre alla normativa sulle pratiche commerciali scorrette, è previsto anche il rimedio consistente nell’attribuire carattere vincolante all’informazione pre-contrattuale, in tal modo impedendo qualsivoglia
vantaggio per l’autore della scorrettezza, che altrimenti potrebbe pretendere di far valere un regolamento contrattuale divergente da quello precedentemente pubblicizzato e concordato con controparte.
Infine, il regolamento potrebbe essere respinto proprio dal consumatore leso dalla comunicazione di informazione inesatta, senza che sia necessariamente esercitato il diritto di recesso (e che quindi sopravvenga lo scioglimento dal rapporto negoziale), bensì mantenendo come efficaci le condizioni stipulate, sia pure da una delle parti non rispettate229.
4. Dall’informazione al processo decisionale prodromico alla stipulazione del contratto. Gli sviluppi più recenti sul tema.
Scientia potentia est230. In questo aforisma latino è contenuta la ratio dell’informazione, e il significato della necessità di una sua diffusione nel panorama delle sempre più numerose operazioni contrattuali odierne.
Negli obblighi informativi si ravvisa il canale per veicolare le informazioni, e conseguentemente la conoscenza stessa: la predisposizione di un obbligo de quo è necessariamente posto in capo a colui che detiene l’informazione, perché la produce o l’ha raccolta.
La previsione di siffatti obblighi avrebbe il pregio di comportare una maggiore competitività tra le imprese, rendendo così più confrontabili i beni prodotti e/o i servizi forniti, dovendo tali imprese rendere consci i potenziali consumatori in merito alle caratteristiche di quanto offerto. Riuscire a informare adeguatamente il consumatore indurrebbe l’impresa ad organizzarsi in maniera più competitiva nonché ad acquisire il favore della controparte, che, se soddisfatta, sarà quindi verosimilmente portata a rivolgersi nuovamente alla medesima impresa in futuro.
229 X. X’XXXXX, Formazione del contratto, in Enc. dir., Xxxxxx, 2007, pp. 591 – 592.
230 Si tratta di un aforisma latino traducibile con “sapere è potere”, solitamente attribuito a Xxxxxxxxx Xxxxxx. In merito si ricordi la felice formula di un noto economista, secondo cui “Non è necessario dover ricordare agli accademici che l’informazione è una risorsa preziosa: la conoscenza è potere”: G.J. XXXXXXX, L’economia dell’informazione, in Mercato, informazione, regolamentazione, Bologna, 1994, p. 217.
Ebbene, ciò detto, la più rilevante distinzione da operarsi all’interno di una analisi che verta sull’informazione pre-contrattuale si concentra sulla finalità concreta in capo all’atto comunicativo.
Nello specifico, l’informazione pre-contrattuale rileva come strumento finalizzato a permettere ad entrambe le parti di un rapporto negoziale l’effettivo esercizio della libertà contrattuale, come tale espressione di autonomia privata.
Dunque, l’attività informativa appare come uno dei mezzi di creazione della conoscenza, al fine di favorire una scelta consapevole da parte del consumatore, che sia in grado di effettuare agevoli comparazioni con altre offerte analoghe presenti sul Mercato, tutte relative ad un prodotto il più possibile rispondente alle sue esigenze.
Ebbene, fino ad ora si è valorizzata l’importanza assunta dal bene giuridico informazione nel contesto del contratto asimmetrico stipulato tra consumatori e professionisti.
Tale rilievo ha portato a considerare come necessaria l’imposizione di un numero di dati e di informazioni sempre maggiore, concretata nella previsione di obblighi informativi in capo al professionista-parte forte nei confronti del consumatore-parte debole.
Eppure, detto ciò, l’aumento della quantità di informazioni a disposizione del consumatore non è stato accolto senza critiche e timori dalla dottrina. In particolare, si è osservato che non sempre la quantità di informazioni sia necessariamente a vantaggio del consumatore: infatti un numero eccessivo di obblighi informativi talora determina situazioni in cui il contraente, già inesperto della materia, diviene destinatario di numerosi dati estremamente dettagliati sul rapporto obbligatorio, non riuscendo a elaborarli (o a farlo in modo adeguato).
Siffatta situazione non comporta, allora, un vantaggio. Anzi: un quantitativo eccessivo di informazioni non acquisibili né ri-elaborabili equivarrebbe a non informare, o peggio, posto che il contraente debole non potrebbe valutare fruttuosamente tali informazioni, financo subendo un pregiudizio (invece di un beneficio) proprio a causa degli obblighi informativi. L’informazione, in sostanza, non è utile se il consumatore risulta cognitivamente incapace di analizzarla.
Di conseguenza, è evidente come il perseguimento degli scopi di tutela posti dal Legislatore (ossia la rimozione delle asimmetrie informative) non possa comportare la sola imposizione di obblighi informativi, dovendo invece accompagnarsi ad altri strumenti di intervento a
posteriori, quali il controllo sulle pratiche commerciali, il diritto di recesso e il controllo sul contenuto del contratto stesso.
Ebbene, come si avrà modo di considerare nel prosieguo231, i comportamenti del consumatore possono essere analizzati tramite il filtro di discipline alternative al diritto, costituenti una vera e propria nuova frontiera. Si tratta della Behavioural Law Economics232 e degli approdi delle stesse scienze cognitive.
La finalità di simili approcci consiste nell’individuare le modalità più efficaci attraverso cui fornire ai consumatori le informazioni di cui avrebbero bisogno, per permetter loro di assumere decisioni pienamente consapevoli.
Riprendendo quanto prima detto, occorre sottolineare come non esista una correlazione pacifica tra i concetti di informazione e consapevolezza: quindi, non sempre avere a disposizione il maggior numero di informazioni possibili consentirebbe ai consumatori di orientarsi verso la decisione migliore possibile per i propri interessi. Esplicativi in tal senso sono gli studi condotti dalla dottrina americana in tema di information overload233, con la cui espressione si intende “la situazione di eccesso di informazione a disposizione del consumatore, dal punto di vista della varietà di stimoli attesa al momento del compimento della scelta”234.
Sembra quindi evidente che la capacità umana di processare le informazioni risulti limitata235: fornire ai consumatori un quantitativo di informazioni impossibile da valutare personalmente, rapportandole ai propri bisogni in modo razionale, potrebbe avere conseguenze disfunzionali sul medesimo processo decisionale.
231 Specificamente v. Cap. IV.
232 X. XXXXXXXX (a cura di), I fondamenti cognitivi del diritto. Percezioni, rappresentazioni, comportamenti, Milano, Mondadori, 2008.
233 V., tra gli altri: N.K. XXXXXXXX, Information Load and Consumer Decision Making, in The Journal of Consumer Research, 8, iss. 4, 1982, pp. 419 – 430; ID., Reflections on the Information Overload Paradigm and in Consumer Decision Making, in The Journal of Consumer Research, 10, iss. 4, 1984; X. XXXXXXX –
J.W. XXXXX, Studies of the information-Seeking Behaviour of Consumers, in Cognition and Social Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxx, 0000; X. XXXXXX, Perspectives on a Consumer Information Processing Research Program, in Communication Research, 2, 1975, pp. 203 – 215; ID., Information Load and Decision Quality: Some Contested Issues, in Journal of Marketing Research, 14, 1977, pp. 569 – 573; J.E. RUSSO, More information is Better: a Re-evaluation of Xxxxxx, Xxxxxxx and Xxxx, in Journal of Consumer Resaearch, 1, 1974, pp. 68 –72.
234 D. L. XXXXXXX, Information Load and Consumers, The Journal of Consumer Research, vol. 4, iss. 3, 1977, p. 148.
235 X. XXXXXXXXXXXX & N.F. XXXXXXXXX, A Theory of Unconscious Thought, in Perspective on Psychological Science, 1, iss. 2, 2006; X. XXXXXXXXXXXX, Think Different: The Merits of Unconscius Thought in Preference Development and Decision Making, in The American Psychological Association, Journal of Personality and Psychology, 87, iss. 5, 2004, pp. 586 – 598.
Xxxxx i rilievi descritti, è evidente allora che il Legislatore debba interrogarsi su quale sia il metodo più utile alla valorizzazione delle informazioni nell’ambito della disciplina consumeristica: i rapidi sviluppi tecnologici dei prodotti aumentano rapidamente il patrimonio informativo che i professionisti potrebbero riversare sui consumatori.
Se questo è vero, è necessario che il Legislatore (a livello eurounitario e nazionale) si interroghi sull’opportunità di selezionare le informazioni maggiormente rilevanti da fornire al consumatore, così da evitare che una legislazione come quella in materia di obblighi informativi, anziché configurarsi nel solo interesse dei consumatori, e (di riflesso) del Mercato, risulti invece controproducente.
Un simile processo di valutazione potrebbe essere compiuto soltanto a livello legislativo (grazie all’opera degli interpreti e delle Autorità di settore), non potendosi invece assumere che il giudice sia tecnicamente idoneo a compiere tale controllo ex post.
È pur vero, tuttavia, che le informazioni non costituiscono l’unico parametro in base al quale i consumatori prendono le proprie decisioni: nel compiere le scelte, infatti, essi sono soggetti ad una pluralità di stimoli, esterni o interni, che ne condizionano soggettivamente le preferenze.
In conclusione, la problematica relativa alla condizione di asimmetria tra professionisti e consumatori travalica l’ambito dell’informazione, per approdare su profili ben più evanescenti236. A riguardo, sarebbe invero necessario operare controlli approfonditi nei confronti dei comportamenti stessi dei professionisti, per individuare il concreto disvalore e la capacità in grado di inficiare i processi decisionali dei singoli individui, a prescindere dalla concreta presenza di un’asimmetria informativa.
236 X. XXXXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXXX, Neuromarketing: Legal and Policy Issues. A Xxxxxxxxxx White paper, 2012 consultabile al sito xxx.xxx.xxx; X. XXXXXXXXXXX, Behavioral Economics, Neuroscience and the Unfair Commercial Practises Directive, in Journal of Consumer Policy, 34, 2011, pp. 377 – 392; M. FUSI, Pratiche commerciali aggressive e pubblicità manipolatoria, in Riv. dir. ind., I, 2009, pp. 5 – 29.
CAPITOLO III
DALLA RILEVANZA DELLA INFORMAZIONE ALLA PROBLEMATICA DELLA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI INFORMATIVI PRE-CONTRATTUALI
1. Alla ricerca di un rimedio contrattuale, partendo dalla dicotomia tra regole di validità e regole di comportamento: netta distinzione o possibile superamento del discrimen?
A questo punto della trattazione è bene recuperare la quaestio principale sul tema delle possibili conseguenze per i consumatori laddove sia concluso un contratto in violazione di norme prevedenti obblighi informativi.
Come noto, sono i cosiddetti “rimedi” gli strumenti finalizzati a riportare la vittima di un vizio collegato ad un abuso di debolezza contrattuale nella stessa posizione in cui si sarebbe trovata se non avesse concluso il contratto difettoso237. Del resto, si rammenti che “Il cuore del diritto civile è il contratto. E il cuore del contratto sono i rimedi contrattuali.”238.
Di qui si ricava l’importanza di prevedere un rimedio a tutela della situazione giuridica soggettiva ritenuta lesa.
Ebbene, obiettivo della presente Prima Parte della tesi è quello di analizzare nello specifico quali siano i rimedi contrattuali possibili a fronte della violazione di norme contenenti obblighi informativi pre-negoziali, a partire dall’intenso dibattito sviluppatosi in merito, fino alle modifiche operate dalla Direttiva 2011/83/UE, quantomeno negli auspici e, più in concreto, secondo il nuovo assetto dei riformati artt. 48 – 49 Cod. cons.
Una volta considerato il panorama dei rimedi de quibus, così come articolato tra dottrina e giurisprudenza, sarà necessario concentrarsi sui testi delle due attuali norme del Codice del consumo appena citate, rilevando se di vero e proprio “restyling” della tutela consumeristica sia effettivamente possibile parlare.
237 X. XXXXXXX, (voce) Unconscionability, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 2010, p. 1007.
In questo senso, è evidente la funzione riparatoria della responsabilità civile nel nostro ordinamento.
238 X. XXXXX, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contr. impr., 2005, p. 898.
*** ° ***
Il termine “rimedio” deriva dal latino remedium, letteralmente consistente in uno strumento volto a riparare una situazione negativa. Traslato sul piano della disciplina giuridica consumeristica, il rimedio è quindi approntato al fine di proteggere il contraente debole-consumatore che abbia subìto un danno nel complesso ambito del rapporto negoziale. E’ uno strumento di reazione ad un difetto del contratto che lede interessi meritevoli di tutela.
Tale può essere una definizione generale, onnicomprensiva dei rimedi in ambito contrattuale. Nello specifico, come noto, tentando una tassonomia di tali strumenti, è possibile impiegare diversi criteri, quali il modo di attivazione del rimedio, la natura dell’interesse tutelato, il momento di verificazione del difetto, o anche distinguerli in base alle conseguenze che ne derivano.
I rimedi, quindi, rappresentano il mezzo su cui è incentrata la protezione della (rectius, dalla) debolezza connotante i consumatori nell’ambito dei rapporti negoziali B2C. Ebbene, la problematica relativa ai rimedi deriva dall’esatta riconduzione degli obblighi informativi pre-contrattuali alla categoria delle “regole di validità” oppure a quella delle “regole di comportamento o di condotta”. Infatti, più precisamente, il quesito verte sul se sia qualificabile appunto come “regola di validità” la norma che impone un siffatto obbligo informativo.
Si comprende, allora, come appaia preliminarmente necessario vagliare il tema del
discrimen tra le due tipologie di regole239.
Ebbene, le regole di validità sono norme tipicamente formali, quindi espressamente “formalizzate” dal Legislatore: esprimono criteri attinenti alla struttura del fenomeno
239 La distinzione risale a X. XXXXXXXXX, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Xxxxxx, 0000.
Si vedano inoltre: X. XXXXXX, Regole di validità e di responsabilità, cit.; X. XXXXXXXXXXXX, Regole di validità e di comportamento: i principi ed i rimedi, in Europa e dir. priv., 2008, pp. 599 ss.; X. XXXXXXX, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, cit., pp. 111 ss.; ID., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, pp. 38 ss.; X. XXXXX, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppo di un nuovo paradigma, in ID., Il contratto del duemila, Torino, 2002, pp. 46 ss.; X. X’XXXXX, Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996;
X. XXXXX, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, p. 270; X. XXXXXXX, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, p. 68; P. BARCELLONA, Profili della teoria dell’errore nel negozio giuridico, Milano, 1962, pp. 202 ss.
negoziale240. Si tratta di regole che riguardano il contratto inteso come atto, relative dunque alla sua struttura.
Invece, le regole di responsabilità o di correttezza “si atteggiano (almeno apparentemente) come tipiche ‘clausole generali’, il cui contenuto precettivo non è direttamente indicato dalla legge, ma si desume da forme sociali tipizzate alla stregua di standards comportamentali dai contorni per lo più abbastanza ampi.”241.
Si tratta di regole che si atteggiano come clausole generali finalizzate al rispetto di determinati modelli comportamentali: “Le regole di validità vedono nell'atto di autonomia un dato oggettivo di valutazione e di qualificazione, laddove le regole di responsabilità richiedono che la condotta sia imputabile al soggetto e che sia sorretta da un preciso elemento psicologico. Si è pertanto indotti a riflettere su una necessaria autonomia dei due tipi di regole. Autonomia che ha portato sicuramente la dottrina tradizionale ad affermare l'esclusione dell'influenza delle regole di responsabilità sulle regole di validità.”242.
A questo punto è possibile introdurre un ulteriore criterio distintivo per il contratto, sotto il profilo cronologico: oltre ad essere inteso come atto o come rapporto, il contratto è differentemente considerato in base alla fase di riferimento: quella antecedente la formazione del vincolo, quella in cui è ormai un accordo formato, ed infine la fase in cui il contratto è un rapporto da eseguire.
Ciò detto, le regole di validità sono regole di struttura attinenti al contratto come accordo formato, mentre le regole di responsabilità si inquadrano nella fase che precede la formazione dello stesso.
Sul piano del principio generale di buona fede, allora, i riferimenti normativi saranno gli artt. 1337 cod. civ. (buona fede nelle trattative) e 1375 cod. civ. (buona fede nell’esecuzione del contratto).
Ebbene, speculando sul punto, generalmente si ritiene che l’obbligo di bona fides (una delle tre clausole generali presenti nel nostro ordinamento) si declini solo in regole di comportamento, con conseguente configurazione di una responsabilità pre-contrattuale da
240 X. XXXXXXXXX, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, pp. 156 – 157: “(..) La struttura (..) risulta da quel complesso di disposizioni che contengono la disciplina del negozio, ponendo i requisiti perché esso sia vincolante, in concreto, fra le parti: norme rispetto alle quali si giustifica ancora una costruzione di carattere logico-formale (..)”.
241 X. X’XXXXX, Regole di validità, cit., p. 10.
242 X. XXXXXX, cit.
contratto valido (come si avrà modo di argomentare più precisamente oltre nel presente lavoro).
Pertanto, in tale ambito, sarebbe chiaro il netto discrimine tra regole di validità e regole di comportamento.
Invero, nonostante gli approdi cui è pervenuta la maggioranza degli Autori, è ancora oggi attuale la questione afferente all’autonomia propria di tali due tipi di regole, ed al conseguente principio di non interferenza tra regole di validità243, da un lato, e regole di comportamento, dall’altro, nonché al suo possibile superamento244.
243 Come si avrà modo di approfondire, il principio di non interferenza tra regole di validità del contratto e regole di correttezza è stato oggetto di particolar attenzione in giurisprudenza, soprattutto a partire dagli Anni ’90, in special modo nell’ambito dei contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari.
244 A favore della netta distinzione, in dottrina: X. XXXXX, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Xxxxxxx, in Danno resp., 2008, pp. 536 ss.; X. X’XXXXX, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, 1, pp. 40 ss.; ID., Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996.
In giurisprudenza, v.: Cass., civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 – 26725; Cass. civ., 29 settembre 2005, n. 19024; Cass. civ., 25 settembre 2003, n. 14234, in Contr., 2004, pp. 145 ss.; Cass. civ., 14 luglio 2000, n. 9321, in Corr. giur., 2000, pp. 1479 ss., con nota di X. XX XXXX, La buona fede correttiva di regole contrattuali; Cass. civ., 20 aprile 1994, n. 3775, in Foro it., 1995, I, pp. 1296 ss.; Cass. civ., 18 ottobre, 1980,
n. 5610, in Arch. civ., 1981, pp. 133 ss.
A favore di una commistione tra le due tipologie di regole v.: A. ALBANESE, Non tutto ciò che è “virtuale” è razionale: riflessioni sulla nullità del contratto, in Eur. dir. priv., 2012, pp. 535 ss.; X. XXXXXXX, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, cit., pp. 241 ss.
In senso ancora più netto: X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, cit., passim; X. XX XXXXXXX, Correttezza e diligenza precontrattuali: il problema economico, in Riv. dir. comm., 1999, p. 586, secondo cui “l’interferenza tra regole di comportamento e responsabilità da un lato e regole di validità dall’altro è presente nel codice e nella giurisprudenza”; X. XXXXXXX, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. impr., 1997, pp. 418 ss. e 423 ss.; X. XXXXX, Buon costume e buona fede, Napoli, 1973, p. 252: “L’autonomia dei due tipi di regole non ne esclude (..) la complementarietà dal momento che non sempre la illiceità dell’atto di autonomia è imputabile in egual misura ai contraenti, costituendo spesso la sua imposizione il risultato della disparità di potere già esistente sul piano economico- sociale fra i soggetti contraenti.”; X. XXXXXX, La clausola generale di buona fede è, dunque, un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. impr., 1999, pp. 21 ss.; X. XXXXXXXX, La buona fede tra regole di condotta e regole di validità nella tutela del contraente debole, in X. XXXXXX – X. XXXXXXX (a cura di), Studi in memoria di Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx, II, Napoli, 2003, pp. 578 ss.; ID., Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali (a proposito di Xxxx., sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725), in Contr. impr., 2008, p. 953; T. FEBBRAJO, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle S.U., in Giust. civ., I, 2008, pp. 2785 ss.; I. XXXXXXXX, Dolo incidente e regole di correttezza, Napoli, 2010, pp. 95 ss.; X. XXXXXXXX, Regole di condotta e regole di validità: verso il superamento del principio di non interferenza, in Corti salernitane, 2012, pp. 339 ss.; F. RENDE, Informazione e consenso nella costruzione del regolamento contrattuale, Milano, 2012, pp. 224 ss.
Ed ancora, nel senso della necessità di superare la distinzione de qua, v.: X. XXXXXXXXXX, Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione “a valle”, Napoli, 2009, pp. 73 ss., 157 ss.
Ancora. X. XXXXX, Contratto di diritto comune, cit., pp. 81 ss., spec. p. 81, pur da un lato aderendo alla distinzione prescritta dal principio di non interferenza, ravvisa la necessità di ripensarlo “alla luce sia di dati già da tempo presenti all’attenzione dell’interprete, sia soprattutto di dati nuovi che emergono dai più recenti sviluppi della giurisprudenza e ancor più della legislazione.”; p. 82: “All’erosione della barriera che tradizionalmente separa regole di validità e regole di comportamento/responsabilità concorrono poi certi
L’attualità del tema è determinata soprattutto dal contenuto dei più recenti atti di legislazione eurounitaria, in specie relativi agli obblighi di informazione.
Procedendo con ordine, la linea di demarcazione tra le due categorie di regole appena delineate sarebbe molto netta, e del resto tali differenze appaiono di rilievo, nonostante “La questione dei rapporti tra i due tipi di regole appare all'interprete subito impervia, giacché riguarda la sensibilità necessariamente diversa e dunque soggettiva di ciascuno con riferimento alla concezione di autonomia negoziale.”245.
Più precisamente, la dicotomia del sistema è netta, ma non assoluta. “Affermare che la norma è di validità (e non di comportamento) qualora il Legislatore abbia previsto espressamente l’invalidità come conseguenza della sua violazione è tautologico e inutile. Viceversa il principio di non interferenza, se configurabile, dovrebbe in realtà operare soltanto là dove, in presenza della violazione di una norma imperativa, non è prevista una sanzione di invalidità. In tale ipotesi dovrebbe essere l’interprete, tramite il ricorso al suddetto principio, a scegliere tra risarcimento e invalidità. In altre parole, quindi, il criterio di non interferenza dovrebbe servire unicamente per risolvere i casi dubbi di invalidità virtuale.”246.
Ebbene, proprio su tali considerazioni deve operarsi un ragionamento. Innanzitutto, è ben possibile affermare che, attualmente, sia qualificata come “norma imperativa”247 anche
sviluppi della giurisprudenza, relativi all’impiego del principio di buona fede contrattuale. (..) giurisprudenze recenti, accogliendo suggestioni dottrinali, cominciano a spostare la funzione del principio di buona fede sul diverso terreno del giudizio di validità/invalidità del contratto. (..) è di fine anni ’90 la decisione che dichiara una certa clausola del leasing (che trasferisce a carico dell’utilizzatore il rischio della mancata consegna del bene) invalida, e precisamente nulla, semplicemente perché ‘viola il principio dell’esecuzione del contratto secondo buona fede’ (Cass. n. 10926/1998).”.
Autorevole posizione deriva anche da X. XXXXX, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile, Sacco, Torino, 1993, p. 498.
In giurisprudenza v.: Cass. civ., 6 giugno 2002, n. 8222, in Danno e resp., 2002, pp. 941 ss.
245 X. XXXXXX, cit.
246 X. XXXXXXXXXXX, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, in Il foro napoletano, Quaderni, 5, Napoli, 2013, p. 19.
247 In passato di riteneva che una norma potesse ritenersi “imperativa” laddove sia posta a tutela di un interesse generale-pubblico.
Laddove, invece, la tutela fosse rivolta ad un interesse individuale, si sarebbe dovuta negare la natura imperativa, e riconoscerne il carattere dispositivo.
Ciò detto, attualmente la distinzione non è più così netta, ma anzi si è progressivamente assistito ad un’evoluzione del concetto stesso di norma imperativa. Infatti, come si ricava dalla stessa legislazione speciale-consumeristica, le norme imperative sono ivi poste a tutela di interessi privati, determinandosi l’estensione della qualifica “imperativa” ad altre norme che sono dirette alla protezione del singolo contraente.
La tutela corrisponde alla nullità di protezione a favore dei consumatori.
quella volta a tutelare interessi propriamente privati, e non invece soltanto un interesse pubblico (come si riteneva in passato). In tal senso, un forte esempio deriva dalla disciplina consumeristica: in passato si riteneva che essa non avesse natura imperativa perché appunto prevista a favore del singolo contraente debole.
Tuttavia, le violazioni di queste norme giuridiche sono spesso sanzionate con la nullità: l’assunto tradizionale verrebbe dunque meno dinanzi ad alcuni strumenti elaborati dal Legislatore proprio a tutela dei consumatori.
Ed infatti oggi la concezione risulta invertita, e quindi ben possono essere considerate imperative le norme poste a protezione dei consumatori.
È evidente che il problema qualificatorio si ponga laddove per la violazione di una norma, pur imperativa, non sia espressamente previsto un rimedio demolitorio. È appunto in questi casi che l’applicazione del principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento appare utile: esso, infatti, sancirebbe la differenza tra norme imperative, cui dovrebbe ricollegarsi sempre un rimedio demolitorio, e norme che, pur essendo di carattere imperativo, conoscono, in caso di loro mancato rispetto, un differente rimedio, per lo più risarcitorio.
Tuttavia, nel diritto positivo non v’è norma che sancisca tale seconda affermazione: perfino l’art. 1418 comma 1 del codice civile prevede che il contratto è nullo se “contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.”.
Ciò detto, in relazione alla natura delle “norme imperative” ed altresì alla distinzione tra “regole di validità” e “regole di comportamento”, pare tuttavia corretto affermare che qualsiasi norma giuridica, a prescindere dal suo collocamento nell’una o nell’altra di tali ultime categorie, costituisca uno “strumento di valutazione del comportamento dei consociati”248. E questo è certamente ovvio per le cosiddette regole “di comportamento”, data appunto la relativa denominazione. Eppure, allo stesso modo si potrebbe dire per le regole di validità: in primis, la norma giuridica è elaborata per coordinare tra loro interessi, e quindi bisogni, di più soggetti. Siffatto coordinamento avviene attraverso il “riordino” delle posizioni dei soggetti (specie laddove in conflitto tra loro).
248 X. XXXXXXXXXXX, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, cit., p. 20.
Ne consegue che il vivere sociale sia, almeno in teoria, ordinato ed altresì controllato mediante le diverse norme giuridiche e le regole da esse derivanti249.
Di più. È stato in proposito rilevato anche che le due categorie di norme imperative non presenterebbero una struttura logica differente, ed anzi entrambe troverebbero fondamento unitario nel principio di buona fede250.
Lungo questa direzione, in dottrina, si è poi valorizzata la considerazione dell’assenza di una norma giuridica che a priori preveda come impossibile la conseguenza consistente nella invalidità del contratto concluso a fronte della violazione di una regola di condotta251. Più nello specifico, allora, si tratta di capire se, ed entro quali limiti, alla violazione del generale obbligo di comportamento secondo buona fede possa eventualmente seguire la invalidità del contratto stipulato.
Per vero, il confine tende talora a “scolorire” ad esempio nel caso (emblematico) del dolo determinante del consenso di controparte: anzitutto, laddove vi sia dolo, è delineata una scorrettezza nel comportamento, ma quel che più rileva è che se il dolo sussistente nella fase che precede l’accordo è determinante, esso comporta la violazione di una regola di comportamento che dà la stura al rimedio dell’annullabilità, dunque ad una delle forme di invalidità del contratto.
Ebbene, come noto, al dolo determinante252 segue l’annullabilità del contratto inficiato a fronte del disposto di cui all’art. 1439 cod. civ., in presenza di raggiri tali da indurre la controparte a contrattare mentre, senza di essi, non avrebbe stipulato.
249 A riguardo v. X. X’XXXXX, Regole di validità, cit., p. 12: “(..) si tratta di chiedersi se alle ‘regole di validità’ possa attribuirsi il significato di fissare (anche), sia pure indirettamente, la soglia della moralità e correttezza che l’ordinamento si preoccupa di garantire in fase di contrattazione, con la conseguenza che, restandosi al di qua di detta soglia, il comportamento sia per il diritto da considerarsi incensurabile (per quanto moralmente riprovevole).”.
250 X. XXXXXXXXX, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., pp. 104 ss. In specie p. 112: le regole di validità e di comportamento “si distinguono solamente per la diversa funzione”, ossia nel primo caso garantire la certezza sull’esistenza dei fatti giuridici, e nel secondo pervenire alla giustizia sostanziale, alla distribuzione di vantaggi e svantaggi derivanti dal contratto, secondo l’onestà di ogni parte.
Nel senso del fondamento unitario, ravvisato però nell’art. 1337 cod. civ., è X. XXXXX, in X. XXXXX – G. DE NOVA, Il contratto, I, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 1993, pp. 355 ss.
251 X. XXXXXXXXXXX, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, cit., pp. 21 ss.
252 C.A. FUNAIOLI, (voce) Dolo (dir. civ.), in Enc. dir., XIII, 1964: “Il dolus malus determinante (causam dans) che è causa di annullamento dei negozi, si distingue dal dolus incidens, non perché si tratti di una diversa figura di dolo (o solo di una diversa intensità di questo), ma perché diverso è l'oggetto, su cui cadono le conseguenze dell'inganno: occorre infatti, per l'annullabilità, che il dolo (determinante della volontà) cada su un elemento o circostanza essenziale, nel senso che il comportamento o le dichiarazioni in mala fede
E lo stesso vale per l'art. 33 Cod. cons.: in caso di clausole vessatorie stipulate in violazione della buona fede oggettiva, quindi in violazione di una regola di comportamento, è previsto il rimedio della nullità della clausola medesima.
Pertanto, ivi la regola di comportamento comporta le medesime conseguenze di una regola di validità, ed anzi la prima effettivamente diviene una regola di validità. Il Legislatore transcodifica la regola di comportamento pre-contrattuale in regola di validità, ma, se così non fosse stato, essa sarebbe stata una regola di responsabilità.
Tuttavia, in generale, senza una previsione legislativa che qualifichi una regola di comportamento come regola di validità, la norma dovrebbe essere, appunto, una regola di responsabilità, ciò comportando la (persistente) validità del contratto e l’(eventuale) configurarsi di una responsabilità pre-contrattuale.
Ricapitolando, quindi, se anche il Legislatore prevede ipotesi in cui regole di comportamento si tramutano in regole di validità, il principio di non interferenza sarebbe confermato: infatti dall’eccezione si giunge così alla regola.
La questione ha visto coinvolte dottrina e giurisprudenza, tese a valutare se i confini delle due categorie di norme, e soprattutto se i rimedi prevedibili come conseguenza per la loro violazione siano così rigidi e nettamente distinti l’uno dall’altro.
Ad esempio, risposta negativa in merito è stata data, a fine Xxxx ’90 (e come già prima di allora), dalla Suprema Corte di Cassazione253, intervenuta sulla validità di una clausola inserita in un contratto di leasing finanziario, tramite cui l’utilizzatore finale era gravato del rischio della mancata consegna del bene da parte del finanziatore.
In tale occasione il Collegio ha ravvisato una violazione del principio di esecuzione del contratto in buona fede, principio quest’ultimo considerato inderogabile e limitativo dell’autonomia privata: essa sola avrebbe determinato la nullità della clausola inserita ex art. 1418, comma 1, cod. civ., o la inefficacia del contratto o ancora, ex art. 1419 cod. civ.,
del deceptor costituiscano in concreto la ragione unica o principale per cui è posto in essere il negozio (il che invece non è richiesto nell'art. 1429 c.c. per l'essenzialità dell'errore).”.
253 Cass. civ., 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, p. 3081, con nota di X. XXXXXX, La clausola generale di buona fede, cit., p. 24, e di X. XXXXXXXX, in Giust. civ., fasc. 12, 1999, pp. 3385 ss.
di singole xxx xxxxxxxx, così trasferendo il principio di buona fede sul terreno del giudizio di validità dell’atto254.
Ebbene, su tali disposizioni si articolano le argomentazioni di chi sostiene la sostanziale autonomia tra regole di validità e regole di buona fede255.
Invero, già nella stessa disciplina del Codice del consumo è riscontrabile una certa sovrapposizione tra le due tipologie di regole: ad esempio, ex art. 33 Cod. cons., come testualmente riporta la norma, la buona fede è intesa quale criterio in riferimento al quale deve essere valutata la vessatorietà di una clausola. Nello specifico, la formula adottata dal Legislatore (“malgrado la buona fede”) è stata oggetto di diverse interpretazioni: una prima tesi (minoritaria) ha sostenuto che una clausola comportante un significativo squilibrio contrattuale sarebbe reputata vessatoria pur se al proponente non fossero imputabili comportamenti contrari alla buona fede pre-contrattuale256. Altro orientamento, invece, ha ritenuto che siffatta disposizione dovesse valutarsi nel senso che la clausola è “vessatoria” laddove il significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi si mostri contrario a buona fede, comportando la possibilità di dichiarare la nullità (di protezione) delle clausole ex art. 36 Cod. cons.
Se questo vale nell’ambito consumeristico, si deve più specificamente trattare del contesto giuridico in cui maggiore è stato dibattuto il tema delle regole di validità e di condotta: quello dei contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari.
Nel solco degli scandali avvenuti negli Anni ’90 (relativi ai bond argentini e alle obbligazioni Cirio e Xxxxxxxx), l’attenzione è stata concentrata sulla posizione di investitori e risparmiatori che all’epoca subirono ingenti danni economici, e le cui pretese si fondavano proprio sulla asserita nullità dei contratti di intermediazione ai sensi dell’art. 1418, comma 1, cod. civ.
La responsabilità era ravvisata in capo agli intermediari finanziari, che non avevano rispettato il T.U.F. e il Regolamento Consob 1° luglio 1998, n. 11522, attuativo del primo.
254 X. XXXXX, Contratti di diritto comune, del consumatore, con asimmetria di potere contrattuale, in ID.,
Il contratto del duemila, Torino, 2011, p. 82.
255 Vedi, fra tutti, X. XXXXXXXXXXX, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, cit.; X. XXXXXXXXX, “Vizi incompleti” del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995; X. XXXXXXX, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. impr., 1993,
p. 2.
256 X. XXXXXXX, Problemi di integrazione della disciplina dei «contratti del consumatore» nel sistema del codice civile, in Studi in onore di Xxxxxxxx, III, Obbligazioni e contratti, Milano, 1998, p. 543.
Ai sensi dell’art. 21 del T.U.F. si ricavano gli obblighi a carico degli intermediari, i quali devono in primis comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nonché acquisire le informazioni necessarie dai clienti, e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati (lett. b)).
Su queste premesse si è mossa la maggior parte della successiva giurisprudenza di merito, formandosi però un variegato ventaglio di rimedi.
Ciò fa comprendere come la questione, nonostante la connotazione marcatamente finanziaria, in realtà abbia in sè complesse implicazioni sul fronte civilistico, e implichi conseguenze da considerare entro il contesto del contratto medesimo e dei rimedi contrattuali257.
Le menzionate complesse questioni hanno, com’era evidente, richiesto infine l’intervento della Corte di Cassazione, di cui si devono ricordare (quantomeno) tre pronunce, tutte comprese tra gli Anni 2005 e 2007.
In primo luogo, con la sentenza n. 19024/2005258, il Collegio ha affrontato temi quali la nullità virtuale per contrarietà a norme imperative, il principio di autonomia tra regole di validità e regole di comportamento, al contempo analizzando l’area della responsabilità pre-contrattuale e dell’entità del danno risarcibile.
In questa occasione si è colta l’occasione per chiarire, anzitutto, i confini di operatività della nullità “virtuale” ex 1418, comma 1, cod. civ., affermando che tale rimedio postula che la contrarietà a norme imperative “attenga ad elementi ‘intrinseci’ della fattispecie negoziale,
257 X. XXXXX, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e risarcimento (ovvero, l’“ambaradan” dei rimedi contrattuali), in Contr. e impr., 2005, p. 898.
258 Cass. civ., Sez. I, 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, pp. 1105 ss.; in Xxxxx e resp.,2006, 1, pp. 25 – 36, con commento di X. XXXXX – X. XXXXXXX, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale; in I contratti, 2006, 5, pp. 446 – 459, con commento di F. POLIANI, La responsabilità precontrattuale della banca per violazione del dovere di informazione; in Nuova giur. civ. comm., 2006, parte prima, pp. 897 – 916, con commento di X. XXXXXXX, “Intermediazione finanziaria e violazione degli obblighi informativi: validità dei contratti e natura della responsabilità risarcitoria”; in Nuova giur. civ. comm., 2006, parte prima, pp. 897 – 916; con nota di GENOVESI, in Corr. giur., 2006, p. 670, Limiti della “nullità virtuale” e contratti su strumenti finanziari.
Conf. nella giurisprudenza di merito: Trib. Trani, 6 marzo 2007; Trib. Bergamo, 26 giugno 2006, su xxxxxx.xx; Trib. Foggia, 30 giugno 2006, in Contratti, 2007, p. 423, con nota di XXXXXX, La responsabilità precontrattuale dell’intermediario per violazione degli obblighi di informazione.
In realtà la Cassazione aveva già implicitamente fatto proprio il principio in Cass. civ., 16 ottobre 1998, n. 10249, in Giust. civ., 1999, I, p. 89; in Xxxxxxxxx, 1999, pp. 329 ss.; in Xxxxx e resp., 1999, pp. 419 ss.
In dottrina, a favore della soluzione qui prospettata, si erano già schierati anche X. XXXXXXXXX, La formazione del contratto, II, Milano, 1974, p. 19; X. XXXXX, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, in part. pp. 258, 450, 587.
che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, comma 2 c.c.). I comportamenti tenuti dalla parte, invece, rimangono estranei alla fattispecie negoziale e s’intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto; a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal Legislatore.”259.
Conclusivamente, secondo tale pronuncia, solo la violazione delle regole di validità può giustificare il ricorso alla nullità.
È però necessario, a questo punto, approfondire il significato delle parole impiegate dal Collegio, al fine di comprenderle appieno. Ed infatti, gli “elementi intrinseci della fattispecie negoziale” che, laddove violati, comportano nullità virtuale, sono relativi tanto alla struttura quanto al contenuto del contratto260.
Nello specifico, si deve analizzare il riferimento al “contenuto” del contratto, posto che le violazioni influenti sulla “struttura” darebbero luogo a nullità appunto strutturale (art. 1418, comma 2, cod. civ.)261, così finendo per erodere l’ambito delle nullità virtuali262. È pur vero però che “la vicinanza tra le disposizioni del comma 1° e del comma 2° dovrebbe portare ad escludere che tra il contratto contrario a norme imperative ed il contratto con causa ed oggetto illeciti vi possa essere identità di nozione, dal momento che una ripetizione di norme in successione apparirebbe anche quanto mai illogica”263.
Al contempo, la distinzione tra le due nullità di cui al comma 1 e al comma 2 dell’art. 1418 cod. civ. assume rilievo non solo a livello astratto ma anche sul piano della disciplina: infatti, il comma 2, omettendo l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente” di cui
259 La pronuncia della Suprema Corte si pone, pertanto, in netto contrasto con quei suoi stessi precedenti in cui, invece, aveva ammesso la configurabilità della nullità del contratto per contrasto con regole di buona fede (Cass. civ., Sez. I, 26 ottobre 1995, n. 11151 e Cass. civ., Sez. III, 2 novembre 1998, n. 10926).
260 X. XXXXXXXXXXX, Nullità virtuali di protezione?, in Contratti, 2009, p. 1040; X. XXXXX, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, in Danno e resp., 2008, p. 536.
261 X. XXXXX – X. XXXXXXX, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale , in Danno e resp., 2006, p. 32; X. XXXXX, La nullità virtuale del contratto dopo la sentenza Rordorf, cit., p. 540. Al riguardo anche X. X’XXXXX, Nullità virtuale – Nullità di protezione (variazioni sulla nullità), cit., p. 732.
262 La ratio delle nullità virtuali è comminare l’invalidità per violazioni di norme imperative quando ciò non sia esplicitato dal Legislatore.
263 X. XXXXX, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, p. 126. Al riguardo, A. DI MAJO, La nullità, in A. DI MAJO – G.B. XXXXX – X. XXXXXXXX (a cura di), Il contratto in generale, nel Tratt. Dir. Priv., diretto da X. Xxxxxxx, Vol. XIII, t. VII, Torino, 2002, p. 74.
al comma 1, non permette all’interprete di escludere la conseguenza della nullità. Se, invece, si ricade nell’ambito di applicazione del comma 2, il contratto è sempre nullo.
Tale differenza nell’offrire autonoma rilevanza all’interpretazione del comma 1 dell’art. 1418 cod. civ. conferma l’opportunità di distinguere il caso in cui il contratto sia contrario a norme imperative da quelle ipotesi in cui il contratto risulti nullo per illiceità della causa o dell’oggetto.
Inoltre, la disciplina del contratto illecito può essere deteriore rispetto alla disciplina riservata al negozio nullo ma non illecito, come confermato da diverse norme quali gli artt. 1972, 2126 o 1417 cod. civ.
Il contrasto con una norma imperativa (da cui scaturisce nullità di tipo virtuale) dovrebbe riguardare altri elementi del regolamento contrattuale, non la causa o l’oggetto (il riferimento è ad esempio alla situazione in cui il contratto sia proibito solo entro certi limiti o entro certe condizioni).
Specificamente, in relazione allo spazio applicativo del rimedio della nullità virtuale264, si deve ricordare come in dottrina si sia sostenuto che “l’art. 1418, co. 1, c.c., è comunque in grado di assolvere la funzione, a esso storicamente assegnata dai suoi compilatori, di norma generale di chiusura volta a disciplinare le conseguenze della violazione di divieti legali privi di un’espressa comminatoria circa la sorte del contratto vietato, attraverso la previsione di una «ragione autonoma» di nullità, diversa da quelle già riconducibili ai concetti di illiceità della causa e/o dell’oggetto”265 ed inoltre che “il contrasto con norme imperative può riguardare anche altri elementi del regolamento contrattuale come ad esempio avviene nel caso in cui le parti abbiano violato un divieto soggettivo di contrarre che proibisca un determinato assetto negoziale non in termini assoluti, ma solo in quanto ad esso prendano parte soggetti privi di determinati requisiti ed abilitazioni”266.
Successivamente, la Corte di Cassazione267 ha opinato in senso differente, sostenendo che nella legislazione speciale si possa assistere ad un progressivo superamento della netta distinzione tra regole di responsabilità e regole di validità, posto che, spesso, a fronte della
264 X. XXXXX – X. XXXXXXX, Xxx contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, pp. 29 ss., in Danno e Resp., 2006, 1.
265 X. XXXXXXXX, Regole di condotta e regole di validità nell’attività d’intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corr. giur., 1, 2008, pp. 107 – 122, ma anche la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite si esprimerà nello stesso senso nella sentenza 19 dicembre 2007, n. 26724.
266 Ibidem.
267 Cass. civ., (ord.) 16 febbraio 2007, n. 3683.
violazione di doveri di comportamento è dalla legge previsto il rimedio della nullità dell’atto.
In seguito, nel 2007, le Sezioni Unite sono state sollecitate sul contrasto tra gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in relazione alla configurabilità o meno della nullità virtuale a fronte della violazione degli obblighi di informazione. Il Collegio si è pronunciato a riguardo, nel suo più autorevole consesso, il 19 dicembre 2007 con le due sentenze gemelle nn. 26724 e 26725268.
Le decisioni de quibus assumono come punto di partenza la previa Cass. civ. n. 19024/2005, sostanzialmente confermando quanto da questa affermato, ossia che “(..) il dovere di buona fede e i generali doveri di comportamento sono troppo immancabilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo regole predefinite.”. Infine, una evidente prova del superamento della rigida linea di demarcazione tra regole di validità e regole di correttezza può essere offerto dalla quaestio inerente al tema della caparra confirmatoria269. Xxx è stato attribuito al giudice il potere di sindacare l’equilibrio della stessa, ex art. 1418 cod. civ. e per il tramite dell’art. 2 Cost.
La Corte costituzionale ha appunto precisato che tale ultima disposizione entri direttamente all’interno del contratto, in combinato con la clausola generale della buona fede stessa.
In proposito, e specificatamente quanto al tema sulla meritevolezza delle clausole claims made270, le Sezioni Unite della Cassazione sono state parimenti sollecitate a intervenire.
268 Cass. civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e 26725, in Danno e resp., 2008, pp. 525 ss., con nota di
X. XXXXX, La nullità del contratto dopo la sentenza Rordorf; in Diritto fallimentare, 2008, pp. 1 ss., con nota di X. XXXXXXX, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione (S.u.) 19 dicembre 0000,
x. 00000; in Giust. civ., 2008, I, pp. 2785 ss., con nota di T. FEBBRAJO, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite; in Giur. comm., fasc. 3, 2008, pp. 604 ss., con nota di X. XXXXX, Le Sezioni Unite sciolgono i dubbi sugli effetti della violazione degli obblighi di informazione; in Le Società, 4, 2008, pp. 455 ss., con nota di X. XXXXXXXXXXXX, Regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria: l’intervento delle S.U.; in Foro it., 2008, pp. 784 ss., con nota di X. XXXXXXXX, La violazione delle regole di comportamento dell’intermediario finanziario e le sezioni unite; con commento di X. XXXXXXX, Regole di validità e di responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in Obbligazioni e Contratti, 2, 2008, pp. 104 – 108.
269 Si tratta dell’ordinanza della Corte costituzionale, 2 aprile 2014, n. 77, in Contratti, 2014, pp. 927 ss., con nota di X. X’XXXXX, Applicazione diretta dei principi costituzionali e nullità della caparra confirmatoria “eccessiva”.
270 Cass. civ., Sez. III, ord. 19 gennaio 2018, n. 1465, in Resp. civ. prev., fasc. 3, 2018, pp. 901 ss., con nota di X. XXXXXXX, Sinistro, danno e rischio nell’assicurazione della responsabilità civile.
Ebbene, il richiamo al principio di solidarietà sociale nella clausola di buona fede pare contrastare con il pacifico orientamento che riconosce la netta alternatività tra regole di validità e regole di condotta, relegando il parametro della correttezza alla seconda di tali categorie.
Se questo è lo stato dell’arte sul piano giurisprudenziale quanto alla violazione delle regole di comportamento, è comunque possibile anticipare un dato che sarà in seguito ripreso e ulteriormente approfondito: sembra potersi sostenere che anche in presenza di chiare regole di invalidità testuale si ponga l’esigenza di considerare il caso concreto, non essendo possibile prescindere dalla concretizzazione e dal controllo di conformità del rimedio rispetto all’interesse che tale rimedio deve soddisfare271.
In conclusione, la possibilità che la violazione di una regola di comportamento dia luogo a nullità parrebbe essere stata addirittura implicitamente riconosciuta.
Pertanto, a fronte di tale ultima considerazione, è necessario vagliarne la fondatezza (constatata l’assenza di norme ad hoc che vi si riferiscano), mantenendo fermo il bisogno di argomentare una simile eventuale conclusione, soprattutto al fine di confermarla, pur prospettandone i limiti, o di negarla, aprendo ad altre considerazioni, ed infine sempre guardando ai futuri approdi prospettabili a livello legislativo, tanto eurounitario quanto interno.
2. Introduzione alle diverse tesi elaborate a fronte della violazione di norme contenenti obblighi informativi.
Xxxxx i rilievi di cui sopra, una considerazione risulta fondamentale: infatti, nonostante l’autorevolezza della sopra richiamata pronuncia a Sezioni Unite272, essa non solo per questo deve essere ipso facto accolta. Piuttosto, sono fondamentali analisi ragionate (financo eventualmente sfocianti in critiche) che ne confermino, o meno, l’orientamento.
271 In questo senso vedi X. XXXXXXXXXXX, L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, cit., pp. 36 ss.
272 Si tratta, come ormai già ribadito, di Cass. civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e 26725.