UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
“IL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE: EFFICACIA, CONTENUTI, PROSPETTIVE”
Relatore:
Xxxxx.xx Prof. Xxxxx Xxxxxxx
Candidato:
Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxx Xxxxx
Anno accademico 2021-2022
Indice
Il contratto collettivo aziendale come fenomeno giuridico 5
1.1 Nozione o nozioni di contratto collettivo aziendale? 5
1.2 I soggetti della contrattazione collettiva aziendale 6
1.2.2 Le R.S.A. e le R.S.U.: cenni storici 12
1.3 Il contenuto del contratto collettivo aziendale 21
1.3.1 Differenze contenutistiche tra il contratto collettivo aziendale e il CCNL 21
1.3.2 Il contenuto del contratto collettivo aziendale 27
1.4 L’efficacia del contratto collettivo aziendale 34
1.4.1 L’efficacia nello spazio 36
1.4.2 L’efficacia nel tempo 37
1.4.3 L’ efficacia soggettiva 38
1.5 Le dinamiche contrattuali: la formazione del contratto collettivo aziendale 41
1.6 La perdita di efficacia del contratto collettivo aziendale: recesso, mancato rinnovo e successione dei contratti 43
Il contratto collettivo aziendale nel sistema delle fonti 53
2.1 Il sistema delle fonti negoziali: rapporto tra fonti e passaggio dalla contrattazione articolata al decentramento negoziale 53
2.3 L’ art. 8 del DL 138/2011 74
2.3.1 Dubbi di costituzionalità dell’art. 8 82
2.3.2 L’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale dell’art. 8: brevi cenni 87
2.4 Risvolti pratici del decentramento negoziale: cenni al lavoro agile 90
Cenni comparatistici alla contrattazione collettiva aziendale nel Regno Unito 93
3.1 Il modello di relazioni industriali anglosassoni: le “trade unions” 93
3.2 La contrattazione collettiva aziendale nelle relazioni industriali inglesi 97
3.3 La recognition del sindacato e l’efficacia normativa dei contratti collettivi nel Regno Unito 104
Conclusioni 107
Ringraziamenti 110
Bibliografia 114
Dottrina 114
Giurisprudenza 123
Sitografia 125
Introduzione
Nello scegliere l’argomento da trattare per il mio elaborato finale mi sono posto questa domanda: “Come mai i giuristi, nello studiare il codice civile del 1942, affrontano il quinto libro (intitolato del lavoro) con un atteggiamento più disteso rispetto alle parti in cui si affrontano argomenti come la famiglia, le obbligazioni oppure il contratto?". Bisogna forse dedurre che il tema del lavoro sia superfluo o addirittura residuale per il diritto nostrano?
La ragione storico-giuridica è che il diritto del lavoro, rispetto agli aspetti di natura civilistica contenuti nel Codice Civile, si è sviluppata al di fuori da esso. Basti pensare allo Statuto dei lavoratori (L. 300/70), al Testo Unico sulla Sicurezza (DLgs. 81/2008) o al Testo unico sulla maternità (DLgs. 151/2001, quest’ultimo peraltro appena oggetto di modifiche legislative). Si tratta, infatti, di una materia in continuo divenire, influenzata da fattori storici e politici, a cominciare dall’entrata in vigore della Costituzione nel 1948, che ha cambiato lo scenario dopo soli 5 anni dall’entrata in vigore del Codice Civile.
In una società in cui il diritto al lavoro, riconosciuto espressamente nella nostra Costituzione, vive una crisi profonda ritengo sia interessante approfondire queste tematiche tanto complesse quanto fondamentali e, serviranno anche a me, che a breve mi affaccerò al mondo del lavoro. Ecco dunque per quale motivo parlo del contratto collettivo aziendale.
Capitolo I
Il contratto collettivo aziendale come fenomeno giuridico
Sommario: 1.1. Nozione o nozioni di contratto collettivo aziendale? – 1.2. I soggetti della contrattazione collettiva aziendale. – 1.3. Il contenuto del contratto collettivo aziendale. - 1.4. L’efficacia del contratto collettivo aziendale. – 1.5. Le dinamiche contrattuali: la formazione del contratto collettivo aziendale. – 1.6. La perdita di efficacia del contratto collettivo aziendale: recesso, mancato rinnovo e successione dei contratti.
1.1 Nozione o nozioni di contratto collettivo aziendale?
La contrattazione collettiva aziendale compare per la prima volta nell’esperienza sindacale italiana all’inizio degli anni ‘60 del Ventesimo Secolo. Il contratto collettivo nazionale di categoria, nell’introdurre l’articolazione contrattuale, aveva espressamente previsto il livello aziendale a cui era stato assegnato una funzione integrativa di quanto previsto dalla contrattazione nazionale. A questo punto sorge spontanea una domanda: “Che cosa s’intende per contratto collettivo aziendale? Esiste una sola definizione oppure è possibile parlare di più nozioni?" Occorre fin da subito segnalare che lo sviluppo della contrattazione aziendale (iniziato verso la fine degli anni ’60) è stato molto disordinato e caotico e privo di regole per circa due decenni. La disciplina del contratto collettivo aziendale viene introdotta con il Protocollo del luglio 1992, successivamente con le regole contenute nell’A.Q. (Accordi Quadro) del 2009 e dagli A.I. (Accordi Interconfederali) del 2011. Per questi ultimi si registrano due problemi da segnalare: il primo riguarda la materia trattata. Gli argomenti principali riguardano i soggetti stipulanti il contratto, la durata, i cicli contrattuali e le
competenze della contrattazione collettiva aziendale (che vedremo in seguito).
Non si registra invece la presenza di una definizione del contratto collettivo aziendale se non la qualificazione di “variante" del contratto collettivo nazionale1. Il secondo problema riguarda l’inquadramento della C.G.I.L. (Confederazione Generale Italiana Xxx Xxxxxx) la quale sottoscrive gli accordi del 1993 , ma non sottoscrive quelli del 2009. La materia viene ulteriormente integrata dall’A.I. del 2014 noto anche come Testo Unico sulla rappresentanza. Anche in esso non si rinviene una definizione di contratto collettivo aziendale. Si deduce che nel nostro ordinamento giuridico non compaia una definizione di contratto collettivo aziendale. L’unica informazione che troviamo riguarda l’esercizio delle competenze del contratto, connesse in tutto o in parte al contratto collettivo nazionale di lavoro o di categoria oppure dalla legge.
1.2 I soggetti della contrattazione collettiva aziendale
Un tema che va sicuramente approfondito nel nostro discorso riguarda i soggetti “attori protagonisti" del contratto collettivo aziendale. Essi sono il datore di lavoro ed i lavoratori rappresentati da organismi quali le R.S.A. (Rappresentanza sindacale aziendale) o le R.S.U. (Rappresentanza sindacale unitaria). Approfondiamo poi il fenomeno delle influenze esterne alla formazione del Contratto Collettivo Aziendale. Analizziamo le posizioni di tutti i soggetti singolarmente.
1 Si consenta un primo rinvio a Xxxxxxxxx A. “Il contratto collettivo aziendale e decentrato”,
Xxxxxxx, Milano, 2001.
1.2.1 Il datore di lavoro
Iniziamo con l’analizzare la posizione del primo soggetto coinvolto nella conclusione del contratto collettivo aziendale: il datore di lavoro. Occorre contestualizzare il datore di lavoro nei rapporti di lavoro subordinato. Infatti la figura del datore di lavoro ricorre esclusivamente nei rapporti di lavoro subordinato; con riguardo agli altri rapporti “atipici” è più corretto parlare di committente.
Questo in quanto fino all’entrata in vigore del DLgs. 81/2008 (Testo Unico sulla sicurezza, di seguito TU), l’ordinamento non forniva una definizione esplicita di “datore di lavoro”. Il Codice Civile del 1942, nel fornire la definizione di “prestatore di lavoro subordinato”, fa un esplicito riferimento alla figura dell’imprenditore, anche se ciò non esclude che il datore di lavoro possa anche non ricoprire un ruolo imprenditoriale2. Con l’entrata in vigore, nel 2008, del DLgs. 81/2008, la figura del datore di lavoro trova una definizione più compiuta all’art. 2 co. 1, lett. b) del TU che, rispetto agli obblighi di sicurezza, definisce datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attivita', ha la responsabilita' dell'organizzazione stessa o dell'unita' produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole
2 Da ultimo si veda Cass. 8.1.2020 n. 229 che, in riferimento alla tutela infortunistica, ha affermato che “la qualifica di datore di lavoro si radica nell'effettiva titolarità del rapporto di lavoro con il lavoratore, in quanto le prescrizioni in materia di prevenzione degli infortuni devono essere rispettate a prescindere dalla organizzazione in forma societaria o meno dell'esercizio dell'attività di lavoro”.
amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attivita', e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo”.
Dalla norma emerge come la definizione di datore di lavoro passi, oltre che per la titolarità del rapporto di lavoro, anche per un articolato sistema di obblighi, poteri e responsaibilità. Con riguardo ai poteri di cui è titolare il datore di lavoro, e tra i quali rientrano senz’altro il potere direttivo, il potere di controllo e vigilanza e quello disciplinare, si osserva come questi non possano essere esercitati deliberatamente e illimitatamente, ma debbano invece essere esercitati in contemperanza con i diritti dei lavoratori, entro una cornice costituzionalmente garantita.
Oltre alla definizione di “datore di lavoro”, è importante sottolineare il ruolo delineato dalla Costituzione per l’attività imprenditoriale3.
La nostra Costituzione fonda un ordinamento assestato su un modello di produzione capitalistico: sulla base di queste considerazioni è stato quindi introdotto dai costituenti il concetto di iniziativa economica privata. La Costituzione, all’art. 41 prevede infatti che “l’iniziativa economica privata è libera”, la quale, tuttavia, “Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
3 Cfr. X. Xxxxx, Libertà e limiti dell’iniziativa economica privata nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nella dottrina, in Rass. dir. pubbl., 1960, I, pagg. 300 e ss.
Tra le diverse interpretazioni della nozione di “iniziativa economica” stratificatesi negli anni da parte della dottrina4, alcune hanno valutato la possibilità di distinguere iniziativa di cui parla il primo comma dell’art. 41 dal suo svolgimento, regolato dal successivo secondo xxxxx. Secondo una prima impostazione, che ha valorizzato molto il dato testuale, il momento dell’iniziativa avrebbe potuto essere isolato dagli altri momenti dell’attività economica e sarebbe consistito nell’iniziale atto di impulso dell'attività produttiva5.
Per la seconda impostazione, invece, iniziativa e svolgimento sarebbero nozioni indistinte, con la conseguente applicabilità a tutti i momenti dell’agire economico del complesso di disposizioni contenute nello stesso art. 41 Cost6.
Inquadrato costituzionalmente il fenomeno dell’iniziativa economica privata e la conseguente impossibilità, per il datore di lavoro, di esercitare incondizionatamente i propri poteri nei confronti dei lavoratori, è opportuno accennare alle organizzazioni imprenditoriali.
4 Cfr. X. Xxxxxxxxxxx, Iniziativa economica privata, in Enc. Dir., Vol. XXI, Xxxxxxx editore, 1971; cfr anche X. Xxxxxxx, La produzione economica, Padova, Cedam, 1983 e M.S. Xxxxxxxx, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino,1977; X. Xxxxxxxxxx, Iniziativa economica privata, in Enc. giur. XVII, 1989.
5 Cfr. X. Xxxxxxxxxxx, Iniziativa economica privata, in Enc. Dir., Vol. XXI, Xxxxxxx editore, 1971, paragrafo 7.
6 Cfr. M.S. Xxxxxxxx, Diritto pubblico dell’economia, Bologna, Il Mulino,1977; X. Xxxxxxxxxx, Iniziativa economica privata, in Enc. giur. XVII, 1989. Per risolvere questa potenziale contrapposizione, occorre tenere presente che un diritto fondamentale può essere limitato solo da un altro diritto di pari rango e che i diritti sociali, nel loro complesso (come gran parte dei diritti di libertà), sono in conflitto con il mercato, nel senso che possono essere garantiti solo a condizione che sia adeguatamente limitata e ristretta la sfera del mercato: ne discende che la limitazione della sfera del mercato: ne discende che la limitazione della sfera del mercato non può che passare per la limitazione ed il restringimento dei diritti di libertà che costituiscono, cioè la proprietà privata e (soprattutto, per ciò che qui rileva) la libertà di iniziativa economica. Cfr. X. Xxxxxxxx, Stato di diritto e diritti sociali, in Diritto & Questioni Pubbliche, 2004/4, pag. 69.
Il datore di lavoro, infatti, può operare come singolo nell’ambito della contrattazione aziendale oppure può entrare a far parte di organizzazioni imprenditoriali (meno diffuse rispetto alle associazioni dei lavoratori) nate come “risposta” rispetto al sindacato dei lavoratori7. In generale, esistono distinte organizzazioni confederali per i principali settori economici.
Tra esse ci sono:
• Confindustria e Confapi, che organizzano gli imprenditori industriali rispettivamente della grande e piccola-media industria;
• Confcommercio e Confesercenti, per gli imprenditori del commercio;
• Confagricoltura per gli imprenditori dell’agricoltura.
Tuttavia, in questi ultimi anni si è assistito al fenomeno del decentramento contrattuale e di una sempre maggiore perdita di ruolo delle associazioni datoriali8.
Tornando al ruolo del datore di lavoro come soggetto della contrattazione collettiva in quanto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e in qualità di soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa, si osserva che nel contratto collettivo aziendale il vincolo del datore di lavoro è assicurato dal diritto comune, essendo assunto in prima persona con la firma del contratto. Tutto ciò è sufficiente per generalizzare l’efficacia del contratto a tutti i lavoratori indipendentemente dall’iscrizione al sindacato9. Una tendenza sempre più consolidata della giurisprudenza considera il contratto
7 La questione della titolarità della libertà sindacale da parte degli imprenditori è stata spesso dibattuta in dottrina. Sul punto si rinvia a X. Xxxxxxx, Corso di diritto del lavoro, capitolo II, par. 2 e a X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Commentario alla costituzione, pagg. 802 e 803.
8 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Le associazioniimprenditoriali, in Le nuove relazioni industriali, a cura di G.P. Cella - X. Xxxx, Il Mulino, 1998, 154 ss.
9 In questo senso, si veda Cass., 26 febbraio 1992, n. 2410, in Banca Dati DeJure.
collettivo aziendale, malgrado tutte le trasformazioni subite nel corso del tempo, sempre funzionale agli interessi del lavoratore, in quanto finalizzato alla riduzione della discrezionalità della decisione datoriale: nessun lavoratore avrebbe infatti interesse a svincolarsi da un accordo solamente “migliorativo”, dal quale riceve senza dover “dare” alcunché. Si pensi, ad esempio, a quei contratti collettivi aventi ad oggetto la “procedimentalizzazione” dei poteri datoriali, imposta dalla L. 300/70 (il c.d. Statuto Dei Lavoratori), nei casi di licenziamento per riduzione di personale: tali accordi, efficaci erga omnes e ultra partes, sono validi nei confronti di tutti i lavoratori, anche se non appartenenti al sindacato stipulante, e anche nel caso di licenziamento dei dipendenti che abbiano concorso a sottoscrivere o approvare lo specifico contratto. Una cosa importante da dire è che il contratto collettivo aziendale, anche se non ha natura normativa cioè non esplica direttamente effetti sui rapporti di lavoro individuali, condiziona poteri datoriali unilaterali e siccome questi ultimi concernono naturalmente la totalità del personale aziendale, anche i limiti posti ad essi dalla contrattazione non potranno che mantenere la stessa rilevanza generale. Esempi di queste situazioni ci sono fornite dalla giurisprudenza. Un esempio è la sentenza n. 268/94 della Corte Costituzionale, che ha giudicato legittimo l’art. 4 della L. 223 /91 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro) nella parte in cui rinvia agli accordi collettivi per un’eventuale definizione dei criteri di scelta dei licenziamenti per riduzione di personale, con implicito conferimento a tali accordi di efficacia vincolante anche per i lavoratori non aderenti ai sindacati stipulanti. Un altro esempio interessante è rinvenibile in un’altra sentenza della Corte Costituzionale, la n. 344/96 con riferimento agli accordi stipulati ex art. 2 della L. 146 / 90 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla
salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge). Con essa la Corte determina, in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali una portata vincolante per tutti i lavoratori interessati a prescindere dall’affiliazione sindacale.
1.2.2 Le R.S.A. e le R.S.U.: cenni storici
Analizziamo adesso la posizione dei lavoratori nel contratto collettivo aziendale. In loro rappresentanza soccorre ovviamente il diritto sindacale, con una storia piuttosto complessa evolutasi nel tempo, della quale vale la pena dar cenno per completezza
Le Rappresentanze sindacali aziendali (RSA)e le Rappresentanze sindacali unitarie (RSU) rappresentano senza ombra di dubbio il primo ingresso del sindacato in campo aziendale. Per comprendere fino in fondo il panorama sindacale dei nostri giorni, è opportuno fare una panoramica delle vicende che hanno accompagnato il fenomeno dell'associazionismo10.
All' inizio del ventesimo secolo, nacquero le prime istituzioni pubbliche a cui furono conferite competenze in materia di rapporti di lavoro e relazioni industriali (Ministero del lavoro, Ispettorato del lavoro, Enti previdenziali pubblici, ecc). Cominciò a diffondersi un intervento nella composizione delle controversie, oltre che da parte degli organi ministeriali, anche dai consigli dei provibiri, la cui competenza inizialmente riguardava solo le controversie individuali; successivamente, con la L. 13.10.18 n° 1672, tale competenza fu estesa anche a quelle collettive. Questo fu il primo intervento pubblico di sostegno dell'attività sindacale e della contrattazione collettiva in Italia.
10 Si rinvia a Carinci F., “Il lungo cammino della rappresentatività sindacale: dal Tit. III dello Statuto dei lavoratori al Testo unico sulla rappresentanza”, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 205/2014, p. 52.
Con il fascismo furono demoliti i fondamenti del sistema volontario di relazioni industriali (ad esempio, la libertà di organizzazione sindacale e la liceità del conflitto inteso appunto come sciopero e serrata) e venne invece ideato un sistema sindacale e contrattuale pubblicistico, completamente controllato dallo Stato con l’emanazione della L. 3.4.26 n. 563 e, nel 1934, con l’istituzione delle Corporazioni11.
Dopo la caduta del fascismo si avvia una fase transitoria, che va dal 1943 al 1947 e che poi porterà alla Costituzione e al sistema moderno.
Grazie ai lavori dell'Assemblea costituente12, il 1° gennaio del 1948 entrò in vigore la Costituzione della Repubblica italiana; in una Costituzione che si fonda sul principio lavorista, la disciplina dei rapporti sindacali è una parte assolutamente essenziale per delineare le relazioni sociali e politiche.
La disciplina costituzionale del sindacato, che si trova all'art. 39, che sancisce tre principi fondamentali:
• la libertà (e quindi la pluralità) sindacale come fondamento delle relazioni industriali (co. 1);
• la registrazione del sindacato e il riconoscimento della personalità giuridica come presupposto per acquisire la capacità di stipulare contratti collettivi (nazionali) efficaci generalmente “per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce”;
• l'attribuzione di tale capacità contrattuale direttamente a rappresentanze unitarie dei sindacati registrati, costituite in proporzione ai loro iscritti.
11 Cfr. X. Xxxxxxx, Corso di diritto del lavoro, cit. pagg. 5 e ss.
12 X. Xxxxxx, Rappresentanza e rappresentatività sindacale, in M. D’Antona (a cura di),
Letture di diritto sindacale, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, pag. 10.
L'art.39 Cost., prevede dunque la possibilità per il sindacato di ottenere il riconoscimento giuridico a condizione della sua registrazione. Questo sistema però non ha mai ricevuto attuazione, sviluppandosi pressoché al di fuori della norma costituzionale.
Un importante impulso avviene con l’emanazione della L. 17.5.70 n. 300, altrimenti conosciuto come lo “Statuto dei lavoratori”, che fornisce una diretta attuazione all’art. 39 co. 1 Cost. e che apre il campo di intervento sindacale non solo alla categoria o al settore economico, ma anche all’ambito aziendale, dando così riconoscimento al sindacato come “centro di contropotere in azienda”13.
Il titolo II della L. 300/70 costituisce una concreta articolazione del principio costituzionale con riguardo all'ambito endoaziendale. In esso si ribadisce il diritto di associazione e di attività sindacale nei luoghi di lavoro (art.14), si vietano gli atti ed i trattamenti discriminatori in ragione dell'affiliazione o attività sindacale (artt.15 e 16) e si colpisce la costituzione dei sindacati di comodo (art.17).
Il titolo III dello Statuto detta poi una specifica normativa “promozionale” dell'organizzazione e dell'attività sindacale nelle singole unità produttive, predisponendo una serie di diritti che valgono a rendere più agevole l'esercizio della libertà sindacale14. “Nel precisare la portata di tali diritti nel
contesto aziendale, lo Statuto dei lavoratori (l. n. 300/1970) ha altresì riconosciuto un ambito di attività sindacale più specifico, volto a garantire maggiore effettività ai diritti sindacali dei lavoratori nei luoghi di lavoro e alle loro forme di rappresentanza sindacale, in ragione di una consapevole
13 Carinici F., Xx Xxxx Xxxxxx R., Tosi X. Xxxx T., Diritto del lavoro, vol. I – Il diritto sindacale, Milano, Utet, 2010.
14 Cfr. X. Xxxxxxx, Referendum abrogativo e giudizio costituzionale, Milano, Xxxxxxx editore, 1994, pagg.363 e ss.
scelta di c.d. astensionismo legislativo. Tale opzione, nel sottolineare la neutralità dello Stato rispetto ai rapporti di potere tra gruppi sociali contrapposti, era altresì finalizzata ad arginare i pericoli – propri del precedente regime corporativo – di un impiego strumentale del sindacato al perseguimento di interessi pubblici. Con la promulgazione dello Statuto dei lavoratori, il Legislatore italiano compie un salto di qualità rispetto alle polemiche di disciplina del fenomeno sindacale, passando da una fase di astensionismo legislativo a una fase di c.d. legislazione promozionale del sindacato, sostanzialmente finalizzata al perseguimento di tre obiettivi:
1) la tutela della libertà e dignità del lavoratore nei luoghi di lavoro;
2) la garanzia dell’effettività della libertà sindacale nei rapporti intersoggettivi di carattere privato e, precisamente, nei rapporti tra singolo lavoratore e datore di lavoro;
3) il sostegno alla organizzazione sindacale dei prestatori di lavoro.”15.
Le organizzazioni sindacali che ne presentavano i requisiti si sono viste riconoscere dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, nella sua versione originaria16, una posizione del tutto preferenziale in materia di organizzazione e di azione sindacale in azienda, potendovi costituire apposite rappresentanze sindacali aziendali (RSA), legittimate a indire assemblee e referendum tra i lavoratori, ad usufruire di locali per riunioni, di permessi per i propri dirigenti, ecc.
15 X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Commentario alla costituzione, cit., pag 805
16 Che recitava “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b)delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”. La norma ha poi subito importanti modifiche, a cominciare con il referendum del 1995.
La crisi del sindacalismo confederale e della nozione di sindacato maggiormente rappresentativo ha sollevato un ampio dibattito in ordine ad un possibile intervento legislativo di riforma della rappresentanza sindacale a livello nazionale e aziendale. Si è così fatto strada un nuovo modello, realizzatosi con il Protocollo del 23.7.93 che, nel delineare un sistema organico di relazioni industriali, ha rilanciato l’ipotesi di nuovi organismi rappresentativi aziendali, le rappresentanze sindacali unitarie (RSU)17, destinati ad essere poi disciplinati dall’Accordo Interconfederale del 20.12.9318.
Le parti firmatarie di tale Accordo hanno espressamente rinunciato a costituire una propria RSA, secondo il modello dell’art. 19 della L. 300/70, e, in alternativa, hanno prefigurato una forma rappresentativa aziendale unitaria, cui convenzionalmente hanno riconosciuto l’insieme dei poteri e delle funzioni conferiti dalla legge alle singole RSA.
Il ruolo dell’organismo unitario, “come è noto, nel processo che ha contrassegnato la stagione della ritrovata unità sindacale agli inizi degli anni ’90, è stato riconosciuto come subentrante nelle prerogative organizzative riconosciute in capo alle r.s.a. ed altresì come agente negoziale unitario per la stipulazione dei contratti collettivi aziendali, a fianco delle xx.xx nazionali. Le r.s.u. hanno svolto, così, ad un tempo il ruolo di strumento di rinnovata legittimazione delle maggiori confederazioni all’insegna della democrazia sindacale e di inclusione verso le formazioni anche extra confederali ammesse a presentare liste elettorali a condizione di aver un certo seguito
17 Protocollo del 23 luglio 1993, pagg.3 e 4.
18 Sul punto si veda diffusamente X. Xxxxxxxx, Poteri dell’imprenditore, Rappresentanze sindacali unitarie, e contratti collettivi, Relazione Giornate di studio dell’Aidlass, Pisa, 28- 29 maggio 1995, in DLRI, 1995, pagg.242 e ss.
in azienda”19. Oggi, pertanto, in ogni unità produttiva possono coesistere
una RSU promossa e partecipata da tutte le organizzazioni sindacali che si riconoscono nel modello degli Accordi di luglio-dicembre 1993, e tante RSA in rappresentanza delle associazioni sindacali che non hanno inteso aderire a tali Accordi e che hanno preferito affidarsi al modello legale della RSA, sempre che ne abbiano i requisiti legittimanti di cui all’art. 19 della L. 300/70. Un problema proprio sotto questo profilo è sorto con l’accordo di Mirafiori del 23.12.2010, del quale si tratterà nel § 2.3. sul caso FIAT20.
19 X. Xxxxxxxx, Un’arancia meccanica: l’accordo separato Fiat – Mirafiori e le rappresentanze nei luoghi di lavoro. Quali prospettive?, in <<Lavoro e Diritto>>, 2/2011, pag.8.
20 Infatti, stando a X. Xxxxxxxx, Un’arancia meccanica: l’accordo separato Fiat – Mirafiori e le rappresentanze nei luoghi di lavoro. Quali prospettive?, cit., pagg. 11, 12 e 13, “Un ostacolo alla stabilità dell’organismo unitario potrebbe derivare dalla circostanza della fuoriuscita da parte delle componenti che sono andate a formare le r.s.a. riconosciute dall’accordo Xxxxxxxxx in contrasto con la clausola di “salvaguardia” contemplata dal Protocollo del 1993 appositamente per evitare le conseguenze negative prodottesi al momento della prima rottura tra le maggiori confederazioni sul versante dei Consigli di Fabbrica. Il Protocollo, prevedendo che le r.s.u. subentrino nella titolarità delle prerogative dalla legge assegnate alle r.s.a., impegna altresì le oo. ss. che partecipano all’elezione a non rivendicare la costituzione di proprie r.s.a. (art. 8, parte I, AI sulle r.s.u. del 19.12.93), rinuncia controbilanciata dalla garanzia della titolarità diretta stabilita nei confronti dei sindacati stipulanti il contratto nazionale di lavoro di una quota delle prerogative spettanti all’organismo unitario. La costituzione delle r.s.a. da parte dei sindacati stipulanti l’accordo separato solleva dunque la questione se ne derivi la conseguenza dell’automatico venir meno dell’organismo elettivo a causa della c.d. “doppia legittimazione” di cui godono le
r.s.u. Il venir meno del loro riconoscimento da parte di alcune organizzazioni sindacali determinerebbe, in sostanza, la mancanza di una condizione essenziale per la loro esistenza. E’ noto che si tratta di una materia controversa, ma è opportuno richiamare quanto già detto in merito alla composizione dell’organismo unitario, che si distingue fra
una componente tipicamente associativa, il c.d. terzo riservato, ed una componente eletta da tutti i lavoratori dell’impresa o unità produttiva. Mentre le r.s.u. di matrice strettamente associativa possono essere considerate organi del sindacato che le designa, le altre traggono direttamente la loro legittimazione dall’esito elettorale che non è soltanto strumento di misurazione della rappresentatività dei sindacati che vi partecipano. Di conseguenza, le caratteristiche genetiche dell’organismo prevalgono sulle vicende inerenti il suo funzionamento e ciò implica che le componenti residue delle r.s.u. elette da tutti i dipendenti dello stabilimento restano in carica almeno fino alla loro scadenza. Per ciò che riguarda la sopravvivenza dell’organismo è del resto lo stesso Accordo
Interconfederale che l’art. 6, co. 2, a stabilirne la decadenza in caso di dimissioni solo se esse raggiungono più del 50% dei suoi membri, prevedendo in questo caso che siano
Dopo aver inquadrato storicamente le rappresentanze in esame, occorre ora capire che cosa effettivamente succeda quando il contratto collettivo aziendale venga stipulato da una R.S.A. oppure da una R.S.U. La prima cosa da segnalare è che lo scenario della rappresentanza sindacale può essere più complicato di quanto si possa immaginare. Bisogna infatti tenere presente che la R.S.U. può coesistere con una o più R.S.A. costituite ai sensi dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. Può tuttavia accadere che la R.S.U. non sia presente come, per esempio, nelle imprese aderenti ad organizzazioni datoriali che non hanno sottoscritto o non hanno aderito agli
A. I. oppure che non sono affiliate ad alcuna organizzazione datoriale21. Questa “complicazione” può incidere notevolmente sull’efficacia del contratto collettivo aziendale, e ne riparleremo più avanti.
Fatta questa doverosa premessa possiamo passare alla stipula del contratto collettivo aziendale da parte di questi due organi, ponendo l’accento sul contratto concluso dall’R.S.U. Ma che cosa s’intende per R.S.U.? La sigla sta per rappresentanza sindacale unitaria e si tratta di un organismo
indette nuove elezioni. La tesi è coerente con il fatto che, pur trattandosi di un organismo collegiale, la sua natura – come propende la maggioranza della dottrina e della giurisprudenza alla luce delle regole contenute nella disciplina negoziale valida nel settore privato, è a carattere unitario ma plurisoggettivo, dando luogo alla titolarità separata delle prerogative in materia di permessi e di assemblea. L’uscita di alcune componenti dall’organismo al fine di costituire le r.s.a. separate non è idonea, pertanto, a provocare automaticamente né la decadenza dell’organismo né la perdita dei diritti di organizzazione proprie delle componenti residue. Si potrà porre semmai il dubbio se anche le organizzazioni sindacali nazionali non firmatarie dell’accordo Mirafiori, ma del ccnl del 2008, possano continuare a fruire della loro quota di permessi e ore di assemblea. Nei loro confronti non si può, infatti, invocare la legittimazione elettiva, e dunque la loro posizione al riguardo segue la sorte del contratto nazionale. Per concludere su questo punto, se il valore rilevante è la tutela sindacale dei lavoratori che hanno eletto i propri rappresentanti e beneficiano della loro attività, la decadenza dallo status di delegato delle
r.s.u. non può dipendere dall’operare dei diversi tasselli posti in essere dalla vicenda Fiat”.
21 Ballestrero , De Xxxxxx Diritto del lavoro 2019.
sindacale che esiste in ogni luogo di lavoro sia pubblico che privato il quale è costituito da non meno di tre persone elette e non iscritte al sindacato22
Quando a stipulare il contratto collettivo aziendale è la R.S.U., e questo organismo collegiale ed unitario è l’unico interlocutore del datore di lavoro, si può serenamente ritenere che il contratto abbia efficacia generale, ovvero che si applichi a tutti i lavoratori occupati nell’azienda23. Essendo la R.S.U. eletta da tutti i lavoratori dell’impresa li rappresenta tutti anche coloro che hanno votato per la minoranza o addirittura per candidati neppure eletti. Bisogna però tenere presente che la R.S.U. è composta da membri eletti in liste presentate da diverse organizzazioni sindacali, e che più alto è il numero di voti raccolti da una lista, maggiore è il numero degli eletti di quella lista. Insomma si può sostenere che all’interno di una R.S.U. siano ordinariamente presenti una maggioranza ed una minoranza. Tutto ciò può causare una serie di problematiche tra cui quello per cui l’operato della maggioranza non sia condiviso dalla minoranza. Si pensi alla situazione della sottoscrizione di un accordo, può avvenire che la minoranza lo contesti e che pretenda non sia applicato anche ai lavoratori che si riconoscono in questa minoranza. Come risolvere questo conflitto interno alla R.S.U.? La soluzione si rinviene nell’efficacia generale del contratto collettivo aziendale. Gli A.I. richiamati in precedenza hanno stabilito che i contratti collettivi aziendali sono efficaci per tutto il personale se approvati dalla maggioranza dei componenti delle rappresentanze sindacali unitarie. Essi vincolano tutte le associazioni sindacali affiliate alle Confederazioni sindacali firmatarie dell’A.I. operanti all’interno dell’azienda. Dunque se anche una sigla sindacale dissente dal contenuto dell’accordo è tenuta a rispettarlo. Questo
22 La normativa di riferimento è l’Accordo Collettivo Quadro del 7.8.1988.
23 Il giurista Xxx Xxxxxx Le R.S.A.e le R.S.U. di Xxxxx Xxxxxxx
è per quanto concerne il contratto collettivo aziendale concluso da una R.S.U.
Diversa è la situazione in cui al tavolo della contrattazione aziendale siedano alcune R.S.A. La sigla sta per Rappresentanza sindacale aziendale ed è un organismo collettivo rappresentativo di gruppi di lavoratori in riferimento alla loro iscrizione ad un sindacato riconosciuto in una stessa realtà lavorativa.
Ebbene anche su questa controversa questione (resa ancora più complicata dalle vicende della contrattazione aziendale FIAT derogatoria separata, di cui parleremo) è intervenuto l’A.I. del 2011 (regole ribadite anche dal T.U. sulla rappresentanza e dagli A.I. successivi)24.
Cosa succede in questo caso? Le regole stabiliscono che, in caso di presenza delle R.S.A. costituite ai sensi dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, i contratti collettivi aziendali hanno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori dell’azienda solo se approvati dalle R.S.A. costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultino avere il maggior numero di iscritti. In aggiunta a ciò i contratti collettivi aziendali approvati dalle rappresentanze sindacali aziendali maggioritarie devono essere sottoposti a referendum, se questo sia richiesto, entro dieci giorni dalla conclusione del contratto da almeno un’organizzazione firmataria dell’A.I. o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità del referendum è necessaria la partecipazione del 50% dell’impresa. Osserviamo che, a differenza del contratto collettivo aziendale concluso da una R.S.U., in questo caso le parti hanno previsto un’eventuale verifica ex post del dissenso della maggioranza dei lavoratori ai quali si pretende che il
24 Il Criterio della “maggiore rappresentatività del sindacato per la costituzione delle R.S.A. elaborazione giurisprudenziale e nuove prospettive dopo il referendum inserto n. 40 / 95 XXV.
contratto sia applicato, indipendentemente dal fatto che siano stati rappresentati nella negoziazione.
Osserviamo dunque una profonda differenza di disciplina della conclusione del contratto collettivo aziendale concluso da una R.S.U o da una R.S.A.
1.3 Il contenuto del contratto collettivo aziendale
Dopo aver parlato in maniera approfondita dei soggetti coinvolti nel contratto collettivo aziendale, sorge spontaneo chiedersi quale sia il contenuto del contratto collettivo aziendale, partendo innanzitutto dalle eventuali differenze contenutistiche tra il contratto collettivo nazionale di lavoro ed il contratto collettivo aziendale. Analizziamo le seguenti questioni nei paragrafi successivi.
1.3.1 Differenze contenutistiche tra il contratto collettivo aziendale e il CCNL
Prima di affrontare il tema relativo al contenuto del contratto collettivo aziendale, occorre soffermarsi sulla differenza contenutistica tra il contratto collettivo aziendale ed il contratto collettivo nazionale di lavoro25. Iniziamo subito con il sottolineare che, mentre il contratto collettivo aziendale viene “contestualizzato”, come si dirà a breve, il contratto collettivo nazionale appartiene ad una categoria di contratti più generale. Il contratto collettivo aziendale, generalmente, ha come obiettivo e funzione quello di integrare il contratto collettivo nazionale per meglio rispondere ai bisogni della singola azienda o delle singole aziende di una determinata area territoriale26. Per
25 Si rinvia a Xxxxxxx G. “Xxxxx, norma collettiva e contratto aziendale”, in Dir. ed economia, 1958, p. 486 e a Xxxxxxxx L. “La contrattazione collettiva”, Il Mulino, Bologna, 1985.
26 Come sottolineato da Persiani M. e Xxxxxxx F, “Trattato di diritto del lavoro”, Vol. II,
Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, a cura di Xxxxx X., p. 725, CEDAM,
contro, il contratto collettivo nazionale viene definito come, di norma, un accordo tra un gruppo di lavoratori ed un gruppo di datori di lavoro (rappresentati dalle rispettive associazioni sindacali) per determinare le condizioni applicabili a ciascun rapporto, talvolta con la partecipazione dello Stato e del singolo lavoratore. Da segnalare che, a seguito della caduta dell’ordinamento corporativo e del Fascismo, le organizzazioni sindacali di lavoratori e dei datori di lavoro hanno perso i loro connotati pubblicistici e sono ritornate ad essere associazioni di diritto privato. Di conseguenza i contratti collettivi stipulati da esse (complice la mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione) sono espressione di autonomia privata27. Il contratto collettivo nazionale ed anche quello di secondo livello è pertanto un contratto atipico di natura privatistica, di diritto comune e le uniche norme che lo disciplinano sono esclusivamente quelle in materia di contratti generali del Codice Civile (artt. 1321 e seguenti).
Tornando sulle differenze tra i due contratti occorre passare in rassegna la disciplina generale di entrambi gli accordi. Per quanto attiene alla contrattazione collettiva di secondo livello, la disciplina si esercita normalmente sulle materie delegate dalla contrattazione nazionale. Di regola, infatti, si presuppone che i rapporti di lavoro siano già regolamentati dalla contrattazione nazionale, la quale assegna appunto al livello decentrato solo la definizione di particolari e residuali aspetti. Da questo ben si può comprendere che alla contrattazione collettiva nazionale di primo livello sono affidati gli aspetti fondamentali del rapporto di lavoro in modo da
la contrattazione aziendale riguarda una parte minoritaria delle imprese italiane ed è diffusa – o presente – nelle sole aree settentrionali del Paese.
27 Il funzionamento del sistema – spiega Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi
– Esperienze euro-mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 62 – è stato assicurato dalla volontà delle parti sociali in relazione ai rapporti tra contratti collettivi di diverso livello e alla individuazione dei soggetti stipulanti, per come integrata dalla giurisprudenza.
assicurare omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale28. Al contratto collettivo aziendale o decentrato spetta anche la disciplina di aspetti di organizzazione del lavoro e di retribuzione aggiuntiva riferibili specificamente al contesto aziendale. In alcuni settori, caratterizzati dalla presenza di operatori economici di dimensioni ridotte e da una rappresentanza sindacale molto frammentata, si è affermata nel tempo la contrattazione territoriale, con la stessa finalità di integrare la disciplina collettiva nazionale a beneficio dei lavoratori occupati in un determinato ambito territoriale (generalmente provinciale). Si tratta, in particolare, del comparto artigiano e del settore dell’edilizia. Questo modello “tradizionale" è stato recentemente messo in discussione da alcune aziende, che si sono dotate di un proprio contratto aziendale in tutto e per tutto sostitutivo del contratto nazionale (ad esempio il Caso Fiat, di cui parleremo approfonditamente in seguito). In tal caso non esiste un secondo livello di contrattazione perché tutti gli aspetti del rapporto di lavoro sono regolati da un solo contratto. Per poter abbandonare il contratto collettivo nazionale di categoria, queste aziende hanno dovuto recedere dall’associazione imprenditoriale di appartenenza firmataria del contratto nazionale.
Per quanto riguarda il contenuto abbiamo già avuto modo di chiarire quanto non possa essere definito un contenuto del contratto collettivo aziendale, vista la sua funzione rapportata al contratto collettivo nazionale e alla sua caratteristica capacità di "calzare" perfettamente al tessuto aziendale in cui viene definito. Per contro è ben definibile il contenuto del contratto collettivo nazionale. Esso è costituito essenzialmente da una parte normativa e da
28 Secondo Xxxxxxxxxx A., in Trattato di diritto del lavoro, Cap. IX, al centro del sistema di contrattazione collettiva del nostro Paese si colloca, fin dal periodo corporativo, il contratto nazionale di categoria: ad esso è stato (pure) costantemente attribuito il compito di disciplinare ipotesi e modalità di intervento del contratto aziendale, da quando
quest’ultimo, all’interno di un lento processo sviluppatosi dopo l’entrata in vigore della Costituzione, è stato legittimato come ulteriore espressione di autonomia collettiva.
una obbligatoria, mentre la parte gestionale e di rinvio è rimessa alla libera scelta delle parti contraenti.
La parte normativa è formata da tutte quelle clausole che sono destinate a regolare i rapporti individuali di lavoro e pertanto non produce effetti giuridici nei confronti del sindacato. All’interno della parte normativa si può individuare un’ulteriore suddivisione tra trattamento economico (tutte le voci che compongono la retribuzione) e trattamento normativo, cioè tutti gli altri aspetti del rapporto di lavoro (quali ferie e permessi, sanzioni disciplinari). I problemi relativi alle clausole normative si risolvono fondamentalmente in quelli tra autonomia collettiva ed autonomia negoziale in capo al singolo datore di lavoro e lavoratore.
Le clausole obbligatorie disciplinano esclusivamente i rapporti tra le associazioni sindacali partecipanti alla stipulazione dei contratti medesimi, creando obblighi e diritti per le parti stipulanti e non per i singoli lavoratori29. La parte obbligatoria del contratto collettivo nazionale, quindi, determina rapporti che in genere non coinvolgono il lavoratore, ma i soggetti sindacali che possono essere anche diversi da quelli che hanno siglato il contratto collettivo nazionale. 30
La parte obbligatoria del contratto collettivo nazionale può contenere importanti previsioni relative31:
29 Si veda sul punto Cass. 16 marzo 2001 n. 3813.
30 Ad esempio da un contratto collettivo nazionale possono derivare determinati obblighi a carico delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e datoriali a livello provinciale così come delle R.S.U. e del datore di lavoro.
31 Per un approfondimento in materia di contrattazione collettiva nazionale si rinvia a Bortone R., “Il contratto collettivo tra funzione normativa e funzione obbligatoria”, Bari, 1992 e a Cessari A., “L’interpretazione dei contratti collettivi”, Xxxxxxx, Milano, 1963.
• alla gestione del rapporto di lavoro, come nel caso della costituzione di enti bilaterali (ad esempio le Casse edili di norma costituite in ambito provinciale nei vari settori contrattuali dell’Edilizia);
• alla disciplina dei conflitti nei quali le parti producono una nuova disposizione di situazioni giuridiche già formate (ad esempio transazioni su somme contestate, clausole di interpretazione autentiche).
Le criticità delle clausole obbligatorie riguardano i doveri, gli obblighi e le responsabilità che ne discendono per i soggetti sindacali, sia dei lavoratori che delle imprese.
Ad esempio, l’inadempimento di una clausola obbligatoria comporta in genere una responsabilità del sindacato nei confronti della propria struttura associativa di affiliazione (è il caso del contratto aziendale che non rispetta i "binari" previsti dal contratto collettivo nazionale) che può dar luogo32:
• a sanzioni previste dagli statuti associativi;
• in funzione della materia violata, a responsabilità di un sindacato dei lavoratori nei confronti di un altro;
• a responsabilità tra associazione datoriale e controparte sindacale;
• a responsabilità tra datore di lavoro e sindacati dei lavoratori che possono dar luogo a forme di autotutela sindacale (come lo sciopero) o al ricorso all’ autorità giudiziaria (come il procedimento per condotta antisindacale a seguito di una violazione dei diritti collettivi di informazione e consultazione sindacale).
Un altro tema da affrontare è quello della derogabilità in peius del contratto collettivo nazionale da parte del contratto aziendale.
32 Si veda Xxxxxxxxxx X., “Sull’accertamento pregiudiziale della efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi”, in Corr. Giur. 1998.
La dottrina e la giurisprudenza non sono riuscite ad individuare un’unica soluzione: infatti, il contratto collettivo aziendale può derogare in peius il contratto collettivo nazionale per il criterio di specialità, per il criterio di posteriorità nel tempo, per la teoria del mandato ascendente in cui le associazioni di livello inferiori sono gerarchicamente sovraordinate a quelle di livello superiore33.
Il contratto collettivo aziendale non può invece derogare in peius il contratto collettivo nazionale per il principio del favor del lavoratore ex art. 2077 c.c. in quanto il contratto collettivo aziendale è costituito da una serie di pattuizioni tra datore di lavoro e singoli lavoratori per la teoria del mandato discendente in cui le associazioni di livello inferiore sono gerarchicamente subordinate a quelle di livello superiore.
Per risolvere questo problema sono intervenuti i protocolli Ciampi – Giugni del 1993 e l’Accordo Quadro del 2009: entrambi richiamano la centralità del ruolo del contratto collettivo nazionale nel fissare gli ambiti e le modalità di intervento della contrattazione collettiva di secondo livello.
Questa soluzione tuttavia risulta essere soltanto parziale anche a causa del disaccordo tra i sindacati confederati.
Tra tutte queste differenze possiamo trovare un punto di contatto tra il contratto collettivo aziendale ed il contratto collettivo nazionale. Esso riguarda la forma del contratto. Per entrambi l’ordinamento giuridico, insieme alla legge ed alla giurisprudenza, lascia alle parti libertà di forma poiché non vieta, anzi ritiene pienamente legittime, le pattuizioni collettive che non assumano la forma scritta34 (un’obbligatorietà di scrittura si rinviene nei contratti corporativi vigenti, nella contrattazione a valenza erga omnes nonché nei contratti nazionali del pubblico impiego).
33 Assanti C. “Corso di diritto del lavoro” Padova, Cedam 1993.
34 Sul punto si veda Cass. S.U. 22.3.95 n. 3318.
Nella prassi però, nella generalità dei casi le parti stipulanti riproducono il contenuto di quanto pattuito in forma scritta, sia per la complessità delle materie trattate sia per evitare futuri ripensamenti dell’altro contraente L’efficacia del contratto collettivo aziendale.
Un ultimo caso che “lega” la contrattazione collettiva a fattori esterni è il caso in cui quest’ultima si ponga come presupposto per l’acquisizione di risorse pubbliche.
Qui ci troviamo dinanzi ad uno stretto intreccio tra azione della Pubblica Amministrazione e ruolo delle Parti sociali. Segnaliamo infatti che se l’autonomia collettiva viene coinvolta all’interno di un procedimento amministrativo si realizza, in qualche misura, una forma di partecipazione del sindacato ad una funzione pubblica. All’interno della contrattazione collettiva aziendale che, al fine di superare la “crisi” dell’impresa, tende ad evitare il licenziamento dei dipendenti, un particolare rilievo può essere assegnato al contratto di solidarietà, oggetto di tipizzazione legale che lo inserisce tra le cause integrabili.
1.3.2 Il contenuto del contratto collettivo aziendale
Trattandosi di un sistema di contrattazione di secondo livello, non è possibile individuare un contenuto tipico o tipizzato del contratto collettivo aziendale.
Infatti, il contenuto di tale livello di contrattazione, oltre ad essere soggetto alle singole dinamiche aziendali (che in questa sede è impossibile esporre) è determinato da fattori esterni con i quali i due attori principali, ossia datore di lavoro e rappresentanze sindacali, sono tenuti a misurarsi35.
35 Per un’analisi più completa si rinvia a Del Punta R. “Il contratto collettivo aziendale” in
X. X’Xxxxxx (a cura di), Letture di diritto sindacale, Jovene, Napoli, 1990, p. 292-295, Romagnoli U., “Il contratto collettivo di impresa”, Xxxxxxx, Milano, 1963, p. 4 e a Novara G., “Il contratto collettivo aziendale”, Xxxxxxx, Milano, 1965.
Partendo da fattori apparentemente più “lontani”, la contrattazione collettiva aziendale può essere influenzata “di riflesso” dalle direttive UE. Per spiegare meglio tale influenza “indiretta”, può essere utile fare riferimento alle ultime direttive UE attuate nel nostro ordinamento. Infatti, dal 13.8.2022 sono entrati in vigore i DLgs. 27.6.2022 n. 104 (c.d. decreto "Trasparenza") e 30.6.2022 n. 105 (c.d. decreto "Conciliazione vita-lavoro"), che attuano rispettivamente la direttiva Ue 2019/1152 e la direttiva Ue 2019/1158, finalizzate al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e all'estensione dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori.
Nel dettaglio, il DLgs. 104/2022 introduce diverse novità riguardanti condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili al fine di adeguare la legislazione nazionale a quella comunitaria e stabilendo nuove tutele minime per garantire che tutti i lavoratori beneficino di maggiore prevedibilità e chiarezza in materia di trasparenza delle informazioni sul rapporto e sulle condizioni di lavoro. Tale provvedimento impatta su diversi aspetti lavoristici, tra cui:
• l'obbligo datoriale di informare il lavoratore in merito alle condizioni applicabili al contratto di lavoro e il relativo regime sanzionatorio;
• il lavoro intermittente;
• la durata massima del periodo di prova;
• il cumulo di impieghi;
• la prevedibilità minima del lavoro;
• la transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili;
• la formazione obbligatoria;
• le controversie in materia di lavoro;
• forme di tutela contro il licenziamento o i trattamenti ritorsivi.
Le disposizioni del DLgs. 105/2022 sono invece finalizzate a migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare. In particolare, nell'ottica della piena equiparazione dei diritti alla genitorialità e all'assistenza, vi sono diversi interventi in materia di congedi del padre lavoratore, congedi parentali, permessi 104, nonché maternità delle lavoratrici autonome.
Sebbene i due DLgs. impattino direttamente sulle disposizioni di legge operative nel nostro ordinamento e non su questioni riguardanti la contrattazione, è possibile supporre che in futuro la contrattazione collettiva aziendale “sposterà” la propria attenzione nel senso di disciplinare nuovi aspetti (ad esempio nell’ottica di migliorare aspetti di trasparenza nel rapporto di lavoro) o di ridiscutere tematiche già definite in sede di contrattazione, ma che alla luce delle maggiori tutele introdotte dalle disposizioni in esame, meritano di essere ridiscusse al tavolo delle Parti sociali36.
Un ulteriore fattore che può certamente influenzarne il contenuto è il contesto economico-sociale. Normalmente il concetto in esame costituisce un fattore piuttosto “scivoloso”, la cui impronta non sempre è ben identificabile all’interno di un contratto collettivo aziendale. In questo particolare periodo storico, tuttavia, la contrattazione aziendale sembra essere il miglior alleato per far fronte alle difficoltà economiche determinate, oltre che dalla pandemia, anche dalla guerra in Ucraina. Infatti, per contrastare fenomeni quali quello del caro energia, la contrattazione aziendale può costituire un valido strumento, in grado di consentire
36 Si pensi ad esempio alla disciplina dei congedi del padre lavoratore o alla fruizione del congedo parentale.
flessibilità organizzativa tramite una diversa distribuzione dell'orario di lavoro. L'art. 3 co. 2 del DLgs. 66/2003 dispone infatti che i contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno.
Secondo la circolare n. 8/2005 del Ministero del Lavoro, tenuto conto che la disposizione non richiama espressamente alcun livello di contrattazione collettiva, il rinvio deve intendersi a tutti i contratti collettivi – stipulati da una o più organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative sia a carattere nazionale, sia territoriale e aziendale.
Pertanto, tramite accordi aziendali sarebbe possibile negoziare soluzioni contrattuali che, ad esempio, collochino l'attività lavorativa su quattro giorni alla settimana, con un orario di lavoro di 10 ore giornaliere37. Alla contrattazione collettiva è altresì demandata la facoltà di introdurre e regolamentare l’orario “multiperiodale”, laddove l’organizzazione del lavoro sia programmabile, individuando preventivamente l’andamento del carico dei flussi lavorativi in ragione della variazione dell’attività produttiva, consentendo così per alcuni periodi un’attività di maggiore lavoro e in altri una riduzione di orario con compensazione quantitativa delle ore, nel corso dell’anno.
In questa ipotesi dovrebbe comunque essere rispettata la media delle 48 ore settimanali, comprese quelle di lavoro straordinario, secondo la previsione dell’art. 4. Questa disposizione prevede infatti che i contratti collettivi di lavoro stabiliscano la durata massima settimanale dell’orario di lavoro che, mediamente, non può, in ogni caso superare, per ogni periodo
37 Soluzione possibile in quanto rispettosa del riposo giornaliero di almeno 11 ore (art. 7 del DLgs. 66/2003) e la pausa intermedia di almeno 10 minuti (art. 8 del DLgs. 66/2003).
di sette giorni, le 48 ore, comprese quelle di lavoro straordinario. La media è calcolata con riferimento a un periodo non superiore a quattro mesi che i contratti collettivi possono ampliare a sei o a dodici a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro da specificare nell’accordo38.
Inoltre, la contrattazione collettiva aziendale può essere utilizzata quale strumento per gestire e/o superare la “crisi d’impresa”, cercando di evitare il licenziamento dei dipendenti tramite la stipula di contratti di solidarietà. Tali contratti, infatti, sono accordi collettivi aziendali stipulati con i sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale, la cui efficacia si estende anche nei confronti di lavoratori non aderenti ai sindacati, volti a fronteggiare le situazioni di esubero del personale, così da evitare riduzioni di personale o per assumere nuovo personale riducendo l'orario dei lavoratori in forza.
Non è raro, poi, che i contratti collettivi aziendali recepiscano anche “usi aziendali” - ossia i comportamenti spontanei e reiterati nel tempo dal datore di lavoro nei confronti della generalità dei propri dipendenti, riguardanti la concessione di benefici economici o normativi, anche relativi alle modalità di espletamento della prestazione lavorativa – che l’azienda e le rappresentanze sindacali decidano di “cristallizzare” in un accordo; in tal modo, l’uso aziendale recepito nel contratto aziendale perde la propria insensibilità o impermeabilità rispetto alle vicende delle successioni temporali delle fonti collettive e ne seguono conseguentemente le sorti, con effetti di caducazione o di revoca o di sostituzione da parte di fonti collettive contemplanti trattamenti anche in peius39.
38 In tal senso si veda Marrucci M. “Caro energia, il contratto aziendale può adattare l’orario lavorativo”, IlSole24Ore, 3.10.2022 p. 23.
39 Si vedano Cass. n. 13294 del 27.11.99 e Cass. n. 1173/2000.
Inoltre, l’abito della contrattazione aziendale è senz’altro delineato dai CCNL. Tale contenuto è infatti determinato - come si è accennato nel paragrafo precedente e come analizzeremo nel seguito del presente lavoro quando si esporrà l’articolazione tra fonti giuslavoristiche – da quanto sostanzialmente consentito dalla contrattazione collettiva di livello nazionale40. Negli anni si è assistito ad una maggior “normalizzazione” della
c.d. “derogabilità assistita”, sia sotto un profilo quantitativo che qualitativo, con un aumento “delle ipotesi in cui il contratto poteva intervenire anche in pejus negli ambiti delegatigli dalla legge, e si assisteva a un coevo ampliamento del raggio di azione del contratto aziendale”41. Si tratta di un decentramento controllato, ove l’accordo d’impresa può derogare al contratto di categoria, ma nel rigoroso rispetto di quanto previsto da quest’ultimo per ciò che attiene a materie, presupposti abilitanti e procedure. “Il contratto aziendale degli anni ‘50/’60 era funzionalmente integrato con quello di categoria: infatti aveva il compito di determinare in concreto quei peculiari istituti del rapporto di lavoro collegati all’esecuzione della prestazione lavorativa (ad es., cottimo, premio di produzione, job evaluation, inquadramento personale), che difficilmente il contratto di categoria sarebbe riuscito a precisare poiché strettamente connessi alla situazione tecnico-
40 Secondo quanto analizzato con riguardo agli anni dal Protocollo del 1993 agli accordi del 2009 da Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro- mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 71, “all’insegna di un approccio improntato alla razionalità micro-economica, le parti sociali devolvevano al contratto decentrato gli incrementi retributivi frutto dell’eventuale produttività collettiva e di gruppo della specifica compagine imprenditoriale (premi, superminimi), facendo assumere alla retribuzione carattere strutturalmente variabile. Il contratto aziendale restava essenzialmente uno strumento di contrattazione acquisitiva; tuttavia, in modo velato l’Accordo del 1993 apriva a un decentramento esteso a materie diverse dalla retribuzione, posto che <<la contrattazione aziendale e territoriale è prevista secondo le modalità e negli ambiti di applicazione che saranno definiti dal contratto nazionale>>: pertanto – all’insegna di un processo gerarchico – il raggio di azione dell’accordo decentrato dipendeva dall’ampiezza della clausola di delega”. In tal senso si veda anche Olivelli F., “La contrattazione collettiva aziendale dei lavoratori privati”, Xxxxxxx, Milano, 2016, p. 111. 41 Si veda Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-
mediterranee a confronto”, Cap. I, Giappichelli Editore, Torino, p. 33.
economica della singola azienda.”42; con tale impostazione, l’accordo decentrato integrava quello di categoria in chiave di specificazione contenutistica43.Con l’entrata in vigore della L. 300/1970 si è gradualmente assistito ad un mutamento, grazie all’art. 19 che nell’allora versione privilegiava le rappresentanze aziendali dei lavoratori espressione del sindacalismo confederale44, sino a giungere poi agli assetti moderni45.
Per fornire un esempio di “delega” ad opera del CCNL al contratto aziendale, si riporta l’art. 5 del CCNL Metalmeccanici, che attribuisce alle parti aziendali la definizione, laddove necessario, di alcuni aspetti legati alla gestione dell’orario di lavoro. In particolare, l’art. 5 stabilisce che "I lavoratori non potranno rifiutarsi all’ istituzione di più turni giornalieri. Il lavoratore deve prestare la sua opera nelle ore e nei turni stabiliti anche se questi siano predisposti soltanto per determinati reparti. Con decorrenza dal primo luglio del 1978 tutti i lavoratori addetti a turni avvicendati beneficiano di mezz’ora retribuita per la refezione nelle ore di presenza in azienda. Da tale disciplina sono esclusi i lavoratori a turni avvicendati i quali già usufruiscono nell’ambito delle otto ore di presenza di pause retribuite complessivamente
42 Si rinvia a Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-
mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 66 nonché a Romagnoli U., “Il contratto collettivo di impresa”, Xxxxxxx, Milano, 1963 p. 87.
43 Cfr. anche Xxxxxxxx L., “La contrattazione collettiva”, il Mulino, Bologna, 1985, p. 00-00 x Xxxxxxx Xxxxxxxxxx X., “Xx contratto aziendale in deroga”, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 254/2015, p. 3-4, secondo cui “alla contrattazione vincolata … si sostituì la contrattazione non vincolata”.
44 Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 67.
45 Per una panoramica sull’evoluzione dei contenuti della contrattazione aziendale delegata dal CCNL si rinvia anche a Mariucci L., “Un accordo necessario, da attuare e non stravolgere”, in QRS, 3, 2011, p. 22 e a Zoli C., “Dall’Accordo Interconfederale 28 giugno 2011 all’art. 8 d.l. n. 138/2011, in Carinci F. (a cura di), Contrattazione in deroga, p. 145.
non inferiori a trenta minuti che consentano il consumo di pasti, ad eccezione di quelle che siano state esplicitamente concesse ad altro titolo46.
Una particolare tipologia di contratto di secondo livello che merita di essere menzionato è costituita dai contratti di prossimità (ne abbiamo già brevemente parlato nei paragrafi precedenti). Tali contratti sono caratterizzati da una particolare “forza" dal momento che essi sono in grado di derogare in senso migliorativo e peggiorativo (in melius ed in peius) alla disciplina del contratto collettivo nazionale e dalla legge e sono efficaci ed applicabili a tutti i lavoratori interessati. La disciplina di tali contratti si rinviene nell’art. 8 del DL 138/2011 convertito in L. 148 / 2011, del quale parleremo in seguito.
1.4 L’efficacia del contratto collettivo aziendale
Una volta esaurita la trattazione del contenuto del contratto collettivo aziendale e delle differenze con il contratto collettivo nazionale, deve essere affrontato il tema dell’efficacia del contratto collettivo aziendale47.
46 Secondo Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-
mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 78, “quasi tutta la parte economico-normativa di un ccnl può essere oggetto di deroga aziendale, con la sola esclusione (parziale) della materia retributiva, cui si aggiungono quelle sindacale e degli istituti di partecipazione che del resto hanno una differente collocazione sistematica negli accordi. L’unico limite invalicabile è rappresentato dai minimi inderogabili di legge, che […] hanno un forte grado di elasticità in virtù del combinato disposto dell’art. 8 l. 148/2011 e del d.lgs. 81/2015”.
47 “Alla luce di un’interpretazione della costituzione sia letterale sia basata sull’intentio legislatoris, un eventuale meccanismo di efficacia erga omnes per via legislativa era stato ricondotto dalla dottrina pressoché unanime ai soli accordi di categoria o sovra-aziendali (ad es., territoriali o provinciali). Per di più, il contratto aziendale non era unanimemente considerato come accordo collettivo in senso stretto in ragione dell’interesse protetto: la dottrina, sulla base di un’impostazione che risentiva del concetto di categoria professionale dell’ordinamento corporativo, riteneva che solo il contratto di categoria potesse qualificarsi come collettivo, in quanto preordinato a tutelare gli interessi di una serie aperta di lavoratori”. Sul punto si rinvia a Xxxxxxxxx A., “Il contratto collettivo aziendale e decentrato”, Xxxxxxx, Milano, 2001, p. 304 e a Xxxxxxx G., “Legge, norma collettiva e contratto aziendale”, Dir. econ., 1958, p. 483 e ss.
E’ indubbia l’efficacia erga omnes del contratto collettivo aziendale con valore migliorativo od operante in funzione integratrice della legge48.
Sussistono invece incertezze quando il contratto aziendale prevede trattamenti peggiorativi e non benefici o vantaggi. In questo caso infatti i lavoratori non iscritti alle associazioni stipulanti il contratto di secondo livello potrebbero manifestare il loro dissenso all’applicazione di tale contratto. La giurisprudenza49 sembra orientata a sostenere l’estensibilità degli accordi aziendali anche nei confronti dei non iscritti che siano rimasti inerti o silenti. I lavoratori che, aderendo ad un’organizzazione sindacale diversa, ne condividono invece l’esplicito dissenso dell’accordo non possono essere da questo vincolati e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale superato.
48 “Il contratto aziendale, secondo le prime ricostruzioni sistematiche elaborate da Novara, si applicava a tutti i lavoratori dell’impresa in ragione del principio costituzionale di eguaglianza ex art. 3 Cost.: la comunità del personale, quale subspecies di comunione di diritti reali ex art. 1100 ss c.c., godeva di personalità giuridica ed era pertanto portatrice di un interesse collettivo; quest’ultimo si concretizzava nella contrattazione con la controparte datoriale di condizioni di lavoro uniformi per tutti gli appartenenti alla comunità del personale stessa”. Così Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 65.
Per un’analisi più approfondita riguardo l’efficacia si rinvia a Del Punta R. “Il contratto collettivo aziendale” in M. D’Antona (a cura di), Letture di diritto sindacale, Jovene, Napoli, 1990, p. 292-295, Romagnoli U., “Il contratto collettivo di impresa”, Xxxxxxx, Milano, 1963,
p. 4 e a Novara G., “Il contratto collettivo aziendale”, Xxxxxxx, Milano, 1965. Su questi punti si rimanda a Cass. 28.5.2004 n. 10353 e Cass. 11.12.2002 n. 17674 e Cass. 25.3.2002 n. 4218 e, per una panoramica più generale, a Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G. “Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio”, in RDL, anno XXIX – 2010, pp. 487 – 522.
49 Cfr., tra le molte, Cass. n. 27115/2017, nonché, le più risalenti 6044/2012 e Cass. n. 10353/2004. Inoltre, si segnala che “anni addietro la Corte Costituzionale si spingeva sino a considerare l’efficacia erga omnes del contratto aziendale quale proiezione dell’art. 41 co. 2 Cost., a fronte di una Suprema Corte che – dopo aver parzialmente accolto
l’orientamento del Giudice delle leggi – si riattestava su posizioni di self-restraint”, Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 68. Per approfondimenti su tale impostazione si rinvia a Corte Cost. 9.3.89 n. 103, in Riv. It.dir.lav., 1989, II, p. 389 e Xxxxxxx M., “Alcune riflessioni in tema di parità di trattamento e alcune clausole generali”, in Riv. Giur.lav., 1995, II, p. 304. Ancora, di veda Xxxxxxxx S. “La dottrina giuslavoristica italiana di fronte al mutamento delle relazioni sindacali e alla questione della rappresentatività”, WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-295/2016, p. 10.
La tesi dell’estensibilità ai non iscritti si basa sul principio di inscindibilità delle clausole dei contratti collettivi, che non consente di godere solo dei benefici contrattuali e di sottrarsi alle clausole svantaggiose e sul principio di parità di trattamento dei lavoratori50 .
Si è altresì sostenuto che la contrattazione collettiva aziendale, concernendo una pluralità di lavoratori collettivamente considerati e soggettivamente non identificati, abbia efficacia generale in quanto regola in modo unitario indivisibili interessi collettivi dei lavoratori51. Alcuni interventi giurisprudenziali hanno affermato l’efficacia erga omnes della contrattazione collettiva sia nazionale che aziendale con riferimento a situazioni specifiche, quali quelle dei contratti collettivi cosiddetti gestionali52. Di efficacia del contratto collettivo aziendale parliamo anche per quanto riguarda l’aspetto spaziale e temporale. Concluderemo parlando anche dell’efficacia soggettiva del contratto aziendale.
1.4.1 L’efficacia nello spazio
Per quanto riguarda l’efficacia del contratto collettivo aziendale nello spazio occorre riprendere quanto già detto in precedenza, ossia che esso ha funzione di integrazione del contratto collettivo nazionale e che la sua disciplina si esercita generalmente sulle materie delegate dalla
50 Si rimanda a Cass. 5.7.2002 n. 9764.
51 Cass. 2.5.90 n. 3607.
52 Si veda sul punto Corte Cost. 30.6.94 n. 268 e 344/1996, in Mass. Giur. Lav., 1996, p. 691, con nota di Xxxxxxx X., “Il sostegno della Corte Costituzionale allo sciopero nei servizi pubblici essenziali”. Sull’efficacia erga omnes del contratto aziendale Dottrina e Giurisprudenza hanno utilizzato criteri diversi nel tempo, facendo anche riferimento all’argomento della indivisibilità degli interessi e della procedimentalizzazione dei poteri individuali, per cui si rinvia a “Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali”, di Giugno G., n. 133/2012, anno XXXIV. D’Antona, nel ricondurre il contratto decentrato nel perimetro applicativo della seconda parte dell’art. 39 Cost., legittima gli accordi aziendali in deroga purchè rispettino il nucleo essenziale del precetto costituzionale, ovvero la sottoscrizione da parte di sindacati espressione della maggioranza dei lavoratori sulla base del criterio proporzionalistico, cfr. D’Xxxxxx X., “Il quarto comma dell’art. 39
Costituzione oggi”, in Scritti in onore di Xxxx Xxxxxx, Xxxx X, Xxxxxxx, Bari, 1999, p. 329.
contrattazione nazionale o dalla legge. Si può sostenere che il contratto collettivo aziendale abbia un’efficacia per quella singola azienda e per quei dipendenti che compongono l’azienda. Ancora si può dire a proposito del tema dell’efficacia nello spazio che i contratti di secondo livello in via generale si applicano per determinate materie sempre delegate dalla contrattazione collettiva nazionale. In particolare, viene delegata la disciplina in tema di articolazione dell’orario di lavoro, come regimi di flessibilità e la banca ore e dei premi di produzione e degli elementi economici connessi alla produttività dell’impresa (cosiddetto salario di produttività)53.
In taluni casi è la legge ad affidare alla contrattazione anche di secondo livello la regolamentazione di istituti che possono agevolare la flessibilità. Ad esempio, la contrattazione aziendale può derogare alla disciplina sulla successione dei contratti a termine eliminando la necessità delle pause tra un contratto ed un altro.
1.4.2 L’efficacia nel tempo
Per quanto riguarda l’efficacia nel tempo del contratto collettivo aziendale rimandiamo alla durata del contratto54. Essa è libera, tuttavia viene normalmente ricondotta alla durata della contrattazione nazionale da cui discende che, generalmente, la sua durata è di tre anni. Allo scadere del termine cessano i suoi effetti giuridici ed il contratto non è più vincolante per le parti. Tuttavia, considerata la delicatezza delle materie coinvolte e soprattutto l’influenza che le stesse hanno nella vita dell’impresa, spesso è
53 Si consenta il rinvio a Tosi P., “Gli assetti contrattuali tra tradizione e innovazione”, in Arg. Dir. lav., 2013, p. 508 e a Olivelli F., “La contrattazione collettiva aziendale dei lavoratori privati”, Xxxxxxx, Milano, 2016, p. 111.
54 Si rinvia anche a Cataudella M.C., “L’efficacia generale degli accordi aziendali e territoriali”, in Dir.lav.merc., 2012, p. 70.
prevista nel contratto stesso una clausola di ultrattività che assicura la permanenza, fino a rinnovo avvenuto, delle discipline scadute55.
In ogni caso, anche a contratto scaduto, il lavoratore ha diritto al trattamento economico che assicura la congruità e sufficienza della retribuzione (art. 36 della Costituzione) e il datore di lavoro deve continuare a corrispondere ai propri lavoratori dipendenti tale livello minimo inderogabile di stipendio che necessariamente deve tenere conto del regime contrattuale formalmente non più efficace. Il contratto collettivo aziendale, come quello nazionale, può essere rinnovato e continuare a far applicare i suoi effetti56.
1.4.3 L’ efficacia soggettiva
Ultimo argomento da trattare riguarda l’efficacia soggettiva del contratto collettivo aziendale, ossia i soggetti coinvolti dalle disposizioni di questo contratto57. Occorre prima di tutto ricordare brevemente chi siano i soggetti coinvolti alla sottoscrizione del contratto di secondo livello. Tra essi vi sono: i datori di lavoro, le associazioni di categoria dei datori di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori in azienda (R.S.U. ed R.S.A.) e le organizzazioni sindacali dei lavoratori. Il contratto aziendale può essere sottoscritto dal datore di lavoro indipendentemente dall’assistenza della propria associazione di categoria e da uno o più rappresentanti dei lavoratori. Ai fini della validità del contratto, rappresenta elemento necessario la sottoscrizione da parte di un rappresentante sindacale dei lavoratori, mentre non è essenziale il coinvolgimento dell’associazione di categoria datoriale, un contratto sottoscritto anche da tutti i lavoratori dipendenti a titolo individuale non costituisce un contratto collettivo, bensì
55 Per un’analisi più generale si rinvia a Vallebona A., “L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali: si sgretola l’idolo dell’uniformità oppressiva”, in Dir.rel.ind., 2012, p. 684.
56 Ballestrero, De Xxxxxx “Diritto del Lavoro” 2019.
57 Per un maggiora approfondimento si rinvia a Xxxxxxx G., L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, ed. in Quaderni Fondazione Xxxxx Xxxxx, anno IV, vol. II.
un contratto individuale plurimo58. Sull’efficacia soggettiva del contratto collettivo aziendale si riflette ancora, come accade per il contratto collettivo nazionale, la mancata attuazione dell’art. 39 della Costituzione59. La mancata applicazione del citato articolo, nella parte in cui si prevede una procedura di registrazione pubblica per i sindacati, non consente l’attuazione tout court della volontà dell’Assemblea Costituente, ossia quella di rendere i contratti collettivi validi verso i datori di lavoro ed i lavoratori a prescindere dall’iscrizione o meno agli agenti negoziali (efficacia erga omnes). Se si fosse attuata la seconda parte dell’art. 39 della Costituzione la questione sarebbe stata risolta alla radice sulla base del fatto che il contratto collettivo nazionale, e quindi di conseguenza quello aziendale, avrebbe avuto un’efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria di riferimento del contratto. Vista la mancata attuazione, da più di cinquant’ anni si utilizzano, come già detto in precedenza, gli strumenti del diritto privato. Malgrado queste premesse, la dottrina e la giurisprudenza ha trovato una soluzione per ritenere efficaci i contratti collettivi aziendali nei confronti di tutti i lavoratori dell’azienda. Questo perché l’art. 39 della Costituzione, congiuntamente con il successivo art. 40, garantisce le libertà ed i diritti dei singoli cittadini o anche degli enti collettivi in cui si impersonificano interessi e fini di dimensione sovraindividuale e riconoscono anche l’azione e l’organizzazione di gruppi che si fanno portatori di interessi collettivi in posizione di conflitto con gli interessi delle altre parti sociali. “Libertà e autonomia organizzativa del sindacato costituiscono una delle principali epifanie di quello che può essere definito il filo conduttore del nostro modello di democrazia costituzionale: l’intreccio tra personalismo e pluralismo, la tutela dei diritti dell’uomo dentro una cornice collettiva in cui le
58 Si rinvia a Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G., “Il contratto aziendale in deroga”, Op. cit., p. 103 e a Tosi P., “Gli assetti contrattuali tra tradizione e innovazione”, in Arg. Dir. lav., 2013, p. 508. 59 Amorth A. La Costituzione Italiana. Commento Sistematico Milano Xxxxxxx editore 1948.
istanze individuali si rafforzano e si alimentano, diventando parte di un progetto complessivo di; società e Stato. La libertà sindacale, in tutte le sue molteplici manifestazioni, è innanzitutto una libertà della persona, un diritto che interagisce in maniera biunivoca con altri diritti fondamentali, traducendo da un lato la ricerca costituzionale di un effettivo riequilibrio della pesante asimmetria che caratterizza il conflitto tra interessi dei lavoratori alla definizione sul piano normativo-amministrativo della strategia dell’eguaglianza sostanziale (art.3,2°co., Cost.). A questa stregua, il fenomeno sindacale proietta, più di quanto non riescano a fare altre istanze o posizioni individuali giuridicamente protette, la dimensione tradizionalmente oppositiva del discorso sui diritti sul versante della qualità del sistema democratico, come sistema intrinsecamente poliarchico, costruito in altre parole su una complessa rete di figure e procedure (non limitati al campo delle istituzioni pubbliche) che muovono verso l’obiettivo del potere bilanciato dinamicamente separato”.60 E’ utile anche sottolineare come il T.U sulla rappresentanza stabilisca che il contratto collettivo aziendale è efficace per tutto il personale in forza all’azienda se è approvato dalla maggioranza dei componenti della R.S.U. o, nel caso in cui i lavoratori non le abbiano costituite, esso è efficace per tutto il personale in forza all’ azienda se è approvato dalle R.S.A. costituite dell’ambito di sindacati maggiori in azienda. Occorre ancora, in ultimo dire che l’accordo concluso in azienda ha natura di contratto collettivo in tutti i casi in cui quest’ultimo disciplini trattamenti applicabili alla maggioranza dei lavoratori disciplinando situazioni che interessano l’universalità, o comunque una pluralità di lavoratori, a prescindere dalla loro identità soggettiva61.
60 X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Commentario alla costituzione, cit. pag. 801.
61 Per un’analisi critica che mette in relazione l’efficacia del contratto aziendale e l’art. 8 del DL 138/2011 di cui si tratterà in seguito si rinvia a Pessi R., “Ancora sull’articolo 8
1.5 Le dinamiche contrattuali: la formazione del contratto collettivo aziendale
Affrontiamo adesso il tema delle dinamiche contrattuali focalizzando la nostra attenzione sulla formazione del contratto collettivo aziendale. Come si arriva al contratto collettivo aziendale? Qual è il procedimento per la sua formazione?62 La prima cosa da sottolineare sono i soggetti che sono ammessi alla trattativa63. Le dinamiche della contrattazione sono rinvenute, almeno parzialmente, all’ interno degli Accordi del 2009. In base a tali accordi si prevede che i contratti collettivi, tra cui quello aziendale, prevedono una durata la cui definizione è rimessa esclusivamente alla volontà delle parti, che comunque è stata individuata in una durata triennale. Su questo punto sia l’A. I. del 2011, sia i successivi A. I. del 2013 e del 2014 tacciono. Si può però ipotizzare che per questa parte resti fermo quanto stabilito nel 2009 trattandosi di un punto non controverso.
Le dinamiche della contrattazione trovano una parziale disciplina nelle regole dettate dagli A.I. in materia di rinnovo dei contratti collettivi, di cui parleremo in seguito. Tali accordi impongono alle parti di astenersi dall’ assumere iniziative unilaterali come, per esempio, la dichiarazione di uno sciopero (si parla di periodi di “raffreddamento del conflitto"). Le regole, inizialmente previste dal Protocollo del 1993, sono poi state modificate dall’Accordo Quadro del 22 gennaio 2009 e dagli A.I. stipulati in attuazione di esso. La modifica ha comportato la soppressione dell’indennità di vacanza contrattuale che prevista dal protocollo del 1993. L’indennità consisteva in
della manovra estiva. Quali spazi per la contrattazione di prossimità?”, in Dir. rel. ind., 2012, 1, p. 61, il quale ritiene che l’efficacia generalizzata delle intese derogatorie territoriali potrebbe essere conseguita attraverso un doppio passaggio che veda la contrattazione territoriale recepita in quella aziendale; con questo meccanismo, anche le specifiche intese territoriali potrebbero conseguire efficacia erga omnes.
62 Si consenta nuovamente il rinvio a Xxxxxxxxx A. “Il contratto collettivo aziendale e decentrato”, Xxxxxxx, Milano, 2001.
63 Vedasi paragrafo 1.4.3.
un aumento della retribuzione pari al 30% del tasso di inflazione programmato qualora la vacanza contrattuale64) si prolungasse oltre tre mesi dalla scadenza del contratto e pari al 50% del tasso di inflazione programmato ove la vacanza si prolungasse oltre i sei mesi. Il contratto collettivo aziendale si ritiene pienamente formato con l’accordo tra i datori di lavoro, coadiuvati dalle associazioni di categoria, e le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le rappresentanze dei lavoratori in azienda. Occorre ricordare che, malgrado viga il principio di libertà di forma, il contratto ha una forma scritta richiesta obbligatoriamente per determinati tipi di settori 65. Xxxxxx di essere menzionato nelle dinamiche contrattuali anche il deposito con procedura telematica semplificata.
Occorre premettere che già a partire dal 2016 è obbligatorio effettuare per via telematica il deposito dei contratti aziendali stipulati dalle aziende per premiare gli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione. Tale obbligo è esteso anche ai contratti che prevedono forme di conciliazione tra i tempi di vita e quelli del lavoro (work – life balance) ed il credito di imposta per la formazione 4.0. Il Ministero del Lavoro ha istituito, a partire dal 19.7.2019, la procedura di deposito dei contratti collettivi aziendali che garantisce il riconoscimento di agevolazioni fiscali, contributive e di altro tipo. Nel dettaglio, l’applicativo informatico permette di effettuare l’adempimento inserendo solo alcune informazioni essenziali (dati del datore di lavoro / associazione di categoria che effettua il deposito, tipologia di contratto, data di sottoscrizione e periodo di validità) e caricando il file del contratto in formato pdf.
64 Vale a dire il periodo che va dalla scadenza del contratto al suo rinnovo.
65 Si pensi ai contratti corporativi vigenti, alla contrattazione a valenza erga omnes ed ai contratti nazionali del pubblico impiego.
I dettagli sulle agevolazioni possono essere inseriti in un secondo momento sommati ad eventuali informazioni specifiche per le quali viene predisposto il campo testuale “Altro". Una volta effettuato il deposito telematico il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro mettono a disposizione delle altre amministrazioni e degli enti pubblici interessati le informazioni contenute nei contratti.
1.6 La perdita di efficacia del contratto collettivo aziendale: recesso, mancato rinnovo e successione dei contratti
Dopo aver visto le dinamiche contrattuali e tutte le vicende che concernono il contratto collettivo aziendale, va ora affrontato il tema conclusivo di questo nostro primo capitolo, ossia la fine del contratto collettivo aziendale e tutte le vicende che lo caratterizzano: il recesso, il mancato rinnovo del contratto e, infine, la successione dei contratti.
Iniziamo con la trattazione del recesso del contratto collettivo aziendale. Occorre da subito segnalare che è concessa la facoltà di recesso unilaterale del contratto collettivo aziendale, tutto questo sempre letto in un’ottica di evoluzione del mercato del lavoro che contribuisce sempre di più ad una differenziazione marcata delle realtà produttive, e che tenga sempre più conto dell’esistenza di contratti di prossimità o aziendali i quali sono più aderenti ai bisogni dell’impresa e dei lavoratori.
A partire dal 2011 vi sono state significative novità in materia rappresentate sia da interventi normativi che da accordi tra le parti sociali. In particolare il 28.6.2011 Confindustria e le Confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno sottoscritto il già citato Accordo Interconfederale con il quale si sancisce l’applicazione e l’efficacia dei contratti collettivi erga omnes se approvati dalla R.S.U. aziendale. A tale accordo si è aggiunto l'art. 8 del DL 138/2011 con il quale si stabilisce che i contratti di secondo livello possono realizzare specifiche intese rivolte alla maggiore occupazione, alla qualità
dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali ed occupazionali ed infine agli investimenti ed all’ avvio di nuove attività. Nel contratto collettivo aziendale, sempre secondo questi accordi, può essere istituito un trattamento di premialità il quale è stato oggetto di una controversia che ha portato al recesso del contratto. Si tratta di una decisione del Tribunale di Napoli 7.2.2017 n. 342. Con questa importante sentenza, insieme alle premesse fatte in precedenza, si arriva a ben comprendere i presupposti sui quali fondare la facoltà di recesso del contratto collettivo aziendale.
Il caso di specie ha visto ricorrere in giudizio un lavoratore del settore metalmeccanico al fine di far dichiarare illegittima la disdetta unilaterale degli accordi collettivi aziendali in materia di premi di produttività con contestuale richiesta a percepire le somme a titolo di premialità per gli anni successivi. Nello specifico, a partire dal 2002, l’azienda sottoscriveva con le organizzazioni sindacali a livello aziendale un accordo in merito all’ erogazione dei premi di risultato di durata quadriennale e rinnovabile tacitamente salvo disdetta da realizzarsi previo avviso in termini pattuiti, il rinnovo era avvenuto automaticamente fino al due aprile del 2012 data in cui l’azienda formalizzava disdetta di tutti gli accordi collettivi aziendali compresi quelli concernenti i premi di produzione.
Premesso che un accordo collettivo aziendale è suscettibile di disdetta qualora se ne preveda la facoltà, il Giudice di merito ha respinto il ricorso ritenendo che la disdetta esercitata dall’azienda fosse di fatto pattuita negli accordi aziendali e che l’art. 9 del contratto collettivo nazionale in vigore prevedesse la mera facoltà e non l’obbligatorietà di istituire premi di produzione. In sostanza, secondo il Tribunale, l’accordo aziendale rappresentava l’unica fonte di obbligazione tra le parti e, dunque, poteva essere legittimamente disdettato. Infatti, aggiunge il Tribunale, un accordo
negoziale, in quanto produttivo di obbligazioni, deve ritenersi estinto qualora le parti abbiano apposto un termine e, qualora sia a tempo indeterminato, deve ritenersi comprensivo della facoltà di recesso previo avviso anche se non espressamente pattuito, secondo i principi civilistici posti a tutela della libertà negoziale 66.
Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale di Napoli ha riconosciuto al recesso operato dall’azienda una portata generale in quanto riferito letteralmente “a tutti gli accordi sindacali, le prassi ed i contratti collettivi aziendali applicati ed applicabili".
Appare evidente che il Giudice abbia fondato la sua decisione sulla scorta dei principi civilistici in materia di libertà negoziale senza voler evidentemente intraprendere un percorso più difficile caratterizzato dal rapporto tra contrattazione collettiva nazionale ed aziendale.
Si capisce quindi che recedere da un contratto collettivo aziendale rappresenta una di quelle decisioni aziendali che contrappongono una necessità concreta quantitativamente diffusa ad una non semplice identificazione della struttura normativa applicabile. Le ragioni di tale aspetto risiedono nella compresenza di fonti normative e situazioni di fatto dalla complessa coabitazione. Un primo aspetto riguarda, come detto già in precedenza, il fatto che il contratto collettivo sia un negozio disciplinato dagli aspetti civilistici del Codice del 1942. Un secondo punto riguarda la famosa mancata attuazione completa dell’art. 39 della Costituzione ed in ultimo, ma non meno importante, una sfuggente e complessa definizione delle modalità di attuazione del recesso unilaterale del contratto collettivo aziendale (nonché delle sue conseguenze) ed anche una normativa specifica lacunosa che rende necessario, se non obbligatorio, ricercare un percorso alternativo andando ad attingere a fonti alternative.
66 Sul punto Cass. 24533 del 30.10.2013 e Cass. n. 19351 del 18.9.2007.
La prima cosa da segnalare per trovare una strada percorribile è illustrare la distinzione tra recesso di un contratto collettivo aziendale a tempo indeterminato ed il recesso di un contratto collettivo aziendale avente un termine (già segnalata nella sentenza del Tribunale di Napoli). Anche se la giurisprudenza ha ammesso la recedibilità da entrambi, sono presenti differenze sostanziali di approccio e di ragioni nel recesso dall'una o dall'altra tipologia di contratto.
Quando si recede da un contratto collettivo aziendale a tempo indeterminato si sostiene, secondo la giurisprudenza, che tale facoltà sia addirittura una natura endemica del contratto collettivo aziendale il quale deve assolvere ad una funzione sociale e quindi rispecchiare la realtà socio- economica circostante67.
Stante questa valenza, un contratto collettivo a tempo indeterminato, alla lunga, mal potrebbe permanere nell’essere veicolo ed espressione di tale valenza.
Tale principio mette in risalto i principi di inammissibilità dei vincoli contrattuali perpetui e di salvaguardia delle libertà delle parti e, ad estensione di quanto appena detto, si pone un’ulteriore interpretazione presente in dottrina ed in giurisprudenza che attingendo alle disposizioni dell’art. 1346 c.c., di fatto stabilisce che l’assenza di un termine fa venire incidentalmente meno l’ulteriore e fondamentale condizione di presenza di oggetto determinato oppure determinabile.
Ovviamente, esporre le ragioni di cui sopra non vuol dire sostenere che sia un obbligo recedere unilateralmente da un contratto collettivo aziendale esistente e che, alla stipula, o per effetto di rinnovi taciti, sia a tempo indeterminato.
67 Si veda sul punto Cass. n. 18548/2009.
Esse piuttosto rappresentano il motivo che giustifica l’esercizio del recesso al manifestarsi di condizioni sociali, economiche e di mercato tali da renderne necessario il ricorso. Allo stesso tempo, le condizioni sopra citate non consentono nemmeno il violare o disapplicare il coacervo di norme e di comportamenti sindacali idonei da attivare e da adottare in tali casi. 68
Il principio che richiama in maniera unanime la giurisprudenza è di fatto quello generale della correttezza e della buona fede alla base della decisione datoriale di recedere dall’ accordo collettivo.
Sul punto, la Corte di Cassazione stabilisce che il recesso unilaterale dal contratto aziendale da parte del datore di lavoro possa non essere tacciato di comportamento antisindacale anche in assenza di coinvolgimento sindacale, al ricorrere ovviamente delle opportune fondamenta69. Ancora, la giurisprudenza ammette che può essere buona cosa prevedere un periodo di preavviso intercorrente tra la comunicazione della decisione di recesso e la concreta manifestazione dei suoi effetti, soluzione individuata ovviamente a favore della parte che subisce il recesso.
Ulteriormente, appare come buona condotta quella di tentare di aprire un tavolo negoziale parallelo volto a verificare la possibilità di ridefinire diritti e previsioni presenti nel contratto collettivo dal quale si intende recedere, a favore di uno nuovo, espressione della mutata situazione sociale ed economica.
Ad ogni modo, anche l’assenza di una o entrambe di queste situazioni non può in astratto incarnare fattispecie di condotta antisindacale70.
Decisamente più complesso risulta invece il recesso unilaterale laddove al contratto collettivo aziendale sia apposto un termine.
68 Occorre, viste le motivazioni e le situazioni addotte, verificare caso per caso le condotte antisindacali che potrebbero pregiudicare l’iter del recesso del contratto collettivo aziendale. 69 Cass. 18548/ 2009.
70 Biagi M. Istituzioni di diritto del lavoro (continuato da) X. Xxxxxxxxxx, Milano Xxxxxxx Editore 2004.
Tale apposizione di termine, specie se abbraccia un arco temporale non troppo esteso, costituisce implicitamente, al contempo, assunzione di un obbligo preciso in capo alle parti firmatarie, da onorare fino alla scadenza dell’accordo stesso, e garanzia di permanenza delle condizioni socio - economiche previste quali presupposto negoziale.
Nel corso degli anni la giurisprudenza non ha escluso la possibilità di recedere unilateralmente da un contratto collettivo aziendale in maniera unilaterale in anticipo rispetto alla sua naturale scadenza, ha però indagato in maniera decisamente più approfondita ed alternativa nell’approccio rispetto all’ipotesi di un contratto collettivo aziendale a tempo indeterminato. Si può affermare che uno degli elementi che più possono risultare centrali in questo senso è dato dall’ eventualità che, rispetto alla data di stipula del contratto aziendale, siano venute meno le condizioni poste a base dell’accordo stesso. Si tratta ovviamente di una prova diabolica.
Può , per esempio, non essere considerata una buona condotta sindacale recedere in maniera unilaterale da un contratto in un momento troppo vicino alla sua data di scadenza oppure a quello di stipula in quanto in entrambe le circostanze appare complicato, sebbene per motivi diversi ed opposti, sostenere la mutazione delle condizioni che avevano portato alla stipula del contratto.
La presenza di un termine non esclude la possibilità di recedere, a patto che il recedente dimostri la sussistenza di una situazione non conosciuta al momento della stipula del contratto e che vada ad incidere sensibilmente sulla situazione di fatto rispetto alla quale il negozio rappresentava il punto di equilibrio71.
71 Carnelutti F. Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro Padova Cedam 1936.
Si può sostenere che il recesso unilaterale da un contratto aziendale avente una data di scadenza sia un’operazione estremamente delicata, sia in relazione alle relazioni sindacali interne, sia più in generale, ma di riflesso, alle conseguenze economiche che potrebbero derivare da un disconoscimento di tale decisione in sede di giudizio.
Una volta formalizzato il recesso del contratto collettivo aziendale occorre capire quali saranno le conseguenze.
In linea generale il recesso dal contratto porta ad una duplice conseguenza:
• se l’accordo collettivo aziendale assolve ad una funzione integrativa della contrattazione collettiva nazionale verranno meno le clausole migliorative contenute nel negozio interno e si applicherà la disciplina prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria;
• se invece il contratto aziendale assolve ad una funzione complessiva verrà probabilmente sostituito da quello nazionale di settore.
Più frequentemente ci troviamo di fronte a recessi del primo caso.
Se il recesso interessa un accordo aziendale che prevedeva l’erogazione di emolumenti premiali, ovvero di trattamenti di miglior favore rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva nazionale, è pacifico asserire che tali condizioni andranno a decadere seguendo, quindi, le sorti dell’accordo.
Un’ altra vicenda del contratto collettivo aziendale è quella del mancato rinnovo del contratto quando è a tempo determinato.
Occorre preliminarmente ricordare che la durata del contratto collettivo aziendale è rimessa esclusivamente alla volontà delle parti, anche se è stata stimata una durata triennale dei contratti collettivi sia nazionali che aziendali. Solitamente i contratti collettivi prevedono la proroga o il rinnovo tacito di anno in anno salvo che si comunichi la disdetta che ciascuna delle parti del contratto può dare tre mesi prima della scadenza.
Tutto ciò non avviene in presenza della clausola di ultrattività con la quale si dice che il contratto scaduto resterà in vigore fino a che non sia sostituito da un nuovo contratto collettivo. Il contratto collettivo che risulta privo di clausola di ultrattività e definitivamente scaduto non produce effetti e dunque non è più in grado di disciplinare i rapporti di lavoro che ne erano destinatari, a tali rapporti restano invece applicabili le altre discipline (legali e contrattuali) vigenti al momento della scadenza e non travolte dalla scadenza del contratto collettivo. L’impatto della scadenza del contratto collettivo sul contenuto dei contratti individuali trova la sua spiegazione nella teoria che configura il contratto collettivo come fonte eteronoma di regolamento concorrente con la fonte individuale oltre che con quella legale, questo perché la disciplina del contratto individuale segue le vicende della sua fonte.
La cessazione degli effetti del contratto scaduto riguarda (almeno in linea teorica) anche il trattamento economico. Secondo un’opinione largamente diffusa in dottrina ed accolta da buona parte della giurisprudenza, a seguito della scadenza del contratto collettivo, e durante il periodo di vacanza contrattuale, il venir meno della disciplina del trattamento economico non trova ostacolo in quel principio di irriducibilità o intangibilità della retribuzione che taluni hanno invece ritenuto di poter dedurre dalla precettività dell’art. 36 della Costituzione. Alla scadenza del contratto collettivo ed in attesa dell’entrata in vigore di un nuovo contratto può essere pattuita a livello individuale una retribuzione inferiore per i nuovi assunti. Può essere anche pattuita una retribuzione inferiore a quella precedentemente prevista, ferma restando tuttavia l’osservanza della tutela offerta al lavoratore dall’ art. 36 della Costituzione72.
72 Cass. S.U. 30.5.2005 n. 11325.
Un ultimo tema da affrontare è quello della successione dei contratti. Qual’ è il rapporto che c’è tra il contratto collettivo aziendale vecchio e quello nuovo?
I rapporti tra i contratti collettivi sono regolati, nella loro successione temporale, dal principio secondo il quale il nuovo contratto si sostituisce integralmente al precedente anche se contiene disposizioni meno favorevoli al lavoratore.
Le parti sociali tuttavia sono certamente libere di stipulare nuovi contratti che prevedono la cosiddetta derogabilità in peius della disciplina collettiva in senso peggiorativo. Vi sono però rilevanti problemi quando si tratta di applicare le previsioni peggiorative al singolo rapporto di lavoro. Infatti l’art. 2077 c.c. ha vietato per il contratto individuale di derogare in peius la disciplina del contratto collettivo e non viceversa così come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione 73.
La Suprema Corte ha, di fatto, confermato che i rapporti di successione temporale tra contratti collettivi sono regolati dal principio della libera volontà delle parti stipulanti, cosicché, le precedenti disposizioni possono essere modificate da quelle successive anche se in senso sfavorevole al lavoratore, con il solo limite dei diritti che sono già entrati a far parte del patrimonio individuale del lavoratore.
La suddetta tutela non si applica nella diversa ipotesi in cui il contratto collettivo sopravvenuto venga ad incidere sulle condizioni di acquisto di diritti futuri, come ad esempio può avvenire per le regole sulla maturazione degli scatti di anzianità.
73 Sul punto si veda Cass. Sez. 29 ottobre 2015 n. 22126.
Per completezza si osserva che, in ogni caso, eventuali modifiche in peius introdotte nella contrattazione collettiva non possono comunque travalicare il limite imposto dall’ art. 36 della Costituzione, ai sensi del quale al lavoratore deve essere riconosciuta un’equa retribuzione per l’attività svolta che gli consenta un’esistenza libera e dignitosa74.
Con quest’ ultimo argomento si può considerare conclusa la trattazione del contratto collettivo aziendale inteso come fenomeno giuridico. Adesso ci concentreremo sulla contestualizzazione del contratto collettivo aziendale nel sistema delle fonti del nostro ordinamento giuridico.
74 Fanfani A. seduta pomeridiana del 22 marzo 1947 Lavori preparatori al progetto Costituzione in www. Camera .it.
Capitolo II
Il contratto collettivo aziendale nel sistema delle fonti
Sommario: 2.1. Il sistema delle fonti negoziali: rapporto tra fonti e passaggio dalla contrattazione articolata al decentramento negoziale. – 2.2. Il caso FIAT. – 2.3. L’art. 8 del DL 138/2011. – 2.4. Risvolti pratici del decentramento negoziale.
La nostra trattazione deve ora rivolgersi, come già detto precedentemente, a contestualizzare il contratto collettivo aziendale nel sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico italiano; in particolare, occorre partire dal ruolo di ciascuna di esse, per poi analizzare come il contratto collettivo aziendale si sia collocato in questo sistema.
2.1 Il sistema delle fonti negoziali: rapporto tra fonti e passaggio dalla contrattazione articolata al decentramento negoziale
Dopo la legge, tra le fonti negoziali a carattere più “generale” si ritrovano gli Accordi Interconfederali, intese collocabili nell'ambito della contrattazione collettiva con cui vengono definite le regole e le condizioni generali che riguardano i lavoratori e i datori di lavoro, a prescindere dal settore merceologico di appartenenza e dal Contratto Collettivo applicato.
In termini molto generali, l'accordo interconfederale può essere bilaterale, se a firmarlo sono solamente le rispettive Confederazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, oppure trilaterale, se è prevista anche la partecipazione del Governo.
Sotto il profilo giuridico, gli accordi interconfederali, così come gli altri accordi collettivi, sono contratti di diritto comune che vincolano esclusivamente i soggetti firmatari75. Gli accordi in argomento definiscono le regole generali che riguardano l'insieme dei lavoratori indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza, nonché le regole di funzionamento dei contratti a livello nazionale e decentrato (rapporti tra i livelli di contrattazione, rappresentanza e rappresentatività sindacale).
Tra gli accordi interconfederali di maggior rilevanza si possono segnalare:
• per il settore Industria, gli accordi del 10.1.2014 in materia di rappresentanza sindacale e del 28.6.2011 per la rappresentatività e la contrattazione aziendale;
• per il settore commercio, l'AI sulla rappresentanza del 26.11.2015;
• per il settore dell'artigianato, l'AI sull'apprendistato del 3.5.2012;
• per il settore della gomma e plastica, l'AI del 9.3.2018 in materia di contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva;
• per il settore delle Cooperative, l'AI del 12.12.2018, di riforma delle relazioni industriali.
Nella cornice degli accordi interconfederali si colloca il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) è un accordo di natura collettiva76 - privo di vincolo formale, ma di norma stipulato in forma scritta - con cui le organizzazioni sindacali dei lavoratori e le associazioni di rappresentanza
75 Si osserva che, per quanto costituiscano la manifestazione più elevata di autonomia collettiva, obbligano soltanto le organizzazioni datoriali e sindacali stipulanti. Si rinvia a Xxxxxxx A., “Contratti collettivi separati e accesso ai diritti sindacali nel prisma degli accordi Fiat del 2010”, WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 124/2011.
76 Una panoramica generale si ritrova in Mariucci L. “La contrattazione collettiva”, Il Mulino, Bologna, 1985.
dei datori di lavoro definiscono e regolano gli aspetti normativi ed economici per tutti i lavoratori di un settore (ad es., Metalmeccanico, Terziario, Chimico, Tessile, ecc.), validi per tutto il territorio nazionale, nonché il sistema delle relazioni tra i soggetti firmatari dell'accordo stesso a livello nazionale, territoriale e aziendale. La funzione principale del CCNL è quella di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore, ovunque impiegati nel territorio nazionale. Infatti, “se letto in “combinato disposto” con la norma inderogabile, rispondeva a una duplice finalità, a seconda che lo si analizzasse in un’ottica di razionalità economica o di giustizia distributiva. Innanzitutto assicurava un’uniformità di trattamento salariale e normativa tra tutti gli appartenenti alla categoria di riferimento, indipendentemente dall’area geografica di esecuzione della prestazione lavorativa, dai relativi livelli di benessere e dalle effettive condizioni di mercato”77.
In considerazione della mancata attuazione dell'art. 39 co. 4 Cost. - che prevede l'efficacia obbligatoria, per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce, dei contratti collettivi stipulati dai sindacati registrati (efficacia erga omnes) – l’efficacia soggettiva del CCNL è limitata, ossia è efficace nei confronti di78:
• soggetti iscritti alle organizzazioni sindacali (XX.XX.) stipulanti, in virtù di un mandato rappresentativo conferito dal datore di lavoro e dal lavoratore all'atto di adesione alle rispettive XX.XX.;
77 Cfr. Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, Cap. I, Giappichelli Editore, Torino, p. 26 e 27 e Sciarra S., “L’evoluzione della contrattazione collettiva. Appunti per una comparazione nei paesi dell’Unione Europea”, in Riv. It. dir. lav., 2006, I, p. 447.
78 In materia di contrattazione collettiva si rinvia anche a Carnelutti F., “Teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro”, Padova, Cedam, 1936, Cessari, A.,
“L’interpretazione dei contratti collettivi”, Xxxxxxx, Milano, 1963 e, in ultimo, a Xxxxxxxxxx X., “Sull’accertamento pregiudiziale della efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi”, in Corr. Giur. 1998, p. 966.
• soggetti che, pur non iscritti alle XX.XX. firmatarie, hanno aderito al CCNL in modo espresso (attraverso un esplicito, generale o specifico, rinvio nel contratto individuale) o per fatti concludenti (applicando spontaneamente le disposizioni della contrattazione collettiva)79.
Il Contratto collettivo nazionale di lavoro è gerarchicamente subordinato alla legge, alla quale può derogare solo in senso migliorativo (principio della derogabilità in melius e dell'inderogabilità in peius)80.
Storicamente, infatti, all’interno del sinallagma contrattuale il lavoratore rappresenta la parte sottoprotetta dal punto di vista socio economico: la norma lavoristica non era dunque suscettibile di essere modificata in pejus dall’autonomia collettiva e individuale, tollerando al contrario solo deroghe migliorative (c.d. “favor lavoratoris”)81. La dialettica tra le fonti del diritto del lavoro è storicamente gerarchizzata, in quanto si dalla sua nascita il contratto collettivo poteva intervenire solo se contenente disposizioni più favorevoli al trattamento minimo contemplato dalla norma di legge82.
79 Si rinvia nuovamente a Xxxxxxxxxx X., “Sull’accertamento pregiudiziale della efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi”, in Op. Cit. 1998, e a Cass. n.
18408/2015 e n. 11537/2019.
80 Si rimanda a Xxxxxxx Xxxxxxxxxx G. “Efficacia soggettiva del contratto collettivo: accordi separati, dissenso individuale e clausola di rinvio”, in RDL, anno XXIX – 2010, pp. 487 – 522, per un’analisi più generale.
81 Così Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, Cap. I, Giappichelli Editore, Torino, p. 23 - 27.
82 Sempre secondo Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro- mediterranee a confronto”, op. cit., Il livello di contrattazione che storicamente ha dialogato in chiave migliorativa con la norma inderogabile è essenzialmente quello nazionale, soprattutto in materia di dinamiche salariali, sistemi di inquadramento e di classificazione del personale ed orario di lavoro; al riguardo, gli ordinamenti che verranno trattati attribuivano, quantomeno sino a pochi anni or sono, un ruolo marginale all’accordo decentrato e aziendale, a differenza dei sistemi contrattuali britannico e statunitense.
Le clausole dei contratti collettivi che si rivelassero peggiorative rispetto al trattamento minimo legale devono, pertanto, essere considerate nulle e sostituite con quelle più favorevoli (artt. 1418 e 1419 c.c.)83.
Nel panorama culturale degli anni Settanta si assiste al “progressivo superamento della totale inderogabilità della norma lavoristica: in quella temperie culturale parte della dottrina iniziò a rivisitare tale nozione, insistendo sulla necessità di consentire al contratto collettivo di intervenire anche in pejus rispetto alla legge, purché nelle materia espressamente previste dalla legge stessa, ed in ragione delle nuove tematiche venute alla ribalta, come ad esempio la tutela dell’occupazione o la conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro”84. Tale tendenza si “normalizzerà” negli anni Novanta85.
Altre eccezioni alla regola della inderogabilità in pejus, previste dal legislatore che, come si è visto, può autorizzare la contrattazione collettiva a introdurre deroghe peggiorative rispetto alla disciplina legale, sono costituite86:
83 Nell’esperienza giuridica italiana, in presenza di un diritto sindacale su base privatistica, l’accordo collettivo peggiorativo di qualsiasi livello veniva sottoposto da dottrina e giurisprudenza alla disciplina del diritto comune dei contratti, e segnatamente al combinato disposto degli artt. 1339 c.c. e 1419 c.c. che sanciscono la sostituzione automatica delle clausole nulle poiché contrarie a norma imperative. Così Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, op. cit. e Cass. 2.7.2013 n. 16507. Si rinvia anche a De Xxxx Xxxxxx R., “L’evoluzione dei
contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva”, in X. Xxxxxxx-X. Xx Xxxx Xxxxxx, RIDL, p. 245.
84 Sempre Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-
mediterranee a confronto”, op. cit., p. 28. Si consenta il rinvio anche a De Xxxx Xxxxxx X., “Garantismo e mediazione sindacale”, in X. Xxxxxxx-X. Xx Xxxx Xxxxxx, Dal garantismo al controllo, Xxxxxxx, Milano, 1987, P. 13.
85 Come analizzato nel §1.3.1.
86 Secondo De Xxxx Xxxxxx X., “Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro, ieri e oggi”, in Giornale dir.lav. e relazioni ind., 2013, p. 4, “la norma di legge, sulla base di questi primi esempi, inaugurava a livello embrionale una nuova stagione del diritto del lavoro, basara su un’interazione più fluida tra le fonti e non più improntata ad un rigido principio gerarchico associato alla nozione classica di inderogabilità”.
• dall'art. 2120 co. 2 c.c., che rinvia ai contratti collettivi per la determinazione degli elementi retributivi utili per il computo del trattamento di fine rapporto, in maniera anche meno favorevole ai lavoratori rispetto al canone legale;
• dall'art. 4 co. 11 della L. 223/1991, che prevede per gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di mobilità la possibilità di derogare al divieto di adibire a mansioni inferiori, posto dall'art. 2103 cod. civ., per i lavoratori che vengano riassorbiti dall'azienda in crisi.
In giurisprudenza il problema – sempre attuale - del rapporto tra contratti collettivi si è posto frequentemente con riferimento ai rapporti nel tempo tra contratti collettivi di categoria e aziendali (in particolare sotto forma di concorso conflitto di norme di diverso livello) ed è stato risolto, specialmente in passato, nel senso dell’inderogabilità in pejus del contratto di categoria87. Secondo la giurisprudenza, il “concorso tra i diversi livelli contrattuali va risolto non secondo i principi della gerarchia e della specialità propria delle fonti legislative, bensì accertando quale sia l'effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in senso peggiorativo i contratti nazionali, senza che osti il disposto dell'art. 2077 cod. civ”88. La concorrenza delle due discipline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall'art. 2077 cod. civ., va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che - come si è rilevato in precedenza - il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell'ambito del territorio
87 Xxxxx G. “Questioni sulla contrattazione collettiva. Legittimazione, efficacia, dissenso”,
Cedam, Xxxxxx, 0000.
88 Cass. 18.9.2007, n. 19351
nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l'attività lavorativa nell'ambito dell'azienda.
Tuttavia, nel tempo l’asse “legge – AI e CCNL” quale caposaldo indiscusso delle fonti del diritto del lavoro e dei rapporti tra azienda e lavoratore è stato nel tempo progressivamente affiancato da fonti più “vicine” al contesto territoriale come la contrattazione aziendale (della quale si è trattato nel primo capitolo), che ha acquisito un’importanza pressochè pari alle prime89. Essa è in fatti arrivata ad avere pari dignità rispetto alle intese collettive nell’esercizio della funzione delegata dalla legge, assumendo una sempre maggiore centralità e ponendosi ormai su un piano di pari-ordinazione rispetto alla contrattazione nazionale, fino ad arrivare ad avere, in taluni casi, anche potere derogatorio nei confronti della stessa legge90. Storicamente, infatti, “la decostruzione del binomio legge-contratto di categoria era infatti basata sul presupposto che l’individualismo metodologico e normativo – nel privilegiare le preferenze endogene individuali – valorizzasse al meglio la razionalità economica dell’impresa”91. Sul punto, si deve in particolare richiamare l'art. 8 della DL 13.8.2011 n. 138 (del quale si parlerà in seguito)
89 Per un maggiore approfondimento si rinvia a X. Xxxxxxxxxxxx”, Il pendolo tra centralismo e decentramento”, in RIDL, 2006, n. 3.
90 “L’assetto ad oggi vigente della contrattazione collettiva è cristallizzato nell’Accordo Interconfederale del 28.6.2011, in cui contenuto è stato integralmente riproposto dal Protocollo sulla rappresentanza del maggio 2013 e dal Testo Unico sulla rappresentanza del gennaio 2014 […] Le grandi confederazioni hanno riscritto le regole dell’ordinamento intersindacale in materia di contratto aziendale all’insegna del trinomio decentramento controllato – principio di maggioranza – procedimentalizzazione”, Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, op. cit., p. 76. Per un maggior grado di approfondimento si rinvia a Treu T., “Centralizzazione e
decentramento nella contrattazione collettiva: riflessioni comparate”, in Giornale dir. lav. e relazioni ind., 1985, p. 519.
91 Bologna S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro-mediterranee a confronto”, op. cit., p. 31.
che consente espressamente alla contrattazione di prossimità di derogare anche in pejus rispetto alla legge - sia pure nei limiti stabiliti dalla Costituzione e rispettando anche i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro - riguardo ad un'ampia serie di materie, tassativamente indicate92.
Dunque, si può sostenere che con questo passaggio si sia aperta una nuova epoca della contrattazione aziendale93. Fondamentali ai fini di tale passaggio son sicuramente il famoso “Caso Fiat” e, come anticipato in precedenza e come vedremo in seguito, l’art. 8 della L. 148/2011, rubricato “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità” di cui parleremo nelle prossime pagine. Si può in questa sede segnalare che l’art. 8, dà corpo ad un nuovo sistema contrapposto all’ordinamento intersindacale ed indecifrabilmente collocato nei pressi di quello statale.
Andando con ordine, partiamo dall’evento che ha stravolto il panorama delle relazioni sindacali, ossia il “Caso Fiat”.
2.2 Il caso FIAT
Il cosiddetto “Caso Fiat” costituisce un punto di svolta storico per l’aziendalizzazione della contrattazione collettiva italiana94. Il caso trae
92 Cfr. Xxxxxxx A., “La contrattazione collettiva di “prossimità”: teoria, xxxxxxxxxxxx, xxxxxx”, xx Xxx. Xx. Dir lav., 2013, I, p. 918.
93 Lazzeroni “La regolazione per legge del contratto collettivo aziendale alla luce del sistema costituzionale” 2017 pag. 131.
94 Per un’analisi del panorama delle relazioni industriali prima del caso FIAT si rinvia a X. Xxxxx, Prospettive evolutive delle relazioni industriali in Italia: la riforma degli assetti contrattuali, in Diritto delle Relazioni industriali, n. 2/XIX – 2009, Ed. Xxxxxxx, Milano e a Bavaro V., “Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’archetipo Fiat di Pomigliano”, in QRS, 3, 2010, p. 339.
origine dal conflitto sorto nel 2010 tra Fiat e Fiom – CGIL (sindacato di punta del settore metalmeccanico) circa l’adozione di un nuovo modello di disciplina contrattuale dei rapporti di lavoro ideato in un primo momento per lo stabilimento di Xxxxxxxxxx d’ Arco e successivamente esteso a tutti gli stabilimenti ed alle imprese del gruppo95 .
Il nuovo modello si fondava sulla sostituzione del contratto collettivo nazionale di lavoro Metalmeccanici fino ad allora applicato ai lavoratori in favore di un nuovo contratto collettivo di primo livello, sostituzione resa possibile dall’ uscita di Fiat da Confindustria, che la svincolava dal dovere di applicare gli accordi da essa sottoscritti96.
Tutte le organizzazioni sindacali, fatta eccezione per la Fiom- CGIL, hanno accettato di sottoscrivere il cosiddetto contratto collettivo separato97.
La mancata sottoscrizione da parte di FIOM- CGIL dell’unico contratto collettivo applicato da Fiat ne ha determinato l’esclusione dalla possibilità di costituire una propria rappresentanza sindacale ai sensi dell’art. 19 della legge 300/1970, come all’ epoca formulato.
Infatti, all’epoca dei fatti, la norma prevedeva alla lettera b) la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali in ogni unità produttiva,
95 Per approfondimenti critici cfr. X. Xxxxxxxxx, “La sentenza Pomigliano: un verdetto salomonico che non convince”, in xxx.xxxx.xx.
96 Come osservato da X. Xxxx, L’art.19 Stat. nell’affaire Fiat tra dissensi giurisprudenziali e sospetti di incostituzionalità, in WP C.S.D.L.E e Xxxxxxx X’Xxxxxx. IT, 147/2012, pag.3, “a seguito della dichiarazione di recesso da tutte le intese collettive previgenti, la Fiat ha sottoscritto” “un contratto collettivo, definito “specifico” - costituente, in realtà, la stesura definitiva di un pregresso contratto collettivo separato, firmato il 29 dicembre 2010, tra Fiat
S.p.a. e alcuni sindacati di categoria dei lavoratori – con il quale si è, sostanzialmente, disposta l’estensione a tutte le aziende del Gruppo Fiat del “modello Pomigliano”.
97 Si consenta il rinvio a Xxxxxxxxx A., “Il giudice equilibrista e il rebus del sistema sindacale italiano: osservazioni sulla controversia tra Fiom e Fiat”, in RGS, anno LXII- 2012-n. 1, p. 3 – 18.
nell’ambito delle associazioni sindacali che fossero firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.
La Corte Costituzionale ha successivamente dichiarato l’illegittimità costituzionale della citata lettera b) nella parte in cui non prevedeva che la rappresentanza sindacale aziendale potesse essere costituita anche nell’ ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, avessero comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’ azienda, aprendo così la possibilità anche per la FIOM-CGIL di costituire la propria R.S.A 98.
Di seguito si analizzeranno le dinamiche sindacali sfociate nel caso Fiat sinteticamente descritto in premessa99. Antefatti non irrilevanti sono gli Accordi Interconfederali del 2009: l’Accordo quadro del 22/1/2009 di revisione del sistema contrattuale e quello , conseguente , del settore industriale del 15/4/2009 , entrambi conclusi nel dissenso della CGIL , accordi nei quali si demanda ai contratti nazionali di consentire le intese per modificare , in tutto o in parte , anche in via sperimentale e temporanea , singoli istituti economici o normativi disciplinati dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria.
In questi accordi era già da allora possibile notare una linea di cambiamento nell’ assetto dei contratti collettivi di diverso livello: infatti attraverso questa linea si è poi arrivati ad un maggiore decentramento sia pure “concesso” dal livello più alto della contrattazione collettiva, con accresciuta valorizzazione del livello aziendale. E ciò anche in vista dell’introduzione di trattamenti
98 Si veda sul punto sentenza n. 231 del 23/7/2013 Corte Costituzionale e X. Xxxx, L’art.19 Stat. nell’affaire Fiat tra dissensi giurisprudenziali e sospetti di incostituzionalità, cit., pag.6.
99 Per maggiori approfondimenti si rinvia a X. Xxxxxx, “Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’”archetipo” Fiat di Pomigliano d’Arco”, in Q. rass. Sind., 2010, n. 3.
derogatori in peius rispetto a quelli previsti dal contratto nazionale di categoria; questa questione emerge ormai in maniera sempre più spiccata, se è vero che essa oggi è acutizzata per il fatto che le deroghe possono essere richieste per fronteggiare non solo casi isolati di sostegno allo sviluppo in aree depresse, ma criticità aziendali diffuse causate dalla competizione globale. In questo panorama, il 21 / 04 / 2010 l’Amministratore delegato di Fiat Xxxxxx Xxxxxxxxxx ed il presidente Xxxx Xxxxxx presentarono a Torino, nell’ ambito dell’“Investitor day” un piano quinquennale di investimento e rilancio di Fiat, denominato “Fabbrica Italia”. Esso prevedeva:
• un investimento di 20 miliardi di euro entro il 2014;
• il raddoppio delle produzioni in Italia (dalle 650 mila unità nel 2009 a 1, 4 milioni nel 2014;
• una riorganizzazione interna, che contrappone alla chiusura dal 2011 dello stabilimento di Termini Imerese un significativo investimento di 700 milioni di euro nello stabilimento di Pomigliano d’ Arco, tramite il trasferimento delle produzioni della nuova Panda, nonché la creazione di una joint venture Fiat – Chrysler per la produzione di Suv con marchio americano, oltre a vetture col marchio Alfa Romeo, nello stabilimento di Mirafiori.
Come contropartita per il varo degli investimenti Fiat poneva una serie di condizioni intese a superare il rigido modello centralistico della contrattazione collettiva tramite accordi aziendali che introducevano innovazioni organizzative e normative, quali la ridefinizione dell’ammontare di ore della settimana lavorativa, dei turni, delle pause e degli straordinari e contrasto all’ assenteismo anomalo.
In tal senso, quindi, le intese in questione si configuravano come accordi di scambio, dove i sindacati concedevano nuove regole sindacali ed una prestazione lavorativa più flessibile, ma anche più intensa, per incrementare la produttività aziendale, in cambio di vantaggi occupazionali derivanti dagli investimenti.
La valutazione analitica di questo scambio è utile per comprendere il cambiamento che si realizza, assumendo come riferimento la normativa precedente.
Il pacchetto di accordi sottoscritti in deroga al contratto collettivo nazionale di lavoro fra società e sindacati FIM- CISL , UILM- UIL , UGL – Metalmeccanici e FISMIC si articolava in una serie di intese : gli accordi di Pomigliano prima (15/6/2010) e quello di Mirafiori poi (23/12/2010) sottoscritti da FIM, FISMIC , UILM , UGL , e Associazioni Capi e Quadri Fiat, a conferma del percorso di discontinuità già prefigurato dall’ Accordo quadro del 2009 rispetto al precedente sistema di relazioni sindacali.
Nell’ accordo di Pomigliano di giugno, alcuni temi erano però solo stati accennati o erano comunque impliciti nelle formulazioni adottate, dando l’impressione che l’azienda non avesse ancora assunto un orientamento definitivo su alcuni importanti aspetti: in altre parole l’accordo di Pomigliano presentava ancora delle ambiguità riguardo le regole da applicare, in particolare sull’ applicazione o meno del contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici100.
Nell’ accordo di Xxxxxxxxx, che recepisce le intese del 15 giugno, la scelta compiuta è molto più esplicita: le parti concordano esplicitamente la costituzione di una nuova società, una joint venture tra Fiat e Chrysler che
100 Pessi R., “La contrattazione in deroga: il “caso” Pomigliano, in ADL, 6/2010, pp. 1119 – 1131.
non applicherà il contratto collettivo nazionale di lavoro dei metalmeccanici, stabilendo invece un sistema di regole che dovrebbero costituire l’ossatura di un nuovo contratto di lavoro del settore auto101.
E’ opportuno segnalare una clausola posta nelle premesse dell’accordo di Mirafiori: “l’adesione al presente accordo di terze parti è condizionata al consenso di tutte le parti firmatarie”. Si tratta con tutta evidenza di una condizione posta alla FIOM – CGIL che non ha aderito all’ intesa nell’ eventualità che cambiasse parere. Sempre nelle premesse si accenna al fatto che l’accordo sarà sottoposto all’ approvazione dei lavoratori, annunciando quindi la prova referendaria analoga a quella che era stata prevista per Pomigliano.
Il 29.12.2010, seguendo appunto queste intese, Fim, Fismic , Uilm, Ugl, ed Associazione Capi e Quadri fiat hanno firmato il Contratto collettivo specifico di primo livello (Contratto la cui stesura definitiva è avvenuta il 13 dicembre del 2011), contratto non derogatorio del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore , ma sostitutivo di esso , con conseguenze rilevantissime soprattutto sul piano della rappresentanza in azienda.
L’ intesa infatti definisce il nuovo assetto contrattuale per i lavoratori che saranno assunti a partire dal gennaio 2011 da parte della “Fabbrica Italiana di Pomigliano”.
Il punto più rilevante dell’Accordo di Mirafiori è indubbiamente l’allegato 1, relativo al sistema di relazioni sindacali, che non era presente nell’ accordo
101 Per approfondire ulteriori interessanti profili si rinvia a Xxxxxxx X. “Gli accordi del gruppo Fiat – Chrysler: verso un modello di rappresentanza paritetica per la sicurezza?”, in XXX, 0/0000, pp. 93 – 113, nonché a Mecozzi A. “L’ “union busting” della Fiat in Italia: importare il peggio del sistema di relazioni industriali degli Stati Uniti”, in xxx.xxxxxxxxx.xx, 11 gennaio 2011.
di Pomigliano del 15 giugno, ma è stato inserito con identica formulazione nel successivo contratto collettivo di secondo livello del 29 dicembre 2010.
Il sistema di relazioni sindacali, secondo questo allegato, si basa su una serie di organismi congiunti azienda- sindacati, il cui compito principale consisterebbe nel prevenire il conflitto e realizzare un sistema di partecipazione:
• Commissione paritetica di conciliazione;
• Commissione pari opportunità;
• Commissione organizzazione e sistemi di produzione;
• Commissione servizi aziendali;
• Commissione verifica assenteismo.
Molto più controversa è la parte riguardante i “Diritti sindacali” che ripresenta sostanzialmente quanto stabilito dalla Legge 20 maggio 1970 n. 300; questa scelta sembra chiaramente dettata dalla volontà di escludere le organizzazioni sindacali non firmatarie dell’accordo (FIOM – CGIL e Cobas) dalla rappresentanza sindacale in azienda e dagli altri diritti sindacali.
E’ necessario considerare , infatti , che l’ uscita dal sistema confindustriale , con effetto dal primo gennaio 2012 comporta anche il non riconoscimento dell’ Accordo Interconfederale sulle R.S.U. del 20 dicembre 1993 , con tutte le procedure ed i regolamenti in esso contenuti , comprese quelle della Parte Seconda , punto 4 , che prevede i soggetti che possono presentare le liste delle elezioni delle rappresentanze sindacali , ossia “ sia i firmatari dei contratti collettivi nazionali di lavoro , sia le organizzazioni che , non essendo firmatarie , accettino la regolamentazione dell’ accordo e raccolgano il 5% delle firme per essere presenti nella R.S.U.
Per quanto il contratto collettivo di secondo livello recuperi molti punti del contratto collettivo nazionale di lavoro metalmeccanici, presenta anche sostanziali differenze da questo, specialmente sul piano del sistema delle relazioni sindacali102.
E’ infatti, come già detto, esplicitamente finalizzato ad escludere i sindacati dissenzienti, anche sfruttando l’assenza di un’adeguata legislazione di sostegno delle formule di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, che favorisce le forme di conventio ad escludendum dalle imprese e non dà sufficienti certezze per quanto riguarda la legittimità degli accordi sottoscritti.
In definitiva, il riferimento alla L. 300/ 1970, con i rappresentanti sindacali aziendali nominati direttamente dai sindacati, vuole limitare i diritti sindacali solamente alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo, escludendo tutte le altre.
Gli accordi di Mirafiori e Pomigliano del dicembre 2010 segnano il rifiuto del modello delle R.S.U; con l’ adozione di questo modello , la FIOM , per non essere firmataria di alcun contratto collettivo , non potrebbe costituire X.XX. ex articolo 19 della L. 300/1970 e godere dei diritti sindacali previsti dal Titolo III dello Statuto dei lavoratori.
Si è materializzato il rischio “della soggezione della rappresentanza nei luoghi di lavoro al cosiddetto potere di accreditamento datoriale”.
All’ indomani del referendum del 1995 la norma fu sottoposta allo scrutinio di costituzionalità, sulla scorta di una supposta violazione dei principi di ragionevolezza e di libertà sindacale, di cui agli articoli 3 e 39 Costituzione,
102 In tal modo si è dato vita a un sistema “autoregolato” di contrattazione la cui matrice è totalmente aziendale, che in un certo qual modo ricalca quello vigente negli stabilimenti Chrysler oltreoceano. Si veda anche Xxxxxxxxxx P., “Nuove regole in fabbrica. Dal contratto Fiat alle nuove relazioni industriali”, Il Mulino, Bologna, 2015, p. 34-35.
derivanti proprio dalla denunciata legittimazione derivante dall’ art. 19, nuovo testo, di un potere di selezione datoriale della controparte sindacale.
In quell’ ipotesi, la Corte Costituzionale, nel presumibile intento di salvaguardare gli esiti dell’espressione della volontà popolare, oltre che verosimilmente indotta dal tradizionale horror vacui, ed accedendo ad un’interpretazione formalistica del potere di accreditamento datoriale, ha escluso che la disposizione statutaria implicasse un simile effetto.
Successivamente la questione di legittimità costituzionale relativa all’ articolo 19 lettera b) della L. 300 / 1970 fu sollevata da diversi Tribunali di merito103. In dettaglio il Tribunale di Modena in considerazione del fatto che “lo scenario delle attuali relazioni sindacali è caratterizzato dalla rottura dell’unità di azione delle organizzazioni maggiormente rappresentative, dalla conclusione di contratti collettivi separati e, in particolare , da una serie di iniziative poste in essere dal Gruppo Fiat , di cui le società convenute fanno parte , che ha portato alla creazione di un nuovo sistema contrattuale”104.
A rendere anacronistico105 l’art. 19 nei termini che si è detto non è solo il mutato contesto sindacale, ma è anche la “stessa evoluzione del quadro
103 Oltre al Trib. Modena 4.6.2012, si rinvia a Trib.Vercelli 25.9.2012 e a Trib. Torino 12.12.2012. X. Xxxxxxxxx, Travolto da un insolito destino: l’articolo 19 dello statuto dei lavoratori come leva per escludere dal diritto di costituire rsa (uno dei) sindacati maggiormente rappresentativi. Oscillazioni giurisprudenziali e dubbi di legittimità costituzionale, cit., pagg. 9 e 10.
104 Si veda ordinanza 4/ 6/ 2012.
105 Secondo X. Xxxxxxxx, Rappresentanze sindacali e rappresentatività sindacale: un nodo irrisolto per un diritto costituzionale del lavoro che sappia ascoltare. E farsi ascoltare, in
<<Giurisprudenza italiana>>, 2012, <<l’intervento della Corte <<non assumerebbe tanto le caratteristiche di un revirement rispetto alla propria giurisprudenza in ordine alla
legittimità dei criteri di individuazione della “rappresentatività” sindacale posti dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, quanto piuttosto quella della constatazione (in questo caso) di una illegittimità costituzionale sopravvenuta di tale disciplina legislativa che, alla luce degli esiti della sua concreta e attuale applicazione, non pare presentare più gli standard minimi per superare un giudizio di ragionevolezza>>.
normativo e dell’assetto del sistema sindacale a rendere incoerente la norma impugnata con l’ordinamento statuale”106. Infatti, come spiegato dal Tribunale di Modena, di fronte alla necessità del nostro sistema di relazioni sindacali di selezionare soggetti abilitati alla contrattazione collettiva in base ad una verifica concreta di rappresentatività, “l’art. 19 oppone l’effetto paradossale di subordinare il godimento dei diritti del Titolo III ad un principio di effettività della rappresentanza che prescinde da ogni parametro di rilevazione del consenso e poggia sul mero dato formale della sottoscrizione del contratto applicato”107.
L’ interrogativo a cui la Corte ha dovuto dare risposta è il seguente: può giustificarsi questo risultato di disparità di trattamento, creato dal combinato disposto tra formulazione della norma e contesto di rottura delle relazioni sindacali come “un dato immanente ad un sistema pluralistico improntato alla libertà sindacale?108”
Il 27 marzo 2013 la Corte Costituzionale ha pronunciato una sentenza additiva accogliendo quindi i ricorsi del già citato Tribunale ordinario di Modena, del Tribunale di Vercelli e del Tribunale di Torino109.
La Corte, analizzando il prodotto della combinazione tra interpretazione letterale dell’art. 19 ed il panorama delle relazioni intersindacali, ha così preso atto del fenomeno da lei stessa chiamato “eterogenesi dei fini
106 Trib. Modena 4.6.2012.
107 X. Xxxxxx, “Illegittimo privare dei diritti il sindacato rappresentativo non firmatario di contratti”, in Altalex, 12.8.2013.
108 X. Xxxx, La Fiom e la rappresentanza in azienda, cit., pag. 12.
109 Tutti i ricorsi erano fondamentalmente allineati nel richiamare l’attenzione della Corte sul contrasto dell’art. 19, lett. b), con gli artt. 2, 3 e 39 Cost., chiedendo non una decisione demolitoria (che avrebbe dato luogo ad un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore), ma una pronuncia additiva, che consentisse di estendere la legittimazione alla costituzione di rappresentanze aziendali anche ai sindacati che abbiano attivamente
partecipato alle trattative per la stipula di CCNL applicati nell’unità produttiva (nonostante non li abbiano sottoscritti).
dell’articolo 19”. In questo periodo di frammentazione delle relazioni sociali “nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo , sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative , il criterio della sottoscrizione dell’ accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli articoli 2 , 3 e 39 della Costituzione” 110.
Sulla base di queste premesse la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma lettera b ) della L. 300/1970( Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori , della libertà sindacale e dell’ attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento ), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’ unità produttiva , abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori in azienda111.
La decisione della Corte Costituzionale non è tuttavia stata esente da dubbi e nuove criticità.
Secondo quanto reputato da Xxxxxx Xxxxxx all’ epoca degli eventi, infatti, “i casi sono infatti due. Se si intende il criterio enunciato dalla Corte nel senso che ad un qualsiasi sindacato, per essere qualificato come “partecipante al negoziato” basti presentare una piattaforma rivendicativa, allora il risultato è
110 Si veda sul punto sentenza additiva n. 231 del 23.7.2013.
111 Cfr. X. Xxxxxxx, Le rappresentanze sindacali aziendali dopo il referendum: <<nuovi>> problemi nel contesto della giurisprudenza sul <<vecchio>> art. 19 Stat. lav., cit., pagg.87 e ss.
che quel criterio perde qualsiasi valore selettivo : anche il più insignificante dei sindacati , infatti , potrà accedere ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto col semplice presentare una propria proposta / richiesta all’ imprenditore . “
Se invece si intende il criterio enunciato dalla Corte nel senso che non basti la presentazione di una piattaforma rivendicativa , ma occorra anche un’ effettiva partecipazione al tavolo del negoziato , allora la sentenza perde ogni effetto pratico apprezzabile , lasciando sostanzialmente le cose come stanno : all’ imprenditore basterà , infatti , respingere in limine la rivendicazione , rifiutando anche solo l’ inizio di una discussione in proposito
, per escludere quel sindacato, per quanto numerosi siano i suoi aderenti o sostenitori in seno all’ azienda , dai diritti di cui al titolo III dello Statuto.
La sentenza della Consulta ha dunque un unico effetto apprezzabile: quello di indirizzare al Parlamento un segnale forte nel senso della necessità urgente di una riforma legislativa della materia”112.
Sotto questo profilo è stata peraltro suggerita una soluzione: leggendo l’articolo 19 nel senso di dover consentire la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali anche a quelle organizzazioni che hanno dimostrato la loro forza, il loro peso nelle relazioni sociali (per lo meno nel settore cui il contratto si riferisce) negoziando al tavolo delle trattative, si apre la strada a due possibili contenziosi giudiziari.
Il primo volto ad accertare di volta in volta se il sindacato che rivendica “l’agibilità dei diritti sindacali in azienda abbia realmente partecipato alla trattativa, ed il secondo volto prima ancora ad accertare in cosa effettivamente consista la “partecipazione alla trattativa” ossia volto ad accertare quali siano i limiti che consentono, legittimamente, al datore di
112 IchinoP., “Rappresentanze sindacali aziendali: la Consulta non risolve il problema”, in
xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, 2013.
lavoro o alle organizzazioni di rappresentanza delle imprese di escludere un’organizzazione sindacale dalla trattativa”.
Sul punto si ricorda l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo la quale “non risulta illegittima la decisione dell’imprenditore di non aprire le trattative sulla base di una determinata piattaforma rivendicativa presentata in quanto gli eventuali effetti sul piano del proselitismo, subiti dal sindacato in conseguenza di tale decisione, risultano connaturati alle regole del conflitto.
Il limite , dunque , secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione , consiste “nell’ uso distorto da parte del datore di lavoro della sua libertà negoziale tale da determinare un’ apprezzabile lesione della libertà sindacale dell’ organizzazione esclusa , tenendo presente che la stessa Corte di Cassazione ha a suo tempo insegnato che specificare le motivazioni che sono poste a fondamento del rifiuto di aprire la trattativa , sulla base di una piattaforma rivendicativa presentata ,e la disponibilità ad eventuali incontri di verifica , costituiscono comportamenti che valgono ad evitare la qualificazione del rifiuto come attività antisindacale” .
Alle perplessità sollevate nel citato commento di Xxxxxx Xxxxxx, oltre i limiti della libertà negoziale di parte datoriale suggeriti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, può obiettarsi che “sussistono indubbi limiti (sebbene normativamente inespressi) alla facoltà datoriale di ricusare l’ammissione alle trattative, riposanti sulla ragionevolezza della motivazione legittimante, sindacabile giudizialmente alla luce del disposto dell’ articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. Inibitorio del comportamento antisindacale, inoltre l’aspetto discriminatorio antisindacale viene concludentemente in emersione quando la sigla sindacale ricusata possiede notori requisiti di
rappresentatività, non inferiori o diversi da quelli vantati dalle sigle sindacali ammesse al tavolo negoziale. “
Merita segnalare come l’escamotage della non ammissione alle trattative su basi discrezionali, sia stato dalla Consulta stessa non solo “fiutato” , ma anche direttamente scoraggiato al punto 7 della motivazione della sentenza, laddove ricorda (anche ai “ furbi” ) che ricorre nell’ ordinamento lavoristico la sussistente “tutela dell’ articolo 28 dello Statuto dei lavoratori nell’ ipotesi di un eventuale non giustificato negato accesso al tavolo delle trattative.
Il caso FIAT rappresenta sicuramente il punto di non ritorno che ribalta la regola che ha connotato dal dopoguerra, in assenza dell’applicazione del modello previsto dall’ art. 39 della Costituzione, il sistema della rappresentanza sindacale: il principio del reciproco riconoscimento tra controparti, per cui ciascuna di esse o alcune di esse sono libere di stipulare contratti collettivi di diritto comune con gli interlocutori che ritengono affidabili.
Il sistema delle relazioni sociali causa l’eterna inattuazione dell’art. 39 Costituzione, il quale è sempre stato il prodotto di dinamiche fattuali e non di scelte normative.
Lo scenario ha mantenuto il suo equilibrio per decenni fino ai fatti descritti nel presente paragrafo, grazie alla fortunata combinazione dell’art. 19 (prima e dopo il Referendum) con un contesto sindacale fortemente unitario .
Ciò che è avvenuto in questi ultimi anni, e che ha portato la Corte a rilevare profili di incostituzionalità dell’art. 19 della L. 300/ 1970 non è lo scontro diretto di questo articolo con un diritto o un principio fondamentale della Costituzione, ma la sua inadeguatezza rispetto al nuovo contesto sociale.
L’ art. 19, come per una sorta di incostituzionalità sopravvenuta ha prodotto, in “combinato disposto” con la frammentazione delle dinamiche sindacali, un risultato costituzionalmente illegittimo e contrario alla ratio della norma stessa, che non poteva essere smorzato dall’ interpretazione adeguatrice in quanto il dato letterale non era suscettibile di essere interpretato diversamente113.
2.3 L’ art. 8 del DL 138/2011
Una norma sicuramente importante ai nostri fini sebbene piuttosto controversa, è l’art. 8 del DL 138 /2011 successivamente convertito nella L. 148/2011114. In particolare, su questa norma vi sono dubbi riguardanti la sua compatibilità con l’assetto costituzionale, di cui parleremo in seguito. Tale norma nasce però con la finalità di sostenere e di dare impulso allo sviluppo della contrattazione collettiva territoriale o aziendale, anche detta di prossimità. L’art. 8 rubricato “Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità” ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico una disciplina articolata in base alla quale per i contratti collettivi aziendali o territoriali è possibile regolare una serie di materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione.
In particolare, secondo il primo comma della norma in esame, “i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai
113 Cfr. X. Xxxxxxx, Non solo diritti sindacali: il problema di costituzionalità dell’art. 19, legge n. 300/1970, e l’estromissione del sindacato “scomodo” dai tavoli negoziali previsti dalla legge, in “Diritto delle relazioni industriali”, 3/2012, pag. 826 e ss; sul punto anche X. Xxxxx, Autonomia collettiva e giustizia costituzionale, Bari, Xxxxxxx, 1996, pag.266.
114 Per un approfondimento si rinvia a Magnani M., “L’articolo 8 della legge n. 148/2001: la complessità di una norma sovrabbondante”, in Dir. Rel. Ind., n. 1/XXII – 2012, Xx. Xxxxxxx, Milano.
sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti , compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali , finalizzate alla maggiore occupazione , alla qualità dei contratti di lavoro , all’ adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all’ emersione del lavoro irregolare , agli incrementi di competitività e di salario alla gestione delle crisi aziendali ed occupazionali agli investimenti ed all’ avvio di nuove attività”.
Detti contratti possono derogare ad una tassativa serie di materie sia alle disposizioni di legge che ai contratti collettivi nazionali, nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle Convenzioni internazionali sul lavoro. Come detto, la delega alla contrattazione di prossimità, per quanto ampia, riguarda solamente le specifiche materie tassativamente elencate.
Le intese di prossimità, stabilisce il comma 2, possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
• agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
• alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
• ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
• alla disciplina dell'orario di lavoro;
• alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le
partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro.
Relativamente a quest’ ultimo punto, lo stesso comma 2 sancisce l’immodificabilità della disciplina relativa alle seguenti tipologie di licenziamento:
• licenziamento discriminatorio;
• licenziamento della lavoratrice in concomitanza di matrimonio;
• licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino;
• licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore;
• licenziamento in caso di adozione o affidamento.
Un argomento da trattare riguarda la nullità del contratto di prossimità per “deviazione”. L’ accordo di prossimità è nullo se non individua esattamente le finalità corrispondenti a quelle tipiche tratteggiate dall’art.8 cui mira nel disporre la disciplina convenzionale derogatoria della legge o del contratto collettivo nazionale di lavoro. Le ipotesi indicate dall’art. 8, peraltro, non sono suscettibili di interpretazione estensiva in quanto oggetto di disposizione speciale. In caso di contestazione sulla legittimità della deroga, oltre a provare l’esistenza e la legittimità della specifica intesa ex art. 8, il datore di lavoro deve anche dimostrare la non pretestuosità delle finalità perseguite e legittimanti la deroga115.
115 Si rinvia anche a Bellavista A., “L’art. 8 del d.l. n. 138/2011: interpretazione e
costituzionalità”, in Carinci F. (a cura di), Contrattazione in deroga, p. 311-314 e a Vidiri G., “L’art. 8 della legge n. 148/2011: un nuovo assetto delle relazioni industriali?”, in Riv.it.dir.lav., 2012, I, p. 109-127.
Analizziamo ora un caso sul tema in questione. Nel caso trattato, l’accordo di prossimità prevedeva, all’atto dell’assunzione, l’attribuzione di un inferiore inquadramento di ingresso rispetto alle mansioni oggetto del debito di lavoro, derogando al sistema di inquadramento e classificazione di cui al contratto collettivo nazionale di lavoro. Il giudice di merito ha ritenuto illegittimo il contratto di prossimità per non avere le parti individuato in maniera specifica le ragioni di fatto che correlano la disciplina derogatoria alle singole finalità di cui all’ art. 8 e per non aver comunque allegato e provato, il datore di lavoro, l’effettività delle ragioni genericamente addotte.
Muovendo da un precedente della Corte d’Appello di Firenze, il Tribunale del capoluogo toscano ha considerato nullo un contratto di prossimità stipulato ai sensi dell’art. 8 atteso che introduceva le deroghe abilitate dalla previsione de qua senza tuttavia ricollegarle ad una delle finalità tipiche e di stretta interpretazione previste dal Legislatore 116.
Nel caso sottoposto allo scrutinio del giudice fiorentino , un lavoratore , dipendente di una cooperativa agiva in giudizio per far dichiarare la nullità del contratto di prossimità siglato dal datore di lavoro e dalle rappresentanze sindacali , che ne aveva determinato l’ inquadramento ad un livello inferiore rispetto a quello corrispondente alle mansioni assegnate stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro e , di conseguenza , una corrispondente riduzione del trattamento economico rispetto a quello potenzialmente spettante in base alla fonte collettiva nazionale.
In via di estrema sintesi , per dichiarare la nullità dell’accordo di prossimità sottoposto al suo vaglio, il Tribunale ha affermato che l’art. 8 introduce una disciplina speciale , non suscettibile di applicazione estensiva e , dunque, non applicabile al di fuori delle ipotesi previste dalla fattispecie normativa
116 Si veda la sentenza n. 528/2019.
tipica , e tale da postulare , proprio per la predetta specialità , l’ esplicita , e non meramente apparente , indicazione delle ragioni di fatto che legittimano la disciplina derogatoria in funzione delle singole finalità previste dalla norma nel testo dell’accordo .
Si legge nella motivazione della sentenza: “l’accordo non può essere ritenuto valido contratto di prossimità dotato di efficacia derogatoria delle enorme , in particolare relative ai livelli di inquadramento del personale dipendente , della contrattazione collettiva nazionale ; infatti non si tratta di una specifica intesa che detti una disciplina derogatoria di norme esattamente individuate in correlazione causale con una delle finalità previste dall’ articolo 8 bensì di un accordo aziendale , che regola svariati aspetti del rapporto di lavoro dei dipendenti e che prevede un iniziale sottoinquadramento solo genericamente correlato alle finalità di maggiore occupazione e di sostenibilità dell’ avviamento e della situazione aziendale.” Un primo punto che merita di essere valorizzato nella lettura della decisione è che, come avviene per altri istituti del diritto del lavoro, il generico richiamo a finalità o motivazioni tipiche, ovvero la mera ripetizione della formula legale astratta, non vale di per sé ad assicurare al negozio che quel riferimento contiene, sia esso unilaterale o bilaterale, individuale o collettivo, il substrato sostanziale che ne legittima la riconducibilità alla previsione legislativa tipica.
Nel caso di specie, poi, dalla lettura della motivazione della sentenza, emerge che all’originaria genericità del riferimento a “finalità di maggiore occupazione e di sostenibilità dell’ avviamento della situazione aziendale” è seguita l’inconsistenza delle allegazioni processuali e dell’apporto istruttorio dell’ azienda che non è stata in grado di fornire alle finalità ed alla sostenibilità dichiarate una dose di riscontro tale da consentire al giudice di
cogliere l’effettiva portata delle une e delle altre e , dunque , della concreta sussumibilità della fattispecie di fatto in quella legale tipica.
Nell’ambito della motivazione, peraltro, il Tribunale aveva escluso che il sotto – inquadramento del lavoratore previsto dall’ accordo di prossimità si ponesse di per sé in contrasto con la previsione dell’art. 36 della Costituzione, perché ai fini del rispetto dell’art. 36 occorre fare riferimento ai minimi retributivi stabiliti dalla contrattazione collettiva per ciascuna qualifica ne consegue che è il contratto collettivo a caratterizzare il contenuto del parametro costituzionale.
Se dunque l’accordo di prossimità è legittimato a derogare alle regole di inquadramento del contratto nazionale e, di conseguenza, al trattamento economico e normativo che a quello si accompagna, è a quel contratto, al contratto di prossimità dunque, che occorre guardare per individuare il trattamento economico minimo, giusto e sufficiente secondo il precetto della previsione costituzionale.
Occorre però anche ricordare che nello spartito degli istituti legali e convenzionali suscettibili di deroga, ovviamente peggiorativa, ad opera delle specifiche intese normate dall’ art. 8 comma 2 del DL 138 / 2011, la materia retributiva non compare in alcun modo e ciò induce a fondate perplessità circa la legittimazione dell’accordo di prossimità a prevedere, attraverso il sotto inquadramento dei lavoratori, una riduzione della paga tabellare prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro in relazione alla prestazione oggettivamente resa.
Certo è che la legitimatio ad causam per contestare la legittimità dell’accordo in deroga peggiorativa alla contrattazione nazionale o alla disciplina legale, sottoponendo le relative clausole allo scrutinio giudiziale per violazione dei limiti previsti dall’art. 8 compete senza dubbio a ciascun lavoratore cui
subisca l’ applicazione , aziendale o territoriale , dell’ accordo e che ritenga la propria sfera giuridica , ed in specie i propri diritti soggettivi, lesa dall’efficacia erga omnes che la disposizione assegna all’ accordo sindacale.
Tale potere deve ritenersi, inoltre, esteso anche agli organi ispettivi del Ministero del Lavoro, cui è istituzionalmente attribuito il generale potere di controllo sull’ esatta applicazione dei contratti collettivi di lavoro.
Infine, laddove l’accordo di prossimità prevedeva clausole derogatorie da cui derivino riflessi, diretti o indiretti, sulla determinazione della retribuzione imponibile ai fini contributivi, il potere di contestare la validità dell’accordo deve ritenersi attribuito anche agli organi ispettivi degli enti previdenziali, rientrando tale ambito di intervento nelle loro mansioni in quanto portatori di un interesse di natura pubblicistica 117.
Il contratto di prossimità introdotto dall’art. 8 è stato concepito come strumento per adattare gli istituti normativi e contrattuali alle specifiche esigenze delle singole realtà aziendali, consentendo perciò alle stesse di infrangere, pur entro certi limiti, il principio cardine dell’inderogabilità in peius della previsione di legge in materia di lavoro, ipotesi archetipa di disciplina protettiva, e del contratto collettivo nazionale di lavoro.
Dispone l’art. 8 quanto segue: “I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti , compreso l’ accordo interconfederale del 28 giugno 2011 , possono realizzare specifiche
117 Sul punto si veda art. 6 co. 3 del DLgs. 124 / 2004.
intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione , alla qualità dei contratti di lavoro , all’ adozione di forme di partecipazione dei lavoratori , all’ emersione del lavoro irregolare , agli incrementi di competitività e di salario , alla gestione delle crisi aziendali ed occupazionali
, agli investimenti ed all’ avvio di nuove attività”.
Con la norma de qua il Legislatore ha dunque introdotto la nuova fattispecie legale dei contratti di prossimità da considerarsi contratti collettivi di diritto speciale a carattere normativo, funzionali al raggiungimento di scopi determinati attraverso possibili, legittime deroghe peggiorative alla disciplina delle materie indicate nel successivo comma 2 della previsione.
L’articolo in questione prevede una complessa disciplina, secondo cui i contratti collettivi aziendali o territoriali stipulati dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, possono realizzare una particolare regolazione di una pluralità di materie che sono inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione e che riguardano diversi ed importanti profili della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
Occorre ora fare riferimento ad alcune casistiche e fattispecie portate al vaglio dalla Giurisprudenza Può richiamarsi la decisione con la quale il Tribunale di Grosseto ha ritenuto pienamente legittima ed efficace la riduzione dell’orario di lavoro in applicazione di un accordo di prossimità in deroga alla legge, sottoscritto dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ma “solo ove
vengano integralmente rispettati i vincoli dettati dall’ articolo 8 del Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138”118.
Nel caso di specie, per evitare i licenziamenti collettivi, l’accordo di prossimità aveva stabilito una riduzione dell’orario di lavoro degli addetti.
Impugnato l’accordo da una dipendente che si era vista ridurre il proprio part- time, il Tribunale ha respinto l’impugnazione confermando la legittimità dell’accordo. Citiamo ancora una recente pronuncia della Corte di Cassazione la quale prevede che le parti collettive, fermo restando il rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, possono operare anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro 119.
Tra le materie oggetto di possibile deroga vi è anche quella relativa alle “conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio “
2.3.1 Dubbi di costituzionalità dell’art. 8
L’ “aziendalizzazione del diritto del lavoro” dettata dall’art. 8 del D.L. 138/2011, sebbene operante entro determinati limiti, ha sicuramente aperto la strada alla frammentazione della disciplina dei rapporti di lavoro, nel senso che potenzialmente determina una grande eterogeneità di regole non solo tra aziende territorialmente vicine, ma anche all’ interno della stessa azienda, tra le diverse unità produttive.
Tale modello di relazioni industriali ha creato dei dubbi di legittimità costituzionale della norma, con particolare riguardo all’ articolo 3 della
118 Si veda sul punto sentenza n. 203 / 2007.
119 Cass. n. 19660 / 2019.
Costituzione120. I dubbi riguardano la circostanza che queste dinamiche possano differenziare in modo irragionevole il trattamento economico – normativo applicato ai lavoratori che svolgono la stessa tipologia di attività. Al riguardo è tuttavia stato osservato che la tipizzazione per legge delle finalità che devono essere perseguite dall’ accordo derogatorio è assai rilevante per fugare i dubbi di legittimità costituzionale dell’articolo 8121.
Ed infatti se può essere considerato un fatto che l’ intesa derogatoria introduce sempre un trattamento differenziato per la platea di lavoratori cui si rivolge , pare altrettanto chiaro che la razionalità di quella differenziazione, e dunque anche la sua giustificazione costituzionale con riferimento all’ art. 3 della Costituzione risiede proprio tra le finalità, tra quelle legislativamente date , che le parti collettive intendono in concreto perseguire disponendo , a tal fine , del livello legale di protezione del lavoro.
Si segnala inoltre che la norma in esame è già passata al vaglio della Corte Costituzionale sotto il profilo della violazione delle prerogative regionali in materia di tutela del lavoro. La Corte Costituzionale ha infatti ritenuto “non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’ articolo 8 comma 1 e 2 – bis del D.L.138 / 2011 convertito in L. 148/2011 nella parte in cui prevede la realizzazione di specifiche intese a livello aziendale o territoriale aventi ad oggetto , tra l’ altro , azioni preordinate alla maggiore occupazione , all’ adozione di forme di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle crisi aziendali ed occupazionali , agli investimenti ed all’ avvio di nuove attività
Riguardo alle contraddizioni che la norma comporta si rinvia anche a Xxxxxxxxx A., “Dopo l’accordo del 28 giugno 2011 (e l’art. 8 della l. n. 148): incertezze, contraddizioni, fragilità”, in LD, 1/2012, p. 55 – 79.
121 Si veda in particolare Garilli X., “L’art. 8 della legge 148 del 2011 nel sistema delle relazioni sindacali”, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-139/2012, p. 1-15.
che possono operare , con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati , in deroga alle leggi statali e regionali , nonché ai contratti collettivi nazionali .” 122
La Regione Toscana riteneva che le intese derogatorie di cui all’art. 8, avuto riguardo alle finalità perseguite di promozione della maggiore occupazione e di partecipazione dei lavoratori, di gestione delle crisi aziendali e occupazionali, di investimenti, anche relativi alla introduzione di nuove tecnologie, coinvolgessero aspetti oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, riconducibili alla potestà concorrente regionale della tutela del lavoro.
Respingendo il ricorso della Regione Toscana, la Corte Costituzionale ha osservato, in particolare, che le specifiche intese di cui si tratta sono previste da una norma avente carattere chiaramente eccezionale, che non può quindi, trovare applicazione oltre ai casi ed ai tempi in essa considerati123.
Inoltre, esse non hanno un ambito illimitato, ma possono riguardare esclusivamente le materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione, richiamate con un elenco tassativo, dalla norma stessa e concernono aspetti della disciplina sindacale ed intersoggettiva del rapporto di lavoro, riconducibili tutti alla materia dell’ordinamento civile rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Altri dubbi di costituzionalità recentemente sollevati alla Corte Costituzionale, riguardano l’aspetto dell’efficacia dei contratti aziendali o di
122 Sentenza n. 211 del 4.10.2012.
123 Su questa specifica pronuncia si rinvia a Ferraresi M., “L’art. 8, decreto legge n. 138/2011, supera il vaglio di costituzionalità ex articolo 117 della Costituzione in tema di riparto di competenza tra Stato e Regioni”, in DRI, n. 1, gennaio-marzo 2013, p. 1-8, in xxx.xxxxxx.xx.
prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un sindacato non firmatario del contratto collettivo124.
La Corte d’Appello di Napoli, con l’ordinanza di promovimento 3.2.2022 n. 94, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma in esame, sostenendo che: “In particolare la libertà di organizzazione sindacale va intesa come la libertà di costituire organizzazioni sindacali collettive e anche come libertà del singolo lavoratore sia di aderire alle varie organizzazioni sindacali sia di non aderire.
Se, invece, un accordo di prossimità si estende erga omnes a tutti i lavoratori interessati indipendentemente dalla loro adesione al sindacato firmatario, la libertà sindacale del singolo di aderire ad un altro sindacato non firmatario viene conculcata perché diviene irrilevante.
Dovrà accettare la disciplina contrattuale stabilita da un sindacato cui non appartiene ed semmai in contrasto con le sue idee e interessi.
Ma la libertà sindacale è violata anche da lato della tutela del sindacato non firmatario che vedrà esposto a delle conseguenze pregiudizievoli i propri iscritti e la propria capacità organizzativa non solo perché non è necessaria ad un accordo sindacale ma perché può essere considerata tamquam non esset anche in caso di accordi firmati a livello nazionale.
Infatti l'accordo di prossimità per legge, sempre l'art. 8, può derogare sia alle leggi che alla contrattazione collettiva.
124 Secondo D’Xxxxxx X., “Il quarto comma dell’art. 39, oggi”, in Studi sul lavoro. Scritti in onore di Xxxx Xxxxxx, Xxxxxxx, Bari, p. 107 ss., dopo l’entrata in vigore dell’art. 8 il dibattito, come vedremo infra, si è fortemente riacceso perché dalla risposta alla domanda (riguardo al “se” la norma costituzionale sia applicabile anche alla contrattazione aziendale) discende l’eventuale contrasto dell’art. 8 proprio con l’art. 39 co. 2 Cost.
Stabilisce il comma 2-bis dell'art. 8 che «fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». Quindi un sindacato anche maggiormente rappresentativo di quello firmatario dell'accordo di prossimità, firmatario a sua volta di un contratto collettivo nazionale, come nel caso di specie, vedrebbe caducata la sua attività organizzativa a tutela dei suoi iscritti da accordo firmato da un sindacato in azienda.”
I giudici hanno pertanto sollevato “questione di legittimità costituzionale della detta norma per violazione degli articoli 2 e 39, comma primo della Costituzione nonché' art. 39, comma IV della Costituzione nella parte in cui estende l'efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un sindacato non firmatario del contratto collettivo”.
Indubbiamente, “l’art. 8 conferisce una priorità imperativa dell’accordo aziendale, andando in direzione opposta al compromesso faticosamente trovato dalle parti sociali con l’AI del 2011: non è infatti casuale che nel settembre del 2011, a margine della definitiva sottoscrizione, i soggetti stipulanti apponevano la postilla per cui Confindustria, CGIL, CISL e UIL concordano che <<le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono affidate all’autonoma determinazione delle parti>>, precisando che << si impegnano ad attenersi all’Accordo Interconfederale del 28 giugno, applicandone compiutamente le norme e a far sì che le rispettive strutture, a tutti i livelli, si attengano a quanto concordato nel suddetto Accordo
Interconfederale. […] La norma di legge configura un vulnus al principio di libertà di organizzazione sindacale di cui all’art. 39.1 Cost.”125
2.3.2 L’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale dell’art. 8: brevi cenni
Effettuata una puntuale panoramica della norma, occorre ora soffermarsi sinteticamente su alcune questioni affrontate dalla dottrina126, con particolare riferimento al sistema delle fonti, alle finalità ed alle materie passibili di deroga.
Iniziamo con il parlare del sistema delle fonti. Su questo tema, come accennato nel primo paragrafo trattando della negoziazione decentrata, si può dire che l’art. 8 ha sicuramente una portata innovativa nel sistema delle fonti del diritto del lavoro. La norma infatti, seppur con dei limiti, disciplina per la prima volta in modo esteso una sorta di “aziendalizzazione del diritto del lavoro”, ossia il fenomeno della deroga della legge e dei contratti collettivi da parte dell’autonomia privata collettiva, determinando così un importante cambiamento nel tradizionale rapporto tra legge e contrattazione collettiva, che vede affidato a quest’ ultima il ruolo di potenziare le tutele dei lavoratori già fissate dalla prima, o di integrarle.
125 Si rinvia a BOLOGNA S., “Il contratto aziendale in tempi di crisi – Esperienze euro- mediterranee a confronto”, Cap. II, Giappichelli Editore, Torino, p. 94 e a Leccese V., “Il diritto sindacale al tempo della crisi. Intervento eteronomo e profili di legittimità
costituzionale”, in Giornale dir.lav. e relazioni ind., 2012, p. 496-495.
126 Si rimanda, ad esempio, a Perulli A., Speziale V., “L’articolo 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la “rivoluzione di Agosto” del Diritto del Lavoro”, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 132/2011, p. 1-72 e a Pessi R., “Ancora sull’articolo 8 della seconda manovra estiva. Quali spazi per la contrattazione di prossimità”, in DRI, n. 1/XXII-2012, p. 57 – 66.
Come accennato in premessa la deroga nelle specifiche materie indicate è consentita a condizione che le intese realizzino le finalità indicate dall’ art. 8, ossia127:
• maggiore occupazione;
• qualità dei contratti di lavoro;
• adozione di forme di partecipazione dei lavoratori;
• emersione del lavoro irregolare;
• incrementi di competitività e di salario;
• gestione delle crisi aziendali ed occupazionali;
• investimenti ed avvio di nuove attività.
Tuttavia, per quanto siano tipizzate, tali finalità risultano estremamente generiche e la loro individuazione in concreto resta demandata all’ autonomia collettiva.
Nel fare riferimento a “specifiche intese” infatti, è la stessa norma a postulare che negli accordi dovrà comunque essere adeguatamente specificata la finalità perseguita dall’ autonomia privata collettiva derivando, da ciò, la possibilità di una verifica di tipo almeno formale da parte dei giudici cui deve essere affidato il compito di accertare che la finalità dichiarata dal contratto sia in concreto sussumibile in una delle finalità tipizzate dal legislatore.
127 Secondo Xxxxxx X., “Nuove traiettorie del diritto del lavoro nella crisi europea. Il caso italiano”, in X. Xxxxxx-X. Xxxxxxx (a cura di), p. 83-84, “le predetta causali potrebbero essere utilizzate à la carte per legittimare un robusto intervento derogatori dello statuto protettivo del lavoratore subordinato: in un’ottica costituzionalmente orientata, il principio di ragionevolezza potrebbe guidare le parti sociali nella stesura dell’accordo all’insegna della congruità mezzi-fini; più specificamente, il rischio di una normalizzazione delle deroghe potrebbe essere temperato dalla congruità della durata e/o ampiezza della
stessa in relazione all’obiettivo di volta in volta perseguito”. L’accordo aziendale può derogare a un ampio nucleo tematico, che ricomprende quasi tutti gli aspetti del rapporto individuale di lavoro eccezion fatta per la tutela contro le discriminazioni, la salute e sicurezza sul lavoro e la retribuzione.
Sul punto si è poi recentemente espressa la Giurisprudenza, osservando, come, stando alla formulazione della norma, il perseguimento di uno degli obiettivi sopra indicati costituisce un requisito di validità dell’accordo; pertanto non basta che i soggetti firmatari abbiano indicato la volontà di perseguire uno di questi obiettivi, ma è necessario “indicare specificamente le ragioni di fatto che correlano la disciplina derogatoria alle singole finalità previste dalla norma”.
Secondo i Giudici l’art. 8 del DL 138/2011 introduce una disciplina eccezionale, non applicabile al di fuori delle ipotesi di stretta interpretazione ivi previste, ed è necessario che le parti indichino specificamente le ragioni di fatto che correlano la disciplina derogatoria delle singole finalità previste dalla norma. Come osservato in dottrina, il Legislatore rinvia alle materie derogabili omettendo però l’indicazione di quali siano le fonti legali concernenti le medesime e facendo riferimento a criteri “generici ed approssimativi” quando ad esempio si parla di “nuove tecnologie”. In altri casi, invece, la materia viene individuata in modo troppo ampio, il riferimento è alle assunzioni ed alla disciplina del rapporto di lavoro, rischiando così che la contrattazione collettiva aziendale si muova in uno spazio estremamente arbitrari128.
Sul punto, si osserva infatti come “derogare, nel linguaggio giuridico, significa fare eccezione ad una regola generale giacchè solo una regola generale può essere derogata. Muovendo da tale premessa non è difficile comprendere che il legislatore avrebbe dovuto chiarire in quale misura le regole generali potevano essere derogate. Invece in tal modo si deve giungere alla conclusione paradossale che è ammessa una sorta di deroga
128 Si rinvia a Tiraboschi M., “L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello Statuto dei lavori di Xxxxx Xxxxx, in Dir.rel.ind., 2012, p. 83 e a Perulli A., “La contrattazione collettiva di prossimità: teoria, comparazione e prassi, in Riv. It.dir.lav., 2013, I. p. 921.
generale ad una regola generale: le materie richiamate dalla disposizione, secondo le intenzioni del legislatore, potrebbero essere derogate senza alcun limite.
2.4 Risvolti pratici del decentramento negoziale: cenni al lavoro agile Come è stato detto in precedenza, si è assistito al passaggio al cosiddetto decentramento negoziale129, in relazione al quale risulta assai complesso trovare una definizione e, allo stesso tempo, effettuarne una contestualizzazione normativa. Dal punto di vista pratico, è possibile
analizzare la rilevanza che nel quotidiano ha acquisito tale livello di contrattazione nel disciplinare molteplici aspetti del rapporto di lavoro130. Per citare un istituto molto applicato nel contesto attuale, possiamo fare riferimento al lavoro agile, istituto in cui "l’assenza” del lavoratore dal posto fisico di lavoro durante lo svolgimento della propria mansione determina la necessità di rafforzarne le tutele con una disciplina più capillare, che solo una contrattazione aziendale o territoriale possono dare adeguatamente, calandosi nel concreto delle specifiche dinamiche.
Con riguardo allo smart working, occorre prendere in esame il “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” del 7.12.2021. Tale Protocollo è stato stipulato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed alcune
129 “Le misure contenute nel Jobs Act completano il processo di aziendalizzazione delle relazioni industriali intrapreso per via legislativa con l’art. 8: la chiave di volta nel processo di riforma risiede nell’equiparazione tra i diversi livelli dell’autonomia collettiva, che possono indifferentemente derogare alla norma di legge, suggellando la “tendenza a privilegiare le fonti collettive di prossimità”, così Meneghini L., “Lavoro a tempo
determinato”, in X. Xxxxxxx (a cura di), Commento al d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi, Adapt Labour Studies e-Book series n. 48, 2015, p. 182.
130 Oltre allo smart working di cui si dirà nel proseguo dell’analisi, occorre citare la disciplina delle mansioni dopo l’intervento del DLgs. 81/2015. Per approfondire il tema si rinvia a Zoli C., “La disciplina delle mansioni”, in Perulli A.-Xxxxxxxx L. (a cura di), Tipologie contrattuali e disciplina delle mansioni. Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, Giappichelli, Torino, p. 338-354.
associazioni sindacali, quali, per esempio, CGIL, CISL, UIL, UGL, Confsal, Cisal, Usb, Confindustria, Confapi, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato. La ratio di questo protocollo è quella di considerare le grandi trasformazioni che hanno un significativo impatto sull’organizzazione del lavoro in quest’ attuale fase storica. La consultazione delle Parti sociali e l’analisi dei contratti collettivi che hanno regolato lo svolgimento del lavoro in modalità agile, sia nella fase pre- pandemica sia nella fase emergenziale, oltre ad evidenziare il ruolo centrale della fonte contrattuale, hanno infatti confermato che il lavoro agile, dopo una prima fase di adattamento è diventato un tassello sempre più strutturale dell’ organizzazione del lavoro in quelle realtà in cui il lavoro da remoto è maggiormente compatibile con le attività proprie del settore produttivo.
In questo contesto evolutivo è infatti emersa una crescente attenzione alle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di impiego di risorse rispettose della sostenibilità ambientale e del benessere collettivo attraverso la riduzione degli spostamenti casa- lavoro e, conseguentemente, dell’utilizzo dei mezzi pubblici e di quelli personali, anche per ridurre le emissioni di agenti inquinanti e migliorare, nel contempo, la vivibilità dei centri urbani. Più in generale, vi è la necessità di procedere ad un più ampio rinnovamento di prospettiva, ridefinendo il lavoro in un quadro di fiducia autonomia e responsabilità condivise.
Tali bisogni si sono resi ancora più evidenti con l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da COVID – 19 che ha innescato l’accelerazione dei percorsi di innovazione. Il processo di diffusione del lavoro agile ha dato dunque impulso ad un cambiamento organizzativo e di processo produttivo, ad un diverso modo di intendere il lavoro, che può essere correttamente gestito solo se disciplinato a livello aziendale, in quanto ogni contesto è differente. Si è dunque arrivati a comprendere come ci sia la necessità di
una migliore definizione del lavoro agile e di un maggiore supporto ai lavoratori e ai datori di lavoro nel suo utilizzo, anche in considerazione del ricorso massivo che esso consente alle tecnologie digitali, con tutte le implicazioni sul piano di un corretto utilizzo di tali tecnologie e della necessità di idonee garanzie della sicurezza dei dati aziendali e della tutela dei dati personali dei lavoratori. Ferme restando le previsioni di legge occorre osservare come la contrattazione collettiva in questo ambito costituisca una fonte privilegiata di regolamentazione dello svolgimento della prestazione in modalità agile.
Per sottolineare il ruolo giocato dalla contrattazione aziendale in questa sede occorre rendersi conto di come Governo e le maggiori rappresentanze di Categoria scelgano di fatto di non intervenire in modo capillare - in una materia che, per quanto sia normata da una Legge di riferimento (L. 81/2017) è nuova ed è regolata da accordi individuali tra datore di lavoro e lavoratore – ma scelgano, come stabilito in premessa al documento in esame, di definire una cornice (il Protocollo) entro la quale sarà la contrattazione collettiva per lo più aziendale a giocare un ruolo fondamentale. Ad esempio, secondo l’art. 3 del Protocollo, toccherà alla contrattazione di secondo livello definire la gestione degli straordinari del lavoratore in smart working, altrimenti non previsti, come stabilito dallo stesso Protocollo.
Capitolo III
Cenni comparatistici alla contrattazione collettiva aziendale nel Regno Unito
Sommario: 3.1. Il modello di relazioni industriali anglosassoni: le “trade unions”. – 3.2. La contrattazione collettiva aziendale nelle relazioni industriali inglesi. – 3.3. La recognition del sindacato e l’efficacia normativa dei contratti collettivi nel Regno Unito.
Come detto in precedenza, la nostra attenzione deve ora focalizzarsi sul contratto collettivo aziendale e sulle relazioni sindacali del Regno Unito. In questo capitolo verranno analizzate le “trade unions” inglesi e quello che effettivamente accade nella vita dei sindacati oltremanica. Si inizia appunto con il modello delle “trade unions”.
3.1 Il modello di relazioni industriali anglosassoni: le “trade unions”
In questo ultimo capitolo del presente elaborato viene fornita, pur brevemente ed in termini abbastanza generali, una panoramica di funzionamento delle relazioni industriali anglosassoni, in particolare, quelle del Regno Unito.
Come già detto in precedenza, il legislatore italiano ha senza dubbio mutato, quanto meno in parte, il modello della cosiddetta contrattazione di prossimità dall’ esperienza delle “trade unions” protagoniste indiscusse nel silenzio quasi assoluto del “formante legislativo”131 britannico sul punto del
131 Per il concetto di formanti o componenti dell’ordinamento, si rimanda al lavoro del xxxx. Xxxxxxx Xxxxx; cfr. ex multis, X. XXXXX, Introduzione al diritto comparato, UTET, 1992.
riconoscimento dei diritti dei lavoratori subordinati mediante la contrattazione collettiva (in inglese trade) e l’enforcement privato (strike).
Per meglio comprendere tale modello, assai diverso da quello italiano e da quello europeo – continentale occorre preliminarmente riassumerne le origini: come affermato da un autorevole comparatista, d’altronde “comparison involves history, history involves comparison”132.
Diversamente dai sindacati europei sviluppatisi durante la seconda rivoluzione industriale a seguito del diffondersi delle idee socialiste e comuniste le trade unions affondano le loro radici nelle gilde medioevali incaricate di tutelare il sapere iniziatico degli artigiani (i cosiddetti “mestieranti”) e di difenderne gli interessi.
Con la prima rivoluzione industriale e l’avvento della produzione in serie (in particolare il tessile)133 il ruolo delle trade unions cambiò: queste divennero dapprima associazione per i diritti degli artigiani contro la neonata industria e, successivamente, vero e proprio sindacato nel senso moderno del termine.
Una simile evoluzione non fu indolore: in Gran Bretagna, come peraltro nel resto dell’n Europa Occidentale, la completa libertà sindacale ed il diritto di sciopero furono conquistati integralmente e definitivamente dai lavoratori inglesi solo nella seconda metà dell’Ottocento. 134
132 L’espressione – la cui prima parte è riconducibile alla scuola storica di Harvard – è divenuta celebre in Italia grazie a X. XXXXX, Diritto comparato, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, p. 930, nt. 5.
Sul punto, si veda la ricostruzione di X. XXXXXX, Diritto Sindacale, 2015
133 Castronovo “Storia Economica d’ Italia dall’ Ottocento ai giorni nostri”, 2013 p. 80.
Fu infatti con il “Conspiracy and Protection of Property Act” (1875) che vennero private di rilevanza penale le attività tipiche dei sindacati (sciopero, etc.) nel Regno Unito.
134 Fu infatti con il “Conspiracy and Protection of Property Act” (1875) che vennero private di rilevanza penale le attività tipiche dei sindacati (sciopero, etc.) nel Regno Unito.
A differenza di quanto avvenne nei paesi di Civil Law tuttavia, il legislatore britannico, superata la prima fase della repressione del fenomeno sindacale, non si occupò per lungo tempo di regolare le relazioni industriali, fino agli anni Settanta del secolo scorso infatti, i rapporti tra trade unions ed associazioni datoriali rimasero sostanzialmente liberi e privi anche solo di una definizione normativa.
Basti pensare che gli stessi contratti collettivi, strumento principale delle relazioni industriali, sono stati per lungo tempo considerati dall’ ordinamento alla stregua di meri gentlemen’s agreement ossia accordi privi della cosiddetta enforceability (termine traducibile in italiano con la perifrasi “azionabilità in giudizio”).
Ciò implica, in estrema sintesi, che in caso di “breanch of the agreement” (inadempimento dell’accordo) il sindacato o i singoli lavoratori non avevano a disposizione alcuna azione collettiva (alla stregua dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori) o individuale per ottenere l’adempimento coattivo di quanto promesso dal datore di lavoro.
In tale ottica, era piuttosto compito del sindacato stesso, in via di autotutela, “sanzionare” l’imprenditore, indicendo scioperi e proteste, al fine di costringere la parte inadempiente a rispettare quanto promesso o, addirittura, a modificare in senso migliorativo le condizioni precedenti.
La situazione appena descritta ha subito delle parziali mutazioni – nel senso di un avvicinamento al modello di relazioni sindacale europeo-continentale
– a partire dagli anni 70, periodo che ha visto un inasprimento delle relazioni industriali a seguito del periodo della stagflazione e del Sessantotto.
Con l’Industrial Relations Act (1971), promulgato sotto il Governo conservatore di Xxx Xxxxx, lo Stato interveniva infatti per la prima volta nella contrattazione collettiva, prevedendo che, salvo diversa disposizione delle parti sociali, il contratto collettivo dovesse considerarsi vincolante a ogni effetto, ove concluso da sindacati iscritti in appositi registri e riconosciuti dalla competente autorità.
Una “rivoluzione copernicana” di tal genere ebbe tuttavia vita breve.
L’Industrial Relations Act venne difatti abrogato tre anni dopo, nel 1974, con il Trade Union and Labour Relations Act, a seguito di una forte pressione delle parti sociali.
Fu necessario l’arrivo al Governo di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, agli inizi degli anni Ottanta, per portare a termine parte della rivoluzione copernicana di cui sopra: su iniziativa della iron lady vennero infatti promulgati il c.d. Trade Union Act (1984) e il c.d. Employment Act (1988), finalizzato a ridurre fortemente il potere che – in via di fatto – avevano acquisito le trade unions.
In particolare, con tale provvedimento venne resa illegittima la prassi di condizionare l’assunzione o di licenziare un lavoratore per il rifiuto di aderire ad un’associazione sindacale135; sotto il profilo del diritto di sciopero, invece, la legge condizionò la possibilità di proclamare l’astensione collettiva dal
135 Un accordo di tal genere – oltre a integrare condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori – è nell’ordinamento italiano sanzionato con la nullità dall’art. 15 dello St. lav., il quale proibisce di “subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; [ovvero] b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.”
lavoro solo previa approvazione della maggioranza dei lavoratori di una certa unità produttiva.
Palese obiettivo di tali provvedimenti era privare le trade unions della loro qualità di interlocutori del Governo, limitando la loro funzione alla tutela dei diritti dei lavoratori all’interno delle singole imprese, tramite quella che potrebbe definirsi come l’antesignana della contrattazione collettiva di prossimità.
Come in molti altri settori (si pensi al fenomeno del contrasto agli hooligans), anche nell’ambito delle relazioni industriali, il primo ministro Xxxxxxxx riuscì nei propri intenti.
A riprova di ciò, si osservi come, nel “braccio di ferro” verificatosi tra il Governo di Sua Maestà e il sindacato nazionale dei minatori nel 1984, a seguito della decisione di chiudere ben un centinaio di miniere o cave sul territorio britannico, l’associazione dei lavoratori dovette soccombere, proprio per il mancato coordinamento con le unità locali, che non avevano approvato gli scioperi e i picchettaggi indetti dal segretariato centrale.
L’ultima riforma organica del diritto sindacale britannico risale infine al 1992, con il Trade Union and Labour Relations Consolidation Act (TULCA), attualmente in vigore (pur con modificazioni approvate negli anni successivi che non ne hanno tuttavia stravolto l’impianto complessivo
3.2 La contrattazione collettiva aziendale nelle relazioni industriali inglesi
Il TULCA prevede diverse Parts, ciascuna dedicata a un argomento specifico delle relazioni sindacali. Nello specifico, la Part I riguarda le Trade Unions in generale, la Part II le Employers’ Associations (Associazioni datoriali), la Part III è rubricata Rights in relation to union membership and
activities (Diritti attinenti la partecipazione a un sindacato e alle sue attività), la Part IV disciplina le Industrial Relations (Relazioni Industriali), la Part V è intitolata Industrial Action (Azione sindacale), la Part VI contiene alcune Administrative provisions (disposizioni di natura amministrative) e, e, da ultimo, la Part VII contiene Miscellaneous and general (Disposizioni generali).
La contrattazione collettiva è disciplinata all’interno della Part IV, “Industrial Relations”. Tale sezione si apre con una vera e propria definizione di “collective agreements and collective bargaining” (contratti collettivi e negoziazione collettiva): recita l’art. 178 co. 1 del TULCA che “collective agreement means any agreement or arrangement made by or on behalf of one or more trade unions and one or more employers or employers’ associations and relating to one or more of the matters specified below; and collective bargaining means negotiations relating to or connected with one or more of those matters”.
Una definizione quanto mai ampia e onnicomprensiva, da cui tuttavia può dedursi una peculiarità delle trade unions, che le distingue notevolmente rispetto agli omologhi italiani: in Inghilterra, i contratti collettivi stipulati tra un sindacato e un datore di lavoro hanno efficacia solamente rispetto ai soggetti iscritti a tale sindacato, senza che, in via ermeneutica, vi sia la possibilità di estendere le condizioni negoziate, neppure in melius.
Anzi, l’estensione, da parte del datore di lavoro, di determinate pattuizioni negoziate con una determinata trade union a lavoratori non iscritti comporterebbe quasi certamente l’attivazione di una procedura di strike da parte del sindacato. Le associazioni di lavoratori britanniche sono difatti fortemente in concorrenza tra loro e, a differenza di quanto accade in Italia
– ove la scelta di un sindacato rispetto a un altro è dettata da ragioni
prevalentemente politiche136 –, in Gran Bretagna la decisione di aderire a una union si basa invece sul potere contrattuale di quest’ultima in una certa zona o impresa.
Quanto riassunto sopra implica che, nella prassi, in un’unica unità produttiva possano applicarsi condizioni contrattuali difformi o che – per ragioni di organizzazione del lavoro – l’imprenditore decida di assumere solo lavoratori iscritti a un determinato sindacato, con il quale ha negoziato e stipulato il contratto collettivo aziendale.
Proseguendo nella disamina del TULCA, l’art. 179 disciplina i requisiti di validità ed efficacia del collective agreement, consistenti ne (i) la forma scritta (ii) la previsione all’interno del contratto di una “provision which (however expressed) states that the parties intend that the agreement shall be a legally enforceable contract” (letteralmente: disposizione che (comunque espressa) dichiara che le parti intendono l'accordo sia un contratto efficace”).
Circa il primo requisito, nulla quaestio: trattasi della nota forma scritta a pena di nullità, prevista anche dall’ordinamento giuridico italiano per numerosi contratti ( cfr art. 1325 Codice Civile ) benché non per il contratto collettivo .
Interessante e degno di qualche approfondimento è invece il secondo requisito. Come accennato nel paragrafo precedente, i collective ageements in Gran Bretagna nascono come gentlemen’s agreements, privi della caratteristica della enforceability (la possibilità di agire per il loro adempimento in giudizio); la vigilanza sul rispetto di tali accordi è invece
136 Ciascuno dei tre grandi sindacati italiani ha infatti un legame (quanto meno storicamente) con una determinata ideologia politico –sociale: la CGIL è tradizionalmente più sensibile alle istanze della sinistra socialista e comunista; la CISL è più vicina al centro, una volta rappresentato in Parlamento dalla Democrazia Cristiana, mentre la UIL deve la sua nascita ai cc.dd. partiti laici (repubblicani, liberali, etc.)