COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) LAPERTOSA Presidente
(CO) DE CAROLIS Membro designato dalla Banca d'Italia (CO) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) RUPERTO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(CO) XXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore PROF. XXXX
Nella seduta del 30/10/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Come ricostruito nell’ordinanza di rimessione al Collegio, i fatti che hanno dato origine alla controversia in esame sono i seguenti.
In data 1.2.2008 il ricorrente stipulava, con decorrenza dal 1.3.2008, un primo contratto di finanziamento con altro intermediario, mediante cessione del quinto dello stipendio, per un montante di Euro 33.840,00, da restituire mediante 120 rate mensili di 282,00 euro ciascuna; detto contratto veniva estinto al 31.7.2016, con conteggio estintivo del 12.7.2016.
Il 10.10.2011 stipulava, con decorrenza dal 1.11.2011, un secondo contratto di finanziamento mediante cessione del quinto dello stipendio con l’intermediario resistente, per un montante di Euro 40.920,00, da rimborsare mediante n. 120 rate di 341,00 euro ciascuna; tale secondo contratto veniva estinto al 30.09.2016, con conteggio estintivo del 14.09.2017.
Esperito reclamo in data 21.12.2016 per la somma di Euro 13.229,81, non riceveva alcun riscontro. La retribuzione lorda del ricorrente relativa all’anno 2011 ammontava ad Euro 1.850,00 e, pertanto, la quota dello stipendio ceduta all’intermediario resistente per il secondo contratto, da aggiungersi alla quota ceduta in forza del contratto stipulato con il primo intermediario, “eccede il limite di un quinto dello stipendio netto come stabilito dal
D.P.R. 180/1950; ne consegue la nullità del “contratto B”, stipulato con l’intermediario resistente, “stante la violazione delle norme imperative di cui agli artt. 1, 2, 5 del D.P.R. 180/1950 per aver stipulato un secondo finanziamento contro cessione del quinto omettendo di estinguere il precedente”.
Al momento dell’estinzione anticipata di ciascun finanziamento, inoltre, il ricorrente non ha ottenuto la restituzione integrale delle commissioni e dei costi non maturati fino alla scadenza del contratto. Più in particolare, il ricorrente ha precisato quanto segue:
- la violazione degli artt. 39 e 40 del D.P.R. n. 180/1950 è sanzionata ex art. 113 TUB, come richiamato dalla comunicazione della Banca d’Italia del 10.11.2009;
- ai sensi dell’art. 1418 c.c., ed in linea con quanto stabilito dall’ABF (cfr. Collegio di Roma, decisione n. 4588 del 6.9.2013) e dalla costante giurisprudenza (cfr. ex multis Cass., 7.3.2007, n. n. 3272), “tale contratto è da considerarsi nullo poiché stipulato contra legem in violazione dell’art. 39 D.P.R. 180/1950 e successive modifiche, e comunque ai sensi degli artt. 34 e 36 del Codice del Consumo, tutte clausole del contratto che pattuiscono ulteriori costi a carico del consumatore, sono abusive e devono considerarsi come non apposte, e l’Intermediario è pertanto tenuto alla restituzione di tutte le somme percepite”;
- devono inoltre considerarsi come non apposte, ex artt. 34 e 36 del Codice del Consumo, che ha recepito quanto disposto all’art. 6 Direttiva 93/13/CEE, “tutte le clausole che pattuiscono e moltiplicano commissioni, spese, e finanche interessi, in quanto esse determinano la sperequazione delle condizioni contrattuali a danno del consumatore che sta alla base della ratio del divieto di cui al citato art. 39 D.P.R. 180/1950”;
- la pratica dei rinnovi ante termine dei finanziamenti impone al consumatore il “ricarico” delle commissioni (quantomeno di quelle up front, pur se nel caso di specie si tratta addirittura anche di quelle recurring) “che aumenta il costo del credito in misura inammissibile e dannosa per il consumatore, e l’art. 39 del D.P.R. 180/1950 è posto infatti a presidio del contraente debole, il quale rimarrebbe altrimenti vittima della abusiva strumentalizzazione dell’istituto del rinnovo del finanziamento da parte degli Intermediari finalizzata ad ottenere più volte il pagamento delle commissioni di attivazione (ed in questo caso addirittura di gestione) del prestito”;
- pertanto deve rilevarsi la “disapplicazione delle predette singole clausole” perché stipulate in violazione alla legge e comunque perché abusive “facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di altro collegato o da cui dipende” (art. 34 Cod. Consumo, già art. 6 Dir. 93/13/CEE), “ed in quanto tali non vincolanti per il consumatore e per il Giudice”;
- ne consegue che l’intermediario resistente è tenuto alla restituzione di tutte le commissioni e gli interessi pagati dalla parte ricorrente in forza del contratto di che trattasi;
- la nullità del contratto ovvero la disapplicazione delle clausole assorbe gli ulteriori rilievi che attengono all’obbligo di restituzione delle commissioni e dei costi non maturati fino alla scadenza del contratto, “che tuttavia permangono in relazione al contratto (…), nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda formulata in via principale”.
Il ricorrente ha, quindi, chiesto all’Arbitro l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“In via principale. Previa declaratoria di nullità del contratto di finanziamento n. 319680, ovvero disapplicazione delle clausole abusive del medesimo, accertarsi e dichiararsi il diritto del ricorrente ad ottenere la retrocessione integrale delle spese (commissioni finanziarie), commissioni di Agenzia/Mediazione, premio assicurativo e interessi non
dovuti, e per l'effetto disporre che la soc. [resistente] corrisponda in favore del ricorrente la somma di €. 12.829,81, oltre interessi legali dalla data del reclamo al saldo, oltre le spese del ricorso.
In via subordinata: accertarsi e dichiararsi il diritto del ricorrente ad ottenere la retrocessione della parte non maturata delle spese (commissioni finanziarie), commissioni di Agenzia/Mediazione e premio assicurativo, da calcolarsi utilizzando un criterio proporzionale ratione temporis, relativamente ai contratti di finanziamento nn. 319680, e per l'effetto disporre rispettivamente che [l’intermediario resistente] corrisponda in favore del ricorrente la somma di € 3.059,32 oltre interessi legali dalla data del reclamo al saldo, oltre le spese del ricorso”.
L’intermediario resistente non ha presentato le proprie controdeduzioni.
DIRITTO
In via preliminare, il Collegio non può che censurare e stigmatizzare il contegno tenuto dall’intermediario resistente, che esprime senza dubbio un comportamento altamente contrario ai principi e ai fini dell’Arbitro Bancario Finanziario (il cui primario scopo è di contribuire a dirimere le controversie attraverso la costruzione, o la “ricostruzione”, di un compiuto e trasparente dialogo fra clientela e intermediari), oltre che irrispettoso della stessa funzione del Collegio.
Sempre in via preliminare e come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione, il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda formulata in via subordinata dal ricorrente e diretta al rimborso delle commissioni e degli oneri accessori e del premio assicurativo secondo il criterio pro rata temporis, in quanto domanda avanzata per la prima volta con il ricorso. Come noto, secondo le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, “Il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo” (Sez. VI, par. 1).
La controversia sottoposta all’esame del Collegio si limita, pertanto, al solo accertamento della nullità del contratto di finanziamento concluso con l’intermediario resistente per la violazione, lamentata dal ricorrente, delle previsioni di cui agli artt. 1, 2, 5, 39 e 40 del
d.P.R. n. 180/1950.
Al riguardo, come opportunamente rammentato dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio ha già avuto occasione di pronunciarsi sulla violazione dei termini di cui all’art. 39
d.P.R. n. 180/1950, in caso di estinzione anticipata di un precedente contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o della pensione) per tramite della conclusione di un nuovo finanziamento stipulato prima del decorso, per l’appunto, del termine biennale o quadriennale stabilito dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 39/1950. In tale circostanza, il Collegio ha chiarito che la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 integra “la violazione di norme comportamentali da parte dell’intermediario, e non [può] comportare, pertanto, un’ipotesi di nullità del contratto in base al disposto dell’articolo 1418 c.c., con particolare riferimento all’ipotesi di nullità per contrarietà a norme imperative prevista dal primo comma di tale disposizione, in relazione alla quale il Collegio conosce e condivide pienamente l’insegnamento della Giurisprudenza di legittimità in materia di nullità virtuale del contratto (cfr. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2007, n. 26724)” (Collegio di Coordinamento, decisione n. 5762/2016). Sotto tale profilo, la lamentata violazione dei termini di cui all’art. 39 d.P.R. n. 180/1950 non può, pertanto, costituire, di per sé sola, ragione sufficiente di nullità del secondo contratto di finanziamento concluso dal ricorrente. Sul punto, né il ricorrente, né l’ordinanza di rimessione hanno, del resto, prospettato argomenti a sostegno della nullità virtuale del contratto ex art. 1418, primo comma, c.c.
nuovi o diversi rispetto a quelli già esaminati da questo Collegio nella decisione sopra richiamata e tali da indurre il Collegio a rivalutare la questione.
Come sottolineato dall’ordinanza di rimessione, la questione oggetto del caso di specie è parzialmente distinta da quella già decisa dal Collegio nella decisione sopra richiamata e attiene al “possibile cumulo” di due o più contratti di finanziamento contro cessione del quinto e, più specificamente, al conseguente “superamento del limite della quota cedibile” consentita, in termini generali, dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950. Più chiaramente, ci “si domanda insomma se”, come nel caso di specie, “possano o meno coesistere per la loro intera durata di ammortamento o per periodo di tempo limitati due o più contratti del medesimo tipo per come configurati dalla disciplina inderogabile di riferimento contenuta nel D.P.R. 180/1950 per le cessioni delle quote del quinto dello stipendio o della pensione”.
Al riguardo, gli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 180/1950, invocati dal ricorrente, non appaiono rilevanti ai fini della decisione del caso in esame: l’art. 1 si limita a stabilire in generale il divieto di cessione dello stipendio, con le eccezioni previste nelle disposizioni successive (spec. art. 5); mentre l’art. 2 si riferisce ai limiti di sequestro e pignoramento degli stipendi, sicché non riguarda la conclusione del contratto di cessione dello stipendio, ma i limiti all’esercizio dell’azione esecutiva o cautelare sulla quota dello stipendio oggetto di cessione. L’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, invece, fissa l’eccezione al divieto dell’art. 1, consentendo la conclusione di contratti di finanziamento contro cessione dello stipendio purché la cessione negoziata abbia ad oggetto una quota non superiore al quinto della retribuzione. Ne consegue che se la cessione oggetto del contratto è limitata entro il quinto dello stipendio, il contratto è validamente concluso. Sotto questo profilo, il (secondo) contratto in questione è – in sé considerato – perfettamente valido, avendo ad oggetto la quota cedibile dello stipendio. Si tratta, pertanto, di verificare se la successione e il cumulo di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio, che, come nel caso di specie, congiuntamente considerati determinano una cessione di una quota complessiva dello stipendio (della pensione) superiore a quella consentita, possano determinare una (indiretta) violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 180/1950 e, in caso positivo, quali siano le conseguenze che da tale violazione discendono.
Così ridefinita la questione da affrontare per la soluzione del caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, come sul punto non paiono assumere rilievo le disposizioni dell’art. 70 del d.P.R. n. 180/1950 (relative alla diversa ipotesi del concorso tra cessione e delegazione di pagamento), che l’articolata ordinanza di rimessione sottopone, invece, al Collegio in ragione della “possibilità di giungere ad una diversa conclusione” – rispetto a quella prospettata dal Collegio di Napoli nelle decisioni richiamate dalla stessa ordinanza (decisioni n. 7104/2014, n. 450/2015) – “in relazione all’individuazione dei responsabili, in caso di ritenuta violazione, nel caso qui in esame, che riguarda peraltro un’ipotesi di cumulo omogeneo e non tra cessione e delegazione” e della conseguente possibilità che si determini “un contrasto giurisprudenziale (…) in assenza di una valutazione complessiva della disciplina di legge in materia, che appare di esclusiva competenza del Collegio di Coordinamento”. Secondo il Collegio di Napoli, i limiti previsti dall’art. 70 d.P.R.
n. 180/1950 (secondo cui in “caso di concorso di cessione e delegazione, non può superarsi il limite della metà dello stipendio o salario se non quando l’amministrazione dalla quale l’impiegato o il salariato dipende ne riconosca la necessità e dia il suo assenso”) sono “comunque stabiliti ad esclusivo carico dell’amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro del dipendente, nella sua qualità di ceduta ovvero di delegata al pagamento. Non a caso è proprio ad essa che viene altresì imposto espressamente il rilascio della dichiarazione autorizzativa, tanto in via ordinaria, quanto in xxx xxxxxxxxxxxxx xx ricorrere delle eccezionali circostanze del caso, al fine di consentire il
superamento di detti limiti legali”. Benché le considerazioni ora richiamate non manchino di sollevare qualche perplessità (proprio la circostanza che sia l’amministrazione di appartenenza a dover autorizzare il superamento del limite previsto dall’art. 00 x.X.X. x. 000/0000 xxxxxxxx, xx realtà, che il medesimo limite non è posto a carico esclusivo dell’amministrazione, dato che l’autorizzazione, nella sua più comune accezione, è diretta a superare un ostacolo o un limite giuridico all’esercizio di un potere da parte di un soggetto necessariamente – e, prima ancora, logicamente – distinto da quello che concede l’autorizzazione), il Collegio ritiene di non dover prendere posizione alcuna sulle questioni sollevate nell’ordinanza di rimessione in merito all’interpretazione e applicazione dell’art. 70 d.P.R. n. 180/1950, in quanto, per le ragioni di seguito illustrate, la soluzione del caso sottoposto all’esame del Collegio (cumulo di due, o più, cessioni, congiuntamente, oltre il limite di cui all’art. 5 d.P.R. n. 180/1950) trova, in realtà, completa ed esaustiva disciplina nelle disposizioni dell’artt. 39 e, soprattutto, dell’art. 40 d.P.R. n. 180/1950.
Ciò chiarito, gli artt. 39 e 40 d.P.R n. 180/1950 escludono una sovrapposizione di due (o più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, indipendentemente, peraltro, dal superamento della soglia del quinto prevista dall’art. 5 del medesimo decreto. Xxxxx restando i termini indicati dall’art. 39, commi 1 e 2, se il primo finanziamento non è stato estinto altrimenti (nel qual caso il termine per la conclusione di un nuovo contratto di finanziamento si riduce a un anno), il secondo finanziamento è (recte, deve essere) comunque destinato all’estinzione del primo, come chiaramente confermato anche dalle disposizioni dell’art. 40 e, in particolare, dall’obbligo del secondo mutuante di “pagare al primo cessionario” il credito residuo (art. 40, comma 3).
Più chiaramente: i) l’art. 39, comma 1, ultima parte, d.P.R. n. 180/1950 disciplina l’ipotesi in cui il cliente richiede un nuovo (secondo) finanziamento, avendo già estinto il precedente. In tal caso, il cliente può stipulare il nuovo finanziamento decorso un anno dall’estinzione anticipata del primo, senza che si ponga, neppure in astratto, la questione, rilevante per la soluzione del caso di specie, di una violazione indiretta del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950; ii) l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 180/1950 si riferisce, invece, all’ipotesi in cui l’estinzione del primo finanziamento avviene mediante il successivo finanziamento. In tal caso, il cliente può attivare il nuovo finanziamento soltanto dopo il termine di due o quattro anni previsto dall’art. 39, comma 1, d.P.R. n. 180/1950 (o anche prima del decorso del termine biennale, qualora il secondo contratto sia una “cessione decennale” stipulata “per la prima volta”, art. 39, comma 3).
Il quadro normativo tracciato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 non contempla, quindi, la permanenza di due (o più) contratti di finanziamento, benché nella seconda ipotesi sopra delineata (ii) non possa escludersi, in concreto, la permanenza di due cessioni e, quindi, per quanto qui più rileva, la possibile violazione indiretta dell’art. 5 del medesimo decreto.
In tal caso, indipendentemente dalla qualificazione dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 – e del limite del quinto da esso previsto – quale regola di condotta o, come pare più corretto, regola di validità del (successivo) contratto, la violazione indiretta dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, attraverso la stipulazione di una successiva cessione che viene a cumularsi con quella precedente oltre la soglia del quinto, non è, in ogni caso, idonea a determinare la nullità del secondo contratto.
Conformemente a quanto previsto, in linea generale, dallo stesso art. 1418, comma 1, c.c. (che esclude la nullità del contratto contrario a norme imperative - c.d. nullità virtuale - qualora “la legge disponga diversamente”), deve, infatti, osservarsi come sia lo stesso impianto normativo delineato dagli artt. 39 e 40 d.P.R. n. 180/1950 ad escludere che la violazione del limite stabilito dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950, in caso di permanenza di due (o
più) contratti di finanziamento contro cessione del quinto, possa determinare, per ciò solo, la nullità del secondo contratto.
Al riguardo, occorre infatti evidenziare che l’art. 39, comma 2, e, più chiaramente, l’art. 40, commi 1 e 3, d.P.R. n. 180/1950 impongono che il secondo contratto sia (necessariamente) destinato ad estinguere il precedente finanziamento, così escludendo, in radice, la possibilità di un cumulo oltre il limite del quinto. Anche qualora il “ricavato della nuova cessione [non] sia destinato, sino a concorrente quantità, alla estinzione della cessione in corso” (come richiesto dall’art. 39, comma 2, e dall’art. 40, comma 1, d.P.R. n. 180/1950), l’art. 40, comma 3, chiarisce che tale evenienza costituisce diretta conseguenza del dovere, posto (da un regola evidentemente di comportamento e non di validità) in capo al secondo mutuante, di “pagare al primo cessionario il residuo suo credito contemporaneamente al pagamento al mutuatario del ricavato netto del nuovo mutuo”; dovere che, all’evidenza, non può che presuppore la validità del secondo contratto che, unitamente alle richiamate previsioni dell’art. 40, comma 0, x.X.X. x. 000/0000 (xxx. 1339 c.c.), ne costituisce la fonte (il presupposto). Nella stessa direzione depone, inoltre, il comma 4 dello stesso art. 40, secondo cui l’“obbligo della garanzia da parte del Fondo e l’obbligo dell’amministrazione di versare le quote di ammortamento del prestito sono subordinati alla condizione che l’istituto mutuante adempia all’estinzione della precedente cessione”. Anche sotto questo profilo, la violazione (indiretta) della soglia del quinto prevista dall’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 è riconducibile alla violazione, da parte dell’amministrazione, dell’obbligo di non “versare le quote di ammortamento del prestito” al nuovo istituto mutuante, qualora lo stesso istituto non abbia precedentemente estinto la precedente cessione, così escludendo il presupposto del superamento della soglia del quinto.
Il meccanismo ora delineato è per se stesso incompatibile e antinomico rispetto alla tesi della nullità del contratto perché postula la produzione di effetti sia pure diversi da quelli voluti dalle parti (in tal senso è significativo che l’art. 40 d.P.R. n. 180/1950 sia rubricato “Effetti di una nuova cessione in rapporto alla precedente”). Ne consegue che la violazione indiretta del limite dell’art. 5 d.P.R. n. 180/1950 che, come nel caso di specie, può verificarsi qualora, contrariamente a quanto stabilito dagli artt. 39 e 40, la seconda cessione non sia destinata all’estinzione della precedente, deriva direttamente (non dalla violazione di una regola di validità, ma) dalla violazione degli obblighi di condotta posti in capo al secondo cessionario (che “deve pagare al primo cessionario il residuo del suo credito contemporaneamente al pagamento al mutuatario del ricavato netto del nuovo mututo”, art. 40, comma 3, d.P.R. n. 180/1950) e suscettibili di responsabilità risarcitoria, non potendosi certamente ipotizzare cha la nullità di un contratto dipenda non da una patologia genetica, bensì da comportamenti posteriori alla sua conclusione e contrastanti con doveri che la legge fissa sul presupposto implicito della validità del contratto.
Ferma restando, in termini generali, la possibilità per il cliente di chiedere ed ottenere dal secondo cessionario il risarcimento dei danni subiti per effetto della mancata estinzione (o riduzione) del primo finanziamento (e corrispondenti, in via esemplificativa, agli ulteriori interessi che non sarebbero maturati se il secondo cessionario avesse correttamente adempiuto a quanto prescritto dall’art. 40, comma 2, d.P.R. n. 180/1950), nel caso in esame il ricorrente non ha, tuttavia, formulato alcuna domanda risarcitoria, limitando le proprie richieste all’accertamento della nullità della seconda cessione e alla ripetizione integrale delle somme versate a titolo di interessi, commissioni e oneri accessori; domanda quest’ultima, che, per le ragioni sopra illustrate, non può trovare accoglimento.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio respinge la domanda principale e dichiara inammissibile la domanda subordinata.
IL PRESIDENTE
firma 1